R. Ds Fusco,
R. Losrro,
G. CASSBSB,
Il design nei tempi della storia Internazionalismo vs regionalismo Case e studi d'artista Libri, riviste e mostre
s 18
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Alla redazione di questo numero hanno collaborato: Virginia Baradel,
Imma Forino, Paolo Giardiello, Paola Jappelli, Fabio Mangone, Giovanni Menna.
La rivista si avvale del contributo economico dei seguenti Istituti e Aziende:
Alessi Camera di Commercio di Napoli Driade
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della storiografia, che è viva in quanto è mossa da inte ressi presenti. Inoltre ancora dal presente possiamo pensare alla storia futura, progettare le nostre azioni che prevedibilmente si realizzeranno in essa. Ripren dendo la similitudine del passalo come un vasto campo ed estendendola al futuro come un luogo nebuloso, nel quale è possibile procedere solo a tentoni, il presente può assimilarsi ad un'altura dalla cui cima possiamo guardare al passato abbracciandone una maggiore estensione e al futuro superando il banco di nebbia che al livello normale ci impedisce la visione. In quest'ot tica, con paradosso solo apparente, possiamo dire che il presente è il tempo prevalente della storia. Infatti, oltre alle considerazioni già esposte, per cui dal presente possiamo guardare al passato e tracciarne la storiogra fia, dal presente possiamo ipotizzare il futuro e nella/a scia del presente realizzare la storia nel suo farsi, vale soprattutto la considerazione che tanto la storia quanto la storiografia sono opera dei vivi e non dei morti o dei nascituri. Se la dimensione storica del passato e quella del pre sente sono, come s'è visto eterogenee, ancora più di versa è la dimensione del futuro, fonte di tutte le nostre incertezze ed angosce. A meno di non affidarsi alla pro fezia, sia a quella seria della fede, sostanza delle cose sperate e argomento delle non parventi (S. Paolo, Hebr., 11, 1}, sia a quella futile dell'astrologia, non resta che puntare su quanto ci consente la nostra razionalità, che, nonostante i suoi limiti, ci dà modo di pensare ad una storia futura. Tutti gli uomini dovrebbero occuparsi di quest'ultima per evidenti motivi esistenziali, ma ne hanno maggiore obbligo coloro che, politici, ammini stratori e programmatori, lo devono assumere per istitu zione. Si parva licet fra costoro ci sono gli urbanisti, gli architetti, i designer e quant'altri operano in senso pro gettuale, quella progettuale essendo per definizione un'azione rivolta al futuro.
non una morfologia, almeno una tipologia di manufalti, frettolosamente abbandonata, ma non uscita dall'uso, tant'è che, in mancanza di prodotti moderni, ricorriamo spesso ad oggetti d'antiquariato. In breve, il design ha, per così dire, un cuore antico, che batte ancora nelle forme degli attuali oggetti d'uso, non importa se pro dotti serialmente e con macchine più sofisticate. La indispensabile rifondazione disciplinare del de sign deve muovere dai suoi precedenti ed è stato un grave errore l'immaginarlo nato da una soluzione di continuità con il passato, datato solo a partire dal nostro secolo ed accompagnato da una serie di mitologie; prima fra tutte quella contrassegnata dai vari aforismi associanti l'oggetto più minuto (l'ago, il cucchiaio, ecc.) alla città. Essi volevano intendere un programma unificante tipologie, generi e prodotti indipendente mente dalla loro scala, forma e funzione; il tutto guidato da una unitaria metodologia progettuale. L'intento era lodevole, si voleva cercare di superare il divario fra mer ceologie ricche e povere; rendere ogni prodotto oggetto di attenzione progettuale e quindi portatore di un valore; magari s'intendeva persino superare la «divisione del la voro» che era un portato, negativo quanto ineliminabile, della rivoluzione industriale. In realtà, s'è verificato esattamente l'opposto: non c'è quasi nulla che associ il design delle automobili a quello dell'arredamento, le macchine industriali alla grafica, la moda agli elettrodo mestici, per non parlare degli apparecchi elettronici sui quali tornerò più avanti. Nonostante l'unificante termine professionale di designer, chi disegna l'aspetto formale delle auto continua ad essere un carrozziere; chi pro getta mobili continua in prevalenza ad essere un archi tetto; chi macchine industriali, un ingegnere; chi abiti di moda, un sarto e così via. Probabilmente abbiamo caricato di troppe intenzioni socioculturali e moralistiche il generale campo manifat turiero perché potesse trovare un riscontro nella sua IO complessa e talvolta irrazionale storicità. Senza tutte
termine, scarsamente ulile, sentimentale come le cose che si conservano per pseudo-affezione, in una parola al Kitsch patetico. Tutt' allro discorso va fallo per la pro duzione degli oggelli usa-e-gella, destinali, come ve dremo, ad un grande sviluppo nel fuluro, ma all'opposto della categoria appena accennala, privi di ogni valore affeuivo, sia reale che effimero.
La questione dei valori
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Prima di procedere ollre, di considerare cioè il de sign nel lempo futuro della storia è necessario occuparci dei valori e, poiché sliamo considerando oggelli appar lenenti a tre eterogenei tempi storici, dobbiamo parlare dei valori, sia nella sloricità di ciascuno di lali lempi, sia in una loro dimensione melaslorica. Chi ha familiarità con la riflessione concettuale sulla storia sa bene che prima o poi spunla la problematica questione del valore, che comporta anzilutto l'esigenza di distinguere ifatti dai valori, allrimenti s'incorre in un appiattimento degli uni sugli altri e la giustificazione di ogni evento e opera storica con la paralisi dello stesso giudizio sia storico che valutativo. Molti autori si sono cimentati nella definizione del concetto di «valore»: chi considerandolo una qualità in trinseca degli oggetti; chi, più pragmaticamente, una proprietà soddisfattiva di determinati interessi, una concezione che già rimanda a qualcos'altro oltre la mera consistenza del fallo o dell'opera; chi ancora di stinguendo il «piano della realtà empirica» dal «piano dei valori», l'uno relativo ai fatti storici e l'altro relativo appunto ai valori. Su questa terza concezione si fonda la «teoria dei valori» avanzata da Windelband e Rickert, nell'ambito dell'idealismo post-kantiano. Per essi il va lore non è l'essere di un evento o di un'opera storica, bensì il suo dover essere, che trascende l'immediata qualità del!'oggetto. Ma quale rapporto esiste tra la sto-:-
in quello dell'arte. La produzione artistica è certamente condizionata dal contesto del momento in cui nasce, ma è anche portatrice di valori e di significati che restano costanti nel tempo. Una conferma si ha in quanto scrive Panofsky: l'opera d'arte - come tutti i prodotti dello spirito creativo - ha per sua natura la duplice pro
prietà di essere, da un lato, determinata de facto dalla situazione temporale e locale, e, dall'altro, di costituire, riguardo alla sua idea, una soluzione atemporale, assoluta e a priori dei problemi posti di prodursi nel flusso del divenire storico e di rag giungere tuttavia una sfera di validità sovrastorica (E. Panofsky, Sul rapporto tra la storia dell'arte e la teoria dell'arte in La prospettiva come "forma simbo lica", Feltrinelli, Milano 1961, pp. 205-6). Ora, è proprio questo fattore metastorico, ovvero di invarianza di valore al variare della storicità che ci con sente di ipotizzare, prevedere, progettare gli oggetti che, con ragionevole estensione delle tendenze in atto, sa ranno prodotti nel futuro, grazie anche alla citata pro prietà dell'arte che vale anche oltre il luogo e il tempo in cui sono state realizzate le sue opere. La chiamata in causa del fattore metastorico non significa «uscire dalla storia», perché, se provvisoriamente identifichiamo va lori e valutazioni, vale quanto scrive Dewey: in base
