Op.cit. rivista quadrimestrale di selezione della critica d'arte contemporanea
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Edizioni e Il centro ,. di Arturo Carola
La necessitĂ del caso nell'arte
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Libri, riviste e mostre
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F. TENTORI
Architettura per chierici e per laici
P. DEGANEll.O
A cavallo del design
L. Mosc.uo
ESPOSITO
Alla redazione di questo numero hanno collaborato: Roberta Amirante, Marina Montuori, Liliana Moscato Esposito, Livio Sacchi, Maria Luisa Scalvini, Sergio Villari.
La rivista si avvale del contributo economico dei seguenti Istituti ed Aziende: Alessi Banco di Napoli Camera di Commercio di Napoli Cassina Driade 2CM Informatica Campania Riam Sabattini Zen Italiana
Architettura per chierici e per laici FRANCESCO TENTORI
Va ricordato, prima di ogni altra cosa, che una teoria con cernente alcunché (architettura o altro) può nascere in due modi: o dal punto di vista, e secondo gli interessi, dello/degli specialisti che quell'alcunché producono; oppure, dal punto di vista, e secondo gli interessi, dello/degli uomini comuni: i quali usano l'architettura, la vivono, la trasformano, la con sumano. Una teoria poetica - verosimilmente - è sempre nata dal punto di vista specialistico (o, per lo meno, io ignoro teorie poetiche nate dal punto di vista del consumatore), mentre credo che la maggior parte delle teorie del linguaggio (o, più estesamente, dell'informazione) - delle teorie, cioè, che con cernono una struttura comunicativa che interessa tutti i mor tali - sia nata come teoria per tutti, comprensibile e valida per tutti. Ho l'impressione che le teorie di architettura solo negli anni '20 e '30 si erano poste il problema della comprensione da parte dei comuni mortali: anche se, poi, quei comuni mor tali si riducevano ai privilegiati borghesi che potevano riem pire una sala per conferenze non troppo grande (le conferenze da tenere a Roma, Le Corbusier sognava di poterle fare al1'Augusteo, un cerchio da tremila persone. Andò a finire che le fece al Circolo di via Margutta: si e no trecento persone). Non a caso, in quegli anni, il problema, per il razionalismo, di diventare il linguaggio ufficiale, come il cattolicesimo si era
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posto - in Italia - l'obiettivo di diventare la religione di stato, era stato un problema molto serio. La contesa cogli accademici non era una mera questione di incarichi, e fu combattuta con lealtà oggi sconosciuta in entrambi i campi (conservatori e rivoluzionari). Essa non aveva niente a che · fare con le polemiche recenti dei cosiddetti post-modem: i quali parlano, è vero, a nome delle masse, ma con la stessa legittimità con cui, a nome delle masse, parlavano le Brigate Rosse, o con cui Mussolini «andava verso il popolo ». Quanto all'inesistenza - dopo gli anni '30 - di teorie ar chitettoniche «pratiche» 1, al fatto che - almeno per quello che io so - le teorie architettoniche, da cinquant'anni a questa parte, sono, come le teorie poetiche, prodotte esclu . sivamente per gli specialisti, è un fatto che la dice lunga sulle speranze che l'architettura moderna ha di diventare un lin guaggio comune e comprensibile da parte di tutti. A me, invece, interessa dire qualcosa di generale - dunque di teoretico - sull'architettura, cercando di partire dal punto di vista dell'uomo comune. Spero con molta problematicità, e poca perentorietà, di ipotizzare le possibilità per il domani ··- sempre ·rinviate �- di diffusione dell'architettura nuova; le possibilità che essa possa divenire di nuovo, domani, un fenomeno percettivo per· lo meno altrettanto coerente, conti nuo e chiaro, quanto lo è il linguaggio dei media 2• Si tratta, probabilmente, di una ipotesi assurda, per l'oggi. Specie se ha ragione la sociologa ungherese Zsusza Hegedus, la quale ha sostenuto che le nuove generazioni non riescono a capire più nemmeno il linguaggio comune 3• Un concerto come « Lide Aid -», secondo la Hegedus, ha consentito una presa di· coscienza a livello mondiale, del problema della fame, come nessun discorso avrebbe potuto fare. Ora; le affermazioni della Hegedus sono molto controverse se è vero che, sullo stesso giornale, qualche giorno dopo, Riccardo Bertoncelli, ricordando il trentennale del rock and roll, trovava che esso è divenuto soltanto un genere com• merciale, purtroppo diffuso quanto "l'inquinamento, ·ed ha smesso, da lungo tempo, di trasmettere qualsiasi messaggio 4• · Si potrebbe commentare che Bertoncelli è divenuto qua-
rantenne ed ha cessato di capire il rock and roll. Probabil mente il problema è più complesso: deriva dall'essere la mu sica strumentale in sé, come l'architettura, una espressione intellegibile universalmente solo in modo emotivo ed ambiguo. Una espressione - dunque - che, finché rimane solo questo, può entrare in sintonia e veicolare qualsiasi messaggio: il problema della fame nel mondo ma anche la violenza, il raz zismo, il fascismo. Ricordiamoci la « sigla» musicale di ricer noscimento di un personaggio nelle opere di Wagner o di Zandonai. Ricordiamoci « Vivere» di Kurosawa in cui un profondo significato è attribuito alle parole di una vecchia canzone « La vita è così breve... ». E difatti Kurosawa, al l'inizio, ce la fa ascoltare con le sue parole per esteso, poi invece - quando ritorna sul tema - fa sentire soltanto le note musicali, le quali « ricordano» allo spettatore il signi ficato. Questo, però, è capitato non solo al suono di strumenti musicali. Anche l'associazione della voce umana, che parla una determinata lingua, a messaggi già percepiti con chiarezza attraverso altri e cospiranti media, e per questo « già capiti», fa sì che meccanicamente noi riteniamo la voce umana « c<r spirante» con tali messaggi pur se essa pronuncia una lingua a noi sconosciuta. Così, nel finale del film « Il giardino dei Finzi Contini», la voce maschile che canta in jddish una can zone che io immagino (non conoscendo l'jddish) - ad un tempo - di dolore e di ribellione, è a quel punto, in grazia di precedenti messaggi compresi dallo spettatore, il veicolo del messaggio del film molto più dei blandi fotogrammi di Ferrara che scorrono negli ultimi minuti di pellicola. C'è però anche il caso in cui la possibilità di capire le parole non ha valore effettivo: la voce di Mussolini o di Hitler, nelle piazze di Roma e di Norimberga, non veniva intesa per le cretinate reali che i due dicevano - rispetti vamente - in italiano e in tedesco, ma come una sorta di canzone di guerra, capace di far marciare e combattere, ucci dere e morire, per coerenza coll'eccitamento iniziale. Una sequenza di atti logici - cioè - generati da un inizio folle. In comune, la condizione umana di chi ascoltava un mes- 7
l'automobile, sono stati studiati almeno da 25 anni da parte della scuola di Kevin Lynch. Rimane però, a questo punto, il problema della percezione per le rimanenti parti di città: percezione ancorata al movimento pedonale o, al massimo, con bicicli e ausiliari meccanici tipo tapis-roulants. Se va ricordato - infatti - che teoria viene dal greco « theor6s » colui che lancia uno sguardo (verosimilmente, da una posizione sopraelevata e panoramica, se non è sempre possibile da un ponte, come nel titolo del dramma di Miller) va anche precisato subito che la percezione teoretica può essere di carattere statico, oppure dinamico. Una visione generale statica è analoga a quella di colui che lancia un'occhiata circolare - proprio a 360° - ma da un osservatorio fermo (e si può guardare, in questo modo, sin cronicamente il mondo contemporaneo o, diacronicamente, la storia: ridotta, però, in generale, a storia del Mediterraneo o dell'Europa). Una visione generale dinamica è analoga a quella di un osservatore in movimento lento o veloce, rettilineo o ondeg giante, ordinato o disordinato, unico o iterato. Ossia compren de in sé una straordinaria complessità di stati percettivi. Come ho detto, la teoria può essere statica o dinamica, allo stesso modo della percezione dello spazio (e del tempo: rinvio ad una annotazione di E. N. Rogers che riferirò più compiu tamente tra poco). Sta di fatto, però, che l'estetica che accompagnava sia la critica che la produzione artistica dell'avanguardia moderna è stata sempre, e solo, basata sulla valorizzazione di una vi sione fortemente dinamica dello spazio, quale può essere data dalle velocità meccaniche in auge negli anni '30 (per auto e treni, ma anche per gli aerei); sulla convinzione - altresì che tale visione dinamica fosse pur sempre riconducibile (allo stesso modo della visione statica) a percezione chiara e di stinta, ossia a nuova classicità. Quando Philip Johnson sostiene, nel 1965, l'architettura non è la progettazione dello spazio ma piuttosto l'organizza zione dell'avvicinamento egli ripete idee razionaliste molto 9 diffuse e generalizzate negli anni Trenta.
