Op. cit., 94, settembre 1995

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Op.cit. rivista quadrimestrale di selezione della critica d'arte contemporanea

Direttore: Renato De Fusco

Redattori: Roberta Amirante, Alessandro Castagnara, Marina Montuori, Livio Sacchi, Sergio Villari

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Edizioni ÂŤ Il centro ,. di Arturo Carola


A. D'AURIA,

Città e sistema delle comunicazioni

A. SANDONA,

Identità ed Alterità alla Biennale

A. DE MARTINI , Alcuni generi di letteratura artistica

Libri, riviste e mostre

s 17 32 46

Alla redazione di questo numero hanno collabora to: Virginia Baradel,

Alessandro Castagnaro, Giuseppe Lotti, Stefania Papa, Maurizia Torza


lA rivista si avvale del contributo economico dei seguenti Istituti e Aziende: Alessi Camera di Commercio di Napoli Driade Golden Share Sabattini


Città e sistema . . . delle comun1caz1on1 ANTONIO D'AURIA

Il rapporto esistente fra città reale e sistema delle comu­ nicazioni dei servizi pubblici si presenta senz'altro come rapporto fra un testo costituito e il suo indice. Ma, bisogna subito aggiungere, questo medesimo indice, in quanto rete di messaggi convenzionali a struttura mista - tra imma­ gine, segno e scrittura - rappresenta a sua volta un testo complesso, per intendere il quale può rivelarsi particolar­ mente utile uno· dei versanti metodologici inaugurati anni fa dall'estetica della ricezione di Jauss e della cosiddetta scuola di Costanza 1: vale a dire una prospettiva teorica che combini, .nel privilegiare l'interazione dialogica fra testo e lettore, e cioè l'interpretazione come momento attivo e co­ stitutivo del testo, semantica e pragmatica. Non per nulla, in questo specialissimo caso comunicativo, l'effetto estetico del testo si può misurare dal grado in cui stimola la serie di reazioni del suo lettore, costringendolo ad un'attività che alla fine risulta di trasformazione del mondo. che gli è fami­ liare. Anche se, è forse inutile sottolinearlo, il testo di una siffatta comunicazione è fondamentalmente normativo, e quindi può essere inteso, per analogia, come un romanzo di tipo tradizionale il quale compie il suo effetto model­ lando le reazioni dei suoi lettori così che essi possano sco­ prire i condizionamenti del loro mondo. Pure, anche in siffatta situazione costitutivamente mo­ dellizzante e regolatrice, l'elemento comunicativo di natura

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intrinsecamente estetica, in virtù del quale il messaggio deve compiere il tragitto dalla funzione al piacere visivo, risulta determinante. Ed anche in questo caso la necessaria leggi­ bilità del mondo rappresenta una forza trasformatrice del testo già scritto. In particolare, val la pena di sottolineare che il carattere determinante del rapporto di interazione fra sistema segna­ letico urbano e il momento articolato della percezione-lettu­ ra-interpretazione-azione, possiede una sua storia e una sua geografia. Se la città è, dal punto di vista strettamente lin­ guistico, un testo diastratico, dove cioè l'ultima concrezione materiale s'innesta su di un palinsesto, più o meno percepi­ bile, ma sicuramente attivo dal punto di vista della memoria storica, bisognerà ricordare che la costituzione stessa del tessuto urbano, nacque come costituzione di una auto-segna­ letica: i casali, le piazze, le chiese sono micro-testi che rappresentano se stessi ed insieme rinviano a luoghi con­ tigui; la via e la sua direzione sono stretti in un unico se­ gno, la sintesi deittica del nome. · La .intrinseca teatralità dello spazio urbano risulta all'ini­ zio ancora fondata su di una ragione antropologica e poi su di una storia ancora nuova ed essenziale, tanto da poter es­ sere ricostruita nella sua capacità nominatrice. Il passaggio verso un'articolazione più complessa, rispetto alla vita di toponimi che potevano persino contare su di una mera, ma sicura, tradizione orale è, in Italia almeno, alquanto recente. E vogliamo subito ricorrere ad un esempio tanto eviden­ te quanto noto. Pensiamo in particolare alla straordinaria forza sociologica espressa - se è lecito riferirci ad un te­ sto apparentemente frivolo e certo estraneo alla cosiddetta cultura 'alta' - dal funzionale spaesamento vissuto da Totò e Peppino, in un celebre film del '60, quando, capitati a Mi­ lano dalla campagna meridionale, si dirigono subito nella piazza del Duomo immaginando che di là passerà per certo la persona che cercano; e fra l'altro si manifestano refrat­ tari persino alla segnaletica più diretta e dichiarativa, cioè l'informazione verbale. Al vigile che li avvicina essi, da· stra-


nieri quali si sentono, ovvero da non-lettori del testo della città, pongono quella che è la questione-cardine intorno a cui ruota, a tutti i livelli della comunicazione, il rapporto domanda-risposta, in questo caso fra segnale e istruzione per l'uso: « Per andare dove dobbiamo andare, per dove dobbiamo andare?"· Che prima di giungere si debba attraversare, costituisce, da questo punto di vista, uno dei pleonasmi solo apparenti, che in realtà governano e sottendono la percezione della di­ stanza relativa nonché la questione di un possibile modello di fruizione normalizzata dello spazio urbano. In tal senso la segnaletica stradale, vale a dire il livello più elementare e necessario della comunicazione urbana, il livello che defi­ niremo qui come indicatore ed istruzionale rappresenta la sovrastruttura che stabilisce e modifica il nostro modo di percepire ed abitare gli spazi urbani. .e un filtro, in realtà, che alla fine inventa e fonda i contorni stessi dello spazio urbano. Basti pensare al segnale che così profondamente incide sull'immagine che di volta in volta accogliamo o ela­ boriamo della città, vale a dire il segnale di « strada a senso unico». Per non dire poi di un'altra questione, senz'altro interdi­ sciplinare ma che non può essere taciuta, in questo stadio di primo approccio teorico al problema della comunicazione urbana. Si tratta del peso che il linguaggio a tutti gli effetti specialistico messo in campo dalla segnaletica istruzionale esercita nei confronti del linguaggio quotidiano e della stessa potenzialità metaforica di tale linguaggio: ancora una volta facciamo riferimento alla « strada a senso unico» o all'uso transletterale di tante locuzioni - « lavori in corso» ad es. - alle quali corrisponde un segnale stradale. Del resto è abbastanza ovvio che al segno iconico si accompagni l'istruzione linguistica, che comunicazione verbale e comuni­ cazione non verbale interagiscano di continuo e convivano, in uno stesso « sottomondo significativo» per usare una de­ finizione che troviamo -nel volume di Schiitz La fenomeno­ logia del mondo sociale 2•

In effetti, accostarsi a questo .sottomondo di segni, i

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quali ci abitano per cosl dire in modo assai spesso mecca­ nico - tanto che il momento più vivo della nostra perce­ zione coincide con un suo mutamento (la strada che « cam­ bia senso») -, ci porta a toccare da vicino la questione più sentita dai teorici dell'estetica della ricezione. Ovvero, la co­ municazione urbana, in quanto ambito significativo del mon­ do della vita, partecipa del « problema della molteplicità hm­ zionale dell'agire, al quale il behaviorismo, l'estetica strut­ turale, la sociologia del sapere, e recentemente la teoria del­ l'azione linguistica hanno dato importanti contributi» 3• Il rapporto fra esperienza estetica (ovviamente extra-arti­ stica) e esperienza pragmatica trova nella comunicazione ur­ bana un campo d'applicazione quanto mai dinamico ed arti­ colato, la cui problematicità è feconda e non paralizzante se è vero che lo stesso Jauss ci ha ricordato in più di una occasione che « L'elaborazione sistematica di una topolo­ gia delle sfere significative è comunque ancora un deside­ ratum » 4• Intanto, il messaggio della comunicazione urbana risulta centrato da una parte verso il cuore della città, verso un interno privilegiato, dall'altra fonda gli spazi in relazione alla distanza rispetto all'esterno, in relazione ad altri luo­ ghi raggiungibili in quella direzione. Si può dire senz'altro che oggi l'immaginario urbano sia affidato al sistema di se­ gni che costituisce ad un tempo un'astrazione e una pre­ senza fisica reale, una rete di più-in-là e di qui-ed-ora. Si aggiunga, in una prospettiva formalizzante ed iper-estetiz­ zante - nell'accezione offerta dal pragmatismo di un De­ wey per il quale una locomotiva sfrecciante incarnava l'este­ tico extra-artistico della vita quotidiana - che nella città anche i mezzi di trasporto sono mezzi di comunicazione ur­ bana, per la rete di distanze che percorrono realmente e che parimenti indicano e significano; ed anche per la forza connotativa che veicolano - rinviano ad una presenza l'immagine amministrativa e politica della Città, la riparti­ zione della città attraverso confini e raccordi, le fermate, i capolinea. Quanta consapevole importanza sia stata connessa a tale aspetto delle reti di comunicazione è testimoniato, per