alla continuità delle attività umane personali ed as sociate, la portata delle valutazioni presenti non può essere validamente stabilita tino a che esse non sono inserite e viste nella prospettiva dei passati eventi di valutazione con i quali sono continue. Senza di ciò, la prospettiva futura, cioè le conseguenze delle presenti valutazioni, è impedita (J. Dewey, Teoria della valuta zione, La Nuova Italia, Firenze 1963, p. I 02). Il design nel tempo futuro
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In precedenza abbiamo parlato del design in ordine
ingombranti, barocche nell'accezione peggiore. Come )'immaginario ottocentesco era tecnologico, valga per tutti iJ caso di Verne, quello del nostro secolo è fanta scientifico-mostruoso come i film di fantascienza e i giocattoli amati dai bambini. L'aforisma «i sogni della ragione generano mostri», tradotta in positivo, sarà pro babilmente la regola dell'estetica più diffusa e condi visa. Il terzo orientamento sarà quello contrassegnato da prodotti usa-e-getta. Che questa sia l'ipotesi più proba bile riguardante la nostra cultura materiale è avallata dall'attuale crisi dei valori, dall'edonismo diffuso, dal mito del funzionalismo assoluto, dalla mancata esigenza di conservare alcunché, dall'etica, per così dire, dcll'ob blio, dal gusto del nuovo per il nuovo, dall'inettitudine a gestire Je situazioni determinate da quest'ultimo. L'usa e-getta alimenterà la gran massa dei rifiuti, cancellerà ogni segno della nostra esistenza e, al limite, la nostra stessa storia. Che cosa sia una civiltà che distrugge ogni traccia di sé è facile immaginarlo, forse non s'è mai ve rificato nel corso della storia, ma noi corriamo il rischio di fare real.mente questa esperienza. A questo punto si comprende meglio Ja nostra di gressione sulla questione dei valori e delle valutazioni, che abbiamo sintetizzato dicendo che i valori non consi stono mai o raramente in qualcosa che è, per cosi dire, in re, bensì in qualcos'altro che trascende i fatti, le opere, gli oggetti. Altrimenti identificheremmo fatti e valori. E se per )'arte, questo qualcosa vale oltre la sto ricità del suo tempo, altrimenti, poniamo, il Partenone, il David di Donatello, la Trinità di Masaccio ci sareb bero incomprensibili, per )'arte «applicata» iJ giudizio è più complesso. Infatti, quanto alla sua componente este tica, vale anche per il design una valenza che supera il proprio tempo, quanto invece alla sua componente pra tica, «applicata» appunto, valori e valutazioni sono più strettamente legati alla storicità de) tempo. Nonostante 16 questa maggiore complessità, relativamente ai prodotti
Internazionalismo vs regionalismo ROSA LOSITO
Pur volendo ignorare i ricorsi storici, appare tuttavia singolare notare, nell'esperienza dell'architettura degli ul timi cento anni, il verificarsi di un fenomeno simile a quello prodotto dalla cultura romantica verso la metà del XVIII secolo. Da un . unitario atteggiamento prevalente mente ispirato al sentimento si generarono, infatti, due cor renti opposte o apparentemente tali, il Neoclassico e l'este tica del Pittoresco•. Analogamente, nell'architettura con temporanea, da un comune filone originario, questa volta però essenzialmente razionalista, si sono sviluppate, attra verso fasi successive nel tempo, due attitudini distinguibili dall'essere :-- nei termini che specificheremo in seguito legate o meno al. «luogo»: l'architettura internazionale e il regionalismo. Semplificando ulteriormente il parallelo se condo uno schema frequentemente adottato dalla critica, si potrebbe ancora osservare, pur nella diversità delle posi zioni di partenza, la ricorrenza, all'interno delle polarità così sinteticamente delineate, dell'opposizione dialettica tra «ragione» (Neoclassico, internazionalismo) e «senti mento» (Pittoresco, regionalismo). La formulazione di «paralleli» tra correnti artistiche cronologicamente e storicamente distanti non costituisce certo una novità critico-storiografica: ne sono esempi auto revoli l'accostamento tra il Manierismo tardocinquecente- . 18
sco e il Post-Modemism proposto da Goldberger e da
una sorta di «tiro incrociato», si è voluto assumere non tanto l'opposizione ragione-sentimento, già accennata e
più volte utilizzata dalla stessa critica, ma quella, pure fre
quente nella storia dell'architettura, tra l'indifferenza al
luogo e l'attenzione ad esso: per estensione, la dicotomia
tra una concezione dell'architettura che stabilisce i principi
teorici al proprio interno ed una che invece li cerca al di fuori di sé.•
Al di là della singolare divergenza di finalità e della va
rietà di vocabolario forn,ale che contraddistinsero il neo classico, si può affermare, con Rykwert, che le battaglie
all'interno del movimento neoclassico furono combat
tute su argomenti quali il prestigio delle colonne, l'e mulazione della classicità, la freschezza
dell'ispira
zione, il conflitto tra veridicità e convenzione5, la natura della bellezza, il ruolo dell'antico come modello, i concetti
di simmetria e le proporzioni, l'applicazione «ragionata»
degli ordini classici. Questioni queste, eminentemente fon
dative e interne alla struttura della disciplina architettonica,
così come era ancora considerata nel Settecento. In que st'ouica, l'individuazione dei valori oggettivi della classi
cità avveniva secondo una ricerca di astrazione del tutto in differente rispetto ai caratteri del luogo; piuttosto, l'ado
zione degli ordini e la distribuzione dell'ornato dovevano
essere dettati - ma questo è un chiaro retaggio della teoria vitruviana e poi rinascimentale del decoro - dalla «di gnità» e dal grado sociale della committenza.
L'esperienza diretta degli scavi e delle rovine e la con
seguente riverifica delle norme proporzionali e composi
tive, l'ampliamento del repertorio stilistico come esito
della scoperta di nuovi paesi e di culture sconosciute deter
minarono quell'atteggiamento relativistico che portò, alla
lunga, a due differenti attitudini progettuali: quello che
assu(ns)e i modelli dell'Antichità con la più spregiudi cata libertà creativa, assimilando in forma «esaltata» la
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grande retorica romana, la severità greca, la monu-
mentalità egizia, l'elementarità etrusca e quello che
nuine fonti di ispirazione e alla sperimentazione di sor prendenti possibilità espressive. Il manufatto diventa cos1 elemento di complemento o di contrasto - a seconda del l'emozione che si vuole suscitare - dello scenario naturale, secondo una composizione «vedutistica» che obbedisce a motivazioni di tipo estetico-associazionistico. La natura del luogo viene adottata come quinta per vere e proprie rappresentazioni evocative, strumento da piegare alle ra gioni formali dell'architetto; a tale logica vengono subor dinate anche la scelta dello stile da usare (il tempietto greco, la rovina gotica, la pagoda cinese) e l'impostazione della planimetria, generalmente irregolare e asimmetrica, ai fini di una percezione visiva inusuale e «per gradi». Il doppio rapporto tra architettura e natura si esprime privile giando la visione dell'intero paesaggio da parte di un os servatore esterno rispetto a quella più consueta dall'interno della casa stessa.