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Va detto, però, che accanto al precedente tipo di· perce zione - che definisco « dinamica » - dello spazio, sta la per cezione « simultaneo-dinamica » di fatti statici, determinata ad esempio in modo più ingenuo, attraverso forme asimme triche e svastiche, in un modello come la pianta del Bauhaus a Dessau di Walter Gropius; oppure in modo più sofisticato, nuovamente simmetrico ma aprospettico, in un modello come la maison Savoye a Poissy di Le Corbusier. Rispetto a questa attenzione per lo spazio e per la dina mica nello spazio, l'estetica ottocentesca e quella post-modem privilegiano - invece - il movimento nel tempo, attraverso l'uso di stilemi storici omogenei o eterogenei (revival-eclet tismo), incontrando però fieri problemi di codice, o dovendo accettare la mancanza di comunicazione. I moderni sostenevano percezioni universali, dovute al modo d'essere, ai sensi dell'uomo (Einfuhlung o empatia). I post-modem ricascano sotto la tirannia del codice: o sappia mo che cosa siano gotico, classico, barocco, etc. - non solo ma che significhino nella fattispecie particolare, oppure ri schiamo di non capire nulla. Credo vada fatto cenno anche a problemi che percorrono la ricerca teoretica contemporanea, come ulteriori elementi di -differenziazione e di complicazione. C'è, ad esempio, chi tiene conto in modo basilare del fenomeno nazionalità e tende a ritenerlo una determinante in tutte le manifestazioni espres sive, dunque anche in architettura; un fattore di caratterizza zione che persiste anche attraverso - e successivamente a periodi di Volkerwanderungen. C'è - invece - chi ha una visione molto più sfaccettata del problema delle nazionalità: che vengono fatte coincidere non tanto col popolo, ma con il piccolo gruppo tribale 6: e da questa premessa consegue che la vita associata di qualsiasi regione è (o sarebbe) sempre determinata dall'intreccio di molteplici nazionalità, intreccio che diviene peculiare di ogni singola regione. Sono questi i teorici della regionalità, la quale sembra una via più sofisticata e raccomandabile, dal punto di vista scientifico, ma ha il rischio di essere talmente complessa da servire ben poco, nella decifrazione di una determinata
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- in questa sede disciplinare (che è di architettura, e non di entomologia) - della percezione eventuale dell'architettura che possono avere le api o le formiche, bisogna invece che ci preoccupiamo seriamente della percezione confusa e distorta che possono avere dell'architettura, oggi, le masse, il più dei viventi. Ho scoperto di recente un testo di Rogers che non avevo mai letto: si tratta del testo, registrato, dei suoi interventi estemporanei nella discussione avvenuta negli « Incontri Dui nati 1960 »: una iniziativa di Aurelia Gruber Benco che non proseguì. Ma in quell'anno 1960 erano convenuti a Duino, nel castello di Turm und Taxis, personaggi abbastanza diversi come Vincenzo Arangio Ruiz (1884-1964), professore di diritto romano, Guido Piovene (1907-1974), Ernesto N. Rogers, il prof. Lauger, austriaco, il prof. Nikouradse, bavarese, il pit tore Zigaina e altri. Rogers - come ho detto - non svolge una relazione orga nica. Interviene nella discussione, collegandosi, con qualche pretesto, alle relazioni appena svolte da altri ospiti (Lauger, Nikouradse, Zigaina) per sviluppare le sue idee (il tema molto generale era: la cultura). Per commemorare la figura di Ro gers alla sua scomparsa, nel novembre 1969, la Benco volle pubblicare su « Umana » questo testo di Rogers; fu - mi pare - una ottima idea. Forse perché si rivolgeva ad un auditorio non formato di specialisti dell'architettura, Rogers parla chiaro, sintetico, e il discorso risulta più organico di altre esposizioni. Anzitutto - egli fa rilevare - Cultura è coscienza della propria pre senza il che significa dare atto di sé, nello spazio e nel tempo. Forse - aggiunge Rogers - è la mia deformazione profes sionale di architetto che mi fa parlare anche dello spazio. Ritengo necessario includerlo nella coscienza della propria epoca come si fa, logicamente, per il tempo... Affermare se stessi, in senso proprio e culturale, significa essere presenti insieme agli altri - con o contro - In una scelta. 2 evidente che l'impegno morale consiste nel trovare armonia con chi fa parte assieme a noi, della stessa epoca. Quando si parla di unità della cultura - prosegue Ro-
soppressione di infiniti toni intermedii di grigio, bisogna se guirlo in quest'altro ragionamento: La storia è memoria ma anche smemoratezza e invenzione, e tutto il processo storico... può essere visto sotto l'aspetto dialettico di cose che « si ri cordano», di cose che « si dimenticano involontariamente», e infine di cose che « si vogliono, volontariamente, trascurare». L'architettura moderna... è proprio la riprova di questo procedere dialettico dell'invenzione: attraverso t ricordi, gli oblii, le volontarie deviazioni... L'architettura moderna non è cominciata in questi ultimi anni, bensl... ottanta anni fa ( e più) ed è naturale che coloro l quali volevano rinnovare il linguaggio... apparissero... del rivoluzionari. Cioè, degli uomini che passavano una spugna sulla storia per abolire i cosiddetti stili tradizionali, e creare un nuovo stile... L'azione di Van de Velde, di Gropius etc. era rivolta alla creazione di uno stile ampiamente diffuso e inteso. Ma le con dizioni sociali erano tali che, quella ampiezza, veniva a deli mitarsi e a contrarsi in sola coscienza borghese. Così le opere di architettura moderna... sono, spesso, allenate dalla vita e difficilmente esse si inseriscono sia nel l'ambiente preesistente che nella coscienza del popolo.
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Quanto al fatto che la sensibilità per l'architettura nuova si limitava alla coscienza borghese, è chiaro - aggiunge Ro gers - che il progresso sociale allarga progressivamente questa coscienza. Le masse, affiorando al livello della cultura, domandano una architettura ( che non è quella delle « élltes » produttrici), una architettura non più rispondente alle qua lità di cerchie personali selezionate quanto - piuttosto - a qualità diverse (cui sono sensibili le masse). Cioè oggi si tratta di quantificare la qualità ma il discorso si fa ancora più difficile quando, da architettonico, il problema diventa urbanistico e quando... da singolare, diventa generale. Quando, da fatto di invenzione puramente artistica, a sé stante diventa un fatto di inserimento in una coralità [inserimento in un am• biente, come quello italiano caratterizzato da] un'enorme ric chezza di condizionamenti [le preesistenze, nelle quali] inserirsi è estremamente difficile...
