Op. cit., 108, maggio 2000

Page 1


Op.cii. rivista quadrimestrale di selezione della critica d'arte contemporanea Direttore: Renato De Fusco Redattori: Roberta Amirante, Alessandro Castagnara, Alessandra de Martini

Marina Montuori, Livio Sacchi Segretaria di redazione: Rosa Losito Redazione: 80123 Napoli, Via Vincenzo Padula, 2 -Tel. 7690783

Amministrazione: 80122 Napoli, Via Francesco Caracciolo, I 3 - Tel. 7614682

Un fascicolo separato L. 8.000 (compresa IVA)- Estero L. 9.000

_Abbo11ame11to annuale:

Italia L. 20.000 - Estero L. 24.000 Un fascicolo arretrato L. 10.000 - Estero L. 11.000 Spedizione in abbonamento postale - 70% Direzione commerciale imprese - Napoli C/C/P n. 245 14804

Electa Napoli


R. DE Fusco, G. PIGAFETTA,

c. ROSETI,

M. BUONO,

Reale, surreale e virtuale nella storia dell ·architet­ tttra 5 15 Storia, arte, movimento 32 Steven Holl o dell 'an:hitettura concettuale v Il design dei ser izi 43 libri. riviste e mostre 55

Alla redazione di questo 1111111ero lw,1110 collaborato: Maria Vittoria Capita­ nucci, Alessandro Castagnaro, Alessandra de Martini, Imma Forino, Mauri­ zia Tozza Conti.


la rivista si avvale del collfributo economico dei seguenti Istituti e Aziende:

Alessi

Driade



Com'è stato osservato, conosciamo la realtà [...] ma ciò che è possibile lo conosciamo appena. L'ambito del possibile è quasi illimitato, quello del reale è molto limi­ tato perché di tutte le possibilità è sempre una soltanto quella che si può trasformare in realtà. Il reale è un caso particolare del possibile [...]. Ne consegue che, per po­ terci addentrare nel possibile dobbiamo trasformare il concetto del reale2 • Consideriamo pertanto i due termini del brano citato, quello di «reale» e quello di «possibile», quest'ultimo equi­ valendo a «potenziale» e per esso a «virtuale». Nel suo si­ gnificato letterale, l'espressione «reale» denota qualcosa che ha effettiva esistenza e si contrappone a «possibile» in quanto esprime attualità; si contrappone altresì a «ideale», «illusorio», «immaginario» in quanto implica concretezza oggettiva; si contrappone ancora ad «apparente» in quanto postula contenuti, valori o aspetti effettivamente esistenti. Se passiamo da quest'uso corrente del termine «reale» alle sue molteplici accezioni filosofiche, esso acquista, non fos­ s'altro che per la sua problematica epistemologia, signifi­ cati assai più pertinenti al rapporto fra surreale e architet­ tura. Operando una estrema semplificazione, si può dire che, in prima istanza, il termine «realtà» indica il modo d'essere delle cose che esistono fuori dalla mente umana o indipen­ dentemente da essa. Tuttavia la maggioranza degli autori

6

fornisce una diversa interpretazione. Cartesio non ammette questa esistenza autonoma della realtà poiché oggetto della conoscenza umana è soltanto l'idea e giustifica la realtà delle cose motivandola col fatto che la natura non può in­ gannarci assegnando a noi idee che non rappresentino nulla (Méd., IV). L'empirismo di Berkeley e Hume legava 1� realtà delle cose alla nostra percezione, per cui le cose, in quanto percepite, non potevano avere esistenza autonoma. L a realtà autonoma delle cose è invece riconosciuta da Kant grazie all'assunto per cui la coscienza della mia propria esistenza è a un tempo immediata coscienza dell'esistenza di altre cose fuori di me ( Crit. R. Pura, Anal. trsc.


II, cap. Il). Alcuni autori connettono l'esistenza della realtà col principio di attività. Per Novalis l'attività è la vera realtà. Altri filosofi, quali Destutt de Tracy e Dilthey, l'as-. sociano alla resistenza che le cose oppongono al movi­ mento. Per Heidegger la realtà delle cose è la loro utilizza­ bilità giacché vivono a fianco del nostro esserci nel mondo. Altre definizioni di realtà sono ricavabili da proposizioni che riguardano l'altro termine di cui ci occupiamo, il «pos­ sibile». Anch'esso in senso letterale appare scarsamente proble­ matico: nel Devoto-Oli viene definito ciò che rientra nei li­ miti della supposizione astratta o concreta [... ] Di ciò che rientra nei limiti di una facoltà oggettiva o soggettiva. Ma lo stesso semplicismo non compare nell'accezione filo­ sofica del termine, dove esso acquista varie e complesse connotazioni. Per Platone esiste tutto ciò che ha per na­ tura la possibilità di fare qualche cosa qualunque o di subire un'azione (e sia pure tutto ciò in maniera picco­ lissima e per una volta sola e rispetto alla cosa piu insi­ gnificante) (Sof., 247 e). Per Aristotele il possibile ha tre si­ gnificati: ciò che non è di necessità falso; ciò che è vero; ciò che può essere vero (Met., V, 12, I O 19 b 30). Ockham ri­ tiene che il possibile non è altro che il non-impossibile. Per Leibniz, per essere possibile basta che una cosa sia intelligibile. Poiché il termine in esame richiama il dualismo aristo­ telico di potenza ed atto, è significativo quanto sostiene Hobbes: è impossibile l'atto per la cui produzione non ci sarà mai una potenza piena. Poiché la potenza piena è quella nella quale concorrono tutte le condizioni che si richiedono per produrre l'atto, se non ci sarà mai la po­ tenza piena, mancherà sempre• qualcuna delle condi­ zioni senza le quali l'atto non può prodursi: sicché questo atto non potrà mai prodursi, cioè sarà un atto impos­ sibile. L'atto che non è impossibile, è possibile. Perciò ogni atto possibile deve verificarsi ogni tanto: se non si verificasse mai, mai concorrerebbero tutte le condizioni che si richiedono alla produzione di esso e sarebbe quindi, per definizione, un atto impossibile, il che è con-

7


tro l'ipotesi (De Corp., IO, § 4). Per Kant che vi sia una possibilità e che tuttavia non vi sia nulla di reale, è con­ traddittorio; giacché, se non esiste nulla, neppure è dato nulla che sia pensabile e ci si contraddice se ancora si vuole che ci sia qualcosa di possibile, ovvero col togliere il materiale e i dati a ogni possibile, viene anche negata ogni possibilità. A conclusione di questo breve excursus sui

concetti di «reale» e di «possibile», visti sia in termini logici che in termini di possibilità effettuali, Abbagnano scrive: la possibilità oggettiva o reale è dunque fondata sui dati della esperienza ed è una possibilità che l'esperienza sola, e non già il semplice concetto, autorizza ad ammet­ tere [... ] Considerando le possibilità come infinite si

viene ad escludere la loro indeterminazione e limita­ zione: difatti ciò che manca a una di esse per realizzarsi infallibilmente può essere sopperito dalle altre, se sono infinite; e le possibilità si trasformano allora in poten­ zialità necessarie J .

8

Per parte nostra, ci sembra dimostrato che il concetto di possibile è molto più esteso e problematico che non quello di reale, quest'ultimo peraltro sempre riconducibile all'e­ sperienza empirica. Comunque, non abbiamo dubbi sull'as­ sunto per cui il reale è solo un caso del possibile e che que­ sto sussuma l'altro. Ora, riferite all'arte e all'architettura, queste definizioni da un lato rendono più complesso il problema reale-sur­ reale, dall'altro, lo semplificano. Infatti, poiché ogni opera d'arte è frutto d'artificio, essa non può essere cosa auto­ noma e indipendente dal nostro pensiero, donde la caduta di tutte le denotazioni che comportano una esistenza fuori di noi. Se fosse vero l'assunto di una realtà autonoma, si dovrebbe dedurre che arte ed architettura non sono mai reali nell'accezione suddetta. D'altra parte sappiamo dalla storia che - mentre tutti gli eventi sono passati, quasi senza lasciare traccia se non nella disciplina che li studia, la sto­ riografia - le opere d'arte e d'architettura sono le uniche che coincidono con gli eventi, le sole a lasciare tracce quasi indelebili, donde l'assunto che architettura,'arti e cultura



