Op. cit., 68, gennaio 1987

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gennaio 1987

selezione

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numero 68

della critica. d'arte contemporanea

Il punt.o sul l'IBA - Design e riviste specia izzate - Barthes e l'arte con temporanea - Libri, riviste e mostre edizioni

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il centro Âť


Op.cit. rivista quadrimestralo di selezione della critica d'arte contemporanea

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ricani, hanno fatto dimenticare quello che ci sembra il vero punto di forza di tutta l'operazione: l'impostazione generale, di ordine urbanistico e amministrativo che, con una precisa definizione degli obiettivi, con un consolidato background teo­ rico ed una efficiente macchina organizzativa, ha permesso la sostanziale riuscita del programma. L'IBA ha ridisegnato, restaurato e ricostruito la città spe­ rimentando un rapporto fra piano e progetto sostanzialmente rinnovato. All'interno di un programma chiarissimo nei suoi intenti ed estremamente coerente nel rapporto fra ipotesi culturali e scelte esecutive, la stessa presenza dei più noti architetti del panorama internazionale va ridimensionata: la prova di ciò è il rigore delle risposte progettuali fornite da molti giovani architetti tedeschi. L'IBA, Internationale Bauausstellung Berlin, è una grande mostra d'architettura che si colloca nella tradizione delle tre celebri esposizioni berlinesi sulla città: quella del 1911, sul tema dell'organizzazione di una città di più milioni di abi­ tanti; quella del 1931, sul tema degli aspetti sociali nella co­ struzione degli alloggi (Onkel Toms Hlitte, Siemensstadt e altri nuovi quartieri residenziali); I'Interbau del 1957, sul tema dei nuovi modelli per la ricostruzione di una città di­ strutta (Hansaviertel). La prima decisione a favore di una grande esposizione d'architettura nel 1984 viene proposta alla Camera di Berlino nel '78. Nel febbraio del '79 la Bauausstellung Berlin GmbH viene costituita come impresa, una società a responsabilità limitata. Vengono nominati i direttori della progettazione: Osvald Mathias Ungers, che declina subito la nomina, Josef Paul Kleihues, Hardt-Waltherr Hamer e Thomas Sieverts. Il programma generale, estremamente ambizioso, è risul­ tato ben presto troppo vasto ed impegnativo per poter essere concluso entro il 1984. Così il Senato di Berlino decide di prolungare l'esistenza stessa dell'IBA fino al 1987, riman­ dando quindi l'esposizione e facendo dell'84 un anno d'infor­ mazione. Una volta steso il programma generale, l'IBA ha iniziato a bandire i primi concorsi. In realtà tutta una serie di pro-


cedure operative ne hanno affiancato i normali meccanismi. L'attività propedeutica all'istruzione dei concorsi veri e pro­ pri si è avvalsa infatti di seminari in cui sono stati coinvolti gruppi precisi di fruitori, reclutati facendo ricorso ad inchie­ ste preliminari. Si è tentato sempre di garantire la massima trasparenza procedurale, per verificare i consensi e promuo­ vere un dibattito prima della definizione dei singoli progetti. I concorsi poi sono stati banditi con procedure diversificate, aperte o chiuse, nazionali o internazionali, a seconda della specificità dei singoli interventi e della rilevanza e della com­ plessità che essi presentavano. Forse però i meccanismi ope­ rativi più interessanti, anche se meno appariscenti, sono stati quelli adoperati per la riqualificazione del patrimonio edilizio esistente: ci si è misurati con l'opinione pubblica, ma so­ prattutto con gli inevitabili conflitti d'interesse generati. dai programmi d'intervento. Una serie di seminari e di ricerche preparatorie si sono rivelati un metodo adeguato alla defini­ zione di obiettivi spesso contrastanti e al tempo stesso un buon punto di partenza per l'istruzione dei progetti. L'IBA pone come obiettivo primario il recupero del cen­ tro della città a luogo residenziale; non tende a performan­ ces eccezionali, ma all'elaborazione di punti di partenza esem­ plari per avviare la riqualificazione e la costruzione di Ber­ lino 2• Tra gli obiettivi politici va ricordata la volontà di spe­ rimentare nuove forme di gestione, con particolare attenzione all'infrastrutturazione sociale, alla definizione degli spazi pub­ blici, ai nuovi modelli di habitat, alla soluzione dei problemi dei gruppi marginali. Va poi segnalata la volontà di dare un nuovo impulso al ruolo culturale della città a livello interna­ zionale, di fare anzi di Berlino un modello di processo di urbanizzazione a scala mondiale, di offrire un contributo scientifico operativo al dibattito architettonico e urbanistico ai massimi livelli. Lo schema dell'esposizione viene articolato su tre piani 3: 1) La città come programma: ricerche, concorsi, pianifi­ cazioni. 2) La città come comunicazione: esposizioni, pubblicazio­ ni, seminari.

