Op. cit., 121, settembre 2004

Page 1


Op.cit. rivista quadrimestrale di selezione della critica d'arte contemporanea

Direttore: Renato De Fusco Redattori: Roberta Amirante, Alessandro Castagnaro, Alessandra de Martini

Livio Sacchi

Segretaria di redazione: Rosa Losito

Redazione: 80123 Napoli, Via Vincenzo Padula, 2 -Tel. 081/7690783

Amministrazione: 80122 Napoli, Via Francesco Caracciolo, 13 -Tel. 081/7614682 Un fascicolo separato€ 6.00 (compresa IVA) - Estero€ 7.00

Abbonamento annuale:

Italia€ 16.00 - Estero€ 19.00 Un fascicolo arretrato€ 7.00 - Estero€ 8.00 Spedizione in abbonamento postale - 70% Direzione commerciale imprese - Napoli C/C/P n. 24514804

Electa Napoli


Editoriale

ARGAN, AssUNTO, Design e mass media MUNARI, MENNA

5 7

R. DE Fusco

Utilita storiografica di una dicotomia linguistica Note sull'arte concettuale

29 42

M. UTILI

Sul concetto di gusto La crisi dell'architett11ra: 11n 'a11tocritica

69 94

D. DEL PESCO, M.A. PICONE

L. SACCHI

Alla redazione di questo n11111ero hanno collaborato: Roberta Amirante, Alessandro Castagnaro, Renato De Fusco e Rosa Losito.


La rivista si avvale del contributo eco11omico delle seguenti Aziende:

Alessi Driade



ii visibile al dicibile o, meglio, tutto il percettivo al con­ cettuale. Molto si e certamente perso, ma altrettanto si e guadagnato: nel pieno della civilta delle immagini ab­ biamo puntato sulla comunicazione scritta; al piacere della rivista da sfogliare abbiamo preferito quello dei pensieri da leggere. Certo, non ci nascondiamo un carattere un po' anacronistico, artigianale nel tempo di Internet, ma non e un prezzo da pagare all'anticonformismo? non intitolo ii filosofo «inattuali» le sue originali considerazioni? Come che sia, qualcosa di positivo l'abbiamo detta per durare tanti anni e meritare prima la fiducia della galleria «II cen­ tro» e successivamente quella di una vera casa editrice, l'Electa Napoli. In questo numero, pur evitando la formula commer­ ciale «ii meglio di...», di fatto abbiamo raccolto cinque testi, ritenendoli, se non i migliori, com'e detto per sem­ plicita nel somrnario di copertina, almeno i piu significa­ tivi dei vari aspetti della rivista. Alcuni sono stati scelti soprattutto per il loro contenuto, altri perche tratti da fa­ scicoli esauriti e perche riflettono il dibattito culturale del momento in cui furono redatti. L'ultimo sulla crisi del­ l'architettura, sebbene scritto nel 1996, potrebbe recare la data di oggi.

6



8

poiche ii design mira alla diffusione di oggetti aventi carattere di modello di valore, dobbiamo chiederci quale sia ii rapporto del design come mass medium con la fenomenologia della cultura di massa. Secondo Argan, il design sembra essere in contraddiz:·.one con il caos delle immagini visive e sonore a cui siano sottopo­ sti con lo scopo di determinare le nostre decisioni attra­ verso impulsi inconsci, invece che attraverso �iudizi e la contraddizione appare verificabile nelle due punte estreme dell' attuale situazione delle poetiche artistiche. Da una parte abbiamo il design, a cui si collega l'arte detta ge­ staltica, e dall'altra alcune correnti neo figurative e so­ prattutto la pop art americana. A proposito di tale con­ traddizione Argan precisa che l'arte detta gestaltica e la pop art si presentano come ii risultato di due processi com­ pletamente diversi. La gestaltica, cioe l'arte di ricerca sui valori co­ struttivi della percezione, sulla cinetica delta visione, e ii risultato evidente di un processo di sublimazione; tanto e vero che l'oggetto scompare, si volatilizza e di esso rimane soltanto una strutturazione quasi inaffer­ rabile come concretezza formale, ma riconoscibile come rappresentazione diagrammatica c.el processo che l'ha prodotta. La pop art appare invece come un processo di precipitazione, tanto e vero clre restituisce l'oggetto nella sua testualita, sia pure eccependolo dai contesti spaziali abituali nei quali questo· oggetto ci si presenta. Cio che si volatilizza in questo processo e ii procedimento costruttivo, sicche l'oggetto, piu che co­ struito o prodotto, appare prelevato od estratto da un contesto empirico. In realta, questi due processi di subli­ mazione e di precipitazione, operano nell'ambito di una medesima realta: il mondo storico conterr:poraneo nella pluralita e varieta dei suoi fenomeni, e allota ii problema che si pone e di verificare se la situazione storica del mondo contemporaneo, coi suoi modi di produzione e di vita, abbia o non abbia esiti estetici e, in un ambito piu largo, culturali.


Dopo aver osservato che sia l'arte gestaltica che la pop art insistono in un medesimo ambito economico-culturale, Argan afferma: E chiaro che essendo ii mondo contem­ poraneo caratterizzato dal problema della produzione e del consumo, e facile ridurre la ricerca gestaltica o costruttiva alla metodologia della produzione e la ri­ cerca documentaria e testimoniale della pop art al pro­ blema del consumo. [ .•••]. Approfondendo l'esame, ci accorgiamo che questi due aspetti della produzione e del consumo, anche considerati dal punto di vista este­ tico, non si sottraggono a (Juella che e la legge fonda­ mentale della vita economica, cioe alla relazione tra produzione e consumo, al condizionamento del con­ sumo attraverso la produzione, al condizionamento della produzione attraverso ii consumo. Quindi, non soltanto nel campo della produzione corrente la ricerca di mercato condiziona la produzione, ma anche nella ricerca dei valori di qualita. A questo punto Argan cita alcuni esempi: la pubblicita, ii problema dell' involucro degli oggetti, I' automobile in cui, a suo parere, evidentemente ii problema della funzio­ nalita meccanica e della corrispondenza della forma alla funzionalita meccanica e oltrepassato e deviato nell'ade­ guamento della forma alla funzione dell' automobile come simbolo sociale, per rilevare che: E chiaramente perce­ pibile che l'influenza della ricerca motivazionale - cioe la ricerca dei motivi profondi delle scelte - alle quali s'ispira oggi la produzione economica, soprattutto per l'influenza dei gruppi di potere che la guidano, inter­ ferisce sul design al punto che esso ha in molti casi per­ duto la propria facolta di decidere ii tipo, la forma, la qualita della produzione. Un altro aspetto da sottoli­ neare e che ii design tende a non differenziare l'oggetto dotato di qualita estetica da tutti gli oggetti di uso co­ mune; tende cioe o ad una qualificazione estetica o ad una squalificazione estetica di tutto ii mondo della pro­ duzione. Evidentemente ii dilemma sta nel decidere se si giunga ad una qualificazione generate, ad una qua-

