gennaio 1985
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numero 62
Hans Sedlmayr: verità o metodo? Fashion & Design: la cultura-del successo - Nuovi vecchi "ismi" del _ l'arte - Architettura: reportage dalla West Coast - Libri, riviste e mostre edizioni « il centro •
op.cit. rivista quadrimestrale di selezione della critica d'arte contemporanea
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Edizioni e Il 'centro ,. di ArtĂšro Carola
F. P. FIORE
Hans Sedlmayr: veritĂ o metodo?
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A. D'AURIA
Fashion & Design: la cultura-del-successo
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G. DAL CANTON
Nuovi vecchi "ismi" dell'arte
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L.
Architettura: reportage dalla West Coast
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Libri, riviste e mostre
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SACCHI
Alla redai.ione di questo numero hanno collaborato: Michele Bonuomo,
Benedetto Gravagnuolo, Livio Sacchi, Angelo Trimarco.
lA rivista si avvale del contributo economico dei seguenti Istituti ed Aziende: Banco di Napoli Camera di Commercio di Napoli Driade Informatica Campania Knoll International Design Riam Zen Italiana
Hans Sedlmayr: verità o metodo? FRANCESCO PAOLO FIORB
Prendere in esame non una personalità artistica o un periodo storico, ma una singola opera o un delimitato grup po di opere, di cui individuare attraverso l'analisi iconogra fica e della struttura gestaltica da un lato, e la discussione iconologica dall'altro, il contenuto centrale, è la proposta di metodo di Hans Sedlmayr per una storia dell'arte capace di darsi dignità scientifica. Sedlmayr annunciava compiutamente i suoi due modi di procedere nei notissimi saggi Die « macchia ,. Bruegels (1934) e Die Entstehung der Kathedrale (1950), ma la necessità di elaborare un metodo generale per la storia dell'arte risale sino · ai suoi primissimi lavori come allievo della Scuola di Vienna, a partire dalla interpretazione critica di Riegl scritta nel 1927 e pubblicata nel 1929 come presentazione di alcuni studi e della bibliografia del maestro 1• Lo scritto è presente in una raccolta di saggi recentemente tradotti da chi scrive intitolati da Sedlmayr Arte e verità 2, titolo che riecheggia il Poesia e verità di Goethe, ma che dà immediatamente conto del punto di vista dell'autore che vuole l'opera d'arte mai completa se non nella trascendenza e sulla ricerca nella storia di valori assoluti e definitivi. Ancora una volta, dunque, un titolo icastico e sinteticamente espressivo di una posizione critica e dissenziente come quello della sua opera più ce lebre, la Perdita del centro (Verlust der Mitte, 1948), che ne annunciava con forza polemica il giudizio negativo sulla crisi della civiltà contemporanea espressa dalle avanguardie arti- 5·
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stiche risalendone alle origini, mentre la stia Rivoluzione del l'arte moderna (Die Revolution der modernen Kunst, 1955), tentava poi di entrare nella valutazione del fenomeno arti stico al di là delle sue premesse storiche. Ma, in quanto titolo di una raccolta di saggi che procedono dal 1927 sino all'aggiornamento del" suo punto di vista sull'arte contempo ranea del 1976, forse ancor più utile come spunto per una discussione che, ora che Sedlmayr è scomparso all'età di ottantotto anni, segua sia pure sinteticamente il suo per corso critico nella « interpretazione » delle opere d'arte e non solo nella polemica sul Moderno. La sua formazione fu pienamente viennese, ed egli cercò di innestare nella struttura epocale edificata da Riegl, il por tato della storia dell'arte come Geistesgeschichte di Dvofak, che lo influenzò, come vedremo, più di quanto non :;i sia portati ad ammettere, e della Gestaltpsychologie di Werthei mer, fondatore con Koffka e Kohler di quella scuola psico logica che, appena nascente in quegli anni, doveva portare alle più recenti elaborazioni e letture di Arnheirr.i. Non senza ignorare lo stesso pensiero di Benedetto Croce attraverso lo Schlossèr, che ne- aveva tradotto alcuni scritti e diffuso il pensiero tra gli studiosi di lingua tedesca. Il tentativo di sin tesi tra queste componenti venne tuttavia a maturazione a partire dal pensiero di Jaspers e dal suo Die geistige Situation der Zeit (1933) aderendo cioè all'esistenzialismo metafisico che avrebbe a lungo caratterizzato un filone del pensiero te desco, e. partecipando così non solo all'adesione politica al Reich, ma anche a quello scivolamento verso l'irrazionalismo è la metafisica 3 che egli stesso rimproverava, da critico, alle avanguardie dell'arte moderna. L'opera di Sedlmayr è quindi una testimonianza complessa e articolata non condivisibile, ma rivelatrice di una fase drammatica del pensiero europeo posto di fronte al mondo della tecnica ed alla perdita di quellà religiosità, che è causa per lui della crisi dell'arte, senza aver saputo riconoscere, come pure Dvofak fece, l'importanza della lotta tra tendenze realmente contrapposte 4, e piuttosto cercando un metodo unificante per cogliere il « centro vitale » dell'opera d'arte. In questo· egli cercò di sviluppare
quanto appreso in quella Scuola di Vienna di storia <lell'arte di cui fu allievo con i più maturi Kris, Swoboda, Hahnloser, e con il. più giovane Gombrich. Nato nel 1896 ai confini tra Austria e Ungheria, studente di architettura presso la Technische Hochschule, Sedlmayr si sarebbe laureato con Max Dvotak trattando il tema dei palazzi genovesi se la morte del maestro (1921) non ne avesse impedito la conclusione. Questo spiccato interesse per l'archi tettura è uno degli elementi non secondari nella sua ricerca e va considerato nei suoi valori fondamentali anche al di là della caratterizzazione dei suoi importanti contributi, appunto in tema di storia dell'architettura, da quella di Borromini e ..di Fischer von Erlach a quella bizantina. Sedlmayr si laureò p_oco più tardi con Julius Schlosser, per succedergli poi giovanissi mo (1936) alla guida della Scuola viennese. Negli anni 1931-33 aveva del resto già formulato con Otto Pacht nei due volumi delle Kunstwissenschaftliche Forschungen il programma per una jiingere Wiener Schule (più giovane Scuola viennese). A partire dai saggi Gestaltetes Sehen (1925) e Zum gestalteten Sehen (1926), si era rivolto, infatti, ai problemi della forma interna del linguaggio e della struttura dell'opera d'arte sottQ raspetto psicologico, e più precisamente sotto quello legato alla psicologia della Gestalt, ricollegandosi a quanto già trat tato su questi due problemi della ricerca storico-artistica dé!, Riegl e Dvotak. Era invece nuovo il richiamo a quella �cuola psicologica ed in particolare a Christian Ehrenfels e alla sua Kosmogonie (1916), come notò anche Schlosser 5• E a questo proposito va ricordato il ben diverso tentativo proseguito anche più tardi con lucidità e coerenza da Emst Kris,- che Schlosser menzionerà a più riprese come il più caro dei suoi « primi veri scolari » 6, di applicare alla storia degli stili la psicanalisi di Freud. . _. Le linee di ricerca
Sedlmayr inaugurò così una analisi strutturale legata alla tradizione di Dilthey e tesa alla ricerca di· un elemento (la struttura) capace di accomunare la molteplicità delle opere
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d'arte sulla base dei loro presupposti di forma. Nella sua Die Architektur Borrominis (1930), il ritmo di facciata della chiesa di S. Carlino rende per esempio possibile il riconosci mento di una doppia struttura nella pianta della chiesa, carat terizzata ora dalle quattro nicchie ed ora dai quattro lati, quasi come negli esperimenti della Gestaltpsychologie su figura e fondo, ed altrettanto avviene nella chiesa di S. Ivo alla Sapienza. Ma è evidente sin da allora che ci si trova di fronte ad una scelta che, per quanto brillante e penetrante nelle mani dell'autore, schiaccia la molteplicità delle storie nel tentativo di comprendere il tutto dalle parti e le parti dal tutto in una percezidne diretta ed immediata. Lo stesso Sedlmayr criticò più tardi (1937) questa analisi come troppo formale 7 e nell'introduzione alla riedizione del volume (1939) lamentò che la proposta identificazione del carattere schi zoide di Borromini a partire dalle sue architetture sulla base della .classificazione di Kretschmer fosse stata intesa come patologia trattandosi invece solo di un « temperamento ». Un formalismo, e un determinismo insieme, difficili da evitare, posto che anche riallacciandosi ai principi di struttura di Riegl e nell'interpretarne il pensiero, Sedlmayr ne collegava i tipi a quelli di Dilthey ed affermava che « lo stile è la varia bile dipendente dei principi di struttura interna ». Tutte le interpretazioni di Riegl da parte dell'autore accentuano del resto le tendenze deterministiche presenti nella sua teoria per farne, sulla scorta anche delle idee di Spengler, la teoria di una storia anti-individualista su cui fondare il proprio prin cipio strutturale. l!. la critica che gli muove Ernst Gombrich, interessato piuttosto alla variazione delle aspettative indotta nell'osservatore dalle immagini percepite applicando, con Kris, la psicanalisi freudiana, e quindi alla storia delle in fluenze artistiche sui singoli individui 1• Ma non meno efficace è l'accusa di determinismo storico che a simile interpretazione di Riegl muove Ranuccio Bianchi Bandinelli 9, che critica Sedlmayr e con lui Kaschnitz-Weinberg, peraltro fine stu dioso dell'arte antica che dopo Sedlmayr estese la ricerca di una struttura dal singolo oggetto ad un intero ambito culturaie o periodo artistico 10•
Si trattava dunque di un modo di intendere la storia che legava inevitabilmente Sedlmayr di nuovo a Dvorak ed alla sua visione della storia dell'arte come storia dello spirito, la Geistesgeschichte, sebbene egli stesso avanzasse critiche decise e motivate all'opera del primo maestro. Per seguire il procedere del suo atteggiamento critico, va notato che, ancora nel 1930, nella introduzione alla prima edizione del citato volume dedicato all'architettura· di Bor romini, Sedlmayr escludeva di volerne fare una biografia articolata nel « quadro dell'arte e della personalità» come l'indirizzo crociano di Schlosser avrebbe al contrario consi gliato, ed inseriva tra le domande-guida del lavoro quella relativa alla possibilità di apprendere elementi dello « spi rito» e dello « sviluppo dello spirito» della cultura di quel tempo dalle architetture borrominiane. La domanda fu in vece omessa, e non a caso, nella ristampa del '39, identica all'altra nel testo ma totalmente rinnovata nell'introduzione, ove si sottolineano maggiormente i problemi relativi al lin guaggio artistico ed alla psicologia di Borromini. Dvorak, cui va il grande merito di aver rivalutato il Manie rismo seguitando l'interesse di Riegl per i periodi di crisi, aveva tentato di sottolineare la continuità dell'evoluzione storica superando anche la natura degli stili· che Riegl aveva posto alla base della sua costruzione storico-artistica. A questo scopo aveva proposto un parallelismo tra gli avvenimenti storici ed ideali che per altri, come ad esempio Hauser, sa rebbe divenuto il tentativo di cogliere la lotta tra le tendenze contrapposte nell'arte e nella cultura 11• Ma la critica· al suo tentativo si levò subito esplicita, e persino il Wickhoff, suo maestro e predecessore a Vienna, ne disse: « f=: in fondo un peccato che il Dvorak sia divenuto storico dell'arte e non della cultura» u. Anche Sedlmayr osservò con Schlosser 13 e Kaschnitz-Weinberg che la Geistesgeschichte come tentativo di sintesi tra la trattazione storico-culturale e quella storico stilistica rischiava di perdere di vista la storia dell'arte a vantaggio dell'interpretazione ed uso di fonti lontane o addi0 rittura estranea all'attività artistica considerata. Ma bisogna aggiungere che Dvorak, come tutta la Scuola di Vienna da 9 ·
Wickhoff in poi, era ancor più incessantemente mosso dal desiderio di unire ai problemi della storia dell'arte quelli della critica dell'arte a lui contemporanea, parteggiando per la vittoria dell'espressionismo sull'impressionismo, la «·pro messa storica» scorta nel Manierismo da lui studiato. E. da quest'ultimo aspetto che Sedlmayr dovette rimanere affasci nato, come appare nei suoi scritti dedicati più tardi all'arte moderna, sebbene fosse criticamente conscio della improba bilità di tale vittoria. Oggi, va solo incidentalmente ricordata la singolare coincidenza che vede riaffacciarsi una corrente neo espressionista sospinta da una critica già compiaciutasi del l'illusoria unità spirituale scorta da Dvofak nel Manierismo 14: se si trattasse di un duraturo fenomeno di ripresa, persino le critiche di Sedlmayr al maestro cadrebbero per questo aspetto. Ciò che Sedlmayr accettò fondamentalmente da Dvofak fu comunque la segnalazione del problema del tra scendente, e la sua dichiarazione della storia dello spirito come « correlazione dell'anima umana con Dio». Le pagine ove Sedlmayr commenta questo insegnamento, insieme a quelle dedicate al problema del tempo secondo le teorie di Franz von Baader costituiscono il momento centrale della sua elaborazione teorica: « Quando si deve fare della storia dell'arte una storia dello spirito, dal ricercatore si pretende una decisione. Gli si chiede se crede alla realtà dello spirito assoluto così seriamente come alla realtà della vita culturale o della società». Nell'indicare questo come l'esito ultimo e più interessante della lezione di Dvorak .e nel porre a base della sua critica all'arte moderna 15 la netta separazione da lui indicata tra artisti del passato ed artisti contemporanei, Sedlmayr ha dimostrato di accettare e di onorare il primo maestro sopra ogni altro. Ben diversi indirizzi critici pervennero a Sedlmayr da Julius Schlosser, che aveva dedicato in quegli anni un testo fondamentale alla letteratura artistica (Die Kunstliteratur, 1924). Che Schlosser stentasse ad operare la pur desiderata sintesi tra lavoro filologico ed analisi critica è ammesso da lui stesso nell'introduzione alla sua Kunstliteratur, ed appare 10· evidente persino nei capitoli dedicati al Vasari, su. cui lo
stesso Sedlmayr svolgeva come suo assistente esercitazioni insieme a corsi che dovevano « servire ad una intuizione an che dell'arte moderna» 16 • Rimane legata alla .tradizionale di visione d'ambito degli studi filologici anche la sua distinzione tra fonti letterarie e fonti documentarie, quest'ultime da lui escluse dalla Kunstliteratur · in quanto impersonali dati di fatto se confrontate alle prime, frutto del carattere personale dello scrittore. Senza tener conto del fatto che ogni testimo nianza o documento contiene una quota di falsità, parzialità, connaturata alla personalità dell'estensore ed al motivo sto rico della sua stesura 17 • L'innesto del pensiero di Croce nella Scuola di Vienna non avvenne perciò senza difficoltà, anche perché la riegeliana storia degli stili ne veniva apertamente accusata· di essere storia di forme vuote, e, in quanto tale, di essere una storia dell'arte carente ed acritica. Seguendo Schlosser, Sedlmayr accrebbe certamente le sue doti di filologo e rivisitò le proposte della Gestaltpsychologie sotto l'influsso crociano tentando· di gettare un ponte tra forma e spirito, tra la storia degli stili e quella dello spirito. Ma non accettando, come si è accennato, la scelta crociana per le biografie come miglior forma di storiografia artistica, si trovò naturalmente portato allo studio della singola opera in luogo del singolo artista, o meglio ancora di singoli gruppi di opere, il che gli avrebbe permesso di unire la storia della cultura a quella degli stili ed ai dati biografici. Questo tenta tivo appare molto chiaramente e con maturità nei suoi esempi di interpretazione di numerose opere d'arte, ed è questo il vero passo in avanti proposto dalle analisi strutturali del l'autore rispetto alla storia generale di Riegl e rispetto alla Geistesgeschichte di Dvorak. Lo stesso Wolfflin non aveva del resto mai preteso, come Sedlmayr fece, di cogliere diretta mente globalità, struttura e centro di un'opera singola, piut tosto che di un periodo storico, sebbene già si occupasse dei caratteri evidenti. Sedlmayr lo propose invece con decisione, ad esempio nel l'an alisi strutturale della Karlskirche di Fischer von Erlach a Vienna e della Schilderconst di Vermeer. Nel prospetto della Karlskirche l'autore scorge la possibilità di due tipi strut-
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turali, il primo dei quali raggruppa insieme il tamburo della cupola, e le colonne istoriate come emergenze, mentre il secondo, il pronao e ancora le colonne, in quanto elementi all'antica in un contesto barocco. Le due triadi si colgono a seconda del « punto di vista» e sono complementari l'una all'altra sebbene qui non si tratti più di un fatto meramente visivo e formale, ma nella loro percezione giochi anche il contenuto. Come accadeva in parte già nell'esame delle archi tetture di Borromini, la struttura gestaltica rivendica ora in Sedlmayr un valore che travalica i limiti visuali che costi tuiscono l'elemento di partenza di quella teoria. Il fatto è che l'autore andò via via rivedendo il proprio concetto di « struttura » e lo arricchl di connotati storici più complessi, come appare dalla successiva analisi dei contenuti 'simbolici ed allegorici della chiesa, in cui si rivela racchiusa una simbologia imperiale capace di alludere ad Augusto e Traia no, al tempio di Salomone, a S. Pietro e alla Santa Sophia per giungere a Carlo V e a S. Carlo Borromeo. Chi voglia avere la misura di questo efficace affinamento critico, con fronti ad esempio le due monografie dedicate da Sedlmayr a Fischer von Erlach, quella del '25 e quella del '56, ove da un giudizio articolato sulla base di tipi borromineschi e non sempre congrui all'architettura di Fischer, si passa ad una ben più convincente ed aperta indicazione di « co stanti» 11• Dopo i primi anni 'SO, Sedlmayr inserì inoltre sempre più decisamente nella sua lettura strutturale di derivazione ge staltica la comprensione fisiognomica del « carattere eviden te» riferendosi anche alle elaborazioni di Pinder, e la pose al centro dell'opera insieme ai significati. Nell'esempio dedi cato all'interpretazione del dipinto della Schilderconst di Vermeer, Sedlmayr dichiara appunto di guardare il quadro facendo interagire al tempo stesso tre livelli, il letterale, l'alle gorico e lo spirituale, o « senza tempo», quest'ultimo riferito al· carattere evidente della luce. Ciò gli evita da un lato l'accusa di formalismo pendente sull'analisi gestaltica, ma dall'altro rende evidente che ·in questo caso è proprio l'interpretazione dei significati, più·