limitarci ad un solo esempio, dalla vicenda - tra Otto e Novecento - di Vienna. La Vienna asburgica - vale la pena ricordarlo - era ad un tempo Reichshauptstadt e Residenzstadt, capitale e città residenziale: gli edifici di una città siffatta dovevano «rappresentare» le gerarchie e il potere costituito. Nel pro­ getto delle stazioni del metrò della Karlsplatz, Otto Wagner - proponendosi tra l'altro di andar oltre una mera opera­ zione di ameublement urbano - affidò al suo intervento la veicolazione di un'idea alternativa di architettura che conci­ liasse la diffusa istanza di modernità del pubblico viennese e la altrettanto urgente domanda di décor, che fosse tuttavia espressione della cultura autoctona. Per coniugare dunque lo Zeitgeist e il genius loci, nei due padiglioni gemelli della metropolitana, Wagner aveva utilizzato procedure modernis­ sime (struttura portante a telaio e tamponature a pannelli piani, come nei più evoluti edifici prefabbricati) e apparati decorativi Impero: ossia all'interno della stessa istanza espres­ siva, aveva connotato la stazione come componente di un sistema di trasporti democratico, ma anche come opera pub­ blica dovuta alla munificenza e alla lungimiranza del potere statale. Riprendendo il discorso sui mezzi di trasporto, è oppor­ tuno sottolineare che essi comunicano al cittadino e soprat­ tutto al viaggiatore il tempo e il ritmo di una città, gli ri­ velano il rapporto fra spazio e numero di abitanti. Rivela­ trici e illuminanti, in proposito, le pagine di Benjamin sui tranvai a Mosca all'indomani della rivoluzione: « Viaggiare in tram a Mosca è soprattutto una lezione di tattica. Qui il novizio impara per prima cosa a sintonizzarsi con l'incon­ fondibile animazione di questa città e col ritmo di vita della sua popolazione dall'impronta paesana. Inoltre, un viaggio in tram realizza in miniatura un'esperienza di portata ad­ dirittura storica in Russia: come il mondo della tecnica e forme primitive d'esistenza riescano intimamente a compe­ netrarsi » 5• Per non dire, ovviamente, delle riflessioni dedicate da Benjamin ai passages parigini come « mondi in miniatura»,

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o sulla nascita, auspice Haussmann, delle grandi arterie le quali venivano prima della inaugurazione coperte da una tenda e quindi scoperte come monumenti. L'affermarsi di una spazialità urbana nuova, centrata intorno allo scorcio pro­ spettico attraverso lunghe fughe di viali, veniva inteso dal filosofo come un'organizzazione della città ma anche come raffinata subliminale comunicazione dei nuovi assetti sociali. Assai controverso, peraltro, ce lo ricorda Rykwert 6, ri­ sulta il tema-strada nell'era moderna. Si va, per fare alcuni esempi, dalla concezione haussmanniana, della strada come intervento determinante per la ristrutturazione urbana, alla sua attenuazione dovuta alla singolare concezione, inaugu­ rata da Sauvage con l'edificio di Rue des Amiraux a Parigi, nel 1922, di una rue à gradins con la quale si negava la tra­ dizionale cortina stradale, alla lecorbusiana rue corridor fino alla strada come struttura secondaria, negata, delle Sied­ lungen e delle « città-giardino ». Non vanno dimenticate, poi, le proposte di edifici-strada (pensiamo a megastrutture come l'università di Alberta ad Edmonton, di Diamond & Miers, 1974), per giungere alle città-strada (la megastruttura a « flusso principale ,. dell'autostrada per la Lower Manhattan di Paul Rudolph, 1970). Abbiamo constatato la transizione della strada da ele­ mento infrastrutturale connesso alla comunicazione urbana ed extraurbana ad elemento connesso alla comunicazione vi­ siva, a luogo di localizzazione dei media tipici della comuni­ zione pubblica; dalla segnaletica, alle insegne, ai pannelli lu­ minosi elettronici ai megaschermi tv, la strada è soprat­ tutto luogo di animazione e di spettacolo, dove il tran­ sito costituisce paradossalmente una procedura per lo svol­ gimento della sequenza dei messaggi (ricordate Las Vegas?). Aggiungiamo che assai spesso l'omogeneità integrale della strada come scena urbana, come quinta di artefatti, è affi­ data proprio al suo statuto di struttura comunicativa e al suo ruolo di supporto dei messaggi. Il profilo dentellato di tante città americane, l'eterogeneità di tante cortine euro­ pee, fitte di interpolazioni, demolizioni e ricostruzioni, sol O stituzioni, sovrapposizioni, sono attenuati e ricondotti al-



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di una città, oggi così impercepibile (così come è sempre meno decifrabile la soglia fra individuo e massa), ovvero al limite al di là del quale la città è l'assenza: ebbene esso veniva segnalato dalla Porta, dalle mura. Nel momento in cui la porta non è più un segnale pragmatico, si innesca la possibilità d'una sua risemantizzazione in senso estetico, sin­ tagma estrapolato da un passato che costituisce il giaci­ mento della identità storica del luogo. La stessa cosa è ri­ levabile per altre architetture costituenti segnali pragmatici, come i bastioni o le fortezze; ma pensiamo pure ai casi op­ posti di Urbino e Verona in- cui i «messaggi» costituiti da tali manufatti risultarono da subito sorprendenti, inattesi, ed avevano una sorta di valore aggiunto, di surplus comu­ nicativo che ora è andato perduto. Ricordiamo che le mura di Urbino non avevano alcuna connotazione marziale ma si presentavano tranquille come la città che cingono, con for­ tezze disegnate da Francesco di Giorgio più che come co­ struzioni militari, come palazzi civici. La fortezza di Castel­ vecchio a Verona, rivolta non verso l'esterno ma verso il centro della città, fu edificata dagli Scaligeri intorno al 1350 per proteggersi dalle rivolte dei cittadini. Insomma, si vuole qui sottolineare il carattere partico­ larmente complesso di quella che qui si denomina come co­ municazione urbana, assolutamente inscindibile dalla sua sto­ ria. L'orologio della torre - ancora così presente nell'imma­ gine urbana espressa dai progetti di un Asplund -, il suono delle campane delle tante chiese davano il tempo alla città, oggi solo indicato, ma a posteriori, dai divieti di sosta orari. Il Tempo è assente dalla Città, poiché è divenuto l'osses­ sione dell'uomo-massa, l'uomo del dappertutto e quindi, a rifletterci, il non-cittadino se è vero che la città è stata, sto­ ricamente l'espressione più clamorosa e valida dell'individua­ lismo borghese. Se ci riferiamo ancora alle categorie di una moderna antropologia storica inaugurate da Benjamin, il viandante e il contadino come detentori di due opposte for­ me di sapere, centrifugo e centripeto, di colui che viaggia e conosce molti racconti, e di colui che rimane e conosce, in profondità, sempre lo stesso racconto nel modo archetipico