magine e la cosa da essa designata. Un rapporto che ne ri­ chiama un altro tra i più pertinenti sia al linguaggio parlato sia all'architettura: quello della somiglianza «per natura» o «per convenzione». Nel mondo antico l'interesse linguistico è spiccata­ mente logico e s'incentra sul problema, in un certo senso ancora attuale, espresso dalla fonnula «per natura» (physei) o «per convenzione» (thesei). Nel testo che meglio discute tale problema, il Cratilo di Platone, si poneva l'alternativa se il legame tra parole e cose fosse da considerarsi dovuto alle caratteristiche naturali, proprie dei fenomeni denotati, oppure istituito per convenzione. li primo, com'è noto, sia pure con diversi accenti, fu al centro del pensiero artistico del mondo greco-romano e, ponendosi sia per la rappresen­ tazione visiva, sia per il linguaggio verbale, investì quindi ogni forma di comunicazione, ivi compresa l'architettura e la sua estetica. Vitruvio fa nascere l'architettura dall'imita­ zione di forme naturali, così come naturale è per lui la ge­ nesi del linguaggio che induce le comunità primitive a co­ struire; alla sua originaria e mitica capanna lignea si rifa­ ranno i trattati rinascimentali, ed essa sarà al centro del di­ battito settecentesco, quando cioè, proprio in nome d'un or­ dine naturale, vi si ricorrerà per combattere le «innaturali» forme barocche. Ancora naturalistica sarà la concezione ot­ tocentesca dell'architettura: si pensi alle indagini morfoge­ netiche delle «arti industriali» (Semper) e alla tendenza or­ ganica, infine, costantemente ricorrente in tutta la storia del­ l'architettura fino all'Art Nouveau, alla poetica wrightiana ed oltre. Pur essendo noi convinti convenzionalisti, è innegabile che qualcosa di naturalistico è anche presente nell'architet­ tura. Ci riferiamo, sia pure come curiosità lessicale, ad al­ cuni termini architettonici. Nella nomenclatura tipologica dei templi, i termini: prostilo, anfiprostilo, periptero, dip­ tero, pseudoperiptero ecc., derivano da stylos (colonna) e ptero11 (ala), quasi ad indicare una diretta dipendenza da un elemento realmente esistente nell'organismo designato. 10 Tuttavia riferendosi al Cratilo, Cassirer afferma: la tesi se-



zione contenuta in un altro precedente passo. Infatti, mentre in tutto il dialogo i termini «convenzione» ed «uso» ven­ gono identificati, qui si afferma: Se poi l'uso non è per niente una convenzione, non sarebbe neppure ben detto che è l'imitazione che mostra, ma l'uso; giacché questo, come pare, mostra sia con il simile che con il dissimile. (Crat, 435 a-b). Ecco l'utilità del paradigma physei-thesei al fine di «co­ struire» un significato di surreale. Infatti se, pur ammet­ tendo che le forme architettoniche si rifanno più alla con­ venzione. che non alla natura - tesi alla quale, come s'è dello, noi aderiamo - la dicotomia natura-convenzione si ri­ solve nell'«uso», questo termine ed il relativo cancello co­ stituiscono una delle chiavi migliori per distinguere il reale dal surreale, ovvero il possibile dall'impossibile. Infatti è

l'uso di determinate forme che conferisce ad esse l'attri­ buto di reale, verosimile e possibile. Viceversa le forme che

non si usano richiamano l'idea dell'irreale, dell'inverosi­ mile e dell'impossibile. Donde la deduzione logica che il surreale dà forma a ciò che l'uso comune ci faceva ritenere impossibile. Tutto quanto precede non nasce solo dal gusto di una speculazione linguistico-filosofica, bensì da due precise fi­ nalità. Infatti, in possesso di una attendibile definizione del concetto di «surreale», siamo in grado di ricercarlo in tutto l'arco della storia dell'architettura, non evidentemente in maniera esaustiva, ma relativamente ai casi più emblema­ tici, alcuni dei quali sopra menzionati. Volendo immaginare lo schema, la struttura, l'artificio storiografico funzionante da guida per tale ricerca, si può prevederlo suddiviso nei pe­ riodi classico, medievale, moderno e contemporaneo, non­ ché limitato allo studio di: I) opere d'architettura effettiva­ mente realizzale; 2) progetti d'architettura; 3) decorazioni pittoriche e plastiche presenti in edifici o progetti; 4) dipinti e sculture rappresentanti architetture; 5) brani critico-lette­ rari riferiti comunque all'architettura. Ma oltre a questo progetto di ricerca, l'interesse per il surreale, come si ac12 cennava all'inizio, è motivato anche quale fattore di dialet-



Edgard Morin scriveva: l'immaginario è l'aldilà mul­ tiforme e pluridimensionale della nostra vita, nel quale siamo ugualmente immersi. È l'infinita scaturigine vir­ tuale che accompagna ciò che è attuale, vale a dire sin­ golare limitato e finito nel tempo e nello spazio. È la struttura antagonista e complementare di ciò che si dice reale, e senza la quale, indubbiamente non ci sarebbe reale per l'uomo, o meglio, realtà umana�.

1 A. LALANDE, Dizionario c:ri(ic:o cli _filos,ifia, ISEDI, Milano

1971, p. 900. 2 F. DORRENMAT, Giustizia, cit. in F. RELLI\, Figure nel labirinto. La matamorfosi di una meta.fora, in P. E1SENMAN, La.fine del da.çsico, CLUYA, Venezia 1987. p. 20. � N. ABBAGNANO, Dizionario di jilo.wif,a. UTET, Torino 1964, p. 669. • E. CASSIRER, Filo.wif,a delle forme simboliche, La Nuova Italia. Firenze 1965, voi. I. p. 71. ·' E. MORIN, L'industria cultura/e, saggio sulla cultura di massa, Il Mulino, Bologna 1962, p. 75.

14



neare l'importanza, per la storia e la critic a d'arte, dell'idea di movimento. Ossia, cercherò di evidenziare come quest'i­ dea si trovi alla base sia della storiografia sia dell'estetica moderne, ne11a loro autonomia come nel loro reciproco rap­ porto. Ovviamente, vista la brevità del testo, unita alla com­ plessità del tema, mi limiterò a un accenno e a una possibile prospezione di sviluppo. In primo luogo guardiamo al rap­ porto storia-movimento; e, poi, a quello arte-movimento. 2. L'artificiofra gli artifici

Per introdurre il rapporto storia-movimento possiamo partire da un recente libro di Renato De Fusco, «Artifici» per la storia dell'architettura•. Già dal titolo si pone la questione centrale: non si dà storia - in generale e, tantomeno, storia dell'architettura - se non si mettono in campo e non si tema­ tizzano quegli «artifici» che permettono di trasformare le tracce del passato in un racconto dotato di senso. D'altra parte, non vi può essere né dimensione disciplinare né speci­ ficità gnoseologica se una regione del sapere non si interroga sui concetti fondamentali che la informano. Fra questi con­ cetti fondamentali, De Fusco pone subito in prima linea la vexata quaestio del rapporto fra storia e storiografia. Nono­ stante il suo carattere riduttivo e «scolastico», sottolinea De Fusco, la distinzione fra Res gestae e Historia rerum gesta­ rum resta un irrinunciabile strumento orientativo e operativo. Ciò, in particolare, nel campo della storiografia architetto­ nica: possiamo dire che anche per l'architettura la storia

attiene alla realtà, mentre la storiografia pertiene all'«artificio»2 • Ora, su questo punto si potrebbe aprire - o

16

riaprire3 - uno spiraglio di discussione. Ma la questione che, qui, mi pare rilevante è un'altra. De Fusco stesso, infatti, sot­ tolinea come il dia1lele storia/storiografia non si presenti sempre nel suo carattere di netta separazione. Anzi, esso ap­ pare come «sporcato» da un'ambivalenza non risolvibile con una formula filosofica o con un semplice rinvio alle esigenze di questo o quel metodo storiografico.



che non rivela alcun significato «profondo». Anzi, si è af­ fermata la pretesa di svelare, attraverso il nuire degli eventi, il fondamento ultimo che li sostiene e li dota di senso. In questo modo si è voluto custodire ciò che «permane» e che «sostiene» l'incessante rovina dell'accadere. Insomma, se per gli antichi l'Historia, nel suo carattere di «cronaca», non poteva giungere alle soglie del vero sapere, per i moderni lo diventa in virtù non di ciò che, semplicemente, appare ma in virtù di un fondamento che si «rivela». Perciò, nella moder­ nità, muta il rapporto fra Historia rerum gestarwn e Res ge­ stae. Ove queste ultime assumono il ruolo di una «fenome­ nologia» indisgiungibile dal fondamento che essa stessa ri­ vela. In tale contesto, al racconto storiografico è affidalo il compilo di ripercorrere, nella propria razionalità discorsiva e scritturale, la natura di quel fondamento (persino nell'ipo­ tesi che esso sia costitutivamente «irrazionale»). Solo in questa determinazione è possibile rendere indiscernibili storia-studio e storia-realtà (ritornando ai termini usati da De Fusco). E ciò è possibile, a mio avviso, solo se si pre­ sume che il termine medio fra loro (il «concetto di storia») enunci una verità implicita: la ragione e il reale si rispec­ chiano l'un l'altra nella figura del movimento. Movimento è, allora, la parola magica che val la pena, qui, di interrogare. Essa tiene insieme storia-realtà e storia­ studio attraverso una chiave analogica. È, infatti, pura ana­

logia quella che istituisce un simulacro dinamico fra ra­ gione storica e divenire reale, fra scrittura e catena degli

eventi. Parole e immagini analogiche come «processo», «sviluppo», «fluire», «cammino», «progresso», ecc., sono persin troppo ricorrenti nelle diverse narrazioni della storia universale, da Turgot a Voltaire, da Condorcet a Bossuet. E, d'altra parte, il nucleo vitale di questa analogia sta nel cuore pulsante dello storicismo: emblematicamente, nella idea di

Bewegung, con cui Hegel caratterizza il divenire della sto­ ria. All'idea di movimento (la Bewegung, appunto), si ispira il pensiero hegeliano in generale: il movimento dialettico

18

rappresenta la chiave di volta che regge l'intera fenomenologia. Hegel non si stanca mai di ripetere, lungo tutta la sua