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diata evidenza dell'opera d'arte. Ma cogliere il carattere evi dente non è sufficiente per interpretare l'opera scientifica mente. All'interprete scientifico Sedlmayr richiede di gua dagnare il più possibile il punto di vista da cui l'opera è scaturita. � a proposito dell'interpretazione e dei suoi metodi che Sedlmayr porta dunque il suo contributo più problematico e ricco: nessun compito di ricerca deve essere preferito unica mente a detrimento degli altri, ovvero il risultato dell'inter pretazione è frutto di una ponderazione di argomenti e di ·punti di vista interpretativi che cercano di conquistare il punto di vista originario. La congiunzione dei diversi punti di vista sarebbe poi determinante per l'interpretazione defi nitiva, la «giusta,. interpretazione, che sarebbe pertanto un c. asintoto del giudizio ». Non è difficile riconoscere in questa tendenza alla composizione dei metodi e dei punti di vista una tendenza oggi attualissima nella critica e fra gli storici dell'arte, a tutto favore di una interpretazione il più possi bile vicina all'oggetto artistico indagato. Per l'autore, una volta scelto un prodotto o un ristretto ambito di prodotti, sarà compito primario dell'interprete non trascurare alcuno dei temi di ricerca offerti dal suo oggetto di studio e svi luppare il proprio lavoro non solo soffermandosi sulle descri zioni fenomeniche, ma esplorando in direzione delle rela zioni genetico-condizionali. Ma poiché una differenza di me todi non si può riportare ad unità, Sedlmayr indica una via per superare questa difficoltà nella scelta, sulla base dei ri sultati ottenuti, di· un punto di vista particolare, quello che corrisponde il più possibile a quello dell'artista da cui l'ope ra d'arte era scaturita. Sarà ancora la pratica interpretativa a rendere improbabile, attraverso un attento intreccio delle numerose e diverse linee di ricerca; che si commettano errori nel rico_noscere il «giusto » punto di vista finale. L'interprete rinuncerebbe allora al proprio nella speranza di aver indivi duato quello originario, ancor più colto e strumentato stori camente di quello dell'artista-creatore. In questo modo non solo l'opera potrebbe essere interpretata, o meglio per Sedlmayr ri-creata, ma si passerebbe da un'interpretazione sog-
gettiva ad una interpretazione oggettiva, intorno alla quale tutti gli storici dell'arte potrebbero accordarsi. AI mondo chiu• so dell'opera d'arte si accederebbe pertanto proprio grazie al cambiamento del punto di vista da parte dell'interprete. Queste indicazioni, che si sono dimostrate fruttuose nella pratica della ricerca grazie alla rinuncia ad una eccessiva astrazione a favore di un diretto interesse- per l'oggetto di studio e di interpretazione, pongono tuttavia anch'esse nu merosi problemi. Basti accennare al fatto che non appare chiaro come l'interprete possa mettere in gioco la sua sog gettività per giungere ad una interpretazione oggettiva, seb bene non possa e non debba rinunciarvi appieno. O al fatto che il giudizio su rango e valore dell'opera, presumibili con seguenze dell'interpretazione, ne sono anche premessa non essendo disgiunti per Sedlmayr dalle questioni di struttura. L'interpretazione .potrebbe inoltre rinunciare per l'autore a rango e valore nel caso che l'opera d'arte si apprendesse con il solo corpo, in un modo per così dire « esistenziale » di com prendere l'opera d'arte, o meglio il suo « centro vitale,. in quanto sua originaria base creativa. Quello che emerge an cora una volta chiaro è dunque il carattere trascendente attri buito da Sedlmayr all'opera d'arte e da lui posto alla base della « seconda storiografia artistica», destinata a coglierne il più possibile il centro. L'analisi della struttura condotta da Sedlmayr si spinge pertanto alla ricerca della verità assoluta come momento cen trale, rivolgendosi apertamente alla metafisica, e l'analisi dei caratteri evidenti diviene il tramite attraverso cui l'interprete si identifica quasi con lo spirito del tempo 22• « Il punto di partenza ideale dell'interpretazione consiste nel recepire in silenzio, ma questa non è la sua meta» 23, afferma Sedlmayr, ed è facile intravvedere in questa affermazione rivelatrice un chiaro riferimento, ma anche una differenza con e Un risuo nare della parola autentica può scaturire solo ·dal silenzio • di Heidegger 24 • Nel giusto desiderio di superare la- e prima storiografia artistica », e cioè la mera indagine filologica, la constatazione dei fatti e la loro piatta descrizione, e considerando che
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l'analisi stilistica non può certo considerarsi il punto .di par• tenza e di arrivo di ogni storia dell'arte, Sedlmayr era giunto cosi, nel Verlust der·Mitte, a porre come centrale il concetto di « secolarizzazione » dell'opera d'arte, per cw l'autonomia umana, manifestandosi a partire dagli anni 1760 precedenti la rivoluzione francese, sarebbe fonte di ogni male, mentre l'arte si fonderebbe nell'ontico, forma simbolica « libera dal tem po». Riconoscere e ri-creare il rango sovrastorico dell'opera d'arte diviene perciò il fine della « seconda storiografia arti stica ». Ed è facile a tal punto comprendere la condanna di Sedlmayr nei confronti dell'arte moderna e contemporanea, da lw classificata come non-arte e anti-arte.
Il dissenso nei confronti dell'arte moderna e contemporanea
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Anche l'arte moderna viene giudicata da Sedlmayr a par• tire dalle definizioni del neoplatonismo cristiano di Bona ventura da Bagnoregio 25, se non addirittura, come si direbbe, da quelle di Dionigi Areopagita 26• L'arte è imitazione del di vino, e non-arte diviene ciò che rinunciando al riferimento metafisico si riduce a mero oggetto estetico, incapace di co municare proprio in quanto privo del riferimento metafisico di cw farsi tramite nei confronti dello spettatore. L'arte astratta o non-concreta diviene così per Sedlmayr un « inganno estetico », ponendosi come negazione di ogni va lore che non sia quello dell'esistenza in sé, ed escludendo al tempo stesso ogni rapporto di valori n. Come già in Hegel, da lui lungamente citato, che preconizzava nel suo secolo la morte dell'arte classica, la stessa storia conduce alla crisi ed alla morte dell'arte, inevitabile a meno di reintrodurvi lo spirito totalizzante del passato, mentre l'arte moderna di viene per Sedlmayr una quarta età dell'arte, quella dell'uomo autonomo e, in quanto tale, separato dal centro. .Presupponendo un'origine, Sedlmayr presuppone necessa• riamente una stazione finale· dell'opera d'arte, una verità, un valore, si potrebbe dire parafrasando Tafuri 28, anche per l'ar• chitettura ed il disegno industriale, clÙ l'arte astratta doveva integrarsi; Ma Sedlmayr non giunge a discutere la crisi che
oggi vede il quasi disperato recupero dell'oggetto architet tonico tramite la sua sottrazione ad una univoca dimensione economica e funzionale. Del resto, anche parlando del Movi mento Moderno in architettura Sedlrnayr rinuncia ad un più approfondito esame delle contraddizioni e di quegli stessi esempi, le opere appunto, cui il suo metodo di indagine sempre si richiama, per relegarne l'insieme troppo poco di scusso e tutt'altro che unitario nella « oggettività » hegeliana. Già Croce indicava come un paradosso della filosofia hege liana la morte destinata a risolvere l'antinomia verità non verità dell'arte 29• E Adorno, pur riconoscendo che la pro spettiva hegeliana di una possibile morte dell'arte è frutto di un processo, negava che Hegel avrebbe mai risolto il suo contenuto nella vita o nella morte dell'arte. Per Adorno l'arte può viceversa trovare il proprio contenuto nella sua stessa transitorietà JO. Di fronte alle polemiche che oggi tornano a divampare sulla sorte dell'arte può essere dunque utile ricordare che lo stesso Sedlmayr, replicando ai suoi critici, negava di aver mai affermato che tutta l'arte moderna non fosse arte 31: la sua lotta era piuttosto contro la « supremazia dello spirito inorganico e dell'estetismo», riaffermando con ciò una con cezione tutta metafisica dell'eternità dell'arte. A questa con cezione fondamentale Sedlmayr lega anche il suo ultimo aggiornamento critico nel citato capitolo Arte, non-arte, an tiarte che conclude il suo Arte e verità ricollocando nel passato l'arte per quanto riguarda la sua definizione più alta ed introducendo il concetto, nuovo per la sua costruzione critica, dell'arte come linguaggio. Vi torna la distinzione tra i due concomitanti momenti dell'arte moderna, e l'oggettività pro saica ,. propria soprattutto dell'architettura e la e soggettività fantastica » delle altre arti contro cui si era già pronunciato, ma anche l'affermazione che senza dimensione semantica e simbolica non esiste arte, e architettura, in senso pieno. L'opera d'arte viene come si è detto distinta dall'oggetto estetico, cui tante opere contemporanee vanno assimilate, per incapacità di «rendimento,. spirituale e di stabilire il e giusto• punto di vista da cui essere interpretate. Ma l'oggetto estetico 17
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per Sedlmayr non comunica: « se a un'opera si toglie ciò che non si percepisce solo con i sensi, le si toglie il carattere di linguaggio». L'esperienza estetica come riduzione dell'atto artistico si accontenterebbe ingiustamente dell'oggetto este tico minimale, secondo il metodo della riduzione: valga per la pittura l'esempio di Malevic e per l'architettura la sua stessa definizione come neue Sachlichkeit (nuova oggettività), che purtroppo Sedlmayr non indaga con almeno pari ricchezza di esempi architettonici concreti. Questo prendere alla lettera i manifesti delle avanguardie permette a Sedlmayr di definire ancora più negativamente ciò che va sotto il nome di anti-arte a partire dal Dada e dal Surrealismo. Il fine dell'anti-arte è dichiaratamente rinuncia al significato ed alla comunicazione: ci si troverebbe questa volta per lui non solo di fronte alla riduzione, ma alla vera e propria distruzione dell'arte, ad una anti-arte posta in paral lelo alla marxiana anti-natura. Ma lo scarto tra i temi delle avanguardie e le forme è al contrario di per sè significativo dello scarto tra quelle ideo logie e la traduzione in tecniche delle stesse prime aspira zioni 32• La rinuncia alla comunicazione è una rinuncia a comunicare con la società del mercato ed a prestarsi alla commercializzazione dell'arte. Non è poi vero che per Sedl mayr nel silenzio le forme, le opere, sanno parlare? L'archi tettura funzionale trova il proprio linguaggio e la propria comunicazione laddove, al di là dei suoi stessi programmi, riveli le sue stesse scelte funzionali come specifico contenuto espressivo. Non è possibile, come propone Sedlmayr, acco stare il positivismo di Comte alla storia dell'architettura di Giedion senza riflettere alle più vaste contraddizioni di quei programmi. Gli anti-artisti sono piuttosto rientrati nella lo gica del mercato non appena hanno firmato le loro opere come artisti. La crisi introdotta dal mercato è invece per Sedlmayr tutt'uno con la crisi insita nelle scelte iniziali dell'arte mo derna. Ciò anche se cita molto opportunamente il parere ne gativo di Duchamp a proposito del neo-dada, ma resta anche in silenzio sulla fuga di Duchamp nell'inconscio, o sulla
profonda differenza che separa Dada e pop art, in un caso negazione e nell'altro riproposizione in valore degli oggetti di un mondo in degrado grazie all'atto della scelta da parte dell'artista. Se resta comunque indubbio che la crisi del l'arte si alimenti della mescolanza dei generi e della rinuncia al « codice multiplo » di comunicazione 33 , una distinzione così netta in Sedlmayr tra opera d'arte e oggetto estetico con tinua a fondarsi su quello che egli dichiara essere il centro dell'opera d'arte, il contenuto trascendente dell'unica religio sità possibile. Ciò definisce con precisione la sua posizione critica all'interno della critica dissenziente 34 nei confronti dell'arte moderna, sia nell'ambito delle discipline storiche che delle altre discipline, comprese quelle antropologiche (cfr. la critica all'arte moderna di C. Lévi-Strauss, Le regard éloigné, 1983). Si tratta di un contributo di chiarezza e strenua ricerca di coerenza che merita di essere conosciuto sino in fondo e giudicato nelle sue premesse oltre che nelle sue conclusioni, prima ancora di essere messo a confronto con i motivi di critica e polemica che abbiamo proposto in questa breve sintesi del suo lavoro. L'identificazione del primo momento di crisi, che intorno al 1760 anticipa e seleziona i motivi della morte dell'arte e dell'architettura da lui preconizzata, cosi come la ricchezza delle indicazioni di metodo portate a convergere nella sua proposta critica, restano un contributo indispensabile a com prendere le premesse ed i possibili sviluppi di quella Scuola di Vienna che egli conclude emettendo un giudizio negativo ed esistenziale sui destini e sul presente dell'arte. Un giu dizio che trova nette antitesi nelle stesse conclusioni di altri storici allontanatisi da Vienna pur essendovisi formati negli stessi suoi anni e che oggi dovremmo più profondamente discutere e superare escludendo la possibilità di un ritorno a passate ed immobili condanne.
1 A. RIEGL, Gesammelte Aufsiitze, Augsburg-Wien 1929, Vorwort di K. M. Swoboda, Einleitung di H. Sedlmayr, pp. XI-XXXIV. 2 H. SEDLMAYR, Arte e verità, Milano 1984 (l' ed. ltzelsberg 1978).
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3 R. BIANCHI BANDINELLI, Organicità e astrazione, Milano 1956, p. 15. 4 G. LUKACS, Estetica, Torino 1970, II, p. 1227. S J. SCHLOSSER, La Storia dell'Arte, Bari 1936, p. 147. 6 J. SCHLOSSER, ibid., e Io., La Letteratura Artistica, Firenze 19643, p. IX (1• ed., Wien 1924). 7 H. SEOLMAYR, Die Architektur Borrominis, Milnchen 19392, p. XXIX. a E. H. GoMBRICH, Arte e illusione, Torino 19622, p. 23 (l' ed., Wash ington 1959), e lo., Prefazione all'ed. it. di E. KRis, Ricerche psicanali tiche sull'arte, Torino 1967, pp. XIII-XXVIII. 9 R. BIANCHI BANDINELLI, Introduzione all'archeologia, Roma-Bari 1976, p. 136. 10 G. v. KAsCHNITZ-WEINBERG, Struttura, Ricerca di, in Enciclopedia dell'arte antica, Roma 1966, vol. VII, a.v. 11 A. HAusER, Le teorie dell'arte, Torino 1969, pp. 214 ss. (1• ed., Milnchen 1958). u J. SCHLOSSER, La Storia, cit., p. 146. 13 J. ScHl.OSSER, Xenia, Bari 1938. 14 A. BoNITO OUVA, L'ideologia del traditore, Milano 1976. lS H. SEOLMAYR, La perdita del centro, Bologna 1967 (l• ed., Salzburg 1948), e Io., Arte e verità, cit., p. 134. 16 J. SCHl.OSSER, La Storia, cit., p. 156. 11 J. LE GoFF, Documento/monumento, in Enciclopedia, Torino 1978, voi. V, a.v. 11 H. SEOLMAYR, Johann Bernhard Fischer von Erlach, Wien-Milnchen 1956, pp. 71 ss. 19 R. ARNHEIM, The Dynamics of architectural Form, Berkeley-Los Angeles-London 1977. Interessante anche un confronto con il titolo del l'ultima opera di Arnheim tradotta in italiano, Il potere del centro, Torino 1984. 2D F. P. FIORE, recensione a R. ARNHEIM, The Dynamics, cit., in e Ricerche di Storia dell'Arte•• 7, 1979, pp. 106-10. 21 L. DITIMAN, Stil, Symbol, Struktur, Milnchen, 1967, pp. 184 ss. 22 Ivi, p. 186. 23 H. SEDLMAYR, Arte e verità, cit., al cap. X, L'interpretazione delle opere d'arte figurativa, p. 271. 24 G. VATIIMO, Al di là del soggetto. Nietzsche, Heidegger e l'ermeneu tica, Milano 1984, p. 81. 25 H. SEOLMAYR, Arte e verità, cit., al cap. Xl, Arte, non arte, anti arte, p. 305. 26 DIONIGI AREOPAGITA, Tutte le opere, Milano 1981, che pure afferma, p. 83: e il modo della manifestazione sacra è duplice. L'uno procede, com'è evidente, attraverso le sacre immagini adeguate al loro oggetto, l'altro invece si viene foggiando attraverso figurazioni dissimili condu centi verso un aspetto assolutamente dissimile e lontano ». 27 G. C. ARGAN, Arte e critica d'arte, Roma-Bari 1984, p. 68. Cfr., dello stesso A., Poche storie, l'arte è morta, in «L'Espresso•, 7/11/1982, e il fondamentale Progetto e destino, Milano 1965. 28 M. TAFURI, La sfera e il labirinto, Torino 1980, ove nell'introdu zione enuncia conclusioni radicalmente opposte a quelle di Sedlmayr. 29 B. CROCE, Aesthetica in nuce, Bari 19646, p. 63. 30 T. W. AooRNo, Teoria estetica, 1-11, Torino 1977, pp. 7, 344 (1• ed., Frankfurt am Mein 1970). 31 H. SEOLMAYR, La rivoluzione dell'arte moderna, Milano 1971, p. 155 (1• ed., Rowolts Deutsche Enzyklopadie 1955). 32 M. TAFURI, op. cit., p. 29. l3 R. DE Fusco, Storia dell'arte contemporanea, Roma-Ba.."i 1983. 34 La critica discorde, in e Op. Cit. •, 4, 1965, pp. 20-43.