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L'aspirazione, più o meno dichiarata, ad un codice lin guistico universale identificabile con uno «stile», sia da parte degli architetti nel proprio ruolo fondativo, che dei critici in quello di individuazione e successiva interpreta zione, è una costante ricorrente nella storia dell'architet tura che trova la sua prima espressione nel classicismo e che assume di volta in volta forme più o meno esasperate, come testimoniano le parole di Schinkel in un momento, come il 1830, in cui l'eclettismo di stili legati alle varie epoche era ormai sentita come una vera e propria calamità: Ogni periodo storico importante ha avuto un suo stile architettonico, perché quindi non cercare di trovarne uno anche noi? Perché costruire sempre nello stile di un altro periodo? Se è lodevole essere capaci di cogliere l'essenza e la purezza di ogni stile, è ancora più lode vole creare uno stile puro e comprensivo che non si scontri con le qualità migliori degli altri stili. Se ci si basa su queste premesse il nuovo stile non divergerà da quelli precedenti o preesistenti fino al punto di diventare un fantasma che la gente fatica ad accettare e ca-
come Wright o Aalto, che l'avevano portata nuovamente alla ribalta della critica architettonica. Agevolato -da particolari condizioni storiche, quali il crescente potere centralizzante delle nazioni stato e il con seguente consolidarsi delle culture nazionali, che hanno fa vorito il rilancio dei miti delle origini e di una storia e di una tradizione unitaria, il ricorso a linguaggi, tecniche e materiali locali, basato· sulla cultura della differenza e del particolare, in opposizione a quella di teorie universaliz zanti, è stato sempre visto dalle avanguardie, soprallullo nelle sue forme più irrazionali e regressive, come l'avver sario da osteggiare, Tuttavia è bene ricordare che istanze internazionaliste e regionaliste hanno convissuto nell'architettura europea de gli anni Venti-Trenta ben più frequentemente di quel che potrebbe apparire ed è alle origini più o meno nascoste di tali sovrapposizioni che la critica sta recentemente rivol gendo la propria attenzione, come dimostrano i sempre più numerosi studi sulle scuole funzionaliste in differenti paesi europei. La consapevolezza ormai raggiunta dei rischi in siti in una storia condotta per univocità e semplici opposi zioni ha condotto ad una maggiore disponibilità a leggere le complessità all'interno di ciascuna storia particolare e di ciascuna corrente internazionale: secondo Olmo, i presup posti regionalismi non sono altro che diverse forme di circolazione di diversi modelli culturali che rimangono internazionali t 3. Avvertito come esigenza alternativa all'insediamento moderno nel congresso CIAM del 1951 dal titolo IL cuore della città, identificatosi nelle posizioni espresse da Hei degger nella conferenza Costruire, abitare, pensare del 195 I , secondo cui la relazione di uomo e spazio non è null'altro che l'abitare nella sua essenza 14, e motivato da Giedion come deferenza verso l'individualità e desiderio di soddisfare i bisogni materiali e spirituali inerenti ad ogni area1.S, il regionalismo recupera i concetti di identità e di genius foci a partire da quello di abitazione, espri24 mendo un approccio all'architettura di tipo sentimentale ed
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- e forse a maggior ragione - per l'lnternational Style: entrambi sbocchi 'vuoti' di linguaggi originariamente quanto mai 'pieni' in senso semanticol7. Nei momenti di confusione e di crisi, le vie alternative da intraprendere sono molteplici: la ricerca del nuovo a tutti i costi, come sintomo di una rottura con il passato, ri tenuto ormai obsoleto, e carico di significati o di valori non più rispondenti alle esigenze del momento; il rifugio in certezze e valori ritenuti intramontabili, eterni, come scelta di una sicurezza rispetto al vuoto di un futuro privo di cer tezze; o ancora la decisione di non assumere nessuna posi zione critica e attiva e adattarsi, nel proprio operare, al corso degli eventi. La proliferazione di riferimenti tecnici e culturali rap presenta, al contempo, la loro progressiva dispersione o ad dirittura il relativo annullamento, provocando un naturale senso di disorientamento. Come espressione specifica mente artistica, ma estremamente condizionata dalle varia bili del campo reale, l'architettura rispecchia tali incer tezze, sia nelle modalità con cui viene progettata e realiz zata, che in quelle con cui si rappresenta. Volendo ancora indulgere alla tentazione dei paralleli, si ricorda che nell'analisi della crisi di valori di due di verse culture come quella classicistica e quella moderna, è stato osservato, delineando un'analogia Eclettismo/Post Modernism, che - come dal relativismo illuminista, dalla nuova estetica fondata sull'associazionismo, dal gusto della remoteness spaziale e temporale, dall'in fluenza delle esperienze figurative della pittura di pae saggio e dalla fortuna letteraria del gothic novel na scono il pittoresco, i revivals e quindi l'eclettismo stori cistico - così dall'insofferenza verso il dogmatismo 'puritano' del Movimento Moderno e la frigidità aset tica dell'lnternational Style; dalla teorizzazione della «ugliness» come valore; da una volontà di sperimenta lismo linguistico che risulta alimentata anche dalle contemporanee ricerche semiologiche; dal gusto dell'ambiguo e del contraddittorio (dell'«e-e» piuttosto
chitettoniche e costituendo cosl terreno fertile per un de vice interpretativo più volte esplorato dalla critica negli ul timi anni, quello del rapporto tra «centri e periferie». Uno dei maggiori rischi dell'attuale internazionalismo avvertito in primis dagli stessi architetti è il suo essere privo di universalismo, la mancanza di quell'etica che è diventata la «macchietta caricaturale» del Movimento Moderno. Se c'è una differenza, infatti, tra l'internaziona lismo degli anni Venti-Trenta e quello che ha segnata mente caratterizzato la seconda metà del Novecento, que sta risiede proprio nelle rispettive ragioni di essere: il primo nasceva da motivazioni interne di ordine discipli nare, da esigenze di rifondazione della teoria progettuale, sulla base di veri e propri manifesti programmatici (si pensi a Le Corbusicr, al Bauhaus, ai futuristi, al gruppo 7) rimanendo poi imprigionato nelle semplificazioni inter pretative dell'equazione programma, etica (sempre più convenzionale o contrattata), internazionalismo20. Il
secondo appare quasi come la conseguenza naturale e non prevedibile di eventi oggettivi, una risposta non unitaria e che soprattutto cerca le proprie· ragioni solo dopo il suo verificarsi e non a priori. Di fronte agli eccessi di un internazionalismo deteriore, rivolto maggiormente a soluzioni empiriche prima ancora che alla proposizione dei problemi, ad una trasformazione imitativa invece che ad una rinessione critica, vari sono stati i tentativi di risposte disciplinari. Generalmente si tratta di false soluzioni, verrebbe da dire «di facciata», che si appellano a valori estetici e formalistici, o più semplice mente nostalgici, o che richiamano la validità dell'ugua glianza tra autonomia disciplinare e illusione della libertà dell'espressione soggettiva. Diverse ancora, ma ugual mente sterili, le reazioni all'imposizione di modelli astratti e omologati legate ad un'interpretazione mistificata del concetto di conservazione che propongono la ripetizione dei modelli stilistici antichi (...) ritenuti geografica mente caratteristici2 1, secondo la nostalgica retorica del 28 «com'era e dov'era».
