Op. cit., 91, settembre 1994

Page 1


Op.cit. rivista quadrimestrale di selezione della critica d'arte contemporanea

Direttore: Renato De Fusco Redattori: Roberta Amirante, Alessandro Castagnaro, Marina Montuori,

Livio Sacchi, Sergio Villari

Segretaria di redazione: Saia Graus Ventrella Redazione: 80123 Napoli, Via Vincenzo Padula, 2 - Te!. 7690783 Amministrazione: 80122 Napoli, Via Francesco Giordani, 32 - Te!. 7612002 Un fascicolo separato L. 6.000 (compresa IVA) - Estero L. 8.000

Abbonamento annuale: Italia L. 16.000 - Estero L. 20.000 Un fascicolo arretrato L. 7.000 - Estero L. 9.000 Spedizione in abbonament� postale - Gruppo IV/70% C/C/P n. 23997802 intestato a:

Edizioni «

·u centro ,. di Arturo Carola


« Op. cit. • e trent'anni d'arte contemporanea

R.. DE

Fusco

Restauro ed ermeneutica

G. Lom

Nuove idee in fabbrica

C. DB SETA

Ricordo di Manfredo Tafuri Libri, riviste e mostre

5

14

26 36

43

Alla redazione di questo numero hanno cottabrato: Messandra de Mar• tini, Stefania Papa, Sergio Pone, Livio Sacchi.


La rivista si avvale del contributo economico dei seguenti Istituti e Aziende: Alessi Camera di Commercio di Napoli Driade Golden Share Sabattini Zen Italiana



Senza ;la pretesa di fare un bilancio, né di stabilire un primato· fra le arti, è ·tuttavia indubbio che la pittura (se­ guita dalla scultura che continua ad essere poco studiata) presenta, rispetto alle altre esperienze artistiche, ·un pano­ rama assai più ampio. Tutti hanno modo di vedere quali cambiamenti nell'ambiente urbano e nelle periferie sono stati prodot�i dall'architettura, come pure quelli apportati dal design: alla produzione degli oggetti industriali, ma non molti sanno che - nulla togliendo alla pratica, alla teoria e alla critica dell'architettura e del design - la pittura pre­ senta una gamma cosi vasta di temi e problemi da coprire quasi ogni interesse della cultura contemporanea.

6

In linea generale, si può dire che non c'è stato fenomeno socio-culturale che non abbia trovato un puntuale riscontro nella pittura di quest'ultimo trentennio. L'Informale, oltre alla ripresa della gestualità inconscia già scoperta dai sur­ realisti sulla scorta della psicanalisi, ha portato nel campo dell'arte il fattore della casualità, la regola ed il caso essendo peraltro una polarità che ha interessato notevolmente la stessa ricerca scientifica. La Pop Art, classificabile nella linea del­ l'arte sociale, tuttavia diversa dal sociologismo di marca ot­ tocentesca, ha elevato a livello artistico le espressioni dei mass-media, con tutte le loro connotazioni neocapitalistiche, consumistiche, spettacolari, rappresentando, come ebbe a no­ tare Filiberto Menna, una risemantizzazione dal basso di una pittura divenuta troppo ermetica. L'arte di protesta sociale ha invece trovato la sua più attuale e pertinente espressione nell'Arte di comportamento, negli Happening" fino alle mani­ festazioni note come « lo sciopero degli artisti ». La l.And Art e in qualche modo l'Arte povera hanno rispecchiato le istanze ecologiche ed ambientaliste. L'Arte ottico-cinetica o programmata ha tentato una collaborazione col design e la produzione industriale. L'Arte concettuale, in parte riferen­ dosi alla linguistica strutturale, ha proposto una collusione e talvolta persino la sostituzione del concetto all'immagine. La video-arte e per molti versi la componente artistica della cosiddetta realtà virtuale hanno tradotto in campo estetico le scoperte della più avanzata tecnologia.



capaci di risolvere qualunque problema pratico. La gratuità folle di tante manifestazioni che vediamo quotidianamente, non va certo imputata all'arte, ma trova nella sua irraziona­ lità, come dicevamo, una sorta di spiegazione causale con­ tro coloro i quali tentano di trovarla in dietrologie razio­ nali, in occasioni storicamente perdute, in imprevisti ri­ tardi, nella mancata attuazione di alcuni programmi. Si dirà che ci stiamo riferendo solo all'aspetto che è stato definito « viscerale » dell'esperienza artistica, ma una dose di follia è riscontrabile anche nel più comprensibile ed eti­ camente degno versante «razionale » di essa. Come definire altrimenti i tentativi pianificatori, progettuali, ordinatori di una realtà da parte dell'arte chiaramente inadeguati in un mondo nel quale non solo la « meccanizzazione ha preso il comando •, ma lo ha preso al punto da invadere, e con suc­ cesso, anche il campo del ludico, dell'estetico e dell'artisti­ co? Quanti rinuncerebbero al solo lato spettacolare della tv per il piacere estetico prodotto da una mostra d'arte con­ temporanea? E quella pittura che fa il verso ai mass-media (pensiamo alle opere di Andy Warhol, di Roy Lichtenstein, di James Rosenquist), che pure apprezzammo al momento della sua comparsa per il suo valore di «trovata», non ri­ sulta oggi una patetica e statica mimesi di mezzi tecnolo­ gici di informazione in continua evoluzione? In ogni caso, sia per i suoi aspetti di avanguardia, sia per quelli di retroguardia, fra tante esegesi critiche, ipotesi interpretative, dibattiti e commenti, una cosa appare certa: l'arte figurativa e segnatamente la pittura risulta in una po­ sizione di emarginazione mai verificatasi prima nella sua storia. Né questo spiazzamento è attutito da un mercato d'arte, talvolta ricco e fiorente e comunque uno dei pochi agenti capace di tenere in vita un'attività culturale in una stagione che non le è certo favorevole. Il disagio dell'arte, la sua dialettica di azione e reazione, trovano notoriamente origine nella «filosofia » dell'avanguar­ dia storica, dalla quale l'arte di questi ultimi trent'anni non s'è mai staccata, talvolta proponendosi addirittura come un 8 suo revival: neofuturismo, neodadaismo, soprattutto neo-