Fashion & Design: la cultura- del- successo ANTONIO D'AURIA
I rapporti sempre intercorsi, benché episodici e occa nali, tra design e moda vanno oggi facendosi sempre più fitti e organici al punto che divengono sempre più labili e confusi i confini tra progettisti (architetti e designers) e stilisti (creatori di moda). Analisi approfondite, dibattiti, convegni, pubblicazioni recenti, hanno considerato il feno meno, col risultato, di volta in volta, o di rimpiangere la perduta autonomia e specificità dei rispettivi ruoli - una volta così ben distinti sia sul piano produttivo che cultu• rale - oppure, al contrario, di auspicare una più sollecita e compiuta integrazione fra i due campi. Di certo c'è il rilievo oggettivo che sia il settore del product design, dal l'auto all'arredamento, quanto quello della moda contribui scono a sostenere e a perpetuare la fortuna, in tutto il mondo occidentale, del cosiddetto Italian Style; al punto che un economista come Galbraith, in una recente intervista, ha attribuito allo 'stile', al 'gusto' e al 'design' italiani e « al successo spettacolare di settori come la moda », la crescita - nonostante tutto! - dell'economia italiana in questi ul timi anni 1. Ora, in termini percentuali, la moda risulta il settore trai nante nel campo delle esportazioni raggiungendo, nell'anno appena trascorso, traguardi davvero straordinari quali un vo lume di esportazioni nei primi sei mesi del 1984 superiore a 3.000 miliardi, con incrementi, ci dicono i dati ufficiali, del 21
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20,8% verso la Germania e addirittura del 72,7% verso gli Stati Uniti. Proprio una realtà strutturale siffatta ci induce ad analizzare lo stilismo e i suoi rapporti coi tradizionali domini del design come fenomeni tutt'altro che irrilevanti sul piano del costume e, innanzitutto, sul piano culturale o, più specificamente, nella prospettiva della storia delle forme. In particolare, in questo caso, la consapevole rinuncia a quelle considerazioni moralistiche, che pure varrebbe la pena di formulare, si rivela utile per analizzare con la necessaria freddezza storicistica le ragioni della sempre più massiccia convergenza del design verso lo stilismo e le sue strategie produttive e progettuali, e, simmetricamente, della moda verso i campi di applicazione del design nonché la vera o presunta scientificità di approccio al progetto, propria del design. La prima considerazione da fare è che il novero delle escursioni dei designers nel campo del Fashion Design risulta limitato, benché assai significativo, rispetto al parallelo mas siccio intervento degli stilisti nel campo opposto. Inoltre, il mondo produttivo degli oggetti, in particolare il settore del l'arredamento, scosso in una sindrome schizofrenica - come vedremo - fra autorità della tradizione e sogni liberatori, si rivolge al mondo della moda per imitarne le procedure commerciali tra le quali sono risultate determinanti, com'è a tutti evidente, la cultura-del-successo, basata sull'immagine e sulla griffe, nonché l'agilità produttiva e distributiva. Va rilevato che la cultura-del-successo, su cui ci soffermeremo nel corso di queste pagine, non è stata prerogativa peculiare dello stilismo ma anzi era stata inaugurata dal design, set tore in cui, com'è ben noto, la firma sia del progettista che del produttore hanno costituito il principale supporto del pregio e del prezzo dell'oggetto agli occhi dell'utente. Ma mentre questa procedura era limitata e programmaticamente circoscritta ad una élite, attraverso un complesso mecca nismo di identificazione tra oggetto e fruitore - mecca nismo peraltro tante volte investigato da storici e sociologi del design - al contrario, all'interno della variegata sfera di interessi dello stilismo, questa prassi si è generalizzata;
nel senso che la firma prestigiosa, Valentino o Versace, Ar mani o Krizia, è apposta su tante categorie merceologiche di prodotti, dalla forcina per capelli alla pelliccia al mobile, da poter essere 'acquistata' in ogni momento e da tutti. Va, infine, sottolineato, a mo' di anticipazione delle conclusioni di queste nostre riflessioni, che i rapporti fra design e stilismo e fra i rispettivi campi di intervento tradizionale risultano oggi non solo molto intricati, ma in continua e veloce evolu zione, al punto che risulta non solo disagevole ma senz'altro azzardato avanzare previsioni sull'evoluzione del fenomeno e cercare di prefigurare il ruolo di un futuro, ipotetico progettista-stilista-designer degli anni Novanta. Dobbiamo li mitarci al rilievo delle tendenze in atto, cercando, per il mo mento, di individuarne le matrici recenti e remote, trala sciando provvisoriamente una investigazione sui « destini » del design come pure sulle future possibili responsabilità cul turali e quindi politiche del « progetto ». Tanto più che le due contrapposte immagini del futuro, ossia un « medioevo prossimo venturo » o un « secondo rinascimento », rappre sentano scenari che ormai sembrano poter paradossalmente coesistere. L'intersezione tra il dominio del design e quello della moda tradizionalmente intesi risale, lo sappiamo, al momento stesso della fondazione del design come disciplina progettuale autonoma e compiuta, nonché addirittura egemone, « da Morris al Bauhaus ». Sicché questa irruzione, in questi ultimi anni, della moda nel campo del product-design costituisce un ribaltamento di posizioni tradizionali e, insieme, in qualche modo, il compimento di un ciclo, che sembra sancire la fine della cultura inaugurata, tra Otto e Novecento, dalla seconda rivoluzione industriale. Se è vero, infatti, che ad ogni oggetto realmente prodotto, e quindi entrato nel processo storico, così come ad ogni parola enunciata, è sottesa una tensione comunicativa e persuasiva nei confronti del pub blico, si potrebbe dire che la mutazione in atto nel design e l'egemonia contemporaneamente conquistata dallo stilismo comporti il passaggio da una retorica della metafora - in virtù della quale l'oggetto alludeva ad una globale visione
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del mondo - verso una retorica della metonimia - dove il fruitore è il destinatario di forme frammentarie, parti non già di un universo ideologico ma di macroscopici imperi commerciali. Non a caso, in questo vero e proprio slittamento di faglie culturali, è stata messa a soqquadro la stessa ge rarchia delle cose, attraverso il predominio della categoria dell'accessorio e della sua funzione centrifuga nel sistema uomo, rispetto a quanto era o si presentava stabile, duraturo, centrale, non intercambiabile. Com'è noto, a partire dall'Art Nouveau furono architetti e designers a interessarsi della moda come ambito proget tuale perfettamente compatibile con la loro specificità disci plinare. Da Hoffmann a Van de Velde, da Moser a Behrens, da Riemerschmid a Wright 2, l'interesse per i problemi del l'abbigliamento si inserisse nella diffusa esigenza di proget tazione dell'intero mondo costruito che coniugasse l'istanza del Gesamtkunstwerk con quella di una «arte-per-tutti». L'in treccio fu assai fitto anche tra avanguardie storiche e moda: basti ricordare gli interventi di Balla, di Sonia Delaunay, di Schlemmer, degli strutturalisti russi come la Lamanova e la Popova, tanto per fare dei nomi. Nel periodo della cosiddetta Art Déco vediamo numerosi artisti e designers occuparsi di moda, da Leon Bakst a Iribe, da Raoul Dufy a Lepape. Né, sul versante opposto, vanno trascurati personaggi come For tuny o Paul Poiret, interamente coinvolti nella raffinata cul tura del loro tempo, tanto da coniugare ad un livello altis simo scenografia, pittura e moda o, persino, genio sartoriale e design 3• Non è questa la sede per esaminare in dettaglio i contri buti e le relative differenze dell'approccio del design alla moda (e viceversa) di, poniamo, Wimmer e la Wiener Werk stiitte, della Maison Martine di Poiret o del Bauhaus. Limi tiamoci, da un lato, a constatare che è completamente mutato l'orizzonte culturale del design, ormai demitizzato. e devita lizzato, non più latore di una ideologia e di una visione del mondo, tanto meno capace, come disciplina, di una «proget tualità globale». A questa perdita dell'aura del design corrisponde, simmetricamente, una caduta di pregiudizi nei-con-
del design, distinte e contrapposte, ossia da una parte gli architetti e i designers cultori della castità della forma e dall'altra gli 'artisti decoratori e sensuali', vale a dire: da una parte, per dirla con Mendini, i « Maestri » (i Castigliani, gli Zanuso, i Magistretti, eccetera) e dall'altra i « Contro maestri » (i Sottsass, i Pesce, i Branzi, eccetera) 9, oggi, a circa cinque anni di distanza, è significativa, semmai, la difficoltà oggettiva di operare distinzioni teoriche che non siano basate esclusivamente sugli esiti formali di volta in volta raggiunti, ma fondate sulle strategie intellettuali sot tese al progetto, sulla globale filosofia produttiva. Vien fatto così di notare, con facile riflessione, che la progressiva invo luzione della Cute Form ormai ridotta a maniera risulta simmetrica e convergente alle magnifiche sorti del neo-design, convertitosi assai in fretta in una prevedibile e codificata controretorica. In questa prospettiva, lo spossessamento da gli oggetti, congegnati e prodotti per un uso di durata limi tata - fenomeno antico che ha connotato sempre più marca tamente la civiltà dei consumi - si è accentuato. Un epider mico décor di ritorno, talora come volgarizzazione patinata di teorie elaborate dall'alta cultura, ha dominato la più re cente produzione, alternando tuttavia fogge e modi, combi nazioni di colore e monocromia, finiture lucide e opache, se condo modalità e ritmi che il moralista non esiterebbe a defi nire patologici. Secondo un itinerario analogo, sebbene deter minato da ragioni produttive meno misteriose, nel campo dei prodotti ad alta tecnologia, come telefonia, Hi-Fi e com puter, l'aggiornamento del Firmware, evolutosi a ritmi acce leratissimi, ha reso vecchi dopo alcuni mesi, se non addirit tura settimane, modelli da poco immessi sul mercato. Ed ecco, dunque, ·che termini come 'effimero', 'precario', 'provvi sorio' e addirittura 'stagionale', una volta propri della moda divengono correntemente applicabili al design. Dagli anni Sessanta ad oggi, secondo una scansione la cui velocità è direttamente proporzionale al censo del fruitore, l'intérieur si è trasformato in puro esterno, luogo di attraversamento di un flusso inarrestabile di oggetti che per statuto non sop 26 portavano le stratificazioni del tempo. Parallelamente, se-
condo un processo eguale e contrario, vale a dire fortemente determinato dall'elemento connotativo e mitologico, la ri cerca di «valori» permanenti o quantomeno più duraturi, da affidare agli oggetti, ha spinto una parte del pubblico a privilegiare il «modernariato», cioè i prodotti di un pas sato per così dire 'debole', di un passato recente ma pur sempre atteggiabile a passato; oppure alla riproduzione di oggetti del Movimento Moderno, il quale paradossalmente ha assunto, in questo contesto, quella attribuzione di «clas sicità» che esso intese sovvertire. Il forzato, continuo aggiornamento dei modelli, l'inclina zione sempre più marcata del Good Design verso lo Styling, hanno dato spazio all'altro-design. Il primo ha cercato di adeguarsi attraverso la parziale cooptazione del secondo o attraverso l'imitazione delle sue procedure ornamentali, per sostenere i livelli produttivi e conservare le quote di mercato raggiunte. Questo tentativo ha fatto ancor più scadere il li vello medio del design tradizionale, non riuscendo a scuo terne il torpore inventivo. Finanche nei progetti improntati ad una sofisticata quanto esibita scientificità, come ad esempio, le sedie «Vertebra» di Arnbasz e Piretti o la poltrona «Antropovarius» di Porche, la tecnologia assume una vera e propria funzione esornativa, diviene spettacolarità - se condo un tragitto speculare sapientemente saggiato da stilisti come Versace, inventore di una maglia metallica perfetta mente vestibile, un originale non-tessuto ad alto contenuto tecnologico, accolto, non a caso, nella sezione Moda del M.0.M.A. Attraverso tali vie, ·il Good Design si è trasformato in Fanny Design. D'altra parte, al piatto diagramma offerto dal design tradizionale contemporaneo, ha corrisposto l'inge gnosità coniugata all'azzardo teorico del neo-design, la sua programmatica indisciplina lessicale - ma è un troppo facile programma - giustificata dalla ricerca, più che dell'ever sione, di una surprise ognora da rinnovare. La conseguenza immediatamente percepibile è che spesso è dato di assistere alla nascita di oggetti il più delle volte 'sbagliati', realizzati solo per accentuare la linea estetica e l'Idea formale della
nuova collezione di mobili esibita al salone di turno 10• Come
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per li mondo della moda - ha notato La Pietra - sono im portanti i modelli per cosl dire 'fuoriserie' fatti per sotto lineare le nuove idee dello stlllsta: cosl ormai da tempo avviene la stessa cosa nel settore del design. E come per la moda, la 'messa in scena', cioè la presentazione della colle zione, è un momento estremamente carico di creatività e ritualità, cosl appare sempre più crescere nel mondo del design questa fase di comunicazione del prodotto 11• Questo meccanismo fondato sulla persuasione immediata e spetta colare del pubblico, assorbe la maggior parte degli sforzi delle aziende, a scapito della progettazione e della stessa produzione. Il design contemporaneo sembra dunque relegato nei ter mini di una progettualità limitata e a-ideologica; nei suoi oggetti più recenti è riscontrabile, come ha notato recente mente Zevi commentando gli esiti dell'ultimo concorso« Com passo d'oro», una diffusa mancanza di originalità 12• A scor rere le rassegne della produzione degli ultimi anni, non si può non rilevare che crescono l'appiattimento e la spersona lizzazione e al contempo si diffonde uno stato di frustrazione e di. pessimismo rassegnato 13, mentre si perpetua la schizo frenia del designer « fra crisi di coscienza e vanità ,. 14• Si è passati, in un tempo relativamente breve, dal Nutzstil wagne riano e· muthesiano all'oggetto friendly, ammiccante e addo mesticato, neutrale e . inoperante sul piano del linguaggio, ora colorato, ora 'grigio', ora con decori grafici. Si può dire che il mero positivismo della produttività abbia soppiantato del tutto il positivismo del progetto. All'oggetto logico e pedagogico è stato sostituito l'oggetto persuasivo; alla so stanza è subentrata l'immagine. Per usare una terminologia propria del « dominio retorico», entro il quale sia il design che la moda occupano oggi un posto privilegiato 15, dob biamo tra l'altro constatare il passaggio dal docere, sia pure problematico, dei Maestri al movere dei produttori. In questa prospettiva, è opportuno rilevare che il neo-design non si configura in modo alternativo al good-design corrente: il suo polo polemico è invece, stranamente, un .design ormai scomparso. L'irrazionalismo di Memphis, ad esempio, si con-
