Op. cit., 103, settembre 1998

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Op.cit.

rivista quadrimestrale

di selezione della critica d'arte contemporanea

Direttore: Renato De Fusco Redattori: Roberta Amirante, Alessandro Castagnaro, Alessandra de Martini, Marina Montuori, Livio Sacchi

Segretaria di redazione: Saia Graus Ventrella Redazione: 80123 Napoli, Via Vincenzo Padula, 2 - Tel. 7690783 Amministrazione: 80122 Napoli, Via Francesco Caracciolo, 13 - Tel. 7614682 Un fascicolo separato L. 8.000 (compresa IVA) - Estero L. 9.000

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Electa Napoll


L. SACCHI, D. DARDI, G. CuTOLO,

Tre tendenze e due ipotesi sull'architettura di oggi Cos'è la tettonica? Design, mobili ed economia Libri, riviste e mostre

S

20 31 44

Alla redazione di questo numero hanno collaborato: Rosa Maria Giusto,

Rosa Losito, Imma Forino, Lucia Pagano.


La rivista si avvale del contributo economico dei seguenti Istituti e Aziende:

Alessi Camera di Commercio di Napoli Driade



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quale è diflìcile prescindere. Il nuovo museo ha provocato un'ondata d'interesse per l'architettura che non può che rendere ottimisti: successo e notorietà planetaria istanta­ nea, come forse non era mai avvenuto. li suo impallo sui media è stato - imprevedibilmente - fortissimo, proiet­ tando improvvisamente una piccola città della provincia basca alla ribalta internazionale. In realtà sappiamo tutti che il progetto di Gehry non nasce dal nulla. Lo anticipano alcune realizzazioni, non cos1 equilibrate e mature: Min­ neapolis, Iowa City e Toledo, Ohio. E, soprattutto, lo anti­ cipa un progetto sfortunato, la cui vicenda costruttiva non sembra ancora avviarsi a soluzione: ci riferiamo al grande Walt Disncy Concert Hall. Un progetto sul quale, non a caso, la critica architettonica continua a interrogarsi e che ci offre lo spunto per alcune ulteriori osservazioni. Come apparirà il nuovo auditorium? Sarà davvero un «galeone a vele spiegate» o un collage di immagini che «riflettono il carattere visivamente frammentario della scena urbana di Los Angeles»? Recupero formale di un tetto cinese. colta rilettura di Scharoun, gesto biomorfo, o soltanto «spazza­ tura decostruttivista», «insieme di scatole abitate da bar­ boni», «ammasso di rifiuti in un canale di scarico», «muc­ chio di cartoni fradici» o «di cocci in pezzi»? Sarà ciò che resta dopo un tornado o un terremoto, «cera che si scioglie al sole» o «cumulo di terraglie uscito da un quadro di Ju­ lian Schnabel» come s'è letto sulla stampa locale? E poi, nel contesto socio-culturale in cui si trova, sarebbe stato forse giusto fare scelte diverse? Gratificare, per esempio, il gusto delle élites intellettuali neomodemiste - indulgendo alle mode della trasparenza, dell'alta tecnologia o del nuovo rigorismo minimal svizzero/tedesco - o quello delle opulente minoranze ebraiche o Wasp di West Los Angeles - magari proponendo un modello classico, allineato alla tradizione costruttiva dei templi della musica europei? O non potrebbe forse essere proprio la «diversità» della sua immagine architettonica ad attirare, coinvolgere, cooptare e integrare nuovi e diversi tipi di pubblico?2 Ma c'è dell'altro. Walt Disney Concert Hall è stato ideato ricorrendo







René T hom) o il morphi11g (fondazione del nuovo sull'ite­ razione evolutiva delle geometrie delle preesistenze, utiliz­ zata anche in campo artistico), fino alle stesse pratiche di­ slocative, decostruzioniste, a-topiche, entropiche, deboli, in una parola anticlassiche. Sperimentazioni tutte, che, as­ sieme a quelle di ordine tecnico-strutturale, semhrano oggi puntare velocemente verso complesse, articolate e forse ancora non del tutto immaginabili interazioni con la conformazione stessa dello spazio architettonico. Molti nuovi programmi offrono la possibilità di modellare, mani­ polare e interagire intuitivamente con esso. Fra gli esempi più interessanti sono proprio le recenti proposte di Gehry. Ma, non diversamente da queste, anche le ultime fabbriche di Peter Eisenman non sarebbero state perseguibili. per esplicita ammissione del suo autore, con metodi gralici tra­ dizionali. Pensiamo, in particolare, ali' Aronoff Center di Cincinnati, realizzazione concreta del post-strutturali­ smo derridiano, com'è stato definito da François Burk­ hardt 1\ ma anche al precedente, fisicamente ancor più de­ stabilizzante Convention Center di Columbus o al recente progetto per l'lnstitute of Arts and Sciences di Staten lsland, New York, nel quale l'autonomo percorso creativo del suo autore sembra. per la prima volta, reagire alle sol­ lecitazioni di Bilbao. O al padiglione espositivo di Istan­ bul, recentemente inaugurato; ai progetti per la sede della società di software BFL a Bangalore in India, per la bi­ blioteca di Piace des Nations a Ginevra (all'interno del piano redatto da Massimiliano Fuksas) o per l'aerea e inaf­ ferabile casa virtuale, un concorso cui, fra gli altri, hanno preso parte, con risultati analogamente sorprendenti, Da­ niet Libeskind, Toyo Ito e Jean Nouvel. Ma ci riferiamo anche, più. in generale, a quanto proposto ali' interno della mostra Transarchitectures 02, tenutasi nel 1997 a Parigi, all'IFA, Institut Français d' Architecture e poi a New York, a Columbia University; alle interessanti sperimentazioni di nuovi spazi architettonici di Marcos Novak a Los Angeles (UCLA); di John Frazer prima a Londra, alla Architectural 12 Association, e oggi a Hong Kong, alla Polytechnic Univer-



