Op. cit., 73, settembre 1988

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op.cii. rivista quadrimestrale di selezione della critica d'arte contemporanea

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Edizioni e Il centro " di Arturo Carola


L. SACCHI

Architettura USA per gli USA

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A. D'AURIA

Il designer, il bricoleur e l'ingegnere

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A.

Morte a Venezia

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Libri, riviste e mostre

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1'RIMARCO

Alla redazione di questo numero hanno collaborato: Roberta Amirante, Marcella Berardi, Ada D'Avino, Stefano De Stefano, Sergio Pone, Anna­ . maria Sandonà , Angelo Trimarco, Sergio Villari.


La rivista si avvale del contributo economico dei seguenti Istituti ed Aziende: Alessi Alias Banco di Napoli Bulthaup Camera di Commercio di Napoli Cassina Driade

2CM

Informatica Campania Sabattini Zen Italiana



l'annullamento delle distanze fisiche e il continuo scambio culturale fra le due grandi aree d'Occidente possano far pensare il contrario. Ora quali sono gli elementi che provo­ cano tali differenze sulla pratica architettonica di qua e di là dell'Atlantico? Certo negli USA incidono tutta una serie di situazioni ben note, quali una più attiva ed aggressiva · economia, una generale condizione di crescita demografica e quindi urbana, una struttura sociale più aperta, un patri­ monio edilizio di gran lunga meno qualificato e monumen­ tale, ecc. Ma tutto ciò, oltre a far parte di quelle cose sulle quali è difficile, se non impossibile, intervenire, non sembra in grado di giustificare, se non in parte, una divaricazione che c'è e che resta effettiva e sensibile. Non sono insomma a nostro giudizio soltanto queste le cause sufficienti a mo­ tivare un gap così forte. Ci sembra piuttosto che i fattori decisivi per spiegare una tale condizione di diversità degli USA siano invece specificamente due: la committenza, so­ stanzialmente privata; la pratica professionale, sostanzial­ mente libera da vincoli di tipo burocratico-urbanistico. Si tratta, come si vede, di fattori entrambi riconducibili ad una perfezionata logica mercantile di tipo capitalistico in cui ad una libera domanda corrisponde una libera offerta. Analizzia­ moli nell'ordine. Potremmo dire, semplificando un po', che gli architetti americani hanno due tipi di clienti: o si tratta di piccoli clienti privati che richiedono piccoli edifici, spesso case uni­ familiari, ideale terreno per la sperimentazione architetto­ nica più avanzata o per la puntuale applicazione di una tradizione costruttiva segnata talvolta da considerevole ta­ lento; o si tratta di grandi clienti privati, singoli developers o corporations, che richiedono grandi edifici per i quali gli aspetti di promozione linguistica e di promozione dell'imma­ gine risultano molto importanti. Comunque si tratta sempre di privati. I piccoli clienti costituiscono la committenza pri­ vilegiata e pressoché esclusiva per una interessante fascia di progettisti: quelli più giovani e autonomi. Il rapporto di fiducia personale che facilmente s'instaura fra cliente e ar6 chitetto permette la realizzazione di architetture sperimen-
















beskind, Zaha Hadid, Bernard Tschumi e il gruppo austriaco Himmelblau. Tutto sembra così sempre più segnato da un'irrimediabile vacuità, da una crescente attitudine all'agno­ sticismo totale. Si tratta in fondo delle conclusioni intuite da Jean Baudrillard, attento 'osservatore della più flagrante attualità per quanto concerne i fenomeni culturali in gene­ rale, e artistici in particolare, della scena americana: Siamo tutti degli agnostici rispetto all'arte: non abbiamo più con­ vinzioni estetiche, non professiamo più dottrine estetiche, o meglio le professiamo tutte ( il che comporta un indeboli­ mento dell'arte in generale) 11. Possiamo allora legittimamente chiederci, facendogli eco, se siamo davvero giunti al grado zero della cultura e dell'arte (e quindi anche dell'architet­ tura), al suo temuto vanishing point, alla sua dissoluzione, alla sua sparizione, alla sua simulazione assoluta? Who knows? 12