trappone al design pre-sessantottesco, secondo un processo fantasmatico e del tutto sovra-strutturale,- perché quel design (bauhausiano e ulmiano), coi suoi modi e rapporti di produ zione, è da tempo, appunto, scomparso. Sempre considerando il design come sistema retorico, dobbiamo notare che al logos, l'appello alla ragione dei mae stri del design, i progettisti contemporanei sostituiscono il pathos, cioè la valenza emotiva - talora attribuendo corpo alle ombre rispetto alle quali essi inventano la propria differenza - e poi (astutamente o loro malgrado) l'ethos, ossia l'accreditamento dell'immagine del progettista legata alla trasgressività dei suoi disegni e, simmetricamente, la promozione commerciale degli oggetti attraverso il fascino esercitato dal loro ideatore e dalla sua 'personalità' 16• Que st'ultimo procedimento, come abbiamo già accennato, costi tuisce proprio quella strategia, la cultura-del-successo, messa con profitto in atto dal mondo della moda. Il designer e lo stilista agiscono come, nel corso della storia, ha fatto l'ar tista; quest'ultimo, ha scritto Hauser, tende al successo per assicurarsi i mezzi di sostentamento, la sua indipendenza materiale, onore e influenza. Molte prestazioni apparente mente disinteressate spesso sono soltanto mezzi per questo fine. In particolare i mezzi per apparire nuovo ed originale servono più spesso allo scopo di farsi valere, di assestarsi accanto ad altri e di hmalzarsi al di sopra di altri che non al desiderio di esprimere la propria natura e comunicarsi. Un individualismo esagerato è manifestamente un sintomo dell'acuirsi della concorrenza ed un mezzo per attirare su di sé l'attenzione del pubblico. [ ... ] Una qualità quanto mai strana, eccentrica, ancora mai esistita, diventa la carta vin cente nel gioco d'azzardo per il successo, lo specchietto per il pubblico e il mezzo di seduzione dell'artista, che minac ciato dal pericolo dell'inefficacia si vende ad ogni prezzo 17• L'intreccio tra-design e stilismo appare -ancor più evidente se si considera la loro comune strategia per la ricerca del consenso (e del successo, appunto) attraverso i mass media. In particolare è interessante· rilevare, per quel che riguarda la moda, come questa sia divenuta sempre più un argomento 29
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privilegiato dai giornali, dalle riviste e dai periodici televisivi. La moda è stata assente su stampa non specializzata e tele visione fino a pochi anni fa, salvo qualche accenno crona chistico in occasione di importanti sfilate come quella fiorenti na di Palazzo Pitti. Il primo inserto-moda esce su « Il giorno » nel 1960 e poi, via via, quotidiani e periodici accolgono co lonnini, articoli, rubriche specializzate con appositi redattori. Questa crescita d'interesse non è certo casuale. Questo im provviso aprire gli occhi e gli spazi dei giornali - si legge su una rivista di moda - è stato, seppure con un certo ri tardo, parallelo al crescere della moda italiana come realtà di costume, di mercato, di grossi attivi in una scalcagnata bilancia dei pagamenti. Il fiuto giornalistico è stato alimen tato dalla pioggia di pubblicità. [ ...] Occuparsi di moda [ ...] è diventato anche un affare per la stampa. Da qui una corsa frenetica alla moda, a parlare di stile, di look, di fashion. Da qui, un affannoso montare la panna del già edito, del personaggio già scavato, mille e mille volte intervistato, mille e mille volte descritto al lavoro nel suo atélier, nel tempo libero, nel privato. Anche l'ultimo del giornali di provincia ha li suo inviato al Modit, li suo elzevirista al Pitti o sotto le pedane di Valentino 11_ A questa moda della moda, per cui, tra l'altro, « si fanno carte false per un posto alle sfilate come per un risotto in piedi », corrisponde, in perfetta coincidenza, la moda del design, che registra autentiche folle in occasione di manife stazioni organizzate da Memphis o dal Centro Domus, dove, nel settembre scorso, si sono fatte carte false per un ... sor betto all'amarena! Anche il design ha registrato in questi anni, sulle riviste non specializzate, un autentico boom. � da dire che da sempre i periodici, specie quelli femminili, dedicano al design, in particolare quello riguardante l'arre damento, rubriche e reportages. Tuttavia quello che una volta si configurava come 'servizio' per il lettore, per aiutarlo a scegliere e disporre gli oggetti del suo arredamento, oggi si è esteso sino a trattare il design come notizia-in-sé, come fenomeno di costume, come fatto economico o come contributore essenziale del tanto celebrato Italian Look. Intanto,
l'Italia detiene probabilmente il singolare primato di riviste più o meno specializzate che si occupano di arredamento, di bricolage e, appunto, di design. L'Italian Look di cui si parla - leggiamo ancora su una rivista di moda - non è certo definibile con precisione ma Insegue e rappresenta una certa utopia esistenziale, una vi sione ottimistica, democratica, vagamente anarchica, sgan ciata dagli istituti tradizionali ma neanche troppo legata a previsioni tecnologiche future, un'utopia che prevede l'av vento di una piccola e media borghesia illuminata, Intellettua lizzata, curiosa e Internazionalista 19• L'Italian Look, la Linea Italiana, sono un sistema estetico e comportamentale insieme, interclassista e cosmopolita, tecnologico e formale, che ha prodotto il dodici metri « Azzurra » e il maccherone « Marilla • con la stessa disinvolta perizia, gli abiti d'alta moda di Va lentino e le borse di Gabrielli; che annovera i Gucci e le Fendi; che può vantare tra i suoi numi i Castiglioni e i Bellini; che ha espresso i Pesce e i Deganello; che comprende insomma, in un complesso sistema, progettisti e esperti della comunicazione, designers e stilisti, artigiani e industriali, aziende familiari e grandi industrie, Ferrari e Olivetti, ma soprattutto prodotti - ma sarebbe meglio dire: immagini di prodotto - alla moda. Un oggetto - si legge nella Enci clopedia Einaudi alla voce Moda -, per venire considerato 'di moda', deve essere ritenuto una caratteristica del mo mento attuale 20• e difficile attribuire ad uno o all'altro set tore produttivo il merito maggiore della fortuna dello stile italiano e del fatto che il prodotto italiano sia 'di moda', ma è certo che un settore in particolare è molto sensibile nell'interpretare le esigenze del grande pubblico, le sue aspi razioni, i suoi gusti; e questo settore è quello degli stilisti, i più attenti dunque allo Zeitgeist. L'importanza del feno meno, senz'altro assai grande sul piano economico, comporta altrettanta rilevanza sul piano culturale e sociologico; ed è stata opportunamente sottolineata da numerose iniziative, dalla pubblicistica alle mostre, fino a portare la moda nel museo e nelle gallerie d'arte 21• Guido Vergani, nell'ambito di un'inchiesta giornalistica sulle prospettive del 1985, par- 31
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lando dello stilista Ferré, già al lavoro per la collezione in verno '85-86, rivela che un progettista di moda deve allungare lo sguardo sul nostro futuro al di là dell'uomo che sta per nascere. Basandosi su una realtà in movimento, su bi sogni, atteggiamenti, abitudini in continuo divenire, deve in tuire, annusare, tentare di capire non cosa c'è dietro l'an golo, ma quel che avverrà, nel rapporto tra la gente e la moda, fra la società e lo stile, a molti isolati di distanza, dietro molti e lontani angoli. È questa la condanna, è questo l'imperativo categorico del mestiere di stilista, di designer della moda 22• Il successo - dichiara da parte sua Ferré dipende dalla capacità di dare risposte serie alle reali esi genze, alle necessità di un consumo che, intanto, mentre noi disegniamo e drappeggiamo stoffe su un manichino, va avanti, si ferma, indietreggia, riparte in avanti, devia, si rimette in carreggiata 23• Certo, non si tratta di una visione idealistica dello Zeit geist, improntata com'è ad un sano realismo da capitano d'industria; la dichiarazione di Ferré piuttosto ci fa venire, addirittura, in mente il pragmatismo di Muthesius, assai attento - com'è noto - alle ragioni della produzione quanto a quelle della qualità, e artefice e protagonista di una stagione straordinaria per l'industria tedesca (i primi anni del Deutsche Werkbund), nonché tra i fondatori dell'industrial design 24• Negli anni che ci aspettano, scrive ancora Vergani, la ten• denza ali' 'individualismo di massa' ( così lo definiscono i sociologi) andrà accentuandosi. Questo non solo nei bisogni di guardaroba, nella moda, ma in tutti i campi in cui il consumo diventa espressione del costume, del modo di vi vere 25• Cerco di interpretare il mio tempo, ribadisce Ferré, il più consapevole e il più attrezzato fra gli stilisti nel fornire una risposta adeguata all'incessante movimento verso la dif. ferenziazione, all'individualismo di massa 26• Il mercato - gli fa eco Trussardi - è al tempo stesso un fattore subito e in dotto. Bisogna capire al volo quello che richiede, ma anche riuscire a fargli accettare le nuove proposte li_ A q�esta esi bita concretezza si contrappone, sul versante del design, l'atteggiamento paradossalmente escatologico di Mendini, men-
tore di un design ormai solo marginalmente interessato, a suo dire, dalla polemica tra razionalità e fantasia ormai risolta a favore di quest'ultima 28• Mendini argomenta infatti che un progetto è un avvenimento provvisorio, una 'nebulosa infor male' sempre meno legata alla statica freddezza del reale e dell'autentico, sempre più legata alle vibrazioni dell'appa• rente e dell'ignoto dove prevale la labilità della vita sulla compiutezza della morte, la 'moda', il disegno amoroso sul disegno funzionale. Occorre, tramite 'l'orientamento', far pre valere una creatività diffusa, una pseudo-avanguardia di mas sa. La labilità del progetto e il prevalere dell'ornamento sulla progettazione contengono l'ipotesi di .un 'nuovo umanesimo informatico e artigianale', dove il nuovo designer potrebbe essere 'specializzato in dilettantismo' 29 • � abbastanza singolare, a nostro avviso, che il design inclini verso l'effimero e le sue leggi, ossia verso lo stilismo e le sue caratteristiche produttive e progettuali più di quanto la moda non faccia verso il design. Mentre il design guarda alla moda come modello strategico, nonché come ultima possi• bilità di sopravvivenza, Io stilismo, dal canto suo, mira al design più che altro per operare una mera appropriazione · di momenti produttivi: gli stilisti, consci del loro potere eco nomico, mitizzati dai mass media, mirano infatti a uscire dal regno dell'effimero per fregiarsi dell'appellativo di 'de signer' 30• Il design ritiene di aver molto da imparare dalla moda perché, come ha detto Branzi, essa è un settore della progettazione metropolitana, fa parte del nostro panorama linguistico e comportamentale. La moda è esemplificativa dell'organizzazione post-industriale della società in cui vi• viamo, perché usa i processi produttivi per seguire i cambia menti sociali. In questo senso rappresenta un settore pn> duttivo più moderno di altri legati maggiormente al design 31• Ferré, che tra l'altro è docente alla Domus Academy, una scuola di istruzione post-universitaria diretta da Branzi, non vede antitesi tra design e moda, ma addirittura, secondo lui creare un abito supera in certo modo il design di un oggetto; l'abito è capace di comunicare con l'utente; tra vestito e chi lo indossa avviene uno scambio di valori, è questo scambio 33
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che gli dà un'anima che l'oggetto non ha, perché non subisce mai un processo di identificazione totale 32• Del resto, secondo quanto afferma Mendini, un vestito costituisce la forma più essenziale di arredamento. Che differenza c'è tra me nei rap porti con la mia giacca e me nei rapporti con la mia stanza? -. si chiede il critico milanese - C'è solo una differenza di distanza. Infatti entrambi sono, per me uomo, degli 'abita coli' più o meno vicini al mio corpo. Tra me e la giacca non c'è spaziò, la stanza è invece un vestito dilatato 13• li1 questa prospettiva, come si potrebbe negare che i creatori di moda, artefici di un Total Look, dall'abito al l'accessorio, dall'oggetto da tasca all'attrezzatura da viag gio; dalla stoviglia alla piastrella, dalla tappezzeria al mo bilio 34, sono oggi più fecondi e certo più coerenti di tanti designers e contro-designers, i quali tentano nei modi più di sparati di rendere organico e produttivo il loro reale disorien tamento? Gli stilisti, infatti, che consentono ai loro clienti di vestirsi (e di abitare) « come vorrebbero essere», sanno per·vocazione e per mestiere coniugare antropometria e antro pologia, progetto élitario (Alta Moda) e grande numero (pret à-pòrter), procedure artigianali e industrializzazione avanzata, invenzione continuamente esercitata (una collezione ogni sei · mesi) e rigorosa pianificazione, estro ·e -computer. Intanto, mentre Mendini si domanda se sia ancora utile usare per la progettazione dei prodotti industriali la stessa parola DESIGN, oppure se esso tenda a perpetuare equivoci tardo Industriali e strutture sorpassate e schematiche di rlferi• mento 35, non sono poche le industrie che chiedono sempre più spesso la collaborazione di uno stilista invece che la consulenza di un architetto o di un designer: la scelta di uno stilista - ha dichiarato ad esempio un industriale del mo bile - significa un tentativo di crescita per gradi, la ricerca di uno stile nel rispetto di un pubblico medio-basso, abl ·tuato a standard anonimi, impreparato ad accettare un design di avanguardia. Le grandi aziende non possono permettersi di perdere di vista O mercato, devono seguirlo, non aggre dirlo 36• Ben poco sembra restare, dunque, del ruolo originario
del designer. E. una figura, questa, che si è man mano c·ome rappresa e ridotta, consumata forse da quegli stessi miti, e primo fra tutti quello di una sempre rinnovata creatività, che essa, al suo nascere, elaborò e mise in campo. Questi miti, oggi, risultano accolti e messi a frutto con miglior cattiva coscienza - se ci è lecito il bisticcio - dalla cultura della moda, che li ha composti in un ordinato sistema, cioè l'esatto opposto della « nebulosa informale ,. vagheggiata dalla immaginazione inquieta del design contemporaneo.
I Intervista di P. Mazzanti a J. K. Galbraith, e Il Giornale•• 14 ott. 1984. 2 Cfr., per l'Austria, D. BARONI• A. D'AURIA, Kolo Moser grafico e designer, Mazzotta, Milano 1984, pp. 43-44, per le indicazioni biblio grafiche; per la Germania, cfr. O. BIRKNER, Il nuovo stile di vita, in Werkbund. Germania Austria Svizzera, a c. di L. BURCKHARDT, Edizioni e La Biennale di Venezia•, Venezia 1977, pp. 49-53; per Wright, cfr. D. A. HANKS, The decorative designs of Frank Lloyd Wright, E. P. Dutton, New York 1979, pp. 24-26; cfr. inoltre Richard Riemerschmid vom Jugendstil zum Werkbund, Ausstellungkatalog des Miinchner Stadt museum, Prestel-Verlag, Miinchen 1983, pp. 360 ss. J Poiret, ispirandosi alla Wiener Werkstatte, fondò nel 1911 l'Atelier Martine, « che voleva portare nel campo dell'arredamento gli stessi principi che avevano ispirato la sua azione nel campo della moda•· (G. MASSOBRIO - P. PORTOGHESI, Album degli anni Venti, Ed. Laterza, Roma-Bari 1976, p. 16). Cfr. anche M. BATIERSBY, The Decorative Twent ies, Studio Vista, London 1971, pp. 17 ss. e 84 ss. 4 Cfr. Voce « Moda• di O. BURGELIN, della Enciclopedia. Einaudi, voi. 9, Torino 1980, p. 365. s Ibidem. 6 Cfr. G. D'AMAro, Il design tra « radicale• e « commerciale•• in e Op. cit. • n. 53, gennaio 1982, pp. 17 ss. 7 Intendiamo con questo termine il design comunemente inteso, di derivazione funzionalista, praticato in Italia da Albini a Munari, da Zanuso a Castiglioni, da Giugiaro a Piano. a Questo termine riassume strumentalmente le sin troppo nume rose sigle che designano le elaborazioni della nouvelle vague ispirate e teorizzate da Mendini, Sottsass, Branzi. 9 Cfr. il commento alle intenzioni della mostra e Conseguenze im previste, arte, moda, design• (Prato, -inverno 1982-83) formulate da A. Mendini, cit. in e Domus• n. 637, marzo 1983, p. 52.