Ma il tentativo di trovare un senso all'emarginazione del­ l'arte attuale non può risolversi con le interpretazioni di tanti critici che in quest'ultimo trentennio si sono preoccu­ pati soprattutto di non essere a loro volta emarginati dal « progresso • dell'arte; bisogna risalire un po' più indietro oppure rifarsi ad autori che, non preoccupati dello « sca­ valcamento a sinistra•, si sono posti in una posizione di­ scorde (a quest'ultimi dedicammo un articolo apparso su « Op. cit.• nel settembre del '65). Che le difficoltà delle arti figurative -siano cominciate con la scoperta della fotografia e in genere con la riproducibilità tecnica delle immagini è noto a tutti. Walter Benjamin, muo­ vendo da questo spunto, scrisse nel 1936 un saggio divenuto presto un caposaldo della critica contemporanea. E. certa­ mente realistica la sua interpretazione, secondo la quale l'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica avrebbe perduto l'« aura», ossia quella valenza di origina­ lità e di unicità dell'opera tradizionale nel luogo in cui si trovava, quell'hic et nunc dell'originale che costituiva il con­ cetto della sua autenticità. Ed è ancora da condividere il suo giudizio quando egli osserva che il valore unico dell'opera d'arte « autentica • trova la sua fondazione nel rituale, nell'am­ bito del quale ha avuto il suo primo e originarlo valore d'uso. Questo fondarsi, per mediato che sia, è riconoscibile, nella forma di un rituale secolarizzato, anche nelle forme più profane del culto della bellezza (W. Benjamin, L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, Einaudi, Torino 1966, p. 26). Assai meno condivisibile è il valore alternativo della perdita dell'aura che l'autore coglie nel nuovo genere d'opera d'arte: la rlproduclbllltà tecnica dell'opera d'arte emancipa per la prima volta nella storia del mondo que­ st'ultima dalla sua esistenza parassitarla nell'ambito del rl· tuale [ ..•]. Ma nell'Istante In cui il criterio dell'autentltlcità nella produzione dell'arte viene meno, sl trasforma anche l'Intera funzione dell'arte. Al posto della sua fondazione nel rituale s'Instaura la fondazione su un'altra prassi; vale a dire li suo fondarsi sulla politica (lvi, pp. 26-27). A parte il ri10 ferimento a quest'ultima che nella prassi s'è rivelata ben



autonomo l'arte alla società e che cosa quest'ultima potreb­ be domandarle? L'uso di tanti verbi al condizionale si deve al fatto che domande simili sono già state poste e con scarsi risultati; tutti o quasi siamo in grado di sapere o quanto meno di avere un'idea di come stia andando questo rapporto fra arte e società. Se abbiamo chiamato in causa il binomio autonomia-eteronomia è per introdurre il punto che più ci sta a cuore: in una visione spiritualistica del problema­ _; l'unica capace di opporsi, sia pure nella modestia della sua dimensione quantitativa, alle contraddizioni di una so­ cietà edonista e materialista nell'accezione peggiore - la relazione fra l'arte e ciò che la trascende. Ne Il valore estetico di Felice Battaglia la trascendenza caratterizza l'inesauribilità del valore rispetto all'opera, e quindi alla vita e al mondo che vi concorrono nell'appre­ stata materia, l'eccedenza del valore che rimanda ad altro oltre ciò che definisce, è li segreto ontologico di questo come di ogni altro splrltuale processo (F. Battaglia, Il va­ lore estetico, Morcelliana, Brescia 1963, p. 30). La non esau­ ribilità del valore è l'aspetto peculiare dell'opera d'arte, de­ stinata ad essere « incompiuta •, ed è anche alla radice di una possibilità di esercizio della critica. L'arte infatti; se­ condo Battaglia, costituisce un tentativo e solo un tenta­ tivo, come tentativi sono tutte \le operazioni umane, se in­ contrano un limite e lasciano un residuo, se sempre sono superate da un valore, se trovano oltre un ideale a proporre operazioni nuove nel valore. Condizionata dunque nelle più varie situazioni umane, l'arte tenta di emanciparsene for­ malmente, in quanto reca in atto un valore, ma Inferiore rispetto al Valore, in definitiva ne dipende per quanto di spirituale e di bello può dare al mondo. (lvi, p. 81). :I:. ap­ punto sulla presenza di tale « residuo •, che si fonda la pos­ sibilità di una valutazione; la critica nasce proprio dall'av­ vertimento di un difetto, avvertimento che diviene giudizio in un interveniente concetto, ma li difetto esclude appunto il capolavoro unico, li tono Ineffabile. Occorre rinunciare 12 all'estetica dell'atto Intuitivo perfetto, della sintesi chhisa,


quale finora c'è stata presentata dall'idealismo, nel cui am­ bito l'A. ritiene che il discorso critico è Impossibile (/vi, pp. 76-77). Nell'estetica di Battaglia, due temi fondamentali caratterizzano l'opera d'arte e possono quindi, ci sembra, essere assunti come criteri di valore: il primo è il citato tema dei "residui», il secondo quello della «tensione,. im­ plicita in ogni opera d'arte verso il Valore che l'avvalora e insieme la supera. Le arti figurative e soprattutto la pittura dovrebbero, a nostro avviso, accettare l'attuale condizione di marginalità, senza rincorrere ambizioni che restano pateticamente fru­ strate da altre espressioni artistiche o para-artistiche, verso le quali risulta meglio disposta l'« industria culturale». Que­ sta non va biasimata nella sua struttura che rispecchia i valori-interessi sia· dei produttori che del pubblico, ma lad­ dove illude ogni forma d'arte del suo appoggio e sostegno. L'organizzazione di mostre, i premi e le sponsorizzazioni ri­ solvono solo modestamente e sporadicamente i problemi dell'arte contemporanea. La marginalità dell'art_e, beninteso, non significa rinuncia, ma consapevolezza di giocare un ruolo diverso, apparentemente più modesto e magari nell'ambito di un cerchio più ristretto. Senza l'ambizione di continuare passati splendori, l'arte deve rafforzare il suo specifico, la spiritualità, rivelatasi tanto più efficace quanto più potenti sono i media tecnologici coi quali non può competere. Il lettore chiaramente intende che la stessa linea - certamente non facile nel campo dell'arte strutturalmente divisa nella polarità di un'autonomia spirituale e di un'eteronomia mon­ dana - ha informato la_ nostra rivista in questi trent'anni di pubblicazione. Red.

