Op. cit., 84, maggio 1992

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Op.cit. rivista quadrimestrale di selezione della critica d'arte contemporanea Direttore: Redartori:

Renato Dt: Fusco

Roberta Amirante, Alessandro Castagnaro, Marina Montuori, Livio Sacchi, Sergio Villari Segretaria di redazione:

Redatione: 4mministra:.ione:

Saia Graus Ventrella

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Edizioni • Il centro a di ·Arturo Carola


G.

PlGAFETTA

Progettazione: storia, storiografia ed epoca

M.

BECCJIIS

Storici dell'arte e critici dell'avanguardia

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Koenig e il design

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Libri, riviste e mostre

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A.

CASTAC�uo

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Alla redazione di questo numero hanno collaborato: Gianni Contessi, Fabio Mangone, Marina Montuori, Maria Dolores Morelli, Maurizia Terza, Sergio Villari, Serenella Volpe.


Lll ,¡ivista si avvale del contributo eco,wmico dei segue11ti Istituti e Aziende: Alessi Boffa arredamenti Bulthaup Camera di Commercio di Napoli Corlegno Driade IC Soft Majorano Sabattini Zen Italiana












Ciò non va, evidentemente interpretato come segno Ji debolezza o di implosione della storiografia; anzi. A metà degli anni venti Heidegger osservava, con certa preoccupa­ zione, che le « scienze storiche,, - al contrario di altre non erano ancora entrate in crisi e vivevano, paghe dei loro metodi e delle loro procedure, una stagione di equilibrio. Ma ciò era dovuto al fatto che esse non avevano « ancora raggiunto quel grado di maturità necessario per produrre vere e proprie rivoluzioni ». Oggi, forse, si è giunti in pros­ simità di quel grado di maturità che lascia trasparire sem­ pre più il carattere problematico, « insicuro•, per nulla eu­ ristico della storia. t:., forse, questo, un momento di rina­ scita nel segno di qucll'« eterna giovinezza» che De Fusco, con parole di Weber, assegna. alla storia. Se sono svaniti gli ordini teologici, provvidenziàli, ne­ cessitanti, eticamenté normativi della storia, quest'ultima non è certo morta, poiché non è morto il suo più originario e antico spirito che le fa combattere, nel tempo, la più «umana• delle battaglie contro il tempo. Tra lo storico e l'evento vi è una sola certezza che li accomuna: la loro re­ ciproca finitudine. E, nonostante ciò, a quegli elementi ca­ duchi e finiti, lo storico - caduco e finito - affida il pro­ prio sapere e il proprio ricordo. « I morti - rammenta Gentile - sarebbero ben morti e verrebbero cancellati dal quadro della realtà, che è la di­ vina realtà, se non ci fossao i vivi, che ne parlano rievo­ candoli nel loro cuore e risuscitandoli nel vivo aere del loro stesso spirito».

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Storici dell'arte e critici dell'avanguardia MICHELA BECCII I S

Non sarebbe certo corretto dare una delìnizione assio­ matica di chi sia uno storico dell'arte o di quali siano, o dovrebbero essere, le sue metodologie, i suoi strumenti. Sono molti i criteri di valutazione che si sono succeduti nel tempo e molti sono quelli attualmente operanti, di fre­ quente,. come. noto, in contrasto tra loro. Tuttavia non si può negare che spesso sia stata avanzata, da parte di molti che, in un modo o nell'altro, hanno a che fare con l'arte, l'idea di una differenza, almeno metodologica, tra coloro che si occupano di « arte del passato» e gli interpreti dell'arte contemporanea, quanto meno perché, superando le defini­ zioni troppo generiche circa il concetto di arte, il loro ri­ spettivo oggetto di studio viene modificato da una serie di clementi fondamentali strettamente legati al tempo in cui l'oggetto stesso si sia presentato come « fatto reale ». . . Nell'arte contemporanea, ad esempio, non si può pre­ scindere dalla compresenza di artista e opera, dalla con­ temporaneità di artista e critico, dalla esistenza di un per­ corso creativo ancora non chiuso, quindi non definitivo. M.i quello che mi preme subito sottolineare è che per l'appunto questi elementi sono determinati dal tempo. Quindi, se pure in senso ampio, da un rapporto storico. A proposito della citata differenza, mi sembra ancora esemplare un testo di E. Migliorini, in cui prendendo in 16 prestito da R. Carnap la figura del « linguista Karl». si





artista e critico inteso come rapporto dialettico coscienle delle proprie individualità e della comune appartenenza ad un uguale contesto, ma che, al tempo stesso, non si fermi per trovare un ambito di comprensione a questa percezio­ ne: essere cioè parti chiaramente distinguibili di un unico insieme, ma che tenda al ristabilimento di una comunica­ zione attraverso il ristabilimento del significato· all'interno del referente. Il lavoro comune di artista e critico dovrebbe cioè essere quello di individuare al meglio quel significato possibile, che ogni opera d'arte, perché sia tale, deve avere in sé. ·Un significato però di cui si può cogliere la molte­ plicità e complessità solamente se rimangono sempre chia­ ramente distinguibili i due differenti linguaggi tesi alla sua individuazione. Tanto nella sostituzione dell'uno all'altro, quanto nella comune confusione esterna all'opera, si ripre­ senterebbe il rischio di dissoluzione; o meglio di non affio­ ramento, del potenziale liberatorio, lacerante, « distruttivo » in senso benjaminiano, che ogni opera può avere . . La proposta metodologica quindi non è giocata altro che su questi due elementi. Innanzi tutto di un impegno di en­ trambi i fronti per la • rimessa al suo posto » di un oggetto che non demanda totalmente a·· ciò che gli sta intorno il suo senso eventuale, ma che sia in grado di far intendere la sua provenienza in sé. Di far sì che la sua comprensione, così come quella del contesto - condizione di qualunque approvazione o riprovazione - parta da sé, per- stabilire solo in seguito la rete di connessioni entro cui si può col­ locare; e non viceversa. · ·Il secondo elemento è quello della riappropriazione delle rispettive specificità linguistiche, la forte consapevolezza di una sostanziale differenza per· cui il progetto artistico si realizza con il suo linguaggio che non può essere ermetica­ mente celato, ma che si esibisce nel suo carattere principale di intervento, di azione modificatrice di materie, di artefa­ zione. D'altro lato· una critica che non dovrebbe mai scivo­ lare nella tentazione di fornire un· eventuale significato man­ cante, Non è vero che le arti figurative siano mute ed .at20 tendano che la . parola, scritta o .parlata che.. sia, ·dia ·lQ.ro