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tanto] che quanto faccio come architetto è una pietra della costruzione comune ... per la costruzione di quella cattedrale laica che possa reggere il paragone con le grandi cattedrali medioevali, le quali erano belle, come dice Le Corbusier, per ché ancora vergini... Io spero che siamo capaci di costruire questa cattedrale laica. Non la vedo ancora con i miei occhi di arhitetto, e nep pure la vedo con I miei occhi di clttadlno. Essa è una speranza, che mi dà la volontà di vivere per il domani. Il nostro grande problema è di costruire opere valide sia per i profani che per le élltes [perché tutte le opere veramente grandi] - la Divina Commedia, la cupola di San Pietro, il Cupolone a Firenze - sono sempre opere valide su due plani, su due registri (mentre le opere dell'avanguardia sono sempre state opere per pochi). Le opere che valgono per tutti, costi tuiscono una società mentre le opere che valgono soltanto per pochi sono opere da salotto, insufficienti a costituire una società. Ripeto, Rogers parlava nel 1960. Qualcosa più di trent'anni prima, Le Corbusier, concludendo Precisazioni sullo stato at tuale dell'architettura e dell'urbanistica aveva scritto: La ri voluzione architettonica stimolata dalle tecniche moderne è compiuta. Il mondo è teso . verso la realizzazione di compiti urgenti, il mondo freme nell'ora dei « grandi lavori ». È, in fondo, lo stesso modo di pensare - e di sperare per il fu turo - di Ernesto Rogers. Era l'epoca della grande crisi economica, ma, a dispetto delle difficoltà materiali, il mondo degli architetti sognava un'epoca di grandi trasformazioni. È questa speranza - in fondo - che in Rogers non era mai morta. Ma la speranza deg.Ii anni '30 era tutt'uno con il mito fascista: ovverossia, la palingenesi di una società medievale, anzi contadina arcaica (dominata dal decano, che decide per tutti) e insieme urbana (dominata dalle corporazioni delle arti e dei mestieri) in una nuova società che ha superato il contrasto città-campagna ed è - contemporaneamente - anticapitalista ed antiproletaria, si sviluppa sotto la guida di un Duce (Dose dicevano i Vene-
ziani) e attraverso la struttura corporativa che non cementa più una sola città, ma un'intera nazione o l'Europa intera. A questo credeva, in Francia il gruppo di « Préludes » (Winter, il medico di Le Corbusier, che è il direttore, Lagar delle, Le Corbusier stesso); a questo credeva, in Italia, il folto gruppo di «Quadrante», capeggiato da Massimo Bon tempelli e Pier Maria Bardi, e composto degli architetti dei CIAM Bottoni, Figini e Pollini, Terragni, BBPR ( che diven teranno membri dei CIAM nel 1937) nonché degli intellettuali più svegli di vari campi: dal teatro al cinematografo, dalle arti figurative alla poesia, dalla musica alla bonifica agricola, dalla tecnica industriale al restauro delle opere d'arte e al l'antiquariato. Penso di potervi risparmiare la Jettura di qualche passo - in fin dei conti - ammaliatore di Bardi. Ma il disegno programmatico era estremamente chiaro: lo Stato borghese possiede tutti i mezzi per la manipolazione ed il controllo del consenso tra i quali, a quell'epoca, conta ancora l'archi tettura; ed essa ha importanza- in fin dei conti- ancora per le stesse ragioni per cui l'architettura aveva contato nella poli tica dei Papi della Controriforma: rappresentatività ed esibi zione di potenza. Il dramma dei tempi attuali- molto diversi da quelli in cui Ernesto Rogers parlava, ma facendo riferimento allo stes so paese più avanzato e più alienato del mondo, gli Stati Uniti d'America, di cui Rogers parlava-, è di capire che la demo crazia contemporanea, dopo eventi come la contestazione gio vanile e la rivolta negra, congiurando le autorità pubbliche statali e federali e i mezzi di comunicazione di massa, è una forma di manipolazione e· di controllo del consenso che si può considerare un mezzo fascismo o un neo-fascismo: il quale, forse per illudere il mondo circa il mantenimento della libertà individuale, non solo ha rinunciato all'architettura come struttura rappresentativa e conformista, ma forse le ha assegnato il compito di i.Jludere una completa anarchia, la babele dei linguaggi più assoluta, il più totale egoistico indi vidualismo. In merito ad una dicotomia più di facciata e nominalistica 17
che reale, tra fascismo e democrazia attuale, è interessante leggere la voce «fascismo» del Lessico Universale Italiano Più che una manifestazione della lotta di classe (reazione) della borghesia contro il proletariato, il f. sarebbe stato agli inizi soprattutto espressione degli strati sociali intermedi... in antagonismo sia con il capitalismo sia con il proletariato •.. A causa delle sue stratificazioni, della contraddittorietà dei suoi interessi e delle sue tradizioni, l'azione della piccola e media borghesia non fu, però, unitaria, non ebbe un carattere di rivoluzione, ma di rivolta; questa... [per il fatto che] il pericolo maggiore sembrava venire... dal movimento operaio, assunse un carattere più marcatamente antiproletarlo... In alcuni paesi, nei quali le masse proletarie non erano mal state precedentemente inserite nella vita politica e dove più deboli erano i movimenti socialisti, il f. estese le sue basi a larghi settori del proletariato: tipico il caso del peronismo in Argentina (ma tipico, possiamo aggiungere, anche il caso della diffusione del Fascismo tra i contadini non politicizzati di varie regioni italiane). Quanto al paesi nei quali il f. arrivò al potere è sempre più prevalente la tendenza a « non • ridurre tutti 1 caratteri dei loro regimi al momento autoritario e repressivo in senso lato, ma a dare... ampio spazio ad altri due aspetti peculiari di questi regimi: quello dell'addomesticamento e dell'incana lamento della rivolta fascista nelle strutture di massa del tota• litarlsmo, e dei mezzi, delle tecniche messe in atto per creare, attorno al vari regimi fascisti e, soprattutto, attorno al loro capi carismatici un consenso e un'adesione effettivi; e quello del progressivo rendersi autonome delle forme di potere fa scista dalle forze (sociali, economiche, etc.) che in varia mi sura e con propri obbiettivi avevano contribuito all'afferma zione e al successo fascisti 9• rimarchevole peraltro, la differenza tra i componenti dello stesso gruppo di «Quadrante»: mentre gli architetti - da Le Corbusier a Rogers - sono sedotti esclusivamente dai « grandi lavori» un letterato come Massimo Bontempelli fa l'apologia dell'architettura che sa diventare assai rapida• mente « anonima • 10 e precisa ulteriormente: Dicendo poesia
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(o arte in generale) come architettura, intendo dire l'arte come modificazione del mondo abitabile. La conseguenza principale della particolare natura del l'opera architettonica si è l'assoluto distacco dell'opera stes sa dal suo autore. Essa, opera una vera e propria alterazione della crosta terrestre... Ne deriva che di opere architetto niche, anche grandi, si ignorano gli autori... Questo « stra niamento » dall'opera dell'autore, questo perfetto annulla mento del cordone ombelicale, nella letteratura, avviene con la creazione dei miti... Questo dev'essere il nostro supremo Ideale, colleghi scrittori: « diventare anonimi» 11• Eppure Bontempelli era pienamente consapevole del pro cesso degenerativo per cui, in epoca contemporanea, l'ano nimia diventa impossibile: Lo scrittore, che un tempo si ser viva del vocabolario come di una tastiera, delle parole come di servi sempre pronti, a un certo punto s'è accorto ch'esse parole erano diventate « organismi vivi », dotati di una loro prepotenza, anelanti ad una loro autonomìa. È cominciata, allora, una lotta - talvolta aperta, talvolta subdola - tra l'uomo e la parola. La lotta è stata aperta quando s'è cominciato a dichiarare l'orrore dell'aggettivo, la tendenza al nudo, anzi allo scheletrico, la rapidità superiore alla ricchezza, l'immediatezza unico mezzo e supremo fine. La lotta è stata subdola, quando l'uomo ha mostrato di accettare l'autonomia della parola, e le ha dichiarato ch'es sa non doveva più avere alcun « significato », in quanto signi ficato comporta dipendenza ... Dal totale di queste battaglie, risse, scherme, dissidi, è risultato quel senso di minore, di inane, di provvisorio, che qualche volta ci spaventa... Oggi, in tutti i campi dell'arte, andiamo avanti a motore spento, andiamo avanti per forza di inerzia, andiamo avanti sfruttando i residui d'energia d'una grande epoca finita, l'epo ca romantica 12• Questo scritto, del maggio 1934, è molto più pessimistico dell'editoriale per il primo numero di «Quadrante», maggio 1933, che poi era diventato, per Bardi e per la rivista, una sorta di leitmotiv, un manifesto programmatico: Il massimo
