ELEONORA BA.IRATI
Museo e arte contemporanea: un binomio controverso
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GIOVANNI CUTOLD
Design: dai punti di vendita ai punti di �p�W
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GIULIANA ToMASELU
Dall'avanguardia alla reazione: Waldemar George
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Libri, riviste e mostre
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Alla redazione di questo numero hanno collaborato: Roberta Amirante, Alessandro Castagnaro, Ada D'Avino, Fabio Man&one, Marina Montuori, Sergio Pone.
La rivista si avvale del contributo economico dei seguenti Istituti e Aziende: Alessi Boffa arredamenti Bulthaup Camera di Commercio di Napoli Corlegno Driade IC Soft Majorano Sabattini Zen Italiana
Museo e arte contempora nea: un binomio controverso ELEONORA BAIRATI
In linea di principio e su un piano puramente teorico, il concetto stesso di museo per l'arte contemporanea è una contraddizione in termini. Museo significa raccolta inten zionale, scelta, selezione; è critica in atto, fissazione di ge rarchie di valori, storicizzazione. Tutto il contrario della neutralità, · quindi,· ma anche tutto il contrario del movi mento,· dell'apertura alla novità, della sperimentazione. Se per arte contemporanea si intendono quegli aspetti dell'opè rare ·artistico che si svolgono per così dire sotto i nostri occhi, che sono ancora esperienze aperte, disposte e sotto poste al giudizio critico ma non ancora storicizzate, come sarà possibile che questa realtà fluttuante possa ·essere · as sunta dalla struttura museale? Nel quadro delle vicende sto riche del museo, fin dal primo momento in cui si pose il problema, la storia degli istituti museali per l'arte contem poranea si configurò come la continua ricerca di un'iden tità difficile e controversa. Il primo museo d'arte contemporanea della storia. ven ne fondato nel 1818 a Parigi: si chiamò· Musée des artistes vivants e aveva sede al Palais du Luxembourg. Importante l'evento, del tutto nuovo. · Significativa la congiuntura ·sto rica: siamo in piena· Restaurazione. La vocazione museale del Palais du Luxembourg, antica residenza reale, era di lunga data: nel 1749 vi erano state esposte 110 opere appartenenti alle collezioni reali; Ritorno alle origini, quindi? .recupero di. un'antica tradizione di .me-
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cenatismo reale verso le arti da parte della monarchia re staurata? Sicuramente. Ma più ancora esplicita contrappo sizione al museo del Louvre, museo rivoluzionario e repub blicano, poi napoleonico e imperiale. Centro pulsante della vita artistica parigina, già prima della creazione del museo, il Louvre aveva ospitato l'Accademia, la sede delle esposi zioni periodiche (il Salon) gli ateliers e anche le abitazioni degli artisti maggiori. Ma nel 1811 un decreto di Napoleone aveva estromesso dal Louvre gli artisti con i loro ateliers, per destinare l'in tero edificio a scopi esclusivamente museali. Mentre veniva così fissata e consegnata ai posteri la vocazione museale dello storico complesso, si spezzava per sempre quella fe conda alleanza tra antico e moderno che aveva improntato di sé gli anni rivoluzionari e si sanciva la separazione tra il museo, empireo dell'arte antica, e le esperienze contem poranee, l'arte vivente. Ciò era palesemente frutto della coscienza di una rottura nella continuità della storia. Con la liquidazione dell'Ancien Régime la Rivoluzione aveva fatto tabula rasa, aperto una cesura insanabile tra prima e dopo, spezzato senza possibi lità di recupero la continuità delle serie storiche. Probabil mente al di là delle intenzioni stesse· di Napoleone, il ·de creto · affermava che antico e moderno non potevano più convivere. - Non ·è certo un caso che negli altri paesi euro pei la cesura venne avvertita non a livello dell'evento rivo luzionario ma nella fase post-Restaurazione, o meglio in corrispondenza con il nuovo assetto degli stati nazionali: i musei per l'arte contemporanea vi nacquero come espres sione della raggiunta autonomia nazionale. . · La prima forma di identità che il nuovo museo nel 1818 affermava era quindi la dichiarata incompatibilità del con -temporaneo con la condizione museale quale era rappresen tata dal tradizionale museo d'arte antica. Come se fosse giunta finalmente a definizione istituzionale quella querelle tra antichi e moderni che aveva costantemente animato, fin dal Seicento, il dibattito artistico in Francia. E tuttavia il 6 nuovo museo non si chiamò « d'arte moderna• (dovrà pas-
uniche legittimanti la·· struttura museale - un materiale non ancora pronto per esservi collocato. Il concetto di « arte vivente » che si esprimeva al Luxem bourg era in effetti banalmente se non rozzamente anagra fico: quando un artista rappresentato non era più vivente, le sue opere passavano al Louvre e si faceva posto ad al tri. Accettando nel modo più semplicistico la dimensione dell'attualità, il museo si configurava quindi come un luogo di passaggio, instabile, una sorta di limbo o di purgatorio prima dell'assunzione consacrante al paradiso del Louvre, alla storia. Il che equivaleva a negare una delle funzioni portanti del museo tradizionale, quella di conservare stabil mente il proprio patrimonio e di tramandarlo ai posteri; mentre si affermava un'ipotesi - certo molto empirica di spazio museale aperto, non strutturato a priori ma co stantemente in fieri, non- selettivo ma oggettivamente neu trale; Ma il registro - presunto oggettivo - della cronaca non era di per sé sufficiente a garantire l'« attualità», se per attuale si intende ciò che è importante, se non indispensa bile, conoscere, valutare e dibattere. La mobilità del Llucem bourg non nasceva da un progetto ma da una constatazio ne: l'inadeguatezza del museo a reggere l'intrusione della cronaca,· più adatta all'effimero dell'esposizione temporanea che non alla stabilità strutturata dell'istituzione· museale. All'alba dell'era delle grandi esposizioni e di una diversa e assai complessa organizzazione · del mercato dell'arte, man cava ad evidenza la consapevolezza della diversità - di fun zioni, di organizzazione, di pubblico ..- che intercorre tra un museo e un qualunque spazio espositivo: le sale del Luxembourg finivano per essere una sorta di Salon perma nente, né poteva essere diversamente, visto che i canali di acquisizione erano obbligatoriamente quelli ufficiali. Dipen· dente dallo Stato, come tutti i musei francesi, il museo po teva attingere per le acquisizioni quasi unicamente ai Sa lons, la cui organizzazione era saldamente in mano all'aro· biente accademico. Si giunse così al paradosso di· una strut· tura mobile per definizione che era diventata la roccaforte 8 del gusto ufficiale: un museo fluttuante che era estetica·