della fiaba, allora sarà agevole attribuire l'immaginario e dunque la comunicazione urbana al primo modello, quello dinamico e pluralistico. E. particolarmente significativa, intanto, ai fini del discor­ so sin qui tracciato, l'analisi che l'autore di Angelus Novus ha tempestivamente svolto nelle pagine dedicate a Parigi capitale del XIX secolo proprio nella prospettiva della co­ municazione e della ricezione del segno urbano per eccel­ lenza, che sigla cioè la nascita della metropoli moderna 7• Pensiamo, in particolare, alle tante riflessioni di Benjamin sull'avvento della illuminazione a gas, sui manifesti pubbli­ citari e quindi sull'ingresso del colore nella struttura per­ cettiva della città, sulle insegne dei negozi, e infine sulle esposizioni universali che, nel caso della capitale francese, furono esemplarmente determinanti per la stessa configura­ zione urbanistica. Si tratta di una vera e propria fenome­ nologia che oggi possiamo cogliere nella sua fase ormai com­ piuta, ed individuata dal filosofo francofortese ai suoi albori quand'era forse più sorprendente ed evidente nei suoi mec­ canismi. Di certo il manifesto pubblicitario, l'insegna, regi­ strano, in quanto comunicazione urbana, un doppio movi­ mento. Da una parte, infatti, si verificava un processo di iper-significazione della realtà urbana, per cui il referente, cioè le cose, i processi reali, vengono man mano sostituiti dai segni che dovrebbero indicarli, che diventano essi stessi il messaggio. In tal senso il rilevato simbolismo, attestato sulle linee curve dell'iperbole, dello Jugendstil, costituisce una soglia storica: secondo Benjamin addirittura, per un singolare contagio à rébours lo Jugendstil trasfigurava tutto, anche l'architettura propriamente detta, in messaggio pub­ blicitario. Esemplare, al riguardo, risulta il progetto di Gui­ mard per le bocche del metrò parigino. Le stazioni disse­ minate nella capitale francese sono espressioni emblemati­ che del nuovo stile, l'art nouveau, detto poi estensivamente « style metro ».. La corrispondenza tra gli stilemi ampia­ mente commercializzati e diffusi da Bing (con la sua Mai­ son Art Nouveau), Plumet, Majorelle, De Feure, lo stesso Guimard e tanti altri, rese in breve tempo familiare il lin-


guaggio modernista e attraverso di esso il rivoluzionario si­ stema di locomozione (una ferrovia urbana sotterranea). Ma dall'altra parte, a questo svaporamento della realtà in immagine, in icona, corrisponde, poi, nel tempo, un af­ follamento di segni che li rende, alla fine, illeggibili - come nel sovrapporsi dei manifesti elettorali - di pari passo con la crescita del caos metropolitano. La città invivibile è in­ nanzitutto un testo illeggibile. Laddove, all'inizio del pro­ cesso, il messaggio pubblicitario rinviava ad un'immagine di città come di un grande interno, dove l'appello al passante, attraverso la linea, il colore e la frase linguistica attirava questi entro un immaginario comune, nel senso che lo accer­ tava lo nominava lo promuoveva come abitante di un luogo circoscritto e riconoscibile nei suoi tratti storico-ideologici. In tal senso, davvero si può dire che una storia del manife­ sto pubblicitario è la storia stessa della città occidentale moderna, nei suoi tanti, variati ma omogenei, itinerari. Un altro momento enfatico, cioè fondato sui meccanismi retorici della amplificatio, della comunicazione urbana, è rappresentato storicamente dal fenomeno delle Esposizioni, queste feste della religione del Moderno e della Città. An­ cora Benjamin ricordava che l'Esposizione di New York del 1853 era stata affidata a Phileas Barnum, cioè al mag­ giore rappresentante del mondo del circo. Di fatto, per am­ pliare il discorso, tutta l'architettura effimera costituisce oggi il punto di intersezione fra realtà e immagine del con­ testo urbano, tale da rivelarci la profonda organicità in­ stauratasi, in diacronia, fra messaggio duraturo - il palaz­ zo, il monumento - e messaggio dinamico. La comunica­ zione urbana vive, nella sua articolata globalità, di codesta interazione, nella prospettiva del significato essenziale della Città come Messa-in-scena. Di questa immagine doppia, re-citata, si nutre peraltro oggi lo stesso gesto architettonico. Che la funzione sia esat­ tamente la comunicazione, e la più speciosa, che la profon­ dità sia precipitata appunto nella superficie, stanno ad at­ testarlo tante architetture per le quali, non a caso, viene 14 usato sempre più di frequente il termine inten.iento. Come


le operazioni di Christo, l'architettura deve impacchettarsi per segnalarsi. Tanta architettura - dalla piramide di Pei per il Grand Louvre alla torre della Frankfurter Messe di Ungers, dal Beaubourg di Piano & Rogers alla Staatsgalerie di Stirling a Stuttgart - ha dovuto mentire e travestire la perfetta razionalità dell'opera entro gli schemi voyantes cari ad un pubblico viziato da cattivi scenografi, ottenendo vittorie, è da aggiungere, disciplinarmente assai feconde, entro il contesto di una modernità sempre più difficile da leggere, nonché da abitare. Per riprendere il discorso sulla ricezione accennato al­ l'inizio e qui svolto in maniera necessariamente frammenta­ ria e metonimica, in questo caso l'identità della figura del lettore - rispetto al testo-città - e quella del personaggio che agisce ed è agito da siffatto « sistema significativo», com'è stato definito, costituisce la specificità teorica della questione della comunicazione urbana nell'ambito di una ermeneutica intrinsecamente raccordata alla retorica - per cui il segno stesso è azione ed ogni azione è segno - dove, per dirla col filosofo, « ogni domanda va intesa in situa­ zione» e perché vi sia risposta bisogna innanzitutto che sia intesa la domanda. Come in una indimenticabile pagina di Borges, la mappa più realistica della città è la città stessa; la quale nella pro­ spettiva della comunicazione è, a sua volta, nel riverbero percettivo, la più « mentale» delle mappe. E che dire poi, in conclusione, di una percezione intensa, raddoppiata, della città, che ci si comunica attraverso altri sensi, quelli di una segnaletica individuale e sentimentale che non si può, neppure in sede teorica, oggi, trascurare. 1:. ancora Benjamin, a venirci in soccorso con una delle sue illuminanti sintesi fra storia, antropologia, psicologia del­ l'uomo novecentesco: « Un quartiere quanto mai caotico, un intrico di strade da me evitato per anni, mi apparve di colpo dotato di un suo ordine quando un giorno ci si tra­ sferl una persona amata» 8•

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1 Cfr. soprattutto, H. R. JAUSS, Apologia dell'esperienza estetica, To­ rino 1985; Io., Esperienza estetica ed ermeneutica letteraria, Bologna 1987. Cfr. inoltre i contributi di Gumbrecht, Iser, Naumann, Stempel, Stierle, Weimann, Weinrich, in parte raccolti in R. C. HoLUB (a c.), Teoria della ricezione, Torino 1989. 2

Cfr. A. ScHOtz,

Die Sinnhafte Aufbau der Sozialen Welt,

(trad. ital. Bologna 1974).

l H. R. JAuss, Esperienza estetica... , cit., voi. 1, p. 221. • Idem, p. 235. s W. BENJAMIN, Strada a senso unico ( scritti 1926-27 ),

pp. 183-84. 6

J.

7

w.

RYKWERT, Imparare dalla strada,

1976, pp. 139-45. a

16

in

«

1932

Torino 1983,

Lotus international • n. 9,

W. BENJAMIN, Parigi, capitale del XIX secolo, Torino 1986. BENJAMIN, Strada ...• cit., p. 30.



estetica. Corpo come realtà corporea, elemento primo di im­ magine dell'altro e di sé, promotore di un antropocentrismo figurativo durato nei millenni fino alle soglie di questo se­ colo, corpo reale e corpo simbolizzato, ideale di bellezza nel­ l'euritmia delle proporzioni, a immagine e somiglianza di Dio e anche del Maligno, fidiaco, giottesco, michelangiole­ sco o caravaggesco. Attraverso di esso gli artisti hanno cer­ cato di riscattare la natura umana imperfetta, in funzione di una anatomia extra-ordinaria. Anche quando il brutto, il laido venivano rappresentati avevano una funzione normaliz­ zante e moralizzatrice, spesso mitigata dalla caricatura, dal comico, dal grottesco; l'esasperazione dei tratti somatici era in funzione di una idea altra, come dimostrano gli esempi dei Capricios di Goya, o le opere di Daumier. Leggere questo tema attraverso tutti i movimenti arti­ stici del ventesimo secolo ed inquadrarlo nelle categorie di identità e alterità non è impresa da poco, soprattutto per la complessità e ambiguità che i due termini hanno in sé. Il problema infatti è stato fatto oggetto, soprattutto nel se­ condo dopoguerra, di studi filosofici, letterari e psicoanaliti­ ci. Le risposte che le varie discipline hanno tentato di dare lasciano ancora spazio alla discussione se non alla polemica. la natura di ciò che abitualmente si chiama identità a creare l'ambito di riflessione. Le domande che più di fre­ quente cercano una risposta girano attorno a vari aspetti del problema: tra l'essere e l'apparire. Si è come uno vede se stesso o come lo vedono gli altri, fin dall'inizio della vita esiste la percezione della propria identità o si forma nel corso degli anni, ma soprattutto qual è il ruolo del corpo nell'individuazione del sentimento di identità? Fino a non molto tempo fa la maggior parte degli indi­ vidui sembrava accettare senza protestare, o perlomeno senza troppo analizzare, la propria identità; un po' ,come avviene del corpo e dei suoi organi: quando funzionano bene sembra non esistano. Soltanto I bambini, gli adolescenti, i filosofi, gli artisti e alcune persone malate si preoccupavano costan­ temente dei problemi che l'identità suscitava. Ma nell'epoc a 18 attuale, e in funzione dei cambiamenti vertiginosi che avven-

