Op. cit., 102, maggio 1998

Page 1


Op.cit.

rivista quadrimestrale di selezione della critica d'arte contemporanea

Direttore: Renato De Fusco Redattori: Roberta Amirante, Alessandro Castagnaro, Alessandra de Martini, Marina Montuori, Livio Sacchi Segretaria di redazione: Saia Graus Ventrella Redazione: 80123 Napoli, Via Vincenzo Padula, 2 - Tel. 7690783 Amministrazione: 80122 Napoli, Via Francesco Caracciolo, 13 - Tel. 7614682 Un fascicolo separato L. 8.000 (compresa IVA) - Estero L. 9.000 Abbonamento annuale: Italia L. 20.000 - Estero L. 24.000 Un fascicolo arretrato L. 10.000 - Estero L. 11.000 Spedizione in abbonamento postale - 50o/o C/C/P n. 24514804

Electa Napoli


R. Losrro,

I.

L.

FORINO, PAGANO,

Architettura tra esperienze e aspettative Interno e interioritĂ L'arte contemporanea e i suoi scenari Libri, riviste e mostre

5 18 28 37

Alla redazione di questo numero hanno collaborato: Alessandro Casta­ gnaro, Alessandra de Martini, Rosa Maria Giusto, Fabio Mangone, An­ tonella Mastrorilli, Massimiliano Savorra, Maurizia Torza.


La rivista si avvale del contributo economico dei seguenti Istituti e Aziende:

Alessi Camera di Commercio di Napoli Driade



cedenti, in quanto viene conosciuta non

ex post, ma diret­

tamente, nel suo farsi, e di una nuova categoria temporale, il «progresso» - che riconduce a un unico concetto la dif­ ferenza tra il tempo finora passato e il futuro che deve ancora venire4

-

legato alla volontà degli uomini e alla

loro pianificazione, diventa necessario sviluppare metodi peculiari che consentano di riconoscere l'identità delle dif­ ferenti dimensioni temporali. La storia in quanto disci­ plina moderna sorge là dove la frattura della tradizione ha disgiunto qualitativamente passato e futuro. [ ... ] Da questo momento è possibile che la verità della storia si trasformi con il trasformarsi del tempo o, più esatta­ mente, che la verità storica possa essere di volta in volta superata. Da questo momento è compito del metodo storico definire un punto di vista dal quale possono es­ sere espressi giudizi. Da questo momento il testimone oculare non è più il testimone autentico di un avveni­ mento, ma deve viceversa essere interrogato in base alla prospettiva via via più avanzata in cui è immerso il pas­ sato�. Aspetti diversi del tempo storico sono gli «eventi», ca­ ratterizzati dalla successione di un prima e di un poi, e le «strutture» di lunga durata (intese soprattutto come forme istituzionali, forze produttive, sistemi politici o giuridici), la cui caratteristica temporale è la ripetizione. Eventi e strutture hanno dunque, nel corso del movimento sto­ rico, diverse estensioni temporali, che devono essere in­ dagate separatamente dalla scienza storica. Normal­ mente l'esposizione di strutture si avvicina di più alla descrizione, quella degli eventi alla narrazione. Ma sa­ rebbe istituire false preferenze se si volesse fissare la storia all'uno o all'altro di questi modi di esposizione6. Nella ricerca di strumenti pertinenti l'indagine storica, Koselleck denuncia il superamento definitivo dell'alterna­ tiva tra «linearità» e «circolarità» per la classificazione dei tempi storici, nonché degli stessi concetti di «età moderna» e di «progresso», insufficiente, quest'ultimo, a spiegare le 6

strutture che perdurano e si ripetono nel tempo.


L'esigenza di indagare la storia attraverso criteri che, sebbene di differente natura, attingano ad essa, rappresenta un problema tuttora irrisolto per l'architettura. In un campo dominato ormai dal progressivo ampliamento delle possibi­ lità tecnologiche e dal sovrapporsi di interferenze burocra­ tiche, politiche, sociali, il dibattito disciplinare e la sua sto­ riografia hanno assunto un orientamento del tutto diverso da quello indicato dalla tradizione. Già nel 1960 Benevolo avverte l'esigenza di un adeguamento dell'attività storio­ grafica al proprio oggetto di studio: Quando si ragiona sull'architettura moderna, si deve tener conto ch'essa con1porta non solo un nuovo repertorio di forme, ma un nuovo modo di pensare, di cui ancora non sono state calcolate tutte le conseguenze. È probabile che le nostre abitudini mentali e la nostra terminologia siano più an­ tiquate dell'oggetto di cui si parla. Sembra consiglia­ bile, dunque, non sforzarsi di far rientrare l'argomento negli schemi metodologici correnti, ma cercare di adat­ tare la metodologia all'argomento, e tentar di cogliere nel movimento moderno stesso le indicazioni storiogra­ fiche che virtualmente contiene. I rischi di questo tenta­ tivo sembrano compensati dalla probabilità di pene­ trare meglio il senso degli avvenimenti7. In realtà, tuttora accade molto raramente, in campo di­ sciplinare, che la «metodologia si adatti all'argomento» in maniera analoga a come la cronologia avrebbe dovuto fare con la storia, o che i principi di «selezione» storiografica siano guidati prevalentemente dall'intento di «penetrare meglio il senso dell'evento architettonico». Troppi inte­ ressi sono coinvolti. Il consumo di massa, estrema conse­ guenza del processo di industrializzazione e di evoluzione tecnologica, ha imposto la quantità architettonica come og­ getto di studio, prima ancora della qualità. Da una parte, l'intera problematica architettonica è stata ipostatizzata e relegata in un ambito elitario che ha prodotto il cosiddetto star-system, dall'altra è stata talmente banalizzata da deter­ minare inevitabili effetti di omologazione e appiattimento fino alla più bieca speculazione.