mente il regno dell'immobilismo, un · museo di · artisti vi venti ma di arte morta. Nella seconda metà del secolo sempre più chiaramente il Luxembourg divenne specchio esemplare di una frattura ben più traumatica di quella tra antico e moderno che aveva segnato la sua nascita e che percorre tutta la storia del l'arte dall'Ottocento al Novecento: la dicotomia insanabile tra arte ufficiale e ricerche d'avanguardia. La contraddizione diventa a questo punto esplosiva, rivelando impietosamente i limiti e le ambiguità della politica ufficiale dello stato nei confronti dell'arte di ricerca. L'irruzione dell'avanguardia divenne un dirompente elemento di perturbazione del tra dizionale assetto del sistema o «campo » dell'arte nelle sue diverse componenti: dagli organi di formazione accademici ai · canali ufficiali di promozione e diffusione dell'arte, dai diversi e spesso antagonisti circuiti di committenza .e di mercato alla nuova funzione della critica militante, agli stessi orientamenti del pubblico. Incapace di individuare un luogo del «campo » da occupare con specifiche e propo sitive funzioni, il museo viene respinto ai margini dell'attua lità e riconsegnato alla storia nell'immagine negativa del luogo della conservazione e della rigida difesa della tradi zione. Come è ben ·noto, tutti gli sviluppi dell'avanguardia ·sono segnati dalla ricerca di spazi alternativi di esposizione, più o meno polemicamente contrapposti a quelli ufficiali, dall'in dividuazione di canali diversi di committenza e di mercato, dal rapporto dialettico con una critica «militante» agguer rita e innovativa. La storia delle alterne fortune dell'arte moderna, tra rifiuti, scoperte e riscoperte; è storia di cri tici, mercanti e collezionisti assai più· che storia di musei. Nella .forbice aperta tra gusto ufficiale e nuovi orientamenti artistici il collezionismo privato giocò un ruolo di primario rilievo svolgendo una funzione suppletiva alle .inadempienze della gestione pubblica di cui si potrà valutare il significato e la portata ad ogni momento di passaggio dalla dimensione privata a quella pubblica: spesso furono infatti ·le donazioni che ottennero dì aprire le porte del museo all'arte d'avan-
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guardia, quando non saranno addirittura all'origine della creazione di nuovi musei. :B opportuno ricordare come tale processo sia stato determinante nei paesi dell'area anglo sassone - gli Stati Uniti in particolare - o comunque in tutti i casi in cui l'iniziativa privata giocò un ruolo di punta nella gestione museale. Per restare al nostro esempio, fu a seguito della donazione Caillebotte del 1912 che entrarono al Luxembourg - dopo accese polemiche - quadri impres sionisti, peraltro relegati in una saletta da dove solo nel 1928 raggiunsero il Louvre. Simili dinamiche di scarto temporale, ovunque verifica bili nelle ricorrenti fasi di passaggio da privato a pubblico, inducono a una riflessione: per essere praticabile, l'ipotesi museale per la contemporaneità necessitava di una sorta di distacco prospettico, di decantazione dell'effetto traumatico della rottura; non solo di filtri critici e, ovviamente, mer cantili, ma anche di adeguamento del tasso di accettabilità, se non proprio di assuefazione, rispetto alle attese del pub blico. Paradossalmente, l'ingresso nel museo dei movimenti d'avanguardia, la loro assunzione nei ranghi dell'ufficialità, possono essere letti insieme come dovuto riconoscimento al loro valore e come neutralizzazione della loro carica ever• siva e dissacrante. Non è certo un caso che tutta la problematica del mu seo d'arte contemporanea venga rivista e reimpostata su nuove basi nella fase storica successiva alla prima guern1 mondiale, in un momento cioè in cui la tumultuosa vicenda delle avanguardie tra fine Ottocento e primo Novecento ve niva sentita come conclusa e sottoposta al vaglio critico di quel rappel à l'ordre che andava incanalando la ricerca ar tistica su diverse vie. La crescita in numero e importanza degli istituti museali dedicati alla modernità lungo tutti gli anni Trenta, che si proietta fin oltre la seconda guerra mon diale, ne è la diretta conseguenza. La specificità del museo infatti non tende più ora a coincidere con una rottura sto rica ma con l'assestamento del possibile livello di storiciz zazione dei fenomeni, con l'individuazione di snodi significa· 10 tivi della serie dei fatti artistici.
Nato in antagonismo al modello storiografico, il museo vi è stato ricondotto, riallacciando un'antica alleanza tra storia, critica e arte. Il punto di frizione si sposta sul di scrimine tra un acquisito concetto di «moderno» e un «contemporaneo» nuovamente antagonista: l'esplosione del le neo-avanguardie degli anni Cinquanta e Sessanta ripro pone l'inconciliabilità al museo in forme apparentemente ancora più radicali, perché coinvolgenti non solo i modi del l'operare ma l'essenza stessa dell'« oggetto,. artistico. Non dovrebbe essere concettualmente aberrante l'idea stessa di museificare oggetti caratterizzati da una matericità osten tatamente degradabile, oppure operazioni programmatica mente intese a consumarsi nell'effimero? e come possono essere ricondotte a uno spazio precostituito opere nate per l'occasione di un unico spazio o viceversa estranee a una qualunque delimitazione spaziale? Incredibilmente, il museo riesce a superare anche quella che certamente è stata la sua fase più critica: gli anni Ot tanta possono essere letti senza incertezze come quelli della rivincita dell'istituzione, a patto ovviamente che essa sappia attestarsi positivamente su livelli alti della società dei mass media. Il nuovo modello è ormai leggibile su scala mondiale. Tra e moderno,. e e contemporaneo,. si è istituita una dia lettica parallela a quella che sul piano del metodo inter corre tra storia e attualità, e in essa il museo è giunto pro gressivamente ad affermare uno specifico ruolo di media zione, dichiarando nella doppia declinazione di una sezione stabile organizzata per orditure storicizzate e di una se zione, dichiarato nella doppia declinazione di una sezione alte fino al puro e semplice spazio espositivo; con un pre vedibile movimento di trapasso dalla seconda alla prima in relazione all'innalzamento progressivo del livello di stori cizzazione o di stabilizzazione del gusto, delle tendenze e delle mode critiche. Se da un lato l'apertura è teoricamente prolungabile all'infinito, dall'altro un inizio della serie sto ricizzata è fissabile ad libitum: in parallelo, mi pare, con la tendenza evidente nella storiografia recente a retrodatare il 11
punto di frattura, lo stacco che separa il « passato » dal « moderno •• l'atto di nascita di quel complesso di esperienze che nel suo divenire porta alla contemporaneità. L'era del post-moderno - termine tanto suggestivo quanto ambi guo - ha tolto ogni specifico valore all'atto di stabilire un inizio della serie: non si tratta cioè più di un problema storiografico o metodologico ma di un'attenzione program mata alla più razionale distribuzione del patrimonio esi stente in una struttura o in diverse strutture museali re lazionate in una pluralità di funzioni ritenute imprescindi bili. Non · solo la conservazione, l'accrescimento, la valoriz zazione del patrimonio, ma anche il servizio di documenta zione, di informazione, di divulgazione; l'attività di promo zione e di intervento attivo nel campo culturale; il sostegno e lo stimolo alle esperienze di sperimentazione e di ricerca.