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della espressione, 11 minimo di gesto, terrore del lento, di sprezzo per il riposo, edificare senza aggettivi, scrivere a pareti liscie, la bellezza intesa come necessità, il pensiero nato come rischio, l'orrore del contingente 13• Lo scarto tra pessimismo del '34 e ottimismo del '33 ci fa capire come sia possibile, e probabile, la storia che racconta Bardi: di uno scritto di Bontempelli avverso alla Casa del Fascio di Como di Terragni, che sarebbe dovuto uscire sul famoso numero conclusivo e che invece Bardi non volle pub blicare 14• L'episodio trascende di molto J'ipotesi dell'antago nismo tra due comaschi (anche se Terragni è delle vicinanze e Bontempelli è un girovago) ed anche quella che il fatto sia solo l'ultimo episodio della irresolutezza, della ambiguità con cui « Quadrante » si destreggiò - nel campo del.le arti pla stiche e figurative - tra astrattismo e novecentismo: fatto che - anche retrospettivamente - faceva sì che Carlo Belli, il guru dell'astrattismo italiano, lanciasse, ancora nel dopo guerra, frecce avvelenate contro Bontempelli e, mitigate, con tro Bardi. Gli umori mutevoli di Bontempelli rispecchiano il dramma dell'arte moderna: di non poter più continuare a sostenere il suo canto su un certo registro, per la insensibilità di quasi tutte le orecchie contemporanee a quasi tutti i registri (i tecnici dei supermercati sanno che masse di clienti si acchiap pano con la superluce, come i pesci, con colori aggressivi, con il superrumore). In questo dramma, se vi è un contrasto « spaziale » non è - come nella tesi sionista - tra est e ovest ma, semmai, tra nord e sud. E il confine tra queste due zone, in cui è divisa l'Europa - tra il Mediterraneo e la MittelEuropa -, passa proprio in terra Padana. ti. il confine tra il sole splen dente e la nebbia, il confine tra le bufere di pioggia e di neve tra il classico rivissuto come niveo, come in Palladio, oppure ridondante di colori come in Semper e in von Klenze. Sarà superata o addirittura obsoleta la concezione razziale dell'habitat sostenuta da August Meitzen, ma la sua osserva zione che esiste una civiltà contadina millenaria, mentre la società urbana è solo alle prime prove, a me sembra ancora
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bene ad integrarsi con quello nordico, per effetto di una filosofia un po' amara, un po' scettica, che era quella espressa da Antonio Gramsci, in Americanismo e fordismo e che era quella enunciata da Rogers nelle conversazioni di Duino. Ma integrarsi non significa idolatrare la cultura dell'inva sore: non significa introdurre, come standards urbanistici ita liani quelli del suburbio statunitense 16, non significa proget tare dei quartieri basati sull'automobile che non c'è, come il Laurentino, o Spinaceto, o tanti altri, anche di ex amici che per pietà non nomino. Rispetto a tutto questo, rispetto alla straordinaria com plessità dell'architettura (che è poesia, semplice e avara come la poesia, ma è anche densità tumultuosa e agoràfilica come la città, mesopotamica e mediterranea) bisogna, prima di tutto, ricordarsi questa osservazione di un epistemologo, Giu liano Toraldo di Francia: Non bisogna dimenticare che tra le risorse primarie che la democrazia . deve poter mettere al servizio di tutti, non vi è solo lo spazio e il movimento o il lavoro, ma anche l'informazione... Ma c'è un fatto - aggiunge Toraldo - di capitale impor tanza, che di solito tende a sfuggire (ad essere sottovalutato) da chi non conosce la scienza dell'informazione. Un'informazione, di per sé non è che una serie di simboli che arrivano ad un destinatario. Essa acquista « valore » solo quando si combina, nella psiche di quest'ultimo, con una grande quantità d'informazioni già acquisite, e con la capa cità di recepirle « criticamente » e, quindi, di usarle. i:: per questo che la spaventosa massa di informazioni che si riversa oggi sul cittadino, non è (di per se stessa) fattore di democrazia - anzi, può rivelarsi tutto l'opposto - se il cittadino non possiede un'adeguata istruzione e formazione. La scuola (dei cittadini di domani) dunque è oggi, come non mai, pilastro centrale dell'edificazione di una vera demo crazia, e di un vero socialismo 17• In questa scuola di domani, è augurabile che si insegni a parlare (vi siete accorti che la gente comune parla sempre peggio, quasi come gli speakers della pubblicità televisiva?), ma che si insegnino anche, criticamente, quei valori che un
tempo erano di acquisizione spontanea: come l'arte, la poesia, l'architettura. Solo questo potrà far passare i valori architettonici di Le Corbusier (o di Libera) alla scala urbanistica. Perché Le Corbusier non sbagliava quando progettava la maison à Garches o la maison Savoye - e nemmeno quando sognava le megarchitetture di Rio de Janeiro o di Algeri. Le Corbu sier, probabilmente, sbagliava quando ideava la ferrea forma del Pian Voisin o della Ville Radieuse, applicabile, indifferen temente, a Mosca o a Roma. Le Corbusier, certamente, sba gliava quando credeva che solo l'autorità (di Stalin a Mosca e di Mussolini a Roma, ma anche l'autorità dei media del giorno d'oggi in tutto il mondo) potesse risolvere il problema di far comprendere, di nuovo, alla gente comune, i valori del l'architettura. Se questo capitasse, il risultato sarebbe ambiguo ed effi mero come l'ancoramento del problema « fame del mondo » alla musica rock. Il fatto socialmente più denso di conseguenze, che si è verificato negli ultimi decenni - è ancora Toraldo di Francia a parlare (nell'articolo citato) - è la e saturazione del pia neta » da parte dell'umanità. Esso, prima di tutto, ci impone di rivedere, seriamente, tutta la questione della ;proprietà... Non si tratta, soltanto, del fatto che - in uno spazio limitato - quelli che possiedono la terra ne escludono inesorabilmente, gli altri 18• C'è ormai an che il fatto che, ad alcuni, è dato di appropriarsi e di distrug gere tutti quegli altri beni che, prima erano illimitati e perciò comuni: come l'aria, il mare, la flora, la fauna, il paesaggio. Questo ci avvicina di più al punto: chiudo con una pa rabola. Credo che l'edificio più lirico dell'architettura italiana del secondo dopoguerra, l'equivalente della villa Malaparte a Capri, sia il Museo Memoria! di Gibellina, distrutta dal terre moto, eretto da Francesco Venezia nella Gibellina nuova (nel saturato pianeta d'oggi i terremoti equivalgono alle paludi o alle zone di foresta e di deserto di ieri). Ebbene, in quel museo, la collina immensa, lavorata a
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scendipoggto, che fa da sfondo al museo, ha la stessa impor tanza - nell'immagine - della costruzione stessa. Per salvaguardare questo valore essenziale, Le Corbusier avrebbe sognato - infantilmente - il potere di una autorità patema. La miserabile democrazia di oggi lascerebbe ricoprire la collina di costruzioni abusive. Una democrazia veramente civile vorrebbe che l'intera po polazione di Gibellina accettasse di conservare all'agricoltura la collina, come elemento integrante di quel tempio laico che Francesco Venezia ha eretto, al ricordo di Gibellina distrutta dal terremoto.