razione, interconnessione e reciprocilà. Al lema della lran­ sculturalilà sono poi legale alcune queslioni diverse. Per esempio quella del concello di palria che appare sempre più spesso come un semplice pezzello di colore sopra una mappa geografica. Le grandi ciuà globali sono sempre meno riferibili al paese d'appartenenza: rappresenlano oggi i luoghi tisici in cui la diversità culturale s'incontra e - qualche volta - si scontra, che più di ogni altro, prima di ogni altro ammellono la diversità - di razza, genere, sesso, classe, religione, cultura, paradossalmenle nel niomento in cui, per la prima voha, la differenza non fa differenza. La loro idenlità è nella perdita d'idenlilà: sono, sempre più, assolulamenle generiche, grandi per tulli, pronle a cam­ biare, modificarsi, lrasformarsi. L'immigrazione verso di esse appare un fenomeno inarrestabile, è fra i grandi evenli della storia dell'umanità. E in esse il lema della gestione della diversità è ossessivamenle al cenlro del diha1tilo so­ cio-polilico: sono coslrelte a misurarsi con la dimensione lransculturale e divise fra spinle opposte: l'unilà nazionale (spesso sovranazionale) e la diversilà souoculturale. È il dialogo fra unità e molteplicità, fra cenlro e periferia, fra universalismo e diversilà, fra gruppo e individui, fra il tutto e le parti, fra l'Occidente e gli ahri. È ciò che Arlhur Koe­ stler definisce holon (ogni cosa in natura come insieme di parli più piccole e al tempo stesso parle di insiemi più grandi); ciò che Niels Bohr, in fisica, indica come princi­ pio di complementarietà; ciò che Linda Hutcheon, in cri­ tica letleraria, definisce come nozione della doppia codifi­ cazione (ciascuno scrive all'interno e al lempo slesso con­ lro un gruppo dominante). Quel doub/e coding che ricono­ sce le principali linee di frauura epocali e le ripresenla alla società dicendo: i vostri valori e i vostri gusti sono di­ vergenti, ma ugualmente degni di essere rappresentati. Qualsiasi cosa avvenga dopo (che ci sia o no una qual­ che forma di convergenza), ciò che importa è che il dia­ logo sia riconosciuto e venga avviato•�. Ma è anche, forse, l'ideologia ideale per il capitalismo planetario di 14 stampo americano: il privilegio astratto dell'universale



slocativi, a seconda del maggiore o minore livello di ap-. partenenza culturale dei fruitori. Le identità moderne sono territoriali e quasi sempre monolinguistiche... Le identità postmoderne, dall'altra parte, sono trans-terri­ toriali e multilinguistiche� 1• Siamo abituati a parlare di Futurismo italiano, Costruttivismo russo, Nouveau roman francese. L'opera contemporanea è invece essenzialmente transculturale, come i viaggi di Wenders fino alla fine del mondo. Qual è il ruolo giocato dall'ibridazione lingui­ stica? È un'ambigua metafora'? Un'immagine che ci mette in grado di pensare a nuove identità, o che fran­ tuma la stessa nozione di identità? Fino a che punto ci aiuta a interrogare i presupposti invisibili della nostra stessa cultura, ossessionata dalla costruzione e dalla rappresentazione del costruito?22 Possiamo semplice­ mente «scegliere» fra le differenze culturali come, con un telecomando, fra le immagini televisive o come fra i poster delle campagne globali di Benetton? Sapranno gli archi­ tetti (e gli artisti in genere, ma per gli architetti è più diffi­ cile) riflettere, accettare, misurarni con la diversità? La cul­ tura classica, sulla quale è costruita la civiltà dell'Occi­ dente, e il moderno, che ne costituisce il frutto recente, sono fondati sui valori dell'esclusività. La comprensione della cultura contemporanea passa invece attraverso un ra­ dicale sforzo di inclusione, liberazione, adattamento e messa a punto di ogni precostituito modello di giudizio. La diversità è - in primo luogo, anche in architettura - il linguaggio della democrazia: poco importa se ciò può di­ spiacere a coloro che si attardano a rimpiangere lin­ guaggi unificatF3 • Un significativo sforzo di ricerca progettuale in tal senso è costituito dalla recente produzione di RoTQ, lo stu­ dio fondato da Michael Rotondi e Clark Stevens nel '91, dopo il distacco da Morphosis, con l'obiettivo di riconside­ rare criticamente il ruolo professionale, indagare territori inesplorati che coniugano contenuti sociali con standards estetici elevati, reinventare la stessa figura dell'architetto. 16 Una delle esperienze più vaste è stata la progettazione/rea-



Universily of Pennsylvania per lo Zuni Pueblo in New

Mexico. Ed è stato con successo al centro della ricerca di

Renzo Piano nel, per molti versi straordinario, Centro cul­ turale canaco ùi Nouméa in Nuova Caledonia, ùi Glen

Murcutt nei territori più isolati d'Australia, o di Mikko Heikkinen e Markku Komonen nei due piccoli edifici rea­

lizzati in Guinea, in particolare nella poetica villa Eila,

commissionata loro da un'amica finlandese alla periferia della città africana di Mali. Un approccio, in generale, se­

gnato da profonda revisione interiore, venalo di religiosità

New Age e che ha bisogno di .un'analoga revisione degli strumenti della critica perché possa essere compreso.