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tanto creativa, degli studiosi che devono poi dimostrare la validità delle loro teorie. Parce qu'elle est une pensée con­ quérante, la langue scientifique est marquée par la volonté de convalncre... Une mesure plus qu'une image, ll tend a chiffrer le réel, non a l'évoquer 7• Entrambe le mostre sono caratterizzate quindi da rimandi continui fra arte e scienza. Se si dà per scontato che qualsiasi progresso scientifico va a confluire in un più generale progresso della conoscenza, quindi della civiltà, non altrettanto si può dire dell'arte in quanto questa può solo contribuire a rivelare aspetti del pen­ siero, della cultura, che sono già nell'aria, che l'artista incon­ tra, traduce e, più spesso, liberamente reinterpreta. Gli arti­ sti, soprattutto in questo secolo, possono essere considerati quindi in parte dei cleptomani. Si appropriano e stravolgono creativamente quanto la scienza, e non solo essa, propone. Basti pensare all'influenza che ebbero in Picasso le sue vi­ site alla Salpetrière nel fantasmare le prime facce cubiste o le teorie einsteiniane sulla massa e l'energia per i futuristi. Questo tipo di incroci, appropriazioni e divergenze per­ corrono continuamente la mostra su Identità e Alterità. Jean Clair sottolinea come il 1895, anno della prima Bien­ nale, anzi della prima Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, come era chiamata, sia stato un anno estre­ mamente significativo per una serie di eventi che dovevano rivoluzionare il mondo della comunicazione. Esordiva il cinematografo: splendido esempio di mutevo­ lezza di immagini, di realtà ridata, visto che i primi esempi di brevi filmati dei fratelli Lumière mostravano scene di vita quotidiana: l'uscita degli operai dalle fabbriche, il ritorno del club dei fotografi da una gita sulla Senna, l'arrivo di una locomotiva; ma subito dopo altri incominceranno ad inven­ tare delle storie, vere e proprie brevi narrazioni, soprattutto non si limiteranno ad usare il mezzo macchina da presa in termini documentaristici, ma lavoreranno sulla pellicola ed in ambienti artificiali per creare effetti illusori. Era nata la possibilità di sognare, di identificarsi con gli attori, di im­ medesimarsi nell'azione e provare emozioni personali fra il 20 pubblico della sala cinematografica. Lo spettacolo della vita



l'uomo, poiché dalla formulazione del pensiero di un'azione si passa direttamente alla sua realizzazione. Nel frattempo si erano anche diffusi gli studi sull'icono­ grafia di quello che chiamerei il disordine esistenziale. Gli eccessi fisiognomici, il pericoloso scientismo della frenologia ottocentesca hanno lasciato rughe indelebili... infatti i mo­ stri, di cui era povera la natura e ricca l'immaginazione sono e saranno prodotti in serie dalla veglia della ragione scientifica 11. Gli studi di Lombroso prima, sulla possibilità di indivi­ duare nei tratti somatici della persona i segni di una ten­ denza delinquenziale o meglio, come egli sosteneva, di una degenerazione morale, ed il ritratto fotografico segnaletico della polizia giudiziaria creato da Bertillon poi, tendono a porre dei confini ben precisi al tema dell'identificazione e, a mio giudizio, non dell'identità, anche se impropriamente invarrà il termine di carta di identità come strumento di riconoscimento, tanto è vero che nasceranno subito anche le falsificazioni. E come non ricordare, per inciso, come spesso ai nostri giorni non siano proprio i Raggi X a per­ mettere l'identificazione di persone senza nome attraverso segni (vecchie fratture, malformazioni, interventi) iscritti sotto la pelle, nella struttura stessa del corpo? Ma sarà soprattutto la diffusione dell'lconographie de la Salpetrière, raccolta di fotografie di malate in preda ad at­ tacchi isterici, a divenire un topos della modernità fine se­ colo 12• Gli artisti sono affascinati dalle forme estreme che assu­ mono i corpi nella tensione, quasi drammaturgica, delle ma­ nifestazioni e si soffermano soprattutto sui sintomi soma­ tici parossistici. � un mondo, quello dell'isteria, in cui non appaiono, agli occhi dei bricoleurs d'immagini, i confini, la drammaticità della malattia mentale, bensì nel momento in cui il coz,po diviene protagonista di un moltiplicarsi di scene incontrollate, gli artisti vedono, anziché la patologia, una libertà espressiva estremamente seducente. Gli esempi -presentati in mostra, come Extatica huvuden (1906) di Ernst Josephson o L'arco dell'isteria in In and out 22



mandano con forza l'immagine del beffardo congedo di un uomo che, avendo perso ogni contatto con la realtà, ha già intrapreso una strada senza ritorno. O ancora gli autoritratti (1918 e 1919) di Franz Karl Buchler, veri e propri documenti di autodiagnosi di chiusura al mondo della relazione. Ancora più significative sono le opere (1910) di Arnold Schoenberg in cui, accanto ad un autoritratto ci sono una serie di dise­ gni di parti del corpo, mani, occhi 16, come se l'immagine del tutto fosse stata rotta nelle sue parti, tanto intollera­ bile doveva essere per l'artista riuscire a rendere l'unità della propria identità. Oppure il famosissimo Uomo con bambola (1922) di Oscar Kokoschka, in cui la vicenda personale del­ l'amore impossibile per Alma Mahler trova la manifestazione più salvifica per mezzo della creatività artistica rispetto alla paralisi dell'amour fou. La bambola, a dimensione umana, sembra viva, è carnosa e scomposta come una novella Olym­ pia, mentre l'artista, in secondo piano, è una specie di blocco indifferenziato, con la faccia catatonica e lo sguardo perso nel vuoto ad inseguire i propri fantasmi. Questi sono solo gli esempi più significativi di un per­ corso talvolta tortuoso in cui la rappresentazione del corpo è spesso vista lungo il crinale scivoloso della vita e della morte, con una netta predominanza della seconda, come se la sua messa in scena servisse a contenerne la paura. Gli artisti con il tema della morte sembrano mimare un duello pericoloso in punta di fioretto fatto di toccate e fughe. Lo stesso Ferdinand Hodler, più noto al grande pubblico come sereno pittore di paesaggi in cui si stagliano, in ele­ ganti e statiche posizioni, figure idealizzate di donne e di eroi della storia svizzera, è qui presente con un ciclo di inquietanti disegni (1914/15) in cui ritrae la sua compagna, Valentine, nel progressivo evolversi e compiersi di una ma­ lattia senza speranza. Hodler disegna, quindi si pone di fronte all'oggetto amato che sa di perdere, e con la lentezza del lavoro grafico vive la scansione temporale dei mesi che passano mentre il progredire della malattia sottrae spessore e riconoscibilità ai tratti somatici di Valentine. Egli simbo24 licamente non si appropria, elaborandola, della sua perso-



piuttosto gli artisti, proprio per la loro libertà creativa af­ fabulatoria, non avessero in qualche modo manipolato la visione dell'Io e dell'Altro, forzandone i confini, ponendosi in una zona più sfumata. Che cosa cioè hanno mostrato del­ l'identità e che cosa hanno voluto vedere dell'alterità? Que­ sta problematicità non si sarebbe verificata se Jean Clair avesse aggiunto al titolo Alla ricerca della, o ne avesse scelto uno magari meno ambiguo, e tuttavia rispondente alle fina­ lità della mostra, come Immagini del corpo e della corpo­ reità fra arte e scienza. Mi sono trovata così a pormi delle domande e a configurare delle ipotesi rispetto ai due con­ cetti. Poiche si fa riferimento all'operare degli artisti, i cui meccanismi di pensiero e di azione sono insieme individuali ed universali, io penso ci si trovi di fronte a fenomeni di Pseudo-identità e di Pseudo-alterità. Paul Claude Racamier in un aforisma definisce il con­ cetto di Identità come una traccia tenue e vitale lasciata dell'autopercezione del lavoro psichico operato dall'Io 17• Da cui anzitutto si deduce che l'identità è una produzione, uno sviluppo progressivo dell'Io e non Io nella sua complessi­ tà"· Per quanto ci riguarda, poiché di una mostra d'arte ci stiamo occupando, si possono riassumere alcune funzioni dell'Io nella sua capacità di fantasmare, di rappresentarsi, di sognare, e nella capacità di provare il lutto 19 • Freud, nelle varie elaborazioni della nozione di Io, sosteneva che l'Io è In definitiva derivato da sensazioni corporee, soprattutto dalle sensazioni provenienti dalla superficie del corpo. Esso può dunque venir considerato come una proiezione psichica della superficie del corpo, e Inoltre il rappresentante degli elementi superficiali dell'apparato psichico 20• II concetto di identità si evolve a poco a poco attraverso sollecitazioni interne ed esterne all'individuo e quando di­ viene nucleo adulto implica una immagine di sé con un Io corporeo ed un Io mentale 21• Processo questo che è insieme conscio ed inconscio, ma soprattutto è indissolubilmente le­ gato alla possibilità di rappresentazione dell'altro da sé. Se 26 l'altro, o alterità, è riconosciuto come oggetto diverso, stac-



