Op.cii. rivista quadrimestrale di selezione della critica d'arte contemporanea
Direttore: Renato De Fusco Redattori: Roberta AnĂšrante, Alessandro Castagnaro, Alessandra de Martini
Marina Montuori, Livio Sacchi
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Electa Napoli
R. D1 Fusco, G. PIGAFEITA, L. PIETRONI,
Arti visive: un senso da ritrovare Figure della storiografia architeuonica Il Design per l'usabilitĂ libri, riviste e mostre
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Alla redazione di questo numero hanno collaborato: Gaetano Amodio, DoÂ
mitilla Dardi, Fabio Mangone, Carlo Martino, Giuseppe Maria Montuono, Claudio Roseti.
La rivista si avvale del contributo economico dei seguenti Istituti e Aziende: Alessi Driade Heller
Arti visive: un ·senso da ritrovare RENATO DI FUSCO
Grazie a RaiSatArt possiamo accedere ad un'informa zione sulle arti che, oltre la finalità divulgativa, offre alla critica motivi di riflessione che vanno al di là di ogni più ot timistica aspettativa. È prevedibile che in futuro la trasmis sione si arricchisca di nuove rubriche e di altri settori spe cialistici, ma è utile partire da essa, multiforme così com'è oggi, ai fini di quanto andiamo ad esporre. Infatti, in tanta dovizia di informazioni ed immagini, in questo primo e si stematico incontro del più popolare dei mass media con l'arte, risulta spontaneo proporre un tema come quello che è oggetto del presente articolo: il forte divario tra le arti, se gnatamente fra l'architettura e il design da un lato e la pit tura e scultura dall'altro, soprattutto una perdita di senso nelle opere di quest 'ultime, specie di quelle dalla più fla grante attualità. Ciò era ben noto, ma il constatarlo con il
rapido confronto offerto dal mezzo televisivo, lo rende più stimolante per riflessioni e commenti.
Conformazione e rappresentazione
Come ho notato in altre occasioni, il binomio conforma zione-rappresentazione costituisce uno dei paradigmi prin cipali del fare artistico e della critica d'arte. Che in tutte le arti figurative vi sia una componente conformativa e una
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ciò che la teoria economica ha chiamato valore d'uso in contrapposizione all'astratto valore di scambio. Perché si rifiuta di dare agli uomini ciò che cosi fatti - e non al trimenti - essi vogliono e di cui hanno magari bisogno, l'architettura legittima appare loro necessariamente ne mica. [T.W. ADORNO, Parva aesthetica, Feltrinelli, Milano 1979, p. 121]. Fra i valori che gli uomuni così come sono fatti, defini bili i «laici», hanno sempre cercato nell'arte è la mimesi delle cose reali o quanto meno delle cose già conosciute; per il pubblico anche in un quadro astratto l'azzurro rappresenta il cielo, il verde le piante, i colori bruni la terra, ecc. In so stanza, quel referente che i vari «ismi» metaforizzavano, nascondevano o addirittura escludevano, cacciato dalla fi nestra rientrava dalla porta, tant'era indispensabile al pub blico, e magari non solo ad essi ma alla stessa critica, per ac costarsi alle arti visive. Inoltre, nell'ottica della società «laica» si è persa, a causa dell'avanguardia, un altro criterio di valutazione: l'abilità quale etica del lavoro propria della borghesia, che vede un criterio di valore artistico nell'irre prensibile mestiere, nell'esecuzione accurata degli antichi maestri, appunto nell'abilità mimetica, nella perfezione del l'ultima mano. A torto o a ragione queste caratteristiche si riscontrano nelle arti conformative (architettura e design) non più nella pittura e scultura tradizionali. Indubbiamente il fattore «abilità» è riconoscibile anche in quegli artisti che sostituirono le «cose reali» con quelle «mentali», ma il refe rente di tali ricerche presupponeva un accordo, una conven zione, un codice fra arte e pubblico che solo pochi riusci vano a comprendere; non è casuale che l'espressionismo, nella sua viscerale esaperazione mimetica, è risultato la ten denza più popolare di tutte le altre. Sappiamo come avanguardia e neoavanguardia abbiano risposto a queste istanze sociali; talvolta, sia pure rara mente, non con uno spirito di antagonismo ma di concilia zione; valga per tutti la posizione di Klee: deve ben esistere un terreno comune a profani e artisti, un terreno sul 12 quale sia possibile un incontro, sul quale l'artista cessi di
dal pubblico per l'indifferenza verso l'arte, è necessario un tentativo critico per uscire da una condizione in cui, mentre l'architettura e il design riescono a reggere di fronte alla do minante tecnologia, le arti rappresentative ne risultano quo tidianamente spiazzate e comunque risultano rispetto al grande pubblico. come abbiamo appena letto, qualcosa che questo non vuole e di cui non sa che fare. Osserviamo il fenomeno dell'ibridazione, ossia del l'innesto di più generi artistici nella elaborazione di ogni singola opera. Un tempo questa ibridazione - che può in tendersi come il tentativo relativamente più recente di ri costruire il «codice multiplo» dell'arte del passato - a':'eva un senso. Senza risalire agli oggetti inseriti nei quadri dei cubisti da interpretare come l'intento di dimostrare la non contraddizione fra realtà e deformazione pittorica, né ai ready-made dei dadaisti che volevano spiazzare lo spetta tore, opere come gli ambienti Merzbau di Schwitters o come quelli di El Lissitzky si sono dimostrate autentiche tappe nello sviluppo dell'arte contemporanea. L'autore te desco, oltre a fondere nelle sue costruzioni le tre arti, riu sciva ad unificare il portato del dadaismo con quello del1'espressionismo, due spinte contraddittorie che tuttavia hanno successivamente trovato ampio riscontro: l'archi tettura di Frank Gehry, ad esempio, deve molto, a mio av viso, ai Merzbau di Schwitters. Quanto all'autore russo, anch'egli nei suoi ambienti tende ad unificare le tre arti vi sive, questa volta coniugando De Stijl col Costruttivismo russo. Operazione di grande rilievo in quanto assegna alle ricerche della Bauhaus uno «stile» che Gropius e i suoi esegeti negavano, nonostante l'evidenza stilistica di ogni oggetto che usciva da quella scuola. Inoltre il senso di un'arte ibrida, negli anni '20 e '30, era quello di superare le specificità al fine di attingere ad una nuova figurazione, ad un'architettura finalmente conciliata con tutto il mondo della figurazione, che era appunto il programma della Bauhaus, più di recente, l'eterogeneità che si trova nei quadri della Pop Art e/o dei Neodadaisti, le sculture rica14 vate dai calchi di gesso di figure umane di Segai, le cabine
tecniche della comunicazione dalla radio alla cinema, dalla televisione ad Internet, ecc.