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10 U. LA PIETRA, Around the object, « Domus• n. 646, gennaio 1984, p. 46. 11 Ivi, p. 44. 12 B. ZEVI, Design sterilizzato, «L'Espresso• n. 40/XXX, 7/10/1984, p. 119. 1l Dalla relazione della giuria del XIII Compasso d'oro, in « Otta gono• n. 75, dicembre 1984, p. 82. La giuria era composta da Stoppino (pres.), Boeri, Nurmersniemi, Kelley, Zevi. 14 La diagnosi è di L. BERNI, formulata in una recensione alla mostra "Design & design• e all'XI Compasso d'oro, in « Panorama», 12 giugno 1979. 15 Cfr. H. H. J. EHSES, Rhetoric and Design, «Mobilia• n. 322, febb. 1984, pp. 4-6. 16 Cfr. idem; sull'ethos, cfr. CH. PERELMAN. L. O1.DRECHTS-TYTECA, Trattato dell'argomentazione, voi. II, Einaudi, Torino 19823, p. 337. 17 A. HAusER, Sociologia dell'arte, voi. Il (Dialettica del creare e del fruire), Einaudi, Torino 1977, pp. 226-7. 18 G. VERGANI, La moda dilaga nei mass media, "Donna» n. 34, giugno 1983, pp. 33-34. 19 B. RADICE, "Che bello, sembra italiano•• "Donna• n. 27, ott. 1982, p. 418. 2D Op. cit., p. 375. 21 Ricordiamo, tra l'altro, gli articoli di C. M0R0ZZI, Per favore non chiamatemi designer, "Modo• n. 69, maggio 1984, pp. 35-39, e di A. C. OUINTAVALLE, Non è solo questione di moda, e PM• n. 1, nov. 1982, pp. 52-59, nonché il recente volume di S. GIACOMINI, L'Italia della moda, Mazzotta, Milano 1984. Tra le mostre più recenti, segnaliamo quella al P.A.C. di Milano in concomitanza del convegno ICSID, settembre 1983, e e design•, che esponeva gli abiti 'metallici' di Versace; la mostra su e 25 anni di design» dedicata dal Metropolitan Museum di N.Y. a Yves Saint Laurent nel dic. '83-genn. '84; una esposizione dedicata al lavoro di Karl Lagenfeld, nella primavera '84, alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma: una serie, come si vede, di sedi illustri inau gurata dalla Galleria Hayden del prestigiosissimo Massachusetts Insti tute of Technology di Boston per la mostra e Intimate Architecture. Contemporary Cloth Design•, nell'aprile 1982. 22 G. VERGANI, E tutti saranno liberi· di vestire secondo coscienza, "la Repubblica» 30/31 dic. 1984. 23 Ibidem. 24 Ci sia consentito rimandare al nostro Per una lettura delle ideologie del Werkbund, e Parametro» n. 66, maggio 1978, pp. 44-45. 25 G. VERGANI, op. cit. 1.6 Ibidem. ri Cit. in e Donna» n. 27, ott. 1982, p. 145. 28 A. MENDINI, Lettera al giovane designer, « Domus » n. 650, maggio 1984, p. 50. 29 ID., Ogni oggetto è diverso da ogni altro, "Domus• n. 648, marzo 1984, p. 36. 30 c. MoROZZI, op. cit., p. 36. li Cit. in "Donna» n. 34, giugno 1983, p. 43. l2 Cit. in c. M0ROZZI, op. cit., p. 39. ll A. MENDINI, op. cit., p. 34. 34 Per una mappa degli impegni degli stilisti nel campo del product design si rimanda a c. M0ROZZI, op. cit., box a p. 39 e a N. GASPERINI, Oltre il vestito, "Donna» n. 49, dic./genn. 1985, pp. 124 ss. 35 A. MENDINI, Lettera ... , cit., p. 52. 36 Cit. da c. MOR0ZZI, op. cit., p. 38.
Nuovi vecchi "ismi" dell'arte GIUSEPPINA DAL CANTON
11 titolo di questa rassegna allude al fatto che vi saranno esaminate alcune tendenze contemporanee per designare le quali vengono usate espressioni tutt'altro che nuove, all'uopo adattate e modificate (in ciò gli ultimi « ismi » si differen ziano dagli « ismi » precedenti, tutti per lo più di nuovo conio). Alla « vecchiezza » dei termini corrispondono correnti che col passato, remoto o prossimo, hanno a che fare, in quanto nate all'insegna della « ripetizione differente» (per usare una espressione cara a Barilli, ma risalente a Deleuze 1) e ricondu centisi all'idea dell'« arte come storia dell'arte», due nozioni, queste ultime, a loro volta riportabili a quella categoria ge nerale del postmoderno, che, pur essendo ormai inflazionata, è pur sempre utile a raggruppare e ad illustrare una vasta serie di fenomeni di manierismo metastoricamente inteso. Tutti gli « ismi » verranno considerati in maniera ridut tiva, quasi fossero voci o schede per un dizionario enciclo pedico, riferendo direttamente i brani critici e le riflessioni che hanno accompagnato la nascita e l'affermazione delle varie tendenze ed evitando, per quanto possibile, lo schiera mento personale (con la piena coscienza, però, che inevita bilmente il punto di vista di chi scrive finisce per emergere anche dalla semplice scelta dei passi riportati e dall'orche strazione complessiva degli stessi, ogni scelta essendo ideo logicamente determinata ed ogni selezione essendo pur sem37 pre una manipolazione non asettica).
· 1. Citazionismo
«Citazionismo» è un termine molto generico, pratica mente onnicomprensivo, atto ad indicare una tendenza oggi assai diffusa nel campo delle arti visive. Pur essendo venuto in uso di recente, esso è estensibile anche ad ogni momento storico in cui sia apparsa la citazione, cioè il riferimento, più o meno diretto, più o meno esplicito, ad altri testi (nel nostro caso testi visivi) del passato prossimo o remoto, dall'artista ritenuti esemplari o comunque interessanti. Nell'area semantica abbracciata da questa nozione rientra anche quella, più restrittiva, di d'après, cioè di «copia da», di «trascrizione» dei testi altrui. Il ricorso alla citazione - come libera interpretazione e talvolta anche come vero e proprio d'après - caratterizza l'arte degli ultimi venticinque anni, ne diventa quasi un mo tivo conduttore, il quale si fa sempre più insistente nelle cor renti artistiche dell'ultimo decennio. Il « citazionismo», in te·so in senso lato, si configura quindi come una tendenza generale della cultura postmoderna e del clima revivalistico che la contraddistingue. E poiché di tendenza di un'intera cultura si tratta, la coscienza di dover sempre fare i conti con i linguaggi usati da altri non investe il solo campo delle arti visive, ma altri campi, tra i quali, in primis, il campo letterario. Parallelamente, fin dagli anni Sessanta, la critica più avvertita prende atto di questa tendenza, talvolta avan zando ipotesi e previsioni che non tarderanno a verificarsi a distanza di tempo. · Come ha recentemente ricordato Umberto Eco 2, già nel '65, a Palermo, nel corso del convegno che gli scrittori del Grup po 63 dedicarono al problema del romanzo sperimentale, Renato Barilli presentò una relazione di apertura dei lavori 3 nella quale venivano indicate le due linee della narrativa con temporanea, quella dell'« estasi» «materialistica» ed «epi fanica », e quella dell'«azione», ossia quelle due vie dell'aper tura totale alla realtà mondana da un lato, e dell'intreccio, del luogo di manipolazione del già detto, dall'altro, che qual38 che anno più tardi sarebbero state dettagliatamente analiz-
zate e verificate dallo stesso Barilli. in un volume intitolato appunto L'azione e l'estasi (Milano, Feltrinelli, 1967) (le due categorie dell'«azione " e dell' «estasi ,. sono· state estese dallo stesso critico alle arti visive e, secondo ulteriori va rianti, sono state definite anche come «presenza,. e « as senza», «esplosione» e «implosione,. 4). In quella medesima occasione il relatore constatava il prevalere, fino a quel mo mento, della linea dell'«estasi", ma indicava anche il confi-· gurarsi di una situazione nuova, nella quale stava ripren dendo fiato la linea dell'«azione», benché si trattasse di un'«azione autre ,., cioè pienamente consapevole di esser come sfasata rispetto al «romanzo d'avventure,. tradizio nale 5. Inoltre, nell'avvicendarsi, tra la seconda metà degli an ni Sessanta e i primi anni Settanta, di forme «aperte,. e di forme «chiuse », Barilli, oltre a numerosi interventi su pro cessi e atteggiamenti di «estasi», che per un certo periodo ha anche sostenuto, ha prodotto dei consistenti contributi relativi alle ricerche imperniate sull'«azione»: è del '67 la presentazione di una mostra di Edoardo Arroyo come «cita zionista,. critico 6, è del '73 il saggio su De Chirico come «padre ·storico ,. del « recupero del museo" 7 (esattamente dieci anni dopo apparirà. un saggio su Severini come un altro dei «padri storici ,. della «ripetizione differente,. 1), sono del '74 l'organizzazione di una mostra presso lo «Studio Marconi », intitolata, appunto, La ripetizione differente, e lo scritto con lo stesso titolo 9, che dell'atteggiamento «ripeti tivo» esamina il livello iconico (nell'arte Pop ed affini), il li vello concettuale e il livello del comportamento; infine è del '75 la presentazione di una mostra, presso lo «Studio Cannaviello,. di Roma, di quel Carlo Maria Mariani 10, che più volte avremo occasione di menzionare più avanti. Mentre negli anni Settanta le due strade, dell'«esplo sione » e dell'«implosione», apparivano a Barilli come alter native ugualmente proponibili 11, ora la «scommessa critica,. nella quale si è impegnato risulta essere di tipo citazionistico. Ma attenzione, il «citazionismo » sul cui fronte egli si schiera batte sempre l'accento sulla differenza, giacché se l'«anti- '3.9
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tesi,. dell'«implosione», intesa nell'accezione di un'astorica e compiaciuta citazione letterale, aveva senso come reazione alla «tesi,. dell'«esplosione» concettual-comportamentistica, ora invece la « citazione • del passato dovrebbe farsi leggera e ironica, dotata di una propria autonomia, capace di confron tarsi col presente 12• Il clima che caratterizza questa nostra fine-del-secolo, insomma, è di « sintesi • hegellana, o di « ten sione • dinamica fra spinte opposte: un bilanciamento dina mico 13 che si può riassumere nel concetto di plateau nel senso di Gille Deleuze 14• Ecco perché Barilli sostiene artisti come Salvo e Ontani, che creano un mondo figurativo [ ... ] pieno di ammiccamenti al passato, ma anche autonomo e personale 15, e i «Nuovi-nuovi», che derivano dal ceppo di Salvo e Ontani. Si tratta di pittori riconducibili sia al filone figurativo che al filone astratto e decorativo, i quali, anziché citare in modo pedantesco, ostentano pregi di disinvoltura e di accelerazione, consoni alla nostra attuale temperie post moderna, e nei quali il disegno o la traccia manuale sono leggeri, eleganti, stilizzati, cosi da mantenere un ideale rac cordo con l'Immagine elettronica 16• Per la stessa ragione Barilli guarda con simpatia anche alla cosiddetta pattern painting statunitense, che cita i mo delli decorativi di un passato prossimo su scala macroscopica di esasperazione quantitativa 17, e al «graffitismo », che tiene in UD giusto bilanciamento sia la corsa verso il ricupero di patrimoni ancestrali, arcaici, sia l'ipoteca verso UD futuro da scenario fantascientifico, da guerre stellari, da catastrofi nucleari 11• Ripetizione e modifica ( didattica dell'immortalità) è il titolo di un intervento che Maurizio Calvesi lesse il 18 mar zo 1972 agli « Incontri internazionali d'arte» di Roma nel l'ambito della manifestazione «Critica in atto» e poi pubbli cato nel '73 nella raccolta degli atti 19• In quell'occasione Calvesi esaminava il rapporto fra Cara vaggio e due artisti dell'area concettual-comportamentistica, Gino De Dominicis e Vettor Pisani, fra i problemi della mor te, dell'immortalità e della salvezza quali si configurano in Caravaggio e le rielaborazioni degli stessi problemi e schemi
archetipici 20 nei due operatori estetici contemporanei: ·un'oo, castone di constatare la ripetizione e la modifica, dunque 21• Gli archetipi psicologici sono infatti delle costanti, che si ripe tono e che spetta allo storico dell'arte mettere in luce al di là delle varianti 22, con un procedimento simile a quello operato dall'analisi junghiana nei confronti dell'alchimia, essendo del resto l'arte una sorta di alchimia. La linea interpretativa in quella circostanza indicata da Calvesi, per la quale lo storico dell'arte è più interessato alle ripetizioni che alle differenze, trova peraltro riscontro in una nutrita serie di studi iconologici di ispirazione alchemico junghiana, i cui argomenti spaziano attraverso un arco di tempo che va dal Rinascimento all'età contemporanea 23• Delle tendenze artistiche più recenti appoggiate da Calvesi avremo modo di parlare diffusamente a proposito dell'Anacro nismo. Per quanto riguarda, invece, il «citazionismo ,. con temporaneo in generale, spetta a Calvesi l'allestimento della mostra « Arte allo specchio•, organizzata nell'ambito della Biennale di Venezia del 1984. Essa ha svolto infatti il tema dell'arte che « riflette • su se stessa, guardando al proprio passato e reinterpretando [ ... ] capolavori di maestri antichi, rinascimentali e moderni 24• Benché qualcuno abbia rilevato, in questa mostra, il pre. valere del d'après stricto sensu sulla libera citazione 25, il pro posito del curatore era quello di illustrare le molteplici tappe di un'operazione condotta con I più diversi modi llngulstlcl e con le più svariate ideologie 26, a cominciare dalle « premes• se storiche ,. poste dalle avanguardie. Si partiva pertanto da Duchamp, che cita la Gioconda leonardesca oltraggiandola con l'apposizione dei baffi e contemporaneamente ricuperan dola a livelli di significato più complesso, come quello del mito dell'androgino, e si proseguiva con Picabia, Dalì, Man Ray, Masson, De Chirico, Savinio. Poiché il percorso dell'esposizione in parola coincide, più o meno, con il percorso di questa breve rassegna sul « citazionismo,. nel nostro secolo, converrà seguirne le tappe: ecco Picasso che «rivisita,. Cranach, Velasquez, Manet, con frontando il suo linguaggio violentemente deformante con 41
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quello dei modelli, e, in tutt'altro ambito di ricerca, ecco Carrà che, come altri maestri del Novecento. italiano, attua un recupero sistematico del Quattrocento. Non rinunciano a confronti, magari solo occasionali, con l'arte del passato De Pisis, Guidi, Semeghini ed altri ancora. A partire dalle ricerche artistiche degli anni Sessanta la citazione assume, come già si è detto, la caratteristica di un Leit-motiv: comincia la Pop art americana che, servendosi della contaminazione delle tecniche (pittura, fotografia, col lage), generalmente preferisce non citare l'originale, sia esso Leonardo o Monet o Picasso o un Action painter, ma la sua riproduzione attraverso i media, puntando dunque più che altro sul gioco dei metalinguaggi e sulla nozione di con sumo tipica della società industriale. Parallelamente, in area -italiana, si muovono nella direzione di un ricupero ironico e sofisticato dell'immagine Mario Schifano, Tano Festa, Mario Cerali, e, in Francia, nell'ambito del Nouveau Réalisme, Martial Raysse. Alla fine dègli anni Sessanta dal ceppo Pop nasce lo scon• finamento linguistico e ambientale dell'arte povera 27 e nasce .quel tipo di citazione che poi contraddistinguerà anche le investigazioni dell'arte concettuale. Giulio Paolini, Vettor Pi sani ed altri svilupperanno un'arte alla « seconda mano• contraddistinta, come ha osservato Menna, da un atteggia mento analitico, autoriflessivo ia: Come nell'arte degli anni Sessanta, anche nella loro ciò che caratterizza i procedimenti di prelievo e di citazione del passato è la consapevolezza dello scollamento e della distanza, giocata ora sul piano della parodia ora su quello dell'analisi 29• Nelle più recenti forme di ritorno alla pittura la tendenza a citare assume aspetti assai diversi. A questo riguardo, se prima, riportando le posizioni di Barilli, abbiamo parlato del particolare «citazionismo _,. della Pattern painting e del « graffitismo », ora occorre menzionare, nella linea di una violenta reazione alle investigazioni «fredde» dell'arte con cettuale, il Neoespressionismo tedesco (rappresentato da Ba selitz, Immendorf, Kiefer, Penck, Dokoupil, Middendorf e altri). Per quest'ultimo fenomeno quasi non si può più
parlare di «citazione,., ma di riproposta di un modo « sto rico,. di declinare il linguaggio pittorico, di un ritorno ur gente alle «fonti,. di una pur recente tradizione, prevalente mente dettato, si direbbe, dalla ricerca di un'identità visce ralmente «nazionale,. JO. In tutt'altra direzione citazionistica muovono, come ve dremo nei paragrafi successivi, la Transavanguardia, l'Ana cronismo, l'Ipermanierismo e la Pittura Colta.