Entwicklung einer Autonomen Architektur, Vers une Archi­ tecture - con il corollario di Verso un 'architettura organica - e, sopra tutti, Pioneers of the Modern Movement from Wil­ Liam Morris to Walter Gropius. Quest'ultimo titolo rappre­

senta forse il maggior emblema di quanto appena detto. Esso sottintende ed esprime con sintesi perfetta la forza per­ suasiva e unificante dell'idea di movimento quale termine medio fra storia-realtà e storia-studio. Nel movimento della modernità ricadono il senso e il valore dell'architettura con­ temporanea. Ma in esso, soprattutto, si rispecchiano la ra­ gione profonda di ciò che accade (la storia-realtà) e la ra­ gione storica che descrive l'accaduto (la storia-studio). Pio­ neers of the Modern Movement rappresenta, quindi, una delle più semplici ed efficaci dimostrazioni di come, nella metafora del movimento, l'ontologia della storia possa confondere i piani degli eventi e del racconto. Così, nella formula «Movimento Moderno» è forse più significativo e definitorio il sostantivo rispetto all'aggettivo. Esso è ancor «più centrale» nella geometria dei valori che hanno informato l'architettura moderna e la sua storiogra­ fia. Il carattere di «artificio storiografico» del termine «Mo­ vimento Moderno» è ormai fuori discussione9• Eppure, come è stato ben sottolineato, l'espressione «Movimento Moderno» ha gradualmente perso il proprio originario valore di device storiografico per assumere(...) piuttosto quello di termine designante una supposta realtà storica fattuale 111• Ora, è chiaro che le motivazioni di una tale as­

20

sunzione di «realtà» sono molteplici e di difficile individua­ zione. Tuttavia, esse forse derivano anche dall'implicita na­ tura e dall'immagine di quella espressione. Infatti, nell'idea di movimento che la sostanzia, la modernità veicolata dal termine «Movimento Moderno» è innervata dai più cano­ nici topoi con cui lo storicismo ha voluto descrivere il cam­ mino dello spirito: le idee di «epoca», di «eroe della storia», di «spirito del tempo», di «stile» ecc. Attraverso il sostan­ tivo «movimento» la modernità seppe fare, della coscienza epocale storicista, l'imperativo della propria attualità. Soltanto da questo presupposto le forme dell'architettura mo-



estetica. Si tratta, peraltro, del luogo fondativo dell'estetica moderna: l'Aesthetica di Alexander Gottlieb Baumgarten. E il legame fra estetica e idea di movimemo appare tanto più stretto se si considera che proviene dalla definizione di due fra i più fortunati neologismi della cultura settecentesca: «dinamica» e, appunto, «estetica». È noto che il primo viene introdotto da Leibniz, che ne rivendica con orgoglio la paternità: a quel termine si rifanno i titoli di due saggi fondamentali della meccanica leibni­ ziana, I' Essay de dynamique del 1692 e lo Specimen Dyna­ micum del 1695 1:l. Il secondo neologismo, invece, viene in­ trodotto nella cultura filosofica nel 1735, ad opera di Baum­ garten. All'interno delle Meditationes philosophicae de nonnullis ad poema pertinentibus, «estetica» sta ad indicare quella branca della scienza che aLtiene specificamente alla conoscenza sensibile 14 • Il termine, poi, avrebbe avuto una vera e propria consacrazione ed un'esplosiva diffusione at­ traverso la più famosa opera baumgarteniana, apparsa tra il 1750 e il 1758: Aesthetica. Di per sé, la cosa non pare dover suscitare particolari problemi e spingere a ulteriori conside­ razioni. In fondo si tratta di due neologismi che, semplice­ mente, stanno ad indicare l'esigenza, da parte della cultura moderna, di aprire, a fronte di antichi temi ed esperienze, nuove regioni ideali di comprensione. Per di più, «dina­ mica» ed «estetica» appartengono a due regioni ideali non facilmente sovrapponibili: non soltanto oggi, nella più con­ solidata autonomia disciplinare, ma neppure nel periodo in cui iniziò la loro fortuna. Tuttavia qualche elemento in co­ mune, addirittura originario e problematico, quei neologi­ smi forse lo hanno. Non solo perché Leibniz e Baumgarten sono legati dalla filiazione e dallo sviluppo di tematiche co­ muni. Ma perché una sorta di figura fondamentale - ap­ punto l'idea di movimento - lega «dinamica» ed «estetica». Queste, infatti, hanno derivazione analogica dal concetto di impetus leibniziano e dall'assunzione di quel concetto nel­ l'estetica di Baumgarten. Ciò secondo un percorso che val la pena rammentare. 22 In Leibniz, la nozione di impetus - già diffusa nella mec-



dare la misura matematica del

movimento che l'anima ac­

quisisce nell'impeto estetico: per la precisione, le «forze

vive» saranno maggiori di quelle «morte» in ragione qua­

dratica 19. Questo è esattamente il rapporto che, nella dina­

mica leibniziana, lega «le forze dei corpi nell'universo» ai «quadrati del le loro velocità» 20 e che, secondo un'impropria ma sintetica notazione moderna, si può ridurre alla formula F=mv2 •

5.

Per una storia dell'idea di movimento

Da quanto appena detto si vede come l'idea di movi­ mento, per di più misurato in termini fisico-matematici, stia

nell'atto di origine dell'estetica moderna. D'altra parte la

cosa non dovrebbe sorprendere più di tanto. Baumgarten, in fondo, non fa altro che registrare all'interno della «logica

tedesca», un forza metaforica dell'idea di

movimento che,

prima e dopo di lui, ha assunto un determinante ruolo espli­ cativo nella riflessione sull'arte e sul bello. In età moderna,

infatti, il rapporto fra opera d'arte e sentimento si è sovente

giovato di un surrettizio o esplicitato rapporto d'analogia con l'idea di movimento.

«L'uomo si muove, gestisce e parla», così si apre un ce­

lebre scritto di Van de Velde dedicato al significato della li­ nea nell'arte21 . Quella condizione fisica e reale dell'uomo in

movimento evocata da Van de Velde rappresenta, a mio av­

viso, la chiave per comprendere non solo una delle tante teorie artistiche contemporanee. Essa può indicare, e deli­

neare fra le altre, una struttura semantica che proietta l'o­

pera d'arte e ne organizza, nel contempo, anche la com­

prensione critica. Non si tratta, evidentemente, di propon·e una fenomenologia della percezione e della creazione arti­

stica che tutto riconduca a una costante antropologica o, ap­ punto, a una struttura onnideterminante (l'idea di movi­

24

mento). Si tratta, invece, di immaginare un nesso fra una se­ rie di grandi metaforè legate all'idea di movimento che, a

vario titolo, hanno dato forma alle più significative stagioni



blematico nella riflessione sull'arte e sui suoi prodotti. Si trallerà allora di comprendere come il movimento delle par­ ticelle estese (per esempio il suono di una melodia o la luce che colpisce il nostro occhio promanando da un quadro) possa far muovere l'anima. Come è possibile, si domanda Descartes, che due sostanze agiscano l'una sull'altra e che attraverso il movimento di particelle estese vi sia un moto dell'anima inestesa? Qui la questione si complica, si ingar­ buglia, si tinge di convenzionalismo, di occasionalismo e di relativismo. Infalli, se per quanto attiene alla meccanica, la certezza e la «costanza» dei fenomeni fisici deriva da una scelta divina che ne assicura l'universalità, non altrettanto vale nel campo dei «moti dell'anima» 23 • Non pare esserci relazione meccanica e «oggelliva» (diremmo noi) fra i moti che i nostri sensi, colpiti dalle particelle materiali, regi­ strano e le reazioni che avvertiamo. Ciò che induce moti piacevoli nelle fibre di un uomo può avere effelto opposto in quelle di un altro. È questo il dilemma che nutre lo scambio epistolare fra Descartes e Mersenne 24 sulla natura più o meno arbitraria del beHo. Ed è questo dilemma che si ripro­ porrà in più occasioni nel dibattito sei-settecentesco sulla natura del bello e del piacevole. Per quel che ci riguarda, possiamo ricordare almeno due luoghi fondamentali in cui si riverbera il dilemma cartesiano e che possono rappresen­ tare altrettanti snodi di una possibile storia dell'idea di mo­

vimento.