L'arte e l'usa-e-getta
Se la gran parte dell'arte visiva che si va producendo è, o sembra, priva di senso, d'altra parte è forte la speranza che essa ne assumerà uno di grande importanza. Infatti, siamo persuasi che, poiché la logica della produzione industriale è spinta inevitabilmente verso il suo estremo di immettere sul mercato non solo nuovi oggetti, ma soprattutto oggetti limi tati nella loro durata, l'arte resta una delle poche esperienze in grado di arginare tale spinta consumistica. Beninteso, il consumismo non è fenomeno facilmente stigmatizzabile come voleva il moralismo sociologico degli anni '50 e '60; col tempo abbiamo acquistato la consapevolezza che esso è suscettibile di correzione ma non di eliminazione perché deve coesistere con la produttività. Ci piaccia o meno, que sta è la condizione della società attuale e tale sarà certa mente anche in futuro. Con buona pace di chi critica il con sumismo, l'abbandono di questa via è inconciliabile con lo sviluppo e produrrebbe una disoccupazione più grave di quella che già oggi registriamo come uno dei maggiori pro blemi sociali e come il principale pericolo imputabile alla tecnoscienza. A ben riflettere, l'usa-e-getta - inteso non solo riferito a tutti quegli prodotti mono-uso, che sono estremamente economici, tanto da risultare più efficiente, dopo ogni uso, buttarli via piuttosto che impiegare tempo ed atten zione per ripristinarne la funzionalità [E. MANZINI, Un'economia sostenibile tra qualità ambientale e qualità sociale, in S. OMODEO SALÉ (a cura di) Architettura & Na tura, Mazzotta, Milano 1994, p. 29], ma anche riferito ai
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prodotti più costosi (auto, elementi d'arredo, apparecchia ture informatiche, ecc.) - è il principale tema economico culturale da prendere in considerazione. Esso è la conseguenza logica dell'intero processo di progettazione, produ-
sign, né di adornarli con eclettici motivi, ma di tentare una via più difficile e complessa. In una situazione culturale caratterizzata dall'usa-e getta generalizzato, questo non è solo causato dall'evidente vantaggio economico ma anche da altri eterogenei motivi: i nostri continui spostamenti da una casa all'altra, il poco spazio degli allogi, la disaffezione verso ciò che si conserva, il rifiuto per ogni cosa che ci faccia pensare e ricordare, il gusto di padroneggiare quanto ci serve, fino ad una sorta di cupio dissolvi, ecc. In tale contesto, mentre il design funzio nale è condizionato da questi fattori, l'arte, grazie al suo più libero immaginario, al suo essere segno del ricordo, al suo collezionismo, alla sua natura in pari tempo storica e meta storica, può meglio combattere il cinismo dell'usa-e-getta, ricreando intorno agli oggetti una «affezione» perduta, l'i nutile necessario per compensare l'utilità meramente mer cantile.
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E, in effetti, a ben vedere, la domanda ha una qualche perti nenza. In fondo, la «storia dell'architettura» come genere letterario è molto recente. Non ha più di due secoli e ha ra dice in un preciso milieu culturale chiaramente individua bile nelle sue specifiche e irripetibili peculiarità. Essa ha avuto, da un lato, la capacità di sostituirsi, neppure troppo lentamente, al 'trattato' nella trasmissione dell'idea di ar chitettura. Dall'altro lato, è riuscita in questa sostituzione proprio perché ha saputo intendere l'architettura come rive latrice di uno sviluppo spirituale, elevandola, dal suo statuto disciplinare, alla dignità dei grandi soggetti storiografici (l'etica, la religione, gli stati, i sovrani, ecc.) che incarna vano il disegno della Provvidenza o della Ragione. Si è trat tato, quindi, di un radicale cambiamento di prospettiva, ca pace di ricondurre all'interno di un racconto universale i di versi momenti della produzione architettonica. E, come è stato più volte notato, in particolare per l'architettura con temporanea, la potenza persuasiva di quel racconto ha fatto sì che divenisse quasi più 'reale' delle fabbriche che erano oggetto e tema del suo dispiegarsi narrativo. Tanto che esso stesso è divenuto premessa, strumento di legittimazione e di autocomprensione delle diverse declinazioni dell'architet tura contemporanea. Ma, appunto, si tratta pur sempre di un genere letterario, di un prodotto culturale. Esso ha avuto una nascita ed è per ciò lecito pensare che, prima o poi, morirà (non domani, na turalmente) o, quantomeno, dubitare che possa continuare, con la medesima fortuna ed efficacia, a essere strumento di comprensione della produzione architettonica. È possibile domandarsi, allora, se il gene con cui la «storia dell'archi tettura» è nata contenga anche una sorta di meccanismo re golatore della sua durata vitale. Ossia, capire se il princi pium cognoscendi che guidava lo sguardo di Winckelmann, D'Agincourt, Hope, Hirt, Kugler, Burckhardt... sino a Choisy, Hautecoeur, Pevsner, Zevi... e, sù, sino a noi, abbia mantenuto una certa forza germinale o se abbia, in qualche modo, perduto capacità di intelligenza (e di 'rilancio' opera20 tivo) nei confronti del costruito. In altri termini si tratta di
colo. E quanto più hanno assunto carattere di fondamento tanto più sono divenuti 'evidenti' e 'convincenti'. La possi bilità, di tratteggiare una «storia dell'architettura» deriva, quindi, dalla vitalità di quella compagine di.figure e ad esse si deve riferire. Perciò, la questione che abbiamo posto in apertura si può riformulare anche così: sino a quando quelle figure hanno mantenuto una certa vitalità? sono state sosti tuite da altre? sono ancora utilizzabili? il modo contempo raneo di vedere e descrivere la contemporaneità dell'archi tettura può ancora affidarsi a quelle.figure? insomma, 'oggi' è ancora possibile una «fenomenologia» dell'architettura contemporanea?
Le figure di una «fenomenologia» dell'architettura.
Per provare a rispondere ai quesiti appena posti è neces sario individuare le più importanti fra quelle figure. Si tratta, evidentemente, dato lo spazio a disposizione e la complessità del tema, di semplici indicazioni, suffragate da qualche esempio di chiarificazione. In linea generale, quelle figure derivano dalla filosofia della storia e dalla filosofia dell'arte otto-novecentesche e possiruno ricordarne alcune, qui raggruppate in una decina di topoi critici fondrunentali: 1) delle origini e degli inizi; 2) del clima, della razza e dell'ambiente; 3) delle catastrofi e dei cicli vitali; 4) del Génie e del Volksgeist; 5) dello Zeitgeist e del genio; 6) dell'epoca, del profondo e dello stile; 7) dell'imitazione e della creazione; 8) del movimento e della/aule Existenz; 9) degli eroi e dei precursori; 1 O) del nuovo, del monumento e dell'autentico.