1 Cfr. R. DE Fusco. Il codice delle mic:rologie. in Swria del/'ar­ c:hireuura c:0111empora11ea. Laterza, Roma-Bari 1988. pp. 451-615. 2 Cfr. C1-1. JENCKS. Herheropolis, Academy/Ernst & Sohn, Londra

1993.

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J Cfr. P. E1sENMAN. L'arc:hiterrura post-critica. in «Casat>clla». n. 644. aprile 1997. • Cfr. G . DoRFLES. Il museo Gugge11heim. Frank O. Gelrry a Bil­ bao, in «il Progeno», n. 2. gennaio 1998. 5 Cfr. V. SCULLY. Tlre Arc:hitec:ture <�{ Co111111u11ity, in «il Pro­ getto». n. 3. giugno 1998. � J. CLAIR, La re.�po11.mbilità del 'artista, Le avanguardie tra ter­ rore e ragione, U. Allemandi & C., Torino 1998. pp. 73-74. 7 Cfr. V. SCULLY. ibidem. " La definizione di ..sostenibilità" data dal Brundtland Report (World Commission 1987) è: «un processo di cambiamento nel quale lo sfrunamento delle risorse, la direzione degli investimenti. l'orien­ tamento dello sviluppo tecnologico e i mutamenti istituzionali sono in armonia e potenziano la possibilità attuale e futura di soddisfare i bisogni e le aspirazioni umane». '' Cfr. T. MALOONADO, Critica della ragione informatica. F eltti­ nelli, Milano 1997, p. 91. 111 Cfr. L. SACCHI, Disegnare con il"c:0111puter, in "Op. Cit.", n. 89, gennaio 1994. 11 G. SCHMITT, /11.formation Arc:hitec:ture. Basi e futuro de/. CAAD, Testo & immagine, Torino 1998, p. 74. 12 N. NEGROPONTE, Being digitai, Hoder & Stoughton, Londra 1995, p. 20: «Il futuro non sarà l'uno o l'altre, ma entrambi». IJ F. BuRKHARDT, Alla ric:err:a di nuovi orie11tame111i, in «Domus», n. 788, dicembre 1996.


'' W. WE1.sc1-1, Transc:ulturalit<ì. I compiti del design 11el mmido c:011re111pora11eo, in «Domus», n. 786, ottobre 1996. ·� CM. JENCKS, op. c:ir.• p. 118. 1� J. CLAIR. 0/1. c:ir., p. 66. 17 N. PAPASTERGIADIS, AND. An /11tmducrio11 illfo rhe Aesrlreric:s ,�{ Dererriroriali.wrion, in Art & Culrural Differenc:e, Hibrids and Clusters. «Art & Design» Profìle No 43. Londra 1995. p. 7-8. IK E. SI-IOl·IAT, R. STAM, Tlre Poliric:s (Jr M11lric:ulrurali.m1 in rlre Po.wnodem Age. in Art & C11/r11ral Di{ferem:e, Hibrids and Clusrers. cit .• p. 12. 1'' lvi. p. 15. 2" N. PAl'ASTERGIADIS. op. cii.. p. 7. 21 N.G. CANCLINI. Rerlri11ki11g ldemiry in Ttmes <�{Globali.mrion, in Art & Culr11ml Di{ferem:e, Hibrids ali(/ Clusrers, cit., p. 39. n P. HARVEY, Posr sc:ripr 011 'Rerhinking ld,•miry in Time.f <?{Glo­ bt1/ist1rio11 ·. in Art & Cultura/ Df{ferenc:e, Hibrids allll Clusrers. cii., p. 42. 2J F. TENTORI. Presemazione. in A. SAGGIO, Terragni, Vira e opere. Later;.a , Roma-Bari 1995. p. IX. 2' J. G1ovANNINI. in RoT!J., Michigan Architecture Papers One. The University of Michigan, College of Architecture + Urban Plan­ ning. RoT.Q Architects lnc. Los Angeles. 1996. p. 64.