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1 Se un tentativo in questo senso fu, da parte di Bruno Zevi, nel 1948, Saper vedere l'architettura, però non prosegue certo su questa strada Il linguaggio moderno dell'architettura, che ambisce ad essere il pocket book per i progettisti. 2 Apro una parentesi. Il verbo e percepire • non è sinonimo di «ca pire" da un punto di vista eminentemente razionale. La differenza tra i due verbi meriterebbe una più lunga nota, ma accontentiamoci di assumere il verbo e percepire"• il sostantivo «percezione" nella acce zione di una comprensione forse non chiara, ma corporea, e nella quale 'i sensi hanno maggior funzione che la mente. J Cfr. Z. HEGEDUS, in «L'Unità"• 22 gennaio 1986: «Non sono i di scorsi politici - essa ha affermato - che diffondono i messaggi di so lidarietà delle nuove generazioni, ma soltanto il rock. Il rock è capace di superare tutte le barriere e le frontiere. Un movimento che avesse, come elemento di fondo, il rock, sarebbe molto difficile da fermare •· 4 Cfr. R. BERTONCELLI, in e L'Unità"• 2 febbraio 1986: «L'eccitazione - scrive - ... che vent'anni fa procurava il tuffarsi controcorrente nel rock & roll, può darla oggi solo l'esatto contrario: l'evasione dalla mu sica giovane, il rifiuto del nuovo consenso musicale, la resistenza sia al mito classico di Woodstock, sia a quello più nuovo di Live Aid"· s Federico Zeri, bontà sua, lo considera il contraltare laico della cupola di S. Pietro. 6 Si ricordi, del resto, che proprio questo gruppo è detto e popolo" nel gergo fiorentino medioevale. 7 Cfr. F. ZERI, in «La Stampa», 19 gennaio 1986. Chi si meraviglia - scrive Zeri - che i cocci che distruggevamo con accanimento, da ragazzi, abbiano oggi valore di antiquariato, è sorretto «da una scarsa informazione di quanto è accaduto in Occidente da almeno sette secoli (a differenza di quel che è stato ed è tipico dell'area romano-orientale, poi bizantina ed ora russa): da noi, ogni successiva generazione in senso diacronico è stata caratterizzata - per quel che riguarda arte, moda,
letteratura (e preferenze di vista, udito e gusto) - da un incessante accrescimento o - se si vuole - mutamento, segnato anche da svolte repentine, da fratture decise. • In un famoso saggio, apparso settantadue anni fa (1914), Werner Sombart sosteneva che una vera e propria smania per le novità è tipica della cosiddetta classe borghese; a ripercorrere - su dati precisi come sono le opere d'arte - lo svolgimento di tale, presunto, filo-neismo, ci si rende conto che si tratta invece, del riflesso di un incessante arric chimento culturale, di uno scambio di idee ricchissimo, di una situa zione economica e sociale che procede liberamente, in un continuo am pliarsi, accrescersi e realizzarsi... « È proprio in questo continuo mutare che si coglie la diversità, insanabile, tra la metà occidentale e quella orientale dell'Impero Ro mano ... Di opera in opera, ad esempio, Raffaello si esprime in modi nuovi, secondo uno svolgimento coerente e sempre eguale a se stesso, ma percorrendo - nei pochi decenni della sua attività - un arco di ampiezza ignota agli artisti di Costantinopoli e ai loro eredi... « Più che di smania borghese, si dovrà quindi parlare, per la metà occidentale dell'Impero, di libera evoluzione sociale, economica e cul turale, con tutti gli svantaggi - ma anche con gli enormi vantaggi che una siffatta struttura comporta ... « Sino al 1939 - Zeri conclude la recensione tornando, evidentemen te, a meditare sulla tesi di Sombart - le classi medie emergenti hanno imitato (e continuano) i modelli di vita dell'aristocrazia antica, e una frattura c'è stata soltanto con l'inizio dell'era atomica e con il contrap porsi di due Superpotenze che - peraltro - hanno ereditato non pochi dei caratteri e delle strutture mentali dei due rami del vetusto Impero Romano... "· È pur sempre la tesi di Wittfogel sul « dispotismo orien tale" e la tesi di Eco sugli Stati Uniti come nuovo, sbracatissimo Im pero Romano (autentico e cioè antico e occidentale, non nuovo e bi zantino). a Adrian Lyne, che immagino sia un regista intelligente, ha dichia rato alla giornalista de « La Stampa », 6 febbraio 1986: • Arrivando a Roma, dal taxi ho visto tanti grandi monumenti, obelischi, fori, case antiche, ingabbiati in una rete che serve ai restauri. Beh, ciò che mi è piaciuto di più è stata quella rete di plastica verde: così sottile, bril lante, capace di mascherare e di far passare la luce"· Una sensibilità analoga a quello di Christo che impacchetta e omogeneizza ogni cosa. Furio Colombo, da New York, in « La Stampa", 16 febbraio, parla del revival degli anni '50 degli intellettuali newyorkesi che vanno a strappare i vecchi mobili dai magazzini dell'Esercito della Salvezza. « Si discute fra critici e intenditori su chi abbia il più bel salotto anni 'SO (dunque il più brutto). si fanno feste e pellegrinaggi"· 9 Voce fascismo in Lessico Universale Italiano. Gli estensori sono probabilmente Carlo Ginzburg e Renzo de Felice, secondo l'elenco dei « collaboratori del volume" posto dopo il frontespizio. IO M. BONTEMPELLI, Fondamenti, in e 900", dicembre 1926. Cfr. il saggio di Longatti in « L'architettura " n. 163, maggio 1969. Il M. BoNTEMPELLI, Passaggio all'architettura, in « 900 », marzo 1930. 12 M. BO:-ITE!l,lPELLI, A motore spento, in « 900 », marzo 1936. 13 Per lo meno in due occasioni P. M. Bardi torna su questa cita zione di Bontempelli: nel n. 22 di « Quadrante", febbraio XIII (ossia 1935) nel testo della conferenza, tenuta agli « Illusi" di Napoli - nome che, in se stesso, è tutto un programma - e intitolata Libro verde della polemica dell'architettura italiana; nell'ultimo numero d�lla rivi sta 35-36, ottobre XIV (ossia 1936), nel testo di commiato Prima con clusione di una polemica. In entrambi i casi egli scrive: « ••• scrivere
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senza aggettivi, edificare a pareti liscie ... ,. che riporta il testo di Bon tempelli in una normalità un po' banale. 14 Lo scritto è stato pubblicato da Bontempelli in L'avventura no vecentista, Vallecchi, Firenze 1974, pagg. 336-338. 1s Anzi toscano, anzi pratese: Curzio Malaparte ha scritto: « l'unico torto dei Toscani è di non essere, tutti, di Prato•· 16 Perché questo hanno fatto i miserabili ingegneri che lavorano per Mancini, stolto o ignorante firmatario della famosa « legge ponte•· 17 G. TORAUlO DI FRANCIA in « L'Unità », 27 febbraio 1986. 18 Per dire il vero, questo concetto di Toraldo è molto opinabile: lo spazio del Mato Grosso o della taiga, o della tundra, o della brousse non se lo ... prende nessuno.