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È chiaro che ognuna di queste.figure (nella propria auto nomia e nella relazione con le altre) assume sfumature di significato differenti a seconda del contesto in cui agisce. E
Ancora, la teoria dei «cicli vitali» diviene modello esplica tivo nell'alternarsi degli stili in Hope o in Legrand. Ma di viene anche elettiva premessa della storiografia zeviana, scritta in riferimento al perenne conflitto fra valori di libertà e di repressione, di innovamento e di reazione. Autentico cavallo di battaglia della storiografia archi tettonica, poi, è l'applicazione sui generis della teoria delle «catastrofi storiche». Questa, in sintesi, ritiene di po ter render ragione del mutamento intervenuto in un certo sviluppo storico adducendo cause esterne alla natura di quello stesso sviluppo. In altri termini, laddove moventi endogeni non sono in grado di motivare evidenti varia zioni, vengono fatti intervenire fattori eteronomi che, in qualche modo, spostano vecchi equilibri consolidati. In Ragon, Banham, Richards, Hitchcock, Joedicke, Hope, Choisy, ecc. non si potrebbero immaginare i grandi muta menti nella storia dell'architettura senza una adeguata fi gura di carattere «catastrofico». Figura che può essere, di volta in volta, l'avventura napoleonica7 , la rivoluzione in dustriale nel XIX secolo8, l'avvento dei nuovi materiali9, la caduta della massoneria nel primo rinascimento 10, la tassazione sulle pietre da costruzione nell'attardato gusto inglese del cinquecento11, le invasioni assire per l'architet tura caldea12 e così via. Nondimeno, si potrebbero portare numerosi esempi per le figure del «Génie» e del « Volksgeist» in Choisy come in Hirt, in Legrand come in Winckelmann. Oppure si potrebbe richiamare lo sterminato riferimento alla mitologia del «ge nio» che incarnerebbe la impalpabile dittatura dello «Zeit geist». È questo, per esempio, il nucleo concettuale di Ar chitettura del Rinascimento di Burckhardt, così come lo è di Modem Architecture di Richards. Legata al rinvio a queste due figure è anche l'ipostatizzazione della nozione di «epoca», trasformata in unafigura individuale, quasi perso nificata, che agisce, sente, vuole, discrimina e sceglie. Essa assume ruolo di vera e propria dramatis personae, soprat tutto nelle «storie dell'architettura» nutrite di intendimenti 24 operativi o pedagogici. Si pensi all'inizio di Geschichte der
sia il primo orizzonte di senso di ogni «fenomenologia» del1'architettura. E ciò vale sia per il suo carattere fondativo, sia per quello particolare e descrittivo. Molte.figure chiave della letteratura architettonica, applicate a realtà diverse, derivano da quella immagine: i «movimenti» artistici, in nanzitutto. E, poi, nella descrizione di un 'percorso' segnato da 'mete', 'svolte' e 'superamenti', popolato da 'pionieri' e 'precursori', da 'avanguardie', 'traguardi' e 'retroguardie', le «storie dell'architettura» tratteggiano la loro «fenomeno logia» in cammino. Non solo: con essa si individuano e si connotano tutti coloro che possono entrare a far parte di quella storia. Sono i 'camminatori', i 'podisti' della storia. Gli altri, i 'pigri', coloro che incarnano la «faule Existenz», l' «esistenza pigra» hegeliana, semplicemente non esistono. Così, nella forza persuasiva della metafora, quell'immagine podistica ha assunto concretezza di realtà storica e fenome nica. Addirittura è divenuta pretesto per attribuire carattere di «autenticità» o «inautenticità» all'opera d'arte: la storia dell'arte, come ogni storia, è processo: tutto ciò che se gna il passo e non porta avanti il processo, non modifica la situazione è privo di autenticità 19 • È, questa, la versione volgare della realtà effettuale20 che contraddistingue l'idea hegeliana della storia. Versione estrema e semplicistica. Ma è versione che è riuscita a insinuarsi nelle pieghe della sto riografia architettonica, relegando nel silenzio ciò che non appariva «autentico». Ed è proprio in questo contrasto fra 'podisti' (che sono i moderni per eccellenza) e 'pigri' (fermi sulla riva del fiume della storia) che la storiografia architet tonica trova l'elemento assolutamente indispensabile per tratteggiare le diverse «fenomenologie». Difficile immagi nare una «storia dell'architettura» (tanto più se 'contempo ranea') che non tematizzi, esplicitamente o implicitamente, questa opposizione nel contrasto fra conservazione e vita lità del nuovo. Anzi, questo è il primo carattere selettivo ri spetto alle vicende da narrare. Chi incarna il nuovo assurge a ruolo di interprete del «movimento» che caratterizza la «fenomenologia» in cui è compreso. Gli altri sono storica26 mente inessenziali. Per questo motivo, fra l'altro, l'architet-
aver a lungo meditato sulla tradizione del moderno e sui compiti che la nuova architettura avrebbe di fronte, Curtis continua: evidentemente devono essere trovate forme che siano all'altezza dei nuovi problemi, ma che incar nino ugualmente valori duraturi. ( ...) la "modernità" può diventare una distrazione poiché quel che vera mente conta è l'autenticità. Autenticità suggerisce ge nuinità e onestà - l'opposto del finto. ( ...) Tale autenti cità è inconcepibile senza le basi di uno stile personale autentico25_ Sono, emblematicamente, le parole conclusive de L'architettura moderna del Novecento. E si vede bene come abbiano lo stesso orizzonte valutativo e critico delle figure cardine delle più consolidate «fenomenologie» del l'epopea del moderno. Ancora una volta il compito (il vero e proprio Sollen) dell'architetto è quello di concretizzare in pietra le pulsioni dello Zeitgeist. Ancora una volta i valori duraturi saranno quelli che conferiranno 'autenticità' all'o pera che saprà ospitarne lo spirito: questo è lo stile dell'e poca. E ancora una volta saranno all'altezza di quel compito destinale solo quegli architetti in possesso di uno stile «au tentico» (personale, si intende) che è congenere con la 'au tenticità' dello stile (epocale, si intende). Ora, le parole di Curtis rammentano quel bel pamphlet di Adorno dedicato a Il gergo dell'autenticità. Un gergo nel quale risuonano ve rità di alto profilo, del tipo: chi guarda dalla finestra scorge molte cose26. E ci suggeriscono anche che il destino del 'gergo dell'autenticità' è quello di riaffermare se stesso proprio nel momento in cui vuole fondarsi sull'autenticità rivelata dal proprio linguaggio. Esso si comporta come que gli attori che poggiavano la mano sul petto e, fatto que sto, spalancavano gli occhi ampiamente e più di ogni al tra cosa mettevano in scena se stessi27 • È certo da tener presente che 1'opera di Curtis ha, forse, il più deciso carattere di «fenomenologia» fra le «storie del l'architettura» recenti. Essa si sviluppa, infatti, fra la.figura seminale di Charles-Edouard Jeanneret e quella teleono mica di Le Corbusier. Ed è quindi giocoforza il circolo vi28 zioso fra architetture «autentiche» e 'autenticità' del rac-