13




neutico va oltre il rapporto strutturale parti-tutto riscontra­ bile all'interno di una singola opera; un concetto che risale alla Symmetria vitruviana, alla Gestaltpsichologie fino allo strutturalismo e largamente presente nella critica e nella progettualità dell'architettura. Betti, sempre riferendosi a Schleiermacher, osserva: la totalità complessiva si può co­ gliere anche riferendola oggettivamente a un sistema cultu­ rale in cui rientri l'opera da interpretare, in quanto costi­ tuisce un anello nella concatenazione di significati esistenti tra opere di consimile contenuto e genere. Perciò anche a codesto superiore livello la comprensione avrà, all'inizio del processo interpretativo, un carattere di provvisorietà, per poi consolidarsi e arricchirsi progressivamente 2• Anticipando quanto dirò, sottolineo il fatto che ritengo la parte più in­ teressante della metodologia ermeneutica proprio questo tra­ scendere l'interpretazione di una singola fabbrica per attin­ gere ad un livello più alto comprensivo di altri fattori; anzi che questa dilatazione, per così dire, del circolo ermeneuti­ co, nonché utile alla comprensione di un più vasto quadro storico, sia indispensabile per l'interpretazione della stessa singola opera. Il quarto problema della metodica generale ermeneutica è quello dell'attualità dell'intendere. Lo si può porre in rela­ zione al precetto crociano della « contemporaneità della sto­ ria ». La gran parte degli storici conviene sul fatto che la ri­ cerca storica non si può limitare a quanto ci dicono le sole fonti, donde la impossibilità di prescindere dalla prospettiva attuale per intendere gli eventi del passato. Nietzsche arriva a sostenere: Contro il positivismo, che si fenna ai fenome­ ni: e ci sono soltanto i fatti »; direi: no, proprio i fatti non ci sono, bensl solo interpretazioni. Noi non possiamo con­ statare nessun fatto e in sé »; è forse un'assurdità volere qualcosa del genere 3• Anche a non condividere il radicale giudizio del filosofo - i « fatti » della storia dell'architet­ tura e dell'arte sono innegabilmente presenti - resta co­ munque vero che se i fatti da soli non costituiscono la sto­ ria, neanche le interpretazioni possono prescindere ovvia16 mente dai fatti; donde la conseguenza che non si dà storia



Il quinto punto della tematica ermeneutica è quello della

distanza temporale, sulla quale è prezioso quanto ha scritto Gadamer: contrariamente a ciò che si è spesso Immaginato, Il tempo non è un precipizio che si dovrebbe superare per ritrovare Il passato; esso è, In realtà, il terreno portante del divenire ed è ciò In cui li presente affonda le proprie radici. La « distanza temporale» non è una distanza nello stesso senso In cui si parla di superare o vincere una distanza. Questo era l'Ingenuo pregiudizio dello storicismo, il quale credeva di poter raggiungere li terreno dell'obiettività sto­ rica sforzandosi di collocarsi nella prospettiva di una certa epoca e di pensare con i concetti e le rappresentazioni 'pro­ pri' di quell'epoca. In realtà, si tratta, piuttosto, di conside­ rare la 'distanza temporale' come fondamento di una possi­ bilità positiva e prod-uttlva di comprensione. Essa non è una distanza da superare, ma una continuità vivente di elementi, i quali si accumulano per diventare una tradizione. Que­ st'ultima è proprio la luce In cui tutto quanto portiamo in noi del nostro passato, tutto quanto cl è trasmesso, fa la sua apparizione. Non è esagerato parlare, a questo proposito, di una produttività del processo storico. Ognuno conosce il no­ stro modo più o meno arbitrarlo di giudicare, quando le nostre idee non sono illuminate dalla distanza temporale 6• Il punto discusso da Gadamer, che ci sembra dirimere la questione della cosiddetta « prospettiva storica», che in­ genuamente o meno viene spesso invocata da tutti coloro che, chierici o laici, parlano di storia, ci serve a riprendere un ragionamento appena accennato al primo punto sui « ca­ noni » ermeneutici. Quando l'autore tedesco attribuisce un significato del tutto positivo alla « distanza storica », tocca un problema nodale della storiografia artistica e segnata­ mente architettonica. Infatti, mentre un «testo• o un do­ cumento del passato, nella maggioranza dei casi, ci perviene quasi immutato, una fabbrica monumentale, per l'ingiuria del tempo, degli uomini e di altre cause naturali e/o acci­ dentali, arriva ai nostri giorni, nel migliore dei casi, « arric­ chita • di stratificazioni storiche. Si può dire che, nel nostro 18 campo di storia, come l'evento coincida con l'opera, così la