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A cavallo del design* PAOLO DEGANELLO
Insegnare all'ISIA è un'occasione ulteriore per convincersi che il disegno industriale va insegnato nelle facoltà di Archi tettura, deve essere parte cioè, per quanto specifica e auto noma, del « progetto di architettura». Premessa t:. degli anni settanta la progressiva separazione delle disci• pline dell'Urbanistica e del Disegno Industriale dall'Architet• tura. Nel '70 furono istituiti i corsi di laurea in Urbanistica, nel '73 gli Istituti Superiori per le Industrie Artistiche. L'Urbanistica separata doveva definire, prima e in gene rale, l'assetto funzionale del territorio, l'Architettura doveva dare, poi e nel particolare, forma fisica a quell'assetto fun. zionale. L'oggetto d'uso, prodotto industrialmente, parte partico lare di una definizione complessiva dello spazio abitato, doveva entrare nell'interno dell'architettura quale sua ulteriore speci ficazione. Negli stessi anni, con la mostra internazionale di Architet• tura, curata da Aldo Rossi per la XV Triennale, l'architettura * Comunicazione tenuta al ciclo di seminari "Insegnare il Design", organizzato all'Istituto Universitario di Architettura di Venezia nella primavera 1986.
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Il design dei giovani. Al Kunstmuseum di DiisseldorfS, nella primavera dell' '86, è stata inaugurata una mostra che, intenzionalmente o no, è la più esauriente documentazione dell'attuale « design arti stico ». Gli « artisti designers » selezionati sono in netta mag gioranza e sono prevalentemente trentenni. Come scrive Men dini: Se il designer giovanissimo non trova obiettivi certi, se non sa « cosa » e « per chi » progettare, se sa che un « vero progetto » è chiuso al futuro, se non può pensare a precisi segni dei tempi, a trasformazioni generali e razionali, a visioni globali del mondo: allora si concentra in se stesso, cerca pezzi di pensiero visivo dentro di sé, con la sola ipotesi di fare vivere l'oggetto-dipinto (o il dipinto-oggetto), cioè la sua vo cazione espressiva, simile al frangersi di un'onda. ... Data l'insufficienza del progetto vero a fronteggiare il mondo, esso viene sostenuto dalla visione personale: una difficile opera senza fine e senza giustificazione il solo tipo di « qualità » (e di responsabilità) che oggi un intellettuale, in stato di iso lamento, possa dare 6• Mendini nel suo lungo percorso sceglie una sua compren sibile collocazione ma ambiguamente si ripropone come mo dello ai giovani, suggerisce di prendere atto della situazione, di autoriconoscersi intellettuali in stato di isolamento, chiusi con il proprio oggetto in una bacheca di vetro di qualche museo o galleria, in attesa di qualche o molti visitatori. Se il progetto di architettura diventa « disegni per mo stre », se il progetto dell'oggetto d'uso diventa prototipi per musei e collezionisti dov'è la legittimazione delle discipline dell'architettura e del disegno industriale? La legittimazione del design sta nel fare una scultura che « rimanda • all'og getto sedia? 1:. vero che la grande impresa tende ad espellere· al suo esterno, a ridurre, tutto ciò che non è progetto sicuro e imme diatamente vendibile, e in definitiva con una sempre più netta separazione tra professionismo e ricerca, promuove e gestisce questa separazione tra « disegno industriale � e « disegno arti stico •· Le varie Zabro, Dilmos, ma prima Memphis e Alchimia, 31
assoluta che è stata del disegno industriale. Ma mentre per il disegno industriale era un assoluto ideologico (la sedia per tutti) che si traduceva in una razionalità produttiva, negli oggetti Zeus è un assoluto morale: una sedia è una sedia, che costa poco, che è fatta con tecniche e geometrie elemen tari, dove ci si può sedere, non è retorica, esagerata, opulenta, arrogante, ma è una sedia per « quelli come me». Ma quelli come me tendono ad essere un gruppo, un in sieme. Il disegno diventa così non tanto prefigurazione d'« umanità diversa» in un « mondo diverso», né autorappre sentazione dell'identità del progettista, ma rappresentazione di comportamenti diffusi e manifesti, parte di un'intera gene razione in cui il progettista si riconosce. Quelli come me sono i destinatari di quel progetto. In questa possibile e cercata coincidenza tra disegno e comportamento sta la qualità ultima di questo progetto, e questo chiamiamo « design comportamentale ». Ma non ca diamo nell'errore di considerare Zeus un modello, un linguag gio da prendere a modello. Non occorre certo una nuova « tendenza» nel design, dove magari la discriminazione è nero+ tubo piegato, Zeus è per noi interessante perché è la dimostrazione che è praticabile, nella nuova realtà produttiva, un progetto interamente costruito sul rapporto progettista destinatario. Tanti progetti cioè per i diversi insiemi di desti natari, dove il progettista è parte di quegli insiemi. Nel design comportamentale « per chi progettare » ha una risposta, a prescindere e prima della stesura del progetto di trasformazione complessiva del mondo. Dobbiamo smettere di sperare ed attendere progetti « di trasformazione generale» entro cui collocarci. Dobbiamo an che conseguentemente smettere di atteggiarci a progettisti per l'umanità intera. Nessuno è più disposto a farsi guidare o· precedere da un'avanguardia. Di così dette avanguardie cari cate con la logica dello scoop giornalistico ne nasce una al l'anno, ma sono avanguardie senza « masse» (ché le masse sono ormai un arcipelago di diversi comportamenti), e al loro seguito di volta in volta si costruiscono piccoli gruppi di ingenui imitatori e durano qualche stagione (il caso Memphis 34
La committenza industriale, di elettrodomestici o televi sori, o spazzolini da denti o computers, è una committenza di « disegno industriale » e lo stile Braun, con tutti i possibili aggiornamenti o varianti, è il progetto domandato. In realtà il disegno della « macchina » non può non essere un'opera zione di estetizzazione della « macchina "· Il tentativo di con testare la rappresentazione attraverso il disegno della qualità efficienza, potenza, bellezza della macchina, ha prodotto solo caricature, che in rari casi, come fatto di cronaca, sono arri vate alle riviste ma mai sono diventate prodotto. Tutta l'articolazione problematica del design in questi ap punti schematicamente ripercorsa è presente solo nella do manda di progetto delle industrie dell'arredamento, degli ap parecchi di illuminazione, degli oggetti regalo, più in generale degli oggetti domestici. L'ipotesi del progettista autoprodut tore esemplificata in Zeus non è praticabile al di fuori di quest'area merceologica, se non nella moda. Ciò non toglie che l'interscambio tra design della « mac china » e design di prodotti di arredamento è ancora abba stanza intenso ma è comunque progressivamente destinato ad evolversi in un dialogo a distanza. Basti a verifica di ciò con statare che sempre meno i progettisti di prodotti di arreda mento sono anche progettisti di e macchine "· Sempre più la grande serie riguarda esclusivamente le « macchine », sempre più gli oggetti domestici che svolgono funzioni di arredo sono prodotti di piccola serie. Sempre più, inoltre, il disegno industriale disegna forme strettamente vin colate ai processi produttivi, sempre più il design dell'arre damento disegna oggetti in cui la ricerca formale è pre dominante sui vincoli dei processi produttivi. Un'ingegneria del design si contrappone ali'« architettura dell'oggetto•· Dobbiamo ripercorrere nel design il complesso rapporto ingegneria-architettura nell'ipotesi semplificante e liquidatoria di un'edilizia per i più di competenza dell'ingegheria e conse guentemente limitare ,l'architettura alla magniloquenza del monumento? Dobbiamo cioè disegnare oggetti-monumento, oggetti con piedistallo, oggetti da bacheca? 37
Il design comportamentale deve contenere, usare, il design industriale per quei prodotti in cui la componente tecnica, la qualità di «macchina» è predominante, e a questo deve chie dere il massimo di anonimato perché il progetto del luogo non si risolve con spettacolari lampioni. Un design dei manufatti per « luoghi aperti» della città e del territorio è tutto da inventare, come tutta da ridefinire ci sembra la disciplina del design e i territori di frontiera tra design-architettura-ingegneria-urbanistica, ma questa sua ri definizione non può trovarsi se non dentro le facoltà di archi tettura, quali contenitori di tutte insieme queste discipline. Lì va insegnato il design.