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vece la base terrena<•. E questa negazione è più concet­ tuale che costruttiva, rimanendo un'irrisolta incongruenza anche nell'uso della sfera in periodi in cui l'avanzamento tecnologico ha permesso la realizzazione pratica di forme architettoniche sferiche7 • Resta, infatti, ancora oggi valido, al di là delle conquiste tecnologiche, il discorso di Sedl­ mayr che sembra spingere l'attenzione a considerare tetto­ nico ciò che viene progettato distaccandosi dal predominio assoluto della rappresentazione sulla conformazione. Decisamente meno interessato all'intimo legame della tettonica con il fattore geologico, risulta Cesare Brandi nel suo Struttura e architertura. Qui la tettonica viene conside­ rata, all'interno della• nota dissertazione brandiana sulla strutturalità dell'architettura, nella sua accezione più con­ creta e funzionale. Senza· addentrarci nel merito del tema complessivo del saggio, ci limiteremo qlli a considerare quella radicale distinzione tra architettura e tettonica pro­ posta dal Brandi che sembra, per alcuni versi, rievocare la distinzione proposta dal Pane, sulla scorta di un'idea di evidente matrice crociana, tra architettura ed edilizia. L'ar­ chitettura - sostiene Brandi - nasce per la soddisfazione di particolari bisogni, ma non nasce di colpo come ar­ chitettura, nasce come tettonica, e cioè come una conformazione che realizza lo schema, una tipologia che l 'uomo si è elaborato per la soddisfazione di un de­ terminato bisogno. La tettonica consterà dunque nell'e­ laborazione di una determinata tecnica, a servizio di uno schema, al cui punto d 'arrivo avrà preso corpo una determinata conformazione tipologicax . Ed oltre egli sin­ tetizza: L'architettura, se non è arte, è mera tettonica, adeguazione pratica ad un bisogno"'. Questa carrellata sull'utilizzazione del termine tetto­ nica da parte di critici e teorici appartenuti ad indirizzi sto­ riografici molto diversi tra loro mostra la varietà degli ele­ menti che concorrono alla definizione globale del termine stesso. Varietà che, a onor del vero, è ravvisabile nel testo di Frampton, dal quale la nostra discussione ha preso il via. 22 Ciò che maggiormente, al contrario, solleva le nostre per-



riconsiderare attentamente cosa intendere per tettonica e non per amore di convenzione letteraria quanto per sincero desiderio di chiarezza terminologica e concettuale. Che la

parte costrulliva dell'architettura sia un campo non solo

fondamentale nella sua detinizione complessiva, ma anche generatore di riflessioni intelligenti, geniali, in alcuni casi, le quali molto possono comunicarci sulle principali inten­

zioni del loro autore a livello «poetico» o ideologico, credo non possa essere messo in discussione. E in questo senso

gli Studies in tectonic culture ci sembrano apportare un contributo fondamentale, riequilibrando quel rapporto tra

l'attenzione degli storici alla teoria ed alla prassi dell'ar­

chitettura che troppo spesso si risolve a favore quasi esclu­ sivo della prima. Ma qui ci stiamo adoprando alla defini­ zione di un termine che, riteniamo, abbia una sua precisa

storia, discendenza, etimologia, come Frampton stesso, in realtà, pone in apertura del saggio. Nell'introduzione, in­

fatti, vengono dichiarali gli argomenti dai quali prende il

via la sua riflessione a cominciare da alcune brillanti con­

siderazioni sulla duplice natura ontologica, ovvero pratico­

funzionale e costruttiva, dell'architettura, o meglio, di­

remmo noi, _della tettonica, e quella rappresentativa ed

espressiva dell'architettura propriamente detta. Tali pre­

messe vengono tuttavia tradite nel momento in cui l'autore prosegue parlando di espressività tettonica, confondendo i due distinti concetti. Cosa

intendere

dunque

per

tettonica?

Così

come

Frampton fa risalire il termine al greco tekton, costruttore,

si può dire, con generica obbiettività, che tettonica, nella

sua definizione più ampia, rappresenta l'insieme di quanto

concerne la costruzione di un edificio. Tale edificio può es­ sere sia il più alto esempio architettonico di un'epoca,

quanto l'ultima produzione dell'edilizia locale. E in questa ultima distinzione ci sembra sia chiara la distanza della no­

stra posizione da quella di matrice crociana, presente in Brandi, la quale implicava un giudizio di merito e di valore

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che non è qui posto in questione. li problema è semmai quello del confinamento del termine a comprendere quasi



tre, al contrario, negli Srudies i riferimenti sono rivolti ai grandi maestri della storia dell'architetlura moderna. Tutta­ via anche dopo le rispettive obbiezioni ad un'appartenenza del lesto in questione all'uno o all'allro genere, storico­ manualistico o critico-saggistico, il dubbio che resta più ri­ levante è quello rispetto a quella «cullura tettonica», che ri­ mane, in definitiva, alquanto nebulosa. Tentiamo di con­ cretizzare le nostre riserve sulla concezione di una tetto­ nica depositaria di valori espressivi in esempi tangibili. Nella prima parte introduttiva del saggio, quella impegnata in una definizione del termine il più possibile corretta da un punto di vista epistemologico, Frampton fa continuo ri­ ferimento da una parte ai quarrro elementi della teoria sem­ periana e dall'altra alla distinzione riportata da Botticher tra una kernform, ricondotta al tempio greco ligneo, ed una kunsrform, intesa quale trasposizione in marmo di ele­ menti, che perdevano la loro connotazione utilitaristica per acquistarne una rappresentativa e «artistica» in senso pro­ prio. Ora, ci sembra evidente che un tale punto di partenza consideri il tempio greco ed il suo passaggio dal ligneo al marmoreo come calzante metafora di un ben. più consi­ stente mutamento conceuuale da un'idea funzionale e «tet­ tonica» ad una che fosse anche rappresentativa ed «archi­ tettonica». Lo stesso passaggio è così descritto da Brandi:

Che poi, successivamente le caratteristiche meramente tettoniche, quali derivano dall'uso di una determinata

materia, si accendano nella fantasia figurativa di un'ar­ tista e diventino «ornato», ossia trapassino da confor­ mazione a forma, questo non sarà nulla di diverso da quello che accade nelle arti figurative come la pittura o la scultura quando l'oggetto si costituisca da un oggetto naturale':'. Il problema è che da una distinzione così pun­

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tuale si passi, nel testo di Frampton, ad una compenetra­ zione di un campo nell'altro, dalla tettonica all'architet­ tura, dalla conformazione alla forma, per dirla con Brandi, seguendo ciecamente il filo conduttore della costruzione. Al contrario riteniamo che la costruzione sia una delle forme d'estrinsecazione di quel bisogno che Brandi vedeva



qualsiasi riflessione sovrastrultlurale. In quest'ottica anche le fasi successive nello svolgimento del saggio mostrano un'analisi di grande interesse su quella che è stata definita una tradizione ingegneristica parallela alla storia del­ l'architettura contemporanea, capace di rivendicare l'in­ tima natura dell'architettura, liberandola dall'assai fre­ quente equivoco che l'assimilazione del destino dell'ar­ chitettura a quello delle arti figurative 1 � ha generato. Ma, ripensando a quanto affermalo dagli autori citati in apertura del presente articolo, non crediamo di poter pro­ cedere nel considerare la tettonica come sinonimo di co­ struzione. La questione della tettonica impone, al contra­ rio, una considerazione autonoma da quella sulla costru­ zione dell'architettura, essendo solo indirettamente colle­ gata ai suoi risvolti. In tal senso se è indubitabile che un edificio sia una cosa, non lo è altrettanto che lo siano l'ar­ chitellura o la tettonica. Non crediamo che sia decisivo lo stabilire la priorità dell'essenza ontologica o di quella ideologica della tellonica o dell'architettura. Ma non si può negare che quel «discorso astratto», dal quale Frampton prendeva inizialmente le distanze, faccia parte di entrambe. Ma, soprallutto, un tale discorso astratto è auspicabile ed indispensabile quando si venga a parlare di una materia an­ cor prima che dei suoi exempla. Facendo un passo indietro, ritornando alla concezione wolffliniana del termine, anche se non è più condivisibile l'analogia col concetto di «ordine», la seconda parte, quella che invitava alla «chiara manifestazione delle norme costruttive» ci sembra attestare ancora oggi la sua validità, informandoci su uno degli elementi fondanti la concezione dello spazio originario. Cos1 come l'aver ricondotto, da parte del Sedlmayr, al nesso geologico del termine ci sem­ bra etimologicamente corretto, anche se non esaustivo del1'intero concetto. Quanto affermato da Brandi contiene già più problemi, il maggiore dei quali è rappresentato dal ri­ ferimento ad un giudizio sulla natura artistica dell'architet­ tura in generale, che, come già affermato, esula dai nostri 28 propositi.



storica e non particolare di quanto viene prima dell'archi­ tettura, ma che architettura ancora non è.

1 H. WoLFFLIN. Cmu:e1ti.fm1dame111ali defla swria del/'arre (1915), trad. il. Milano 1991, p. 139. 2 Jbicfom, pp. 161-162.

� Ibidem, p. 162. • Ricordiamo che tenonica indica anche lo «studio delle confor­ mazioni della crosta terrestre sotto l'azione delle varie forze che agi­ scono su di essa» (l)i;:.io11ario della lingua italiana, Garzanti). lnollre i maggiori dizionari di lingua italiana si limitano a riportare il signi­ ficato geologico trnscurando quello propriamente architellonico. � H. SEDLMAYR, perdita del centm. trnd. it., Torino 1967, p. 128 (I ed. Salzburg. 1948). h l/,idei11, p. I 29. 7 Un.1 conferma indiretta viene da Eduard Sekler che. già citato da Fr.unpton stesso, nel 1973 nel saggio Str111tura, Costr11;:,io11e. Tet­ ro11ica sostiene che atettonico è il modo nel quale l'interazione espressiva tra peso e supporto in architettura è·visualmente ne­ gato od oscurato (cfr. K . FRAMIYfON, op. c:it. pag. 20). • C. BRANl>I, Stru1tura e arc:l1ite1tura. Torino 1975, p. 41. '' Ibidem, p. 45. 111 K. FRAMPTON, Srudies in Tec:umic: culture. The poetics <?f c:cms­ truction, MIT Press, Cambridge 1996. p. 2. 11 D . LEATHERBARROW. recensione in «Journal of the Society of Architectural Historians», marzo 1997, pp. 98-99. 12 G. LEONI, recensione su« Casabella». n. 649, ouobre 1997. pp. 87-88. IJ C. BRANDI, op. c:it., p. 43. 14 R. DE Fusco, Segni storia e pmgello dell"arc:hitel/ura, Bari 1973, p. 105. 1� G. LEONI, op. c:it., pag. 88 lh Non a caso questi strumenti molto si avvicinano ad alcuni teo­ rici del '700 che si adoprarono alla ricostruzione delle origini dell'ar­ chitettura e che parlarono della generica capanna p1imitiva, nonché della caverna e di altri tipi di spazio pre-espressivo e quindi pre-ar­ chitellonico. È inevitabile a tal riguardo ravvisare le analogie. già ac­ cennate, dello studio della tenonica con quello dell'architeuura per tipi o tipologia. Come più volte proposto a partire dal noto articolo di Argan per- la voce tipologia dell'Enc:iclopedia universale dell'arre, voi. XIV, p. I e sgg .• a questo riguardo rimane fondamentale il pro­ cedere di un tale studio allraverso le invarianti dell'architeuura. La tellonica pertanto rappresenta la prima ed indispensabile fonna di in­ vmiante architettonica che precede, fondandolo, lo stesso studio tipo'· logico.