. 26

Il primo è rappresentato dalla discussione sviluppatasi nel seno dell'Académie sulle nozioni di bellezza arbitraria e bellezza positiva. Se è vero che, primi fra tutti, Bionde! e Perrault ripercorrono diatribe che opponevano Descartes, Gassendi, Spinoza, Leibniz o Malebranche25 è anche vero che le cosmologie dominanti in quel milieu diventano im­ pliciti modelli di riferimento. Per esempio, comprendere a quale idea di movimento si riferissero i due Accademici può aiutare a comprendere qualche aspetto del dibattito. Mi pare infatti abbastanza evidente che un «discepolo di Galileo» come BlondeF6 difficilmente avrebbe potuto accettare il reJativismo della lezione cartesiana a cui guarda un pur scet-


tico Perrault27 • Infatti, la «logica ipotelica»2K che, secondo Descarles, governa l'ordine del mondo avviluppalo in vor­ tici in perenne movimento, non può fornire garanzie a una teoria dell'arte normativa né, tantomeno, a una regola del gusto. Ne consegue che, secondo la lettera cartesiana, il giu­ dizio viene ricondotto esplicitamente alla più generica «consuetudine». Ora. questa conclusione viene rifiutata (Bionde!), accettata (Perrault) o argomentata (Crousaz). L'impegno di Crousaz potrebbe allora essere inteso quale secondo snodo nell'affermazione dell'idea di movi­ mellfo vista come filtro interpretativo della storia dell'arte e delle sue teorie in età moderna. Centrale, in questo fran­ gente, è certamente il Tra.ité du Bea.u29 che Crousaz pub­ blica nel 1714. Esso viene, infatti, preparato nella lenta ri­ conquista della scienza cartesiana a partire da un tardo ari­ stotelismo. Ed esso si inscrive nella fatica che ha condotto all'opera forse di maggior successo accademico di Crousaz: i I Discours sur le principe, la. nature et la. commwzication du mouveme,u�0• Dalle riflessioni che avrebbero poi portato a quel lavoro sulla natura del movimento sorge la teoria del bello di Crousaz. L a sua psico-fisiologia del bello, infatti, lenta proprio di incardinare a una tarda meccanica carte­ siana il registro delle sensazioni che l'arte risveglia nel­ l'uomo. Per Crousaz, ad esempio, il movimento che le parti­ celle estese dell'aria inducono sulle «fibre» dell'orecchio ha diverse corrispondenze nei moti dell'anima. Ma, come inse­ gna il Maestro, nessuna corrispondenza fra piacevole e sgradevole è assicurata all'orecchio umano che, così, ap­ prezza o rifiuta una melodia musicale in modo apparente­ mente arbitrario. Ma, al di là del crinale dell'età cartesiana, si offrono in­ numerevoli occasioni per porre in relazione l'idea di movi­ mento con la storia e la teoria dell'arte. Senza ritornare sul ruolo che quell'idea svolge nell'affermazione dello storici­ smo e dell'estetica, si possono immaginare numerosi pas­ saggi tematici salienti, che a titolo di esempio, voglio solo accennare. Pensiamo, allora, al rapporto fra grazia e bel­ lezza, tutto giocato sull'apparente contraddizione insita nel 27


fallo che il bello possa presentarsi in movimento. La grazia, infatti, è propriamente bellezza in movimento: dalla natura di tale movimento deriva la possibilità delle piacevoli sensa­ zioni che un'opera d'arte può trasmettere. Di ciò si occu­ pano Schiller come Winckelmann, Mengs come Schelling. E, così, con un altro esempio, l'occhio che, con un movi­ mento inarrestato, scivola «vertiginosamente» sul décolleté di una bella donna, secondo una celebre immagine di Burke, apre lo spirito al godimento della forma fluens�•. Di con­ verso, «nella delicatezza di atteggiamenti e movimenti con­ siste tutto l'incanto della grazia». E, sempre in riferimento a Burke - ma anche a Hogart, a Marey, a Van de Velde - pen­ siamo alla figura della «linea-forza»n, del movimento inteso come empatetico riflesso dinamico del sentimento interno. E, ancora, pensiamo alle dottrine psicologistiche della Einfuhlung, sino alla dicotomia astrazione-empatia di Wor­ ringer. Insomma, il piacere estetico come corrispondenza del volere e delle forme «in movimento», non è formula che vale solo per Lipps e i suoi epigoni. Essa scandisce con ri­ corrente presenza l'intero cammino dell'estetica e della fe­ nomenologia artistica moderne: dal «dinamismo ritmico» caro a Mondrian e a larga parte dell'astrattismo, a Wolfflin, Hildebrand, Nohl, Zimmermann, ecc. Ma ciò _segna anche la stagione del Futurismo e, lo abbiamo già detto, del Movi­ mento Moderno. Neppure il Tradizionalismo�\ nel suo con ­ cetto fondamentale di lento movimento dell'ideale artistico attraverso la forma in «evoluzione», è esente dalla fascina­ zione che connota i suoi antagonisti. In ognuno di questi passaggi - e in numerosi altri - si cela la forza metaforica ed evocativa dell'idea di movi­ mento. E, come abbiamo accennato, essa può aiutare a rile­ vare, se non una struttura fondativa, quantomeno un nesso ricorrente e comune a quei passaggi. Ciò almeno sino alla «transavanguardia» e al «postmoderno» che hanno, credo,

28

ancora lafacies di «movimenti». Solo in tempi assai recenti - con il moltiplicarsi dei punti di vista storiografici, con il proliferare di incomponibili proposte artistiche, con lo svanire della figura guida di un unitario «Spirito del tempo» -



faire de l'abus qu'on en fait. Je trouvai donc que leur nature consiste dans la force, et que de cela s'ensuit quelque chose d'analogique au sentiment & à l'appetit; & qu'ainsi il faloit les concevoir à l'imitation de la notion que nous avons des Ames". 1" CHR. WoLFF, Psyc:lwlogia rationali.f, Francofurti et Lipsiae 1740, §. 529: "Ex vi repraesentativa universi situ corporis organici in universo materialiter, mutationibus organorum sensorium formaliter limitata, ratio reddi potesi omnium eorum, quae de anima observan­ tur". 17 A. G. BAUMGARTEN, Metaphysic:a, Halae Magdeburgicae 1779, §. 741. IK G. W. LEIBNIZ, Spec:imen dynamic:um ..., cii., p. 317. 1� A. G. BAUMGARTEN, Aesthetic:a, Traiecti cis Yiadrum 1750, §. 78: " ... atque adeo denl effectus his suis vi1ibus vi vis aequales, viri bus ordinariis maiores, et ad eas se circiter habentes. uti quadratum ad ra­ dicem ...". 211 G. W. LEIBNIZ, Specime11 dynamic:um...• cit., p. 323: "Eodemque modo generaliter colligitur, vires aequalium corporum esse ut qua­ drata celeritatum, & proinde vires corporum in universum esse in ra­ tione composita ex corporum simplice, & celeritatum duplicata". 21 H. VAN DE VELDE, Essais, Leipzig 1910; tr. il., ID., Per. il nuovo stile. Milano 1966, p. 181. 22 Nel Di.çc:ours de la Métlwde Descartes definisce la natura so­ stanziale della res c:ogitans dalla evidenza dell'atto del pensare. Ciò non è possibile anche per la fondazione dell'altra sostanza fondamen­ tale del suo dualismo: la res exte11sa. In questo caso. non può essere fondata sulla certezza del pensiero, altrimenti sarebbe un semplice predicato dell'io. Essa infatti deve fondarsi su un'altra evidente e in­ controvertibile certezza: la certezza del movimento. Scrive infatti De­ scartes: "Non mi resta più ormai che esaminare se vi siano delle cose materiali (...) lo riconosco anche in me alcune altre facoltà, come quelle di cambiar luogo, di assumere atteggiamenti diversi, e simili. che non possono essere concepite come le precedenti, senza qualche sostanza a cui ineriscano. né, per conseguenza, esistere senza di essa; ma è evidentissimo che queste facoltà. se è vero che esistono, debbono inerire a qualche sostanza corporea o estesa, e non ad una sostanza in­ telligente." (R. DESCARTES, Meditatio11es de prima philosophia, Paris 164 I; trad. it., lo., Meditazioni filo.w?fic:he. Roma-Bari 1978. VI. p. 127). Da queste parole cartesiane emerge chiaramente che la facoltà del soggetto di «cambiar luogo» e di «assumere atteggiamenti diversi» diventa predicato di una sostanza estesa che è. poi, il regno dei corpi, della materia, delle cose. 2� Cfr. R. DESCARTES, Compendium music:ae Renati Cartesi. Huju.ç objec:tum est Srmus, in Id., Renati des Cartes Princ:ipia mathe­

seos universalis seu introduc:tio ad geometriae methodum, c:011.çc:ripta ab Er. Bartholino, Francofurti ad Moenum 1695, p. 5: "Finis ut delec­

30

tel, variosque in nobis moveat affectus, fieri autem possunt cantilenae simul tristes & delectabiles, nec mirum tam diversa..."; lo., Les passions de l'iime, Paris-Amsterdam 1649, §. XXVII.



Steven Holl o dell'architettura concettuale CLAUDIO ROSETI

Se le opere sono differellli e i cammi11i separati, che cosa hanno in comune i poeti? Non un'estetica ma una ricerca'.

32

Questa nota si colloca entro un percorso �i ricerca sul concettualismo architettonico intrapreso alcuni anni fa nella convinzione che il pensiero, al di là della ragione pragmati­ stica, guidando la forma e dotandola di qualità intellettuali e spirituali profonde, possa elevare il quoziente artistico e poetico dell'architettura attualmente sospesa tra le derive della mediatizzazione consumistica e dell'involuzione en­ tropica del contestualismo passivo. All'intervista pubblicata da «Op. cit.» nel 1995 viene in tal modo aggi•unta un'analisi aggiornata rispetto all'autode­ scrizione di cinque anni fa, cui si unisce un pur brevissimo confronto con altri aspetti del concettualismo contempora­ neo. Il grado <!'interesse per l'opera di Holl inoltre si è in questo frattempo accresciuto così come il consenso atte­ stato dalle pubblicazioni nazionali e internazionali e dai nu­ merosi premi e riconoscimenti ricevuti. Se pure l'atipicità della sua architettura può da una parte motivare l'attenzione dei media, la significatività in questa sede è avvalorata dal fatto che la sua produzione è supportata da una notevole quantità di studi teorici2 prodotti nell'ambito di una militanza accademica svolta con appassionata dedizione.