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Design: dai punti di vendita ai punti di acquisto GIOVANNI CUTOLO
Lo sviluppo del sistema delle merci non garantisce di per sé lo sviluppo armonioso della comunità, anche se ne segnala l'affrancamento dall'economia del bisogno. Nessuna società può esistere se non canalizza le pulsioni e gli af. fettl Individuali, se non regola In un certo modo li com portamento Individuale 1• Ed è evidente quanto importante possa risultare la carenza o l'abbondanza delle merci, al fine di orientare e canalizzare le pulsioni ed i comportamenti degli uomini. � sotto i nostri occhi, sempre più evidente, il fatto che, così come ha modificato l'ambiente, la produzione indu striale ha profondamente alterato anche quei meccanismi regolatori di cui, bene o male, era dotato il mercato tra dizionale, provocando con ciò una sorta di inquinamento all'interno del sistema delle merci e del consumo, assolu tamente analogo all'inquinamento provocato nella natura e nell'ambiente. Forse vale la pena ripensare al fatto che il significato più elementare e immutabile del termine mercato, è quello che riconduce al luogo dell'incontro e dello scambio fra chi produce e chi consuma. Sotto e con il termine di mer cato si è da sempre organizzato e definito l'insieme dei luoghi (negozi, botteghe, bancarelle, supermarket, grandi magazzini, ambulanti, etc.) nei quali chi consuma si reca con i suoi denari, i suoi bisogni e i suoi desideri, per cercare chi. produce con i suoi prodotti e i suoi progetti.. Ogni
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giorno era e rimane giorno buono per far mercato, come sembrano testimoniare i termini che in portoghese scandi scono i giorni della settimana, identificati ciascuno, salvo il sabato e la domenica, in una « Feira » (fiera, mercato ap punto); da lunedl che è •segunda feira » a venerdl che è •sesta feira ». Il mercato classico ha purtroppo conosciuto una pro fonda trasformazione sotto la spinta del Marketing indu striale e della cosiddetta razionalità economica. Una razio nalità economica che rischia però così di vedere le sue stesse procedure incepparsi o implodere nell'inerzia di uno spazio sociale dove nessuno più si sente veramente coin v.olto nella produzione, nella distribuzione e nel consumo di beni e, soprattutto, di senso. Una volta gli uomini par lavano e la piazza, l'agorà . come la chiamavano i greci, era U luogo dove avvenivano scambi reali di beni e di parole. Oggi a mediare la comunicazione non è più la piazza ma appunto come si dice, i media con la televisione in testa. (... ) La •comunicazione• è naufragata nel mare dell'•informa . zlone•· Slamo tutti enormemente più informati di un tem• po, ma l'elaborazione dell'informazlone è affidata alla solitudine del singolo a cui è sottratto ogni spazlo comunica tivo 2• Tutto ciò; lo sappiamo bene, ha la sua origine con la ri voluzione industriale. 1:: proprio con essa che, con l'aper tura dei primi opifici, la grande quantità di manufatti pro dotti in uno stesso luogo eccede la capacità di assorbimento e di consumo del luogo stesso e del territorio vicino. Nasce così la necessità di trovare altrove tutti i consumatori ne• cessari a garantire lo· smaltimento di tutta la produzione; necessità che spinge l'industria ad andarsi a cercare i pro pri clienti anche in luoghi lontani. Ecco allora sviluppar si tutta una serie di mezzi di comunicazione e informazione ca paci di consentire a chi produce di informare i suoi poten ziali consumatori, scavalcando la piazza e il tradizionale fil tro, costituito fino allora dal mercante, dal negoziante. La �omunicazione diventa informazione e quindi propaganda 14 e pubblicità, promessa di prodotti e lusinga di servizi.
tende a definire il negozio come punto di vendita e si pensa al commerciante come ad un venditore cosl evidentemente desideroso di vendere da indurre al sospetto ed alla diffi denza. Il mercato appare oggi, sempre di più, asservito ad una logica di massimizzazione delle vendite, una logica che si illude di trovare soluzione ai problemi di concorrenza fra produttori, allargando i consumi al di fuori ed al di là di ogni controllo macroeconomico, ed anche, perché no, so ciale .e politico. Le tecniche di consumer marketing e di trade marketing diventando strumenti nelle mani del produt tore, volti a massimizzare il suo profitto industriale attra verso il continuo aumento delle vendite, ma incapaci di realizzare trasformazioni profonde nella struttura del mer cato, ed in particolare nei rapporti tra produzione, distri buzione e consumo. Per evitare quindi di rimanere all'in terno di un marketing capace solo di effetti superficiali e come tali soltanto virtuali, occorre definire e sviluppare un marketing controllato non solo dall'imprenditore-produttore, bensì dall'imprenditore-distributore, un marketing capace di incidere sui dati del reale. Il distributore ed il consumatore possono certamente fare qualcosa per contribuire a questo ravvedimento e per influire sulla nuova rotta. A condizione che riescano a for mulare una propria cultura capace di ispirare quindi una strategia di contenimento prima ed una politica di colla borazione poi. La distribuzione deve sviluppare il proprio grado di in dipendenza imparando ad essere impresa e non solo divi sione o reparto della produzione. L'impresa di distribuzione deve innanzitutto essere indipendente ed autonoma, e que sto è tanto un problema di finanze che di cultura. Se l'azien da distributrice è solida finanziariamente ma povera di cul tura . propria, essa è destinata a vedere la propria politica e le proprie scelte strategiche praticamente monopolizzate dalla cultura di altri, quasi sempre i fornitori, vale a dire i produttori. Oltre ai negozi tradizionali e l'altrettanto tra16 dizionale grande_.distribuzione, vanno sviluppate le unioni