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3) La città come costruzione: edificazione e sistemazione delle aree d'intervento. L'IBA vede il suo compito come l'istituzione di W1 pro­ cesso: partendo dalla condizione urbana policentrica di Ber­ lino, peraltro comune a molte altre città, si è deciso d'inter­ venire in più zone, sparse sull'intera area metropolitana. I problemi che ci si propone di affrontare sono essenzialmente di ordine architettonico/urbanistico (compensazione qualita­ tiva fra i vari quartieri, potenziale rigenerativo della città, arte e architettura come contributo al miglioramento della qualità della vita, decentramento e rafforzamento della strut­ tura policentrica, utilizzazione e recupero degli edifici e de­ gli spazi urbani, spazio pubblico come spazio vitale); di or­ dine ambientale (il risparmio energetico, i problemi ecolo­ gici, l'utilizzazione attenta delle risorse, l'umanizzazione della circolazione); di ordine socio-economico (partecipazione dei cittadini, alloggio e lavoro per i gruppi culturalmente auto­ nomi, soprattutto stranieri, e per i portatori di handicap, nuove forme di habitat per nuove strutture familiari). Tali problemi vengono affrontati operativamente in alcune zone della città. Tre aree interdipendenti costituiscono il nu­ cleo principale della mostra e dell'attività dell'IBA. Ciascuna di esse costituisce un particolare problema urbano per il quale è richiesta una soluzione specifica. La· prima è Kreuzberg (rinnovamento urbano sul piano sociale, economico e architettonico); la seconda è la Siidliche Friedrichstadt (riqualificazione urbana e recupero della strut­ tura dello spazio urbano in rapporto al piano storico della città); la terza è il Tiergarten (completamento del forum della Kemperplatz e rivitalizzazione del quartiere con la sistema­ zione di un nuovo parco). Sono poi state scelte altre tre zone operative minori, ove si propongono soluzioni a particolari problemi urbani: il ridisegno di una piazza all'interno della città nella Pragerplatz, habitat e tempo libero sul lago a Tegel, risanamento del nucleo antico secondo il disegno sto­ rico a Spandau. A prima vista la decisione d'intervenire in aree cost diverse e ·così lontane fra loro potrebbe sembrare dispersiva; in realtà essa va inquadrata all'interno della già







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La presenza di « firme » famose, come quelle di Hans Hollein, Giorgio Grassi e Aldo Rossi, garantisce interesse all'intervento. Tuttavia il lato più discutibile è proprio que­ st'aspetto da vetrina dell'architettura contemporanea, in cui tutte le variazioni all'interno dell'universo post-moderno sono possibili, dove paradossalmente il contenuto riserbo gras­ siano finisce col funzionare in maniera analoga alle ridon­ danze formali cli Hollein 11• Questo dunque il nucleo principale dell'attività dell'IBA: un complesso sistema urbano fatto di tre parti strettamente interconnesse tra loro, che occupano una fascia d'importanza primaria nel disegno della città. Qui le ferite della guerra e la lacerazione del muro hanno provocato i danni maggiori; qui massima è l'accumulazione di significati storici e cultu­ rali; qui la ricostruzione post-bellica ha fatto i suoi guasti più consistenti. Ci restano ancora da analizzare le tre aree d'intervento « minori » che, seppur meno essenziali per il disegno com­ plessivo della città, costituiscono però delimitati e circoscritti problemi urbani, a conferma della necessità d'intervenire oggi e in futuro in punti anche diversi e lontani a garanzia della marcata policentricità metropolitana di Berlino. La prima di queste è costituita dalla Pragerplatz, una delle piazze più centrali e piacevoli della Berlino imperiale, nell'area residenziale di Wilmersdorf: uno spazio ellittico chiuso da dignitosi edifici dell'eclettismo guglielmino non privi di una loro decorativa nobiltà. Dopo le distruzioni bel­ liche l'area è diventata una vasta terra di nessuno, un nodo cli traffico dove anonime costruzioni si affiancano a zone semiabbandonate; solo il nome resta a memoria dell'antico prestigio della piazza. L'IBA ha promosso un concorso per la risoluzione di questo problema urbano, prevedendo l'in­ serzione di nuove funzioni, nel tentativo di ricucire la piazza al qualificato contesto cli cui è parte. Interessanti le solu­ zioni di Gottfried Bohm e di Rob Krier: entrambe man­ tengono il disegno a terra, che viene anzi definito dalle ri­ curve facciate degli edifici. Grandi gallerie vetrate ospiteranno attrezzature commerciali, sociali e sportive. Come