2. Neomanierismo Il termine neomanierismo non va confuso, come a volte si è fatto, con il termine lpermanierismo. Mentre il secondo, designa, come vedremo più avanti, l'arte di un raggruppa mento di pittori sostenuti da Italo Tomassoni, il primo ter mine è usato da Achille Bonito Oliva per designare la pratica artistica della Transavanguardia 31• Poiché di quest'ultimo movimento e delle sue caratteri stiche questa rivista si è già occupata 32, sarà qui sufficiente riferire in base a quali presupposti Bonito Oliva interpreta come neomanieristico l'atteggiamento dei Transavanguardisti. Come il Manierismo storico fu un'arte della crisi (econo mica, sociale, politica, religiosa, ideologica), cosi l'arte odier na, in particolare quella della Transavanguardia, va messa in relazione con una situazione di déracinement, di mancanza di punti di riferimento 33• In ambedue i casi la risposta degli artisti alla crisi è il ricupero dei modelli linguistici prece denti. Tuttavia, mentre l'artista manierista ha nostalgia del valori rinascimentali, [ ... ] l'artista della Transavanguardia non ha nostalgia, ma un sentimento di Indifferenza verso ciò che cita. Egli ritiene intercambiabile tutto ciò che cita, astratto e figurativo 34• «Nomade ,. e « stilisticamente eclet tico•, giacché non ha più un'ideologia che lo orienti, egli attraversa con indifferenza i territori dell'arte di ogni tempo, abbandonandosi ad una felice manualità e traendo piacere dal suo rotolare senza una direzione, come il e nichilista attivo ,. di Nietzsche 35• 43
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Anacronismo
Una delle prime e più importanti esposizioni a cui è legata la nascita della corrente cosiddetta « anacronistica» è la mo· stra di Sei pittori svoltasi nel marzo 1980 a Roma, presso la galleria « La Tartaruga» di Plinio de Martiis, che ne è stato anche il curatore. Del gruppo dei «Sei» facevano parte Alberto Abate, Ste fano di Stasio, Salvatore Marrone, Nino Panarello, Franco Piruca, Piero Pizzicannella, artisti tutti il cui linguaggio, al l'incirca dalla seconda metà degli anni Settanta in poi, appare esemplato sugli stili passati, come se [ ... ] le trasformazioni linguistiche divenute l'una dopo l'altra, a partire dalla se conda metà dell'800, padrone del campo nel settore della produzione artistica, fossero state d'improvviso tenute in non cale 36• Nel recensire la mostra, Calvesi constatava che il processo d'evoluzione linguistica ( o « darwinismo linguistico») [ ...] era on;nai esaurito e che erano aperte le vie della ricerca di una nuova iconologia, ricerca già ben avviata dal capofila del gruppo, Franco Piruca, fin dal '78, in occasione cioè di una personale presso la stessa galleria n. Il nuovo fenomeno ve niva fatto dipendere più che dal riflusso nel privato, da un impulso verso una specifica e professionale « creatività •, di fronte ad un generalizzarsi dell'istanza creativa (I'« avanguar dia di massa • con la sua spettacolarità), da una riscoperta della funzione della tecnica e dello specifico, giusto a Roma dove un'esasperata indicazione contro corrente, in questo sen so, era venuta da Giorgio de Chirico 38• · � seguendo questa linea di ricerca - dirà più tardi Cal vesi - che oggi, proprio quando il consumo minaccia la disgregazione di ogni valore, l'arte può riprendere la sua fun zione di guida, perché riproponendo il modello storico del l'arte, può ricuperare l'« idea,. di valore 39• Anacronismo è il titolo di una critica in versi che Calvesi dedica, nell' '82, ad artisti come Piruca e Di Stasio ed è anche il titolo della mostra che egli cura, nello stesso anno, presso la galleria romana « La Tartaruga»40; Gli Anacronisti o pittori
della memoria è poi l'intitolazione di due mostre, allestite nell' '83, presso la galleria Vigato di Alessandria e presso i Musei Civici di Reggio Emilia, entrambe con catalogo curato da Calvesi e schede critiche di Marisa Vescovo 41 ; Anacroni smo, lpermanierismo si intitola infine una mostra che ha luogo nel 1984 ad Anagni, secondo l'ideazione di Calvesi e Tomassoni e con testi in catalogo dei due curatori nonché di Marisa Vescovo 4 2, Tra questi primi interventi e gli ultimi si collocano altri scritti, altre mostre e i relativi cataloghi 43, che, pur nella diversità delle intitolazioni, si occupano della medesima ten denza a rifarsi alla pittura (o scultura) occidentale dei grandi secoli trascorsi e a rifiutare la tradizione, divenuta accade mica, delle avanguardie 44, Gli Anacronisti - sostiene Calvesi - frequentano [ ...] un tempo lontano, inabissatosi secoli fa, ma di cui avvertono la presenza, come in apnea, nel loro inconscio. Per questo si tratta di anacronismo e sincronico •, in quanto rl-assunto nella simultaneità della memoria '5. Ogni momento del passato storico trascelto a modello e ideale riferimento, risulta congeniale alla temperie del sen timento che lo riconosce e lo fa proprio [...]: e cosi il mo dello neo-classico o purista di Mariani, congeniale al nitore mentale del suo progetto; così il modello giorgionesco di Piruca, congeniale alla sua ricerca di pittura come poesia. Così ancora il modello manieristico di Stefano Di Stasio, il modello romantico di Omar Galliani, il modello arcadico di Tanganelll 46• Infatti, per i cinque autori qui menzionati, come per altri le cui opere compariranno in successive espo sizioni (Ubaldo Bartolini, Alberto Abate,. Aurelio Bulzatti, Lorenzo Bonechi, Paola Gandolfi, Salvatore Marrone, Mau rizio Ligas, Roberto Barni, Gérard Garouste, Christopher Le Brun, Patrice Giorda, Peter Greenaway, Athos Ongaro ecc.) 47, il momento-tipo della storia dell'arte che è stato prescelto assurge solitamente ad archetipo, giacché il recu pero della storia [ ... ] è [ ...] recupero o, meglio, costruzione dell'archetipo 41• Respingendo il compromesso. dell'arte .con il consumo, � 45
grialando nell'arte un « valore » contrapposto al non-valori del consumo, gli Anacronisti ripropongono dunque la pittura nei suoi processi lenti e stratificati, laddove l'avanguardia aveva. abbreviato i tempi della pittura fino all'immediatezza del gesto 49 e laddove un movimento «citazionista» coevo, la Transavanguardia, preferisce generalmente rifarsi a mo menti di arte «selvaggia» ed ostenta, nell'esecuzione, velo cità e sciatteria. 4. Pittura Colta
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Tra il novembre e il dicembre 1982, presso la Galleria Pio Monti di Roma, si svolge una collettiva, ordinata da Italo Mussa, intitolata Pittura Colta. Gli espositori sono Abate, Barni, Bartolini, Mariani, quattro pittori che già abbiamo incontrato nel raggruppamento dell'Anacronismo. Delle opere di ciascuno Mussa redige una scheda analitica, mentre intro duce il catalogo utilizzando un passo di Winckelmann sui repertori di immagini ai quali l'artista aspira ad attingere nell'epoca moderna, epoca di povertà, anzi di miseria lingui stica e concettuale. Da quel momento in poi l'espressione «Pittura Colta• ricorre negli scritti di Mussa, che la definisce come un'arte che cattura nell'ignoto meraviglioso (sic!) [ ... ] la propria« ico nografia » [ ••• ], più originaria che originale, antica in quanto propone come vicinanza accessibile l'incerto sconfinato, ma capace di rimuovere il potenziale visivo neo-classico-roman tico e simbolista 50• Tale pittura, che pretende di creare un'arte atemporale utilizzando, contraddittoriamente, modelli che sono pur sempre il prodotto storicamente condizionato di ben precisi momenti artistici, si pone « realmente », se condo Mussa, come qualcosa di immutabile e di enigmatico 51• Essa, come astrazione immaginale, [ ... ] nasce nel chiuso di una interiorità visionaria, per cui l'artista aspira più all'ac quietamento che alla immediatezza esecutiva [ ... ] e arriva al possesso di una bellezza inimitabile 52• Dopo aver chiamato in causa Winckelmann, Goethe, Holder:1ffi, Nietzsche, Rilke, Wilde, Hofmannsthal, Jung ed altri
ancora, che avrebbero indicato all'artista della Pittura Colta i contorni simbolici dell'arte 53 , nonché Borges, che afferma metaforicamente che l'artista è più artisti, è colui che coglie e descrive in maniera impersonale la mitologia dell'arte, percorrendo, fino all'assurdo, la via del ritorno 54,. Mussa so stiene che nella Pittura Colta il presente dipana il passato e il futuro è utopia ss.
5. Iperrrianierismo Nevrotici sadismi preraffaelliti, disfatti amori barocchi, frigide arcadie, impassibile (impossibile) classicità, configu rano la panoplia di un ipermanierismo eclettico che si va sempre più delineando nell'indifferenza nebulosa di questi anni ottanta [ ... ] 56• Il breve passo appena ·riportato appare in una recensione di Italo Tomassoni alla già menzionata mostra Pittura Colta, allestita nel 1982 presso la Galleria Pio Monti. f:. in tale occasione che Tomassoni usa per la prima volta il termine « Ipermanierismo », che ricorrerà nei suoi scritti per desi gnare l'arte di chi costruisce oggetti con gli archetipi della figurazione o con reperti del museo, marcando così la di stanza dell'arte dalla vita ed illustrando, nell'apparente an dare « a ritroso » [ ... ] , una condizione immobile e ripetitiva 57• · Una crisi di identità 58 e soprattutto la crisi del mito della creatività - rileva lo stesso Tomassoni - contraddistinguono Io spirare di questo secolo e portano gli artisti al nichilismo, ad una mistica della morte, di cui protagonista è l'artificio 59• Artificio significa in questo caso anche falsificazione, dal mo mento che l'arte ha avuto sempre a che fare con la rappre sentazione (dunque con la finzione), e dal momento che la falsificazione è un genere della finzione (quindi è un codice e un metodo del rappresentare) 60• L'azione parallela degli ipermanieristl (è questo il titolo di un successivo intervento di Tomassoni su « Flash Art») ·consiste nel collocarsi in un tempo appiattito, circolare e contestuale, formando così un'arte parallela ai linguaggi arti stici del passato, un doppio abusivo binario della storia le cui 47
stazioni non sono neppure quelle del tempo perduto e ritro vato ma quelle di un tempo laterale e fermo 61• Il lavoro del l'« artista parallelo», libero dalla coazione a creare, consiste quindi nel farsi riassorbire dalla fluttuante marea della storia dell'arte di cui rappresenta un'alterazione 62• Egli tuttavia de frauda l'arte della storia [ ... ] facendo dell'arte un unico testo e una sola, contestuale esperienza allucinatoria 63 • Si tratta, infine, di un lavoro che, negando la creatività, asswne « ma schere» diverse facendo registrare un addensamento manie ristico del linguaggi e ammantandosi di una impenetrabile foschia 64• Anche in un suo saggio dell' '84, Tomassoni ribadisce il concetto di una pittura giocata sul futuro anteriore, giacché passato e futuro vi s'intricano, mentre il presente scompare 65• In tale saggio vengono anche prese le distanze dalle opera zioni citazionali e di rivisitazione del passato, e viene invece evidenziato, negli ipermanieristi, uno smarrimento dell'iden tità che, al pari del tema della caduta del presente, si ricollega al tema dell'origine- come prova dell'inautenticità dell'esi stenza moderna 66• Ma l'origine non ha identità, non si pone questo problema poiché è l'identico 67• 6. Alcune considerazioni ed alcune critiche
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Gli ultimi tre « ismi» esaminati nella presente rassegna sono dunque diversi quanto a denominazioni, quanto a pater nità critica delle denominazioni stesse e quanto a circostanze, ad avvenimenti espositivi che ne hanno segnato la nascita. Essi tuttavia sono rappresentati, almeno in parte, dagli stessi artisti 68 e convergono nel definire un'area operativa comune, contraddistinta non solo dal ritorno ai modelli del passato, ma anche da una tecnica esecutiva lenta e meditata. Il loro indirizzo di lavoro e la critica che lo sostiene sono stati. in vario modo commentati e a volte anche duramente attaccati. A titolo esemplificativo vale la pena di riferire qualcuno dei pareri più recenti, a cominciare da quello di Lea Vergine, che drasticamente definisce gli artisti « anacronisti » e « colti » un manipolo di copisti d'arrembaggio e l'ope-
Ricorre tuttavia, nei pareri appena riferiti, l'istanza di fare qualche «distinguo». Tutti e tre i critici, ad esempio, convengono nel considerare un « caso a parte» Carlo Maria Mariani, sia per la priorità delle sue ricerche, sia per la luci dità che le ispira e che lo fanno considerare piuttosto un ere de di Paolini 78 e di certe sottili investigazioni di derivazione concettuale. Qualche altro viene salvato dal mazzo: ad esem pio Anne e Patrick Poirier, due nomi del resto già acquisiti alla tradizione del citazionismo 79, e Peter Greenaway 80• Argan, infine, pur non entrando direttamente in polemica con questo o con quell'« ismo » recente, avverte che l'arte d'oggi che « rivisita» il passato senz'ombra di critica e cerca di riscattare il conformismo con qualche variante o svarione, è un episodio della ritirata generale dallo storicismo. Che davvero, - prosegue Argan - per non vedersi cacciata dal tempio del mercato come una volta il mercato dal tempio, l'arte debba dar prova d'incapacità d'intendere e di volere? 81 Non bastava constatare la flessione, la crisi, la sconfitta delle avanguardie: bisognava analizzarla, quella crisi, spie gare per quall interni difetti e quali pressioni dall'esterno si sia perduta, e non solo nell'arte, la fiducia nella ricerca, nel progetto, nella partecipazione fattiva a un faticoso processo progressivo. Bisogna coraggiosamente confrontare i resti del• l'avanguardia perdente con l'antiavanguardia vincente 82• Ora che la dissociazione di artistico e estetico è avvenuta da un pezzo, dando luogo alle due opposte e complementari cate gorie dello«sconfinamento», cioè del darsi al mondo, e dello «specifico» artistico, cioè del fare arte-arte, si deve tener presente che come Io « sconfinamento» non è superamento critico secondo assialltà prescelte, ma un debordare in terra di nessuno, così la citazione non salva il senso della storia: non serve camuffarsi da antico per liberarsi dalle responsa bilità dell'attuale [ ... ]. Come l'artistico senza l'estetico non ha valore, così l'estetico senza l'artistico non ha sostanza 83•
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I 2
Cfr. G. DELEUZE, Différence et répétition, Paris, P.U.F., 1968.
U. Eco, Postille a e Il nome della rosa», in e Alfabeta •, n. 49,
giugno 1983, pp. 21-22.
3 R. BARILLI, relazione introduttiva, in GRUPPO 63, Il romanzo speri menta/e, Palermo 1965, Milano, Feltrinelli, 1966, pp. 11-26. 4 A questo riguardo si vedano R. BARILLI, Per una teoria delle variazioni stilistiche, in e Op. cit.•. n. 61, settembre 1984, pp. 9-15 e G. DAL CANTON, Modelli interpretativi delle tendenze artistiche odierne, in « Op. cit. », n. 51, maggio 1981, pp. 28-48, al quale si rinvia anche per i riferimenti bibliografici. s R. BARILLI, relazione introduttiva, cit., p. 25. 6 R. BARILLI, Edoardo Arroyo, saggio introduttivo nel catalogo della mostra tenutasi alla Galleria • De Foscherari •, Bologna, primavera 1967, ora in R. BARILLI, Informale Oggetto Comportamento, Milano, Feltrinelli, 1979, voi. I, pp. 247-250. 7 R. BARILLI, De Chirico e il recupero del museo, lezione tenuta nella primavera 1973 al Convegno di Studi sul Surrealismo promosso dall'Istituto di Storia dell'arte dell'Università di Salerno, ora in R. BARILLI, Tra presenza e assenza, Milano, Bompiani, 1974, pp. 268-303 e in AA.VV., Studi sul Surrealismo, Roma, Officina, 1977, pp. 27�7. 8 R. BARILLI, La sinfonia polifonica di Severini, in catalogo della mostra Gino Scverini (Firenze, Palazzo Pitti, 25 giugno-25 settembre 1983), Milano, Electa, 1983, pp. 11-23. 9 R. BARILLI, La ripetizione differente, in e Studio Marconi», otto bre 1974, ora in Io., Op. cit., 1979, pp. 106-126. 10 R. BARILLI, Carlo Maria Mariani, catalogo per la personale allo . • Studio Cannaviello» di Roma, maggio 1975, ora in Io. , Op. cit., 1979, pp. 217-219. Il Si vedano R. BARILLI, Due possibilità per l'avanguardia: esplosione o implosione?, in Fine delle avanguardie?, numero monografico de e I problemi di Ulisse», anno XXXII, voi. XIV, fase. LXXXV, maggio 1978, p. 25 e lo., Op. cit., 1979, voi. II, p. 6. 12 R. BARILLI, Verso la sintesi post-moderna, in • Lettera interna zionale», n. 2, autunno 1984, p. 57. u Ibidem. 14 A questo proposito cfr. R. BARILLI, Per una teoria delle variazioni stilistiche, cit., p. 14. ts R. BARILLI, Nuovi-nuovi e postmoderno, in • Flash Art•, n. 114, maggio 1983, p. 45. 16 R. BARILLI, L'arte contemporanea. Da Cézanne alle µltime tendenze, Milano, Feltrinelli, 1984, p. 329. 11 Ivi, p. 331. 11 Ibidem. 19 Tale intervento è stato pubblicato anche in M. CALVESI, Avanguardia di massa, Milano, Feltrinelli, 1978, pp. 186-189. 20 M. CALVESI, Op. cit., 1978, p. 188. 21 lvi, p. 186. 22 Ibidem. 23 Per gli studi sull'arte contemporanea basterà ricordare: M. CAL· VESI, Duchamp invisibile. La costruzione del simbolo, Roma, Officina, 1975; Io., Iconologia dell'astrattismo, in M. BONELLI, Astrattismo e co struttivismo, Milano, Fabbri, 1977; Io., Essendo dati: 1) la fame 2) il sesso, in • La città di Riga», n. 2, primavera 1977, ora in Io., Op. cit., 1978, pp. 11-27. 2A M. CALVESI, Arte e arti. Attualità e storia, in Catalogo Generale della XLI Esposizione Internazionale d'Arte La Biennale di Venezia, Venezia, Edizioni La Biennale di Venezia, 1984, p. 14. 25 R. BARILLI, La Biennale al « giorno del giudizio», in • Avanti! •• 17 giugno 1984, p. 9 e in Cara Biennale così non va, colloquio fra
Sl
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Renato Barilli e Maurizio Calvesi, in e L'Espresso», n. 30, 29 luglio 1984, pp. 50-55. 26 M. CALVESI, Op. cit., 1984, p. 14. Z7 M. CALVESI, Arte allo specchio, in Op. cit., 1984, p. 31. 24 F. MENNA, L'artista e la storia dell'arte, in e AJfabeta», n. 62-63, luglio-agosto 1984, (supplemento). p. II. 29 Ibidem. .10 M. CALVESI, Op. cit., 1984, p. 31. 31 Cfr. A. BONITO OLIVA, Manierismo e neo-manierismo, in e Flash Art», n. 103, maggio 1981, p. 31. 32 A. D'AvossA, Note sulla Transavanguardia, in e Op. cit.», n. 52, settembre 1982, pp. 31-47. 33 A. BONITO OLIVA, Un manierismo senza nostalgia, in e Lettera internazionale», n. 2, autunno 1984, p. 59. 34 Ibidem. l5 Ibidem. 36 P. BALMAS, Gli anacron e ismi » dell'arte, in e Flash Art», n. 113, aprile 1983, p. 29. 11 M. CALVESI, Il pennello è annichilito, in e L'Espresso», n. 12, 23 marzo 1980, p. 147. Ja Ibidem. 39 M. CALVESI, Il pennello in visita, in e L'Espresso», n. 47, 28 no vembre 1982, p. 195. 40 1:. nel catalogo della mostra che è pubblicato il sonetto intitolato Anacronismo. I sonetti Anacronismo n. J, Anacronismo n. 2, Anacro nismo n. 3 appaiono poi in e Color», n. 2, novembre-dicembre 1983, pp. 22-23. 41 I due cataloghi sono editi rispettivamente dalle edizioni Graziano Vigato di Alessandria e dal Centro Stampa Litograf di Reggio Emilia. 42 Il Catalogo è edito dalla Cataloghi Marsilio, Venezia. 4J Citiamo, fra gli altri: M. CALVESI, Sei pittori, presentazione della mostra, Galleria e De Foscherari», Bologna, 1980;, M. CALVESI e I. ToMASSONI, catalogo della mostra Il tempo dell'immagine, Spello (Fo ligno). 1983; M. CALVESI, Il ritorno della pittura, in catalogo della mostra Il riso dell'universo, a cura di M. L. Frisa (S. Giovanni Valdarno, casa di Masaccio, 1984), S. Giovanni Valdarno, ed. Carini, 1984, pp. 17-21. 44 M. CALVESI, Arte allo specchio, cit., p. 32. 45 M. CALVESI, Gli anacronisti o pittori della memoria, Alessandria, ed. Graziano Vigato, 1983. 46 Ibidem. .fl I nomi indicati si riferiscono sia agli espositori delle mostre ci tate nel testo e alla nota 44, sia ad espositori della rassegna e Arte allo specchio», organizzata nell'ambito della Biennale veneziana dell' '84. 48 M. CALVESI, Il tempo dell'immagine, in e Flash Art», n. 114, maggio 1983, p. 11. 49 M. CALVESI, Arte allo specchio, cit., p. 32. so I. MUSSA, LA pittura Colta, Roma, De Luca, 1983, p. 4. s1 Ivi, p. S. 52 Ibidem. S3 lvi, p. 6. 54 Ivi, p. 7. 55 Ibidem. 56 I. ToMASSONI, Oggetti costruiti con i reperti del museo, in e Avan ti! », 17 dicembre 1982, p. 9. ST Ibidem. sa A questo riguardo cfr. I. ToMASSONI, Senso del tempo e crisi d'identità, in e Avanti! », 18 marzo 1982, p. 9.