voce. Se mai cosi° dovesse essere, il linguaggio critico svol­ gerebbe il ruolo di trasformare in cultura un vuoto·. Sarebbe ben misera cosa.

E. MICLIORINI, Miseria della critica, Il Fiorino, Firenze 1979, p. 10. Idem, p. 11. l A. BRETON, Chantes surrealistes. 4 H. BELTINC, La fine della storia dell'arte o la libertà dell'arte, Ei•

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naudi, Torino 1990, p. 18.

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Koenig e - il design ALESSANDRO CASTAGNARO

Il design è un pipistrello L/2 topo 1/2 uccello è il titolo che Mucci, Rizzoli e Maragliano hanno dalo ad un libro che raccoglie scritti ed articoli di Giovanni Klaus Koenig, pub­ blicati dal 1969 al 1986. Nella presente nota, che non in­ tende essere una recensione di tale volume, vogliamo indi­ viduare e commentare alcuni « temi» toccati dall'A. Di lui Pierluigi Spadolini scrive nell'introduzione: Koenig è stato un uomo da molti ritenuto uno spirito Inquieto, un tempe­ ramento difficile, pronto alla critica più accesa ed alla con­ tesa più aspra, un'anima libera, una mente ed una penna vivaci e molto spesso mordaci. Ma ciò che non tutti ricor­ dano ... è il suo contributo scientifico ed Ideologico alla cul• tura architettonica contemporanea; la sua figura di spicco nel panorama della critica d'architettura. Lo studioso ed li docente. Lo scienziato che ha osservato in laboratorio l dlf• ficlli e complessi segnali della linguistica scientifica per com­ pararla al linguaggio universale dell'architettura. Una ri• cerca ed una disciplina, quella della semiologia dell'archi­ tettura. Il primo tema nel quale possiamo far convergere parec­ chi contributi koenighiani è quello, non tanto semiologico in senso stretto, quanto inclusivo di argomenti quali la co22 municazione, i codici, i comportamenti, ecc. Nell'articolo in-






nelle periferie moderne, dove l'anarchia: architettonica pre• domina. Fra i molti modelli di una città che possiamo farci,· vi è anche quello di « città come sistema di comunicazioni ». Possiamo cioè Intenderla come una serie di emittenti e se• gnall, necessariamente significanti. Per chi sappia « vedere ,. una città, essa comunica certamente qualcosa: cioè una se• rie di valori ( non necessariamente estetici, ma comunque storici). Se la città è la struttura formale della sua storia, non vi è · dubbio che ogni sua funzione Interpretativa mette In moto li processo Inverso, risalendo dalle forme alla sto­ ria civile che le ha generate. Tali comunicazioni sono spesso negative ed emettono segnali discordanti e deboli che, per­ tanto, possono essere in ·parte annuitati con un arredo ur­ bano « forte" che possa dare carattere unitario ·e positivo all'ambiente. Certo non tutti i· problemi potranno essere ri­ solti ·con un arredo urbano accurato, ma uno studio più at• tento dell'arredo stesso potrebbe costituire un primo ·passo di rinnovamento almeno in quei luoghi carenti di infra­ strutture. Come si vede il tema della. comunicazione, dei comportamenti e dei segnali ritorna questa volta a scala urbana; un tema che anticipando una conclusione porta alla distinzione tra un design privato -'- che rischia di colludere col kitsch al quale Koenig dedica le sue pagine piì1 ironi­ che - e uno pubblico che sembra raccogliere· tutto il suo favore. Ma questa sua partigianeria, beninteso perfettamente legittima, si avvale in più punti di concetti molto spesso divenuti luoghi comuni: il · consumismo, i bisogni indotti, l'industria ·padrone, il designer dipendente fino alle macchi• nazioni del sistema· che schiaccerebbero la gente comune. In verità Koenig non si esprime in questi termini, ma il suo dissenso li sottointende chiaramente.- Fra i temi più- im­ pegnativi del libro è quello relativo alla · qualità della vita che l'A. tenta addirittura, pensando forse a teorie scientifi­ che, di quantizzare secondo la formula: ricch�zza g·enerale dell'ambiente costo generalizzato dell'acesso

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esame. Il discorso si fa tecnico, specialistico e documenta­ rio di una notevole esperienza. tale da costituire un libro a parte. La teoria si coniuga alla pratica, che non seguiamo, perché fuori dalla nostra competenza e perché sufficiente ci

seml::ra la comprensione della teoria che della pratica costi­ tuisce la premessa.

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