nendo tuttavia aperti i contatti con la tecnica univer sale25. Il concetto di coscienza critica viene qui adottato per auspicare una mediazione meditata tra impatto della ci viltà universale ed elementi legati ad un luogo particolare. Architetti come Utzon, il Grup R di Barcellona, Coderch, e ancora lo stesso Siza, Abraham, Barragan, Valle, Botta, Ando, Fehn, gli Antonakakis sono stati definiti da Framp ton esponenti di varie scuole regionali. Essi avrebbero in comune da una parte un atteggiamento critico nei confronti degli eccessi della modernizzazione, dall'altro il rifiuto di abbandonare quegli aspetti emancipatori e progressisti dell'architettura moderna. Allo stesso tempo, la natura frammentaria e marginale del Regionalismo critico serve ad allontanarlo sia dalla ottimizzazione della nor mativa sia dall'utopia ingenua del primo Movimento Moderno26. I «materiali» principali di tale architettura sono la topografia del sito, considerata come una matrice tridimensionale in cui inserire la struttura, e la luce locale, intesa come l'agente primario attraverso cui vengono ri velati il volume e il valore tettonico dell'opera27, nell'ot tica di accentuare la percezione del manufatto architetto nico sia tattile che visiva. Tale posizione è del tutto analoga a quella di Norberg Schulz, secondo il quale lo scopo principale della se conda fase dell'architettura moderna è quello di tra smettere individualità a edifici e luoghi, tenendo conto dello spazio e del carattere; si cerca quindi di prendere in considerazione la situazione congiunturale della lo calità e del compito edilizio, invece di limitarsi a pro getti basati su tipologie e progetti genera1i28_ Nel 1984 le prime perplessità al riguardo sono avanzate da Gregoui che si chiede: come potranno essere evitati i pericoli di un nuovo regionalismo (addirittura di un nuovo Heimatstil) anche se questo regionalismo si defi nisce critico cercando con ciò di non ripetere errori che esperienze passate ci hanno reso evidenti, come quello di riproporre il caratteristico come difesa di uno speci30 fico e di un privato che dipende nella formazione dei
che indipendenti dall'esperienza, la critica kantiana rappre., senta per la ragione stessa la decisione della possibilità o impossibilità di una metafisica in generale e la determi nazione così delle fonti come dell'ambito e dei limiti di essaJ2. Alla luce di tale chiarimento ci si chiede, allora, se è sufficiente definire «critica» una tendenza architettonica per affermarne l'esistenza,. prima, e la legittimità, poi. E dunque, è poi così vero che è finito per sempre il tempo per tracciare le linee per una rifondazione della disciplina? Non è forse il caso di ricercare ancora, oggi più che mai, i caratteri propri dell'architettura in quanto arte e in quanto tecnica? Il rapporto più o meno contraddittorio con il topo.\· può costituire, come si è visto, un parametro esegetico per l'ar chitettura, ma non ne esaurisce certo la complessità dei principi fondanti. Proprio sulle pagine di questa stessa rivi sta, dieci anni fa, Livio Sacchi sosteneva l'indifferenza al luogo di tutta la tradizione dell'architettura «co struita», quella cioè in cui i caratteri astrattamente pro gettuali sono prevalenti su quelli empiricamente co struttivi. Si tratta di tutte le fabbriche fortemente con trassegnate, rette dalla propria interna struttura, dal proprio microcosmo semantico. L'architettura senza to pos trova in se stessa il suo «nocciolo duro», non si guard� intorno ma dentro, indaga le sue leggi autono mamente e non si aggrappa a considerazioni etero nome. Inoltre, mentre essa può modificare un topos ina datto intervenendo con un'opportuna serie di provvedi menti correttivi a migliorare un luogo ritenuto insoddi sfacente, non è vero il contrario:· un bel luogo non mo difica una cattiva architettura33_ È forse possibile andare oltre. Nell'individuazione dei valori dell'architettura, sia i principi direttamente legati all'autonomia della disciplina, che quelli dipendenti dal contesto esistono tutti non solo al di là del luogo, «atopi camente», ma anche al di là del tempo, «atemporalmente» 32 e contemporaneamente, traendo comunque la propria
zano. non in termini qualitativi. ma strutturali, gli elementi invarianti del progetto architettonico. È da questo tipo di interazione, e non da un'atmosfera evocata retoricamente a priori. che nasce il dialogo tra i caratteri «interni» dell'ar chitettura e quelli «esterni» del contesto.
1 Cfr. L. BEN1;vo1.o, /111mduzio11e all'arc:lritellura, Latcrza, Bari
1966, p. 229; a.e. AtWAN, L'arte moderna, 1770-/790, Sansoni, Fi f renze 1970, p. 6. Sulla natura romantico del classicismo af ermatosi tra il 1750 e il 1790 si ricorda la definizione di «Classicismo roman
tico», introdoua la prima volta da G. Scoli in The Arc:hitecrure </{ Hu ma11ism, London 1914, poi ripresa da Giedion nel suo volume Spiit ba1T1c:ker u11d mmalllisc:her Klassizismus, del 1922, da Fiske Kimball nel saggio Romalllic: Classic:ism in Arc:hitec:ture, in «Gazcue des Beaux-Ans», XXV, 1944, e infine da Hitchcock in Arc:/1ite'-·111re: Ni neteemh a11d Twemieth Cemuries, Penguin Books Ltd, Hannond
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swonh 1958: 2 P. Go1.1>DEKGEK, Post-Moder11ism: a11 /11tmduc:tio11, in «Archi tectural Design» , n. 4, 1977; CH. kNCKS, The La11guage of Post-Mo dem An.:hitec:ture, Academy Editions. London 1978, 2•. 3 M.L. SCAI.VINt, Prima e dopo il Post-Modemism, in «Op. Cit. », n. 48, 1980, p. I O. 4 H.-R. Hm.:HcocK, op. c:it., trad. il. L'arc:hitettura dell'Ottoc:e11to e del Novec:e11w, Einaudi, Torino 1989, p. 12. 5 J. RYKWEKT, / primi moderni Dal c:lassic:o al neoc:lassic:o, Mon dadori, Milano 1994, p. 140. 6 L. P1m::1TA, L'arc:hitettura dell'eclettismo Follli, teorie, modelli 1750-/900, CittàStudi, Milano 1991, p. 55. 7 Cfr. H.-R. Hm.:HcocK, 01>. c:it., trad. il., pp. 135-164; L. PA:mlTA, op. c:it., pp. 142-174. 8 Cfr. P. Co1.1.1Ns, Cha11gi11g /deal.ç in Modern An.:hitec:ture. 1750-/950. Faber & Faber, London 1965; M.L. ScA1.v1N1, La crisi della 've11ustas · e gli inizi del Gothic: Revival, Napoli 1978. 9 L. PMETli\, op. cit., p. IO. IO Cfr. G. Gr:KMANN, La Babele degli stili, in Gothic: Revival in Eumpe and Britain: Soun.:es, 111.fluenc:e.ç and Jdeas, London 1972, ci tato in L. PA:nn-1A, op. cit., p. 397. 11 H.-R. HrrcHcocK e PH. JoNHSON, The lllternatim1al Style: Ar c:hitec:ture sinc:e /922, W.W. Nonon & Company, New York 1932; trad. it. La Stile Internazionale, Zanichelli, Bologna 1982, p. 33. 12 Nell'anicolo The lnternational Style Twemy Years After. ap parso in «Architectural Record» nell'agosto 1951, Hitchcock avrebbe rivisto le proprie posizioni, aggiungendo tra i principi l'anicolazione della struuura e omettendo il riferimento all'ornato, «che è un fatto di gusto piuttosto che di principio».