«storia dell'architettura» come «fenomenologia», come grande affresco che tratteggiava lo sviluppo «profondo» che legava le vicende contemporanee. In altre parole, gli Autori avevano superato (in parte, anche loro malgrado) l'ultima linea di sensatezza e di comprensione della storia universale che la cultura occidentale aveva prodotto. La marxiana 'cri tica dell'ideologia' con cui avevano descritto la fenomeno logia del non-abitare metropolitano29 restava dietro le spalle, come un ponte bruciato. Architettura contempora nea di Tafuri e Dal Co non era vista come punto di stazione finale o limite invalicabile. Essa, invece, appariva segnata da una svolta cardinale della nostra cultura: l'oltrepassa mento dell'ultima «fenomenologia» della storia che ricer casse il fondamento razionale degli eventi. 'Oltre' quella li nea non era più possibile pensare nessun ordine razionale del tempo, nessun «movimento» sensato della storia. Al di là di quella linea nessun legame «profondo» fra le cose, nes suna unità logica poteva catturare gli eventi ma, semplice mente, 'l'accadimento accade'. Con quelle notazioni non si alludeva certo a un limite cronologico, ma a un limite culturale e, per così dire, scien tifico. 'Dopo' il lavoro di Tafuri e Dal Co, quindi, ci sem brava di poter affermare che nessuna «fenomenologia» avrebbe più potuto candidarsi a tessuto connettivo ed espli cativo della produzione architettonica contemporanea. Sa rebbero rimaste sul campo, come modelli insuperati, le «fe nomenologie» più forti del secolo XX: dal totalitarismo te leonomico di Pevsner al conflitto 'ingenuo-sentimentale' della storiografia zeviana, dal Weltgeist romantico e proble matico di Giedion alla 'critica dell'ideologia' di Tafuri e Dal Co. Dunque, 'oltre' quella linea non appariva la reale possi bilità di fondare una nuova «fenomenologia» capace di so stituire quelle precedenti. Ciò perché le 'parole' e i concetti che innervavano tali «fenomenologie» derivavano da più generali quadri ideali di interpretazione del mondo in cui la «storia dell'architettura» trovava fondamento e struttura narrativa. E quei quadri avevano cessato la loro spinta vi30 tale. D'altra parte vi era un altro elemento decisivo al pro-
certo qual ruolo vitale, non sono state sostituite da altre e prestano ancora servizio alle campiture narrative che vi si riferiscono. Naturalmente, al di là della valutazione critica che si può dare di questa condizione, resta aperta un'ultima domanda: la complessità dell'architettura contemporanea può esaurirsi in quelle figure? esse riescono a coprire lo spettro di domande che la contemporaneità pone oppure qualcosa, non pre-compreso nell'orizzonte di senso di quelle figure, resta in-comprensibile? Si può forse dire che, proprio nel confronto diretto con le declinazioni dell'architettura contemporanea (nel senso primo di 'coeva'), la compattezza persuasiva di quella com pagine figurale mostra alcune smagliature. A ben vedere, in fatti, la storiografia che più rimane fedele a tali figure è co stretta, suo malgrado, a rincorrere l'architettura costruita nell'ultimo scorcio del secolo, procedendo dalla «fenome nologia» sostanzialmente unitaria del moderno alla 'plura lità' irriducibile del contemporaneo. Da un lato, allora, quella 'pluralità' viene riconosciuta e affrontata nella sua di mensione problematica. Ma, dall'altro lato, viene valutata e tematizzata a partire dalle medesime categorie che hanno costruito le sintesi narrative della modernità. Naturalmente, lo spettro di variazione del debito nei confronti di quelle sintesi è ampio e vario. Possiamo, qui, riportare due casi ab bastanza significativi (ed estremi) della questione: ci rife riamo ai già citati 'manuali' di Watkin e di Curtis. Guar dando, per esempio, ai contenuti dell'ultimo paragrafo di Storia dell'architettura occidentale di Watkin, crediamo emerga con chiarezza il senso di quanto vogliamo dire. Sulla conclusione del libro, infatti, batte l'accento di una domanda che attiene al presente in fieri e al futuro pros simo: all'inizio del nuovo millennio viene spontaneo pen sare a cosa la nuova era dell'architettura potrebbe asso migliare30. Qui Watkin si sbilancia in una sorta di 'pro gnosi' della storia, di sapore spengleriano. D'altronde il ra gionamento di Watkin è quasi obbligato, coerente con l'im postazione generale del suo lavoro. Se lo storico ha artico32 lato il suo racconto attraverso la successione di «ere» - di-
matica posizione di Watkin, la sua trattazione di un forte sa pore di 'prognosi', ancorata alle più didascaliche categorie della storia dell'arte. A fronte di 'microcosmi' frammentari e incomponibili, sostiene Curtis, non è sufficiente riferirsi a "tipi ricorrenti" per descrivere la condizione dell'architet tura contemporanea. È necessario, invece, sapersi ricolle gare a "un'interpretazione su scala più ampia" che riesca a fare sintesi "del generale e del particolare". L'architettura del tardo XX secolo - scrive Curtis - ha evidentemente seguito diversi canali ed è stata caratterizzata sia dalla diversità geografica che dal pluralismo culturale. Ciò non significa che si debba abbandonare la ricerca di schemi più ampi e di linee di sviluppo più lunghe. Si ot tiene poco inventando movimenti fittizi, soprattutto se questi sono analizzati o descritti usando la terminologia retorica degli stessi partecipanti32• Ma, per poter distinguere fra i 'movimenti fittizi' e le 'autentiche' declinazioni dell'architettura contemporanea, occorre che lo sguardo dello storico sia in grado di soppe sare i reali valori epocali rispetto.alle manifestazioni 'super ficiali' della moda. Ecco che allora Curtis ripropone il mito della 'profondità', l'antica metafora per cui l'architettura ri vela la verità «profonda» dell'epoca attraverso l'opera so vratemporale degli «eroi», nella 'unicità' dell'opera. Scrive Curtis: L'architettura oscilla tra l'unico e il tipico.(...) Se queste interconnessioni agiscono in superficie il risultato sarà stilistico e superficiale; se lavorano in profondità una nuova sintesi di forma e contenuto diviene possibile. (...) Sono le creazioni uniche, quelle in grado di incar nare miti personali e collettivi sotto forma di un carat tere in qualche modo atemporale, che mantengono viva una tradizione33 • Difficile immaginare un campionario di espressioni ed elementi valutativi più interni alle figure che abbiamo sin qui ricordato. Anzi, proprio grazie alla loro col laudatissima evocazione figurale essi anticipano ciò che Curtis ha veramente in mano. Egli, infatti, non sa ancora quali edifici e architetti potranno incarnare i valori 34 «profondi» della nuova «era». Ma è già in grado di descri-
nella sintesi storiografica rivolta ali' architettura della mo dernità. Tuttavia, pur nel quasi obbligato riferimento alla «fenomenologia» consolidatasi nel XX secolo, si possono ricordare alcuni recenti lavori che, in buona misura, si svin colano dalle maglie ormai troppo strette di quella «fenome nologia». Ci riferiamo a Storia dell'architettura contempo ranea di Fanelli e Gargiani 37 e a due volumi di Renato De Fusco, Mille anni d'architettura in Europa38 e Storia del l'architettura contemporanea39 (in particolare l'edizione del 2000). Non si tratta, evidentemente, di opporre la storio grafia di cultura italiana rispetto a quella anglosassone (an che se non va dimenticato che la nostra tradizione storio grafica è certamente fra le più significative). Si tratta solo di sottolineare, attraverso esempi di testi a larga diffusione, quanto sia pOS$ibile spostare il livello di lettura dell'archi tettura contemporanea incardinando quella lettura su para metri non strettamente discendenti dalle figure a cui ab biamo più volte accennato. In altri termini, quei testi dimo strano come, muovendo da premesse legate alla specificità disciplinare dell'architettura, si possano ricollocare le opere e gli architetti in un contesto di valori e di segni non così in terno, come altri, alle declinazioni valutative della «feno menologia» dominante. Non vi è proposto uno sviluppo narrativo completamente nuovo, ma se ne ridefiniscono i si gnificati di lettura con uno spostamento di peso dalla storia alla architettura. E ciò viene fatto non ignorando ma, sem mai, esaltando i contenuti problematici della storiografia e della cultura contemporanee. La Storia di Fanelli e Gargiani si dichiara esplicitamente 'nuova'. Non nel senso che intende affrontare avvenimenti, opere e architetti mai trattati in precedenza. Né, tantomeno, intende promuovere una nuova visione storiografica che riordini o ridefinisca un'alternativa alla «fenomenologia» dominante. Si tratta, invece, del ripercorrimento di una trac cia narrativa, comunque consolidata, attraverso la specifi cità disciplinare dell'architettura, nel rapporto tra spazio, struttura e involucro40. In questo modo, la Storia di Fanelli 36 e Gargiani mette in luce - come filo conduttore della narra-