9


lificazione estetica o ad una squalificazione estetica di tutta la produzione ... Ma esiste veramente una diffe­ renza cosi profonda nei confronti di quel passato che noi temiamo o desideriamo di vedere inabissarsi con ii determinarsi di una cultura di massa, cioe con una cul­ tura strutturalmente diversa dalla precedente? II fatto che ii design, seguitando e non distruggendo la tradizione del rapporto arte-produzione quale si e avuto nel passato, giunga ad una ricerca di simboli sociali, non nuovo. E ancora meno strano, a suo parere, che, nella condizione attuale del mondo, si cerchi di rispondere con un'arte indifferenziata ad una societa indifferenziata: Che cosa in pratica, la societa indifferenziata? E una so­ cieta borghese che si viene disgregando fino ad una configurazione puntiforme, in cui i suoi componenti non siano piu riconoscibili per delle qualita indivi­ duali? 0 al contrario, una nuova classe? 0 e una nuova struttura della societa che si sovrappone ed eli­ mina in se la societa borghese? Secondo Argan, il mo­ mento attuale un memento in cui i designers e, per estensione, gli artisti sono ancora esponenti di una bor­ ghesia, scontenti di esserlo, desiderosi di accelerare la crisi della societa di cui fanno parte, ma non possono pre­ tendere che i lineamenti di questa crisi della societa bor­ ghese e i processi della sua disgregazione diventino i li­ neamenti costruttivi della nuova classe, della nuova so­ cieta e i processi costruttivi del suo avverarsi: Noi oggi parliamo di una crisi del design e - in senso piu esteso - della crisi dell'arte, che potrebbe essere proprio esemplificata nel fatto che nessuna delle due correnti figurative piu attuali si proponga come capace di rea­ lizzare un fatto artistico nella sua totalita ma soltanto di realizzarlo in un modo che e in antitesi ad un altro modo. Ebbene il momento attuale per quanto possa sembrare assurdo, un momento molto·simile a quello del principio del Novecento, a quello di quell'arte flo­ reale, a cui per uno sbaglio di obiettivo, molti ·si ri10 chiamano... Perche, nel momento in cui tanto si parla

e

e

e,

e,

e

e,


della necessita di interessare le masse alla produzione artistica, raramente se ne tien conto, 1.·aramente si ha ii coraggio di dare a queste masse ii nome che esse hanno, cioe ii nome di proletariato? Non ci interessa piu l'elite che fa l'arte per ii proletariato: molto ci in­ teresserebbe sapere quale sia o sia per essere l'arte del proletariato .•• di una classe politica per eccellenza, nel senso che e la classe dei nullatenenti e quindi dei non interessati. L'arte del proletariato ha, in questo senso, la possibi­ lita di risolvere ii rapporto tra un'arte che tenga conto de­ gli aspetti del mondo ed un'arte che in\'ece si proponga come ipotesi di riforma in astratto: L'arte che oggi si pro­ pone non vuole piu essere un'arte d'elite, non vuole piu essere arte come oggetto di capitalizzazione, come bene, come ricchezza che viene accantonata per un tempo successivo, o addirittura per l'eternita. Che cosa puo sostituire la fine di questa identita: arte-tesoro? Soltanto, io credo, una nuova identita: arte-funzione. Arte-funzione non solo in un senso meccanico, ma arte­ funzione nel senso educativo piu ampio, per cui ii pro­ blema ritorna ancora una volta a quello della funzione dell'arte come mezzo di educazione estetica.

ROSARIO ASSUNTO

Assunta, riconoscendo al discorso di Argan ricchezza di spunti e complessita di argomentazioni, dichiara di vo­ ler solo sottolineare alcuni .aspetti trattati, aggiungere delle postille e delle esemplificazioni soprattutto sul piano della storia delle idee che e la mia specializza­ zione professionale. Egli propone, allora, di allargare ii discorso sull'arte come strumento di educazione e di edue?azione estetica che, se vale nei termini esposti da Argan per le arti vi­ sive, vale anche per tutte le arti, naturalmente per ogni arte nella sua modalita diversa. Arte come educazione

II


estetica, cioe come educazione dell'uomo per eccel­ lenza: perche direi, quello che rende l'uomo civile e lo distingue dai barbari e appunto ii riconoscimento dei valori estetici. Ma questo riconoscimento e quanto mai raro e molti "barbari" detengono il potere politico ed economico; come esempio egli ricorda quel noto uomo politico che ebbe ad asserire, a proposito di un pro­ blema di conservazione dei valori ambientali delle citta antiche e, quindi, di limitazioni del traffico, che ii traf­ fico e una realta e l'estetica e materia soggettiva ed opi­ nabile. L'educazione estetica principio di civilta ed al suo servizio vanno posti gli strumenti che la cultura di massa mette a nostra disposizione. Alcuni anni fa ebbi a mani­ festare ii mio pensiero in tema di industrial design. In disaccordo con certi escatologi della cultura di massa e con tanti amici avanguardisti a tutti i costi, cercavo le premesse di quella visione che speriamo di raggiun­ gere servendoci dell'industrial design e della cultura di massa e trovai fonte d'ispirazione nelle Lettere sull'e­ ducazione estetica di Federico Schiller. L'educazione estetica antepone alla realta l'apparenza; infatti, per quanto noi si voglia, e giustamente, eliminare ogni ap­ parenza mistificatoria e menzognera, se vogliamo dare una qualificazione estetica a tutto ii nostro ambiente, dobbiamo preoccuparci dell'apparenza come di un fine ed un valore in se, anche se cio puo sembrare scanda­ loso. L a radice del problema estetico e appunto questa: considerare l'apparenza non come la veste ingannevole e mistificatrice, ma come una realta che ha valore per noi in quanto non ci limitiamo ad usare le cose, ma vo­ gliamo goderne le immagini; la forma, l'apparenza: la bella apparenza delle cose. Il problema odiemo, a suo parere, quello di indivi­ duare schemi adeguati ad una nuova strutturazione este­ tica, criteri orientativi che permettano un uso proprio ed esatto degli strumenti che ii progresso tecnologico mette 12 al servizio degli uomini, e non un uso falsificatore: E in-

e

e


dispensabile, cioe, che le nuove forme industriali non sostituiscano un estetismo ad un altro estetismo, e si giustifichino in quanto sono le piu adatte ad essere pro­ dotte servendosi di certi mezzi e non in quanto soddi­ sfano esigenze artificiali di ostentazione sociale. E ne­ cessario, altresi, che la qualita estetica dei prodotti sia adeguata al maggior numero possibile di persone, ipo­ teticamente aHa totalita degli individui, e che ogni atto di consumo sia anche atto di fruizione estetica ed ogni atto di produzione sia anche atto di qualificazione del mondo. A proposito dei mass media, Assunto dichiara di non condividere il terrore con cui si guarda ai nuovi mezzi di diffusione della cultura ma di guardarli con una certa soddisfazione, anche se il bombardamento d'immagini al quale i mezzi di comunicazione di massa ci sottopongono ha un aspetto notturno, nel senso che sollecita in noi la passione della notte, non sempre positiva. Con par­ ticolare riguardo ai fumetti, Assunto pone in rilievo la funzione di promozione culturale che essi realizzano per gli strati piu incolti della popolazione ed affaccia ii pro­ blema de) produttore di immagini per i fumetti: anche qui si pone ii problema della qualificazione estetica di immagini che non sono fine a se stesse, ma strumen­ tali. Sotto questo profilo, ii fumetto non e altro che una trasposizione laica e mondana di quella funzione di co­ municazione che avevano gli affreschi delle chiese, l'i­ conografia sacra e, in un certo senso, l' araldica. Quest'ultima era molto spesso la trasformazione di certe idee in schemi percettivi facilmente accessibili. L'araldica stabiliva un rapporto convenzionale tra ii momento percettivo e quello concettuale attraverso un simbolo grafico. Concludendo Assunto richiama quei passi di Marx nei quali il filosofo tedesco auspicava un tempo nel quale non ci sarebbero stati piu pittori, ma uomini che, oltre al resto, avrebbero anche saputo dipingere e quell'altro nel quale rammentava l'arte greca che vale per noi come mo-