quando la « figura » di pianta si dimostrerà congruente con le «figure» di prospetto e di sezione, vale a dire con le altre parti che servono a definire le tre dimensioni di un organi­ smo architettonico. Non è escluso che si possa partire (ben­ ché questo capiti più raramente) da una «figura » di pro­ spetto o da una di sezione; in ogni caso comunque si inizierà da una provvisoria prefigurazione, di un punto di partenza confermato o smentito dalle altre parti che definiranno, alla fine del processo progettuale, la forma della costruzione. Se questo è vero per un processo conformativo, è da ritenere legittima l'estensione del metodo anche ad altri processi cognitivi. Così, ritornando alle nostre considerazioni sull'er­ meneutica del restauro, quando si tratta di conoscere il con­ testo, che fissa la storicità originaria dell'opera da restau­ rare, non si potrà non partire da una sua pre-cognizione. Se quell'opera è del periodo rinascimentale, ad esempio, biso­ gnerà muovere dalla pre-cognizione che in tale periodo si ambiva alla ripresa dell'antico, all'uso degli ordini classici, alla rappresentazione prospettica, ecc. Ma, viene da chieder­ si, che cos'è una pre-cognizione o un pre-concetto, nell'acce­ zione non negativa e non banale, se non un tipo-ideale? E che cos'è un tipo-ideale se non una costruzione ipotetica, finzionistica, provvisoria, se non un parametro di riferimento che viene confermato dall'esperienza reale delle opere che intende inquadrare? Conviene ora ricordare il duplice significato del concetto di «struttura»: per un verso esso denota l'organizzazione interna di un organismo, il sistema che tiene insieme le parti in un tutto, così come nel circolo ermeneutico; per un altro esso denota un modello, un parametro di riferimento cui rapportare i singoli casi di «testo», documento o monu­ mento da studiare. Il tipo-ideale weberiano è una struttura nella seconda accezione; in più, per il suo carattere «finzio­ nistico », ipotetico e provvisorio, appare del tutto simile alla pre-comprensione di cui parlano alcuni studiosi di ermeneu­ tica. In ·breve, voglio sottolineare la profonda analogia fra il metodo ermeneutico e quello strutturalistico; anzi la loro 20 complementarietà. Infatti, se vogliamo interpretare una sin-



gie dei due metodi, da non confondere con le due filosofie, sono maggiori di quanto non siano le diversità, donde la liceità della loro integrazione metodologica.

Restaurqre col metodo ermeneutico Veniamo, sulla scorta delle premesse teoriche esposte, alla loro pratica applicazione. Iniziamo dalla figura dell'ar­ chitetto, originario autore dell'opera da restaurare. La sto­ riografia ci fornisce molte informazioni sulla sua biografia, sul periodo ed il luogo in cui ha operato, ma questi stessi «fatti,. hanno bisogno di una interpretazione, che, a sua vol­ ta, richiede un punto di «entrata». Questo ci è dato dalla costruzione di un tipo-ideale relativo ad una complessiva fi­ gura di architetto operante sullo stesso tempo e luogo del nostro specifico soggetto storico, poniamo Palladio; si tratta di una pre-cognizione, ma soprattutto confrontando la figura di questo maestro col tipo-ideale di architetto del XVI se­ colo, coglieremo la sua originalità, unicità ed irripetibilità; siamo in presenza di una integrazione fra storicismo e strut­ turalismo e, dal punto di vista dell'ermeneutica, del passag­ gio fra una pre-cognizione ed una cognizione. Ma la figura dell'autore non ci interessa in quanto tale, bensì quale parte del processo ermeneutico del restauro. Ecco allora che quella « vita vasariana» va contestualizzata nella storicità del tem­ po in cui nacque l'opera in esame. Il contesto ricercato, quale seconda conoscenza del nostro schema, richiede an­ ch'esso una interpretazione la cui chiave è un'altra ipotesi tipico-ideale, questa volta, pensando sernpre,a Palladio, l'am­ biente storico-culturale veneto del '500. Rapporta�do ciò che la storiografia ci dice su quest'ultimo al tipo-ideale che ci siamo costruito, abbiamo un secondo passaggio da una pre­ cognizione ad una cognizione, rafforzata dall'anello della ca­ tena conoscitiva formata dalla figura dell'architetto e dalla storicità del tempo suo. L'iter interpretativo prosegue inve­ stendo la fabbrica di cui ci occupiamo; anch'essa, già nota per quanto attiene alla sua tangibile conformazione e alle 22 notizie storiche, ma l'una e le altre restano comunque da


interpretare; donde la necessità di costruire un tipo-ideale relativo alle fabbriche aventi in comune l'autore ed il con­ testo; queste sono pre-cognizioni che diventano cognizioni grazie al raffronto dell'opera con il modello interpretativo, grazie al passaggio « al vaglio » delle conoscenze relative al­ l'autore ed al contesto, grazie al concatenarsi dell'opera con questi due precedenti « anelli ». Analogo procedimento si ef­ fettua in presenza del fenomeno per cui l'opera originaria ci è giunta modificata. Qui il confronto col tipo-ideale di­ venta palesemente più necessario. Esemplificando, la fab­ brica allo stato attuale risulta, poniamo, morfologicamente dissimetrica, costruttivamente alterata, modificata nella stessa· destinazione d'uso, ecc. La sua storiografia specifica può farci toccare con mano tali cambiamenti, ma non tutte le opere offrono una tale documentazione; solo il codice-stile epocale (che è appunto un tipo-ideale) ci dice che in origine non poteva essere dissimmetrica, costruita tecnicamente come oggi risulta, destinata ad una funzione diversa da quella attuale, ecc. Evidentemente questo punto della modificazione, dell'invecchiamento, della stratificazione storica è quello in cui più pressante si pone il problema dell'interpretazione. Non è casuale che proprio su questo punto siano stati elaborati i classici temi del restauro: completare l'opera con parti mai realizzate, rifare quelle perdute, eliminare o meno quelle aggiunte, ecc. :e intorno a queste tematiche che ruotano tutte le conoscenze e le modalità interpretative cui abbiamo ac­ cennato e le altre di cui ci occuperemo e persino quelle che, nell'economia dell'articolo, non sono menzionate. Valga per tutte il problema dell'autenticità. Il termine «autentico» deriva dal greco authéntes (autore); donde in vari campi, se­ gnatamente quello artistico, l'aggettivo significa opera diret­ tamente realizzata da un autore, legata a questi senza ulte­ riori modificazioni, né tanto meno falsificazioni. A voler essere rigorosi, il solo restauro di un'opera d'arte, per fedele che sia all'originale, già comporta una manomissione, un ab­ bassamento del grado di autenticità, ma è bene non essere così rigorosi altrimenti ricadremmo nell'ortodossia ruski­ niana e nell'impossibilità stessa di ragionare sull'argomento 23