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cale della produzione architettonica. Ciò permette, nell'ul tima edizione di Storia dell'architettura contemporanea, di legare il materiale storiografico di una ormai consolidata «fenomenologia» alle architetture di fine millennio, con tando più sulla coerenza di lettura che su improbabili conti nuità culturali o su «profondi» valori epocali. E se, nel caso dell'architettura contemporanea, la lettura proposta da De Fusco ha potuto contare su un corpus fenomenologico so stanzialmente omogeneo, non altrettanto si può dire quando si è estesa a mille anni di architettura occidentale. In questo caso il confronto con la grande forza persuasiva e narrativa della storiografia otto-novecentesca rischiava di portare alla tensione massima l'affidabilità e la coerenza della lettura semiologica. Era necessario, quindi, chiarire i cardini degli 'artifici storiografici' messi in campo. Per questo, forse, l'Introduzione a Mille anni d'architettura in Europa suona come una stringatissima lezione di filosofia della storia tesa a 'depotenziare' il portato interpretativo della «fenomenolo gia» a tutto vantaggio della sua natura di semplice 'mate riale storico'. I due passaggi fondamentali a cui De Fusco si riferisce sono come due cunei infilati nella compattezza narrativa della storiografia. Il primo si costruisce eviden ziando non ciò che distingue i fenomeni architettonici (caposaldo dello storicismo), ma ciò che li accomuna41 • Il secondo si fonda sulla esplicita affermazione che il mate riale storico-critico non è altro che il meu.o per «co struire» sequenze e «genealogie» che invece costitui scono il fine della nostra ricerca42. Il primo dei due cunei ridimensiona la componente idiografica che ha sempre avuto ruolo preminente nella storiografia dell'arte. È per sino banale ricordare il peso del carattere 'individuale' e 'singolare' delle opere che popolano le grandi «fenomeno logie»: l'elemento individuante dei «monumenti» è irrinun ciabile premessa della storiografia artistica. Porlo in se condo piano è già di per sé fatto rilevante. Non vogliamo certo dire che sia la prima volta che accade. Per esempio, rinviando al già ricordato lavoro di Tafuri e Dal Co, la critica dell'ideologia marxiana ha sovente rinunciato alla let-
A. CHOISY, Histoire de l'architecture, Paris 1899, I, p. 9. H. R. HITCHCOCK, Architecture: Nineteenth and Twentieth cen turies, London 1958; tr. it., Io., L'architettura dell'ottocento e del no vecento, Torino 2000, p. 3. 8 S. GIEOION, Space, Time and Architecture, Cambridge Mass. London 1941; tr. it., Io., Spazio, Tempo, Architettura, Milano 1954, p. 156. 9 M. RAGON, Histoire mondiale de l'architecture et de l'urbani sme modemes, Toumai 1971-1972; tr. it., Io., Storia dell'architettura e dell'urbanistica moderne, Roma 1974, I, p. 172. 10 T. HOPE, Histoire de l'architecture, cit., p. 470. 11 Ibidem, p. 498. 12 A. CHOISY, Histoire de l'architecture, cit., I, p. 99. 13 J. JOEDICKE, Geschichte der Modemen Architektur, Stuttgart 1958; tr. it., Io., Storia dell'architettura moderna, Firenze 1960, p. 13. 14 N. PEVSNER, Storia dell'architettura europea, cit., p. 671; Cfr. J. M. RICHARDS, An introduction to modem architecture, Harmond sworth 1940; tr. it., Io., Introduzione all'architettura moderna, Bolo gna 1966, p. 68. is N. PEVSNER, Storia dell'architettura europea, cit., p. 671. 16 D. WATKIN, Storia dell'architettura occidentale, cit., p. 252. 17 J. BURCKHARDT, Riflessioni sulla storia universale, cit., p. 259. 11 Cfr. G. P!GAFETTA, Storia, arte, movimento, in «Op. cit.», n. 108, maggio 2000, pp. 15-31. 19 G. C. ARGAN, Premessa allo studio della storia dell'arte, in G. C. ARGAN, M. FAGIOLO, Guida alla storia dell'arte, Firenze 1977, 6 7
p. 7.
20 G. W. F. HEGEL, Em:.yclopaedie der philosophischen Wissen schaften im Grundrisse, Heidelberg 1817; tr. it., Io., Enciclopedia delle sciem:.e filosofiche, Bari I 973, § 6, pp. 9-11. 21 Cfr. G. P!GAFETTA, I. ABBONDANDOLO, Le teorie tradizionaliste nell'architettura contemporanea, Roma-Bari 1997. 22 N. PEVSNER, Pioneers of Modem Design, London 1936; tr. it., Io., I pionieri dell'architettura moderna, Bologna 1962, p. 161. 23 G. W. F. HEGEL, Grundlinien der Philosophie des Rechts, Ber lin 1821; tr. it., Io., Lineamenti di filosofia del diritto, Roma-Bari 1978, §§ 341- 347, pp. 329-333. 24 Cfr. G. P!GAFETTA, Il circolo vizioso dell'epoca, in AA.VV., Nikolaus Pevsner. La trama della storia, (a cura d i F. Irace), Milano 1992, pp. 221-229. is W. J. R. CURTIS, Modem architecture. Since 1900, (1982), Lon don 1996; tr. it., Io., L'architettura moderna del Novecento, Milano 1999, p. 689. 26 T. W. ADORNO, Jargon der Eigentlichkeit, Frankfurt a. M. 1964; tr. it., Io., Il gergo de/l'autenticità, Pisa 1982, p. 90. 27 Ibidem, p. 47. 28 G. PlGAFETTA, Architettura moderna e ragione storica. La sto riografia italiana sull'architettura moderna: 1928-1976, Milano 40 1993, p. 22.
Il Design per l'usabilità LUCIA PIETRONI
Il processo di «miniaturizzazione», innescato dall'appli cazione delle tecnologie dell'informazione e della comuni cazione, ha investito anche i prodotti d'uso quotidiano, tra scinandoli verso una progressiva «dematerializzazione» 1• Come sostiene Maurizio Vitta, l'era della meccanizza zione celebrata da Sigfried Giedion è tramontata. Lo sviluppo della cibernetica, dell'informatica, della tele matica ha trasformato radicalmente non solo le moda lità di produzione delle cose, ma la loro stessa natura, e, dunque, il nostro modo di porci in relazione con esse. La schematicità della struttura meccanica ha lasciato il po sto alla complessità della struttura cibernetica; i linea menti geometrici - euclidei - della strumentazione indu striale si sono dispersi nel labirinto dei circuiti; la mate rialità e la sensorialità degli utensili si sono dissolte nella miniaturizzazione dei componenti2 . Tale processo, ine dito per rapidità di sviluppo e diffusione, è uno dei più si
gnificativi fattori di innovazione nella cultura del design de gli ultimi cinquant'anni: infatti, oltre a trasformare l'a spetto, la consistenza, la fisicità e l'identità stessa degli og getti che popolano la nostra vita quotidiana, sta producendo implicazioni rilevanti nel modo di concepire e realizzare i prodotti, ovvero nella prassi e nelle attività di design. 42
La tecnologia diventa sempre più invisibile all'interno degli oggetti, miniaturizzata, ridotta e simbiotica,
meccaniche. Gli aspetti materiali, fisici, tangibili ten dono a dissolversi in favore di aspetti immateriali, vir tuali, informazionali; l'oggetto post-industriale, dun que, appare sempre più come una manciata di circuiti integrati, protetti da un guscio di plastica5 o, addirittura, come una superficie comunicativa6.