Il concettualismo di Holl è caratterizzato da un'estesa interdisciplinarità, pratica di fatto coltivata in varie forme da più parti ed attualmente in incremento sia per la proprietà di implementare la creatività, ma anche di rapportare meglio l'architetlura alla varietà e alla complessità del mondo at­ tuale3. La disciplina maggiormente coinvolta nell'opera di Hall è la filosofia, quell'arte del pensiero che peraltro ha sempre fatto parte dell'architettura more aesthetico come anche dell'insieme di conoscenze di tanti architetti da Palla­ dio, a Mies Van der Rohe, fino ai decostruzionisti Eisenman e Tschumi. L'interesse di Hall è incentrato sull'esistenziali­ smo e la fenomenologia di Husserl e Merleau-Ponty il quale, contro il dualismo cartesiano che separa la mente, pensante, dal corpo, con funzioni meccaniche, afferma che non «abbiamo»· un corpo ma «siamo» invece un corpo in­ dissolubilmente «intrecciato» alla coscienza cui non è osta­ colo ma un «mezzo» indispensabile alla percezione del si­ gnificato4, della quale tuttavia ha evidenziato la complessità e la difficoltà rilevando inoltre il superamento delle comuni definizioni di tempo lineare come di spazio omogeneo coin­ cidente con quello geometrico. E ciò riporta quindi ad una architettura concreta, quale traccia del lavoro umano e ri­ sposta ai desideri e ai problemi dell'uomo attuata non in forma elitaria e autoreferenziale, ma piuttosto con quel lin­ guaggio poetico celebrato dall'ermeneutica fenomenolo­ gica heideggeriana ed entro una visione umanistica e plura­ listica dove le differenze che compiono il significato corri­ spondono alle diversità individuali e culturali. In tal senso l'architettura non si può semplicemente «leggere», riducendola a pura immagine o informazione, poiché possiede un significato riposto nel suo rapporto con­ tingente con la vita reale, derivazione di un'irriducibile pre­ senza. Non rinvio a significati infiniti quindi e sospensione della presenza come vuole la decostruzione derridiana, che è infatti rifiutata da Hall il quale, in forma non programmatica tuttavia (la decostruzione infatti «avviene» anche in­ consapevolmente�), attua diversi temi decostruzionisti: dalla destabilizzazione di alcuni retaggi classico/moderni,

33


come la tipologia e il funzionalismo, al testualismo e l'uso di figure retorico-letterarie, alla contaminazione extradisci­ plinare e l'ibridazione architettonica, alla messa in valore della differenza e dell'assenza. Nel processo progettuale di Holl la priorità indiscussa, l'origine sempre diversa del progetto, è assegnata all'idea, quel concetto iniziale che cattura l'essenza dell'opportu­ nità architettonica di ciascun progetto, il principio di base che guida il disegno; e se la gran parte della critica apprezza nelle sue architetture la luce e l'uso dei materiali, Holl tutta­ via sottolinea sempre con forza: «per me, ciò che è impor­ tante è l'idea»". E illustrando ciò che trasmette ai suoi stu­ denti, quale essenza. metodologica della sua architettura, parla di strategia concettuale, dotata di un livello di senso valido in tutte le sue differenti applicazioni al progetto...Si insegna forza concettuale7 • Il concetto, la cui articolazione dipende dall'entità e dalla complessità del progetto, è corre­ lato al luogo e al programma formando un dispositivo euri­ stico secondo cui, attraverso altre due strumentazioni gra­ fico/concettuali, si compie l'atto progettuale; queste sono state elaborate per la prima volta in occasione del concorso per Porta Vittoria a Milano nel 1987 e consistono in primo luogo nella redazione di schizzi prospettici acquerellati (la vera cifra inconfondibile di Holl, inizialmente diviso tra l'arte pura e l'architettura) da cui sono fatti derivare degli schemi di pianta ricomposti poi in un insieme organico. Tale procedi­ mento attua pertanto un'inversione del tradizionale processo progettuale secondo cui, corbusierianamente, la pianta è la generatrice11• Per quanto tale prassi non sia usata solo da Holl, l'elevazione a metodo e l'enfasi assegnatale eviden­ ziano il paradosso di una geometria che scaturisce da im­ magini individuali e, allo stesso tempo, è il presupposto di questa come osserva Pierluigi Nicolin9• È come iniziare dalla traccia (che, come insegna Derrida, è quella che indica per differenza il significato) con un processo inventivo attuato .at­ traverso immagini poetiche di tipo performativo che mettono direttamente in opera il pensiero attraverso il concetto sov34 vertendo così il processo del razionalismo deduttivo.


A questa strategia di rappresentazione concettualizzata può essere affiancato un sistema di relazioni preposizio­ nali essenziali per le organizzazioni spaziali urbane co­ dificato in un abaco che illustra le relazioni di forze tra og­ getti architettonici in rapporto al terreno e, superando la classificazione tipologica, fornisce una serie di «legami e correlazioni» che Holl definisce programmazione semiau­ tomatica a partire dalle Relazioni primarie: Vicino, So­ pra, In cima, Sotto, Dentro, Contro, Tra, Attraverso, Da una parte all'altra, A fianco, Da. Seguono quindi le Con­ nessioni complesse che tendono a rappresentare le forme ibride della città contemporanea: 1. Sotto dentro un den­ tro, 2. Sopra dentro un dentro, 3. In cima a un sotto ... (e così continuando fino alla ventiquattro). io Queste strumen­ tazioni, insieme a fattori legati ad azioni, emozioni, rifles­ sioni, proprietà, significati, oggetti e spazi compresi 11 co­ stituiscono i cosiddetti «legami minori» di natura variabile in funzione della strategia complessiva adottata per quel de­ terminato contesto progettuale. Ad alimentare l'idea e la forza del concetto e dei suoi apparati è principalmente il luogo con le sue caratteristiche fisiche di luce, aria, odori, con la sua storia e la sua cultura che compongono un in­ sieme di qualità assolutamente uniche e fanno sì che unica sia anche l'idea per quel luogo, per quel progetto. Dello spi­ rito del luogo Holl si impadronisce dopo un'analisi accurata ed una lunga maturazione dell'idea entro un atteggiamento che non è da ritenersi contestuale così come comunemente inteso (Holl rifiuta questo attributo) ma è approssimabile alla recente definizione di Brian Hutton di apertura feno­ menologica alle specifiche sensazioni e condizioni del sito 12 . Il rapporto col luogo è principalmente catalizzato dalla letteratura che è il secondo riferimento extradiscipli­ nare in ordine di importanza nell'attivazione dell'idea, che non è solo la storia del luogo ma qualcosa che da questo sia indicata e vi appartenga facendo sì che il concetto diventi narrazione alla quale si informa quindi il progetto. Una delle prime realizzazioni, una casa per vacanze sulla costa presso Martha's Vineyard 1\ è stata riferita al

35


Moby Dick di Melville che narra come gli indiani di quei

luoghi trasformassero in abitazioni gli scheletri di balene

arenate sulla spiaggia; da qui la riduzione del volume edili­

zio allungantesi verso il mare alla nuda essenzialità del bal­

loon frame, la storica tipologia costruttiva americana che,

tellonicamente esibita, evoca con la sua storia quella dei co­ lonizzatori e dei pellirosse; spazialmente articolata da una

torre terrazzata e da un bovindo triangolare simile a una prua dislocata trasversalmente, è al tempo stesso una ele­ gante e non banalmente scoperta metafora navale.

Il notissimo complesso residenziale di Makuhari in

Giappone che, con i suoi duecento alloggi è la più estesa realizzazione di Steven Holl, è un esempio di concettualiz­

zazione interdisciplinare di tipo letterario oltre che un' ap­

plicazione delle «relazioni preposizionali essenziali» sopra­

citate. Sul terreno, in sé «pesante» e «silenzioso», poggiano

i cinque blocchi residenziali anch'essi silenti per la corpo­

sità dei volumi e l'omogeneità delle bucature di sapore loo­

siano (corrispondenti alla uniformità degli alloggi che sono stati disegnati internamente da architetti giapponesi) nono­

stante le piegature in pianta e in alzato con cui Holl ha bril­ lantemente risolto il problema delle norme sul soleggia­

mento articolando il complesso in un intreccio di corti se­ miaperte. Queste sono attraversate dalle forze «attive» di elementi «leggeri» che, con i loro «fruscii», rompono il si­

lenzio e l'uniformità dello sfondo creando quell'opposi­

zione dialettica di cui vive l'insieme. Questa sorta difolies,

con funzioni tuttavia ben precisate, compone un percorso interno sottolineato da elementi naturali (verde e acqua) ed

evoca le capanne entro cui Basho, il più grande poeta giap­

ponese, sostava per scrivere le sue poesie in quel «viaggio

interiore» descritto nel suo «Il sentiero del profondo Nord» denso di filosofia Zen. Questi elementi quasi scultorei, rea­

lizzati con materiali diversi dal calcestruzzo colorato delle

residenze (in prevalenza rheinzink o ottone ossidato), sono posti in luoghi cruciali siglando nodi o «porte d'ingresso»

36

che sono al tempo stesso nodi prospettici e concettuali, polarità architettoniche il cui straniamento controllato produce