del restauro. In realtà, rapportando la valenza dell'autenti­ cità al nostro punto definito della stratificazione storica, non possiamo non riconoscere che un'autenticità assoluta è im­ pensabile, più probabilmente verificandosi un'autenticità « re­ lativa», come del resto ogni caso dell'interpretazione erme­ neutica che -non è mai apodittica, ma aperta al dialogo ed al compromesso, nell'accezione migliore del termine. Ritornando al nostro schema delle sei «parti», incon­ triamo quella della storicità del nostro tempo; per essa vale quanto s'è detto in precedenza, con la differenza che non abbiamo più la distanza storica di cui parla Gadamer. Al suo posto tuttavia abbiamo la testimonianza che noi stessi possiamo dare della storicità del nostro tempo. È ora che possiamo avvalerci di tutte quelle indicazioni interpretative della storia dall'Erlebnis, ossia l'esperienza vissuta in senso psicologico di cui parlava Dilthey 8, al Dasein, cioè al no­ stro esistenziale esserci, di cui parlano Heidegger 9 e i suoi seguaci. Ma anche questi assunti, provenienti da un'erme­ neutica filosofica, per farsi strumenti metodologici, dovreb­ bero, a mio avviso, entrare a far parte di una costruzione tipico-ideale e pre-cognitiva alla quale rapportare il caso rea­ le, la fabbrica da restaurare che, per farsi a sua volta cogni­ zione deve concatenarsi con gli altri «anelli» del circolo ermeneutico di cui s'è detto prima. Quanto a quello che fi­ gura per ultimo nel nostro schema, l'architetto-interprete-re­ stauratore, esso ci apre a due alternative: o lo consideriamo diverso da noi, ed allora la concepiremo come una parte di quel tutto che abbiamo didascalicamente scomposto; op­ pure lo identifichiamo con noi stessi: siamo noi l'interprete­ restauratore, ed allora l'intero processo va rapportato alla nostra esperienza vissuta e al nostro esserci esistenziale. Quest'ultima considerazione ci porta ad ipotizzare in defini­ tiva due modi di guardare all'intero processo storico-erme­ neutico: quando non ne siamo direttamente coinvolti, esso va visto dall'esterno con l'occhio dell'interprete-critico, quan­ do invece ci coinvolge in prima persona, esso va visto dal­ l'interno e nell'ottica dell'interprete-operatore. Si potrebbe 24 inferire, quale corollario,. che la vexata quaestio oggettività-


soggettività dipenda in primo luogo dal nostro porci diret­ tamente o meno rispetto al processo_ d'interp'retazione. In ogni caso, vale l'assunto che come in qualunque nostra in­ terpretazione di un testo, di un documento e di un monu­ mento, questi subiscono una modificazione, così il fenomeno interpretato a sua volta modifica noi stessi. 1 E. BETII, L'ermeneutica come metodica generale delle scienze dello spirito, Città Nuova Editrice, Roma 1987, p. 67. 2 lvi, p. 68. 3 F. NIETZSCHE, Opere, ed. a cura di G. Colli e M. Montinari, Adel­ phi, Milano 1975, VIII, I, p. 299. 4 R. BULTMANN, Das Problem der Herme11eutik, cit. in E. BETTI, op. cit ., p. 73. 5 E. BETTI, op. cit., pp. 78-79. 6 H. G. GADAMER, li problema della coscienza storica, Guida Editori, Napoli 1969, pp. 88-89. . 7 R. BARTHES, Strutturalismo e critica, nel· Catalogo generale de Il Saggiatore, 1965, p. LIV. a Cfr. W. DILTHEY, Critica della ragione storica, Einaudi, Torino 1954. 9 Cfr. M. HEIDEGGER, Essere e tempo, Longanesi, Milano 1976.

25


.

Nuove idee lil fabbrica

GIUSEPPE LOTTI

L'invenzione appare come un fatto atipico, eccezionale all'interno dell'esperienza progettuale. Infatti, come scrive Ezio Manzini, mentre nella progettazione l'accento cade sulla finalità (intesa in termini di larghi valori socio-culturali o di più strette esigenze produttive), nell'invenzione :li carattere dominante è la novità della soluzione trovata, e la motiva­ zione può essere la pura attribuzione di valore al nuovo in­ teso come apertura di un altro gioco del possibile 1• Negli ultimi anni si è dedicata una grande attenzione allo studio dei processi che portano alla nascita di un'invenzio­ ne 2• I ricercatori si sono trovati d'accordo nell'affermare che la scoperta non scaturisce mai dall'analisi, ma da un'intui­ zione che viene dal profondo dell'inconscio. !!. quella che Charles Sanders Peirce definisce « abduzione ,. 3• Il procedi­ mento abduttivo non si sviluppa da premesse generali a casi particolari (deduzione), né parte dall'analisi di un certo nu­ mero di campioni per enunciare proprietà universalmente diffuse (induzione), ma consiste nello studio dei fatti e nel­ l'elaborazione di un'ipotesi che verrà in seguito verificata. La deduzione come applicazione di regole e leggi prefissate, come ripetizione di comportamenti ormai consolidati, e l'in­ duzione come sistemazione e categorizzazione rigida di abitu­ dini derivate dall'esperienza, richiedono meno sforzo, meno impegno. Prediligere l'abduzione invece vuol dire prediligere 26 il rischio, l'azzardo inventivo; l'abduzione, scrive Peirce, è