1 A. Rossi, Architettura-città, in « Casabella » n. 385. 2 M. TAFURI, Storia dell'arclzitett11ra italiana 194�5. Einaudi, To rino 1986, pag. 229. 3 Cfr. B. SECCHI, Il racconto urbanistico, Einaudi, Torino 1984; gli articoli sulla rivista « Casabella » dei nn. 509-510; gli editoriali della rivista « Urbanistica » dal numero 82. 4 F. MENNA, in Atti del J• Convegno !SIA, 1977. s Cfr. Wohnen von Simien, catalogo della mostra del Kunstmuseurn di Diisseldorf, 1986. 6 A. MEN0INI, in e Alfabcta », n. 88. 7 Cfr. R. ZoRZI, Forma come comunicazione, ivi. � Cfr. V. PASCA, Intervista, in •Ottagono• n. 81. 9 L'esperienza Zeus non è solitaria. Iniziative analoghe altrettanto interessanti sono ad esempio quelle di Shama e Tarshito - nati nel 1955 e '52 - che aprono a Bari il centro di divulgazione culturale • Spe ciale » ne11'82; quella di •One off » che apre un negozio-laboratorio-gal leria all'inizio degli anni '80 a Londra e molte altre. Sarebbe certamente di grande interesse una ricerca universitaria su questi nuovi gruppi di progettisti imprenditori. 10 B. SECCHI, in u Casabella,. n. 525. Il I prodotti sono stati pubblicati in «Modo• n. 92. 12 M. TAFURI, op. cit., p. 239. Il P. DEGANELLO, A. MAGNAGHI, La casa in comune, in Le case della Triennale, catalogo della mostra, Electa. 14 Cfr. U. Eco, Lo strano caso della i11te11tio lectoris, in « Alfabeta• n. 84 e H. R. JAUSS, Apologia dell'esperienza estetica, Einaudi, Torino 1985. 1s Cfr. M. SERNINI, Contesto urbano e alienazione, in • Bollettino DAEST », n. 7, 1985, 7." semestre. 16 Cfr. GREGOTII ASSOCIATI, Edificio per abitazioni a Luetz.owstrasse, in « Lotus lnternational », nn. 48-49. 17 V. PASCA, Progetto e paradigmi culturali, in « Ottagono•• n. 83. li V. GREGOITI, Il disegno degli spazi aperti, in « Casabella,. n. 527.
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di programmazione e casualità - che il pubblico o parte del pubblico, • conserva » abitualmente come arte, usandoli cioè come stimolo concreto per considerazioni di ordine formale, compiacimenti Immaginativi e - spesso - riflessioni di or dine conoscitivo 2• Così anche Menna, ancora a proposito della conciliazione tra regola e caso, che viene di solito attuata dal l'arte programmata, vi scorge un'arte intesa come tratteni mento e come gioco, nel senso più profondo del termine, ossia come forma di liberazione e di riscatto, se non dal « tragico », dal necessario quotidiano 3• Inoltre, tanto nel saggio di Eco, quanto in quello di Menna la presenza del caso e la sua conci liazione con la regola sembrano interessare un numero limi tato di fenomeni, siano essi artistici o no. Un approccio di verso troviamo invece in Bateson: questi dimostra come regola/replicazione e mutamento casuale si implicano vicen devolmente in tutti i processi evolutivi tanto biologici che creativi. Egli infatti supera l'ottica che pone i termini natura/ cultura su due versanti opposti ed inconciliabili, partendo dalla quale il paragone tra l'evoluzione dei sistemi biologici e quella dei sistemi culturali finisce in un vicolo cieco o in una forzatura, e ricorre invece a categorie interpretative desunte dalla teoria dei sistemi mediante le quali è in grado di rilevare sorprendenti analogie tra le modalità logiche che sono alla base sia dei sistemi biologici che dei sistemi culturali. · . Come è noto, nei sistemi biologici l'evoluzione è il risul tato di due processi convergenti: un processo di replicazione delle informazioni trasmesse mediante il DNA e un processo di cambiamento dovuto alle mutazioni generate a caso e im magazzinate nel pool genico eterogeneo della popolazione; la selezione, eliminando le alternative sfavorevoli e mantenendo quelle favorevoli, fa sì che queste ultime perdurino e siano replicate a loro volta. In altre parole l'evoluzione è la repli cazione del cambiamento: l'operato casuale della probabilità interrompe la replicazione, ma la mutazione, se selezionata, viene a sua volta replicata. Questo fenomeno è sorprendente•
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mente simile a quello della trasmissione della cultura la quale è anch'essa il risultato di due processi contraddittori: 1) per trasm ettere i dati acquisiti essa deve usare i meccanismi d el•
In particolare Maldonado: Su un piano molto generale, al meno per quanto riguarda le categorie di 'normale' e 'straor dinario' il parallelismo sembra essere più che plausibile... C'è un'arte normale che opera con paradigmi, con configura zioni altamente istituzionalizzate, con canoni, norme e regole. Insomma con stereotipi che guidano il processo creativo. Ma c'è anche un'altra arte, l'arte straordinaria che è rivolta contro i paradigmi vigenti, intacca le caselle prefabbricate del sapere artistico e propone nuovi modelli al processo creativo 9• A nostro avviso l'arte classica o normale o istituzionaliz zata o comunque la si voglia chiamare è quel momento del processo evolutivo in cui viene portata in primo piano e valo rizzata la replicazione. Tale fenomeno è ben noto in campo artistico col nome di mimesi e consiste nell'aderenza a un canone o modello ideale; inerisce a tale processo la prevedi bilità di ciò che viene prodotto, presentando le opere che si pongono su questo versante forme prevedibili: prevedibile la struttura della tragedia greca e l'esito della sua azione scenica; prevedibile a partire da un singolo elemento (p. es. il capitello) la forma degli altri e la struttura dell'insieme del tempio greco; prevedibile la pianta della chiesa cristiana; prevedibile il punto di fuga della prospettiva quattrocentesca e rinascimentale e così via. Ciò si verifica perché il processo di replicazione, quale si esplica nella mimesi e nel canone, è un processo in cui la selezione ha precedentemente eliminato gli elementi imprevedibili a favore del necessario e dell'uni forme. All'interno di questo processo però i sistemi artistici evolutivi (e non tutti lo sono: si pensi all'arte egiziana o a quegli elementi dell'arte religiosa strettamente connessi al rito) ammettono l'inserimento di elementi casuali i quali, come si è detto, sono il requisito indispensabile dell'evolu zione. Già Quintiliano, nell'avvertire che imitatio per se ipsa non sutficit, indica nel guaerendum la condizione dell'in venire senza la quale non esisterebbe la pittura se non limitata al contorni dell'ombra che i corpi proiettano al sole 10• t:. in Vitruvio però che troviamo una delle testimonianze più dettagliate sull'utilizzazione di un elemento casuale: Una fan, clulla di Corinto, già in età da marito, si ammalò e mori: 47