59 I. ToMASSONI, Oggetti costruiti con i reperti del museo, cit., p. 9. 60 Ibidem. 61 I. TOMASSONI, L'azione parallela degli ipermanieristi, in e Flash Art•. n. 113, 1983, p. 27. 62 lvi, p. 28. 63/bidem. 64 lvi, p. 27. 65 I. TOMASSONI, ]permanierismo, in M. CALVESI e I. TOMASSONI, Anacronismo, lpermanierismo, cit., p. 10. 66 Ivi p. 11. 67 Ibidem. Si fa presente che, entro il mese di gennaio 1985, sarà pubblicato dall'editore Giancarlo Politi di Milano un saggio di Tomas soni intitolato lpermanierismo. 6S Profili monografici di tali artisti, a firma di vari critici, fra i quasi Calvesi, Mussa, Balmas, Frisa, Mori, Vescovo, si trovano, oltre che nei catologhi delle mostre personali degli stessi, in diversi numeri degli ultimi quattro anni della rivista e Flash Art• e nella rivista e Color•· tn L. VERGINE, Miracolo e pompieri, in e Alfabeta•• n. 62-63, luglioagosto 1984, p. 12. 10 Ibidem. 71 Ibidem. 72 Ibidem. 73 Cfr. R. BARIU.I in Cara Biennale cosl non va, cit., passim; ID., La Biennale al « giorno del giudizio>, cit., p. 9; ID., Verso la sintesi post-moderna, cit., p. 57. 74 Ci stiamo riferendo all'intervento Ripetizione e modifica, cit. 75 R. BARIU.I, Verso la sintesi post-moderna, cit., p. 57. 76 F. MENNA, L'artista e la storia dell'arte, cit., p. II. 77 Ibidem. 1a L'espressione è di F. MENNA, L'artista e la storia dell'arte, cit., p. II. 79 R. BARIW, La Biennale al « giorno del giudizio•, cit., p. 9. Sulla validità delle opere dei coniugi Poirier concordano anche Lea Vergine (Miracolo e pompieri, cit.) e Gillo Dorfles (Gli stranieri alla XLI Bien nale, in « Alfabeta• n. 62-63, luglio-agosto 1984, p. 11). 80 Cfr. L. VERGINE, Miracolo e pompieri, cit. 11 G. C. ARGAN, Dal progetto al rigetto, in •L'Espresso•, n. 30, 29 luglio 1984, p. 53. 82 Ibidem. Il Ibidem.
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Architettura: reportage dalla West Coast LIVIO SACCHI
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Stanley Saitowitz, un architetto di ongme sudafricana che ha trascorso molti anni a Berkeley, prima da studente e poi da professore, è l'autore di una serie di disegni dedi cati ad alcune grandi città americane che illustrano la no zione della geografia umana 1• In particolare due di questi sono dedicati alle principali città della California. La prima è San Francisco, la città femminile della West Coast, dove il sole tramonta, che abbraccia la terra cir costante la liquida cavità della baia, le cui strade scorrono come acqua sulle colline, con una doppia fila di muri di bay windows 2• La complessa geografia della Bay Area, la re gione metropolitana che comprende San Francisco, Oakland, Berkeley ed altre città minori, fa da base ad un susseguirsi di stalattitiche quinte architettoniche vittoriane che allun gano le loro ombre nelle acque interne della baia. La seconda è Los Angeles, la progenie, la città nativa, alla fine del continente 3• Dal cruscotto di un'auto, volante e specchietto retrovisore in primo piano, una gigantesca carta stradale della metropoli angelena, con le freeways segnate in rosso, è vista come sospesa ad una sommaria rappresen tazione geografica della parte occidentale degli Stati Uniti: sembra quasi che, spostandone il baricentro ad ovest, sul Pacifico, ne renda precario l'equilibrio. I due disegni colgono lo spirito di queste città ben più dei tanti possibili discorsi sull'argomento. Ne emerge una evidente condizione di 'diversità'. Come è noto, la California
è una regione molto particolare all'interno degli Stati Uniti; ma la California meridionale è ancora diversa da quella del nord: i circa 600 Km che dividono Los Angeles da San Fran cisco contano molto più in termini di differenze culturali, nel senso più ampio del termine. Nel panorama americano la California ha sempre assunto dimensioni mitiche. Quando Dean, il protagonista di Sulla strada, vede per la prima volta dalle colline di Oakland la favolosa città bianca di San Francisco sul suoi undici mistici colli col Pacifico blu, non può fare a meno di urlare: Non più terra. Non possiamo andare più lontano di cosi perché non c'è altra terra! 4 Oggi la California non è più solo un mito, è soprattutto una solida realtà, una forte potenza eco nomica, uno stato che acquisisce di giorno in giorno una nuova consapevolezza culturale: avanguardia e legami con la tradizione coesistono in un quadro multiforme·e complesso. Dal punto di vista dell'architettura c'è chiaramente una linea di demarcazione fra il nord e il sud della California: San Francisco è più urbana e con una lunga tradizione di edifici in legno, mentre la California meridionale, con ll caratteristico uso dello stucco, è sempre stata soprattutto un barometro della cultura pop 5• Ancora, San Francisco è specificamente orientata verso la storia. L'influenza di Bet nard Maybeck, famoso architetto dell'eclettismo Beaux Arts, è ancora molto sentita. Palladio, l'Art Déco e l'architettura vernacolare in legno della fine del secolo scorso sono fonti continue d'ispirazione. Los Angeles è invece fortemente 'alla moda'. Una New Wave ambigua e schizofrenica divora avi damente gli ultimi numeri di 'Progressive Architecture' o di 'Domus ' 6• L'influsso dei neo-razionalisti europei (Rossi, Krier, Koolhaas) comincia a delinearsi all'orizzonte, ·così come, d'altra parte, l'Europa comincia ad interessarsi agli architetti di Los Angeles. San Diego, infine, la terza città della West Coast, è vitale e sperimentale, anche se per alcuni aspetti provinciale ed isolata. Il 'senso del luogo' caratterizza la sua nuova architettura 'transizionale', che prende in prestito dagli edifici vicini immagini e materiali; 'blendo' (da blend, mi scela) è la parola coniata per descrivere la nascita di una 55
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nuova casa dal concretizzarsi degli stilemi delle fabbriche circostanti: un collage eclettico. Dove va la California? Lasciamo la parola a Daniel e Bar bara Solomon, artisti e architetti californiani: Viviamo oggi un momento particolare, poiché sta a noi decidere se avere o no una storia. Forse il « genius loci » della California è di esser sempre nuova. Alcuni credono che il miglior modo di procede re - quello che cattura l'essenza del posto - sia dimenticare l'obsolescenza in un presente di novità sempre rilucenti. Non ci sembra che ciò sia vero. Il nostro presente è ammalato di nostalgia. ( ... ) Il nostro lavoro di architetti e di urbanisti è puntato sulla ritenzione autocosciente del passato in un pro cesso caratterizzato da cambiamenti rapidi e radicali 7• Stanley Tigerman, in un saggio divenuto famoso, ha deli neato un'ampia ed inclusiva classificazione degli architetti operanti sulla West Coast 8• Lo schema, pur segnato da una certa rigidità, è di notevole utilità per comprendere un pa norama cosl vasto e sfaccettato. Si tratta di un quadro formato da quattro classi generali: 'regionalismo storico', 'modernismo pragmatico', 'materialismo manipolato', 'taglio smaterializzato (in via di sparizione?)'. Per il 'regionalismo storico' Tigerman distingue un primo filone - la 'Bay Area Architecture', che si rifà a Frank Lloyd Wright ed ai fratelli Greene, e trova in William Tumbull jr. il principale continuatore - dal secondo, definito 'Mission Style e Spagnolo Coloniale'; i riferimenti sono all'eclettico May beck, grande mediatore della tradizione vernacolare ameri cana con l'antico rinascimentale, e ad Irving Gill, che ingiu stamente è stato spesso visto come un'inesplicabile nota a pié di pagina ad Adolf Loos 9• In questo gruppo vengono col locati Charles Moore, con i suoi partners Ruble e Yuddell, e Thomas Gordon Smith. Moore, unà delle personalità più influenti nel mondo del l'architettura, è in senso lato, assieme a Venturi, l'erede di quel grande processo di rinnovamento innescato da Louis Kahn. In una recensione ad un libro su Schindler, Moore distingue fra le personalità creative 'vulnerabili' e quelle 'invunerabili'. Vulnerabilità s'intende aperto a tutti i generi
di influssi del mondo che cl circonda. Rudolph Schlndler sembrava essere vulnerabile e ml piace pensare che lo Io sia 10• La vicenda di Schindler è emblematica della condizione di tanti architetti 'vulnerabili', sommariamente catalogati co me 'derivativi' dagli storici. In buona fede, la vulnerabllltà, per come la vedo, prevede il coinvolgimento nelle specificità che si rinvengono e la comprensione di esse al punto da riuscire a mutare le proprie posizioni per far loro spazio. Anche gli architetti invulnerabili vedono ed apprendono cose nuove, ma hanno una posizione, o un senso della loro mis sione, cui sono arrivati presto, alla quale le cose apprese e viste danno un contributo, senza essere però in grado di apportare dei cambiamenti. ( ... ) Mi piace pensare che Ber nini fosse invulnerabile, e che Borrominl fosse vulnerabile. ( ... ) L'Intemational Style era il tempio dell'invuinerabllltà 11• Negli ultimi progetti di Moore ritroviamo gli elementi caratterizzanti in tale approccio 'ricettivo' all'architettura: il tetto come segno significativo all'esterno e organizzatore al-. l'interno; la scala come cifra portante del progetto; una pressocché infinita varietà di livelli e percorsi interni, di buchi nelle pareti, di muri ad angolo acuto o ottuso, di cortili interni, di passaggi sopraelevati. L'eccentrico gioco della luce naturale ed artificiale che penetra da ogni possibile fonte (le finestre hanno forme e posizioni insolite) si coniuga ad arcobaleni di colori liberamente usati negli interni. Complesse transizioni spaziali mediano interno ed esterno. Tra i progetti più recenti ricordiamo la Chiesa episcopale di St. Matthew, a Pacific Palisades, un raro esempio di coin volgimento dell'intera comunità parrocchiale nell'esperienza progettuale, ottenuto con una serie di workshops buttuosi quanto movimentati. Un cenno merita anche il nuovo Beverly Hills Civic Center. Si è trattato di un concorso ad inviti (gli altri partecipanti erano Eisenman, Erickson, Gehry e Moshe Safdie) dove la proposta di Moore è risultata vin cente. Una compatta serie di ricchissimi spazi urbani, una teoria complessa ed articolata di piazze ellittiche allineate su di un asse diagonale, conformano un insieme di edifici in teragenti fra loro, comprendenti anche una nuova prigione 57
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ed un grande · parcheggio. "I severi regolamenti promulgàti dallo Stato della California in favore dei disabili hanno con tribuito a caricare il progetto con una serie fantastica di rampe e piani inclinati che si avvolgono, si incrociano, volano in un luogo già segnato da scalinate, terrazzi degradanti, pre ziosi spazi verdi ed abbaglianti bacini d'acqua: il barocco romano sulle colline di Los Angeles. Il traffico automobilistico continuerà ad attraversare la grande promenade centrale, scelta naturale per una cultura che vede nell'auto una co moda ed indispensabile estensione del corpo umano. La seconda grande classe identificata da Tigerman, il 'mer dernismo pragmatico', comprende un primo gruppo influen zato da Le Corbusier,·Schindler e Neutra che trova nel già ci tato Solomon uno dei componenti; un secondo, tecnologica mente orientato, che riconduce a Mies, Wachsmann, a Craig Ellwood e Charles Eames; Koenig e Quincy Jones ne hanno continuato la storia; è un terzo, detto dell' 'artificioso capita lismo pragmatico', che riunisce le esperienze di alta profes sionalità tardo-moderna di Cesar Pelli e di Tony Lumsden. Lumsden inizia la sua carriera con Pelli nello studio di Eero Saarinen, per passare poi in quello di Kevin Roche e fohn Dinkeloo, che ne raccolse l'eredità. Nel 1964 un gran dissimo studio di Los Angeles, Daniel, Mann, Johnson & Mendenhall, più noti con la sigla DMJM, decise di crearsi una credibilità culturale ed assunse Pelli a capo della prer gettazione e Lumsden come suo assistente. Nel '68 Pelli lasciò DMJM per diventare partner nello studio Gruen Associates, dove lavora a tutt'oggi, e Lumsden prese il suo posto come primo progettista. DMJM è oggi fra le prime dieci società di progettazione e consulting del mondo. Il quartier generale di Wilshire Boulevard coordina ventisette uffici in venti stati dell'Unione, più undici uffici all'estero. Pragmatico nella sua fondamentale ingenuità culturale, Lumsden dichiara: l'architettura è tutta qui, nella ricerca di forme culturalmente significative 12• Illustre nel genere tardo moderno, tipicamente manierista, egli coniuga virtuosistica niente fino alle estreme possibilità l'uso del vetro riflettente (suo è.il progetto, mai realizzato, del Beverly Hills Hotel). Tra
le tiltime realizzazioni, portate a termine nell'84, la più inte ressante ci sembra la Capito} Bank of Commerce, a Sacramen to, capitale della California. Qui l'uso indiscriminato del vetro viene drasticamente limitato (con l'aiuto della normativa ener getica), ma soprattutto si avverte la volontà di conformare la facciata secondo i canoni del monumentalismo classico. La terza classe generale, il 'materialismo manipolato', comprende alcuni giovani architetti il cui principale inte resse è per l'architettura residenziale: si tratta dei 'manipo latori formali' operanti prevalentemente nell'agonizzante Hol lywood: Tim Vreeland, Eric Owen Moss, Michael Ross. Ma vi sono anche architetti più direttamente collegati con il mondo Funk, Punk, New Wave e 'Attitude'; ironia, ambiguità e alienazione, unitamente all'uso di giustapposizioni inaspet tate, connotano le opere degli Ace Architects, uno studio di Oakland, e di Thomas Grondona. In particolare il lavoro di Moss ci sembra emblematico di una condizione esistenziale sempre più diffusa: il rifugio nella progettualità interiorizzata, nel privato. Le posizioni ideologiche importate in America dall'Europa dai maestri del Movimento Moderno, arrivavano sfocate dopo la traver sata dell'Atlantico. Negli Stati Uniti l'immagine ha sempre prevaricato il contenuto sociale e culturale. L'artificialità degli odierni linguaggi architettonici viene accettata come punto di partenza, la condizione sovrastrutturale non più discussa. Lo stesso Moss dichiara: Le convinzioni devono essere oggi del tutto personali. i:: improbabile trovare con senso collettivo o supporto in alcuna corrente artistica o percezione storica u_ I risultati sono architetture connotate da una garbata sperimentalità, un sensibile uso del colore, un calibrato dosaggio di elementi eversivi all'interno di un prodotto comunque piacevole e rassicurante per l'agiata clien tela di West Los Angeles. L'ultima grande classe, che vien definita da Tigerman, del 'taglio smaterializzato (in via di sparizione?)', la più inte ressante a nostro avviso, comprende un manipolo di neo razionalisti e post-funzionalisti di origine europea (fra i quali ricordiamo Batey & Mack e lo studio Morphosis) ed· un 59
gruppo più direttamente legato all'arte concettuale e ad ar tisti come Sam Francis, Ed Rusha e Ron Davis: un grande personaggio, Frank Gehry, ed i più giovani Hodgetts, Man gurian, Coy Howard, Fred Fisher. :e la scuola di Venice, quella che presenta i caratteri di più forte originalità e che incarna autenticamente la condizione californiana. L'americano Andrew Batey e l'austriaco Mark Mack la vorano insieme a San Francisco. Il primo aveva collaborato con Luis Barragan, in Messico, mentre il secondo era allo studio di Emilio Arnbasz a New York. L'origine europea di Mack ha fortemente influenzato la loro ricerca verso le direzioni percorse oggi dal neo-razionalismo (la filosofia neo primitivista è coordinata ad. un uso tipologico dello spazio): Sono le rovine di Pompei, il classicismo di Sclùnkel e Asplund, l'austerità archetipa di Loos e di Barragan, piuttosto che Las Vegas, ad ispirarci 14•
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Invitati alla Biennale di Venezia del 1980, Batey e Mack hanno poi partecipato alla riedizione della stessa tenutasi a San Francisco nell'81, stavolta fra gli architetti (aumentati di numero) cui erano state dedicate le facciate della Strada Novissima. La loro facciata, una capanna in lamiera ondulata su di un falso basamento in travertino, un simbolo del loro archetipico repertorio, è stata adesso ricostruita come una 'folly' da giardino in un vigneto a Napa Valley. Noti per una serie di ville costruite in California, in genere modeste per impostazione e scelta dei materiali, Batey e Mack hanno di recente realizzato una grande residenza a Corpus Christi, nel Texas, dove il proprietario non aveva posto limiti al budget di spesa. La casa ci riporta all'uso di un archetipo, la villa romana, chiusa sulla strada ed aperta sul paesaggio, nel caso sul Golfo del Messico. Un rigido ordine geometrico unifica un progetto ove prevale una equilibrata monumenta lità. Notevole l'uso che vien fatto di materiali preziosi: granito texano, pietra tufacea messicana e travertino italiano. Ancora merita un cenno la raffinata qualità grafica dei loro disegni: le piante ed i prospetti si combinano insieme in grandi tavole dal fondo fortemente aerografato, con risultati di indubbio effetto che ricordano quelli di Ambasz.