Cit. in e Progressive Architecture •• maggio 1974. R. E. 01.DENBURG, in H. SEARING, New American Art Museums, Whitney Museum of American Art, New York 1982, p. 79. J PH. JOHNSON, in B. DIAMONDSTEIN, America11 Architecture Now Il, Rizzoli, New York 1985, p. 157. 4 P. GOI.DBERGER, On the Rise. Architecture and Design in a PostModern Age, Times Books, New York 1983, p. 83. s c. LEVI-STRAUSS, Tristi Tropici, il Saggiatore, Milano 1982, p. 75. 6 Cit. in e Progressive Architecture •• luglio 1986. 7 M. TAFURI, La sfera e il labirinto. Avanguardie e architettura da Piranesi agli anni 70, Einaudi, Torino 1980, p. 357. a M. ScoLARI, Lettera da Harvard, in e rvtetamorfosi ·• n• 6-7, set­ tembre 1987. 9 Cfr. M. · TAFURI, op. cii., p. 368. 10 R. DE Fusco, Storia dell'arte contemporanea, Latena, Roma-Bari 1983, p. 402. 11 J. BAUDRilLARD, La sparizione dell'arte, Giancarlo Politi Editore, Milano 1988, p. 47. 12 Cfr. J. BAUDIULURD, op. cit. 1 2

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connessioni astratte, dei linguaggi 8, senza i legacci della materia. Sullo sfondo di queste due tendenze parallele la nascita della scienza fa registrare una nuova strategia. La scienza ha come vincolo la materia, cioè li risultato, ma ha come Ipotesi Iniziale li pensiero, cioè l'Immaginazione di un risultato 9• Nasce a questo punto la figura del Proget­ tista - figura apparentata all'Ingegnere di Lévi-Strauss 10 che opera non già con un materiale, ma con un modello astratto caratterizzato da parametri - le proprietà - e da relazioni tra parametri. Il rapporto tra innovazione tecnologica e tradizione ar�i- I giana si configura, così, come una storia di contraccolpi dia-1/ lettici. Proprio nei momenti di più intenso adeguamento,! tecnologico, la cultura del design propone il « ritorno all'ar/ ( tigianato ,. inteso quantomeno come sorta di esorcismo, ideo­ logia apotropaica, nei confronti della macchina: basti ricor­ dare, ancora, le dispute fra Muthesius e Van de Velde sulla tipizzazione in occasione della mostra del Werkbund del 1914 a Colonia 11, o le controversie all'interno del Bauhaus tra Gropius e Itten 12 e la posizione di Behrens. Quest'ultimo affermava, con evidente riferimento a Riegl: Vogliamo una tecnica che non percorra la sua strada per sé, ma che sappia intendere la volontà artistica del tempo, come dire che lo strumentario tecnologico deve essere controllato dalla Form­ wille. Non a caso Behrens non perdeva di vista il riferimento al Heimat kunst tedesco 13• Se riflessione scientifica e controllo tecnologico sono, com'è ovvio, originariamente connessi alla produzione indu­ striale e sostanziano larga parte del' progetto dell'industriai designer, bisognerà interrogarsi su quanto persiste nel de­ sign dell'artigianato inteso, ben al di là di semplicistiche nostalgie pre-macchiniste, come modo e come mezzo di pro­ duzione, ma, soprattutto come metodo di approccio al mo­ derno progetto, all'insegna di una peculiare nuova identifi­ cazione - questo è il punto - fra etica ed estetica. Proviamo, allora, ad elencare, in svelta sintesi, i requisiti o le articolazioni che caratterizzano la disciplin� del design I / intesa in una accezione estesa, che comprenda cioè la conce- 25