spesso avviene per i progetti di massima dell'IBA, è pre­ visto che la determinazione finale dei singoli pezzi verrà poi affidata a vari architetti 12• La seconda area d'intervento è costituita dal sobborgo di Tegel, sulle rive del lago omonimo, al confine nord-occi­ dentale della città. Tegel, con il suo castello schinkeliano, sta a Berlino come Versailles o Windsor stanno a Parigi o Londra 13• Luogo privilegiato per la villeggiatura e il tempo libero, è diventato sempre più ambito dopo la costruzione del muro. I berlinesi non possono sfuggire alla loro città (anche nel mezzo del grande bosco di Griinewald si sente il rumore del traffico che scorre sulle autostrade). La preserva­ zione dell'ambiente naturale è per essi molto più importante di quanto lo sia per gli abitanti di una qualsiasi altra città. A Berlino, più che altrove, l'esigenza di reperire spazi da de­ stinare all'industria e alle infrastrutture deve continuamente misurarsi con l'opposta necessità di qualificare, perimetrare e proteggere un ambiente naturale sempre più compro­ messo ed inquinato, schiacciato fra il muro e l'avanzata della città. Due i progetti fondamentali previsti dall'IBA, uno realiz­ zato, l'altro in costruzione. Si tratta del pubblicatissimo im­ pianto per l'eliminazione dei fosfati dalle acque del lago, di Gustav Peichl, del quale chiare sono le intenzioni simboli­ che, in un'epoca connotata da una crescente sensibilità eco­ logica 14, ed il nuovo grande centro residenziale e ricreativo di Moore, Ruble e Yuddel, vera e propria isoletta al centro del porto di Tegel 15• Terza ed ultima fra le aree d'intervento minori dell'IBA è la città di Spandau, antico centro all'estremità occidentale del territorio di Berlino Ovest, orgoglioso della sua autono­ mia e della sua identità culturale. Il suo ruolo eminente­ mente residenziale si è andato a mano a mano indebolendo con la crescita delle attività terziarie, con l'incremento del traffico automobilistico e con la carenza d'infrastrutturazione sociale. L'IBA ha posto come obiettivo l'inversione di queste ten­ denze: la crescita del potenziale residenziale della città si 15





sce un riferimento obbligato per chi voglia verificare la teo­ ria nella realtà.

I Cfr. La. ricostruzione della città, a cura di M. De Michelis, P. Ni­ colin, W. Oechslin, F. Wemer, XVII Triennale di Milano, Electa, Mi­ lano 1985. 2 Premiers projets en vue d'une rénovation urbaine circospecte, Ex­ position lnternationale d'Architecture Berlin 1984. l Ibidem. 4 Cfr. Problèmes de la population étrangère dans les zones de ré­ novation urbaine, in Premiers projets... , cit. s IBA Internationale Bauausstellung Ber/in '84 '87, Projectiibersicht, Stadtneubau und Stadtcrneuerung, Internationale Bauausstellung Ber­ lin 1987, Berlin 1984. 6 Bonjour tristesse, Storia di un progetto, in e Lotus Internatio­ nal », n. 41, 1984. 7 V. MAGNAGO LAMPUGNANI, Der Horizont der Vergangenheit, in In­ ternationale Bauausstellung Berlin 1984, Die Neuebaugebiete, Dokumente Projecte 2, Quadriga Verlag, Berlin 1981, p. 237. 8 Cfr. Internationale Bauausstellung Berlin 1984, cit., p. 284. 9 Nella stessa zona andrebbero menzionati i progetti di Rem Kool­ haas (OMA), di Aldo Rossi e Gianni Braghieri, di Raimund Abraham. IO P. ARNELL, T. BICKF0RD, James Stirling, Buildings and Projects, James Stirling Michael Wilford and Associates, The Architectural Press, London 1984, p. 283. 11 Cfr. Sudliches Tiergartenviertel, Beispiel RauchstraPe, in Inter­ nationale Bauausstel/ung Berlin 1984, cit., p. 201. 12 Cfr. Prager Platz, in e Domus » n. 623, dicembre 1984. 13 « Paris ist nicht gut ohne Versailles, London nicht gut ohne Windsor, Berlin nicht ohne Charlottenburg, ja fiir den Feinschmecker nicht ohnc Tegel zu denken •• Theodor Fontane, cit. in J. P. KLEIHUES, Tegel, in Internationale Bauausstellung Berlin 1984, cit., p. 121. 14 Cfr. Berlin-Tegel: Phosphate Elimination Plant, in • Domus •• n. 667, dicembre 1985. 15 D. LITILEJ0HN, Architect, The Life and Work of Charles W. Moore, Holt, Rinehart and Winston, New York 1984, p. 305 e sgg. 16 Cfr. Rénovation urbaine dans la cité de Spandau, in Premiers projets... , cit., p. 59. 17 J. P. KLEIHUES, Berlino '84: errare per non smarrirsi, in e Do­ mus • n. 623, cit. 18 Ivi. Sul rapporto con il Movimento Moderno cfr. anche gli scritti di P. A. Croset, W. J. Siedler, in « Casabella • n. 506, ottobre 1984. 19 P. PORTOGHESI, Qualità nella città, in e Domus • n. 623, cit. 20 Cfr. G. VATIIM0, Progetto e legittimazione I, in « Lotus lntema­ tional • n. 48/49, 1986. 21 Cfr. F. PURINI Que la guerre commence... , in J. P. Jungrnann, H. Tonka, Roma Ro�e, Vaisseau de pierres Architectures 1, L'ivre de pierres, Champ Vallon, Paris 1986, p. 93.