38

tuale surrealista basato su una metafora antropologica dove si configura un corpo colpito da forze invisibili. Il concetto, pure letterario, che ha guidato il progetto del Museo di Helsinki è il chiasmo, figura retorica consistente nell'inversione reciproca del costrutto in due membri conti­ gui il cui etimo greco trae dalla lettera c il senso di interse­ zione, di sovrapposizione 14• II museo è in falli informato al­ i'intreccio (che è il titolo di un libro di Holl) 1� tra la geome­ tria della città (la linea della cultura) e quella della baia an­ tistante (la linea della natura) che conformano insieme la curvatura del museo composto dall'intersezione tra un vo­ lume a pianta e sezione curvilinee e un parallelepipedo. Al­ tre indicazioni provenienti dal luogo rafforzano le scelte compositive: una di tipo culturale (di cui le scelte iniziali avevano tenuto conto) costituita da un progetto di Alvar Aalto nel quale era già stata proposta una fusione dell'area con la baia, ed una di tipo naturale, in quanto la forma di sa­ pore kandinskiano simile ad una cornucopia consente di captare il più possibile la luce artica nelle varie stagioni. La musica ha invece guidato la concezione di Casa Stretto, realizzata presso Dallas nel 90-92, in un luogo ca­ ratterizzato da tre piccolissimi laghi prodotti da tre dighe poste attraverso un ruscello. La suddivisione in elementi «pesanti» e «leggeri», peculiare dell'architettura di Holl, è riferita alla «Musica per corde, percussioni e celeste» di Bela Bartok, uno «stretto» (che è la terza parte di una «fuga») composto da quattro movimenti dove le percus­ sioni, «pesanti», sono nettamente divise dalle corde, «leg­ gere». Holl traduce tutto questo in architettura sostenendo che, come la materialità musicale deriva dal suono rappor­ tato al tempo, cos1 la materia architettonica è ottenuta attra­ verso la luce rapportata allo spazio. La casa, divisa in quat­ tro parti, è scandita da «dighe spaziali» (pesanti) realizzate in blocchi di cemento da cui si librano delle volte rivestite in metallo (leggero) che conformano uno «spazio liquido» simmetrico a quello naturale antistante. L'acqua si ritrova anche materialmente nell'abitazione attraverso la vasca posta nel portico d'ingresso e la piscina che chiude la se-



temporaneamente reagire con materiali a tecnologia avan­ zata sui quali svolge (a volte nel suo stesso studio) speri­ mentazioni alternative come la ricerca di nuove patine sul­ l'ottone ossidato che usa frequentemente; adotta infine, oculatamente e appropriatamente, il metallo e il vetro, non come emblema fittizio di progresso, ma in ordine a neces­ sità strutturali il primo e di illuminazione il secondo. Quale sintesi infine per questo artista/poeta/filosofo/ scrittore ma sempre autenticamente e profondamente archi­ tetto al punto di venire paragonato a un maestro costruttore medievale (Frampton) che, al di fuori degli ismi e delle grif­ fes alla moda, si sottrae ad una categorizzazione univoca avendo saputo cogliere sia l'eredità moderna che l'istanza del nuovo filtrandole col presente? Sospeso tra una sorta di contestualismo critico reso sempre originale da quella idea, frutto di pazienti ricerche, e un neoespressionismo tempe­ rato con qualche punta di informale ma senza perdere di vi­ sta la totalità e l'ordine ortogonale, Holl perviene ali' Archi­ tettura privilegiandone il requisito fondamentale della spa­ zialità che compie per grazia delle prospettive che configu­ rano le sue visioni anticipatrici del progetto. Non interes­ sato alla mediatizzazione dell'architettura quanto invece alle sue ineludibili finalità, porta questa spazialità al suo acme nella plastica degli interni messa in valore dalla mani­ polazione sapiente della luce. Un sinteticissimo parallelo con il più celebre concettua­ lista contemporaneo, Peter Eisenman 11\ può dare infine la

40

misura del senso e del valore dell'architettura di Hall. Ei­ senman fa intervenire nel processo progettuale gran parte dei temi finora esaminati ma con forme e finalità completa­ mente diverse: l'interdisciplinarit'à è infatti usata come pura invenzione nella esasperata ricerca del nuovo inteso come primato; nel suo testualismo architettonico il luogo è as­ sunto principalmente come mezzo per raggiungere l'astra­ zione di un'architettura come tale, come immagine e come informazione dove l'uomo (come già nelle famose Houses) è generalmente ignorato; il rifiuto della geometria euclidea

e della rappresentazione iconica bidimensionale conse-


guono, per Eisenman, la priorità dell'apparenza rispetto all'esistenza 19 e, con il supporto massivo e spregiudicato del mezzo elettronico elevato a «forma di pensiero», atLua un linguaggio informale che, destabilizzando le coppie in­ terno/esterno e verticale/orizzontale si identi fica nello stato fluido e nel movimento. Se pure, com'è noto, a tutte le ri­ cerche necessita una dose di avanguardismo e spregiudica­ tezza (essendo preferibile inizialmente una «mira alta»), e pertanto apprezziamo sinceramente da oltre trent'anni l'ar­ chitellura di Eisenman, ne percepiamo anche tullavia quella sorta di aggressività e di arroganza che, in definitiva, fa forse preferire l'opera di Steven Holl che A. Pérez-G6mez ha definito «imaginativa y humilde », due preziose virtù.

1 OCTAVIO PAZ, Che cos'è la modernità, in «Casabella» n.

1990.

664,

2 Citiamo i più noti (cui sono da aggiungere inoltre innumerevoli anicoli sulle varie riviste): Anchoring. selected pmjects. 1975-199/, Princeton Architectural Press. New York, 1989; con A. PÉREz-G6MEZ e J. PALLASMAA, Questions of Perceptions. Tmvards a Phenomenology of Architecture, Finlandia, 1994; lnterwining. New York, 1996. Vi sono poi i Pamphlet Arc:hitec:ture, Princeton Architectural Press. _New York, di cui ricordiamo: il n. I «Bridges» (1977). il n. 5 «The Alpha­ betical City» ( 1980), il n. 9 «Rural & Urban House Types in Nonh America» ( 1982). il n. 11 «Hybrid Buildings» ( 1985). ·' Sulla necessità di una maggiore interdisciplinarità per l'architet­ tura cfr. P. PORTOGHESI, Natura e an:hiteuura, Milano, Skira, 1999, p. 407 e M. ILARDI, Non luogo e cmi/lillo, in G. CER VIERE, Non luogo e pmgello, Melfi, LibriA, 1998, p. 68. • A. PÉREZ-G6MEZ, La Architecrnra de Steven Holl: En Busca de un.a Poética de lo Concreto, in «El Croquis» n. 93, 1999, p. 20. � Cfr. in C. ROSETI, La decostruzione e il decostrullivi.mw. Pen­ siem e fi,rma de/I 'archite11ura, Roma. Gangemi, 1997. I O e 2 ° capi­ tolo. "J. K1PNIS, Una Conversac:i<111 co11 Steven Holl. in «El Croquis» n.

93. 1999, p. 6.

7 Y. FuTAGAWA, Intervista a Steven Holl, in «GA Document Extra. Steven Holl» n. 6. 1996. • P. CERRI, P. N1COLIN, (a cura di). Le Corbusier. Verso una an:hi­ tellura. Milano. Longanesi & C.. 1984, p. 31. '' P. N1couN. Le immagini e il 111oder110. in «Lotus international>, n. 102, 1999. p. 31.

41


m S. MARPILLERO, La geometria 11011-esatta di Steve11 Holl. in «Lotus intemational» n. 94, 1997, p. 105. 11 S. HOLL et al., Area di pmgetto 110rta Vittoria, in «Lotus inter­ national» n. 54, 1987. p. 96. 12 B. HATTON, L'architettura 11elle c:m1dizim1i del sito, in «Lotus intemational» n. 102, 1999, p. 93. •� Questo edificio, come gli altri citati in questa sede, è pubblicato sulle riviste più note del settore comprese quelle qui riportate, a cui ri­ mandiamo per l'indispensabile riscontro. 14 Dal greco khiasm6s = collocazione in forma di croce derivata dal nome della lettera greca c simbolo dell'incrocio. 1� S. HOLL, l11tenvi11i11g, cit. 111 Totalmente informata da sette lucernari è anche la cappella di S. Ignazio a Seattle (cfr. «Lotus intemational» n. 99 e «El Croquis» n. 78) che non abbiamo potuto descrivere per motivi di spazio così come ab­ biamo dovuto tralasciare i numerosi progetti a scala urbana di cui Holl si è interessato con proposte significative e coerenti con la sua ricerca complessiva. 17 A questo proposito cfr.• in «Lotus intemational» n. 79, «Valori tennici» di F. Purini che, sette anni fa, auspicava una rivalutazione delle qualità fisiche dei materiali così come dei valori concettuali del­ l'architettura. 1• Cfr. C. ROSETI, op. c:it., 4° e 5° capitolo. 1'' L. GALOFARO, Eise11ma11 digitale. Uno studio dell'era elettro11ic:a, Torino, Testo & Immagine, 1999.