u,

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una frase di John K. Galbraith. che dice: il design è qual­ cosa di invisibile che non si può spartire, presuppone ri­ sorse artistiche e artigianali che si acquistano nel corso di molte generazioni...Sarà una forza per il Sistema Ita­ lia se continuerete a tradurla...in una produzione indu­ striale di qualità, aggiornando insieme le tecnologie. Sembra che il suggerimento di Galbraith. che data 1997. sia stato già da tempo messo in allo dai produttori del settore, ai quali va riconosciuto il merito di essere riu­ sciti ad innestare. sulla storica sapienza fabbrile artigiana di matrice italica. tutta una serie di clementi innovativi di ordine sia tecnologico che formule. Ma questa attenzione strategica alla qualificazione del prodotto, che ha consen­ tito l'affermazione di una riconoscibile leadership dell'ar­ redamento italiano nel mondo, non è sufficiente. Non è sufficiente progettare il solo prodotto, ma occorre anche progettare il mercato. E pertanto il design non può limitarsi a fornire progetti da sviluppare all'interno della fabbrica o comunque del solo comparto produttivo, ma deve fornire progetti per il mercato che verranno realizzati. almeno in parte. al di fuori della fabbrica e di tutti i diversi luoghi di produzione. Progettare il mercato equivale a dire che biso­ gna continuare a progettare e produrre prodotti. ma biso­ gna anche imparare a progettare soprattutto la distribu­ zione e la comunicazione (spazi fieristici, negozi e mer­ chandising; cataloghi, promozioni e pubblicità). ed altresì il consumo (progettando e proponendo «concepl» e «stili di vita»). li riferimento agli esiti conseguiti dai cugini della porta a fianco che si occupano di moda diviene a questo punto obbligatorio e mi piace chiosare su questo tema facendo ri­ ferimento a un breve ma interessante saggio di Stefano Ca­ sciani, apparso su li motore della moda, libro-catalogo che illustra l'esposizione tenutasi a Firenze all'inizio di que­ st'anno. In esso, il ritardo del sistema design rispetto al si­ stema moda vien fatto risalire ad una originaria «idea demo-aristocratica del progetto». seconda la quale ogni prodotto e disegno si proponeva idealmente come ar-


chetipo universale, a modello pressoché immutabile di un comportamento ad esso legato, che l'oggetto stesso in qualche modo creava, oltre a soddisfare la funzione.

Casdani dcnum.:ia cd allude al peccalo di origine del de­ sign italiano, quello di essere stato sino ad oggi, o forse fino a ieri, soprattutto «design di architetti», per la qual cosa non è un caso che per lunghi anni... il dibattito cul­ turale sui problemi del disegno industriale abbia girato a vuoto sul problema della «definizione» del design e

del designer. Una mancanza di definizione dovuta certa­ mente al fatto che il design italiano è nato e si è sviluppato portandosi dietro una ancora irrisolta crisi di identità per­ manente, causata dalla soffocante presenza di un manipolo di geniali padri fondatori con tulio il loro soffocante baga­ glio ideologico e culturale. Solo da poco il design ha ini­ ziato a definire una sua propria e più autonoma cultura in grado di affrancarlo dalla sudditanza rispello alla cultura architellonica. Un affrancamento che registra proprio que­ st'anno un momento significativo con il licenziamento di circa trecento laureati in Disegno industriale da parte del Politecnico di Milano. Guardando alla moda, Casciani sembra suggerire al de­ sign di liberarsi dai legacci delle false idee-guida costituite dalla durata e dalla qualità, per accettare un passaggio sto­ rico che egli ritiene già avvenuto. Quello dal sistema della produzione industriale a quello dell'industria virtuale: ovvero quel sistema in cui si intrecciano organicamente

immagine, tecnologia, design e comunicazione, per dare

al consumatore prodotti sempre «nuovi» o meglio di­ versi, che creino l'illusione di un universo parallelo, di­ stante da quello reale, in cui in qualche modo le leggi del mercato e i meccanismi psicologici di massa diven­

tano regole di un perfetto equilibrio spirituale, i motori

di una realtà virtuale in costante evoluzione. il che im­

plica l'accettazione che un prodotto possa anche essere effimero, legato a un gusto passeggero, al costume più

che all'etica.