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renco, è prodotto da Altana. E via di seguito sullo stesso re­ gistro 5• E vale la pena infine di esibire un ultimo esempio di de­ scrizione di interno come catalogo, tratto da una rivista che ha celebrato di recente i.I venticinquennale della fondazione: Nel soggiorno [ ... ] un tocco anni Trenta è dato dalla pol­ trona rossa di cuoio bulgaro « Vanity Falr,., che fu disegnata appunto nel 1930 ed è tuttora prodotta da Poltrona Frau. Con la poltrona, un divano grigio chiaro dalla linea sem­ plice - l'unico pezzo recuperato fra quelli trovati in casa e un divano giallo «Taxi» (BBB, design Giorgio Decursu). Fra i divani un tavolino metallico «Metro System,. (1930, Metropolitan Wire Corporation Usa, distribuito in Italia da Joint). Poi il noto specchio a cornice ondulata disegnato da Ettore Sottsass nel 1970 per Poltronova, un tavolo da pranzo con piano in linoleum nero (design Maurizio Perogalli, pro­ duzione Zeus, distribuzione Arflex) e sedie «Montecarlo,. della giovane produzione spagnola: sono di lnde Casa e a Milano si trovano presso High Tech, eccetera 6• A questo punto sia lecito introdurre una riflessione, senza avere qui la pretesa di svilupparla fino in fondo. :e. stato di recente persuasivamente comprovato lo spessore ideologico delle scelte narrative sottese a quegli importanti affondo sto­ riografici che hanno assunto il M.M. come « eroe del Raccon­ to ,. 7• Ebbene, all'insegna di una analoga metodologia si po­ trebbe leggere questo insieme di riviste contemporanee come un corpus omogeneo, esattamente come testo, fondato su leggi retorico-narrative. Si pensi, ad esempio, a quel vero e proprio Evento costituito, sulle pagine delle riviste, dal Sa­ lone del Mobile. Un evento, in termini narratologici, è il pas­ saggio da una situazione A a una situazione B: ecco, per citare uno dei tanti esempi possibili, come esso viene sotto­ lineato, nel 1985, su una delle riviste più diffuse di questo segmento editoriale, ossia «Abitare», in un redazionale che presentava le novità esibite al Salone: Partiamo dall'alto, guardiamo un pezzo di città, ci avviciniamo gradualmente restringendo il campo ed esploriamo con una visione sem• pre più precisa i tetti, le case i rapporti fra i volumi i cor- 23





zione commerciale) e pubblicistica specializzata; aspetto che investe poi problematicamente anche il configurarsi del de­ signer come personaggio mondano. Nel mondo del prodotto industriale, il ruolo del proget­ tista è di norma coordinato con quello degli esperti di mer­ cato da un Iato e di ingegnerizzazione della produzione dal­ l'altro e, in alcuni casi, la funzione del designer è addirittura subordinata alle prime due: pensiamo, ad esempio, all'indu­ stria degli elettrodomestici. Nel campo dell'arredamento, com'è noto, l'apporto del designer - ancorché di dimen­ sioni rientranti nella norma - è proiettato all'esterno del­ l'azienda in moltissimi casi in maniera sproporzionata al contributo effettivo o effettivamente necessario; e questo ac­ cade per l'importanza che il mercato connette soprattutto al valore della «firma». Questa procedura, se è di rado accettata nella quasi totalità dei settori merceologici - ed ha una funzione ancora marginale in un'industria come quella automobilistica, per la quale l'esplicitazione del ruolo di­ stinto del «carrozziere» ha un'importanza tutto sommato relativa -, per l'arredamento al contrario è tanto accen­ tuata da far risultare il progettista sempre più come «sti­ lista»; ed è questa singolare configurazione del ruolo che viene veicolata come plus tendente ad accreditare un mo­ dello o una produzione rispetto alle altre. In questo ambito le riviste del settore giocano, si sa, un ruolo decisivo: la struttura stessa del «catalogo•, come l'abbiamo or ora de­ scritta, è improntata a criteri per così dire onomastici in quanto assume in modo anodino gli esiti progettuali dei vari designers, le cui invenzioni sono trattate sempre più spesso alla stregua delle novità degli stilisti di moda (detentori, com'è noto, di un gusto più che di una cultura, di talento più che di un sapere scientifico). Le novità sono dunque acriticamente esibite e nient'affatto giudicate, se non col sommesso e falso stupore di chi è al cospetto di un'opera valutabile al più sul piano dell'immagine. Se per avventura un progetto è scaturito da scelte concettuali complesse, da criteri di pianificazione del prodotto o da istanze socio-eco­ nomiche, sociologiche e tecnologiche, una siffatta genesi viene 27