13 C. 01.Mo, Nel recinto di Ginevra: internazionalismi .<;enza uni versalismi. in «Casabclla», n. 630-63 I. 1996, p. 32. 14 M. HE11>E(òGER, Saggi e discorsi ( 1954). Mursia. Milano 1985,
pp. 102-103. l5 S. G1rn>10N, An:hitec:ture Yt-,u and Me, Cambridge, Mass., p. 145. 16 Ch. NoRDEKG-SCHUD'� Genius Loc:i Paesaggio Ambiente An:hitertura, Electa. Milano 1979, p. 5. 17 M.L. ScAI.VINI, Prima e dopo il Post-Modernism, cii. • p. 7. 18 lvi. pp. 15-16. 19 V. GREC;m..-1, Modificazione, in «Casabella». n. 498-499. 1984, p. 2. 20 C. 01.Mo, op. c:it., p. 28. 21 V. Gr<E(;ur. .-1, Nei nostri cieli privi di idee, in «Casabella». n. 630-63 I • 1996. p. 8. 22 J.-L. CoHEN, Alla ricerca di una pratica critica, in «Casa bella», n. 630-63 I. 1996, pp. 22-24. 23 lvi. p. 26. 24 K. FRAMl'l'ON, Pour un Régionalisme c:ritique et une architec: ture de rési.<;tence, in «Critique». n. 476-477. 1987. 25 111., Anti-tabula rasa: verso un Regio11alismo critico, in «Ca sabella». n. 500. 1984. p. 22. 26 ID., Modem Architecture: a criticai Hi.<;tory, 3" ed. , Thames and Hudson, London 1992; trad. it. Storia dell'architettura moderna, Zanichelli, Bologna 1993. p. 387. 27 Ibidem. 28 Ch. NoRDERG-ScHur.;,� op. cir.• p. 195. 29 V. GREGOITI, Modijicazione, cit.. 1984. p. 5. 3o Ibidem. 31 V. GREaon,. L'an:hitettura dell'ambiente, in «Casabella», n. 482. 1982, p. IO. 32 Cfr. N. AnDAGNANO, Di;:;io11ario di filosofia, UTET. Torino 1964. p. 196. 33 L. SACCHI, Architettura senza topos, in «Op. cit.», n. 70, 1987, p. 12. 34 Q.çwald Mathias Ungers, in «Casabella». n. 630-631, 1996. p. 112.
35 Ibidem.
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Case e studi d'artista GIOVANNA CASSE.,;;E
Una rapida rassegna dei principali esempi di case d'ar tista e di artisti collezionisti sarà utile a definire la tipolo gia del fenomeno, nonché permetterà di ricollegarci a nu merose e diverse questioni della storia dell'arte necessarie ad una reale intelligenza del tema. Tale attraversamento, che tiene in conto delle diverse epoche e dei diversi conte sti geografici e culturali, vuole dimostrare come il rapporto tra l'artista, l'ambiente, la società e il mondo può essere fe licemente ridotto al problema della casa. Dunque lo spazio dell'artista come immagine del mondo.
Case, collezioni e studi di artisti.
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Le case d'artista, i loro studi e/o le loro collezioni sono esse stesse opere d'arte complesse e totali, espressione della sintesi delle arti, sia quando sono momenti di auto promozione e autocelebrazione, che luoghi della massima segretezza e intimità, inviolabili rifugi rispetto ad una so cietà considerata estranea e nemica. La casa d'artista è ben delineata da Settis: Proiettando sulla forma e decorazione della casa un 'immagine di sé che corrisponda al proprio successo e alle proprie am bizioni, l'artista può compiere - come in un autoritratto, come in un'autobiografia, o in un trattato sul-
rica di significato questa analogia fra casa dell'anima e paesaggio, proprio pensando alla case dell'anima di molti paesaggisti tra '800 e '900. Dunque casa d'artista è altra cosa rispetto alla semplice collezione perché prevede la vo lontà di trasfigurare tutto lo spazio esistenziale secondo criteri estetici ed esigenze sociali precise. Nell'ambito di tale progetto complessivo può o meno essere prevista un'interazione con opere di altri artisti. Una collezione, in vece, sebbene sia un importante indicatore di gusto e di poetica, non necessariamente connota lo spazio dell'arti sta. Il tema rientra certo nella più generale storia della casa, dell'architettura d'interni, dell'arredamento e delle arti co siddette minori o decorative e del design. Ma la casa d'ar tista se è un luogo speciale, dal punto di vista culturale, non lo è e non lo è stato necessariamente nel senso della ti pologia e dello stile. Anzi, per questo specifico motivo la storia dell'architettura non le ha dedicato mai particolare attenzione anche nei secoli addietro, con poche eccezioni, come quella del Filarete, che nel suo Trattato di Architet tura mise a punto sia pure in forma retorico-erudita e utopico-fittizia, il primo progetto di decorazione per una casa d'artista•o. Ne avevano fatto cenno tra l'altro, nella stessa epoca, Francesco di Giorgio Martini, Leon Battista Alberti e Leonardo11. Cosicché dal punto di vista architettonico si può definire sostanzialmente un genere misto 12 • Nel primo libro sulle case degli architetti di Ro bert Winkler del 195513 si analizzavano una serie di sin gole case, come un catalogo. Un recente volume illustra le case di trenta tra i più famosi architetti contemporanei vi venti, da Frank Gehry a Richard Meyer, da Ettore Sottsass a Gae Aulenti , da Arata lsozaki a Ricardo Bofill. L'autrice si avvale di un ricco apparato di foto per documentare que ste case e nella breve introduzione, sottolinea la differenza tra quella che solo gli inglesi rendono bene con due parole, home ami house. Ella vuole comprendere come ogni ar chitetto ha trasformato una house in una home ed è 38 convinta che quelle dimore siano profondamente rivelatrici
alla nascita della casa-atelier come unico spazio di vita e lavoro dal XV secolo al XIX secolo e poi al progressivo scorporo di questi due luoghi nel XX secolo. La rivendica zione di liberalità delle arti e di autonomia dell'artista come figura intellettuale è alla base dei fenomeni in que stione È, infatti, importante prendere in considerazione la sua lenta e definitiva evoluzione da artigiano ad artista per seguire l'organizzazione del suo lavoro dalla bouega all'a telier. La casa d'artista e/o la sua collezione si possono considerare tra gli indici principali per esplorare e verifi care il suo status sociale nelle sue costanti e nelle sue variazioni 18, anche se una lettura sociologica, a mio av viso, certo non esaurisce l'interpretazione della vicenda. Non è un caso che in Italia nell'età dell'Umanesimo, dove disponiamo del più ricco materiale documentario, il passaggio dalla semplice bottega-abitazione alla più ambiziosa tipologia della casa d'artista può essere rico nosciuta nel modo migliore19. Nel Quattrocento e nel Cinquecento le case d'artista non seguono regole precise. Infatti, se alcune sono estensioni della bottega, già un pic colo numero di artefici ricchi e dallo stato sociale consoli dato trasformarono la loro casa in palazzo. Mantegna e poi Giulio Romano furono due artisti collezionisti a Mantova che con coscienza misero su una vera casa d'artista. Per loro la collezione e la casa furono al tempo stesso momenti di autopromozione sociale e culturale, archetipi per la loro ricerca e strumenti di competizione con il potere della corte. Come per Ghiberti, Mantegna, Alessandro V ittoria, Pompeo Leoni e molti altri la collezione da strumento di dattico con l'Umanesimo acquista anche un valore anti quario, estetico ed economico. Già dal XVI secolo, con il diffondersi del Manierismo, cominciamo a trovare la dop pia tipologia di casa-rifugio o di casa-manifesto. Mentre Michelangelo o Pontormo non vollero una dimora spe ciale, anzi le loro furono più che altro un austero luogo di
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pensiero, Vasari caratterizzò fortemente i sui ambienti, e li arricchì di collezioni, così come poi Zuccari e Bernini. Anche Tintoretto e Tiziano furono collezionisti, ma le case dei