intollerabili, mette in atto un meccanismo difensivo in cui, anziché riconoscerli/riconoscersi, prevale il bisogno di fram­ mentarli, proiettarli fuori di sé, attribuirli ad altri in un gioco di apparente alterità in quanto, di fatto, gli appar­ tengono. La tendenza inconscia è quindi spesso di attribuire al mondo esterno tutto ciò che può essere vissuto come ne­ gativo o pericoloso per la propria sopravvivenza psichica. Naturalmente questo processo ha anche il suo ritorno, la tendenza cioè ad identificarsi, assumendo su di sé atteggia­ menti positivi, sentimenti buoni, che appartengono ad altri. Il vorrei essere come te diviene ben presto sono come, per arrivare talvolta ad una identificazione proiettiva totale nell'io sono te. La mostra non manca di esempi illumi­ nanti rispetto a quanto detto di pseudo-identità e pseudo­ alterità. La produzione pittorica e grafica di Munch offre un pa­ norama di stupefacente ed angosciante realismo nei temi a lui cari. I malati, gli ospedali, le melanconie, gli urli senza voce, le seducenti e paralizzanti donne-madonne-vampiro, sono dei continui rimandi alle sue patofobie. Buttare fuori, investire su altri corpi, sulla tela o sulla pagina scritta, vuol dire cercare di togliere da sé il maleficio di parti non ac­ cettate, di oggetti che fanno soffrire, di lutti non completa­ mente elaborati. Cindy Sherman nelle sue foto sembra moltiplicare la pro­ pria identità in un gioco continuo di rimandi. Da ineguaglia­ bile trasformista, vera cleptomane dei tratti più caricaturali delle persone, ha assunto nei suoi autoritratti i ruoli di pin­ up, una donna straordinariamente cangiante nella serie come ordinary people, fino alle ultime foto in cui ha sottratto il suo corpo per presentare oscene bambole sporche e rotte in una allucinante atmosfera di memento mori. In mostra, al Museo Correr, appendice degli ultimi vent'anni alla espo­ sizione di Palazzo Grassi, sono presentate alcune foto della fine degli anni '80 della serie Old Masters, in cui in incre­ dibili d'après la Sherman si ritrae truccata nei panni di per­ sonaggi di quadri rinascimentali famosissimi. L'artista rie28 sce con questa operazione a costruire un suo doppio come



anche di ambigua seduzione, di equivoco erotismo. Ontani si è autodefinito Ombrofago colui cioè che, mangiando la propria ombra, non ha nemmeno spessore corporeo, il suo corpo non costituisce massa, non è più persona di questo mondo, per cui nelle sue molte trasmutazioni sembra rinun­ ciare alla propria identità. La figura di questo artista mi dà modo di avviarmi alla conclusione di questa personale lettura della Biennale vene­ ziana 24• All'inizio di questo percorso evidenziavo, seguendo il pensiero di Jean Clair e l'itinerario della mostra, come al­ cune branche della ricerca scientifica siano state concomi­ tanti ed incidenti con la creatività artistica. Ho anche sot­ tolineato una ben nota affermazione e cioè che gli artisti attingono a piene mani sia alle varie forme della cultura del loro tempo sia a tutta una serie di emozioni interne. Vorrei aggiungere come il disquisire sul tema dell'identità ed alterità o sugli pseudo sia un po' forzato di fronte a delle opere d'arte che manifestano il genio creativo del­ l'artista e la sua libertà espressiva. Del resto si può a buon diritto affermare che niente di veramente creativo sarà mai una replica, ma niente di creativo sarà mai veramente nuo­ vo. Ogni creazione si iscrive nell'ignoto, ma nessuna parte da zero... Gli oggetti della creazione sono quindi nello stesso tempo inventati e trovati... A chi è destinata l'opera crea­ ta? Ad un pubblico e a se stessi. Si crea sempre per sé, per trovare ciò che non si è ancora incontrato; e si crea per gli altri... per una persona che si conosce e per una persona che non si conosce affatto. Inoltre soltanto le opere d'arte e di scienza sono veramente creative 25•

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1 J. CI.UR, Premessa, in Identità e Alterità, figure del corpo 1895/ 1995. Catalogo della Mostra, Marsilio, Venezia, 1995, s.p. 2 Ibidem. 3 J. CWR, [dentittl ed Alterità. La dichiarazione programmatica per la prossima Biennale, in • Flash Art• n. 185, giugno 1994, p. 44. 4 L. e R. GRINBERG, Identità e cambiamento, Armando ed., Roma 1976, p. 8. s J. P. CHANGEUX, De la science vers l'art, in L'dme au corps, arts


et sciences, 1793-1993, Catalogo della Mostra, Gallimard/Electa, Parigi

1993, p. 16. 6 J. CLAIR, Identità... cit., in « Flash Art• cit., p. 42. 7 J. CLAtR, Petit dictionnaire désordonné de l'ame et du corps, in L'ame... cit., p. 58. 8 J. CLAIR, L'anatomia impossibile 1895-1995. Note sull'iconografia del mondo delle tecniche, in Identità... cit., p. XXVI. 9 Ivi, p. XXVII. IO J. CLAIR, Petit dictionnaire... cit., p. 59. Il P. FABBRI, Difformità del viso, in Identità... cit., p. '1:1. 12 J. CLAIR, L'anatomia... cit., p. XXVIII. JJ Ivi, p. XXIX. 14 /vi, p. XXXI. 1s /vi, p. XXVIII. 16 1:. interessante notare come in tedesco il termine Blick, titolo di molti dipinti di Schoenberg del 1910, significhi occhiata, visione, sguar­ do, ed in questo caso propenderei per l'ultimo significato. 1:. difficile immaginare la rappresentazione di uno sguardo, purtuttavia quegli oc­ chi, appena abbozzati, che sembrano forare la tela, stanno ad indicare una doppia azione, di andata e ritorno, verso chi guarda e verso il dentro di sé. I? P. C. R,\CAMIER, II genio delle origini, Raffaello Cortina ed., Mi­ lano 1993, p. 386. 18 La capacità di sentirsi se stesso pur nel succedersi del cambia­ menti, costituisce la base dell'esperienza emozionale dell'Identità, e Implica il mantenimento della stabilità attraverso circostanze diverse, trasforma.2;ionl e cambiamenti della vita. Ma l'evoluzione stessa di ogni Individuo è una serie Ininterrotta di crunbiamentl, piccoli e grandi, at• traverso l'elaborazione ed assimilazione de'l quali si stabilisce il senti• mento di identità. (L. e R. GRINBERG, Identità... cit., p. 93). 19 P. c. RACAMIER, /l genio ... cit., p. 389. 20 S. FREUD, L'Io e l'Es (nota all'edizione inglese del 1927), in Freud Opere, voi. IX, Boringhieri, Torino 1977, p. 489. 21 II « sentirsi • originario... si è gradualmente sviluppato In un •rappresentarsi• il mondo (sé e gli oggetti esterni), laddove la raffigu­ razione prende li senso dal corpo e ano stesso tempo conferma l'orga­ nizzazione del campo sensoriale. (A. RACALBUTO, Tra il dire e il fare, Raffaello Cortina ed., Milano 1994, p. 29). Z2 L. e R. GRINBERG, Identità... cit., p. 101. 23 A. GREEN, Narcisismo di vita narcisismo di morte, Boria, Roma 1985, p. 65. 24 Biennale veneziana che peraltro, a mio giudizio quest'anno non c'è, o meglio, per restare in tema, manca della sua vera identità, cioè dei suoi presupposti statutari. Manca infatti una scelta articolata di artisti veramente contemporanei. E non alludo solo alla soppressione della sezione di Aperto, dedicata agli artisti emergenti, quanto piutto­ sto alla maggior iparte delle esposizioni dei vari Paesi ai Giardini, luogo storico della Biennale, che sembrano spesso degli omaggi a personalità dell'arte ben note e le cui opere si vedono anche in molte istituzioni museali. La mostra Identità e Alterità, infine, allestita presso una fon­ dazione privata come Palazzo Grassi, che tra l'altro denota ancora una volta una singolare inadeguatezza ad ospitare esposizioni di un certo respiro e soprattutto di argomento contemporaneo, è in realtà una sti­ molante mostra storica, volutamente di tendenza, che tuttavia poteva essere fatta (ma non era già stata fatta?) in qualsiasi altro luogo ed occasione. 2S P. c. RACAMIER, Il genio... cit., p. 406.