7


8

Tullo ciò ha provocato una totale anarchia dei criteri di indagine della storia dell'architettura contemporanea, che è ancora, come ha sostenuto Carlo Olmo, alla fine di questo secolo, una storia di exempla e di testimonianze, una storia di architetture che si vorrebbero sottratte alla produzione di massa ed insieme si propongono come modelli da imitareii _ La rapida diffusione e la riproducibi­ lità di immagini tratte da modelli e a loro volta traducibili in altri modelli per diventare simboli consentono quella so­ vrapposizione dell'evento architettonico con le relative «strutture» che risulta irrealizzabile nel campo storico-sto­ riogralico. Infatti, sottolinea Koselleck, gli eventi non pos­ sono mai essere spiegati in misura sufficiente mediante le strutture che presuppongono, così come le strutture non possono essere illustrate soltanto attraverso gli eventi. Tra i due livelli c'è un'aporia gnoseologica, co­ sicché non è mai possibile ricondurre l'uno all'altro''. Tuttavia, anche in architettura, la dicotomia non è sintetiz­ zabile, in quanto la struttura, intesa come codice lingui­ stico, non esaurisce certo e soprattutto non identifica l'uni­ cità dell'evento, del singolo manufatto. E ancora, si po­ trebbe aggiungere: la tipologia, che propone una serie di caratteri invarianti - strutturali appunto - ricorrenti e de­ ducibili dall'esperienza storica, non può cogliere l'indivi­ dualità e la specificità della morfologia, intesa come suc­ cessione di avvenimenti espressi in un concreto storico volta a volta definito w. Una critica che debba esprimersi su pratiche proget­ tuali obbligate ad interagire prevalentemente con il mer­ cato, il consumo, la serie, è certo meno legata di un tempo ad obblighi etico-ideologici imposti da orientamenti o ten­ denze, e, coinvolta maggiormente nel proprio ruolo mass­ mediologico, oscilla tra atteggiamenti di coinvolgimento e denunzia, di contaminazione e disillusione. La legittima­ zione di un'opera, nel corso del processo realizzativo a partire dalla fase di progetto, diventa spesso un'operazione pubblicitaria soggetta alle regole della comunicazione di massa e del mercato internazionale di diffusione delle im-


magini. Esempio eclatante di tale fenomeno è l'effetto di risonanza propagatosi intorno al museo Guggenheim di Gehry a Bilbao, che ha attirato turisti e "curiosi" nella città prima ancora di essere ultimato, a prescindere dai suoi stessi contenuti. Dunque, l'impostazione della ricerca storiografica è un problema aperto e ben lontano dall'essere risolto. Il rap­ porto tra il progetto architettonico e la sua destinazione d'uso, quello tra la produzione dell'immagine e la sua frui­ zione, il valore economico del manufatto, determinalo da altri fallori politici e sociali che ne sanciscono anche la «durata», il coinvolgimento di molte altre figure professio­ nali che concorrono in anonimato alla paternità architetto­ nica, sono alcuni tra i nodi storiografici che si ripresentano oggi in tutta la loro complessità. In alternativa alla funzione «commerciale» che ha pro­ gressivamente assunto negli ultimi decenni, propagan­ dando questo o quell'edilicio, utilizzando prevalentemente criteri di legittimazione dei vari mercati, estranei alla disci­ plina, la critica dovrebbe concentrare la lettura dell'archi­ tettura sul suo specifico - lo spazio - pur considerando nel processo interpretativo le condizioni al contorno - le inter­ ferenze di varia natura, la presenza di personaggi minori ed «anonimi» rispetto ai primi attori - che contribuiscono alla realizzazione del prodotto architettonico. La necessità di inlerdisciplinarietà, di urio scambio con le altre storiografie non implica tuttavia che quella dell'architettura diventi di volta in volta una storia parallela diversa, priva di una pro­ pria identità. In tal modo essa può essere giudicata per i suoi criteri di interpretazione e per la sua capacità di lettura della complessità delle diverse realtà architettoniche, e non in base al soggetto che l'ha determinala . . L'esigenza di un diretto rapporto tra metodologia sto­ riografica e architettura ci riporta alla tesi di Koselleck, che indica come modalità di interpretazione del tempo storico e del suo sviluppo due «categorie antropologiche» e metastoriche - l'ambito di esperienza e l'orizzonte di aspet-