Tutto ciò purché non invalidi la qualità durevole dei

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prodotti. Infatti durevole significa proprio l'opposto di ef­ fimero e, se il gusto può avere un ciclo di vita anche breve e passeggero, ciò non deve avvenire che per beni e prodotti <<di consumo», a meno di non voler auspicare una politica economica dello spreco sotto il vessillo dell'effimero. È vero che le categorie economiche potrebbero forse essere cambiate, ma ciò sarebbe sensato soltanto se le condizioni che ad esse diedero luogo in origine, fossero nel frattempo cambiale. Ma così non è. Ieri come oggi, mentre un capo di abbigliamento si ac­ quista mediamente due-tre volle all'anno, un elemento fon­ damentale di arredo si acquista due-tre volle nella vita.E fin quando le cose rimarranno tali, bisognerà essere mollo cauti in tulle le ipotesi di mutazione di criteri, principi, strategie dal Fashion System a quello del Fumiture design. Anche se ritengo che si debba continuare a considerare estremamente importante l'analisi comparata della strut­ tura e dell'evoluzione interna ai due scllori. Guardando alla moda, il design più che ai valori ed alle seduzioni accelerate ma un po' scellerate dell'effimero, do­ vrebbe soffermarsi sui valori strullurali che sottendono l'intero sistema della moda, che paiono visibilmente me­ glio articolati e meglio integrati organicamente, in maniera da offrire un assai favorevole quadro operativo ai diversi attori, stilisti, distibutori e produttori. L'economia del design deve guardare con attenzione e rispetto all'economia della moda, perché entrambe proven­ gono da una fenomenologia parallela, che, se non è la stessa, presenta tuttavia un grande numero di analogie; su tulle la prevalenza, in entrambi i settori, dei valori simbo­ lici su quelli d'uso, funzionali o prestazionali. E proprio pensando alle peculiarità di una economia dei valori simbolici e dei desideri,così comune ai due set­ tori del design e della moda, mi viene naturale pensare an­ che ai rapporti che entrambi i settori intrattengono con il lusso, loro comune antenato rimosso ma continuamente rievocato e richiamato come paradigma. Werner Sombart, 34 un economista classico tedesco, indagando sui nessi im-



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portoghesi, i francesi e gli inglesi, tutti con l'operosa ed in­ fida complicità di intermediari e di manovalanza costituita soprattutto da arabi e tutti attingendo alla stessa inesauri­ bile fonte: l'Africa. È proprio nello sviluppo uel commer­ cio di questi beni di lusso che si afferma. secondo Sombart, il primo capitalismo mercantile. Ma l'inlluenza dei beni di lusso appare ancora più importante nello sviluppo e nella trasformazione del commercio al dettaglio. Attingendo alle cronache parigine di Mercier (Tablcau dc Paris, 1783/87), Sombart racconta dcl«Pctit Dunkerque». il primo negozio parigino a praticare «prezzi fissi», un negozio di moda e alla moda, dove Voltaire si compiacque di ritrovare una analogia tra i luccicanti oggetti di lusso esposti e il suo stile. Ed è proprio in negozi di lusso come questo che ha inizio l'oggettivazione del rapporto tra mercante e cliente, che caratterizza essenzialmente tutto il succes­ sivo sviluppo capitalistico. Mentre contemporaneamente avviene una riorganizzazione del commercio al dettaglio che si differenza sempre di più da quello all'ingrosso per la qualità dei decori e degli arredi che vengono utilizzati per abbellire i' negozi; ma anche per la trasformazione degli empori di generi di prima necessità in negozi con una maggiore specializzazione. Cosicché il mercante di sete e di broccati e di altri tessuti di lusso, diviene anche mer­ cante di abiti confezionati, con l'aiuto di nuovo personale di sartoria. Analogamente il tappezziere, oltre al rivesti­ mento di divani, poltrone e dormeuses, sviluppa la propria attività con l'inserimento di mobili e articoli vari di arreda­ mento, nei quali si trovano tavoli, comò, pezzi di ebaniste­ ria, specchi, candelabri, etc., oltre che, naturalmente, letti, cuscini, tende, tappezzerie. Sombart sottolinea che l'estrema importanza del commercio di lusso emerge anche dal fatto che le com­ pagnie d'affari esistevano solo nel caso dei commer­ cianti di seterie o di tessuti, degli orefici e dei banchieri; e che la natura delle merci preme verso l'organizza­ zione capitalistica: sono quelle di maggior valore le prime a entrare in commercio in grande quantità.



che restituisce alla donna, ma anche all'uomo, il diritto ai

piaceri dell'amore, rivalutando e arricchendo il valore ed il significato della vita di coppia. L'amante diviene uno sta­

tus symbol, prima per· l'aristocratico, poi per il borghese

che lo vuole imitare, ma è anche un modello per le loro

mogli, le quali, ingahhiale nel ruolo familiare, invidiano

ma poi gradualmente imitano le cortigiane, nei halli, nelle

feste, nei teatri, alle corse.

Per le favorite i re costruiscono ville e palazzi e financo

regge; lo stesso fanno i nohili e i borghesi in una inesausta

corsa all'emulazione ed all'esasperazione del lusso e per­ sino allo spreco. Questa magioni vengono poi con il lusso

arredale e in esse si afferma e prende dimora il nuovo do­ minio della donna, poiché è spesso proprio la cortigiana a

dettare le scelte e le regole che presiedono alla c.;ostruzione

dell'edificio, al dec.:oro ed all'arredamento, rivoluzionando e liberando la creatività di nuovi architetti, artisti e arti­

giani di diverso sapere. Sombarl scrive: Tutte le creazioni dell'arte e dell'arti­

gianato riflettono, di fatto, la vittoria della donna: dai colonnati ornamentali ai cuscini di Lione, dai letti in

seta celeste con baldacchini di tulle bianco, alle sottove­

sti azzurre, alle calze di seta grigia, agli abiti di raso, alle civetterie delle vestaglie decorate con piume di cigno,