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Alcuni generi di letteratura artistica ALESSANDRA DE MARTIN!

Notevole è stato lo sforzo da parte di molti autori - ba­ sti ricordare la Kunstliteratur di Julius von Schlosser 1 di fornire un quadro potenzialmente esauriente delle fonti scritte della storia dell'arte. Eppure, malgrado il continuo lavoro di chiarificazione ed ordine, registrabile dagli anni trenta del nostro secolo in poi, ancora esistono profonde incertezze non tanto terminologiche quanto concettuali di fronte ad un materiale così eterogeneo che va dai trattati alle guide, dalle biografie alle lettere e cosi intimamente connesso alla diversità dei momenti storici, alla mutevole concezione dell'arte e quindi ai modi coi quali quest'ultima è stata narrata. Non pretendo in nessun modo di fornire in poche bat­ tute un'esatta classificazione dei generi artistico-letterari, né di passarli in rassegna come voci di un dizionario: le note che seguono contengono semplicemente alcune considera­ zioni di carattere storico-critico. Né si pensi che l'oggetto di tali riflessioni sia la letteratura artistica nella sua tota­ lità, essendo la nostra analisi volta ad esaminare solo quei generi di tale letteratura che consentono un minimo di in­ terpretazione. Cosicché, dopo alcuni cenni definitori, cercheremo di mettere a fuoco le caratteristiche salienti di ciascun ter 32 mine preso in esame, cogliere le espressioni letterarie da



scende dall'antica famiglia dei prontuari e ricettari, i cui primi esempi sono databili al X secolo - come il De colo­ ribus et artibus Romanorum attribuito al cosiddetto Era­ clio - ma la cui massima diffusione si raggiunse proprio tra Duecento e Trecento. Carattere manualistico hanno an­ cora tutti quegli scritti che tra Quattrocento e Cinquecento fioriscono nel nord Europa e considerati il mezzo di diffu­ sione delle tecniche rinascimentali italiane: è il caso dei testi di Walter Rivius del 1547, quelli di Erhard Schéin, del Rodler, del Beham, ed altri ancora. E la tradizionale letteratura di manuali pratici prosegue fine al Settecento - ricordiamo il volume dal titolo Architettura civile pre­ parata sulla geometria e ridotta alla prospettiva, considera­ zioni pratiche di Ferdinando Galli-Bibbiena del 1711 - per continuare ininterrotta fino ai nostri giorni. Il trattato, pur conservando le finalità didattiche del ma­ nuale, ha un contenuto essenzialmente teorico, come dimo­ stra il fatto che esso, malgrado non manchino esempi di trattatistica nell'antichità e nel medioevo, ha raggiunto la massima diffusione durante il Rinascimento, periodo di ri­ goglio della letteratura teorica sia per l'abbondanza del testi sia per la varietà dei punti di vista dai quali l'arte è os­ servata. Secondo un'idea caratteristica dell'umanesimo l'arte non è (J>ratica, ma dottrina e scienza che è possibile inse­ gnare 3• Di qui il riscatto dell'arte che da meccanica si eleva al rango di -liberale e l'affermazione del valore ideale su quello materiale e fabbrile. In questo clima culturale la manualistica di stampo prettamente pratico perde la sua ragion d'essere, lasciando il posto alla trattatistica. Que­ st'ultima, secondo Argan, fissa norme e impartisce istru­ zioni, uniformandosi alle quali gli artisti eviterebbero er­ rori e si accosterebbero a quella che, di volta in volta, viene indicata come l'arte ideale, perfetta 4• I concetti di « norma » e di « arte ideale » appena espressi ci inducono ad ulteriori riflessioni che ci permettono di cogliere altre caratteristi­ che di questa forma artistico-letteraria. . Le norme espresse in un trattato non nascono sempre 34 su una base unicamente teorica e logica ma anche e soprat-



quella specifica di « guida turistica » si ha la conferma di quanto sopra sostenuto: Manuale contenente, insieme con le Indicazioni necessarie per facilitare la visita di una città o di una regione, la descrizione sommarla del monumenti, delle chlese, del musei, delle pinacoteche, delle specialità del folklore 6• La guida turistica è figlia di un genere artistico­ letterario tra i più antichi della cultura occidentale: la let­ teratura periegetica. Il periegeta (dal greco perigetés, che conduce attorno) era presso gli antichi colui che guidava i forestieri nella visita di templi e monumenti. Ma i periegeti erano anche quei viaggiatori che amavano prendere appunti sui monumenti da loro visti. Per estensione il termine pe­ riegesi indica la descrizione topografica di un paese accom­ pagnata dall'esposizione del fatti storici antichi e dei co­ stumi degli abitanti 7• Di periegesi artistico-antiquarie del­ l'antichità solo l'opera di Pausania (II sec. d.C.), Periegesi dell'Ellade, ci è pervenuta integra. Pur avendo piuttosto Interesse storico-documentarlo e topografico che valore cri­ tico, essa rivela l'esistenza di una letteratura popolare per i pellegrini, che è alle origini delle innumerevoli guide o itinerari di età medievale e moderna 8• Beninteso prima del­ l'invenzione della stampa non si può parlare di vere e pro­ prie guide turistiche, comportando quest'ultime la quanti­ ficazione e la diffusione dei testi, bensì di rari esemplari manoscritti, individuabili per titolo e per autore, che delle moderne guide costituiscono i lontani prodromi. Quanto alla tematica di tali manoscritti, nel medioevo la letteratura topografica riguardò ovviamente i due centri del Cristiane­ simo, la Terra Santa e Roma. Famose sono: la relazione del pellegrinaggio di Sant'Arculfo, del secolo VIII, scritta dal­ l'abate scozzese Adamnano, che illustra gli edifici perfino con piante schematiche; le descrizioni della basilica vati­ cana e di quella lateranense di Pietro Malleo e di Giovanni Diacono; i Mirabilia Urbis Romee, opera di carattere popo­ lare composta verso la metà del sec. XII, in cui sono illu­ strati, con spirito religioso, i monumenti della « città san­ ta» ma, allo stesso tempo, con tono fiabesco, ne vengono 36 Iodati i tesori d'oro e d'argento. Soltanto con l'umanesimo,



che siano da non confondere con quelle artistiche sembre­ rebbe cosa ovvia. Eppure non sempre è facile classificare un testo in questa o quella categoria essendo spesso le no­ tizie topografiche miste a quelle di natura artistica. Come osserva Bestetti le guide artistiche oltre a comprendere le Informazioni specifiche di ogni normale guida turistica ri• sultano più ricche e piacevoli per la presenza di argomenti d'ordine storico e artistico 11• Guide turistiche o artistiche che siano, esse hanno comunque dato origine ad una lette­ ratura regionale specifica, in cui il movente campanilistico acquista importanza notevole, e le cui prime manifestazio­ ni si registrano intorno al XVI secolo ad opera del Lamo per Cremona, cli Marcantonio Michiel per Padova e Vene­ zia, di Pietro Summonte per Napoli. In pratica nelle va­ rie regioni d'Italia si sviluppa una storiografia locale spe­ cifica determinata dalla divisione della penisola in stati e in diverse scuole artistiche. In questa linea va menzionato il libro di Marco Boschini, La carta del navigar pitoresco del 1660, che vuol guidare il lettore alla conoscenza della pit­ tura veneta o Le Miniere della Pittura del 1664, guida di Venezia contenente un profilo storico della pittura dal Bel­ lini in poi. Questa letteratura locale, che acquisterà nel '700 enorme sviluppo, trova grande diffusione nel nostro secolo; Marcello Fagiolo afferma: dato per scontato che non si può fare una storia dell'arte italiana, ma la storia delle arti nei centri italiani, prima di accingersi a qualsiasi studio biso­ gnerà ricostruire li volto storico del centro culturale in cui una certa opera o un artista sl colloca 12• Ferdinando Bolo­ gna pubblica / pittori della corte angioina (1969), Cesare Brandi, Quattrocentisti senesi (1949), Roberto Longhi, Offi­ cina ferrarese (1956), Paolo Portoghesi, Roma barocca (1966), solo per citare qualche esempio. Letteratura odeporica ed epistolare