13


dello inimitabile. Ma le idee estetiche di Marx, e in parti­ colare quelle sull'arte greca, hanno le lorn radici in Hegel, e attraverso Hegel, risaliamo a Schiller e Holderlin. Perche questi riferimenti a lontani autori? Perche - so­ stiene Assunto - ii nostro problema e ancora questo: proiettare n-el futuro, non solo come sogno, ma come scopo raggiungibile - servendoci proprio dei mezzi of­ fertici dalla situazione presente, ed attraverso una spie­ tata e lucida analisi della stessa - q_uel passato che Hegel nella introduzione alle Lezioni di estetica rim­ piangeva dicendo: «I giorni, giorni belli della Grecia antica, l'eta. dell'oro del tardo Medioevo sono ormai lontani». 11 nostro problema, quando ci occupiamo di design e di mass media, e quello di far si che - attra­ verso lo studio per chi teorizza, attraverso la ricerca pratica per chi opera - questi mezzi, che alcuni repu­ tano diabolici, possano diventare ii modo per recupe­ rare nella presente situazione quella centralita del va­ lore estetico nella costituzione dell'esperienza umana che Hegel, rifacendosi all'ellenismo di Winckelmann, celebrava nel mondo antico come «una bellezza di cui non ci sara mai l'eguale».

BRUNO MUNARI

14

Munari inizia dichiarando che il suo intervento non avra un carattere teorico ma servira a comunicare l'espe­ rienza di lavoro di un designer. A differenza del pittore o dell'artista tradizionale ii quale, attraverso i mezzi consueti, compone la sua opera e attende che questa parli agli altri, ii designer si pone di fronte ad un problema richiesto dalla societa operando attraverso i nuovi mezzi che volta a volta, a seconda dei temi, gli vengono offerti dalla tecnica. Egli affronta ii suo lavoro senza alcun preconcetto ne di forma, ne di stile, ne di astrazione o non astrazione, aderendo essenzialmente ai mezzi tecnologici disponibili


II designer si differenzia oltre che dall' artista, anche dall'ingegnere progettista di oggetti industriali: II mctodo di lavoro del designer e in­

per risolvere ciascun problcma.

vece diverso. II designer da la giusta importanza a ogni componente dell'oggetto da progettare e sa che anche la forma definitiva dell'oggetto progettato ha un valore psicologico determinante al momento della decisione di acquisto da parte del compratore. Egli cerca quindi di dare una forma ii piu possibile coerente alla funzione dell'oggetto, forma che nasce direi quasi spontanea­ mente, suggerita dalla funzione, dalla parte meccanica · (quando c'e), dal materiale piu adatto, dalle tecniche di produzione piu moderne, da un esame dei costi, e da al­ tri fattori di carattere psicologico ed estetico.

Secondo Munari, ogni argomento ha gia in se le sue forme e le sue immagini che aspettano soltanto di essere rivelate con inezzi moderni; quindi l'artista di oggi non soltanto ha i mezzi della pittura, della scultura per espri­ mersi ma anche un'infinita di altri mezzi. Inoltre il desi­ gner non puo avere opinioni personali di fronte al pro­ blema, ma deve tenersi rigorosamente ai dati statistici. A sostegno di questa tesi Munari cita I'esito di un esperi­ mento fatto su un certo numero di persone per vedere come venivano accettati i colori di un imballaggio per un detersivo. In tre scatole decorate, una in giallo, una in blu e I'altra in giallo e blu venne posto lo stesso detersivo. Dall'indagine statistica risulto che ii detersivo giallo era corrosivo, quello blu era inefficace e quello giallo e blu era perfetto: II motivo di tale preferenza e stato spiegato col fatto che ii giallo e ii blu essendo dei colori com­

plementari danno una soddisfazione ed un equilibrio psicologico alla persona. Infatti se ii nostro occhio e colpito da una luce rossa quando chiudiamo gli occhi noi vediamo verde e questo colore che e complemen­ tare del rosso lentamente sfuma verso ii nero e si sta­ bilisce un equilibrio; quindi un oggetto o un imballag­ gio fatto con dei colori complementari ha sempre un effetto sicuro.

15


In conformita alla sua premessa di voler comunicare solo un'esperienza, Munari non esprime alcun giudizio su questo tipo di sollecitazione, di persuasione mistificatoria esercitata a volte dal designer. In quest'incontro si e par­ lato di hello, di hellezza e di estetica; io questo argo­ mento lo lascerei un po' da parte perche non c'e un hello in assoluto, ci sono tanti tipi di hellezza secondo le epoche e secondo la cultura; quindi direi piuttosto che ii compito del designer e quello di produrre degli oggetti esatti, perche quando un oggetto e esatto non c'e piu problema di gusto. Infatti gli strumenti, per esempio gli strumenti chirurgici, o tutti i ferri del me­ stiere che non hanno prohlemi di estetica, sono accet­ tati da tutti, perche sono strumenti esatti. Tutt'al piu, invece che di hellezza, si puo parlare di qualificazione nel senso di coerenza formale: ogni componente, ogni elemento dell'oggetto o della ricerca visiva deve essere collegato o coerente con tutto ii resto. Questo aspetto della coerenza formale, secondo Munari, da un lato supera ii concetto della bellezza intesa come attributo dell'arte e dall'altro il primo razionalismo che conferiva valore estetico a tutti gli oggetti purche ade­ renti alla funzione. Un altro aspetto qualificante il lavoro del designer e un ritomo all'autenticita del mestiere, ad una attivita consapevole e competente che reinserisca l' ar­ tista nel vivo dell'intera attivita produttiva contemporanea. II designer e quindi l'artista della nostra epoca. Non perche sia un genio ma perche con ii suo metodo di lavoro riallaccia i contatti fra arte e puhblico; per­ che affronta con umilta e competenza qualunque do­ manda gli venga rivolta dalla societa in cui vive, per­ che conosce ii suo mestiere, le tecniche e i mezzi piu adatti a risolvere ogni prohlema di comunicazione e di informazione visiva. Perche risponde alle necessita umane della gente della sua epoca, Ii aiuta a risolvere certi problemi indipendentemente da preconcetti stili­ stici e da false dignita artistiche derivate dalla divi16 sione fra le arti.


FILIBERTO MENNA

Menna esordisce affermando che il rapporto fra design e mass media si pone per la prima volta tra il '30 e ii '35 negli Stati Uniti con ii fenomeno dello styling. Lo styling, com'e noto, e un processo di stilizza­ zione della forma, perseguito per rendere l'oggetto di uso comune piu appetibile e piu facilmente vendibile. Naturalmente, trattandosi di un processo di stilizza­ zione della forma, ii procedimento dello styling opera all'esterno dell'oggetto, lasciando intatto ii problema tecnico sul quale l'oggetto e impostato. Lo styling le­

e

gato a una determinata situazione economica che Menna indica nella politica roosveltiana del New Deal, ricor­ rendo allo schema dei Rostow sugli stadi dello sviluppo economico delle nazioni piu evolute. Ed e appunto in quest'ambito che si verifica l'incontro tra il design e i mass media: II campione dello styling americano

Raymond Loewy diceva che le cose brutte si vendono male, pero aggiungeva che ii piu bell'oggetto non si vende se non si convince ii pubblico che si tratta ve­ ramente dell'oggetto piu hello; questo vuol dire che ad un certo momento interviene nel rapporto desi­ gners-pubblico, industria-pubblico, produttore-consu­ matore, un terzo elemento che e estraneo al rapporto forma-consumo, un elemento di carattere psicologico anzi psicagogico: interviene cioe la pubblicita. E a questo punto, cioe nel momento in cui ii designer e l'industria devono ricorrere massicciamente al fattore psicologico della pubblicita per convincere ii consu­ matore a comprare quel prodotto e quel prodotto sol­ tanto, che ii design comincia a fare i conti con i mass media, allontanandosi in un certo senso dal design storico.