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di consueto ignorata o al più raccontata - sulle riviste come un surplus poco o nulla indispensabile, quando non sia senz'altro esorcizzata, secondo una strategia uguale e contra­ ria, in modo spettacolare (la tecnologia come performance nella poltrona « Antropovarius »). Naturalmente non è com­ pito delle industrie, se non in occasioni particolari, illustrare i criteri che hanno presieduto strategie aziendali o scelte pro­ gettuali. Quando questo accade, sono per lo più gli stessi consulenti delle industrie di volta in volta interessate a vei­ colare con i mezzi opportuni (publiredazionali, articoli o ser­ vizi « dedicati », monografie, mostre) le informazioni sulle iniziative intraprese; in caso contrario al pubblico non è dato di sapere quasi nulla dei progetti pubblicati o degli oggetti illustrati dalle riviste; ossia agli utenti, come agli stessi addetti ai lavori, non è offerta dalla pubblicistica cor­ rente alcuna valutazione critica, di un progetto, che tenga conto, oltre che di una descrizione e di un'analisi di tipo tecnico-merceologico, anche e soprattutto di una interpreta­ zione nel contesto della teoria e della storia della disciplina (a seconda dell'approccio: industria! design o arredamento). Certo questo atteggiamento critico che è invece consueto nel campo dell'architettura, non potrebbe - com'è evidente che giovare innanzitutto al design del mobile. Sarebbe cosl periglioso - vien fatto di chiederci - rivelare al pubblico che, poniamo, una lampada prevede un consumo eccessivo in rapporto alla luminosità; che una poltrona ha un costo troppo elevato in merito al rapporto durata/prezzo vuoi per la resistenza dei materiali vuoi per l'obsolescenza del model­ lo? E una critica onesta e non impigrita infrangerebbe dav­ vero pretese « regole del gioco » se si spingesse a sottoli­ neare che un prodotto recente come, ad esempio, il telefono di Giorgio Armani per la Italtel non è adatto ad un uso spigliato (è scomodo da impugnare) e confidenziale (è invece una presenza frigida e vagamente ostile) come ci si poteva attendere da un apparecchio tanto reclamizzato e dopo che per anni abbiamo usato il e Grillo » di Zanuso e Sapper? che, ad esempio, il tavolo e Serenissimo» di Lella e Massimo Vignelli è un oggetto ad alta reazione poetica, certo, ma poco


caratteristica rispetto agli standard canonici di un prodotto industriale (si pensi alle gambe rifinite con la costosissima e manuale tecnica dell'encausto)? Insomma, ci si vorrebbe aspettare dal critico - per una sempre più urgente questione di stile, cioè di etica - che egli ricopra il ruolo richiesto dall'etimo, ossia che distingua, in modo da rappresentare una utile mediazione, un filtro si­ gnificativo, tra i due momenti terminali individuati da De Fu­ sco nella fenomenologia del design, la commercializzazione e il consumo. Solo impugnando senza disagio o preventiva sot­ tomissione gli strumenti di una critica positiva, l'« addetto ai lavori» potrà diventare interlocutore attivo rispetto al mondo della produzione, invece che il triste ossequiente ama­ nuense che si limita a prendere atto di quanto è già acca­ duto. In questa prospettiva, di un comune lavoro « di sele­ zione, di educazione, di reale contenuto spirituale e tecnico» - per rimettere in corso l'antica ma non scaduta parola d'ordine di Ponti 16 - potrebbe ridursi anche il fenomeno a nostro avviso negativo della crescente distanza fra il lavoro dello storico e quello del critico militante, fra la scrittura in volume e quella, di per sé, effimera, della rivista. Di qui, la sottolineatura da parte nostra della narratività, del rac­ conto come originario « valore storiografico»: del testo cioè capace di dar conto della realtà profonda e complessa del­ l'intérieur contemporaneo, che viene invece abrasa in virtù della valenza di per sé indiscriminatamente apologetica del­ l'immagine bella. Oppure, intorno all'assenza dell'Interno, il discorso delle riviste specializzate sarà una vera « fabbrica del vuoto», in ultima analisi controproducente, non già ai fini di quella progettualità data da troppi per estinta, ma proprio in vista di una pur ridotta normatività entro i cui assi deve muoversi il Prodotto.

I Ci pare opportuno parlare di 'modello' piuttosto che di 'stile'. Difatti come ha suggestivamente notato Mario Bellini: e lo stile ita­ liano non è uno stile; è uno stato di grazia che tiene da più di tren­ t'anni, è un lievito ormai diffuso nello stile di vita di quella società

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Barthes e l'arte contemporanea GIUSEPPINA DAL CANTON