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Se un'opera cli periegesi, come appena visto, si rivolge al pubblico dei pellegrini e dei turisti, quella odeporica (dal greco hodoiporik6s}, vale a dire relativa ad un viaggio, è


il racconto di una esperienza individuale e pertanto rientra nel genere del «diario». Cosicché la letteratura odeporica, oltre alla descrizione dei fatti artistici, rende nota soprat­ tutto l'interpretazione dei gusti da parte dell'autore. Molti sono gli esempi che potrebbero essere citati, ma qui ci limiteremo a ricordare il diario di viaggio nei Paesi Bassi di Diirer, scritto di estremo interesse per cogliere i rapporti dell'artista con la pittura olandese, quello di Vin­ cenzo Scamozzi da Parigi a Venezia del 1600; quello di Federico Zuccari, Passaggio per l'Italia, del 1608; la rela­ zione del soggiorno del Bernini a Parigi; Viaggio in Italia di Goethe. Naturalmente, dato il carattere intimistico di tale espressione artistico-letteraria, è facile dedurre che il suo massimo sviluppo si raggiunge nell'Ottocento, epoca in cui l'atteggiamento romantico comporta manifestazioni di indi­ vidualità, oltre che nell'arte, anche negli scritti sull'arte. La forte carica soggettiva del diario rimanda inevitabil­ mente ad un altro genere artistico-letterario, quello della letteratura epistolare. L'epistola è in generale un componi­ mento didascalico di vario argomento, svolto In tono stu­ diatamente fanùliare e discorsivo u. L'importanza di un epi­ stolario, specie se artistico, sta nel fatto che - pur non tro­ vandoci talvolta di fronte ad un vero e proprio carteggio, essendoci pervenute solo le lettere di uno dei due corrispon­ denti - in esso possiamo ricostruire un vero e proprio con­ testo storico-artistico. :e. il caso delle lettere che Luigi Van­ vitelli invia a Roma al fratello Urbano, documento di estre­ ma utilità per cogliere il clima culturale della prima metà del Settecento a Napoli. Tra le più importanti raccolte di lettere ricordiamo quella pubblicata tra il 1745 e l' '83 da Bottari e aggiornata da Ticozzi nel 1822-25, comprendente le lettere sulla pittura, scultura e architettura dei più celebri personaggi dei secoli XV, XVI e XVII; un carteggio di artisti dal Trecento al Cinque­ cento, curato da Gaye tra il 1839 e il '40; quello di artisti del Trecento e del Quattrocento pubblicato dal Milanesi nel 1869. L'interesse per gli epistolari perdura nel nostro secolo. Essenziali sono i carteggi di Michelangelo. curati da Paola

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Barocchi nel 1966 e quelli dell'Aretino pubblicati a Milano nel 1957-60, due testimonianze vivacissime che permettono non soltanto di ricostruire la personalità di ,un artista e di un amatore, ma di arricchire la prospettiva sociologica di un corretto studio storico 14• Biografie ed autobiografie

L'opera di Duride di Samo, databile al IV sec. a.C., è con­ siderata uno dei primi esempi di biografie di artisti. Ma bi­ sogna aspettare parecchi secoli ancora per avere una fervida produzione biografica di genere artistico. Durante il medioe­ vo, infatti, solo i santi e i pontefici erano considerati degni di biografie, essendo l'artista confinato per il suo operare ma­ nuale ai gradi più bassi della gerarchia sociale. Con il ri­ scatto dell'individualità umana e delle arti figurative come liberali, il Rinascimento pose la prima volta le premesse di una storiografia artistica di tipo biografico propriamente detta. Ne sono i primi segni l'esaltazione che Dante fa di Cimabue e Giotto e Petrarca di Simone Martini, ma il ca­ postipite della lunga serie di autori di « vite di artisti » fu Filippo Villani con il Liber de origine civitatis Florentia! et eiusdem famosis civibus del 1381-82, opera in cui trovano posto accanto a personaggi illustri anche gli artisti. Lorenzo Ghiberti nei Commentari, iniziati nel 1447, tentando un'espo­ sizione dello svolgimento generale dell'arte dall'antichità ai suoi tempi e soffermandosi sui migliori pittori e scultori del­ l'epoca 'sua, se stesso incluso, è il primo artista a fornirci la propria autobiografia. Segue la Vita di Benvenuto Cellini, un'autobiografia dettata probabilmente dall'autore ad un gar­ zone di bottega. Fioriscono, ancora, le citazioni di artisti il­ lustri, come nel catalogo di Cristoforo Landino nel Commen­ tario a Dante o l'opera di Bartolomeo Facio o ancora la lista di artisti operanti presso la corte di Federico da Montefeltro ad Urbino redatta da Giovanni Santi nel 1482. Le prime mo­ nografie con intento apologetico nascono con la Vita dell'Al40 berti (forse un'autobiografia) o con la biografia del Brunel-


leschi attribuita ad Antonio di Tuccio Manetti. Con le Vite de' più eccellenti architetti, scultori e pittori del Vasari si ha la prima specifica storia dell'arte, che disegna lo sviluppo organico dei fatti artistici in un arco di circa tre secoli, il­ lustrando i contributi originali delle personalità emergenti, da Cimabue a Michelangelo 15• Il genere delle vite è desti­ nato a sopravvivere fino a tutto il XVIII secolo - basti ri­ cordare l'opera di Milizia - per sfociare nelle moderne bio­ grafie maggiormente interessate alla produzione artistica piuttosto che al puro dato biografico. Passando dall'excursus storico all'interpretazione dei ge­ neri in esame, si può notare che biografie ed autobiografie si articolano in ben più numerosi significati di quanto la sola matrice terminologica possa lasciare intendere. Infatti se è vero, come generalmente si ritiene, che esse sono il frutto di un'attenta ricostruzione di dati biografici di un artista, è pur vero che biografie ed autobiografie ora pun­ tano sull'interesse specifico delle persone, ora su quello per la loro opera, ora sul posto che autori ed opere occupano in un determinato contesto. Molte sono le motivazioni che spingono lo scrittore in una o nelle altre direzioni, ma non è da escludere che la scelta di un genere rispetto ad un al­ tro risponda prevalentemente ad un'esigenza di artificio sto­ riografico. Quest'ultimo è certamente alla base delle Vite del Vasari, ma non solo. Nelle biografie artistiche di ogni tempo, come giustamente osserva Bernabei, è presente un motivo storiografico ricorrente, quello delle ascese e cadute umane. Ernst Krls ed Otto Kurz hanno scritto (1934) un libro an­ cora stimolante, che analizza i vari « top6i •, ovvero i più comuni episodi, che si ripetono con incredibile fissità, a pro­ posito della vita degli artisti, dall'antichità al Medioevo al Rinascimento ed oltre 16• II carattere narrativo della storia, riscontrabile come visto nel genere biografico, rimanda inevitabilmente all'orien­ tamento di molti autori, che in una prospettiva strutturalista e/o semiotica si sono interessati di analisi del racconto 17• Senza volerci soffermare sugli specifici contributi alla narra­ tologia, qui basti tener presente che ormai si è giunti alla 41


convinzione che il racconto, la narrazione del fatto storico è il frutto di un'attenta metodologia storiografica. Naturalmente con questo non si vuole sostenere che sol­ tanto il genere biografico possa considerarsi un'opera storio­ grafica. Ogni genere artistico-letterario, a diverso titolo e grado di importanza, rientra nella storiografia: il trattato, ad esempio, componendosi come s'è detto di teoria, espe­ rienza artistica e storia, ha tutte le carte in regola per es­ sere annoverato fra i testi di storia dell'arte, più di quanto non l'abbia un manuale, almeno nella sua specificità prescrit­ tiva; così anche la guida artistica risulta maggiormente pros­ sima ad una storiografia dell'arte che non una guida turistica. Pertanto il vero spartiacque tra i generi di letteratura artistica fini a se stessi e quelli che, pur nella loro autono­ mia, costituiscono il corpus storiografico è dato dal loro tra­ dursi in narrazione, notoriamente non dandosi storia senza l'intento narrativo. Riviste e Manifesti