Anche negli U.S.A. si verifica cosl, secondo Menna, una frattura tra il piu recente design e ii design storico: Una frattura che e pero meno drammatica, meno la­ cerante di quella che si e verificata in Germania o in

17


Russia dove le avanguardie furono liquidate violente­ mente o burocraticamente. Ma e una rottura non meno profonda e irreversibile. E vero: lo styling produce de­ gli standard formali da riprodurre in serie come ii fun­ zionalismo storico, ma la differenza consiste essenzial­ mente in questo, che la forma perseguita dal design sto­ rico, dal Bauhaus, come giustamente ha detto anni fa Argan, era una forma assoluta, studiata in laboratorio, cioe, in un ambito in cui la richiesta del consumatore era in un certo senso lontana, meno pressante di quanto lo sia stata in seguito e soprattutto di quanto lo oggi. La forma dello styling invece una forma rela­ tiva alle esigenze del mercato. Ma non e questa la sola differenza fondamentale, secondo Menna: sia De Stijl che ii Bauhaus avevano una fiducia assoluta nella forma e pertanto ritenevano che, una volta raggiunto l'equili­ brio forma-funzione, la forma si sarebbe imposta da se sul pubblico; lo styling, ii design degli anni '30-'35 dice ancora che la bellezza necessaria per vendere i pro­ dotti, ma aggiunge che la bellezza da sola non basta se non e accompagnata dalla pubblicita. Ricordando che si deve a Dorfles la recente parziale ri­ valutazione dello styling, Menna aggiunge altre favorevoli considerazioni al riguardo, sostenenso che lo styling ame­ ricano ha avuto quasi una funzione di verita, cioe ha de­ nunciato con la sua stessa esistenza la inadeguatezza, la non incidenza storica di certe ipotesi originarie del design dapprima, negli anni '30-'35, rispetto ad una certa situa­ zione economica americana e poi, soprattutto nel dopo­ guerra, rispetto alla situazione di molti paesi europei. Ma, a suo parere, c'e anche un secondo lato positivo dello sty­ ling: se e vero che lo styling cerca di agire psicologica­ mente, esercitando cioe una coercizione psicologica sul consumatore, anche vero, pero, che cerca di indagarne gli umori, le aspirazioni, i desideri anche inconsci at­ traverso un sistema di indagini sempre piu affinato. In un certo senso lo styling produce una risemantizzazione 18 dal basso, che non e piu una risemantizzazione a livello

e

e

e

e


e

della forma assoluta, ma una riqualificazione a livello di certe convenzioni iconologiche, simboliche, nelle quali una certa comunita si riconosce.

Successivamente Menna si riferisce ad un intervento di Tomas Maldonado, direttore della Hochschule fur Gestaltung di Ulm, per riproporre nei termini generali ii problema estetico de! design. Maldonado si chiede: ii de­ sign e arte? E poi distingue tre posizioni: ci sono coloro che credono che ii design e arte; vi sono coloro che cre­ dono che il design e la forma di arte di oggi destinata a sostituire l'arte tradizionale, poi c'e la terza posizione, quella che egli accetta, per cui il design non e arte: e sem­ plicemente un problema tecnico-scientifico da impostare e da risolvere in un certo modo. In questa conferenza, cioe, egli ribadisce la posizione di positivismo scientifico che aveva espresso nel suo intervento nel '58 all 'Expo di Bruxelles. Egli ritiene, in un certo senso, che gli interro­ gativi, i problemi della coscienza dell'uomo contempora­ neo non possono trovare una risposta in un bene di con­ sumo. Menna riprende dunque questo tema: La risposta a questi interrogativi ce la puo dare soltanto e ancora l'arte. Arte che Maldonado, se non ho frainteso ii suo pensiero, considera ancora in maniera tradizionale: la pittura, la scultura, la musica, la poesia, la letteratura. E una posizione che io non mi sento di accettare, pero una posizione estremamente interessante, direi quasi appassionata e dolorosa. Non pos_siamo accettare que­ sta tesi di Maldonado perche, mi sembra, essa ripro­ pone la distinzione fra le arti de) sublime e le arti fun­ zionali, per cui ci sarebbero delle arti maggiori e delle arti minori con tutti i grossi problemi di carattere este­ tico ed anche pratico che ne derivano. Ma chiaro che, una volta impostato in questo modo, ii problema del design rispetto alla societa contemporanea un pro­ blema notevolmente semplificato. Per coloro i quali in­

e

e

e

e

vece sostengono che ii design ancora arte, o perlo­ meno ancora un fatto fondamentalmente estetico, i problemi non sono altrettanto semplici.

e

19



biamo in un certo senso ridimensionare ii valore del de­ sign cosi com'era sostenuto dai teorici del Bauhaus e di De Stjil e situarlo proprio in questa zona interme­ dia, dove si verifica lo scambio, l'osmosi, tra le ricer­ che di avanguardia e ii consumo generale. II design coinciderebbe quindi con una sorta di moderna arte popolare, cosi come era stato suggerito dal Banham. Arte popolare non nel senso tradizionale, ma nel senso che questo termine assume in esperienze affini come la pop art; cioe nel senso di un'arte che si rivolge ai mezzi popolari, ai mezzi propri dei mass media. Natural­ mente, accettata questa posizione del Banham, noi dob­ biamo in un certo senso ridimensionare, (ma ridimen­ sionare e una brutta parola perche implica un giudizio di valore che io escludo) anche l'estetica nell'ambito della quale opera ii design. Ritoma allora I' esigenza manifestata da Assunto della formulazione di nuovi schemi per ii problema estetico del design. Una indicazione, secondo Menna, puo aversi dallo stesso Banham che parlava di un'estetica del con­ sumabile in contrapposizione ad una estetica del per­ manente: a quest'ultima egli legava certe manifesta­ zioni artistiche di punta, mentre affidava all'estetica del consumabile, destinat_a in un certo senso a esau­ rire in un giro piu rapido ii proprio messaggio, anche di carattere estetico, l'oggetto di uso comune, cioe ii design.

GIULIO CARLO ARGAN

Dopo gli interventi di Assunto, Munari e Menna, Argan riprende la parola, associando innanzitutto la posizione di Munari, che accantona ii problema del bello, a quella di Assunto, che proprio ad esso specificamente si richiama. Tuttavia, osserva Argan a proposito delle lettere di Schiller sull' educazione estetica, quel tipo di uomo ideale, la cui educazione deve essere estetica, secondo Schiller, e ii