Scorrendo la vasta bibliografia di Roland Barthes 1, si può notare come, fra i molteplici interessi di questo sempre at­ tuale maitre à penser, l'attenzione per le arti visive, in par­ ticolare per l'arte contemporanea, si manifesti fin dai primi anni della sua attività critica 2 e accompagni poi, con diversa frequenza, il percorso pluridirezionale dei suoi studi. :B nella seconda metà degli anni Sessanta e soprattutto negli anni Settanta che gli interventi barthesiani sulla « scrit­ tura del visibile» 3 raggiungono una punta notevole. Affian­ cati, per un buon tratto, dalla parallela attività disegnativa e pittorica dello scrittore, che tra il '71 e il '78, realizza con differenti tecniche, circa settecento opere su carta 4, tali interventi si situano in anni cruciali: sono gli anni del­ l'incontro, nella cultura francese, tra semiologia, marxismo e psicoanalisi 5, gli anni dei dibattiti seminariali che Bar­ thes riteneva più fecondi 6, di viaggi stimolanti - decisivo, per le sue scelte nell'ambito dell'estetica e della letteratura, il viaggio del '69 in Giappone -, di contatti e di scambi in­ tellettuali determinanti per la sua evoluzione teorica (da Lacan a Sollers a Julia Kristeva). Sono, dapprima, gli anni della pubblicazione di testi semiologici destinati al successo divulgativo, come, specie in Italia, Elementi di semiologia 1, o improntati ad un puntiglioso rigore scientifico, come Sistema della Moda•, ma anche, già a partire dal '66 9, gli anni della trasformazione del pensiero e del metodo barthesiani, 31















15 S. SoNTAG, Ricordando Barthes, in Sotto il segno di Saturno, Torino, Einaudi, 1982, p. 140. 16 Ivi, p. 139. 11 lvi, p. 138. 11 Interessanti osservazioni sugli scritti Il messaggio fotografico e Retorica dell'immagine, ora pubblicati in apertura di L'ovvio e l'ottuso, cit., si trovano nel saggio di U. Eco & I. PEZZINI, La sémiologie des • Mithologies •• in • Communications •• n. 36, 4° trim. 1982, pp. 34-35. 19 R. BARTHES, La peinture est-elle un la11g11age?, in e La Quinzaine littéraire •• Mars 1969. 20 R. BARTHES, La pittura è linguaggio?, in L'ovvio e l'ottuso, cit., p. 150. 21 Ibidem. 22 Ibidem. 23 Sulle contraddizioni implicate da questa tesi si veda, fra gli altri, il già citato saggio di U. Eco & I. PEZZINI, La sémiologie des • Mythologies ». 24 R. BARTHES, Elementi di semiologia, cit., pp. 14-15. 2S R. BARTHES, La pittura è linguaggio?, cit., p. 151. 26 Ibidem. 27 R. BARTHES, S/Z, Paris, Seui!, 1970; ed. it., Torino, Einaudi, 1973. Per una critica di S/Z e, più in generale, della narratologia di Barthes, si veda, fra gli altri, R. BARILLl, Tra presenza e assenza. Due modelli culturali in conflitto, Milano, Bompiani, 1974 (1• ed.), pp. 239-241. 28 R. BARTHES, L'empire des signes, Genève, Skira, 1970; ed. it., L'impero dei segni, Torino, Einaudi, 1984. 29 R. BARTHES, Sade, Fourier, Loyola, Paris, Seuil, 1971; ed. it., Sade, Fourier, Loyola. La scrittura come eccesso, Torino, Einaudi, 1977. JO A. GREIMAS, Roland Barthes: una biografia da costruire, in AA. VV., Mitologie di Roland Barthes, cit., p. 303 (già pubblicato in • Le Bul­ letin », organo del Groupe de Recherches sémio-linguistiques (EHESS). n. 13, marzo 1980). 3! Barthes di Roland Barthes, cit., p. 182. 32 R. BARTHES, L'impero dei segni, cit., p. 3. ll lvi, p. 27. 34 R. BARTHES, L'esprit de la lettre, in • La Quinzaine littérarie », Juin 1970, poi in Io., L'obvie et l'obtus, cit., pp. 95-98. lS R. BARTHES, Erté ou A la lettre, in L'obvie et l'obtus, cit., pp. 99121, pubblicato per la prima volta col titolo Letteralmente, in Erté ( Ro­ mai11 de Tirtoff), Parma, Ricci, 1970. 36 R. BARTHES, Lo spirito della lettera, in L'ovvio e l'ottuso, cit.,

p. 100. 37 Ivi, p. 102.

li Ivi, p. 103. l9 R. BARTHES, Erté o Alla lettera, in L'ovvio e l'ottuso, cit., p. 127. 40 Ivi, p. 119. •1 Ivi, p. 115. 42 Ibidem. ◄3 R. GIOVANNOU, Roland Barthes e l'immaginario, in AA.VV., Mitologie di Roland Barthes, cit., p. 161. ◄◄ Ivi, p. 159. ◄5 Cfr. Barthes di Roland Barthes, cit., p. 133. ◄6 Si veda, a questo riguardo, R. BARTHES, Il piacere del testo, cit., p. 63 [ ... ) il testo 11 fa, si lavora attraverso un· Intreccio perpetuo; sperduto In questo tessuto - questa tessitura - il soggetto vi si disfa, aiml.le a un ra1110 che 11 dissolva da sé nelle secrezioni co1tn1ttlve della IU8 tela.