9


10

tativa - osservando che non si compie nessuna azione sto­ rica che non sia fondata sull'esperienza e sull'aspettativa di chi agisce. In questa maniera viene proposta una coppia di categorie con cui viene posta una condizione fonda­ mentale della storia possibile. [ ...] Passato e futuro si intrecciano nella presenzialità di esperienza e di aspet­ tativa• 1, caratterizzate, tuttavia, da una dicotomia sostan­ ziale analoga a quella che si instaura tra il ricordo e la spe­ ranza, tra la fissità di quanto è già avvenuto in passato e la superabilità di quanto presumibilmente ed eventualmente potrà accadere in futuro; ed è proprio tale differenza che impedisce il ripetersi sempre uguale del processo storico. Incontrandosi nel presente, esperienza ed aspettativa deter­ minano una soluzione di continuità: nell'esperienza si im­ magazzina il sapere storico, che non può essere traspo­ sto nell'aspettativa senza una cesura 12• Ma, se le due categorie elaborano, rispettivamente, le dimensioni temporali del passato e del futuro, intreccian­ doli comunque da posizioni staticamente non riferibili l'una all'altra, e se, soprattutto, il loro unico punto di in­ contro rappresenta - nell'oggi - anche l'origine della loro differenza e del loro distacco, allora in quest'ottica il pre­ sente non ha una propria identità riconoscibile temporal­ mente e riveste di volta in volta un significato «gregario», di supporto, ora per il passato ora per il futuro. Infatti, l'e­ sperienza è il passato presente (Gegenwartige Verga1t­ genlieit) di cui gli avvenimenti sono stati incorporati (einverleibt) e possono essere stati restituiti al ricordo 1\ E, d'altra parte, l'attesa relativa al futuro è inclusa nel pre­ sente; è il futuro-reso-presente (Vergegenwartigte Zu­ kunft) rivolto verso il non-ancora. Di fatto Koselleck ri­ duce a due i tempi della storia a scapito del terzo, di quel tempo presente da cui guardiamo al passato con esperienza e al futuro con speranza. Scisso dallo spazio di esperienza e dall'orizzonte di attesa, il presente non solo è indecifra­ bile, ma appare privo di contenuto semantico. Il confronto con la storia, nel suo duplice aspetto temporale «passato-futuro», rappresenta indubbiamente un ca-


raltere costante della cultura architettonica - ora combat­ tuto e controverso, ora conciliante e condiscend :'!nte, quando addirittura non diventa un'operazione strumentale di collage di pezzi eterogenei - e, nello stesso tempo, ne costituisce una delle principali chiavi di lettura. L'«uso» dell'esperienza storica esprime un giudizio e indica una posizione da parte dell'architetto che la individua come pa­ trimonio da interpretare o come metodo per progettare. È appena il caso di ricordare qui le oscillazioni ricor­ renti nelle diverse posizioni assunte dai protagonisti del­ l'architettura moderna e contemporanea rispetto all'«am­ bito dell'esperienza», dalla rielaborazione formale del pas­ sato e dalla sublimazione degli «stili» dell'Art Nouveau, all'intenzione programmatica dei razionalisti e dei futuri­ sti, in realtà non verificabile, di una frattura tra i codici tra­ dizionali e quelli nuovi, fino alle ambiguità espressioniste tra suggestioni primordiali e romantiche e intenzioni utopi­ stiche; dall 'astoricismo dell 'high-tech all'eclettismo revi­ valistico del post-modem. Quel che ci interessa, invece, è puntare l'attenzione proprio sulla possibilità di compre­ senza - o, al contrario, di totale distacco - tra «esperienza» e «aspettativa» nella cultura architettonica. Al riguardo, appare significativa la ricca e contradditto­ ria vicenda degli anni Cinquanta-Sessanta, quando in Eu­ ropa si avvia la ricostruzione post-bellica attraverso lo svi­ luppo indiscriminato, nelle aree periferiche, di una produ­ zione architettonica meramente quantitativa guidata dall'e­ conomia di profitto e si verificano i primi irreversibili danni contro interi ambienti urbani e paesistici. Crollano, di fronte all'impossibilità di realizzarsi, i principi-base del «Movimento moderno», quali l'integrazione tra architet­ tura e urbanistica, la zonizzazione, l'aspirazione a un crite­ rio unitario di metodologia progettuale, la convinzione che da sola l'architettura avrebbe riformato radicalmente la so­ cietà. Nella dichiarata volontà di operare una frattura con il proprio tempo, la cultura architettonica più qualificata parte da quello che viene definito, appunto, come slogan del momento, «il presente contestato», per ispirarsi da un

11


12

lato al recupero del passato, con il polemico intento di su­ perare il presunto astoricismo o antistoricismo del Movi­ mento moderno, dall'altro all'anticipazione del futuro, con ottimistica fiducia nelle nuove tecnologie. Tale binomio [storia-utopia], ispirato alla parados­ sale coesistenza in uno stesso periodo di una spinta re­ trospettiva e di un'altra futuribile, non si tradusse in un codice unitario perché le esperienze architettoniche furono individuali, settoriali, mai istituzionalizzate né a livello sociale, né a quello dei manifesti e programmi dell'avanguardia storica, ed è pertanto stato definito da De Fusco codice virtuale 14• Tuuavia, pur non concretiz­ zandosi in un orientamento omogeneo per le ragioni sud­ dette, l'intenzionalità legata all'utopia e la memoria, come elaborazione personale della storia, sono elementi compre­ senti in molti progelli di questi anni, in particolare, ad esempio, in quelli di Louis Kahn - forse l'unico architetto capace di incarnare entrambi gli alteggiamenti - dalla City Hall di Philadelphia ai Richards Laboratories in Pennsyl­ vania, dai disegni per silos automobilistici sempre a Phila­ delphia all'Istituto Salk in California, lino al Parlamento di Dacca in Bangladesh. Peraltro come la storia cui guardano gli architetti è sempre qualcosa da utilizzare per la progettualità, così l'utopia progettata ha sempre una sua tradizione storica 1\ E siamo dunque nuova­ mente a quella dialettica koselleckiana che non conosce sintesi. Cosicché, accanto al ritorno di moti e accenti tradizio­ nali e regionali cari al cosiddetto New Empirism scandi­ navo, e all'interesse per la tradizione della storia dell'età moderna e per quella «del nuovo», riscontrabile nell'Engli­ shness, ma anche nella cultura italiana neorealista e neoli­ berty degli stessi anni, in cui la componente storica prevale su quella utopica, l'avvento della produzione e della cul­ tura di massa vedono svilupparsi una progettazione a li­ vello intermedio tra architettura e urbanistica, espressione di una poetica della grande dimensione 16 che, resa sotto forma di macrostruttura o town-design, privilegia il dato