28

pia fedele ed allora ci· troviamo di fronte ad un'invenzione, ma anche i piccoli cambiamenti sono importanti. L'inven­ zione infatti richiede che si sia verificato un significativo ac­ cumulo di microtrasformazioni sul piano dei significati sim­ bolici o su quello delle tecniche o su entrambi. Se mancasse l'invenzione avremmo soltanto li grigio trantran quotidiano. Se non cl fossero le copie, le cose fatte dall'uomo non sareb• bero mal abbastanza 8, scrive Kubler. Si ha una situazione vantaggiosa per la nascita di idee originali quando possibi­ lità tecniche e espressive non ancora sfruttate permettono l'Istituzione di nuove classi di forme su una larga banda di bisogni. E. il caso, ad esempio, della ricostruzione della città di Chicago distrutta dal grande incendio del 1871, che coin­ cidendo con un momento particolarmente favorevole nella storia delle forme, ha portato alla nascita del grattacielo 9• Viene da domandarsi se oggi esistano presupposti altret­ tanto propizi e cioè se la congiuntura economica, il contesto socio-culturale, il tasso di sviluppo tecnico-scientifico attuali rappresentino un terreno fertile per la nascita del nuovo. Il 1993 è stato un anno nero per l'economia. Per la prima volta dal dopoguerra si è avuto un netto calo nei consumi interni: il settore più colpito è risultato quello dell'auto ma pure nel campo dell'abbigliamento e degli elettrodomestici il bilancio si è chiuso con un netto passivo. Anche i primi dati del 1994 non promettono nulla di buono. Le stime par­ lano di una flessione media di poco inferiore all'uno per cento. E. passata l'euforia degli anni '80 che aveva portato l'Ita­ lia al quarto posto nella classifica mondiale degli acquirenti dei prodotti di lusso, dopo gli Stati Uniti, il Giappone e la Francia. C'è una spinta verso « comportamenti di consumo più misurati» •0, rilevava Nadio Delai, intervenendo nel mese di maggio dello scorso anno ad un convegno sulle prospet­ tive del design, e, sempre più spesso, ci troviamo di fronte ad una domanda evoluta che sa distinguere 11• Sotto l'incubo di una disoccupazione e di una pressione fiscale sempre crescenti, gli italiani sono diventati più attenti, più riflessivi al momento dell'acquisto. Ma non è solo



nessuno si ritira; diverse sono invece le attività di compe­ tizione, in cui non cl si misura « con » gli altri ma « con­ tro» gli altri, e l perdenti vengono eliminati 14• Solo chi adeguerà la propria politica imprenditoriale alla nuova situazione che si è venuta a creare riuscirà a soprav­ vivere. Al di là di una riduzione drastica delle spese, di una riorganizzazione capillare della rete di distribuzione, di una maggiore attenzione per la comunicazione d'impresa, diventa sempre più indispensabile mettere a punto strumenti che consentano di prevedere i bisogni futuri. Il successo di un'impresa, infatti, dipende dalla capacità di inventare pro­ dotti che anticipino le richieste dei consumatori. Prima di tutto cl vogliono le idee, l'innovazione. Poi occorre il pro­ dotto. Alla fine non deve mancare li messaggio giusto, af­ ferma Nicholas Hayek, inventore dello Swatch 15• La consapevolezza del ruolo che può giocare l'invenzione nel rilancio del mercato si sta diffondendo sempre di più nel mondo dell'industria. Il continuo aumento degli investi­ menti delle grandi aziende americane e giapponesi nel set­ tore R&S ne è la prova. L'Italia sotto questo aspetto rap­ presenta per ora un'eccezione negativa, come dimostrano i dati relativi alle spese destinate alla ricerca, ed alle richie­ ste di brevetti che sono inferiori alla media dei paesi indu­ strializzati. Anche da noi però qualcosa si sta muovendo soprattutto a livello delle piccole industrie e delle strutture decentrate di grandi gruppi che fanno della capacità di in­ novazione il loro cavallo di battaglia. Anche dal punto di vista dello sviluppo tecnologico la situazione è favorevole ad una nuova epoca di invenzioni. Oggi disponiamo di materiali dalle qualità eccezionali. Ba­ sta pensare, solo per fare un esempio, ai compositi a base di fibra di vetro e resina poliestere che permetteranno di produrre automobili assemblando .pochi elementi invece che centinaia di pezzi in lamiera come è avvenuto finora, con la possibilità di realizzare modelli in serie limitata a basso co­ sto. Per non parlare poi delle possibilità, quasi fantastiche, offerte dalla microincapsulazione che permetterà di inserire 30 essenze di vario genere sotto la superficie dei prodotti in



dei casi solo some lettore a causa· del numero spropositato dei comandi che ne rende difficile l'uso. Oggi un oggetto che voglia incontrare il favore del mercato deve muoversi in di­ rezione opposta. Un esempio di questa nuova filosofia può essere il telecomando universale messo a punto dalla Fox Electronics; il prodotto della ditta americana, infatti, non solo riunisce in sè i comandi del tv-color, dell'hi-fi e del videoregistratore, eliminando il problema della selva di ap­ parecchi- che, di solito, ingombra il nostro divano, ma, ba­ sandosi su un visore a cristalli liquidi e tecnologia « touch­ screen ,. che riproduce, di volta in volta, l'esatta configura­ zione del telecomando che - si vuole usare, riduce anche gli inconvenienti ·degli altri dispositivi singoli che spesso lascia­ no molto a desiderare in quanto a capacità d'impiego. Forte è inoltre la richiesta di prodotti ecologicamente compatibili. Se già nello scorso decennio la sensibilità nei confronti delle problematiche ambientali cominciava a dif­ fondersi nella cultura industriale, oggi, scrivono gli autori de I nuovi boom, il tema della naturalità si è ulteriormente rafforzato, sulla base di un più profondo cambiamento che caratterizza questa fase della società: né ideologia (anni set­ tanta), né Immagine (anni ottanta) ma concretezza. Si è passati da una domanda di immaginario ecologico ad una domanda di garantismo ecologico e cioè di concrete garan­ zie sulla qualità dei processi di lavorazione e dei prodotti 17 • Uno dei settori maggiormente interessati è quello degli elet­ trodomestici. Lavatrici in cui emettitori di ultrasuoni for­ mano spirali di bolle che infrangendosi contro le stoviglie esercitano un'azione pulente; frigoriferi come quello proget­ tato dalla Domus Academy per la Enichem Polimeri in mo­ nomateriale che consentono un facile disassemblaggio; la­ vatrici intelligenti che utilizzano detersivi naturali bioenzi­ matici a base di speciali muffe che permettono lo sciogli­ mento dello sporco anche a basse temperature con notevole risparmio energetico. Il settore delle automobili non è da meno. Al di là dei progetti di -auto elettriche di cui si parla da molto tempo ma che ·sono ancora fortemente vincolati da 32 costi eccessivi, appare interessante l'operazione portata avanti