Pertanto, la possibilità di progettare oggetti sempre più piccoli e leggeri, senza alcuna relazione esterno-interno, in molti casi ridotti a pure superfici, fa emergere l'esigenza di considerare attentamente i vincoli fisico-percettivi ed ergo nomici dell'uomo che, al di sotto di una certa scala dimen sionale, non è in grado di interagire agevolmente con un og getto, se non con uno sforzo eccessivo ed inutile. La neces sità di rendere leggibile e dar forma non più ad una funzione meccanica, ma ad un insieme di possibili relazioni presta zionali e alle modalità di interazione tra l'utente ed un pro dotto che gestisce, manipola ed elabora informazione, pone la cultura del progetto anche di fronte ai limiti cognitivi del l'uomo, ovvero alle difficoltà di lettura e di comprensione dei meccanismi e delle modalità di funzionamento e di uti lizzo di prodotti privi di vincoli di connessione prestabiliti tra «che cosa fanno», «come lo fanno» e «che aspetto hanno»·. La forma appare arbitraria perché veicola null'altro che se stessa; la multifunzionalità sembra inutile poiché inutilizzabile7 ; l'interazione necessita di un manuale di istruzioni: lo sforzo cognitivo richiesto all'utente è indice di un insufficiente legame tra funzionamento e uso, ovvero di una scarsa qualità relazionale. Come afferma lo psicologo cognitivista Donald Norman, il potere degli artefatti del l'informazione è che essi ci danno un'opportunità senza precedenti di migliorare la nostra vita. Il pericolo è che possano esacerbare lo stress che caratterizza la nostra vita quotidiana8.
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La crisi dei tradizionali rapporti dialettici forma-fun zione e struttura-involucro rappresenta un aspetto molto si gnificativo non solo per il progetto dei nuovi artefatti, ma anche per l'utilizzo e, quindi, per la comprensione del loro funzionamento da parte degli utenti.
cile la riconoscibilità delle loro prestazioni: radio, giradi schi, registratori nonché compact o video disk sono inte grati in una serie di elementi modulari variamente com ponibili, il cui aspetto deve essere altamente tecnologico. Molto spesso indistinguibili a prima vista gli uni dagli altri, essi rispondono a dei canoni comuni di design che poco li differenziano dai pannelli di strumenti elettronici che si trovano nei laboratori di ricerca 12• Le difficoltà dei
progettisti di dar forma e di comunicare il significato di og getti il cui contenuto risulta 'invisibile', di definire legami significativi tra interno e esterno del prodotto, si concretiz zano, per gli utenti, in problemi di percezione e compren sione e, quindi, di utilizzo. La «sindrome della scatola nera» 13 è proprio il senso di spiazzamento dei consueti cri teri di valutazione e di comprensione di un prodotto, che si prova nel momento in cui si tenti di utilizzare un nuovo ar tefatto, con notevoli sforzi cognitivi, senza riuscirci, condi zione che può generare un senso di rifiuto generale degli ar tefatti tecnologici da parte dell'utente. Le 'scatole nere' microelettroniche esprimono, precisamente attraverso il loro 'anonimato', l'influsso della nuova tecnologia sulla fisionomia dei prodotti. A una tecnologia multivalente e ubiqua corrispondono prodotti intercambiabili e per tanto formalmente indifferenziati. Questa mancanza di identità tuttavia sembra essere tutt'altro che il frutto di una scelta consapevole e coerente 14 •
Infine, la possibilità di moltiplicare e giustapporre fun zioni diverse all'interno di uno stesso prodotto, si traduce in una drastica riduzione della «leggibilità» e quindi dell'op portunità di utilizzare le prestazioni che il prodotto poten zialmente offre: le ragioni di un simile paradosso sono fa cilmente comprensibili, sostengono Burke, Chiapponi e Rurik, l'accumulo di prestazioni tanto sofisticate quanto
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inutili viene considerato, a torto o a ragione, il princi pale strumento di penetrazione sul mercato. Questo obiettivo viene ritenuto assolutamente prioritario. Tanto da sacrificargli anche la effettiva fruibilità delle prestazioni teoricamente possibili 15•
attività che ci sono poco congeniali, e aiutandoci a svi luppare quelle che a noi più si confanno. Questo sarebbe un uso appropriato - umano- della tecnologia 17 • I problemi di «usabilità» dei prodotti miniaturizzati, complessi e ad alto contenuto tecnologico, facendo emer gere in modo sempre più evidente il principio secondo il quale «non è l'uomo a doversi adattare alla tecnologia, ma è la tecnologia che deve umanizzarsi», pongono la cultura del progetto dì fronte alla necessità di sviluppare nuove compe tenze e di riorientare i propri strumenti concettuali e meto dologici. La cultura del design deve cominciare ad affrontare i nuovi vincoli connessi all'accessibilità, alla facilità d'uso e di comprensione degli artefatti da parte degli utenti, rive dendo i tradizionali criteri di definizione dei prodotti e cen trando la propria attenzione sulle qualità comunicative e re lazionali dei nuovi artefatti. La progettazione consapevole degli aspetti comunicativi dei prodotti e degli oggetti è una condizione irrinunciabile per un loro facile ed effi cace utilizzo nella vita quotidiana... In una situazione in cui quasi tutto sembra essere tecnologicamente fattibile, l'attuale compito progettuale consiste nel rideterminare gli archetipi della nostra cultura materiale e nel facili tarne l'utilizzo ricorrendo a tutti gli strumenti della pro gettazione comunicativa 18• Per cogliere e ottimizzare le potenzialità offerte dalle nuove tecnologie informatiche e telematiche, la cultura del design è chiamata a compiere un duplice spostamento della propria attenzione progettuale: dal prodotto in sé (caratteristi che intrinseche tecnico-prestazionali ed estetico-formali) alla qualità dell'interazione tra uomo, artefatti e contesto d'uso; e da un approccio al progetto centrato sulla tecnologia ad uno centrato sull'utente, ovvero sui reali bisogni dell'uomo. È necessario che il design contribuisca ad avviare un processo dì «umanizzazione della tecnologia», indispensa bile affinché gli oggetti tecnologici che entrano a far parte della nostra vita siano «intelligenti», ma anche efficienti, efficaci e piacevoli, cioè usabili. Il design dovrebbe essere 48
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grado di efficacia, efficienza e soddisfazione con cui un pro dotto può essere usato da particolari utenti per raggiungere certi obiettivi, in uno specifico contesto d'uso, intendendo l'efficacia come «accuratezza e completezza con cui gli utenti raggiungono gli obiettivi», l'efficienza come «accu ratezza e completezza degli obiettivi raggiunti in relazione alle risorse spese» e la soddisfazione come «comfort e ac cettabilità nell'uso del prodotto». Il concetto di «usabilità» si è diffuso all'interno della cultura del progetto, attraverso l'ergonomia cognitiva e, più in particolare, con gli studi volti a migliorare l'usabilità e le interfacce dei prodotti a base informatica, come i software. Concettualmente l'usabilità di un prodotto, e più in partico lare di un prodotto informatizzato, misura la distanza cogni tiva fra il design model (modello del prodotto e delle sue modalità d'uso possedute dal progettista ed incorporati nel software) e lo user model (modello di funzionamento del prodotto che l'utente si costruisce e che regola l'interazione col prodotto): la distanza tra i due modelli determina l'usa bilità del sistema. In questa prospettiva assume rilevanza cruciale l'interfaccia del prodotto: essa deve rendere imme diatamente conto delle possibilità, dei limiti e delle moda lità del suo funzionamento, evidenziando la relazione tra le azioni che l'utente può compiere sull'interfaccia stessa (manipolare oggetti, spostarli, scrivere, ecc.) ed i risultati che può ottenere (non le operazioni e computazioni che consentono quelle azioni). Efficacia, efficienza e soddisfazione, come dimensioni dell'usabilità, sono oggetto di studi di psicologi ed ergo nomi cognitivisti per la necessità di renderle componenti valutabili e quantificabili in termini progettuali. La defini zione di tali misure è, per Bandini Buti, il risultato di prove con utenti, cioè di prove di usabilità ... Non si vuol sem plicemente affermare che si possano definire valori nu merici rispetto ali'utilizzo o alla soddisfazione che ci informino se le cosefunzionano o meno, ma che si debba analizzare un elemento qualitativo dell'usabilità che è difficile da esprimere attraverso numeri e a volte è an-