21



guravano Ruskin e Morris, ma non possiamo neanche il­ luderci - di fronte alla complessita del mondo econo­ mico, complessita che del resto risponde alla complessita dei nostri bisogni - che ognuna delle infinite scelte che ogni giorno dobbiamo compiere, sia una scelta razionale, cioe sia un giudizio fondato su un processo analitico: la complessita di questo mondo e tale, del resto, che que­ sto processo analitico richiederebbe una quantita tale di conoscenze scientifiche da paralizzare ogni altro tipo di attivita ... II problema si concreta nel sapere quale tipo di messaggio, quale tipo di comunicazione viene affidato, viene trasmesso dai singoli oggetti. Certo, ha ragione Assunto quando, riprendendo e svi­ luppando alcune analisi critiche di Eco a proposito della letteratura a fumetti, indica che anche in questa c'e un aspetto positivo, cioe un passaggio da un anal­ fabetismo ad un alfabetismo. Questo e indubbio, an­ che se si potrebbe chiedere se questo processo sia ii piii giusto per passare da uno stadio di ignoranza to­ tale ad uno stadio di incipiente cultura. lo non so fino a che punto si possa paragonare ii tipo di messaggio che viene comunicato attraverso i fumetti con ii tipo di messaggio che si voleva comunicare con la pittura quando a questa pittura si riconosceva una funzione didattica. A tal proposito Argan osserva che mentre le pitture me­ dioevali (che visualizzavano una cultura letteraria, altri­ menti riservata a pochi) erano dei messaggi compiuti in se stessi, le modeme immagini sono incomplete senza le di­ dascalie o il sussidio di altre immagini e l'aspetto che per me e piii tipico di tutta la imagerie contemporanea e proprio che ogni immagine si da non come un'imma­ gine, ma come un brandello di immagine che rimanda ad una immediata, successiva immagine; tanto e vero che e tecnica normale nell'applicazione dei cartelli pubblicitari al muro, di metterne quattro, cinque, sei, uno di seguito all'altro, gia pensando che ii messaggio non venga ricevuto attraverso un'attenzione razional-

23


mente data al messaggio, ma attraverso una ripetizione ossessiva che stampa ii messaggio stesso nella memoria senza l'autorizzazione della coscienza .•. i messaggi che ci vengono trasmessi sono sempre messaggi frammen­ tari, che rimandano ad altri messaggi; da una cosa detta ad una cosa taciuta, da una cosa detta in un modo ad una cosa detta in un altro; per cui si sollecita nella persona che riceve questi messaggi un continuo stato di incompiutezza, un continuo non poter fermare ii proprio pensiero, un continuo non essere se stesso. Ed quello che ii piu delle volte si vuole. Questo aspetto della simbologia, mi pare, collegato con le deviazioni, che qui sono state indicate, del design: soprattutto quella che ha indicato Menna della direzione di un ba­ rocco industriale. Argan prosegue rilevando la diversa intenzione socio­ logica del design attuale rispetto a quello degli anni I 92030. Secondo l'ideologia della Bauhaus l'oggetto funzio­ nale costituiva lo stimolo all'integrazione dell'individuo in una societa funzionale. Ma in questo caso si postulava una funzionalita dell'individuo, che implicava non la sua assimilazione alla massa e la sua accettazione di una eterodirezione, ma la accettazione di una condi­ zione sociale gia riformata (anche se eravamo in piena utopia) e quindi ii funzionamento nell'ambito di una situazione sociale prescelta, voluta, accettata, costruita, mentre cio che emerge dall'indirizzo attuale del design proprio quello di attivare al massimo la relazione produzione-consumo impedendo che questa ponga i problemi di ordine sociale superiore, cioe i problemi fondamentali della struttura della societa. Posto in questi termini il problema del design va in gran parte risolto in sede ideologica. A tal fine Argan ela­ bora e propane la relazione tra le nozioni di arte popolare e di progetto. E indubbio che proprio questo del design, cioe della progettazione come arte popolare, e ii punto cruciale di tutta la questione. Dove bisogna cercare vea 24 ramente l'arte popolare? Non la dove quest'arte

e

e

e

e


priori condizionata da uno schema sovrapposto, come nel caso, per esempio, di tutti gli ex voto, o di certi canti popolari che semplicemente trasmettono delle tradi­ zioni rese autoritarie dal tempo, ma bisogna cercarla soprattutto nella strumentazione, nella configurazione estetica data agli strumenti del lavoro affinche garan­ tiscano, col proprio valore, ii valore dell'oggetto che nasce dalla loro funzionalita. Secondo Argan, questo tipo d'arte popolare e perc) rimasto legato ad una civilta con­ tadina ed artigiana senza trasmettersi al proletariato indu­ striale: Noi dobbiamo riconoscere che questa classe ope­ raia non ha un'arte propria, non ha dato manifesta­ zioni estetiche; e perche non le ha date? Perche a que­ sta classe, a cui si chiede di lavorare, di eseguire un'o­ pera, di partecipare al processo produttivo, non si e data ancora alcuna facolta di controllo sulla propria strumentazione. Non e che si debba chiedere all'ope­ raio come debba essere fatta l'automobile; si deve dare all'operaio l'esperienza concreta e costruttiva del tipo di operazione che compie. E indubbio, aggiunge Argan, che nell'ambito di questa cultura delta nuova classe, classe che tende a generalizzarsi, non potra mancare la compo­ nente estetica. Questa componente estetica dobbiamo cer­ carla in un tipo di azione che venga colto, o di cui possa partecipare, questa classe di operatori delta produzione: e qui veramente entriamo nell'ordine delta progetta­ zione. La nuova opera d'arte che si propone al giudi­ zio non e un quadro, non e una scultura, non e nem­ meno un'architettura monumentale, e ii progetto. Non ii progetto in quanto progetto di qualche cosa, cioe non ii progetto come possibilita di anticipare ii giudizio su una forma prefigurata ma non ancora realizzata; ma ii progetto come attivita tipica dell'individuo che, non potendo raggiungere, realizzare quella integrita econo­ mica e sociale che era propria dell'artigiano, vuole per­ lomeno non realizzarsi come frammento, come bran­ dello di societa, ma come punto, come momento, come ingranaggio della societa.

25


Il carattere peculiare, la guida ideologica di questa nuova forma di progettazione e, secondo Argan, l'inten­ zionalita, nel senso husserliano, o non soltanto husser­ liano poiche qui siamo in un ordine piuttosto etico che cognitivo. Il progetto come espressione e come forma visibile della intenzionalita non puo essere piu etero­ diretto. Tutti quegli elementi di informazione che giu­ stamente Munari ha chiamato statistici saranno ii frutto non solo di un rilevamento statistico, ma di una critica della societa. Questo e ii carattere della pro­ gettazione, carattere dal quale e impossibile eliminare i moventi ideologici che sono i soli che possano ga­ rantire all'opera d'arte quella pienezza di valore pre­ sente, nella situazione attuale, affinche l'esaurimento immediato del messaggio, di cui ha parlato Menna, non sia gia un modo di dichiarare scaduto, obsoleted ii valore, ma sia ii modo di assumerlo in una dimen­ sione storica. A conclusione del dibattito, intervenendo dal pub­ blico a chiarimento dei temi trattati, De Fusco domanda ad Argan: Poiche l'intenzionalita sembra essere ii fat­ tore risolutivo del problema esaminato, e dato ii rap­ porto tra design e ricerca gestaltica, Le chiedo d'in­ dicarmi ii segno dell'intenzionalita in questo tipo di ricerca. Nei suoi articoli del Messaggero, infatti, Ella mette in relazione la psicologia della Gestalt con ii tema dell'intenzionalita. Ora, notoriamente, la psico­ logia della forma sembra escludere ogni intenziona­ lita, ogni direzionalita, puntando proprio sulla strut­ tura autonoma ed obbiettiva della forma, sul valore "logico" della forma in se indipendentemente dalle varie interpretazioni, donde la polemica con la scuola transazionale. Viceversa Lei parla di componente in­ tenzionale dell'attuale ricerca gestaltica, dando evi­ dentemente una nuova interpretazione del rapporto fra i due termini. Della ricerca gestaltica - risponde Argan - ho indi26 cato io stesso certi limiti, che dipendono soprattutto



paragonare a certe terze forze nel campo politico, e perche giudica la pop art come espressione facilmente paragonabile all'anarchismo reazionario, l'anarchismo di estrema destra? Ebbene Le rispondo che presentan­ dosi queste due situazioni, come due situazioni indub­ biamente carenti, tanto che tendono ad integrarsi po­ lemicamente l'una con l'altra, io non giudico migliore la ricerca gestaltica rispetto alla non ricerca della pop art, simpatizzo con la ricerca gestaltica, riducendo l'atto critico, di cui credo di avere ormai una piu che trentennale esperienza, a questo simpatizzare, mi pongo anch'io in una linea di intenzionalita. Credo di compiere cosi quel gesto di umilta che deve compiere chiunque voglia vivere in una funzione sapendo di non dovere e non potere uscire da quella funzione stessa. Rinunzio volontariamente a quell'atto di giudizio per­ che credo di vivere in una situazione in cui e necessa­ rio passare dall'atto esterno, o a posteriori, del giudi­ zio ad un intervento sul piano pratico.