colo non mancano esempi di luoghi speciali, che non con tenevano collezioni ma esaltavano e isolavano special mente la vita e l'opera del singolo artefice che l'aveva creata. Il primo esempio in tal senso è la Quillfa del Sordo di Goya, sulle cui pareti realizzò l'enigmatico ed inquie tante ciclo delle Pinturas negras, oggi al Prado. Cosl, per Caspar David Friederich la casa fu una celta chiusa al mondo o il tempio della religione estetica del Romanti cismo25, come la definl Gohr nel 1818. Di queste case-ri fugio è assai più difficile reperire testimonianze perché sono le prime a sparire quando scompare l'artista. Sul fronte delle dimore ufficiali, invece, l'abitazione di Soane, costituisce non soltanto il piccolo capolavoro dei musei privati neoclassici britannici26, ma il prototipo della casa d'artista e dell'artista collezionista ad un tempo all'inizio dell'età che stiamo analizzando, con dipinti ed oggetti di grande varietà e qualità, scelti secondo il gusto raftinato e funzionale dell'architetto che volle «scrivere» la sua inter pretazione delta storia. La casa, improntata alla cultura del l'erudizione e al gusto del pittoresco, e la collezione rac colta quale intellettuale del Gran Tour, sono la summa del suo lavoro e della sua età, monumento della vita artistica inglese ad uso dei suoi studenti· di architettura27. La sua abitazione a Lincoln Field, fu per lui tanto un mezzo per affermare la propria identità di artista quanto uno stru mento di propaganda28. Nel XIX secolo la casa e la col lezione non sono più soltanto il simbolo dell'autopromo zione sociale. Thorwaldsen, Canova e Soane nei loro musei e mausolei, perfettamente organizzati in vita, of frirono ai posteri le coordinate di una recezione preor dinata e guidata29. Bisogna, infatti, tenere in considera zione il rapporto osmotico che a questo punto viene a crearsi tra case d'artista e museo. Il modello museale della casa-museo e/o del museo-casa ha avuto proprio nei de cenni centrali dell'Ottocento la sua grande fortuna nella cultura collezionistica alto-borghese fino all'ul timo quarto del secolo30. Ed ha continuato ad avere 42 grande e duraturo successo negli Stati Unili, diventando li-
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Per gli artisti ricchi e famosi dell'Ottocento era la norma farsi costruire o comprare case o ville in città e in campagna. dove esporre anche la loro collezione. Ricor diamo in Europa Alma Tadema, Lord Leighton. Piloty. Kart May. Gérome, Meissonier. Rosa Bonheur, von Stuck, Lembach e Makart. o a New York William Merrit Chase. I loro spazi divennero un potente simbolo di successo, luoghi per mostrare la propria raffinatezza e ad un tempo santuari per esporre il meglio da comprare33 . Molti furono gli artisti collezionisti nell'800 perché, come per Edmond de Goncourt, il collezionare sembrava un allo creativo in se stesso. Egli dedicò a questo tema una opera in due volumi. emblematicamente intitolata La Maiso11 d'un 'artiste34, sulla sua collezione personale. improntata anche alle idee estetiche di Thèophile Gautier, ovvero casa come rifugio per anime delicate. Il baricentro della col lezione dei de Goncourt era costituito da oggetti del Settecento e dell'Estremo Oriente, soprattutto giappo nesi, nonché da moltissimi e vari altri tipi di oggetti. cose di ogni genere.-essendo Edmond affetto da quella mala die bricbracante che suole vedere anche negli oggetti più banali preziose reliquie del temps retrouvé35_ Bisogna inoltre sottolineare che l'opera di Edmond de Goncourt era particolarmente conosciuta. non solo in Francia. ma anche in tutta Italia ed ebbe grande influenza sul gusto degli arti sti. Alcuni artisti deliberatamente misero su collezioni con un entusiasmo professionale36. A Parigi. alcuni pit tori di fama e inseriti nell'ambiente accademico costrui rono grandi raccolte. come quella del pittore Bonnat con fluiti nel museo Bonnat di Bayonne e in parte al Louvre. Scialla ha notato che la collezione dei disegni di Léon Bonnat si ricollegava idealmente alle grandi raccolte dei collezionisti artisti del passato come Vasari, Ma ratta, Lely, Reynolds, che attraverso la raccolta di dise gni dei grandi artisti desideravano documentare e con servare gli esempi delle varie maniere37. Ed ebbero que sta passione non solo i pittori ufficiali. Degas fu uno degli ultimi grandi artisti che formarono una collezione; e fu
circuito» tra il momento del fare e quello del musealiz zare. Verso la fine del secolo scorso la casa dell'artista si ca ricò di un risvolto estetizzante, e gli ambienti sembravano avvolti in una malinconica atmosfera di caducità. Sicura mente, la villa di Wagner a Bayreuth ebbe un forte influsso sull'ideologia della villa «fin de siècle». Molti, moltissimi artisti vissero in Europa in ville e villini. Parigi, capitale dell'arte nell'ultimo venticinquennio del secolo contava centinaia di case e studi di artisti, dalle soffitte dei più poveri ed emarginati alle ville principesche, cosl come emerge dall'ultimo libro di Milner43. Vi si tra sferivano artisti da ogni dove, a cominciare dagli italiani, come De Nittis e poi Soldini, che ebbe anch'egli una resi denza di tutto rispetto nella capitale francese44 • Già l'ate lier di Delacroix, dove il pittore visse dal 1857 alla morte nel 1863, oggi anch'esso trasfonnato in museo, può consi derarsi un prototipo continuando ad essere uno dei luoghi più affascinanti del vecchio quartiere Saint-Germain des-Pres45. La dimora di Meissonier fu insuperata, la più sostanziale e spettacolare a Parigi46. Infatti ebbe a scri vere: l'artista dovrebbe stare nel suo studio dove è il re47 . Ebbero case e studi particolari non solo gli artisti uf ficiali, e già lo studio di Manet, aperto al pubblico nel 1876, si poteva considerare i I centro della vita artistica pa rigina. Inoltre anche gli Impressionisti, appena potettero, misero su delle vere e proprie case d'artista, a cominciare da Monet con la sua famosa villa e lo splendido giardino di Givemy e da Renoir con la villa circondata dal grande parco. Altri, come Gustave Moreau decorarono e arreda rono in modo del tutto personale la loro casa, trasformata nel luogo per antonomasia dove sacralizzare e musealiz zare la propria produzione artistica. Moreau trasformò per sonalmente la sua casa e il suo atelier in museo, che si aprl dopo la sua morte nel 1903, come primo museo privato di Francia48 • Chiaramente tutti i simbolisti dedicarono grande importanza alla propria casa, dove potevano trasporre, e 46
farsi circondare dal loro mondo simbolico, ritrascrivendo
spazi del passato. Per esempio, la Casa rossa di William Morris53 fu un luogo di incontro importante per tutti i suoi amici ed intluenzò molte residenze in Europa e in Ame rica, come quella di Goodwinper Wistler in Titc Street a Londra, quella di Knopff a Bruxelles, lo studio di Saarincn in Finlandia e la casa di F. L. Wright ad Oak Park negli USA. Tutte erano concepite come simboli di ri-orienta mento dell'arte in generale. In area germanicaS4, a Vienna particolarmente emblematica fu quella dell'artista e colle zionista Hans Makart, ben presto considerato principe delle arti. Una sorta di horror vacui lo spinse a riempire e rivestire ogni spazio. L'inventario di vendita del 1885 può rappresentare quello di un museo con oggetti da tulle le parti della terra. L'eclettismo e l'immensa varietà di arti minori furono caratteristiche comune agli artisti collezioni sti di questa età. A Monaco, Franz von Stuck progettò la sua villa monumentale con giardino in uno stile neoclas sico, ma dai toni carichi di simbolismo e stilizzazioni orientalizzanti, tutta rivolta al XX secolo e in quel luogo esercitò grande intluenza sulla Secessione viennese. Certa mente fu importante per Stuck vedere la casa di van de Velde, infatti nella sua dimora è con spirito già Art Noveau che ripropone archetipi dell'antichità classica e neoclas sicass_ Anche per Stuck gli oggetti di arte decorativa erano importantissimi e non a caso lui e la sua villa giocarono un ruolo di fondamentale rilievo per l'architettura coeva e successiva, infatti Gropius, Olbrich, Kandinsky videro in sieme a molti altri Villa Stuck. Il neo-barocco costituì, in vece, l'archetipo essenziale, ·per la organizzazione degli spazi del ritrattista di successo von Lembach che affermò la mia villa diventerà un centro delle arti e dei rapporti sociali a Monaco56. Seppure l'Italia viveva una situazione complessa e per molti aspetti ancora troppo poco conosciuta nell'800 e nel primo '900, emerge con sempre maggiore chiarezza che gli artisti italiani non vissero affatto una realtà regionale, troppo frequentemente considerata periferica tout court, 48 ma al contrario, continuarono ad avere intensi e frequenti