La progressiva estensione del concetto di usabilità alla progettazione di qualsiasi prodotto industriale consente di affermare che studiare l'usabilità di un oggetto significa quindi analizzare l'insieme delle operazioni che l'utente svolge interagendo con questo - usandolo. Ma con un obiettivo: tutte le operazioni devono essere svolte con si curo successo, con il minimo sforzo cognitivo, con pia cere25 . Pertanto l'usabilità è una caratteristica che emerge dall'interazione, come sottolinea Tractinsky, e non dipende in modo esclusivo dall'utente né dai caratteri specifici del l'artefatto26. La facilità d'uso (usability) definisce la qua lità dell'interazione tra l'utente e il prodotto in un deter minato contesto... Da questa definizione consegue che certi aspetti del funzionamento del prodotto come i com piti eseguiti, le caratteristiche dell'utente e le condizioni ambientali sono importanti per la determinazione della facilità d'uso quanto le caratteristiche dell'apparecchia tura ... Se il nostro obiettivo è quello di progettare un prodotto facile da usare, il nostro punto di partenza deve perciò essere la comprensione dei compiti, degli utenti e del contesto d'uso27. L'usabilità, inoltre, diviene una domanda da parte del l'utenza, e quindi un obiettivo dei progettisti e dei produt tori di sistemi e artefatti tecnici, soprattutto nella fase di ma turità di una tecnologia, dopo che questa è stata indagata e sperimentata a pieno dal punto di vista delle performance tecniche e funzionali. Nella fase matura di una tecnolo gia, la facilità d'uso, l'usabilità e la convenienza diven tano punti chiave, in quanto gli aspetti tecnologici sono dati per acquisiti ... Quando la tecnologia matura si ini ziano a semplificare le attività dal punto di vista dell'u tente28. Infatti, nell'attuale fase di sviluppo tecnologico, in cui le tecnologie dell'informazione e della comunicazione stanno abbandonando la loro adolescenza per entrare nella fase di maturità, l'usabilità diventa un tema centrale e deter minante.
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cettuale», ovvero di un modello di lettura e comprensione del prodotto che sia il più possibile coincidente con il mo dello mentale dell'utente finale, cioè il modello con cui l'u tente interpreta gli altri, l'ambiente e le cose con cui intera gisce. È necessario che la rappresentazione mentale, co struita dall'utente, dei rapporti di causalità tra azioni ed ef fetti coincida con quella del progettista, affinché l'intera zione tra uomo e artefatto sia efficace, condizione difficile da raggiungere, perché i progettisti non sono mai gli utenti tipici e non riescono sempre a possedere quell'empatia con l'utente necessaria a soddisfarne le esigenze. Il modello concettuale è, pertanto, l'insieme dei con cetti che una persona acquisisce per spiegare il compor tamento di un sistema, sia che si tratti di un sistema computerizzato, o di un sistema fisico, o di un sistema ipotetico. È il modello sviluppato nella mente dell'utiliz zatore che mette in grado quest'ultimo di comprendere il sistema e interagire con esso29. Tale principio ha una no
tevole rilevanza nello sviluppo di prodotti innovativi, dal punto di vista tipologico e funzionale, o complessi, dal punto di vista tecnologico, per i quali gli utenti non possono fare affidamento sull'esperienza e sulla memoria dell'uti lizzo e del funzionamento di prodotti analoghi o associabili: in tal caso, infatti, un modello concettuale adeguato per mette all'utente di farsi subito un'idea del funzionamento dell'artefatto, consentendogli di utilizzare la conoscenza esterna o esperienziale, che si basa sulla memoria tratta da gli oggetti che compongono il mondo. Norman distingue tre aspetti diversi dei modelli mentali: il modello progettuale, il modello dell'utente e l'immagine del sistema. Il modello progettuale è la concettualizza zione del dispositivo che ha in mente il progettista. Il mo dello dell'utente è quello che l'utente sviluppa per spie gare il funzionamento del sistema. In condizioni ideali, i due modelli sono equivalenti. Ma l'utente e il progettista comunicano fra loro attraverso il sistema stesso: i ma 54
nuali e le istruzioni che lo accompagnano. È cruciale quindi l'immagine del sistema: il progettista deve assi-
esplicito l'uso del prodotto, cioè le azioni appropriate da compiere, impedendo all'utente di compiere errori. I «vincoli d'uso» sono limitazioni che circoscrivono il campo di azione degli utenti, limitando il numero delle azioni e delle operazioni possibili per facilitare l'utilizzo di un prodotto34. Norman fa degli esempi di «vincoli d'uso» che riguar dano prodotti semplici, ma che chiariscono la loro valenza: un fornello a quattro fuochi che ha le quattro manopole di accensione e regolazione disposte nello stesso ordine dei fuochi limita la possibilità di azioni errate; la visibilità di una cerniera in una porta senza maniglia e senza serratura li mita il numero di azioni che si possono fare per aprirla; un telecomando che differenzia e rende visibili solo i comandi principali, mentre nasconde sotto un coperchio quelli meno usati, limita le possibilità d'azione e facilita l'uso. Norman definisce poi le «funzioni obbliganti», cioè vin coli d'uso particolari che impediscono di compiere, durante l'uso, errori ed azioni volontarie o accidentali che possano compromettere il raggiungimento dei risultati e che evitano azioni pericolose o inefficienze. Le «funzioni obbliganti», infatti, sono utilizzate princi palmente nel campo dei sistemi di sicurezza, per impedire comportamenti che possano generare situazioni di rischio e di pericolo; il loro impiego nella definizione di prodotti di largo consumo è sempre stato attento e cauto poiché limita notevolmente i gradi di libertà e le possibilità di azione de gli utenti e spesso non distingue tra comportamenti volon tari ed accidentali, rischiando di rendere il prodotto poco ac cettabile. In alcuni casi però l'utilizzo di «funzioni obbli ganti» è desiderabile anche nel progetto di oggetti d'uso quotidiano, ma nella maggior parte dei casi è preferibile de finire i prodotti, sulla base del principio della reversibilità, in modo da concedere all'utente la possibilità di compiere errori o azioni impreviste durante l'uso. Tra le «funzioni ob bliganti» impiegate correttamente e utilmente in oggetti d'uso, Norman ricorda le seguenti: nelle auto di recente pro56 duzione la portiera non può essere chiusa se non usando la
siamo ricordare i seguenti: una piastra liscia su una porta in vita a spingere, una manopola suggerisce di ruotare, un pul sante induce a schiacciare. L'adeguata combinazione di «vincoli» ed «inviti d'uso» permette ai prodotti di essere comprensibili ed usabili, per ché rende visibili, in modo progettuale e non sotto forma di manuali, gli aspetti più significativi per un uso soddisfa cente, oltreché efficace ed efficiente, del prodotto.