ressanti prospettive. L'inventore dilettante, infatti, non su­ bendo alcun condizionamento dall'esterno, è libero di espri­ mere tutta la sua capacità immaginifica. � un peccato che, attualmente, l'industria sia incapace di sfruttare questo enor­ me potenziale; attribuendo un'importanza centrale alla fase di indagine di mercato, si finisce spesso per limitare, per frustrare la freschezza inventiva e si lascia poco spazio alle proposte che vengono dall'esterno dell'apparato produttivo. Possiamo immaginare però che la consapevolezza del ruolo sempre più decisivo che può esercitare l'invenzione per la conquista del mercato, porterà ad un rovesciamento del per­ corso manageriale abituale: il punto di partenza non sarà più l'analisi, ma l'intuizione, l'invenzione che, tradotta in pro­ getto, dovrà essere verificata nella realtà. Un percorso dun­ que di tipo abduttivo nel senso più proprio del termine. Alla luce di questa trasformazione è possibile supporre che, in futuro, quella creatività diffusa che oggi si esprime in modo quasi caricaturale in certa brevettomania entri in rap­ porto diretto con il mondo della produzione, rifondandosi su nuove basi ed acquistando un diverso spessore culturale.

34

1 E. MANznn, La materia dell'invenzione, Arcadia, Milano 1986, p. 48. 2 Tra le pubblicazioni che affrontano il problema si segnala: N. Wm­ NER, Invention. The Care and Feeding of ldeas, Massachussetts Institute of Tecnology, 1993; trad. it. a cura di S. Frediani, L'invenzione, Bollati Boringhieri, Torino 1994. 3 Sul significato di abduzione: C. S. PEIRC!!, Le leggi dell'ipotesi, Bom­ piani, Milano 1984; antologia dai Collected papers, trad. it. a cura di M. Bonfantini, R. Grazia, G. Proni; M. A. Bonfantini, La semiosi e l'ab­ duzione, Bompiani, Milano 1987. 4 Citato in M. A. BoNFANTINI, op. cit., p. 66. s E. MANZINI, op. cit., pp. 4849. 6 /vi, ,p. 49. 7 G. KUBLER, The shape of turie, Yale University, 1972; trad. it. a cura di G. Casatello, La forma del tempo, Einaudi, Torino 1989. a /vi, p. TI. 9 Ivi, p. 139. w N. DELAI, La ripresa dello sviluppo e l'evoluzione degli stili di vita, in Design 2000 (a cura di E. Mucci), Franco Angeli, Milano 1994, p. 78. Il lvi, -p . TI. 12 A. Bucc1, L'impresa guidata dalle idee, Domus Academy, Milano 1992, p. 23 sgg.


13 R. BROGNARA, L. Goee1, F. MORACE, F. VAL!!NTE, / nuovi boom, Sper• ling & Kupfer, Milano 1993, p. 1 sgg. 14 A. Bucc1, op. cit., p. 18. 15 Citato in A. BUCCI, op. cit., p. 173. 16 R. BROGNARA, L. Goeex, F. MoRACE, F. VALENTE, / boom, Lupetti & co., Mhlano 1990. 17 R. BROGNARA, L. Goeex, F. MORACE, F. VALl!NTE, I nuovi boom, cit.; pp. 64-65.

35


Ricordo di Manfredo Tafuri

CESARE DE SETA

I molti libri che, in una vita operosissima dedita alla ricerca, Manfredo Tafuri aveva scritto li ho tutti sul tavolo, l'ingombrano: ciascuno di essi è la tappa di un lavoro se­ vero, tenacissimo, sempre sorretto da una sottile trama ci­ vile, in principio ansiosamente esibita, poi sempre più resa sottile ma, appunto, non meno tenace. A ciascuno di questi studi, che abbracciano un arco cronologico molto vasto che principia dall'architettura del Quattrocento e si spinge nei nostri giorni, sono legato da motivi disciplinari non meno che affettivi. :e. dunque per me difficile separare lo storico dell'architettura dall'amico, lo specialista dotatissimo dal