tecnologico, il richiamo a nuovi simboli e miti, la dimen­ sione utopistica. Questa, tuttavia, non esclude nemmeno qui quella storica, come dimostra un disegno di Arata Iso­ zaki, collaboratore di Tange per il piano di Tokio proget­ tato in sistemi «midollari», in cui alcuni midolli - pilotis giganti contenenti ascensori, condutture e impianti e soste­ nenti edilici da dieci a venti piani - sono sostituiti da im­ ponenti colonne doriche. La posizione estrema è quella del gruppo inglese Archigram che, ironizzando sulla contem­ poranea macchinolatria, nella ricerca di un'equivalenza tra i mezzi tecnici per l'architettura e per la conquista del cosmo, supera addirittura la linea utopica per porsi su quella fantascientilica. Il progetto di Plug-in City dise­ gnalo da Peter Cook, nella previsione di una durata tempo­ ranea delle strutture abitative e dei servizi urbani, rievoca l'effimero del manifesto di Sant'Elia da una parte, e si in­ serisce nel consumismo della moderna produzione indu­ striale dal!'altra. In questi progetti la fede nella scienza e nella tecnica prevale rispetto a quella nell'architettura, per cui, ad esem­ pio, nella città spaziale o insediameflto tridimensionale di Yona Friedman, concepita sulla base di architetture «mo­ bili», idonee a seguire le trasformazioni strutturali della società, è chiaro che l'architetto sarà eliminato e che nell'urbanistica dell'avvenire egli non avrà più posto. Il solo compito che gli resta attualmente è di sviluppare le tecniche interinali di costruzione, che serviranno da ponte fra le costruzioni classiche (che sono immobili, e che "lasciano delle tracce") ed

i sistemi del futuro, ten­

denti alle scienze astratte 17 • Il pericolo di certi atteggia­

menti tecnolatrici e di una fiducia illimitata nelle poten­ zialità della tecnologia [che] va fianco a fianco con un grado sorprendente di insincerità circa

il futuro del­

l'uomo, viene denunciato comunque già alla fine degli

anni Sessanta da Claude Schnaidt che così critica gli esiti dell'avanguardia «alternativa»: visioni come queste blan­

discono molti architetti: rinvigoriti da tanta tecnologia,

da una simile fiducia nel futuro, essi si sentono rassicu-

13


rati e giustificati nella loro abdicazione politica e so­

ciale111.

Ed è parimenti assai scettico il giudizio - espresso nello

stesso periodo - di Aldo van Eyck, incentrato proprio su

quella dilatazione tra passato e futuro che ha annullato il presente: mi sembra che passato, presente e futuro deb­

bano agire nella mente come un continuum; se ciò non

avviene, la nostra produzione sarà priva di profondità

temporale o di prospettiva associativa [ ... ] Al giorno

d'oggi gli architetti sono dediti in modo patologico ai cambiamenti, considerandoli come qualcosa che o si

ostacola, o si rincorre, o di cui, nel migliore dei casi, si

è all'altezza. Questo, secondo n1e, avviene perché essi tendono a separare il passato dal futuro, col risultato

che il presente è reso emotivamente inaccessibile, senza dimensione temporale. Non mi piace un atteggiamento

sentimentale, da antiquario verso il passato, come non

mi piace un atteggiamento sentimentale, da tecnocrate,

verso il futuro. Entrambi si fondano su una nozione del tempo (che antiquari e tecnocrati hanno in comune) statica, da orologio: partiamo dunque dal passato per cambiare 19•

Negli anni successivi, fino ad oggi, il binomio storia­

utopia, pur conservando un ruolo rilevante nella pratica ar­ chitettonica, si è frantumato irreparabilmente: da una parte,

infatti, l'interesse per la storia si è prima pietrificato nella

pesantezza retorica e monumentale dello storicismo del

post-modem, per poi rifugiarsi nel sentimentalismo verna­

colare di alcune manifestazioni regionaliste più conserva­

trici; dall'altra l'utopia, privilegiando l'aspetto fantastico e

più facilmente pubblicizzabile, ha puntato all'autoafferma­ mass-media, evitando di scontrarsi con la

zione attraverso i

concretezza dei problemi della realtà architettonico-urbani­

stica.

Tradizionalismo-avanguardismo, regionalismo-interna­

zionalismo, passatismo-futurismo, rappresentano le facce 14

opposte di una problematica che rimane insoluta. Espe-

rienza e aspettativa sembrano condannate, come nella tesi


di Koselleck, a intrecciarsi, prevalendo l'una sull'altra a turno, senza mai costituire una sintesi. È come se l'archi­ tettura, più o meno consapevolmente, avesse bisogno di ri­ fugiarsi in una o nell'altra dimensione, per fuggire quella del presente, che dovrebbe esserle propria e che invece ap­ pare irrimediabilmente povera di contenuti. Il divario crescente fra il contenuto dell'esperienza che si va progressivamente restringendo e l'orizzonte di attesa che tende ad allontanarsi rappresenta, secondo Koselleck, la caratteristica principale della nostra epoca; tale scarto accentua la dilatazione del presente come lacerazione, come momento di crisi inteso, secondo Paul Ricoeur, nel duplice senso di tempo di giudizio e di tempo di deci­

sione. [...]