(n. 2, gennaio 1965)

28



municazione, entrambi pubblicati l'anno scorso. La posi­ zione di Brandi e nota; egli riconosce due vie per l'inda­ gine artistica, quella basata sull' «astanza» e I'altra sulla semiosi e, privilegiando la prima, ha fornito nel volume suddetto una stimolante lettura strutturale delle opere di Pietro da Cortona, Borromini e Bernini. Piu avanti ve­ dremo la relazione tra l'assunto di Brandi e la dicotomia di cui ci occupiamo. II· libro di Koenig e una estensione metodologica del suo precedente volume Analisi del lin­ guaggio architettonico; in particolare, ii confronto tra la sua concezione de! segno architettonico e la nostra e stato determinante per le riflessioni sulla suddetta dicotomia saussuriana. Partiamo quindi proprio da tale confronto. Com'e noto, Koenig, nella linea Peirce-Morris, sostiene che ii segno e qualcosa che sta per un'altra, anzi considera tale condi­ zione indispensabile per poter definire un linguaggio: II messaggio significante, nel processo di significazione archica (contrazione che sta per architettonica), e tutto cio che i nostri organi ricettori percepiscono nel se­ gnale; e che, attraverso i codici e lessici di ricezione, viene tradotto in un significato. Se ii messaggio signi­ ficante coincidesse fisicamente con ii segnale, crolle­ rebbe ogni concezione linguistica ed ogni analisi della comunicazione archica... la forma archica non tra­ sporterebbe nessun messaggio ... e significherebbe solo se stessa, senza nessuna caratteristica di «rimando ad alcunche», che e ii fondamento di ogni segno lingui­ stico3 . Dal canto suo Eco condivide l'assunto di Koenig identificante ii significato architettonico con la funzione, riconoscendo nel segno architettonico la presenza di un significante ii cui significato e la funzione che esso rende possibile4. Ed inoltre indica nei segni dell'architet­ tura un significato originario e denotativo, ossia la fun­ zione, e un significato assunto da una storica stratifica­ zione o CODf\Olativo, ossia la valenza simbolica. · Per parte nostra, abbiamo proposto una interpretazione del segno ch<? tiene conto ed associa gli esiti della pura vi30



carattere di autonomia sistematica di un campo semiotico, senza rimandi eteronomi ad altri sistemi, che costituisce quel criteria di pertinenza considerato uno dei principi­ base del metodo strutturale. Tuttavia se la nostra concezione del segno architetto­ nico e, o ci sembra, teoricamente piu corretta delle altre, va riconosciuto, in prima istanza, a queste un grado di maggiore operativita. Infatti, anche dissentendo, non e chi non veda come il comportamentismo che ispira la pro­ spettiva di Koenig abbia, ad esempio, una indubbia inci­ denza sociologica, e come le denotazioni e connotazioni proposte da Eco riflettano tra l'altro una processualita sto­ rica quando spiegano il variare dei significati delle fab­ briche col passare del tempo: la storia non fa altro che riempire di sensi e di interpretazioni successive questi fatti fisici osservabili, continuando a considerarli come segni, per quanto appaiano ambigui e misteriosi5 • Riformulando la nostra interpretazione in termini piu corretti si tratta da un lato di affermare l' autonomia signi­ ficativa del segno architettonico senza ricorrere a «qual­ cosa d'altro», ossia a simboli, e dall'altro di non rinun­ ziare al compito di approfondire, allargare, esplicitare il processo di comunicazione, inclusivo dei parametri piu eterogenei, in omaggio al rigore vero o presunto d'una coerenza teorica. In altri termini, e lecita la coesistenza di una significazione autonoma e di una eteronoma? La risposta a tale interrogativo si trova in quella dico­ tomia saussuriana, oggetto del presente scritto, ossia ii piano dei sintagmi e quello delle associazioni, che ha avuto finora scarso rilievo nelle ricerche di semiologia ar­ chitettonica. Eppur_e, proprio parlando di questi due assi, de Saussure trova nell'architettura la loro piu calzante esemplificazione. Attingiamo direttamente dal capitolo in cui egli, dopa aver affermato che nel linguaggio tutto pog­ gia su rapporti, parla di quelli sintagmatici ed associativi. Da una parte, nel discorso, le parole contraggono tra loro, in virtu del loro concatenarsi, dei rapporti fondati 32 sul carattere lineare della lingua (sul carattere spaziale



grado di cogliere tutte le valenze della dicotomia sin­ tagma/associazioni cosi come si rivelano oggi dopo aver redatto alcuni testi di applicazione semiologica all'archi­ tettura. Dopo tali esperienze e gli interrogativi che queste hanno prodotto, nonche le altre riflessioni sul rapporto fra metodo storico e metodo strutturalista, ci sembra di poter affermare che la dicotomia in esame non solo risolve al­ cuni problemi semiologici, ma risulta utile anche per la metodologia storiografica. Anticipando una conclusione, riteniamo che la dicotomia in parola, in semiologia, con­ sente di indagare ii processo di significazione tenendo ri­ gorosamente uniti i significanti coi significati e al tempo stesso di non rinunziare a quelle significazioni indotte di tipo simbolico, metaforico, virtuale, associativo, rnentale ecc., che sernbrano esclusivo appannaggio di quelle se­ miotiche dove il segno . sta per qualcosa d'altro. L'estensione alla storiografia architettonica ed artistica delle caratteristiche della stessa dicotornia consente, tra l'altro, di indagare sulla struttura dell'opera, grazie all'i­ dea d'un asse sintagrnatico, e di indagare sul suo conte­ sto, sulle influenze eteronome, sulle ideologie, sui valori e significati ch'essa ha assunto nel tempo ecc., grazie al­ l'idea di un asse associativo. Insomma, salvo errore, la di­ cotomia di cui ci occupiarno sernbra introitare le due vie indicate da Brandi, quella dell'astanza e della semiosi, senza peraltro privilegiare l'una rispetto all'altra. A tal proposito ci pare che la via dell'astanza altro non sia che una indagine basata, sia pure con pregevoli risultati, sulla sola linea dell'asse sintagrnatico. Sull'utilita storiografica della dicotornia saussuriana, che costituisce il terna del no­ stro discorso, torneremo piu avanti per specificare ora i ca­ ratteri particolari dei due assi. Pur avvertiti che il piano sintagmatico e quello asso­ ciativo fanno parte di una esperienza globale, essi si pos­ sono distinguere per motivi metodologici e didascalici. Quanto al primo, l'unione di due o piu elernenti architet­ tonici (chiamiarno qui elernenti sia quelli provvisti di spa34 zio intemo, ovvero i segni, sia quelli puramente tettonici,