36

compagno di molte serate trascorse a discutere e a pole­ mizzare sulle cose che amavamo come si faceva da molti decenni. Il primo libro suo dedicato a Ludovico Quaroni (1964) lo recensii, ancora studente, su « Nord e Sud »; lui presentò il mio primo libro, la Cartografia di Napoli e a quegli anni risale la nostra problematica amicizia. Nel senso che essa non ebbe mai abbandoni - come pure è dell'ami­ cizia - ma rimase sempre vigile perché alla fin fine eravamo molto diversi e molto legati affettivamente. Tafuri era nato a Roma nel 1935; giovanissimo aveva vinto il concorso a cattedra di storia dell'architettura ed era stato chiamato, da Roma, a insegnare all'Istituto uni­ versitario di architettura di Venezia. Bruno Zevi, che -di uomini e di studiosi se ne intende come pochi, aveva pun-



fu una pietra tombale sulle rovine. Lentamente, allentatasi la tensione politica altissima in quegli anni settanta - Ta­ furi fu a lungo un militante sia pur anticonformista dello schieramento comunista - riprese a dialogare con la disci­ plina con spirito più equanime. Nella prima pagina di Teo­ rie e storia è riportato un passo tratto dal Marat di Peter Weiss: « Per discernere il vero dal falso dobbiamo conoscere noi stessi. lo non mi conosco. Credo di aver scoperto qual­ cosa già ne dubito e la nego »; chiunque abbia conosciuto Tafuri può testimoniare che questo è un breve, fulminante, autoritratto. Dopo dunque la grande stagione della militanza era tornato ai suoi studi dentro l'architettura: il moderno l'appassionava sempre meno, mentre era il Rinascimento di Raffaello e Giulio Romano, di Alberti e Michelangelo a condurlo sulla via di una ricerca sempre · più incline alla filologia. Quasi che Tafuri si volesse mondare della troppa ideologia di cui si era nutrito nei decenni trascorsi. Il se­ gnale forte in questa direzione s'ebbe con L'armonia e i con­ flitti (Einaudi, 1983) poi con Venezia e il Rinascimento (Ei­ naudi, 1985), infine con quello splendido saggio che è Ricerca del Rinascimento. Principi, città, architetti (Einaudi, 1992). Da almeno un decennio Manfredo Tafuri aveva impresso una svolta rilevante al suo lavoro storiografico: alla grande ten­ sione ideologica che caratterizzò il suo esordio e la sua « gio­ vinezza » è seguita una sofferta riflessione (inevitabilmente, autocritica) sulle ragioni stesse del fare storia, sulle vie da intraprendere, sull'uso (e l'abuso) delle fonti, sui metodi di cui si dispone nell'avventurarsi in questa terra di conquista. La ri-scoperta della grande tradizione filologica si è rivelata . una via utile per accostare Tafuri all'architettura, per diradare le nebbie che spesso e volentieri egli stesso aveva creato quasi per difendersi e tutelarsi da un contatto troppo coin· volgente con questo microcosmo dell'universo che - fin dal Rinascimento - è l'architettura. Al suo abbraccio l'ultima produzione tafuriana non si sottrae, ma vi giunge per una via non agevole, pavimentata da una solida erudizione e volta ad un'ambizione storiografica che non sopporta confini disciplinari. L'aspetto più seducente di ogni sua ipotesi f 38



gallo, Peruzzi e Bramante, ciascuno nutre un suo sentimento dell'antico ed esso si riverbera nella sperimentazione della e renovatio ordinis »; al bisogno di norma succede subito l'esigenza di trasgredirle con un proprio individuale linguag­ gio. e La tradizione � il tradere - è inevitabilmente con­ nessa al tradire,. (p. 13). La rappresentazione di questo nuovo ordine si invera in alcuni modelli che sono la Roma di Nicolò V, la Firenze di Lorenzo il Magnifico, la Firenze e la Roma al tempo di Leone X, la città pontificia al tempo del Sacco di Roma (1527), la Venezia di Jacopo Sansovino e Granada col palazzo imperiale di Carlo V. Uno scacchiere molto articolato che trova un unitario momento nel bellis­ simo primo capitolo che principia da una rilettura intelli­ gente e persuasiva della Novella del Grasso legnaiuolo del Manetti: resoconto di una beffa architettata da Filippo Bru­ nelleschi che può essere letta come lo specchio di una esi­ genza, quella che fu propria della cultura umanistica: pro­ durre senso nuovo attraverso l'uso di una trasgressione e di una simulazione. Nei capitoli che seguono Tafuri muove da un sillogismo unitario che diremmo del destruens-co­ struens: nel caso della Roma di Nicolò V e del ruolo che vi ebbe l'Alberti il termine a quo è il volume di Westfall, nel caso del Sacco di Roma quello di Chastel e così sono altri gli autori assunti a referente della contradictio per gli altri casi. Dalla contestazione di talune ipotesi nasce una nuova trama: l'auctoritas di papa Parentucelli sembra es­ sere la molla dominante del «piano,. di rinnovo urbano, i disegni che essa sottende sono già in parte segnati nel tes­ suto tardo-medievale, le trasformazioni sono l'esito di un più attento controllo della proprietà fondiaria e di un rin­ novato uso di strategie tecniche. Il progetto di Borgo Vati­ cano è l'eredità più complessa lasciata dall'intervento nico­ liniano. L'Alberti non ci mette naso, sostiene Tafuri, e sià: ma francamente non mi pare che questa conclusione sia tale da gettarci e nella disperazione ,. per usare l'espressione •dell'autore riferita ad altro riguardo (p. 256). E sono avvin­ centi le pagine dedicate all'architettura cosi come essa viene -40 testimoniata nel De .re <edificatoria, Momus lntercrenales:



scimento. Firenze fu dilaniata dal contrasto tra queste due anime e il rogo di Fra' Savonarola non è che un momento altamente drammatico di questo conflitto lacerante. A Vene­ zia non è consentita la novitas che domina nella Roma del Cinquecento: Jacopo Sansovino lo testimonia con le case di Leonardo Moro e la chiesa di san Martino, a cui è de­ dicato il settimo ed ultimo capitolo. Il patriziato dogale sa che la gestione di un organismo complesso non può con­ sentire deroghe, che anzi la regola della tradizione vuole che nell'isola ci si debba inserire con il minimo delle alte­ razioni: con la virtù della mediocritas albertiana. Ho avuto -molte occasioni di dissentire da talune sue tesi e nel suo ultimo volume non manca una replica affettuosa, testimo­ nianza di come si possa dissentire pur restando amici. Per­ tanto il mio cordoglio è duplice: per aver perso un amico e per aver perduto un amico da cui dissentire.

42




Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.