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47 R. BARTHES, Sémiographie d'André Masson, prefaz. al catalogo della mostra André Masson, Tours, Galerie J. Davidson, 1973, ripub• blicato in diverse occasioni e, infine, in L'obvie et l'obtus, cit., pp. 142144. 48 R. BARTI-IES, Réquichot et son corps, in R. BARTHES, M. BILLOT, A. PACOUEMENT, Bemard Réquiclzot, Bruxelles, éd. de la Connaissance, 1973, poi in L'obvie et l'obtus, cit., pp. 189-214. 49 R. BARTHES, Semiografia d'A11dré Masson, in L'ovvio e l'ottuso, cit., p. 152. so Ibidem. SI lvi, .p. 153. 52 Ibidem. 5.l lvi, p. 154. 5-1 Ibidem. ss 1:: questo un concetto che viene ribadito e ampliato nel saggio Réquichot e il suo corpo, dove, fra l'altro, si legge: [ ...] il significato è sempre contingente, storico, inventato (in L'ovvio e l'ottuso, cit., p. 218). 56 1:: questo un motivo fondamentale nell'analisi dell'opera di Ré· quichot, che, quindici giorni prima del suicidio, stese sei testi indeci­ frabili intitolati, appunto, Scritture illeggibili (v. R. BARTHES, Réquichot e il suo corpo, in L'ovvio e l'ottuso, cit., pp. 218-219). 57 Si veda, fra gli altri, l'intervento di Barthes alla tavola rotonda organizzata nell'ambito del Colloque Pierre Francaste! del febbraio 1974 e intitolata La peinture et l'écriture des signes, pubbl. in « Collo­ quio/Artes », nn. 17, 18, 20, 1974 e ripubbl. in AA.VV., La sociologie de l'art et sa vocation interdisciplinaire. L'c:euvre et l'in{luence de Pierre Francastel, Paris, Denoel/Gonthier, 1976, pp. 171-241. 58 R. BARTHES, Réquichot e il suo corpo, in L'ovvio e l'ottuso, cit., p. 205. 59 Ivi, p. 206. 60 R. BARTHES, Notes de lecture ou All except you, prefaz. a S. STEIN· BERG, All except you, Paris, Repèrc l:.ditions d'Art • Galerie Maeght, 1983 (il testo di questo saggio in realtà è stato scritto nel 1977). 61 R. GIOVANN0LI, Roland Barthes e l'immaginario, in AA.VV., Mi• tologie di Roland Barthes, cit., p. 163. 62 R. BARniES, Arcimboldo ovvero Retore e mago, in Arcimboldo, testo cli R. Barthes, con un saggio di A. Bonito Oliva, Parma, Ricci, 1978, ora in L'ovvio e l'ottuso, cit., 130-147 e pp. 122-138 dell'ed. fran· cese, dove è stato tradotto col seguente titolo: Arcimboldo ou Rlzé­ toriqueur et Magicie11. 63 Si veda R. BARTHES, L'ancienne rhétorique: aide-mémoire, in e Communications "• n. 16, 1970; ed. it., La retorica antica, Milano, Bompiani, 1972 e 1979. 64 R. BARTHES, Deux femmes, in Mot pour mot: Artemisia (catalo­ go), Paris, Lambert, 1979. 65 R. BARTHES, Mémoire, in L'Oeil double de Gaetan Picon (catalogo della mostra), Paris, Centre G. Pompidou (18 aprile - 18 giugno 1979). 66 Si tratta cli Non multa sed multum, in Cy Twombly: catalogue raisonné des c:euvres sur papier, a cura di Y. Lambert, Milano, Multhi­ pla, 1979, poi in L'obvie et l'obtus, cit., pp. 145-162, e di Sagesse de l'art, in Cy Twombly. Paintings and Drawings: '54-77, catalogo della mostra, New York, Whitney Museum of American Art, 10 aprile- IO giugno 1979, poi in 'L'obvie et l'obtus, cit., pp. 163-178. 67 Sul rapporto fra la « poietica " e la e semiologia del pittorico ,. si veda R. PASSER0N, L'apport de la poiétique à la sémiologie du pictu· ral, in e Revue d'Esthétique », n. 1, 1976, ora in R. PASSl!R0N, E. GoM·


BRICH, L. M,\RIN, J. PETITOT, Semiotica della pittura, a cura di 0. Cala­ brese, Milano, il Saggiatore, 1980, pp. 33-48. 68 R. BARTHES, Cy Twombly o « Non multa sed multum,.• in L'ovvio e l'ottuso, cit., p. 158. 89 lvi, pp. 160-161. 70 R. BARTHES, Saggezza dell'arte, in L'ovvio e l'ottuso, cit., p. 180. 71 Ivi, p. 178. 72 R. BARTHES, L'arte, questa vecchia cosa..., in Pop Art: evoluzione di una generazione (catalogo della mostra a Palazzo Grassi di Venezia � marzo· 6 giugno 1980). Milano, Electa, 1980, poi in L'ovvio e l'ottuso, c1t., pp. 194--203 e pp. 181-188 dell'ed. francese, dove il titolo del saggio è Cette vieil/e chose, l'art... 73 R. BARTHES, Mythologies, Paris, Seui), 1957; ed. it., Miti d'oggi, Milano, Lerici, 1962 e Torino, Einaudi, 1974. 74 Cfr. S. S0NTAG, Ricorda11do Barthes, in Sotto il segno di Saturno, cit., p. 142. 75 R. BARTHES, L'arte questa vecèlzia cosa..., in L'ovvio e l'ottuso, cit., pp. 198-199. 76 lvi, p. 199. :e. questo un concetto presente anche nel testo della prefazione al catalogo della mostra Emmanuel Pereire, Paris, Galerie Knoedler, novembre 1965.

n Ibidem. 1s Ivi, pp. 199-200. 19 lvi, p. 201. 80 Ibidem. 81 Ibidem. 82 lvi, p. 202. 83 /vi, pp. 202-203.