Il mapping
Il terzo principio che Norman considera fondamentale per l'usabilità, strettamente connesso alla visibilità, è il map ping, ovvero creare relazioni e connessioni il più possibile naturali tra le cose, tra le intenzioni dell'utente e le azioni possibili, tra le azioni e i loro effetti sul sistema, tra lo stato del sistema e ciò che si percepisce con la vista, l'udito o il tatto, tra dispositivi di comando e di controllo di un'azione, tra il comando e la sua funzione. Queste correlazioni devono essere evidenti e visibili, percepibili facilmente. Un map ping naturale, scrive Norman, col che intendo lo sfruttare analogie fisiche e modelli culturali, porta alla compren sione immediata. Per esempio, il progettista può utiliz zare l'analogia spaziale: per sollevare un oggetto, muo vere il comando verso l'alto. Per comandare un insieme di luci disposte in un certo modo, distribuire gli interrut tori secondo lo stesso schema. Alcune di queste correla zioni naturali sono di natura culturale o biologica, come il modello universale secondo cui un livello che sale rap presenta 'più' e un livello che cala 'meno'. Analoga mente, un suono più forte può significare una maggiore quantità. Quantità e intensità (e peso, lunghezza di una linea, luminosità) sono dimensioni additive: aggiungerne basta a segnalare un incremento ... Il mapping naturale è la base di quella che si chiama 'compatibilità di risposta' nello studio dei fattori umani e dell'ergonomia. Il requi58 sito principale della compatibilità di risposta è che il rap-
Problemi di usabilità frequenti si verificano, infatti, in quegli oggetti che hanno più funzioni e meno feedback, cioè che non danno sufficiente informazione di ritorno rispetto a quella potenziale in ingresso: il risultato è, in genere, diffi coltà d'uso e utilizzo di limitate funzioni; se mancano suffi cienti dispositivi difeedback, lo sforzo cognitivo dell'utente durante l'interazione aumenta e l'interazione può risultare frustrante e poco efficiente. Pertanto il principio del feed back facilita la valutazione di un'azione compiuta durante l'uso e l'interpretazione del risultato raggiunto, più che l'e secuzione, come nel caso di «inviti» e «vincoli d'uso» o del principio di mapping. Parte cruciale di un'azione è la va
lutazione dei suoi effetti. Essa richiede una tempestiva informazione di ritorno circa i risultati. Questo feed back deve fornire un'informazione coerente con le aspettative dell'utente e deve presentarsi in una forma facilmente comprensibile. Molti sistemi omettono di for nire risultati visibili e rilevanti delle azioni, e anche quando l'informazione c'è può non essere facile da in terpretare38 .
Inoltre è, fondamentale che il progetto di un nuovo arte fatto tolleri gli errori che l'utente può compiere nell'intera zione con esso, consentendo un processo di reversibilità dell'azione errata compiuta: bisogna, quindi, partire dal
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presupposto che qualunque errore che teoricamente possa essere commesso, prima o poi lo sarà. Progettare in vista di questo. Concepire ogni azione dell'utente come un tentativo di fare un passo nella giusta dire zione: l'errore non è altro che un'azione specificata in maniera incompleta o inesatta. Concepire l'azione come parte di un naturale dialogo costruttivo fra utente e si stema. Cercare di sostenere, non di contrastare, le rispo ste dell'utente. Permettergli di rimediare agli errori, di sapere che cosa ha fatto e che cosa è successo, e di retti ficare qualunque risultato non voluto. Far sì che sia fa cile invertire e correggere le operazioni; rendere difficili le operazioni irreversibili. Progettare sistemi esplorabili. Sfruttare le funzioni obbliganti39 •
2 Cfr. M. VITTA, Il disegno delle cose. Storia degli oggetti e teoria Liguori Editore, Napoli 1996, p. 134. 3 Cfr. A. BRANZI, Oggetti post-tecnologici, in Domus, n. 797, 1997, pp. 76-83. 4 Cfr. M. CHIAPPONI, Cultura sociale del prodotto. Nuove fron tiere per il disegno industriale, Feltrinelli, Milano 1999, p. 159. 5 Cfr. A. Semprini. Il senso delle cose. I significati sociali e cultu rali degli oggetti quotidiani, Franco Angeli, Milano 1999, p. 37. 6 Cfr. E. FIORANI, La comunicazione a rete globale. Per capire e vivere la mutazione di un'epoca, Lupetti, Milano 1998. p. 135. 7 Sul tema dell'integrazione in un prodotto di funzioni non perti nenti e coerenti con le esigenze di utilizzo reali, cfr. S. MARZANO, Me tamorfosi dei prodotti, in E. MANZINI, M. SusANI [a cura di], op. cit., p. 161. 8 Cfr. D.A. NoRMAN, Le cose che cifanno intelligenti. Il posto della tecnologia nel mondo dell'uomo, Feltrinelli, Milano 1995, p. 114. 9 Cfr. M. VITTA, op. cit., p. 134. 1 ° Cfr. D.A. NORMAN, Lo sguardo delle macchine. Per una tecno logia dal volto umano, Giunti, Firenze 1995, pp. 71-72. 11 Cfr. P. BRENNI, Elettronica di consumo, in AA.Vv., Storia del disegno industriale. 1919-1990, Electa, Milano 1991, pp. 301-304. 12 lbidem. 13 P er una descrizione della «sindrome della scatola nera» cfr. S. CASCIANI, Il sogno del comando. Realtà e utopia dell'automazione do mestica, Città Studi Edizioni, Milano 1995. 14 M. BURKE, M. CHIAPP0NI, T. RURIK, Ma questa è una lava trice?, in Ottagono, n. 110, l 994, pp. 17-22. 15 lvi, p. 21. 16 Cfr. E. MANZINI, li tramonto dell'era meccanica, in AA.V V., Storia del disegno industriale. 1919-1990, Electa, Milano 1991, p. 52. 17 lvi, p. 26. 18 Cfr. M. BURKE, M. CHIAPPONI, T. R URIK, op. cit., p. 22. 19 Cfr. D. A. NORMAN, Le cose che ci fanno intelligenti, op. cit., p. 114. 2 ° Cfr. P. Flichy, L'innovazione tecnologica. Le teorie de"tl'innova zione difronte alla rivoluzione digitale, Feltrinelli, Milano 1996. 21 Intemational Organization for Standardization, ISO 9241 - Er
del design,
gonomic requirements for office work with visual display terminals,
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1997: nella parte 11, Guidance on usability, 1998, è contenuta la defi nizione di «usabilità». 22 Cfr. L. BANDINI BuTI, L'usabilità, in Ergonomia e progetto del l'utile e del piacevole, Maggioli, Rimini 1998, pp. 99-100. 23 Cfr. P. RABARDEL, Gli strumenti dell'uomo. Dall'oggetto al l'uso, in Ergonomia, n. 9, 1997, p. 17. 24 Cfr. G. MANTOVANI, La qualità dell'interazione uomo-compu ter, Il Mulino, Bologna 1991, pp. 59-60. 25 Cfr. M. MANZONI, Usabilità, i passi verso l'utente finale, in Er gonomia, n. 2, 1994, pp. 12-13. 26 Cfr. N. TRACTINSKY, Aesthetics and Apparent Usability: Empi-