Morphosis, il gruppo formato da Mayne e Rotondi, è anch'esso fortemente influenzato dal dilagante allineamento alle posizioni dei 'Rats', i neo-razionalisti europei. Nel loro lavoro emerge evidente l'idea di un dispendio ammirevole di energie intellettuali, nel tentativo di caricare l'architettura fino all'estremo limite concettuale, in una dimensione chiara mente sovrastrutturale. L'uso di volumi primari platonici, una speciale attenzione ad accentuare il valore simbolico di alcuni elementi (il bagno, il cortile, la piscina) ed un accurato riuso dei materiali visivamente presenti all'intorno, definiscono la loro architettura. Siamo in presenza, oggi, a Venice in Calilornia, di un fenomeno unico: una magica mistura di arte e architettura. Tutto ebbe inizio negli anni '60, quando gli artisti si trasfO'. rirono a Venice e vi aprirono studi destinati spesso a diven tare importanti quanto la loro arte, o ancor più. Da Il è seguita una forma di collaborazione e di stimolo reciproco fra artisti ed architetti 15• Così Tom Sewell in un significativo libro che mette a fuoco il lavoro degli artisti e degli archi tetti (e vedremo quanto labile sia la differenza) accomunati dalla strana atmosfera di Venice. Venice non è che una parte della grande conurbazione di Los Angeles, appena a sud di Santa Monica. Fu costruita da Abbott Kinney ai primi del '900, con l'intento di riproporre qualcosa del fascino di Venezia (con la quale peraltro non ha particolari rassomiglianze). La se;operta del petrolio pro vocò subito un veloce degrado urbano, degrado ancora av vertibile oggi che l'area ha assunto connotazioni di eccentricità vagamente punk. L'arrivo di grosse colonie di artisti ha contribuito alla formazione di un clima favorevole alla speri mentazione più spinta. Il fatto che artisti ed intellettuali siano spesso i committenti di tanta architettura, lascia agli archi tetti un margine di libertà molto ampio e ne rispetta i lati più propriamente 'artistici'. La vita a Venice è performance. L'aspetto caotico e sgangherato della città si riflette nelle opere degli architetti che vi lavorano. Venice è pluralistica e creativa, le energie intellettuali sono esplosive, ma ovvia mente i giochi sono molto scoperti: il degrado fisico e sociale 61
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è uno spazio di libertà controllata consentito all'interno di un'area metropolitana fra le più avanzate del mondo. Il gruppo di Venice include alcune personalità di partico lare interesse. Craig Hodgetts e Robert Mangurian lavorano prevalentemente su di un vocabolario architettonico ristretto ad alcuni elementi primari: il muro, la colonna, la trave, il pavimento. Gli edifici sono visti come un frammento ur bano e, come gli spazi urbani, anche le strutture denunciano una stratificazione, quasi fossero state costruite in tempi e da mani diverse. Fra i lavori di maggior interesse sono la Gagosian Residence, una casa/spazio espositivo per un gio vane gallerista, e soprattutto il Venice Interarts Center, un ambizioso progetto che vede al centro i fantasmi di quanto resta in piedi del sogno di Kinney di avere una Venezia ame ricana. Le strutture di quelle che una volta erano la prigione ed il municipio della città saranno collegate da una serie di edifici atti ad ospitare teatri, biblioteche, studi per artisti, al fine di creare un centro integrato per le arti ed una sceno grafica sequenza di spazi collettivi. Frederick Fisher più di ogni altro sembra catturare lo spirito di Venice. Ricche di immagini metaforiche, le sue architetture includono all'interno del progetto le forze disgre ganti tipiche della California meridionale: i terremoti, gli incendi, le frane, il sole. Il disordine è elemento di progetto. L'uso di materiali eterogenei, del non finito, di forme contrad dittoriamente giustapposte, l'inclusione di 'incidenti' già in sede progettuale (pensiline semicadenti, rivestimenti incom piuti, dettagli già deteriorati prima ancora di essere assem blati) ci sembra affermare un'accettazione del 'destino' piut tosto che una volontà di 'progetto'. Metter piede in uno di questi edifici è come entrare nella mente di qualcuno, o almeno in un sistema di pensiero 16• Quanto è stato notato a proposito di tanta nuova architettura a Venice è particolarmente vero per le opere di Frank Gehry. Il suo lavoro è visualmente radicale - con legami diretd con l'arte ·minimal, concettuale, processuale, sebbene nulla i:esti di una deviazione formalistica. Simultaneamente la sua appropriazione di materiali industriali aggiunge un tocco dia,
lettale, mentre i collage non proprio ortodossi con cui questi materiali vengono montati suggeriscono altre operazioni for mali 17• Le affinità che è facile riscontrare fra i lavori di Gehry e le opere di artisti come Carl Andre, Michael Heizer, Donald Judd e Richard Serra collocano l'opera di questo architetto in una posizione del tutto particolare nell'odierno panorama culturale. Il caos e il disordine visivo, accettati come il 'destino' in cui ci troviamo a vivere, diventano ele menti oggetto di magistrale manipolazione progettuale. La 'non cultura', una condizione autenticamente californiana, assieme alla dichiarata mancanza di serietà, diviene la via ad un'indagine paradossalmente colta e sofisticata. Gehry, come Picasso, non cerca: trova. L'amore per i materiali 'poveri' nacque molto tempo fa; egli stesso ricorda: Avevo molti clienti poveri. Credo che il primo stimolo fu per me la mostra sulle strutture primarie, al Jewish Museum, nel '67 o nel '66 18• Mi trovai di fronte ai lavori di Cari Andre, e per la prima volta mi interessai a quelli di Don Judd, e all'idea che si potessero fare delle opere d'arte dal nulla 19• Per orientarci sulla sua mappa culturale ricor diamo anche il retroterra russo-polacco che lo avvicina al costruttivismo ed il forte fascino esercitato su di lui dalle qualità del non finito proprie dei quadri di Pollock e de Koo ning, ma anche di Cézanne. La pratica dell'architettura è vista a pieno diritto come arte. La manipolazione formale costituisce il comune denomi natore tra la necessità di autoespressione individuale ed il raggiungimento delle aspirazioni . collettive della società. Lo stesso Gehry afferma: l'architettura deve prima di tutto rivolgersi a problemi di funzione. Ma, dato per scontato tale principio, riconosco parimenti che i lavori degni di nota in qualsiasi campo hanno sempre avuto .una vita giocata su molti altri livelli. Sono proprio questi livelli al di là della funzione che consentono . all'architettura di ottimizzare le sue possibilità, ma anche alla società di adoperare l'architet tura come uno dei mezzi attraverso il quale esprimere la co �cienza individuale e collettiva 20• La ricerca di Gehry si sta .rapidamente evolvendo nel- 63
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l'esplorazione del 'villaggio', un insieme discreto di 'oggetti scultorei', autonomi ma legati fra loro come per attrazione magnetica, con l'adozione di un tipo di densità paragonabile più al 'low rise - high density' di scuola inglese che all'acro poli ellenica o alle 'follies' disseminate nel parco di Philip Johnson nel Connecticut. La residenza progettata a Beverly Hills è in realtà una ristrutturazione: la casa, già esistente, viene trattata come un podio gigante in grado di ospitare, una volta demolito l'ultimo piano, una serie fantastica di 'oggetti': una sala TV a forma di ziggurat, una cucina coperta da un cupolone emi sferico, uno studio voltato ed illuminato dall'alto: moderna acropoli domestica. La casa Norton, appena costruita sulla spiaggia di Venice, si è rivelata uno dei lavori più provocatori di Gehry: l'espe diente adoperato per la sua casa di Santa Monica, un esterno (la facciata della casa esistente) che funziona da interno per la cucina (collocata nel corpo aggiunto), viene qui capovolto: è la stessa facciata ad essere stavolta sfrontatamente 'ester nata'. Una immaginaria catastrofe ha distrutto metà dell'edi ficio, lasciandone a vista, da un lato, scale interne ed ambienti (ma la vita come performance ha bisogno di vetrine più che di muri). L'effetto è rinforzato dall'uso, all'esterno natural mente, di rivestimenti murali da interni e da un muro 'deco struito' che esibisce la sua struttura lignea. Non si tratta di un catastrofismo di maniera, sul genere di quello dei S.I.T.E., più legato ad immagini scultoree (S.I.T.E. sta per « Sculptu re in the Environment ») e non esente da un certo 'trova tismo' ludico di gusto pubblicitario. Nel caso di Gehry l'en tropia genera il progetto, o forse il progetto degenera in entropia. L'Aerospace Museum infine, progettato per l'Exposition Park, appena in tempo per l'apertura dei Giochi Olimpici dell'84, comprende una grande sala multipiano per le mostre temporanee ed un 'teatrino dello spazio'. Lo stesso edificio funge però da supporto espositivo supplementare: un grande aereo è sospeso scenograficamente ad una parete esterna. La forte sensibilità di Gehry riesce a dare unità ad un oggetto
caotico che oscilla fra echi costruttivisti e l'uso schizofrenico di dettagli high-tech e di referenze Art Déco. Dal composito panorama delineato possiamo forse trarre alcune considerazioni conclusive. Il basso grado di ideologizzazione che caratterizza la gran parte degli architetti operanti in California, unito alla man canza di linee di intesa comune chiaramente definite, induce a pensare ad un quadro disomogeneo. I trends stilistici, utili, al di là delle possibili confusioni, a New York o a Milano, sono qui di non grande aiuto. Un anarchico sperimentalismo sembra essere in California il carattere dominante, dovuto forse a tre fattori concomi tanti. Il primo è l'enorme e capillare diffusione della libera professione, spesso praticata in piccoli studi. L'isolamento, favorito dalle grandi distanze, fa sì che la sperimentazione possa spingersi molto in avanti prima di incontrare reazioni critiche. Il secondo fattore ci sembra la favorevole condizione economica, che consente quanto spesso altrove sarebbe sem plicemente impensabile e che ha provocato la diffusione su vasta scala del modello insediativo unifamiliare (non a caso, diversamente da quanto avviene in ogni altra città, a Los An geles le opere dei maestri del Movimento Moderno, da Gill a Neutra, da Schindler ai Greene, a Frank Lloyd Wright sono prevalentemente rappresentate da ville). Il terzo ci sembra una certa naturale propensione alla creatività ed all'invenzione, spesso oscillante tra i due poli della pratica di un artigianato che perpetua una tradizione di alto prestigio e dell'applicazio ne delle più avanzate e sofisticate tecnologie contemporanee. Eppure tutti questi sono componenti che apportano un contributo importante, ma non ancora decisivo. In realtà il fattore che più di ogni altro costituisce uno stimolo per la produzione architettonica californiana è il rapporto con la pratica artistica. L'architettura è qui, prima di tutto, arte. E l'architetto è, prima di tutto, un artista militante. Il le game con l'arte non è colto e mediato, come avviene, ad esempio, a New York: è un legame istintivo e viscerale!, profondo, avvolgente. Se ciò è vero per l'architettura della California, lo è ancor più per la città che in assoluto ne in- 65
carna lo spirito e ne condiziona il futuro: Los Angeles. C'è mai stato si chiede Michael Sorkin un libro su L. A. che non abbia un'immagine di David Hockney o di Ed Rusha? Con il 'Los Angelismo' l'artista è sovrano, perché, come il filosofo di Platone, la sua comprensione è la più profonda 21.
I S. SAITOWITZ, in California Counterpoint: New West Coast Archi Catalogue 18, The Institute for Architecture and Urban Studies and Rizzoli International Pubblications Inc., New York, 1982, p. 103. 2 Ibidem. 3 Ibidem. 4 J. KEROUAC, On the road, 1957, trad. it., Mondadori, Milano, 1959. s S. GRANT LEWIN, California Architecture - Celebrations and ln11ovations, in The California Condition, A Pregnant Architecture, La Jolla Museum of Contemporary Art, 1982, p. 36. 6 lvi, p. 37. 7 D. SOLOMON, B. STAUFFACHER-SoLOMON, in The Califomia Condition, cit., p. 87. a Cfr. ·rhe California Condition, cit. 9 R. BANHAM, Los Angeles. The Architecture of Four Ecologies, Penguin Books Ltd., Harmondsworth, 1971, p. 58. 10 La frase di Charles Moore è riportata in D. LITTLEJOHN, Architect. The Life & Work of Charles W. Moore, Holt Rinehart Winston, New York, tecture 1982,
1984, p. 18.
11 Ibidem. Cfr. L. WHITESON, On Architecture, in « Los Angeles Herald •, 15 luglio 1984. 13 E. O. Moss, The End of the Beginning, in The California Con_ dition, cit., p. 70. 14 A. BATEY, M. MAcK, in La Presenza del Passato, Ed. La Biennale di Venezia, Venezia, 1980, p. 81. 15 T. SEWELL, introduzione a J. GIOVANNINI, Real Estate as Art. New Architecture in Venice, The Sewell Archives, Venice, 1984. . 16 J. GIOVANNINI, op. cit. 17 L. S. SHAPIRO, A minimalist architecture of allusion: current pro ·;ects of Frank Gehry, in « Architectural Record», giugno 1983. 18 La mostra « Primary Structures» fu la prima vasta esposizione di arte minimal e si tenne al Jewish Museum di New York nella prima _vera del 1966. Cfr. C. TOMKINS, 0ft the wall - Robert Rauschenberg and -the Art World of Our Time, Penguin Books, New York, 1980, p. 255. 19 B. DIAMONDSTEIN, American Architecture Now, Iµzzoli Int., New 'York, 1980, p. 35. 20 F. GEHRY, in Tlze Californio. Condition, cit., p. 40. 21 M. SoRKIN, Explaining Los Angeles, in California Counterpoint, cit., p. 13. 12