42


Il design dei servizi MARIO BUONO

Il dizionario scientifico dei nostri giorni si arricchisce continuamente di termini nuovi, coniati per sintetizzare ed indirizzare, come degli slogan, gli orientamenti assunti dalla ricerca nell'ambito dei diversi settori del sapere. Co­ sicché, spesso accade di imbattersi in concetti quali quello della ecologia o della sostenibilità ambientale che, dato il loro frequente utilizzo, finiscono sempre più spesso per as­ sumere la valenza di mode, il più delle volte abusate ed im­ poste. Prima ancora della crisi energetica del 1973, difatti, Tomàs Maldonado scriveva nel suo poscritto inserito nella seconda edizione del testo La Speranza Progettuale - Am­ biente e Società ( 1970) -: E così è nata la moda, abusiva­ mente detta ecologica. Ci si riferiva al rapporto società e natura e l'ecologia, come. una moda, risultava diffusa a li­ velli internazionali.

Recentemente, la definizione di sostenibilità ambien­ tale 1 ha finito per sostituire quella di ecologia, contri­ buendo, da un lato, ad arricchire e sollecitare le riflessioni che accompagnano ed «angosciano» una parte della società e con essa una esigua porzione del mondo scientifico e cul­ turale; da un altro, confluendo anch'essa nel vocabolario dei termini più frequentemente in uso. Le tematiche ambientali, difatti, hanno visto impegnati ricercatori; ambientalisti, politici, progettisti e talvolta an-

43


che imprenditori che hanno, però, operato separatamente con l'evidente conseguenza che le denunce provenienti dai diversi sellori di competenza non hanno trovato consistenti riscontri nel panorama produllivo di quest'inizio millennio. Cosicché, a distanza di trent'anni dalla pubblicazione del testo di Maldonado, un interrogativo si presenta ancora alluale: per che via siamo arrivati ad una situazione am­ bientale così minacciata, quali sono i fattori che hanno contribuito a compromettere in tal modo la salute dei componenti del nostro sistema biotico? 2

Agli inizi degli anni '70 l'ipotesi più catastrofica scatu­ riva dall'apprendere che il modello di sviluppo economico non avrebbe avuto alcun prosieguo per l'esaurimento delle risorse attingibili dal sistema pianeta. Da allora il tema del­ l'uso o impiego delle risorse naturali, rinnovabili e non, ha generato una frattura evidenziando due diversi modi di ap­ proccio ai criteri produttivi. Nel primo caso, si fa riferi­ mento ad un atteggiamento ambientalmente consapevole o sostenibile in cui si fa uso delle sole risorse naturali rinno­ vabili e rigenerabili, che non determinano inquinamento o rischi, con la conseguente diminuzione delle implicazioni ambientali; nel secondo caso, si verifica un atteggiamento assolutamente antitetico al precedente, che non tiene in al­ cun conto il problema dei rischi ambientali e del futuro del pianeta. Già nel 1972 i ricercatori del Massachussets Institute of Technology elaborarono per conto del Club di Roma un rap­ porto dal titolo italiano / limiti dello sviluppo\ lanciando l'allarme sull'imminente esaurimento delle risorse naturali del pianeta. Vent'anni dopo, per rispondere alle critiche avanzate a quello studio iniziale ed in seguito al supera­ mento della crisi petrolifera degli anni Settanta, gli stessi autori, nel riaffrontare le stesse tematiche, pubblicarono lo studio Oltre i limiti dello sviluppo4 • Emergeva un evidente, se pur parziale, ripensamento delle teorie enunciate vent'anni prima poiché si intravedeva la possibilità di ov­ viare al problema della reperibilità delle risorse attraverso la 44 ricerca e attuazione di politiche atte a trovare rfuovi giaci.a.


menti, la riduzione dei consumi, la sostituzione di alcuni materiali con nuovi ed il ricic.Iaggio degli stessi. Ma se è vero che oggi viene attualo il riciclaggio dei rifiuti per il re­ cupero dei materiali impiegati è anche vero che si ottengono per Io più inerti e materie seconde. In tal senso sono noti i criteri di «riciclaggio a cascata» dei prodotti industriali come il sistema F.A.RE.s della Fiat in cui le prestazioni della materia si riducono di utilizzo in riutilizzo, sino a di­ venire, dopo l'ultimo ciclo di vita, rifiuti combustibili. Peraltro, se il problema della reperibilità di materia prima potrà trovare in un prossimo futuro una soluzione nella possibilità di riciclare i materiali attraverso l'impiego di energia pulita per ottenere le stesse caratteristiche presta­ zionali del prodotto primo, resterà pur sempre irrisolto il problema dell'entropia e cioè dell'eccessiva produzione di calore che il riciclaggio comporta e che genera comunque un'alterazione degli equilibri del sistema terra. Dalla relazione del gruppo di Meadows del I 992 emer­ gevano, poi, altri aspetti assai rilevanti: se il problema delle risorse naturali, che gli autori chiamano «sorgenti», po­ teva essere, se non risolto, allontanato di molto nel tempo, un nuovo pericolo incombeva sullo sviluppo: quello della saturazione dei corpi recettori (suolo, acque, atmosfera, che gli autori chiamano «pozzi») con gli scarti ed i residui della produzione e del consumo. In al­ tre parole, il limite più immediato e minaccioso per lo sviluppo è costituito dall'eccessiva produzione di ri­ fiuti!6 Peraltro, già nel 1972, in concomitanza con il primo rap­ porto del gruppo di Meadows, Italo Calvino prefigurava ciò che vent'anni dopo avrebbe costituito la sostanza di due de­ cenni di riflessioni. Aggiungi che più l'arte di Leonia ec­ celle nel fabbricare nuovi materiali, più la spazzatura migliora la sua sostanza, resiste al tempo, alle intemperie, a fermentazioni e combustioni. È una fortezza di ri­ masugli indistruttibili che circonda Leonia, la sovrasta da ogni lato come un acrocoro di montagne. Il risultato è questo: che più Leonia espelle roba più ne accumula; le 45


46

squame del suo passato si saldano in una corazza che non si può togliere; rinnovandosi ogni giorno la città conserva tutta se stessa nella sola forma definitiva: quella delle spazzature d'ieri che s'ammucchiano sulle spazzature dell'altroieri e di tutti i suoi giorni e anni e lu­ stri7. Emergono, a questo punto, due obiettivi determinanti: il primo consiste nella necessità di ridurre il consumo delle ri­ sorse ed il secondo riguarda la riduzione della produzioni di rifiuti. Giungiamo, così, ad individuare il nodo attorno a cui ruota il tema della preventiva raccolta differenziata e l'im­ mensa macchina del riciclaggio che porterebbe, per l'ap­ punto, a produrre meno rifiuti ed utilizzare meno risorse vergini. L'impiego degli impianti a tecnologia complessa adot­ tati per la separazione dei rifiuti, si è rivelalo un fallimento dal momento che da un costoso e penoso ciclo lavorativo si ottenevano nient'altro che rifiuti diversi da mandare an­ ch'essi in discarica. Siamo giunti, allora, alla raccolta diffe­ renziata, sperando che questa nuova economia del recupero portasse alla soluzione del problema ambiente, con risvolti concreti evidenziabili anche sul piano occupazionale. In realtà, nell'ipotizzare il recupero dei rifiuti non si è tenuto conto dei costi derivanti dalla raccolta preventiva (deman­ data all'utente), dal trasporto, dallo stoccaggio, selezione, trattamento ed eventuale certificazione, né tanto meno della necessità di dislocare sul territorio dei distretti industriali di trasformazione dei prodotti da riciclare, al punto che, come osserva Dario Moretti, il circuito del riciclo è diventato un cortocircuito11• Parte della cultura ambientalista negli anni passati, di­ fatti, ha ritenuto che il problema dei rifiuti potesse essere ri­ solto principalmente attraverso la raccolta differenziata, in ciò affrontando solo parzialmente una questione tanto grande quanto annosa, forse perché, una volta che i nostri rifiuti sono lì, separati e divisi in tante frazioni e in tanti cassonetti differenti, ci pare che il più sia fatto(...) mentre il più è invece ancora da fare. Il più è appunto come



All'interno di una logica economica e produttiva così incalzante si delineano soluzioni che vanno dalla responsa­ bilizzazione dei produttori, tenuti a farsi carico della ge­ stione dei rifiuti, alla imposizione di tasse che, in ogni caso, finirebbero comunque per gravare anche sui consumatori, già oggi costretti a pagare un'iniqua tassa sui rifiuti. In tal senso, sarebbe opportuno attuare un'innovazione sostan­ ziale del sistema produttivo globale e non una mera regola­ zione fatta di incentivi e sanzioni imposte dall'esterno. Pa­ radossalmente, la via per cui siamo giunti ad una situazione ambientale così minacciata è, allora, proprio quella dello sviluppo tecnologico di cui oggi non è possibile, se non par­ zialmente, valutare gli effetti negativi rispetto ai più imme­ diati ed accecanti esiti positivi. Qual è, infatti, l'idea di tecnologia o d'innovazione tec­ nologica cui siamo abituati se non quella legata al benessere sociale nell'accezione più ampia ed estesa del termine, senza che ad esso corrisponda una reale valutazione qual ita­ tiva degli effetti prodotti? Lo sviluppo tecnologico ha finito

per essere considerato un fatto autonomo al di là della politica e della società, con un destino proprio che deve diventare anche il nostro. Dal punto di vista del qui e ora, lo sviluppo tecnologico è diventato null'altro che il peso cieco del passato da una parte, e dall'altra la promessa perenne del futuro 12 •