Il

presente è tutt'intero in crisi quando l'at­

tesa si rifugia nell'utopia e quando la tradizione diviene un deposito morto. Di fronte a questa minaccia di fran­

tumazione del presente storico, il compito è quello [... ]

di fare in modo che la tensione tra i due poli del pen­

siero della storia non degeneri in scisma: quindi, da un lato avvicinare al presente le attese puramente utopiche mediante una azione strategica preoccupata dei primi passi da fare in direzione del desiderabile e del ragione­ vole; dall'altro, resistere al restringimento dello spazio di esperienza, liberando le potenzialità inutilizzate del passato 20•

In un momento in cui la cultura architettonica dimostra di non essere in grado di trarre sufficiente esperienza dalla storia né di prospettare delle credibili aspettative, i dati più concreti e reali con cui il progetto architettonico deve con­ frontarsi restano comunque, più che mai, il «luogo» e il «tempo». È la storia, la memoria che la città ha di se stessa che dà unità alle sue varie parti. [ ... ] Lo spazio entro il quale vivremo i prossimi decenni è in gran parte già costruito. Il tema è ora quello di dare senso e futuro attraverso continue modificazioni alla città, al territorio, ai materiali esistenti2 1 •

L'architetto dovrebbe operare. nella vita reale conser­ vando il senso del possibile, prima ancora di quello del fu-

15


turibile. Il futuro infatti non è staccato rispello a noi, non arriva da solo, improvvisamente, ma, come abbiamo visto, si sviluppa in rapporto a ciò che lo precede, attraverso una stratificazione di esperienze. Se si considera l'architet­ tura come processo continuo nel quale tesi e antitesi si integrano dialetticamente, ovvero come processo nel quale la storia è strettamente coinvolta come anticipa­ zione della storia, nel quale il passato abbia lo stesso peso di uno sguardo al futuro, allora il processo di tra­ sformazione non è il solo strumento del progetto, ma è proprio l'oggetto del progetto22•

1 R. KosELLECK, Ln storia sociale moderna e i tempi storici, in La teoria della sroriogrc,fia oggi, a cura di P. Rossi, Il Saggiatore, Mi­ lano 1988, p. 145. 2 lvi, p.146. � Ibidem. 4

lvi, p. 147.

� Ibidem.

lvi,p.152. 7 L. BENEVOLO, Storia dell'arc:hitel/ura moderna, Laterza, Bari I 960, p. 11. M C. OLMO, Se lo storico dell'architellura giungesse a Marmu­ _ç/ra•.• , lezione al corso di Dottorato in Storia e critica dell' Architet­ tura presso l'Università degli Studi di Napoli, maggio1995. '' R. KOSELLECK, op. c:it., pp. 152-153. rn G. CANELLA, Relazioni tra morfologia, tipologia dell'organi­ smo arc:hitel/onico e ambiente fisico, in AA.YY., L'utopia della realtà, Leonardo da Vinci Editrice, Bari1965, p. 69. 11 R. KOSELLECK, op. cit., p. 154. 12 lvi, p. 155. 13 R. KOSELLECK, Vergangene Zukw!ft- Zur Semantik gesc:hic:htli­ cher Zeiten, Suhrkamp, Frankfurt 1979, p. 354. 14 R. DE Fusco, Storia dell'arc:hitettura contempora11ea, 5• ed., Laterza, Bari1996, p. 335. 15 lvi, p. 338. ' 16 lvi, p. 377. 17 Y. FRIEDMAN, Teoria generale della mobilità, in «Casabella», n. 306, 1966. . 18 C. ScHNAIDT. Arc:hitecture and Political Commitment, in «Ulm», n. 19/20,1967; cit. in K. FRAMPTON, Storia dell'arc:hitettura moderna, 3• ed.• Zanichelli, Bologna 1993, p. 339. 6

16


19 Cii. in K. FRAMPTON, op. c:it., p. 352. 2" P. RICOEUR, Tempo e Rm:conto. Volume 3. Il tempo rC1ccrmtato, Jaca Book. Milano 1988. rist. 1994. pp. 357-358. 21 B . SECCHI, Le condizioni sono cambime, in «Casabella», n. 498/499, 1984. 22 Si veda il principio della trasfonnazione teorizzato da Ungers e citato in K. FRAMIYl"ON. op. dr.. pp. 350-351.

17




pagna il cammino, la renderà infine percepibile allo sguardo dei posteri mediante i ritrovamenti archeologici prima, le rappresentazioni figurative poi. È noto inoltre che fra i vari istinti dell'interiorità, vi sia quello di crearsi un tema, una conchiglia artefatta, in cui proteggere e favorire la sua intimità''. Come ha ri­ cordato Bachelard, nidi e gusci sono da ritenersi immagini trasposte, per quanto apparentemente banali, della fun­ zione di abitare pur non avendo una connessione diretta con la radice umana: i valori del riparo sono infatti tal­ mente semplici, così profondamente radicati nell'inconscio dell'essere da costituire un'immagine «iniziale» e come tale indistruttibile7 • Si tratta di un motivo protostorico dell'abitare, scrive Benjamin in alcuni lucidi frammenti, di ciò che è remoto - forse eterno -, l'immagine del sog­ giorno dell'uomo nel grembo materno (...). L a forma originale di ogni abitare è il vivere non in una casa, ma in un guscio. Questo reca l'impronta del suo abitatore. L'abitazione finisce per diventare gusciox . La qualità di concavità che «avvolge» è pertinente lo spazio interno non solo nelle interpretazioni critiche di teo­ rici come Schmarsow o Sorgei, ma anche di coloro che se ne sono occupati dal punto di vista della percezione sensi­ bile: un interno - scrive Arnheim - è un mondo chiuso e