volontarie e i gruppi di acquisto, le grandi cooperative,· e flUesto non solo, come sta già avvenendo, nel settore delle grocery (alimentari e prodotti per la pulizia della casa), ma anche in altri settori come, ad esempio, quello dell'arreda mento e del mobile dove molto più- forte è la presenza di tradizionali valori simbolici e dove più accentuata è l'in fluenza della cultura formale espressa dal design. La distri buzione deve organizzarsi non già per operare « contro » la produzione, ma solo per essere autonoma e indipendente, onde poter fornire alla produzione il migliore « in-contro » con il consumo. Il consumo, che pur deve a sua volta trovare i mezzi di sottrarsi ad una rischiosa dipendenza dalla produzione, non .ba altra strada che quella della conoscenza e della autono mia culturale. Il consumo non si realizza, se non in ·parte, attraverso l'agire di aziende o enti;· il consumo si misura nella sua parte maggiore e più rilevante nella sommatoria degli indefiniti comportamenti individuali di acquisto. I con sumatori devono evolvere, con l'aiuto e la complicità ·dei distributori indipendenti, della stampa, degli intellettuali, dei professionisti e del necessario lavoro sui dati dell'espe rienza e del reale di cui ciascuno può disporre. Questa evo luzione dovrà mirare ad una . maggiore conoscenza di ciò che avviene nel mercato, in modo da presentarsi all'incon tro con il produttore con un vero e proprio progetto indi viduale di consumo; strumento essenziale per sottrarsi ad ogni sorta di manipolazione altrui e per essere artefice del proprio operato. Resta comunque il fatto che l'auspicio di una maggiore autonomia di scelte e di giudizio dei distributori e dei· con sumatori, anche qualora divenisse per incanto realtà, ve drebbe comunque lo scenario offerto- da· un mercato, che è nel suo insieme, ancora fortemente occupato e dipendente dalle scelte e dal . giudizio del produttore. Occorre allora operare anche su costui per cercare di influenzarne le scel te, per inserire nelle sue riflessioni il· dubbio che· senza un progetto globale non può . esserci un. mercato globale. . Il.produttore deve .. capire che.il. suo problema-vero è, ol� 17
tre al produttore, quello di individuare il suo mercato, quello nel quale potrà incontrare e scambiare, attraverso i suoi di stributori, con i suoi consumatori. E. quindi necessario che la produzione si renda conto che essa, per prima, ha biso gno di una distribuzione indipendente, all'interno della qua le la stampa possa esprimersi libera dalla pubblicità, il nego ziante possa riappropriarsi del suo essenziale ruolo di fil tro. e di mediatore, tornando ad essere mercante, non più vassallo né mero esecutore di scelte a lui imposte, non più povero commerciante, tutto teso a difendere margini d i guadagno sempre più esigui, oramai insufficienti a consen tire anche la più modesta professionalità e competenza. Ciò che occorre fare è arrestare la trasformazione continua e riduttiva che vede i negozi trasformati in punti di vendita. Che è trasformazione non solo semantica, ma ahimé ben fondata nel reale e in maniera tale da esprimere senza equi voci quale sia l'essenza dei rapporti dominanti. Se il negozio non è più il luogo predisposto dal distri butore per l'incontro con la merce e per lo scambio fra il produttore e il consumatore, ma è pensato e chiamato punto di vendita, ciò sta a testimoniare della prevalenza che la funzione del vendere è andata patologicamente sviluppando. Se il negozio diviene punto di vendita, il mercato diviene il luogo della vendita e cessa di essere il luogo dell'incontro e dello scambio. Si impoverisce l'essenziale relazione fra le tre componenti fondamentali e si creano le premesse ideali per un mercato dominato dalla quantità e dalle sue leggi, un mercato del peggio per i peggiori. Un mercato senza qualità. Bisogna allora ribaltare tale tendenza che sembra essere prevalente, riequilibrando un piano pericolosamente incli· nato verso .il dissesto dell'intero sistema delle merci. Ciò può essere forse realizzato anche promuovendo la costitu• zione di negozi intesi e progettati come punti di acquisto; vale a dire come terminali di chi consuma, anziché termi• nali di chi produce. Un mercato riorganizzato .secondo punti di acquisto ha buone possibilità di ottenere risultati migliori anche dal 18 punto di vista dei produttori, o almeno dei migliori fra di
reddito, gusti e cultura, allora il problema distributivo può essere ridotto, come quello produttivo, ad un problema di «quantità• e di rispetto degli standard convenzionali ac cettati nel prototipo. D'altra parte sappiamo che anche se ogni prodotto può essere realizzato con molti materiali e secondo molte e diverse procedure, rimane che esso però raggiunge veramente la sua eccellenza solo con quel certo materiale, lavorato secondo quella particolare procedura. Analogamente quello stesso prodotto potrà essere distri buito in molti modi ma ve ne sarà uno solo di questi che rappresenterà il modo . migliore fra i tanti. Così come ci sarà un solo modo corretto, fra i tanti possibili, di consu marlo. In questo contesto il design ha svolto, e più ·ancora po trà e dovrà svolgere, un ruolo centrale. Esso è intervenuto, con effetti non ancora adeguatamente illustrati e chiariti, a supporto del sistema di produzione industriale, fornendogli la legittimazione culturale e gli strumenti necessari per rin novare e occupare il mercato. In alleanza o, più corretta mente, al servizio della produzione, il designer ha operato alla stregua di un'ape, sottraendo al mondo dell'arte ed a quello dell'architettura, il monopolio del bello e della co municazione del bello. Il designer ha poi disseminato il suo bottino in piccole parti, talora come piccolissime schegge, come minuti ingredienti di esteticità, che sono andati a im pollinare migliaia e migliaia di prodotti industriali, pro dotti e riprodotti in milioni e milioni di esemplari tutti uguali. Questa iperbolica moltiplicazione di frammenti di bello ha certamente sommato e rappresentato, con il pas sare degli anni, un colossale sistema di comunicazione, da gli effetti non ancora vafutabili, ma già ben visibili nei com portamenti dei consumatori e nelle oscillazioni come negli orientamenti del gusto. Il diffondersi di una cultura del design all'interno del sistema delle merci, orientata dalle scelte del sistema di produzione industriale, e sospinta da una distribuzione in buona parte fortemente condizionata da questo sistema, ha. contribuito a modificare profonda20 mente il valore e il significato dell'arte e dell'architettura.