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grado di prevedibilità di singoli eventi e di classi di eventi. Su questa linea, si arriva ad un fenomeno ancor più radicale: al fatto che per la prima volta ci si trova di fronte non a delle rappresentazioni, ma a degli oggetti; stiamo parlando - è chiaro - del ready made, cioè di un oggetto qualsiasi, privo di particolare qualità estetiche o simboliche che ne possano far prevedere qualche relazione con la sfera della creatività, sul quale d'altra parte non viene compiuto nessun intervento e che perciò segna il limite estremo di quella imprevedibilità e negazione della progettualità artistica che si diceva all'inizio essere rappresentata dal caso; e lo segna in quanto l'imprevedibilità non riguarda più il complesso delle relazioni formali, come nel caso dell'arte barocca, che per quanto imprevedibili rimangono comunque all'interno del sistema delle arti visive in quanto sistema di rappresenta zione, ma riguarda il livello logico dell'oggetto proposto, po nendosi perciò al di fuori del sistema. Ci si deve dunque chie dere quale significato abbia il . ready made in rapporto al processo evolutivo delle arti. L'immissione di un oggetto (li vello logico della realtà) nel sistema delle arti visive (livello logico della rappresentazione) segna il punto di maggiore ra dicalità finora conosciuta della presenza del casuale all'interno del sistema; ora, quando in un sistema organizzato una va riabile viene modificata in maniera radicale, ci si deve aspet tare che anche altre variabili vengano spin:te a valori estremi. Se dunque l'evoluzione è il frutto di una convergenza tra il processo di replicazione e l'intervento del caso, nel veder radicalizzar�i. l'elemento casuale, sarà una buona domanda chiedersi cosa stia contemporaneamente accadendo al pro cesso della replicazione/mimesi. Vedremo allora che qui si è verificato un cambiamento altrettanto radicale: la mimesi in senso classico, come adeguamento a un canone universal mente riconosciuto non esiste più ed ·al suo posto troviamo due fenomeni diversi: un canone settoriale e parcellizzato, come si vedrà più avanti, che conserva le caratteristiche di processo stocastico, ma ha perso quella di universalità, e il tTasferimento della universalità alla riproducibilità tecnica la
quale però non è più un processo stocastico in quanto è in
grado di riprodurre all'infinito e senza errori qualsiasi imma gine. L'aura benjaminiana che contraddistingue gli originali dalle copie meccaniche consiste appunto in questo: l'origi nale o la copia manuale sono frutto di un processo stoca stico, la copia meccanica non lo è più. Il ready made, in quanto intervento della massima imprevedibilità, è dunque una sorta di correttivo radicale in risposta alla radicale esclu sione del caso e dell'errore. Una controprova di quanto di ciamo è un'altra celebre opera di Duchamp, la Gioconda coi baffi: nel dipingere i baffi a una riproduzione tecnica e dozzi nale della Gioconda, l'artista reimmette quest'immagine al l'interno del processo stocastico con ciò stesso recuperandola al sistema delle arti visive. Il nodo di problemi costituito dal rapporto di replicazione e cambiamento in presenza della riproducibilità tecnica lo ritroviamo nell'opera di Andy Warhol su una linea che parte dal ready made, ma che è più spregiudicatamente coinvolta nel gioco delle copie meccaniche. Anche Warhol preleva qualcosa dall'universo del non artistico, ma non oggetti, come nel caso del ready made duchampiano, bensl immagini, scegliendo quelle nate per essere replicate migliaia di volte come il dol laro che, alla stessa guisa di ogni carta-moneta, è il prototipo stesso di un'immagine la cui ragion d'essere sta nella replica zione in serie, o come le istantanee nate per accompagnare il fatto di cronaca o infine la stessa riproduzione della Monna Lisa (ancora Duchamp!) il cui titolo Thirty are better than one allude provocatoriamente al rapporto paradossale tra uni cità del capolavoro e illimitata possibilità di copie. Come è noto, Warhol riproduce tali immagini più volte: non c'è la Marylin, ma la serie di Marylin, la serie di disastri, la serie dei dollari; egli ricorre inoltre massicciamente alla tecnica serigrafica ed ai multipli e nei lavori più recenti produce in numerosi esemplari quelli che si potrebbero considerare i tra dizionali pezzi unici; insomma la ripetizione, cosi centrale nel lavoro di Warhol, tende a ridurre l'attenzione verso li singolo elemento e ad aumentare la percezione del tutto 12• Questo assemblaggio di più immagini identiche in una stessa opera e in più opere comporta le seguenti conseguenze logiche: in 51
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primo luogo ci troviamo di fronte non alla rappresentazione di un oggetto o di un'immagine, bensì di fronte alla rappre sentazione del processo di replicazione o - il che è lo stesso di una classe di immagini; per quanto riguarda i livelli logici questo fenomeno è della stessa radicalità, ma di segno op posto del ready made duchampiano: con questo per la prima volta un oggetto (livello logico della realtà) entra nel mondo dell'arte; coi lavori di Warhol per la prima volta ci troviamo di fronte non alla rappresentazione di un oggetto ma di una classe di oggetti. � come se, nell'arco di anni che separa Duchamp da Warhol, fosse avvenuto il passaggio da un cambiamento somatico ad un cambiamento genetico. Ed an cora: se Duchamp con la sua indifferenza verso la difesa dei prototipi suggeriva la liceità di una libera riproduzione delle sue opere, Warhol produce egli stesso le sue copie. L'univer sale diffusione della riprodicibilità tecnica viene così a coin cidere con la massima restrizione del canone: Warhol pro duce la mimesi di se stesso. Veniamo così al terzo ed ultimo punto che ci sembra signi ficativo ed a cui prima si è fatto cenno: la parcellizzazione del canone e della mimesi che caratterizza il nostro secolo in due ondate successive: i gruppi dell'avanguardia storica e i neo-movimenti. Le avanguardie storiche, come i gruppi di fine '800 loro precursori, rispetto ai grandi movimenti del passato, sono caratterizzate da un'accentuata limitazione tem porale e geografica e da una ancor più accentuata puntua lizzazione teorica; sono infatti accomunate dalla volontà di celebrare la propria poetica come l'unica possibile e addirit tura l'unica desiderabile in contrasto e negazione delle altre poetiche. Piuttosto che come un desiderio di egemonia o una volontà di estetizzazione dell'intera realtà u tale atteggiamento ci sembra piuttosto una presa di coscienza che sono venute meno le condizioni stesse di possibilità di un canone stabile e universalmente accettato. E ciò non soltanto per la mag gior velocità di consumo, che pure esiste ed è collegata con la riproducibilità tecnica, ma della quale è a nostro avviso un epifenomeno, quanto per la necessità di creare differenza al· l'interno della potenza livellante ed omogeneizzante di una
2 U. Ero, Arte programamta, in lA definizione dell'arte, Garzanti, Milano 1983, p. 234. 3 F. MENNA, lA regola e il caso, Ennesse Editrice, Roma 1970, p. 231. 4 Cfr. G. BATESON, Mente e natura, Adelphi, Milano 1984. 6 N. ABBAGNAN0, voce «caso•• in Dizionario di filosofia, U.T.E.T., Torino 1964, p. 110. 7 lvi, p. 111. a Cfr. G. VArnMo, lA fine della modernità, Garzanti, Milano 1985. 9 T. Mu.ooNADO, Il futuro della modernità, Feltrinelli, Milano 1987, pp. 36-37. 10 QUINTILIANO, lnstitutiones oratoriae, X,II,4-7. Il VITRUVIO, De architectura, IV, I. 12 R. MoRFHF:r, Andy Warhol, catalogo della mostra alla Tate Galle• ry, 17 febbraio-28 marzo 1971. 13 T. M.wx>NADO, op. cii., p. 32. 14 R. De Fusro, Storia dell'arte contemporanea, Laterza, Roma-Bari, 1983, p. VIII.
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