A partire dal XIX secolo, la tradizionale letteratura ar­ tistica lascia il posto a nuove forme letterarie. Da un Iato si sono iniziati gli st-udi propri della moderna storiografia, dall'altro si è sviluppata la critica dell'arte contemporanea, e infine gli stessi artisti hanno preso ad esporre i propri principi con libertà nuova, talvolta in forma frammentaria, talvolta sotto fonna di manifesto, senza più la convinzione che l'arte possa essere costretta in un sistema di insegna­ mento 11• Tutti sanno che la rivista d'arte è una pubblicazione pe­ riodica relativa ad un campo specializzato di interessi. In essa si concentrano le osservazioni dei critici non solo su episodi artistici passati, ma anche e soprattutto su quelli che sono gli avvenimenti culturali contemporanei. La fram­ mentarietà che la caratterizza deriva dal fatto che la rivista discende, con buona probabilità, dai resoconti delle esposi­ zioni periodiche (Salons) promosse in Francia a partire dalla 42 prima metà del '700. E. in questo periodo, infatti, che, se-


condo molti autori, nasce la figura del critico militante che formula giudizi di valore sulle opere d'arte contemporanee, in funzione di mediazione tra artisti e pubblico. Nel 1747 esce II saggio di La Font de Salnt-Yenne, che è il primo tra I resoconti delle esposizioni... Diderot ha cominciato a seri• vere i suoi Salons nel 1759 e ne ha scritti fino al 1781... il tono del suoi Salons è piuttosto quello del giornalista che del filosofo 19• Dunque la critica d'arte si afferma sulle vie aperte da Diderot, In forma frammentaria, viva, efficace, le­ gata all'arte contemporanea, alla comprensione dei suoi pro­ blemi e delle sue vicende b). Durante tutto l'Ottocento l'am­ pliamento del mercato artistico, con l'affermazione della bor­ ghesia Industriale, il moltiplicarsi delle esposizioni, la nascita di una stampa specialistica, offrono campo sempre più largo di Intervento ai critici 21, Un'osservazione critica sulle riviste d'arte contempora­ nea è la seguente: solitamente si ritiene che fra la nascita di un'opera e il giudizio storico-critico su di essa debba ne­ cessariamente trascorrere del tempo. Indubbiamente in que­ sta credenza, generalmente nota come « prospettiva storica », c'è qualcosa di vero perché in quel lasso di tempo si effet­ tuano nuove esperienze, approfondimenti analitici, maggiori conoscenze filologiche, ecc. D'altra parte questo più ponde­ rato giudizio va a svantaggio della presenza testimoniale del critico rispetto all'opera d'arte. Pertanto le riviste d'arte con­ temporanea si caratterizzano più per questa prova testimo­ niale che non per un più lento processo interpretativo. Il manifesto altro non è che un programma teorico, e talvolta anche pratico, di carattere politico o culturale, ela­ borato da singole persone o da gruppi di intellettuali. Ri­ spetto alle tradizionali espressioni artistico-letterarie, esso non nasce come teoresi di una precedente esperienza arti­ stica, viceversa detta principi e concetti che guidano il fare artistico futuro. I manifesti, espressioni esplicite di poetica, nascono indubbiamente con l'avanguardia artistico-letteraria, a sua volta espressione del movimento romantico e fenomeno del tutto nuovo dell'arte del nostro secolo. Essi, oltre alle valenze citate, hanno anche quelle di provocazione, rottura,

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rifiuto del passato in vista di un possibile futuro - non a caso il futurismo è espressione comune a tutte le tendenze di avanguardia ben oltre quella iniziata da Marinetti. In una parola il manifesto intende essere atto di « contestazione globale». A conclusione del nostro sintetico excursus è opportuno mettere a confronto i generi di letteratura artistica che ab­ biamo descritto e commentato con l'opera d'arte che costi­ tuisce in fondo l'oggetto di tale letteratura. Quest'ultima - come tutti I prodotti dello spirito creativo - ha per sua natura la duplice proprietà di essere, da un lato, determi­ nata « de facto » dalla situazione temporale e locale, e, dal­ l'altro di costituire, riguardo alla sua Idea, una soluzione atemporale, assoluta e a priori di problemi posti - di pro­ dursi nel flusso del divenire storico e di raggiungere tutta­ via una sfera di validità sovrastorlca. Perciò li fenomeno ar­ tistico [...] affaccia una duplice pretesa: da -un lato di venir compreso nella sua condlzlonatezza, cioè di essere Inserito nel nesso storico di causa ed effetto - dall'altro di essere compreso nella sua assolutezza, di essere sottratto cioè al nesso storico di causa ed effetto e di venir Inteso, al di là della relatività storica, come una soluzione, estranea al tem­ po e al luogo, di un problema che è estraneo al tempo e al luogo 22• Se questa è la natura e la fenomenologia dell'opera d'arte - storica e in pari tempo sovrastorica - la lettera­ tura artistica è invece esclusivamente legata alla storicità dell'arte, donde il suo valore nel sopperire a tutte quelle informazioni, contestualizzazioni, rese ambientali e culturali che l'opera d'arte, dovendo soddisfare alla suddetta duplice natura, spesso non è in grado di fornire. Resta il quesito: che cosa documenta meglio la cultura artistica di un'epoca, l'opera o le fonti artistico-letterarie? Per un verso la risposta privilegerebbe la prima, ossia il monumento; per un altro le seconde, indispensabili ai fini dell'interpretazione. In ogni caso poiché l'alternativa può tra­ sferirsi nel rapporto tra storia e storiografia, l'opzione è im­ possibile perché come non si dà storiografia senza storia 44 così non si dà storia senza una storiografia che ne fissi, nel


nostro caso attraverso la letteratura artistica, il racconto, la descrizione e l'interpretazione. 1 J. SCHLOSSER, La letteratura artistica (1935). La Nuova Italia Firenze 19¼ 2 R. ASSUNTO, voce Trattatistica-Medioevo dell'Enciclopedia Univer­ sale dell'Arte, Istituto per la collaborazione culturale, Venezia-Roma 1966, voi. XIV, col. 89. J B. TOSCANO, voce Lelleratura artistica, in Enciclopedia Feltrinel­ /i-Fisclzer, Arte 2/1, Milano 1971, p. 245. • G. C. ARGA.�, in G. C. ARGAN - M. FAGIOLO, Guida a La storia dell'ar­ te, Sansoni, Firenze 1974, p. 9. s F. BERNABEI, Percorsi della critica d'arte, Edizioni Cleup, Padova 1991, p. 27. 6 S. BATTAGUA, voce Manuale del Grande dizionario della ling11a ita­ liana, UTET, Torino 1975. 7 G. DEVOTO- G. Ou, voce Periegesi del Dizionario della lingua ita­ liana, Le Monnier, Firenze 1971. s L. So\llRNO, voce Storiografia dell'Enciclopedia Universale dell'Arte cit ., voi. XIII, col. 49. 9 lvi, col. 54. IO B. TOSCANO, op. cit., p. 260. Il C. BESTETTI, Bibliografia del libro d'arte italiano, Edizioni d'Arte, Roma 1952, voi. I. 12 M. FAGIOLO, in G. C. ARCAN - M. FAGIOLO, G11ida a La storia del­ l'arte cit., p. 91. u G. DEVOTO - G. Ou, voce Epistola del Dizionario della lingua italiana, cit. 14 M. FAGIOLO, op. cii., p. 90. 1s G. C. ARGAN, op. cit., p. 9. 16 F. BERNABEI, op. cit., p. 164. 11 M. L. SCALVINI, in M. L. SCALVINI - M. G. SANDRI, L'immagine sto­ riografica dell'architettura contemporanea da Platz a Giedio11, Officina edizioni, Roma 1984, p. 21. 11 A. PERTUSI, voce Trallatistica dell'Enciclopedia Universale dell'Arte, cii., voi. XIV, col. 85. 19 L. VENTURI, Storia della critica d'arte, Einaudi, Torino 1964, p. 156. 20 L. SALERNO, voce Trattatistica - Il secolo XIX dell'Enciclopedia Universale dell'Arte, cii., voi. XIV, col. 109. 21 Voce Critica dell'Enciclopedia dell'Arte Garzanti, Milano 1973. 22 E. PANOFSKY, Sul rapporto tra la storia dell'arte e la teoria del­ l'arte, in La prospelliva come • forma simbolica" e altri saggi, Feltri­ nelli, Milano 1961, pp. 205-206.

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