E non è proprio la tecnologia la strada attraverso cui siamo giunti a creare una civiltà dei rifiuti, una civiltà dove il consumo costituisce il riferimento unico e primordiale,.· dove la ricchezza è produzione, dove tutto si fonda sulla quantità dei prodotti e non necessariamente sulla loro qua­ lità, sovvertendo gli stessi presupposti del disegno indu­ striale legato da sempre alla cultura dell'oggetto? E così ab­ biamo maturato sentimenti di diffidenza, sospetto, paura e impotenza rispetto ai meccanismi della tecnologia, che spesso dimostrano di poter sfuggire al controllo della co­ munità, per perseguire obiettivi di profitto, di sfrutta­ mento intensivo delle risorse, a sostegno di modelli di

48

vita e di sviluppo, legati ad un concetto di consumo sfre-


nato non più (attuabile), ed a ritmi accelerati e frenetici connessi alle nuove condizioni 1J di vita sulla base di mo­

delli sociali imposti da regole di sviluppo economico. In questo difficile panorama scientifico e culturale, dove la tecnica e la scienza si propongono in forma autonoma ed innovativa, la tecnologia non deve intendersi soltanto come

un insieme d'informazioni, di paradigmi logici e di cose; essa non è solo un prodotto umano (man-made), ma an­ che espressione degli uomini che l'hanno fatta (made of man); e quindi scienza e tecnica non sono mai neutrali rispetto alle forze produttive, ai rapporti sociali e alla loro reciproca influenza 14•

Il compilo immediato da assolvere sarà, quindi, quello di definire le strategie future da attuare con l'obiettivo d'in­ vertire l'attuale conformazione guida del mondo produttivo. In politica è sempre essenziale costruire una visione co­

gente del futuro e lavorare per affermarla, in particolare per quanto riguarda la tecnologia. Ma è altrettanto es­ senziale saper agire con efficacia nel presente, difendere' le forze esistenti dall'assalto e cercare di estenderne l'in­ fluenza. Mancando una strategia per il presente, queste forze saranno distrutte e senza di loro ogni discorso sul futuro diventa puramente accademico 15, e ciò soprattutto

se si tiene conto del fatto che ci avviamo verso «l'era della globalizzazione», in cui ci troveremo ad essere governati non più dalla politica ma dall'economia e dove le guerre verranno condotte senza eserciti ma combattute da logiche economiche.

Il Design dei prodotti immateriali Nell'affrontare temi così attuali ci troviamo da un lato di fronte a diverse forme di approccio possibili, da un altro a diversi concetti quali quelli del disassemblaggio, della mi­ niaturizzazione, della minimizzazzione - o riduzione degli sj)reéhi e degli spessori - e della dematerializzazione.

È proprio attraverso il concetto di dematerializzazione

49


r che approdiamo ad un argomento assai complesso che inve­ ste molli settori della comunicazione e dell'economia e che pertiene, per sua stessa natura, al gioco del design 16 : la progettazione di servizi. Già da qualche tempo riscontrabili nell'attuale panorama economico e culturale, essi, di fatti, ci inducono a prendere atto del fatto che nel trattare il tema della sostenibilità non si debba ad ogni costo riferirsi solo ed esclusivamente al prodotto industriale ma, viceversa, an­ che e sempre più spesso, a prodotti immateriali. Se è vero, infatti, per dirla con Ezio Manzini e Carlo Yezzoli, che il termine design concerne il complesso delle attività pro­ gettuali, spaziando dalla progettazione territoriale alla progettazione grafica e passando per la progettazione . dell'architettura e per quella dei beni di consumo, è al­ trettanto vero però che esso, nella sua più aggiornata acce­ zione, ( .•• ) non si applica solo a un prodotto fisico (defi­ nito da materiali, forma e funzione), ma si estende al si­ stema prodotto. Cioè l'insieme integrato di prodotti, ser­ vizi e comunicazione con cui le imprese si presentano sul mercato 17 • Le emergenze ambientali, lo spreco di risorse naturali ed energetiche, l'accumulo di rifiuti e l'inquinamento terrestre inducono, allora, ad un ripensamento trasversale degli at­ tuali criteri produttivi, e ciò soprattutto stando proprio alla rinnovata consapevolezza del limite delle risorse disponibili ed alla necessità di ridurre i rifiuti. La società attuale regi­ stra con sempre maggior frequenza la necessità di rispon­ dere alle diverse esigenze attraverso l'utilizzo di strumenti e/o attrezzature innovative e sofisticate. Progettare l'imma­ teriale (servizi ad elevala tecnologia) e dematerializzare di­ vengono, così, le parole d'ordine e gli imperativi categorici da rispettare in tempi brevi al fine di pervenire ad un più re­ sponsabile e consapevole approccio al problema del rispetto dell'ambiente e dell'utilizzo delle risorse naturali. In parti­ colare, nel quadro del nuovo paradigma economico, si­ gnifica offrire un mix di prodotti e servizi che risponda alla domanda di benessere usando il minimo di risorse 50 ambientali.( ... ) Su questo terreno si trova, pér esempio,



mente '(iene definita la fase trans - industriale, quella fase, cioè, caratterizzata da tutti quei fenomeni che rompono con l'ordine industriale tradizionale per porsi «oltre l'in­ dustria»2 1. A tal proposito, ci sembra doveroso auspicare una maggiore autonomia disciplinare del design, chieden­ doci con Maldonado se, e in quale misura, il disegno in­ dustriale [possa] eventualmente assumersi un ruolo at­ tivo in una economia in procinto di decollare. E non solo a decollo avvenuto22. In questo nuovo scenario, peraltro, è proprio il design del denaro a costituire il settore trainante di una nuova eco­ nomia in cui all'immaterialità dei servizi forniti corrispon­ dono effetti tutt'altro che immateriali. I rapporti econo­ mici, difatti, sono sempre più immateriali, non tanto in relazione agli effetti [...] quanto per le relazioni e so­

52

prattutto la rappresentazione dell'attività finanziaria, attività che transita in tempo reale da un continente al-· l'altro, senza praticamente lasciare tracce materiali di questi passaggi. [ ... ) Cosicché, accanto al problema di progettare nuovi spazi sta emergendo un'altra neces­ sità: il design del sistema della «moneta», dalla carta moneta alle carte di credito, ormai condizione necessa­ ria per qualsiasi tipo di acquisto, sia di prodotti sia di servizi2:l. Peraltro, diversamente da come potrebbe apparire, il design dei servizi ha già aperto il campo ad un fiorente mercato del lavoro: dallo sviluppo dell'economia basata sull'implementazione del sistema internet alla progetta­ zione delle pagine web. In definitiva, abbiamo bisogno di meno design, come sostiene oggi Philippe Starck? [...] O non ci occorre in­ vece più design con meno protagonismo, forme più eco­ nomiche in termini di materia, di funzionalità, di pre­ _senza intorno a noi? 24 Non si tratta soltanto o esclusiva­ mente di prevedere tutte le future conseguenze ed implica­ zioni che il prodotto potrà avere dal progetto alla dismis­ sione, ossia di tener conto di quello che viene comunemente definito il Life Cycle Design, quanto piuttosto di creare nuovi prodotti che soddisfino l'accrescere di nuovi bisogni.



zione da cui si cita è quella edita da Arnoldo Mondadori, Milano 1999, p. 114. K D. MORETTI, Nuova forma, nuova vita, in «Ouagono», n. 136, febbraio-marzo 2000, p. 127. 9 G. VIALE, op. c:it., p. 32. rn Naturalmente siamo consapevoli della oppo11unità di impiego dei prodotti usa e getta in campo medico e/o sanitario dati gli evidenti vantaggi igienici che essi comportano e che ne giustificano l'utilizzo. 11 lvi, p. 20. 12 D.F. NOBLE, La questione tec:nologic:a, Bollati Boringhieri, To­ rino 1993, p. 6. D V. GANGEMI. Le tecnologie per la bioarc:hite/fura, in V. Gan­ gemi (a cura di), L'ambiellfe risanato, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1994. p. 11. 1• E. FANO, lmrodu::.ione: Devoti, eretici e c:ritic:i del progresso, in D.F. NOBLE, op. c:it., p. XVII. 1� D.F. NOBLE, op. c:it., p. 7. 16 È stato qui parafrasato il titolo del testo di R. DE Fusco.// gioc:o del design. Electa, Napoli 1988. 17 E. MANZINI, C. VEZZOLI, op. c:it., pp. 12-13. ix lvi, p. 47. 19 P. RANZO, Fenomeni trans-industrialì, in A. DE ANGELIS (a cura di), Il Design. Storia e Storie. Storie parallele, N. C. Edizioni, Napoli 1994, pp. 88. 20 I. CALVINO, Lezioni Americane, Arnoldo Mondatori, Milano 1993, ma l'edizione da cui si cita è quella del 1999, p. 12. 21 P . RANZO, op. c:it., p. 87. 22 T . MALDONADO, Disegno industriale: u11 riesame, Feltrinelli, Milano 1995-', p. 91. 2 � A. COLONETTI, Il desig11 del denam, in«Ouagono», n.§ feb­ braio-marzo 2000, p. 9. 24 D. MORETTI, Un desig11 leggero. legge ·ome il pensiero, in «Ottagono», n. 136, febbraio-marzo 2000, p. � 22. 2·' R. DE Fusco.// restaum del Design, in« ttagono», n. 134, set­ tembre-ottobre 1999, p. 71.

54




Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.