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zione dell'oggetto e il suo uso, insomma la produzione e la ricezione. Si può dire anzi che la disciplina del design sia particolarmente sensibile ad un'estetica della ricezione pro­ prio perché può, più agevolmente delle discipline cosiddette maggiori, controllare le reazioni riverberate dall'orizzonte d'attesa, ovvero dal contesto del destinatario 14 • Secondo Muthesius, promotore, si ricorderà, di un fecondissimo ac­ cordo fra ·progettisti e produttori nell'ambito del Deutsche Werkbund fondato nel 1907 15, l'oggetto di design doveva corrispondere: a) alla Sachlichkeit, b) allo standard, c) al­ l'estetica macchinista (ma potremmo dire: allo Zeitgeist), d) alla cultura metropolitana. Negli anni Sessanta Dorfles 16 elencò altrettante condizioni perché si potesse essere al co­ spetto di un oggetto di design; l'oggetto doveva: a) essere prodotto in serie, b) essere prodotto a macchina, c ) avere un l quoziente estetico, d) essere identico a tutti gli altri oggetti della serie. Ancora quattro le articolazioni proposte recente­ \ mente da De Fusco 17 per identificare il processo del design; es­ Ìso è individuato da: a) una fase progettuale, b) una fase pro­ \<luttiva, c) dalla vendita, caratterizzata dal grande numero, d) dal consumo, inteso anche come capacità di interazione. È da dire, e gli studiosi del design lo sanno bene, che le definizioni della disciplina finora formulate sono tante, da Argan a Pye, da Tedeschi a Pevsner, da Gregotti a Maldo­ nado, e miranti per lo più ad avvertirci su cosa-non-è-design. Risulta, alla fine, che non sono sufficienti le condizioni di­ scriminanti di volta in volta invocate per definire il campo del design; difatti, per fare degli esempi, non sempre il fatto-a-mano costituisce un fattore di esclusione (si pensi alla produzione del mobile in Italia tra le due guerre) 18, non sempre il fatto-a-macchina e con l'applicazione delle più avan­ zate tecnologie garantisce, al contrario, l'inclusione nel sud­ detto campo (basti citare lo Space shuttle, tra l'altro dotato, più o meno casualmente, di una forte ridondanza estetica). Intanto, non pochi risultano gli oggetti, senza dubbio anno­ verabili nella sfera del design, frutto dell'accordo produttivo fra manualità e tecnologie innovative, fra know how artigianale e know how industriale anche d'avanguardia.






simbolico dell'oggetto, il suo destino di frammento di quello specialissimo microcosmo che è l'intérieur, risulta preva­ lente rispetto ad altre classi di oggetti (ai quali sono meno facilmente attribuibili valenze simboliche e antropologiche). La componente artigianale si eclissa, invece, laddove il va­ lore aggiunto è costituito dalla quota di tecnologia esibita e utilizzata, in tal modo, come funzione reale e come raddop­ piamento ideologico, per esempio negli elettrodomestici. Ri­ ferendoci ai sistemi di oggetti, possiamo constatare una pre­ valenza della tecnologia in quegli ambienti dove il funziona­ lismo, o, se si preferisce, la razionalizzazione del lavoro, è divenuto l'istanza dominante: ad esempio, nell'ufficio o in cucina: qui la creazione di nuove tipologie di oggetti e di ambienti è legata all'introduzione di nuove tecnologie, sia di quelle a disposizione dell'utente (forno a microonde, ter­ minale telematico, eccetera), sia di quelle che utilizza l'in­ dustria per la produzione. Nella situazione italiana, com'è stato ampiamente rile­ vato 28, l'incontro tra artigianato e innovazione tecnologica avviene nell'ambito dell'industria manifatturiera dell'arredo. :e. qui che si può registrare una permanenza della cultura artigiana nel settore della produzione del mobile, dove, in particolare, questo incontro fra due modelli progettuali e produttivi costituì, con tutti i limiti conseguenti ad una connaturata, sembra, disposizione bricoleuse, una fra le ca­ ratteristiche peculiari . della fortuna del nostrano design del dopoguerra. A dimostrazione delle continue intersezioni tra cultura tecnologica avanzata e artigianato, possiamo citare due esem­ pi interessanti, riferendoci alla produzione di due aziende leader dell'industria del mobile italiano, la Cassina e la Frau, tra le cui maestranze si annoverano ebanisti e tappezzieri alla cui abilità « manuale • è affidata non poca parte delle rispettive produzioni. Prendiamo innanzitutto in esame il caso della Cassina e del suo speciale settore produttivo de­ dicato alle repliche di mobili di maestri, come Mackintosh, Wright, Asplund. Per la natura degli oggetti, per il materiale impiegato e per la quantità di. esemplari di volta in volta