fino alle piume di struzzo e ai pizzi di Brabante: in tutto

ciò, insomma, che Muther - questo incomparabile ritratti­

sta del rococò, dalle cui descrizioni sono state tratte le noti­

zie appena riferite - ha composto in una sorta di sinfonia

del salotto[... ] Strettamente associata alla tendenza a

rendere il lusso apprezzabile ai sensi è la tendenza alla

sua raffinatezza. Raffinatezza significa aumentare la

parte di lavoro vivo necessario alla produzione dell'og­ getto. L a donna è ovviamente al centro di questa trasfor­

mazione e ne è il motore. È a lei che si deve l'oggettiva­

zione del lusso, il passaggio cioè da un lusso soltanto «im­

produttivo» ad un lusso anche «produttivo», vale a dire non

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sohanlo balli e feste in grandi architetture ornate di opere

d'arte, ma abiti, arredi e gioielli. Dall'arte all'arte applicala.



di guadagno e di capriccio che ogni domanda di lusso comporta e consente, si aprono ampi spazi alla creatività ed all'innovazione. Lo strello rapporto tra lusso ed innova­ _zione rinvia a quello tra innovazione e design, proponendo così un possibile collegamento tra design, lusso ed innova­ zione. Un collegamento che va investigalo e sul quale dovremo tornare a riflettere, evitando ogni possibile anche se affasci­ nante sillogismo, per confrontarci invece con l'ipotesi ce­ lata dietro a quel progetto circolare, ineludibile ed utopico che è stato acutamente descritto come il processo narcotico della «socialdemocratizzazione del lusso». Un processo che ci porta in un vicolo cieco, in una strada senza uscila, in una vera e propria impasse di quell'ideologia borghese fondata sulle sorti umane e progressive e sulla errata presunzione della possibilità di una crescita continua ed inarrestabile ali­ mentai� dall'etica cinica di un progello implosivo, che per di più sta sfuggendo ad ogni controllo. Avendo troppo cre­ duto e ceduto alle seduzioni economiche di Mefistofele, Faust sarà presto chiamato a rendere conto, prima ancora che al Grande Reggitore, a se stesso. Cosa che non concede scampo, dato che mentire può forse talvolta servire nel go­ verno dei rapporti con gli altri, ma non serve assolutamente nei rapporti con se stesso. Dopo avere riscattato, con l'autorevole complicità di Sombart, il «lusso», ricordandone e rivendicandone la im­ portante e positiva funzione di traino per l'economia, oc­ corre ora sottolineare il fatto che, soprattutto grazie all'ac­ cumulazione di denaro resa possibile proprio dalla produ­ zione e dal commercio di beni di lusso, si è potuto finan­ ziare la ricerca e sviluppare continuamente I '«innova­ zione». Prima quella tecnologica, poi quella distributiva e commerciale, a seguire quella finanziaria ed infine quella sociale e politica. Perché quando si immette in circolo vera innovazione, si ottiene non soltanto il risultato di modifi­ care le merci e le loro prestazioni, ma si finisce per modi­ ficare l'intero ordine contestuale, anche quello sociale e, 40 conseguentemente, quello politico.



nella City di Londra grazie ad oltre due secoli di spolia­ zioni coloniali, viene superata, sconfitta e rimpiazzata dal profitto realizzato dagli Stati Uniti d'America grazie all'in­ tuizione ddle incommensurabili potenzialità di accumula­ zione liberabili grazie all'esplosione dei consumi di massa in un grande e libero mercato come quello nordamericano, subito integrato dai dominions americano-latini e poi, in forme diverse, dall'Asia e dall'Africa, all'interno di una strategia volta alla definizione di un Mercato globale. L'epico scontro tra capitale e lavoro che ha dilaniato l'Europa per decenni, indebolendola socialmente ed eco­ nomicamente, non era che una sceneggiata di periferia in­ torno ad un problema marginale. Il vero scontro era quello tra patrimonio e consumo, che avveniva sottoterra, nei ca­ veaux delle Banche Centrali, dove si combatté una guerra senza armi ma non per questo senza crudeltà e senza vit­ time. Uno scontro che, non riuscendo a risolversi in nuovi e accettati equilibri finanziari, esplode con le sue contrad­ dizioni nella Prima grande guerra mondiale, ma ancora non trova una soluzione stabile nell'assetto che i bellige­ ranti danno al mondo dopo il 1918. Il trasferimento del controllo sul potere finanziario e politico dall'Inghilterra agli USA si realizza soltanto negli anni che seguono la Grande crisi del 1929, durante la quale le armate finanzia­ rie di dollari sconfiggono quelle raccolte a difesa delle più deboli sterline e, marciando compatte dalla newyorchese Wall Street, conquistano la roccaforte della City londinese. Gli ultimi movimenti di assestamento verso la definizione del Nuovo ordine costringono le parti alla Seconda guerra mondiale combattuta fra improbabili alleati contro altret­ tanto improbabili nemici. Con l'avvento del Nuovo ordine, il lusso rischia di ri.,. dursi a mera nozione storica a causa del processo di veloce democratizzazione cui il trionfo dei consumi lo sottopone. L'innovazione soffre per la manipolazione strumentale cui la sottopongono le esigenze di un Marketing al servizio di un Mercato tanto globale quanto onnivoro. Il design deve riuscire a darsi un ruolo strategico di allo 42




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