Oggi è nel potere di ciascuno andare al di là del tradi zionale rapporto di fruizione contemplativa che normalmen te si instaura con l'opera d'arte e di architettura, poiché quasi tutti possono, grazie al design, acquistare e portarsi a casa micro-architetture domestiche per di più provviste di solidi valori di uso e funzionali. Architetture e piccole ri produzioni di opere d'arte, in forma di oggetti portatori di elementi formali sufficienti a soddisfare la piccola quoti diana domanda di esteticità e capaci di rispondere ad un sempre più diffuso quanto inconscio desiderio di bellezza. Non cl sembra superuflo ricordare qui che In ogni società esiste un punto nevralgico in cui ha luogo il processo di produzione e riproduzione materiale, cioè un · punto In cui, secondo le esigenze del rapporti di produzione, vengono man mano sancite le corrispondenze fra « stato di bisogno • e « oggetto di bisogno•, fra bisogno e fabbisogno. Il disegno industriale, In quanto fenomeno che si situa precisamente In tale punto nevralgico, emerge come un e fenomeno sociale totale• 3• L'apparire e l'affermarsi nella produzione prima e nel mercato poi di sempre più numerosi prodotti di design ha indotto molti sociologi ad occuparsi di e cultura materiale•, cercando di studiare e ·di capire il fenomeno design. Così come di cultura materiale avevano parlato in passato gli antropologi studiando gli usi, gli attrezzi e i beni prodotti dalle varie comunità, o gli archeologi studiando le civiltà antiche e sepolte. t:. curioso che l'origine del termine e, con ·essa, della presa di coscienza del profondo cambiamento che si preannunciava, sia da ascriversi a quel gruppo di in tellettuali russi, tra cui V. Majakovskij, che operavano in un paese che .avrebbe presto visto sparire il consumo e il mercato almeno nell'accezione del termine a noi consueta. Una riprova che lo zig-zagare della storia . si snoda· sia in torno ai fatti che alle idee. · t:. comprensibile che coloro che per primi parlarono di cultura materiale lo facessero pensando all'urgente e neces sario rinnovamento della produzione e dei suoi prodotti. Ma ciò è. adesso avvenuto ed è, almeno per noi . occidentali,
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realtà ben visibile con la quale stiamo imparando a con vivere. La « venuta degli artisti ,. alle fabbriche, auspicata da Brik è avvenuta, e molte cose sone cambiate. Vecchi pro blemi hanno trovato soluzione e nuovi problemi si presen tano per reclamare una soluzione. Se Brik tornasse a na scere e scrivesse oggi probabilmente auspicherebbe la ve nuta degli artisti in aiuto non più dei luoghi di produzione bensì di quelli di distribuzione e di consumo. Oggi c'è bisogno di «exhibit design,. per migliorare la selezione e la presentazione dei prodotti nei negozi e c'è bi sogno di « interior design,. per migliorare la selezione e l'assemblaggio dei prodotti nelle case e negli spazi pubblici. C'è ancora bisogno anche di « product design,. • ma certa mente meno di quanto non ce ne fosse settant'anni fa. Oggi oramai esistono molti prodotti belli. Talvolta sembra addirittura che essi siano troppi e presentino un paesag gio sovrappopolato di false alternative mentre non è cre sciuta di pari passo la capacità di ben distribuire ciò che ben si produce. Ed è anche in ritardo la capacità di con sumare correttamente, sapendosi orientare• tra le migliaia di richiami• e di lusinghe che popolano il mercato. C'è stato un tempo, che durò più di cinquecento anni, fra !'VIII e il XII secolo, nel quale la sfiducia verso il mondo spingeva molti a chiudersi nell'isolamento del chio stro, così come sul piano più strettamente economico, la sfiducia nei riguardi del nascente mercato, spingeva la gente a chiudersi nell'isolamento della « villa,., secondo il· mo dello dell'economia cosiddetta «curtense,._ Questa impasse diede luogo quindi ad uno sviluppo che si orientò verso due direttrici: La direttrice tradizionale, cioè curtense-feu• dale e la direttrice rivoluzionarla, cioè In senso comunal-cit• tadlno. Furono due modelli di sviluppo che per circa due 1ecoll fiorirono In modo paradossalmente parallelo: dico pa• radossalmente perché nel fondo i due modelli erano antl· tetici e lncompatibill. Il inodello curtense-feudale era f on· dato sul rifiuto dello scambio e del mercato. Il modello co munal-cittadlno era tutto incentrato sullo scambio e sul JJler0 22 cato•. L'lncompatlbllltà economica si tradusse In contraSt
moderne società -industriali sviluppate. E dovranno cambia re e migliorare i negozi per divenire punti di acquisto, dove possano avere corso scambi la cui matrice culturale escluda l'ambiguo rapporto che attualmente lega il cliente-vinto al venditore-vincitore. Lo sviluppo armonioso del sistema delle merci presume un equilibrio che potrà essere raggiunto e mantenuto sol tanto dotando il sistema di quella cultura che oggi è quasi sempre esterna ad esso, affidata alla figura del designer e che dovrà invece divenire organica e dovrà permeare ed animare tanto l'attività di chi produce, quanto quella di chi distribuisce e. di chi consuma.
I N. ELIAS, Potere e Civiltà, Il Mulino, Bologna 1983, p. 423. 2 U. GALIMBERTI, Il sociale senza un'agorà, ne • Il Sole 24 ore•, 24 giugno 1989. J T. M.wx>NADO, Disegno Industriale: un riesame, Feltrinelli, Milano 1991, p. 17 .. 4 C. M. CIPOLIA, Le tre rivoluzioni, Il Mulino, Bologna 1989, p. 411.