mica più avanzata: viene utilizzata una pelle sottoposta a concia speciale, per ottenere colori esclusivi e resistenza al fuoco, o l'Alcantara, una raffinatissima pelle artificiale. Sempre in riferimento alla produzione Frau, in partico­ lare per il divano modello « Chester », appare quasi scontata una riflessione: l'artigianato come valore aggiunto è un'istan­ za che risulta funzionale sia agli interessi dei produttori e dei venditori che alle attese dei consumatori. :t:. sin troppo noto che nella società dei consumi, secondo la nota teoria della classe agiata, da Veblen in poi, molto spesso si compra il prezzo: un oggetto, per ·certe fasce di consumo, è ambito proprio perché costa. Tuttavia oggi si è attenti anche a ciò che vale: da un lato si privilegia quel divano perché è di pelle e cucito a mano; dall'altra, si sceglie quel divano (in pelle, fatto a mano) perché ha 22 kg di piume, invece del­ l'espanso, per l'imbottitura. Nel modello «Chester » vengono esaltati sia la manualità come valore che il materiale tradi­ zionale come pregio. Quando - per la manifattura o per i materiali «naturali» - costerà troppo, il modello scompa­ rirà e si esaurirà la sequenza formale «Chesterfield ». Si pone a questo punto una domanda conclusiva: qual è lo spazio oggi possibile e auspicabile per l'artigianato inteso come cultura? Consideriamo i due vettori: artigianato e inno­ vazione tecnologica. Il primo è il vettore del tempo lento, I della persistenza, del pensiero mitico; il secondo è quello del l tempo veloce, del mutamento, del pensiero razionale. Il primo . i attraversa anche la sfera del Kitsch, del folklore e delinea \ l un settore storicamente in estinzione, il secondo soggiace, \ invece, al rischio dell'alienazione, dei progetti irrelati, dei 1 · ' \ mostri di una ragione che si è sottratta al soggetto. L'angolo individuato dall'intersezione di queste due linee costituisce 1 il campo proprio del design. E il campo determinato da queste due coordinate è lo spazio privilegiato ove la società 1j tenta di sanare attraverso la creazione degli oggetti le su� contraddizioni. L'intersezione produce in tal modo un eqwlibrio dialettico: il mondo degli oggetti (artificio) si configura 1 come seconda natura, luogo della ricercata identità. Così, la tradizione artigianale come memoria di un rapporto imme- 33

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ginario di un'epoca. Pensiamo, per fare degli esempi, a due progetti assai seducenti quanto innovativi che non ebbero la fortuna, presso il pubblico, che sarebbe stato lecito atten­ dersi: ci riferiamo alla automobile « Airflow » della Crysler, progettata nel 1934 da Carl Breer, e alla « Dimaxion House » cli Buckminster Fuller del 1927. In via conclusiva, c'è un'ultima notazione da proporre ai lettori: alla luce della ineluttabile intersezione tra innova­ zione tecnologica e tradizione artigiana, occorre una verifica dei ruoli. Da una parte c'è l'artigiano, il bricoleur a cui per­ tiene il disegno, operante nella sfera natura/mito; dall'altra l'ingegnere, l'inventore, a cui pertiene il progetto, operante nella sfera cultura/artificio. E c'è poi il designer, figura me­ diatrice tra memoria artigiana, che tiene conto degli elementi mitici del progetto, e invenzione tecnologica; tra Natura e Cultura, tra Antropologia e Storia. Il bricoleur opera con eventi ed esperienze senza interro­ garli, si riallaccia al pensiero mitico - che investe lo statuto simbolico degli oggetti - e alle strutture antropologiche del­ l'Immaginario; invece, la scienza dell'Ingegnere è, nel mentre opera, instauratrice di Progetto, nel senso che si crea, nel­ l'applicarli, i suoi strumenti, le sue leggi operative che sono strumento in quanto ipotesi-teoria ma anche risultato-fine, secondo il gesto paradossale del Barone di Munchaiisen che si tirava fuori dalla palude prendendosi per i capelli. Nel mediare queste istanze, proprio al designer, a nostro av­ viso, tocca oggi operare con competenza scientifica, per uti­ lizzare e/o promuovere l'innovazione tecnologica. Nel con­ tempo sarà ancora il designer a dover tener conto delle ragioni dell'Anteriorità se vuol salvare la densità umana del progetto ulteriore.

1 Cfr. E. MANZINI, La materia dell'invenzione, Milano 1986; J. KRON· S. SLESIN, High-Tech, London 1985; R. BECJt, Plastic Product Design, _New York 1980; L. RAsCARou, Il pianeta nylon, «Ottagono• n. 82, set­ tembre 1986; eccetera. 2 Cfr. M. ROMANELLI, Lampada da terra telescopica, « Domus • 690, gennaio 1988, pp. 70-73.

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30 G. C. ARCAN, op. cit., p. 322. 31 Cfr. H. DAMISCH, voce Arte, in e Enciclopedia Einaudi"• voi. I, Torino 1977, pp. 890-91. 32 Cfr. M. BRUSATIN, voce Disegno/progetto, in « Enciclopedia Einau­ di•, voi. IV, Torino 1978, p. 1098 e ss.

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