tipica dello Jugendstil. Dunque la casa d'artista come spa zio con specifiche· caratteristiche architettoniche diventò un po' ovunque da questi anni anche un tema del dibattito degli architetti. Nel XX secolo, con alcuni casi premoni tori, muta profondamente il rapporto tra l'artista, la storia, e la storia dell'arte. È in questa nuova ottica che vanno considerate le case e gli atelier di molti artisti del movi mento moderno, che pur sentendo forte l'esigenza di per sonalizzare, progettare ed arredare il loro spazio vitale, non usarono più gli stili del passato, non ebbero grandi ville con giardini, ma spazi più modesti, funzionali e im prontati a nuovi canoni di razionalità. A questo tipo pos sono essere accostate le case di Arnold Boecklin e Her mann Haller a Zurigo e la casa di Ernest Ludwig Kirchner a Davos60, o la casa - studio di Le Corbusier per Ozenfanl a Parigi, che lo stesso pittore definì pratica6 1, o, ancora le case di Max Bill a Hoengg e a Zumikon. Il ritorno alla sobrietà culmina nel Bauhaus62• Infatti vennero proget tate ed eseguite delle rigorose abitazioni razionalistiche da Gropius a Dessau per gli artisti-docenti di cui rimane solo una preziosa foto di Lucia Moholy. Sappiamo che si tro vavano un po' in disparte e costituivano un villaggio arti stico a se stante con precise caratteristiche tipologiche6:\ Lo studio, o gli interni de11'abitazione continuarono ad essere, seppure trasfigurati, il soggetto prediletto di tanti dipinti d'avanguardia a cominciare, per esempio, dal noto
L'atelier di Picasso recentemente esposto presso la Peggy Guggenheim di Venezia64. Nel nostro secolo la maggior parte degli artisti colle zionano poco, e se alcuni hanno collezioni minori sep pure invidiabili, pochi o forse nessuno, mostra la pas sione per acquisire il lavoro di altri artisti che ebbero invece ancora gli impressionisti, i cubisti e Matisse. Ciò è dovuto al fatto che l'arte è diventata in parte più cara e in parte senza dubbio al fatto che gli artisti son meno sensibili agli stimoli dei loro colleghi6S. Anche i libri 50
sono meno presenti nelle case degli artisti, ora mancano le
verso l'obiettivo di qualche fotografo che ebbe il privilegio di violare quei segreti offrendoci la possibilità di entrare in quei mondi di fantasie solitarie e sofferte. Dello studio di Morandi ci restano le splendide ed eloquenti foto di Ghirri, a testimonianza di uno spazio poi riassettato nell'omonimo museo di Bologna69• Propensione all'isolamento hanno avuto due grandi pittori contemporanei come Bacon e Balthus, di contro per esempio la factory di Wahrol a NewYork divenne un punto focale per un'intera genera zione non solo per l'arte prodotta, ma anche per uno stile e un'attitudine verso la vita7o. La fotografia ha co
stituito e costituisce comunque uno strumento indispensa bile per farci vedere in termini ancora una volla non solo documentari gli artisti al lavoro. Alcuni. fotografi, anzi, ne hanno fatlo il loro soggetto preferito, come ad esempio Ugo Mulas. Dopo la II Guerra Mondiale il nuovo ro
manticismo incarnato dall'Espressionismo astratto e
dall'action painting, con la loro pronunciata enfasi sul
ruolo dell'artista ((sciamano» risvegliò l'interesse per i misteri dello studio, seppure con una differenza. La fil mografia e la fotografia avevano allora assunto il potere di avvicinare il pubblico all'artista e al suo mondo. Di conseguenza non è più possibile visitare lo studio di Jack.son Pollock at the springs in Long Island, poiché la macchina da presa di Hans Namuth, molto più sensi bile ed informata dei nostri poveri sensi, ci permette di spiare l'artista senza l'imbarazzo di sentirci quasi degli intrusi nel suo santuario. Lo studio dell'artista viene così reso democratico senza per questo perdere alcun ché dell'atmosfera di santità che lo caratterizza 71• Oggi,
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per le infinite possibilità offerte dalla rete telematica è pos sibile pensare ad un ingresso ancor più silenzioso in tempo reale negli spazi della produzione e deJla vita artistica. Ci sono stati artisti nel nostro secolo che hanno con centrata tutla la loro attività in una sola stanza, unico cao tico ed imprescindibile luogo della creazione, altri che sono stati capaci di lavorare dovunque, anche nelle situazioni più precarie come una stanza d'albergo. A New York
gletti quartieri industriali75. Nelle grandi metropoli la sempre maggiore difficoltà di reperire spazi abitativi e la vorativi con caratteristiche adeguate alle mutate esigenze espressive ha spostato gli artisti verso le periferie. Il feno meno risale già alla fine dell'800. E più tardi gli esempi di. New York, dell'incidenza che gli artisti hanno avuto in quartieri come Soho e Tribeca sono già notissimi. Il nuovo sogno di spazi enormi ha reso del tutlo più semplice tro vare una soluzione e poiché la luce naturale non è più con siderata un requisito, molti artisti lavorano in ambienti senza finestre e senza riguardo alla luce del giorno o della notte. Più che luoghi magici della creazione, le nuove poe tiche di demistificazione, massificazione e riproduzione seriale tipiche degli anni '60 hanno teso a modificare for temente lo spazio dell'artista nel senso di luogo della pro duzione più che della creazione, avvicinandolo sempre di più, ma solo apparentemente, alla produzione industriale. lafactory di Warhol è ancora un esempio in tal senso. Un nuovo ritorno alla pittura e a tecniche più tradizio nali ha significato dagli anni '80 anche in parte il ritorno al lavoro in uno spazio lavorativo ed esistenziale di carattere più tradizionale. D'altra parte le possibilità offerte alle arti visive dall'uso della tecnologia e dell'informatizzazione conduce verso una vera e propria smaterializzazione degli spazi della creazione, laddove, per esempio, questo si va a configurare con il computer vero e proprio che diventa un nuovo scrigno di poetiche e di artisticità, nuovo mezzo al servizio delle arti figurative dalle molteplici possibilità co municative. Infine ciò che appare certo è che alla fine del secolo, in questo stanco e rutilante revival di poetiche, non possono che convivere tipologie completamente diverse di stanze della fantasia. Ma il fatto che oggi sia così difficile indivi duare e leggere lo spazio dell'artista, se nel tessuto urbano sono quasi irriconoscibili e non conoscibili i luoghi del suo lavoro, disseminati un po' ovunque e forse in nessun luogo, costituisce la metafora dello spazio dai labili confini che la 54 società contemporanea destina all'arte e all'artista.