20

autonomo. (...) Invece di lasciare chi vi entra in un mondo senza confini, un interno lo avvolge come un grembo, e questa è un'esperienza che può risultare ras­ sicurante o oppressiva. Il mondo dell'interno può essere completamente abbracciato; è esplorabile, rapportabile alle dimensioni e alla potenza dell'essere umano più strettamente di quanto non possa l'esterno, ed è perciò sensibile al suo dominio. L'uomo è più alto di molti suoi arredi, e può raggiungere la maggior parte del resto. Realizzato per lui e al suo servizio, l'interno circonda chi lo occupa come i cortigiani si stringono intorno al re9. Se un'interpretazione fenomenologica del mondo dell'interno non può dunque prescindere dal noto archetipo



mariamente all'atto del chiudersi, dello sbarrarsi, del serrarsi dentro. E ciò è conforme all'etimologia della parola. C/austrum in latino significa chiave, serratura, catenaccio e simili; solo molto più tardi è passato a si­ gnificare luogo chiuso 12 • Se è soprattutto l'interno borghese ottocentesco, colmo di ninnoli, bibelots, soffocanti drappeggi, a identificare l'immagine ambigua del rifugio 1\ opprimente quanto confortante, in generale è proprio l'intervento di arre­ damento - intervento che è, lo ricordiamo, successivo e in­ tegrativo di quello che conforma la stanza stessa 14 - a po­ tersi leggere come modo per preservarsi un «universo» a misura della propria claustrolilia. In quell'ambito singolare che è l'ambiente domestico, l'arredamento determina in­ fatti una serie di sottoinsiemi, disegna degli spazi «privile­ giati», «recinti» per così dire all'interno del recinto-casa, antitetico a sua volta ad un esterno mondo-natura. Dal semplice ordinamento di mobili e oggetti secondo una vo­ lontà precisa e razionale fino a arrivare a interventi più ra­ dicali di organizzazione e strutturazione dello spazio in­ terno, si delinea il desiderio d'appropriazione di un luogo, l'interno appunto, che è finalizzato a\la creazione di un in­ volucro spaziale che protegga e conforti il proprio istinto di proprietà•�. È in particolare ne\le pagine della filosofia o della let­ teratura che il nesso claustrofilia-arredamento si fa più chiaro. Per le prime, il riferimento principale da poter chia­ mare in causa sono le riflessioni di Adorno sulla filosofia kierkegaardiana. Il filosofo danese aveva infatti romantica­ mente paragonato l'interiorità ad un castello feudale, ma è ne\l'interpretazione di Adorno che l'ambiente dell'inté­ rieur borghese del XIX secolo dimette da sé il concello di interiorità idealistica kierkegaardiana. L'intellettuale dalla tendenza al vivere privatamente 1'', in un isolamento che lo ripiega su se stesso, aveva infatti in qualche modo vis­ suto una sorta di malinconica reclusione, in realtà un'in­ consueta risposta ad un proprio desiderio: allorché Gio22 vanni - scrive in un'opera giovanile Kierkegaard - chie-



«luoghi», all'interno della camera, dove sostare e medi­ tare. Se l'interno con il suo arredamento è dunque fonda­ mentalmente uno specchio dell'anima, come ha sempre af­ fermato Mario Praz, in alcuni casi esso diventa addirillura un elemento «deformante», ovvero il potenziamento di un'idea, di una sensibilità, di una necessità abitativa, di un'ossessione. Significativa in tal senso è l'esperienza del protagonista di un racconto di Huysmans, scriuore la cui poetica simbolista è fortemente legala al tema dell'arreda­ mento sulle orme di Poe, Baudelaire e altri prima di lui (Orlando, Nissim). Il principale allore della narrazione, Mousieur Bou­ gran, avvilito dal forzato prepensionamento, vive infalli di dolorosa angoscia fin quando non ricostruisce nella propria abitazione, in tutti i minimi dellagli, il suo vecchio uflìcio: egli prima di tutto (... ) corse dai mercanti di carta da parati, acquistò alcuni rotoli di un'infima carta color cicoria al latte che fece apporre ai muri della sua stanza più piccola; poi comperò uno scrittoio d'abete dipinto di nero, sormontato da casellari, un tavolino su cui pose un catino sbrecciato e un sapone alla bismalva in un vecchio bicchiere, una poltrona incannucciata, a emici­ clo, due sedie. Fece mettere contro le pareti dei casellari di legno bianco che riempì di cartelle verdi con le mani­ glie di rame, appese con uno spillo un calendario sul ca­ minetto da cui fece togliere lo specchio e sulla cui men­ sola ammucchiò delle cassette per schede, gettò una stuoia e un cestino sotto la scrivania e, indietreggiando un poco, esclamò incantato: «Ecco, ci sono!». (... ) Si ri­ trovava, senza aver mosso un passo, ritornato innanzi alla sua antica scrivania, nella sua antica stanza. Se­

i giorni andati2 1 • L'esempio letterario ci mostra con chiarezza la «pietri­ ficazione» di un difficile equilibrio esistenziale, proprio mediante la riproposizione di un interno: l'arredamento è il tramite necessario perché sia possibile il conforto, la riacquisizione della sicurezza, ponendosi in altre parole come