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Dall'avanguardia alla reazione: Waldemar George GIULIANA TOMASELLA
Il frequente ricorrere del nome di Waldemar George nelle recenti ricostruzioni delle vicende artistiche fra le due guer re, la messa a fuoco del suo ruolo strategico di raccordo fra Italia e Francia, stimola l'approfondimento dello studio di questo personaggio, tanto citato quanto sfuggente. Amico e collaboratore del mercante d'arte Paul Guillaume fin dai tempi gloriosi del primo anteguerra, frequentatore di Picasso e degli ambienti avanguardistici parigini, Waldemar George, come molti intellettuali della sua stessa generazio ne, divenne uno dei protagonisti del rappel à l'ordre che in vesti, in varia misura e con esiti diversi, tutta l'Europa de gli anni Venti 1• Direttore della rivista « L'Amour de l'Art• e poi di « Formes• collaboratore dell' « Esprit Nouveau•, entrò ben presto a contatto con l'Italia per il tramite della rivista « Valori Plastici•, sulla quale apparve, nel 1920, un suo saggio sullo scultore Archipenko 2• Se in un primo tempo segui da vicino l'evolvere delle ri cerche puriste nella direzione di un'arte-scienza e dedicò la ·propria attenzione al Cubismo, a Picasso e a Braque, a partire dal 1928 intensificò il suo interesse per gli artisti italiani tanto da diventare il più strenuo difensore, fra gli stra nieri, delle ricerche pittoriche legate al « Novecento• di Margherita Sarfatti. Svolta che ci interessa in modo particolare, giacché costituisce un caso isolato e curioso di « con versione» piena e convinta di un critico francese alle pre-
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tese di « primato artistico italiano» impostesi massiccia mente dalla metà del terzo decennio in poi. Da questo momento in avanti, Waldemar George fu pre sente come attivo collaboratore o prefatore di molte delle Esposizioni novecentiste a Parigi e anima del gruppo chia mato ltaliens de Paris, che contava nelle sue file artisti co me Campigli, de Pisis, Giacometti, Licini, Severini, Tozzi 3• L'impegno costante e indefesso prodigato da George in tale direzione induce ad un interrogativo circa le sue convin zioni estetiche e i motivi di una così decisa scelta di fronte. La nostalgia metafisica Per trovare una risposta è necessario fare un passo in dietro e riandare alla sua prima collaborazione a « Valori Plastici»: al contatto, cioè, con quel crogiolo di idee e teo rie destinate a rivestire un ruolo essenziale nel passaggio da Avanguardia. a· rappel à l'ordre. e proprio quello con la Metafisica --- in particolare dechirichiana - l'incontro fon damentale·· per il critico, che ci consente di comprendere tante delle sue prese di posizione. Al fondo dei suoi. scritti degli anni Venti permane sempre, a ben guardare, come una sottile nostalgia metafisica, la tendenza a rapportar.e i più diversi fatti. pittorici contemporanei a quella· esperienza. Co ·sl, ad esempio, nell'interpretazione di Picasso contenuta nel .la breve monografia del 1924, pubblicata -= significativamen te - nelle edizioni di « Valori Plastici.», George, dopo aver brevemente, riassunto le fasi iniziali della carriera dell'arti sta spagnolo, si sofferma sulle opere dell'ultimo decennio e passa sotto· silenzio la portata rivoluzionaria del · primo Cu bismo e quindi rileva soprattutto le componenti classico-co struttive nei quadri più recenti. Ci troviamo così di fronte ad un artista che restituisce alla pittura francese questo elemento manuale e tattile, di cui l'avevano spogliata Dela crolx e gli Impressionisti, un Picasso esperto· della ·science professionnelle (il famoso mestiere di cui tanto discorreva in quegli anni proprio de Chirico), un pittore di ritratti e composizioni d'esprit classique tributario .di Raffaello. ed 26
Ingres '· Ma accanto all'insistenza sul recupero della tradi zione e sul legame imprescindibile con il dato di natura si nota l'utilizzo di alcuni termini-chiave come « magia», «mi sticismo», «enigma•, inspiegabili se non si tiene conto del legame di George con l'ambiente italiano: Nel caos informe della produzione pittorica di oggi la personalità di Pablo Picasso appare come quella di un precursore che anticipa la sua epoca, che traccia una nuova via al suol contempo ranei e che hnpone una legge, senza tuttavia consegnare « la chiave del suo enigma • 5• Passo, quest'ultimo, impor tante per focalizzare anche l'altro fondamentale aspetto del la critica di George negli anni fra le due guerre: la prefe renza che egli accorda ad un tipo di approccio alle vicende figurative capace di gettare un fascio di luce sulla società in cui l'opera d'arte nasce e sulle strette relazioni intercorrenti fra essa e l'ambiente circostante: gli artisti che George sce glie funzionano come simboli del mondo contemporaneo nei suoi diversi aspetti e sono degni di lode nella misura in cui si oppongono al disordine imperante e alla caduta degli an tichi e valori • (formali, ma anche politico-sociali). Nel saggio su Picasso compaiono già i· primi segni della svolta «classico-mediterranea», che culminò nel corso de ·gli anni Trenta, portando il critico ad · una chiusura tanto reazionaria quanto sterile. A quel punto Picasso e· de Chi rico, i due numi del George degli anni Venti, diventeranno l'uno· cinico manipolatore · delle leggi eterne della pittura, 'l'altro· pericoloso · divulgatore del linguaggio inquietante della crisi e. del naufragio delle certezze: entrambi troppo. lon tani dall'arte rassicurante ed asseverativa, solare e mediter ranea che egli sognava. George, nel suo Chirico et les appels du Sud, coglie bene la condizione di isolamento dell'artista, ai margini dei mo vimenti dell'arte contemporanea, bete noire des formalistes de toutes catégories. Con lui la ricerca di equivalenti· pla stici, il quadro inteso come armonia di forme e colori avente valore in sé, hanno cessato di esistere, soppiantati dall'aspi razione a varcare il limtie superficiale dei fatti materiali per attingere .ad una sfera superiore. Sconvolgendo quella asso- 27
ciazione logica che perfino nei più· rivoluzionari - come Pi casso - presiedeva alla creazione dell'opera d'arte, de Chi rico conferisce alle forme una nuova esistenza. Peintre fou de perspectives 6, mediante una prospettiva che funziona co me un « mirage •• egli mette in dubbio la validità dell'or dine razionale ad essa sotteso e in definitiva scardina l'in tero sistema di pensiero occidentale. Egli rappresenta l'Europa occidentale che prende co scienza della propria decrepitezza e che, ripiegata su se stessa, fa il bilancio del proprio glorioso passato, impersona l'angoscia di un'epoca che ha ucciso i propri miti 7• La sua opera non è che l'ultimo bastione dell'arte europea, oltre il quale si vede soltanto il crollo definitivo e ineluttabile. Non un riferimento, in questo saggio, alle speranze riposte in una rinascita dell'arte contemporanea grazie all'Italia; solo un diffuso presentimento di decadenza, una visione epocale che già ci· richiama Oswald Spengler, il cui Tra monto dell'Occidente• aveva probabilmente già letto, ma su ct,1.i .mediterà più approfonditamente in un altro scritto ben più ambizioso, quello sui Profitti e perdite dell'arte con• temporanea apparso nel 1933 e su cui ritorneremo. Il richiamo all'Italia è invece presente in un'altra mono grafia del 1928, quella dedicata a Filippo de Pisis e al suo mystere diurne, che gli fornisce lo spunto per parlare di un Rinascimento che ridiviene, nelle recenti ricerche pittoriche italiane, une source d'inspiration et une source d'energie. Agli italiani George affida qui l'alto compito di uscire dalle secche del naturalismo -e di approdare 7" non a caso - ad un lyrisme quasi métaphysique 9: lo stesso della pittura quattrocentesca, secondo quell'interpretazione dei « primiti vi ,. in chiave di « realismo magico • assai di moda negli anni Venti •0• In queste pagine, così, la propensione· ad un'in Jerpretazione epocale dei fatti artistici, presente anche nel saggio su de Chirico, si coniuga con le specifiche speranze che George aveva cominciato a nutrire circa i destini del l'arte. Via via, mescolando gli spunti più diversi (schemi wolflli28 .niani, filosofia spengleriana, interpretazioni surrealist�, sug-
e rassicurante, George si · allontana sempre più da de Chi rico e dai suoi enigmi, decretandone la morte come artista in un articolo del 1932 u, e opta per una pittura esclusiva mente rivolta all'indietro, ricostruttiva dell'ordine perduto. Revisione che finisce per portarlo ad un recupero della tra dizione nel senso più piattamente accademico e ad una com pleta. capitolazione di fronte alle pressioni politiche, con la conseguente accettazione del predominio della politica sul l'arte. L'evoluzione del suo pensiero estetico costituisce un esempio chiarissimo della massiccia intrusione di esigenze e valori eteronomi all'interno della sfera artistica, che ri guardò un gran numero di scritti di questo periodo, in spe cial modo italiani 14 • Una sorta di volontarismo ottimistico induce il critico ad accantonare le preferenze precedente mente espresse (e che non si può pensare siano state spaz zate via nel breve spazio di qualche anno), e a salvare o condannare le opere d'arte unicamente in base alla con gruità al disegno restaurativo proposto, che è essenzialmente politico (o comunque socio-culturale in senso lato) e ben poco ha a che fare con il giudizio sulla forma in sé. A que sto proposito è particolarmente illuminante il brano in cui George istituisce un confronto tra il metodo purovisibili stico di Wolfflin e Riegl e quello di Winckelmann, a tutto vantaggio di quest'ultimo. Relega infatti i formalisti fra gli «eclettici», tra coloro, cioè, che per la smania di voler com prendere e classificare ogni fenomeno artistico senza pre clusioni, affidandosi agli schemi della pura visibilità, hanno rinunciato al giudizio e alla scelta personali. Meglio allora il vecchio Winckelmann, che se ha sbagliato come storico tracciando il diagramma della decadenza dell'arte romana da Traiano in poi, ha però compiuto la sua missione d'uomo d'azione e di 'restauratore della bellezza antica' 15• Come se i criteri di valutazione formale dell'opera, poiché non la si rapporta ·ad altro che a se stessa, negassero implicita mente la possibilità del giudizio.