struttura sintagmatica possiamo considerare quei fattori pre-iconografici e iconografici di cui parla Panofsky. Insomma si tratta di escludere da questo primo scandaglio tutto quanta esula dai ta:ngibili valori strutturali e confor­ mativi, denotativi o interni, come le informazioni sul con­ testo storico-sociale, i significati connotativi acquisiti da una fabbrica nel tempo, le implicazioni ideologiche e sog­ gettive dello storico. Viceversa nell' analisi associativa e legittima ogni classificazione, tipologia, ricorso a tipi­ ideali, impiego di metafore, riferimento eteronomo; si tratta di cogliere, descrivere e classificare i valori conno­ tativi o estemi d'una fabbrica, dando soprattutto canto del suo storico contesto, indicando ii suo significato origina­ rio e le sue mutazioni di senso dalla sua costruzione sino ad oggi. Qui ogni illazione ideologica, politica, sociolo­ gica ecc. trova il suo terreno d'elezione. Sulla maggiore flessibilita del piano associativo ri­ spetto a quello sintagmatico, de Saussure s' e espresso in tutta evidenza: l'associazione puo poggiare ... sulla sola analogia dei significati (enseignement, instruction, ap­ prentissage, education ecc.) o, al contrario, sulla mera comunanza delle immagini acustiche (per esempio en­ seignement ejustement). Dunque vi e talora comunanza duplice, del senso e della forma, talora comunanza di senso o di forma soltanto. Una parola qualsiasi puo evocare sempre tutto cio che e suscettibile di esserle as­ sociato in una maniera o un'altra9 • Tutto e quindi lecito rapportare al piano delle associazioni? Sebbene de Saussure esemplifichi sempre in base ad un data tangibile, il radicale, il suffisso, la forma, il senso, si puo rispondere affermativamente. Ma, e qui sta, a nostro avviso, uno de­ gli aspetti metodologicamente piu utili della dicotomia in parola, dichiarando esplicitamente che si tratta di una ope­ razione connotativa e non denotativa, mentale e non fe­ nomenica, riguardante valori soggettivi e virtuali, non obiettivi e reali. Abbiamo gia accennato all'utilita semiologica della di36 cotomia sintagmi/associazioni. Essa consente di indagare



e noto che, a differenza di altre scienze miranti a formu­ lare leggi generali, la storia tende a cogliere l' aspetto in­ dividuate, unico ed irripetibile di un evento. Tuttavia, e stato dimostrato che, mentre le une non possono trascu­ rare l'individualita, l'altra non puo prescindere dalla ge­ neralita. Siamo quindi in presenza di un rapporto dialet­ tico in ogni caso; nella storiografia architettonica i carat­ teri inediti ed irripetibili d'una fabbrica vanno colti in re­ lazione ad alcune caratteristiche generali della cultura del tempo e, d'altro canto, gli aspetti generali di tale cultura, per esempio lo stile di un' epoca, non sono de lie astratte generalizzazioni, ma vanno colti nei tratti comuni offerti dalle specifiche conformazioni delle singole opere. II modo di risolvere questo nodo dialettico, che in pratica si affronta empiricamente o, peggio, privilegiando talvolta il momento individuante e talaltra quello generalizzante, po­ trebbe piu utilmente effettuarsi riportando ii primo all'a­ nalisi sintagmatica dell'opera in esame e ii secondo a quella associativa. L'analisi dei sintagmi darebbe conto di tutto quanto e unico, peculiare ed irripetibile d'un edifi­ cio, mentre quella associativa, chiamando in causa fattori iconologici, tipologici, ideologici, stilistici ecc. indiche­ rebbe tutti quegli elementi che legano l'opera al contesto e magari alla sua influenza futura. Inoltre, ricordando sem­ pre la relazione dialettica dei due momenti, si eviterebbe tra l'altro di ridurre tutta l'indagine ad una lettura formale dell'opera e all'opposto di ridurla alla sua sola interpreta­ zione ideologica. II caposaldo della causalita puo anch'esso giovarsi delta dicotomia in esame. Inf atti, se per spiegazione cau­ sate d'un evento (problema da molti ritenuto non perti­ nente alla storia dell'arte, mentre noi lo consideriamo per­ fettamente legittimo anche in questo campo) s'intende una ricerca mirante ad individuare le cause esterne, socio- po­ litiche, ideologiche, ecc., che hanno contribuito a, o in­ fluenzato la realizzazione d'una fabbrica, i1 fatto che tale ricerca sia condotta - ed esplicitamente - secondo l'ottica 38 di tipo associativo ci sembra che chiarisca un procedi·



Certo, anche l' esame piu rigorosamente pertinente agli aspetti confonnativi, ossia quelli rimasti entro certi limiti immutati, delle fabbriche, quelli che, come s'e detto, ren­ dono la storia dell' arte una storia di organismi ancora vi­ venti, risente d'una «deformazione» attuale, non foss'altro per le tecniche e i criteri di lettura, ma - salvo ad intendersi nei termini - nella sostanza l'analisi sintagmatica, operando sul contesto reale d'una struttura, sui valori di contiguita delle parti, sui loro rapporti gestaltici ecc., non dovrebbe fornirci un quadro dell'opera molto diverso da quello ori­ ginario e, per estensione, un'idea dell'originario contesto. Si tratta in definitiva di «far parlare» quelle opere per cio che esse realmente dicevano e dicono ancora per le loro carat­ teristiche rimaste invariate. E questa operazione, finora ap­ pannaggio della pura filologia o, nel migliore dei casi, d'una lettura unilateralmente visibilista, diventa pienamente sto­ rica e critica perche muove da un interesse attuale, qual e quello della significazione. Ma non e una storia ideologica perche tiene ben distinto, per quanta e possibile, cio che l'e­ dificio conserva del suo originario significato da cio che oggi esso significa per noi. A questo secondo compito prov­ vede l'analisi di tipo associativo con i suoi parametri men­ tali, virtuali, eteronomi ecc., registrando le mutazioni dia­ croniche del senso, quel cambiamento connotativo di cui parla Eco o il «consumo» di significato indicato da Dorfles. Riassumendo il lato storiografico del tema discusso, possiamo dire che le seguenti alternative o antinomie: in­ dividualita e generalita; causalita, per cosl dire, autonoma (opera che genera opera) e causalita eteronoma (contin­ genze che condizionano opere); storicita e contempora­ neita possono tradursi in altrettante dicotomie risolvibili secondo il modello di quella saussuriana. Una dicotomia del genere, applicata alla storia ha soprattutto il merito di indurre il ricercatore a dichiarare di volta in volta lungo quale asse sta operando, in cio fornendo una indubbia ga­ ranzia di verificabilita del suo metodo.

40

(n. 20, gennaio 1971)


1 Cfr. R. DE Fusco-M.L. ScALVINI, Signijicanti e signijicati de/la Rotonda palladiana, in «Op. cit:», n. 16, settembre 1969; U. Cardarelli. Lettura storico-semiologica di Palmanova, in «Op. cit:», n. 17, gennaio 1970; R. DE Fusco-M.L. SCALVINI, Segni e simboli del tempietto di Bramante, in «Op. cit.», n. 19, settembre 1970. 2 Cfr. S. BETTINI, Problemi di semiologia, in «Bollettino del Centro internazionale di studi di architettura Andrea Palladio», n. XI, 1969. 3 G.K. KOENIG, Architettura e comunicazione, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1970, p. 20 l. 4 U. Eco, La struttura assente, Bompiani, Milano 1968, p. 200. � lvi, p. 201. 6 F. DE SAUSSURE, Corso di linguistica generate, Laterza, Bari 1967, pp. 149-150. 7 R. DE Fusco, Architettura come mass medium, note per una semiologia architettonica, Dedalo libri, Bari 1967, p. 161. 8 F. DE SAUSSURE, op. cit., pp. 154-155. 9 Ivi, p. 152. 10 R. DE Fusco, Storia e struttura, teoria della storiografia ar­ chitettonica, E.S.l., Napoli 1970, p. 109.