dette, radioso, e da allora rivisse

24



lare periodo storico, ha il merito di svelare una condizione d'esistenza che fa perno sulla consapevolezza dell'inevita­ bile modificazione di ogni valore socioculturale. Sembra segnalare allresì l'inizio di una controtendenza al1'ossessiva claustrofilia di cui la casa vittoriana fu il ri­ flesso più appariscente, controtendenza più che mai at­ tuale. C'è infatti da chiedersi se in un'abitazione dominata dai media come quella contemporanea, dove è assicurata la comunicazione con il resto del mondo pur nel ricercato isolamento, sia ancora possibile considerare la casa come rifugio in cui ritrarsi. Il mondo dell'interno invaso anche caoticamente dall'esterno non sembra infatti potersi più ammantare di un rassicurante senso di stimmung: il deside­ rio di intimità potrebbe non essere esaudito dalla ricerca claustrofilica ma paradossalmente dal suo opposto comple­ mentare ovvero, per continuare a usare le espressioni di Fachinelli, dall'agorafilia.

35.

1 H. FOCILLON. Vita delle forme ( I 943), trad. il., Torino I 987, p. B. ZEVI, Architellura i11 mu:e, Firenze 1979, p. 44. 3 G.C. ARGAN, A proposito di spazio i11ter110, in «Metron», n. 28, 2

1945. p. 21.

4 Ibidem.

26

� G.C. ARGAN, Il problema dell'arredame11to, in «La casa. Qua­ derni di architettura e critica», n. 2, 1955. pp. 5-6. 6 E. BATTISTI, I mobili e la loro storia, in «La casa. Quaderni di architettura e critica», n. I, 1955, pp. 38-39. 7 Cfr. G. BACHELARD, La poetica dello spazio ( 1957), trad. it., Bari 1984, passim. 8 W. BENJAMIN, Parigi, capitale del XIX secolo. I «passages» di Parigi ( 1982), trad. it., Torino 1986, p. 290. 9 R. ARNHEIM, La dinamica della forma architetl<mic:a (1977)'. trad. it., Milano I 98 I, pp. I I O- I I I.. •0 G. BACHELARD, La terra e il riposo. Le immagi11i dell'intimità (1948), trad. it., Como 1994, p. 109. 11 D . RÉGNIER-BOHLER, Esplorazione di una lelleratura, in P. ARIÉS, G. Dusv (a cura di), La vita privata. Dal Feudalesimo al Ri11ascime11to (1985), trad. il., Roma-Bari 1987, p. 257. 12 E. FACHINELLI, Claustrofilia, Milano 1983, pp. 63-64.


n G. Teyssot, dai cui saggi sono tratti spunti per la presente nota, ha usato per primo il termine di claustrofilia in relazione agli ele­ menti archetipici dell'abitare. Cfr. G. TEYSSOT, «Acqua e gas a tuui i piani». Appunti sull'estraneità della c:asa, in «Lotus lnternational», n. 44. 1984. 1•1 Per il rapporto architettura-arredamento si rimanda a R. DE Fusco, Storia dell'arredamento, Torino 1985, p. I . Cfr. inoltre C. LENZA. voce Arredamento. in Grande Dizionario Enc:ic:lopedico UTET. Torino 1993; P. THORNTON, IL gusto della c:asa. Storia per im­ magini del 'arredamento, /620-/920 (1984), trad. it., Milano 1985; ID., Interni del Rinascimento Italiano, 1400-1660 (1991), !rad. it., Milano 1992. I� E. BATTISTI, op. c:ir., p. 40. 16 T. W. ADORNO, Kierkegaard. La c:o.�rruzione dell'estetico ( 1962), trad. it., Parma 1993, p. 34. Il discorso era a proposito delle aflinilà di Kierkegaard con Schopenhauer. 17 lvi, p. I 12. Johannes Climacus è una sona di alter ego di Kierkegaard. 1• Ibidem. 1

''

Ibidem.

20 X. DE MAISTRE. Viaggio intorno alla mia stanza (1834), trad. it., Napoli 1990, p. 28. 21 J. -K. HUYSMANS, Il pensionato signor Bougran (1964), trad. il., Palermo 1984. pp. 27-28. 22 G. BACHELARD, op. c:it., p. 165. 2� T.W. ADORNO, Minima moralia. Meditazioni della vira offesa ( 1951 ), trad. il., Torino 1994, p. 34. 24 Ibidem. 2� lvi. p. 35. 26 Ibidem.