84 T. DE MAURO, Prefazione a s. LAGORI0, op. cit., p. 9. 85 U. Eco, La maestria di Bartlies, in AA.VV., Mitologie di Rola11d Barthes, cit., pp. 301-302. 86 lvi, p. 303. 87 /vi, p. 304. Eco, in questa sede, confuta la tesi di chi vede in Barthes un celebratore dell'inafferrabilità del senso e un teorico della • jouissance » anarchicamente intesa, e avverte: [ ... ) dobbiamo stare attenti a non leggere Barthes alla luce di altre teorie del testo [... ) ap­ parse dopo Barthes (Ibidem). 88 A. GREIMAS, Roland Bartltes: una biografia da costruire, in AA. VV., Mitologie di Ro!and Barthes, cit., p. :,07. 89 Ibidem.

90 Ibidem.

91 P. FABBRI, E, ora, Bartltes, in AA.VV., Mitologie di Roland Barthes, cit., p. 100. 92 Ibidem. 93 s. LAGORI0, op. cii., p. 82. 94 Per Barthes, negli anni Settanta, il modello della decentralizza­ zione è rappresentato dagli ltaiku giapponesi: 11 corpus collettivo degll halku è un reticolo di gemme, dove ogni gemma rispecchia tutte le altre, e cosl. via, all'Infinito, senza che mal si possa afferrare un cen­ tro primario d'irradiazione (L'impero dei segni, cit., p. 92). 95 s. LAG0RI0, op. cit., p. 82. 96 Ibidem. La « concezione estetica del linguaggio ,. e la preoccupa­ zione di attuare, attraverso il linguaggio, un insegnamento « non im­ positivo ,. sono alla base della lezione inaugurale della cattedra di • Sé­ miologie littéraire "• che Barthes pronunciò al Collège de France il 7 gennaio 1977 (Lezione, Torino, Einaudi, 1981; ed. orig., Leçon, Paris, . Seui!, 1978).

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97 R. BARTHES, • L'Express" va più lontano con ... Roland Barthes, in Io., La grana della voce. Interviste 1962-1980, Torino, Einaudi, 1986 (ed. orig., Le grain de la voix. Entretiens 1962-1980, Paris, Seui!, 1982), p. 102 dell'cd. it.; il testo di quest'intervista apparve per la prima volta ne • L'Express" del 31 maggio 1970. 98 R. BARTHES, Ecrivains et écrivants, in • Arguments », n. 20, 4° trim. 1960; tr. it. in Io., Saggi critici, cit., pp. 120-128. 99 R. BARTHES, • L'Express" va più lontano con ... Rola11d Barthes, in La grana della voce, cit., p. 102. 100 Nell'intervista succitata, alla domanda: Il critico è uno scrit• tore o uno scrivente?, Barthes risponde: Dipende. Alla domanda succes• siva: Lei, è uno scrittore o uno scrivente?, risponde: Vorrel essere uno scrittore (Ibidem). 101 Sui rischi della cosiddetta •critica creativa» cfr. F. MENNA, Critica della critica, Milano, Feltrinelli, 1980, pp. 18-19. Nel medesimo saggio si vedano anche numerose considerazioni sulla critica barthe• siana (pp. 34-36, 42-43, 50-53, 59-60, 63, 67, 72, 82-83, 86-87 e relative note). 102 U. Eco, La maestria di Barthes, in AA.VV., Mitologie di Rola11d Barthes, cit., p. 298. 101 Ibidem. IOI lvi, p. 299. 1os Ibidem. 1011 Sulla •lezione" di Barthes in generale, oltre al succitato inter­ vento di Eco, si vedano: S. I..AGORIO, Barthes maestro, in op. cit., pp. 7983 e O. CAUBRESE, Barthes e non più Barthes, in • Panorama", 24 ago­ sto 1986, p. 109. 101 Osserva Pierre Rosenstiehl: [A Barthes) li prodotto della ricerca [... ] Interessa meno, In effetti, della continua messa in causa del se­ lJlO, ciò cui m'lra la ricerca (stochazomal). SI può dire che la sua ricerca progredisca ridefinendo costantemente la propria stocastica. (Labirinti. Il dodecadedalo o l'elogio dell'euristica, in AA.VV., Mitologie di Roland Barthes, cit., p. 239).

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