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li tramonto dell'arte occidentale Il passo precedente, tratto da Profitti e perdite dell'arte contemporanea, ci consente di passare all'analisi di que st'opera di George, che ci sta particolarmente a cuore non certo per il suo valore intrinseco, quanto per la sua esem plarità. Apparsa in Italia nel 1933 con tanto di epigrafe mus soliniana, e per giunta nella traduzione di Ardengo Soffici, costituisce il punto di massima convergenza tra le idee di George e le istanze più reazionarie della cultura italiana di quegli anni ed è una testimonianza degli esiti estremi cui la confusione fra i due piani - politico e culturale - poté portare. Essa si propone ambiziosamente come viatico dell'uomo che conserva il senso della propria identità nel tempo, nello spazio e nella scala sociale 16 e può essere definita, in so stanza, una feroce requisitoria contro l'arte moderna. Il cri tico vi tentò un'analisi socio-culturale della genesi e degli esiti della pittura d'avanguardia, cercando di spiegarla at traverso la parallela, generale evoluzione ( o meglio involu zione) della società contemporanea. Fin dalle prime pagine George si scaglia contro la fiacca inquietudine delle Avan guardie e le definisce fenomeno di degenerazione e di ma terialismo, che ha a tal punto misconosciuto l'uomo da ab bassarlo fino allo stato di fantoccio, di essere pseudopri• mordiale, schiavo dei suoi istinti, o allo stato di macchina, d'automata fabbricato in serie 17• La società delle macchine e il progresso scientifico, Freud e Marx sono i coimputati di questo grande processo intentato contro tutti i fenomeni in qualche misura «moderni,. che George vede minacciosa mente ergersi conto lo svettante vessillo dell'« umanesimo latino». Il mito dell'autonomia dell'arte, impostosi a partire dal l'Ottocento in Francia e culminato con l'esplosione delle Avanguardie, secondo . George, non è stato una . conquista ma uno scacco. A partire da questo dato di fatto si dipana, non senza difficoltà ed impacci, il filo di una reinterpreta zione dell'arte contemporanea che. conduce ad una sistema.
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tica demolizione, pezzo per pezzo, delle più recenti conqui _ste della pittura europea. La pretesa degli artisti di agire secondo regole autono me, interne al procedimento artistico non è solo errata, ma colpevole. Il concetto di base da cui George muove, e che assume ai nostri occhi un'importanza fondamentale, è che l'arte debba opporre una resistenza attiva alle dominanti dell'epoca 18• Cosa che la pittura moderna non ha fatto. E questo perché gli artisti, anziché reagire alla degenerazione politica e morale dilagante, alla massificazione (che, guarda caso, coincide con democratizzazione), presentandola e ade guandovisi, ne hanno fornito una sorta di anticipato rispec chiamento nelle loro opere. Nostalgico, come molti suoi contemporanei, di una ge rarchia dei soggetti, George guarda con orrore alla genera lizzata tendenza; dall'Impressionismo al Cubismo, alla ridu zione dell'essere umano ad oggetto fra altri oggetti, a mac chia fra le macchie, tendenza che da sintomo è divenuta specchio della degenerazione morale dell'uomo contempo raneo, ateo e materialista. Se Picasso colpevolmente saccheggia per i suoi fini la tradizione, Léger nemmeno la conosce più. I suoi uomini macchina stanno n a significare che l'individuo pensante è diventato uomo-folla, il 'massenmenscb' 19• Dove l'intuizione della progressiva massificazione, cui va incontro l'uomo con temporaneo nella società industriale, viene resa sterile dal l'equivoco in cui il critico cade. Esaltando infatti il valore atemporale dei - miti classici, bollando le moderne manife• stazioni artistiche come « arte contro natura ,. ( cioè arte de generata), nella assurda presunzione di fermare il tempo, egli prestava il fianco alla letale forma di massificazione delle coscienze che in Europa si stava compiendo proprio in quei giorni. Nell'apocalittico quadro che il critico · traccia della so cietà contemporanea l'eguaglianza è il solo mito vivente d'una società che ignora e disprezza la perfezione morale :iD• . · M�cchina o bestia:. questi sono gli estremi entro cui l'uomo oggi oscilla. Puntualmente .registrati dalle opere d'ar32
nlpotenza del danaro e della_.finanza, il regime delle masse e dell'anticasta 23• In questo mondo privato di ogni punto di riferimento spirituale, l'uomo regredisce allo stato di no made. La città cosmopolita è il luogo, senza più lari e pe nati, in cui si svolge la vita di un'umanità ritornata allo stadio primitivo. Spengler rileva così la paradossale convi venza di macchina e bestia, cioè la stessa che George de nunciava nella sua analisi dell'arte contemporanea. Perfino la sua condanna dell'Impressionismo trova dei riscontri pre cisi in Spengler, anche se la vis polemica di George manca totalmente al filosofo, che considera ogni fatto, anche il più terribile, come il segno del compiersi di un destino inelut tabile, che sarebbe assurdo « giudicare ». Come rileva Theo dor Adorno, in un saggio fondamentale sull'argomento, la consapevolezza essenzialmente critica dell'impotenza della verità nella storia quale sinora si è data, 4el prevalere del mero essente su tutti l tentativi di uscire dal suo cerchio per mezzo della coscienza, diventa per Spengler, impercetti bilmente, la giustificazione del mero essente 24• Quale futuro per l'arte?