27






una serie di fattori interagenti ed incentivato da consumi­ smo, comunicazione, tecnologia, abbastanza facilmente si riesce ad intuire la crescita, ma non a comprendere le po­ tenzialità e le dinamiche. All'interno, dunque, di questo al­ largamento dei confini, di questa apertura verso mondi «al­ tri», risulta arduo, per quel che ci compete più da vicino, anche leggere l'opera d'arte contemporanea, che, però, di sicuro, attualmente necessita di un consenso allargato. L'artista oggi mira ad un pubblico più ampio e reale, anche senza rinunciare a quel contesto «protetto», intorno al quale si sono sviluppati i fatti artistici fino ad oggi. C'è un'incessante invenzione di segni e linguaggi ali' interno di un processo di mondializzazione e nuove contamina7.ioni. Ma se nell'esperienza estetica il fine ultimo non è più la ri­ cerca di verità né di bellezza, diventa arduo trovare la chiave d'accesso per una comprensione del lavoro degli ar­ tisti. L'arte pare avvicinarsi sempre più alla vita vera, fa­ cendo proprie le stesse scelte estetiche di altri ambiti della contemporaneità, quali cinema, moda, musica, letteratura, non è né l'Io né il Sé che si trovano all'intreccio di Grandi Temi come la Società, la Storia, la Natura, la Cultura: non più un progetto arte parallelo a un pro­ getto società. La soap opera ispira la soap vita 7. Non c'è più un atteggiamento utopistico e rivoluzionario, ma di ac­ cettazione del punto di vista della società. L'arte capta con naturalezza dal mondo tutto ciò che gli si presenta innanzi. Con grande disinvoltura si utilizzano nuovi linguaggi, tutti aventi come denominatore comune l'idea di contamina­ zione, nomadismo, destrutturazione, eclettismo. Per tirare le fila di un discorso molto complesso, nel panorama con­ temporaneo, ci si muove essenzialmente in ambito Pop, l'unico fenomeno che è stato in grado di sopravvivere e rinnovarsi in quanto letto e interpretato ora in relazione alla tecnologia, ora al rapporto con i media. Si potrebbe aggiungere - come sostiene Jeffrey Deitch - che la nuova arte è in un certo senso un'evoluzione manieristica delle tendenze pop, minimaliste e concettuali, una sintesi 32 nuova [...] di questi stili precedenti. La coscienza cultu-



mento del sapere si possa ricondurre ad una esperienza precedente la cui origine è ignota, ma che comunque è preesistente. E veniamo ora al rapporto reale-virtuale. Nel pur varie­ gato panorama di proposte, l'arte dell'ultima generazione decisamente propende per una pratica delle tecnologie, tal­ volta con un intento eccessivo di spettacolarizzazione. Il rapporto dell'arte con i mass-media e le nuove tecnologie non può essere naturalmente riferito solo alla situazione at­ tuale. Sin dagli anni delle avanguardie dei primi del Nove­ cento ci sono stati tentativi di fare propri mezzi estranei al­ l'arte propriamente detta, facendo ricorso alla fotografia, alla cinematografia, al movimento meccanico, all'elettri­ cità, al neon. Con la Pop Art poi il binomio arte-comunica­ zione è diventato imprescindibile. Negli anni '80 la tecno­ logia è entrata nel mondo dell'arte con il video con espo­ nenti di punta quali Nan Junc Paik, Bill Viola, Piero Gi­ lardi, Fabrizio Plessi, gli Studio Azzurro. Un primo ap­ proccio alla computer-art si è poi avuto, in Italia, verso la fine degli anni Ottanta con rassegne come quella dal titolo «Arte e computer», tenuta nel 1987 alla Rotonda della Be­ sana a Milano. Il rapporto con la tecnologia, però, cambia con gli anni Novanta. Innanzitutto occorre notare che per le nuove generazioni, l'utilizzo degli strumenti tecnologici è molto naturale. Il computer è infatti alla portata di tutti, dà la possibilità di creare e manipolare le immagini con in­ numerevoli effetti speciali, in tempi molto brevi e con co­ sti non molto alti. Renato Barilli nell'87 così scriveva: 'Ira le utopie sessantottesche c'era appunto anche quella di un'esteticità diffusa, di un'arte posta alla portata di tutti, sia a livello di fruizione, sia, ancor più, a livello di produzione diretta. Di sicuro la computer graphic avvi­ cina, piuttosto che allontanare, un traguardo del ge­ nere 12 . Il punto estremo poi del forte rapporto arte-tecnolo­ gia è toccato dall'arte interattiva, dove la fruizione diventa simulazione e interazione, creazione di ambienti che solle­ citano lo spettatore, in una sorta di comunicazione estetica. 34 Attualmente, in campo filosofico e scientifico, si parla



mezzi, in nome di un 'ideologia della dematerializza­ zione universale, un uso alienante, oppure farne [... ] un uso che sfrutti al massimo il formidabile potenziale di interfaccia conoscitiva, progettuale e creativa del­ l'uomo con il mondo. Non una fuga mundi, ma una creatio mundi 14 • L'arte deve necessariamente interrogarsi

sull'evoluzione del suo tempo per essere in grado di sfrut­ tarne le potenzialità in modo alternativo e complementare.

«Il passato non serve che a conoscere l'allualità. Ma l'allualità mi sfugge. Che cos'è dunque l'a11ualità?» Cit. in G. Ku01.rn, La forma del tempo, Einaudi, Torino 1976,p.25. 1

2 fbidem.

·' Cfr. F. A1.1Nov1,L'arte mia, il Mulino, Bologna 1984,p. 26. 4 J. DEITCH, Geometrie c:11ltura/i, in «Flash Art»,n. 143, marzo­ aprile 1988. 5 U. Eco. Due ipotesi sulla morte dell'arte. in La cle.fi11izio11e e/e/­ l'arte, Garzanti. Milano 1978. pp. 263-265. � F. MENNI\, li pmgello moderno del/ ·arte. Giancarlo Politi Edi­ tore, Milano 1988, pp. 50-51. 7 L. VERGINE, L·arte in trincea, Skira editore, Milano 1996, p. 272. 8 J. DEITCH,op. c:it. 9 G. CEI.I\NT, /nespressirmismo, Costa & Nolan edizioni, Genova 1988, p. 9.

'° Ibidem.

F. AI.INOVI,op. c:it., p. 203. 12 R. BAR11.1.1. // c:ic:lo ciel postmoderno. Feltrinelli Editore,Milano 1987,p. 180. 13 T. MAl.l>ONl\l>O, Reale e virtuale. Feltrinelli Editore, Milano 1992,p. 113. 14 lvi, p. 78. 11

36




Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.