30 A. Munrn.A Mm.FIN<>, 011. c:it.• p. 95. Cfr. pure Dalla c:asa al m11.wm: capolavori da .fmula.:ioni artistiche iralimie, catalogo della
mostra. a cura di A. Mouola Molfino, Milano 1982. 31 Sul rapporto tra artisti e museo cfr. il capitolo Copysr tradi tion and m11se11m in R.L. ZI\KON, 011. c:it. Cleveland 1978: F. HI\SKE1.1.• The ilrti.ft and the museum, in «the New York Review of Books», n. 34, dicembre 1987, pp. 38-42; 81.M:KWEI.I. C., Dubious relatiom: ar tist and museums, in «Women Artist News». n. 12, pp. 26, febbraio 1987; J. Milner, The studios o.f Paris. the capirai<�{ art in the late 11i netee11th cemury, New Haven London 1988, in particolare il cap. The Louvre, pp. 25 e sgg. 32 M. PEPl't,w, A. BEt.l.<>NY REWI\I.O, op. c:it., p. 73. Il capitolo con tiene un interessante corredo iconografico sugli interni di queste case-studi-museo. 33 Ibidem. 34 F. DE GoNCoURT, La Mai.w11 d'un artisre, Parigi ( 1881). in 2 voli. Parigi 1898. 35 E. HtrlTIN<ìER, op. c:it., p. 21. n. 61. 36 J. MII.NER, op. c:it., p. 70. 37 G.C. Sc101.1.I\, Leon Bm11iat , in 011. c:it., p. 219. 38 J. Mn.NER, op. c:it., p. 70. Cfr. pure Degas as collector. Parigi 1996. 39 J. Mn.NER, op. c:it., p. 70-71. 40 M. PEPl'tll:IT, A. BEI.I.ONY REWAI.I>, op. c:it, p. 78. 41 E. HlIITINGER, op. cit., p. 18. 42 Case d'artisti. Compenetrare arte e vita: un ideale d(ffu.w tra fine '800 e inizio '900, numero monografico di «Ricerche di Storia dell'arte». n. 36. 1988. 43 Per una ricostruzione puntuale dell'ambiente artistico parigino si veda J. Mn.NER, The Studios o.f Paris ..., cit. 44 Cfr. lvi. p. 181 e passim. 45 Cfr. M. Pm'l•t11:rr. A. Brn.1.0NY R1iwl\1.n, op. c:it., p. 78. 46 J. Mn.NER, op. c:it, p. 174. 47 R.L. ZI\KON, op. cit. Cleveland 1978, p. 15. 48 Cfr. G. LI\CI\MDRE, Maismi d'artiste, mai.wn-musèe. L'exem ple de Gustave Moreau, Parigi. 1987. 49 Cfr. M. Dt CI\PUI\, La casa decorata di Paul Sérusier, in «Ri cerche di storia dell'arte» n. 36. 1988. p. 18. 50 G. WA1.K1.nv, Artists Houses bi London 1764-/9/4, Londra 1993. 51 A. PEPl'tll:r, A. Bi;u_ONY REWAt J>, op. c:it, p. 80. 52 Oltre ai testi citati alla nota precedente cfr. specificamente S. JoN1�-.. Lord Leigton 's palac:e o.f art, in «The Magazine antique». n. 135, giugno 1989, pp. 146-175. 53 Cfr. E. LI\MDERT, Histnric: house.f: William Morris' Red Hou.ve in Kem, in «Architectural Digest», n. 46, aprile 1989, pp. 126 e sgg. 54 Cfr. C. HoH-S1.01X:-/.YK, Da.f Haus des Kuenstlers im /9. Jahrhunder; Monaco 1985. 55 Sulla casa di von Stuck, cfr pure L. Qu11:1-rRocc111, Artisti come
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an:hitetti: Knop_ff a Bruxelles, v011 Stuck a Monaco, Bìlek a Praga, in «Ricerche di Storia dell'arte», n. 26, 1988, pp. 4-16. Sulle case Lem bach e Von Stuk cfr. U. Ku1:n:KMAN, La casa del artista como image11 del munda: La casa Lembach y villa Stuck e11 Munich, in «Goya», nn. 229-230, pp. 8-17, ottobre 1992. 56 M. S<.:HNOl.1.EK, / pirrori princ:ipi dell'0111oce111i: /'atelier di Hans Makarr a Vienna Villa Lembach e Villa Stuck a monaco di Ba viera, in E. HtIITIN <òEK, op. c:it., p. 194. 57 R. Hrn.1.1:NSTEIN, Le case atelier di Arnold Boeklin e Herma1111 Hal/er a Zurigo, la casa di Emest Ludwig Kirchner a Davos. ivi, p.
207.
58 Cfr. G. LMòANA, a cura di, Cherles Rennie Mackintosch 1868/928, Milano 1988, pp. 123-125 e 134-135. 59 Cfr. C. NoK01:1w-S<.:Hu1.z, Casa Beherens, Darmstadt, trad. it.,
Roma 1986. 60 Cfr. R. Hrn.1.ENSTEIN, op. c:it., pp. 207-223. 6I La ca.m-studio di Le Corbusier per Ozenfa,11 a Parigi, in HtirTIN<a,R, op. CÌI., p. 236. 62 E. HurnN<òEK, op. c:it., p. 22. 63 Ibidem e n. 66. 64 Pablo Pica.ç,w L'atelier. cat. della mostra con saggi di F. Licht e D. Aschton, Peggy Guggenheim Collection, Venezia 1996. 65 M. PEPl'IAIT, A. B1:1.1.0Nv R1:w11.1.1,, op. cii., p. 219. 66 E. HtirnNOER, op. c:it. p. 42. 67 M. P1:1•1'1Arr, A. B1:1.1.pNv R1:w11.1.1>, op. c:il., p. 201. 68
lvi, p. 202.
75
lvi, p. 13.
69 L. GH1uu1, L'atelier Morandi, con un saggio di G. Mcssori, Bari 1992; C. Zu<.:<.:HINI, Lo studio di Giorgio Morandi, in// Museo Morand_i, Bologna 1990. 70 M. PEl'l'IAIT, A. BEt.l.ONY REWAIJ>, op. cii., p. 202. 71 F. L1cHT, op. cii, pp. 44-45. 72 M. Pm•1•1A1T, A. BEI.I.ONY REWAIJ>, op. c:it., p. 206. 73 lvi, p. 208. 74 R. K1MME1., fil Artist.r' Homes, New York 1993.
57