Un'altra prova della sostanziale concordanza di idee fra George e Spengler è data dall'insistenza di quest'ultimo sulle colpe degli artisti, succubi dell'involuzione in. atto. Parlando della pittura di Manet, per esempio, Spengler dice che la sua arte rappresenta un cedimento· di fronte alla barbarie delle grandi città, l'iniziale dissoluzione che nell'ambito del sensi sl esprlm.e,_ln.una mescolanza .dJ. brutaJjtà � di "9,ffina tezza; rappresenta un passo, che doveva necessariamente es sere l'ultimo. Un'arte artificiale non è suscettibile di svi luppo organico. Essa segna una fine. Triste constatazione: segue da ciò che per l'arte--figuratlva• occidentale -è•lrrevoca• bllmente. finita 2S. . Ma non è ancora finito il ciclo evolutivo della :società euro-occidentale. Se la macchina e il denaro ovunque vanno affermando il proprio strapotere e schiacciando le forze spi34 rituaH, la loro lotta è ormai alla fine:_ dopo, comincerà l'ul-
vesse piacere ai fascisti · dal · momento che _,. vista l'insi stenza con cui George parlava di Roma antica e del suo im pero - lasciava sperare in una futura centralità de iure dell'Italia in quest'Europa rigenerata dal mito. Veniva inol tre a suggellare e ad esaltare le scelte della simbologia del regime, tutta aquile e fasci littori. Il concetto di impero come chiave di volta per il supe ramento dei nazionalismi e modello di una rinascita latina allinea George alle posizioni della parte più conservatrice della cultura francese e svela il complesso intrecciarsi di istanze politiche e culturali tipico del periodo fascista an che all'interno di un testo apparentemente neutro. Ma quale fecondità, sul piano delle· proposte · formali, una tale estremizzazione reazionaria potesse avere, lo rile vano gli stessi documenti figurativi che corredano Profitti e perdite dell'arte contemporanea, in prevalenza ellenistici e romani e per il resto non posteriori a David ed Ingres (con le uniche eccezioni di un Cézanne e un Degas, ma l'uno svalutato nel testo, l'altro strumentalmente affiancato ad un ritratto romano). A furia di anatemi, si giunge all'assurda pretesa di riportare di forza gli artisti al di qua dell'Im pressionismo: il Novecento pittorico viene cancellato, fu turo e passato finalmente coincidono.
I Per qualch·e spunto relativo alla frequentazione degli ambienti avanguardisti parigini, cfr. P. CABANNE, L'Epopée du Cubisme, Paris, La Table Ronde, 1963, passim e P. CABANNE· P. REsrANY, L'avantgarde au XX• siècle, Paris, Balland, 1969, p. 284. 2 W. Gl!ORGE, Archipenko, in e Valori Plastici•, II, 3-4 marzo-aprile 1920. 3 Per una ricostnizione ad annum della vicenda degli Italiens de Paris, cfr.: M. FAGIOLO DELL'ARCO, Severini e il gruppo degli e Italiani di Parigi•, in R. BARil.l.l (a cura di). Gino Severini (1883-1966), Milano, Electa, 1983, pp. 25-34; N. BOSCHIERO, De Pisis con gli e Italiens de Pa ris•, in G. BRIGANTI (a cura di). De Pisis. Gli anni di Parigi 1925-1939, Milano, Mazzotta, 1987, pp. 231-36; M. FAGIOLO DELL'ARCO, e Appels d'lta lie •· Gino Severini 1928-1932, un francese a Roma, in D. FONTI, Gino Severini. Catalogo ragionato, Milano, Mondadori-Daverio, 1988, pp. 391399. " W. GEORGE, Picasso, Roma, Edizioni di e Valori Plastici•• 1924, p. 13. . 5 GEORGE, op. cit., p. 14. 36. · 6 W. GEORGE, Giorgio de Chirico, Paris, Editlons des Chroniques du
Jour, 1928, p. IX; la definizione ci richiama Paolo Uccello, a cui Philip pc Soupault aveva dedicato un articolo l'anno prima su e L'Amour de l'Art», 1927, pp. ln-180. 7 w. GEORGE, op. cit., pp. XXIV-XXV. 1 Der Untergang des Abendlandes, Miinchen, 1923. Trad. it., Milano, Longanesi, 1957. 9 W. GE0RGE, Filippo de Pisis, Paris, Editions des Chroniques du Jour, 1928, p. Ili. to Cfr. G. DE CHIRICO, La mania del Seicento, in e Valori Plastici,., 3, 1921, ora in Il meccanismo del pensiero, Torino, Einaudi, 1985, p. 108. Il W. GE0RGE, Presentazione della sala e Appels d'ltalie >, in Cata logo della XXVll Esposizione Internazionale d'Arte di Venezia, Vene zia, Officine grafiche Ferrari, 1930, pp. 92-94. 12 Ibidem. tJ W. GE0RGE, Vie et mort de Chirico, in e L'Amour de l'Art,., aprile 1932, pp. 129-133. 14 Cfr. A. SOFFICI, Periplo dell'arte, Firenze, Vallecchi, 1928, il cui ultimo capitolo è intitolato ali'« Arte Fascista•· rs W. GEORGE, Profitti e perdite dell'arte contemporanea, Firenze, Vallecchi, 1933, p. 172. 16 w . GE0RGE, op. cit., p. 10. 11 Ivi, p. 8. ti Ivi, p. 17. 19 Ivi, p. 68. lO /vi, p. 73. 21 · Ivi, pp. 97-98. 22 Cfr. R. DE FELICE, Mussolini il duce. I. Gli anni del consenso /929-/936, Torino, Einaudi, 1974, pp. 38-44. 2J J. Evou " Prefazione», in /I tramonto dell'Occidente, cit., p .14. 24 TH. W. 'AllORNO, Spengler dopo il tramonto, in Prismi, Torino, .Einaudi, 1972, p. 54. 2S o. SPENGLER, op. cit., p. 462. 26 Ivi, pp. 1423-24. r, lvi, p. 1426. :za W. GEORGE, op. cit., pp. 188-89.
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