41



suo associarsi ad esperienze molto diverse tra loro, spesso di tipo comportamentistico. In tal modo, concettuali non sono solo gli artisti che indagano sull'arte, ma anche quelli che, attraverso oggetti o, piu spesso, comportamenti, si ri­ chiamano a concetti di qualsiasi natura.

Alcuni precedenti del concettualismo comportamentistico3

L'origine di questa tendenza risale all'attivita svolta, fra la fine degli anni '50 e gli anni '60, da alcuni artisti, tra cui Cage, Kaprow, Rauschenberg, ii gruppo Fluxus, La Monte Young, Paxton, Klein, Beuys, Manzoni, Paolini, Pascali, Kounellis, i quali, agendo in campi molto diversi - dal teatro all'happening, dalla danza alla musica, dalla pittura all'environment, dalla teoria all'event - hanno portato l'informale a passare da un stadio contempla­ tivo ad alto quoziente di informazione visiva... ad uno stadio partecipativo-implicante4 . L'attenzione si e spo­ stata dal significato dell'umano e del materico all'uomo e alla materia come entita significanti, da intendersi non come mezzi per un discorso «altro» ma come me­ dia5. In questa luce prende particolare rilievo il collega­ mento frequente a Marcel Duchamp, che avviene non tanto per ii suo uso di entita oggettuali trovate o fatte esplodere esteticamente - un uso estetico che e servito da giustificazione al naturalismo industriale della pop art e della optical art -, quanto la sua attitudine od ii suo comportamento identificabile con un modo di es­ sere ed un modo di fare e di vivere6• Questa convergenza di arte e vita, che in Duchamp ac­ quistava un sapore dissacrante e provocatorio, e stata uno dei temi ricorrenti deIle avanguardie: dall'impressionismo all'espressionismo, a dada, al surrealismo, fino all'action painting, al new dada e alla pop art, ci si e dibattuti al­ l'intemo di questo problema, senza uscirne e senza, d'altro canto, risolverlo. Tuttavia, le angolazioni da cui ci si e

43


posti di volta in volta sono molto diverse. All'impressio­ nismo, per esempio, interessava ristabilire il contatto sog­ getto-natura, sulla base dei problemi ottico-percettivi in­ dagati da Chevreul; all'espressionismo, invece, importava il rapporto con la vita, intesa come realta sociale, verso cui l'arte, stravolgendo i suoi canoni formali con un'ottica soggettivistica, doveva indirizzare un'azione corrosiva. Dada, invece, predicava ii momento nichilista con le armi dello scandalo e dell'ironia, in modo da attuare, mediante la distruzione sistematica, una auspicata verginita che fosse nello stesso tempo culturale ed etica. Infine, col sur­ realismo, l'unione tra l'arte e la vita era affidata all'emer­ gere dell'inconscio, attraverso la scrittura automatica, fino al livello della coscienza. Rispetto alle avanguardie storiche, gli artisti della cor­ rente povera e concettualista si pongono in atteggiamento critico, in quanto salvano di fatto solo Duchamp, coinvol­ gendo tutto ii resto in un giudizio fortemente riduttivo. Le avanguardie, infatti, avrebbero fallito ii loro obiettivo di colmare l'abisso tra l'arte e la vita, polarizzando, tutto sommato, l'attenzione sull'elemento arte che rimaneva pertanto chiuso nella «sfera del separato» e della contem­ plazione. A questo sostanziale fallimento, col giudizio negativo che ne consegue, non sfuggirebbero neanche i movimenti del dopoguerra, cui pure gli artisti fin qui considerati sono legati storicamente, l' action painting, ii new dada e la pop art. Se Pollock aveva posto drammaticamente di nuovo il problema del coinvolgimento esistenziale, considerando la tela come momenta del flusso vitale, sta di fatto che, una volta esaurito il processo operativo-realizzativo durante il quale il quadro diventava l'«arena» in cui agire, l'opera riacquistava in pieno la sua statica dimensione contem­ plativa. D'altra parte ancora piu superficiale e ii ristabilito contatto con la realta urbana e tecnologica operate dalla pop art, in cui l'ottica spersonalizzata e talvolta ironica dell'artista ripropone una situazione di separatezza nel44 l'enfatizzazione rigida dell'oggetto.


E proprio parallelamente alla pop art che viene ripreso il problema dell'integrazione dell'arte nella vita, con Rauschenberg, ii gruppo Fluxus, Cage, Kaprow etc. negli Stati Uniti, Klein, Manzoni, Beuys etc. in Europa. lnfatti questo gruppo eterogeneo di artisti non lotta per asserire esteticamente la carica esistenziale (come faceva l'informale proiettandola sulla tela), ma afferma I'esi­ stenza ... usa ... l'arte come campo in cui realizzare ed esaltare tutte le componenti dell'esistere7 quali ii movi­ mento, ii tempo, la luce, la voce, lo spazio, ii corpo, ii nulla. Queste esperienze, tuttavia, accanto all'elemento vi­ talistico comportano un atteggiamento conoscitivo e, quindi, una componente riflessiva, in quanto l'artista non vuole ricoprire ii mondo con una duplicazione che metta in dubbio quella reale, ma costituire procedi­ menti di conoscenza8 • Pertanto, e proprio questa attitu­ dine fondamentale che ha fatto considerare gli artisti, cui abbiamo accennato, come sostanzialmente anticipatori di alcuni punti della poetica dell'arte concettuale intesa nel senso piu ampio.

Concettualismo comportamentistico e correnti contempo­ ranee Queste esperienze sono venute radicalizzandosi negli attuali movimenti che, dal '67 in poi, hanno assunto i nomi di arte povera, land art, arte di comportamento, concep­ tual art, body art. Evidentemente queste denominazioni non sono intercambiabili, in quanto indicano cose diffe­ renti. Tuttavia, in pratica, spesso ci si trova nella difficolta di inserire co11 precisione un evento estetico in un filone particolare. Sono frequenti i casi in cui arte concettuale e land art (arte di paesaggio) coincidono: per esempio, Burgin, che mette in un punto particolare del terreno la fotografia del pezzo di terra in questione, fa, nello stesso .tempo, un in­ tervento sulla natura e un'operazione concettuale; oppure

45


Boezem, un artista olandese, acquistando un metro qua­ dro di terra in vari paesi del mondo modifica ii paesag­ gio definendo i limiti della sua proprieta, ma, contempo­ raneamente, demitizza ii concetto di proprieta, rendendola inutilizzabile. Una componente concettuale ed una di deformazione dell'ambiente coesistono anche nell'inter­ vento di Heizer nel deserto del Nevada ( 1970), un gigan­ tesco spazio negativo rappresentato da uno scavo lungo mezzo chilometro, profondo quindici metri, largo dieci, creato smuovendo sessantamila tonnellate di terra. Nell'ambito della land art si muovono artisti come De Maria con i suoi films-reportages sulla «presenza» della terra, sul suolo in se; Smithson, che produce valanghe ar­ tificiali, tonnellate di terra che sommergono case abban ­ donate; Andre, che esplora geometricamente i pavimenti e, inoltre, Oppenheim, Long, Flanagan, Dibbets, Christo. Di fatto, molte opere land passano per concettuali, susci­ tando le critiche di Millet e di Harrison, sostenitori di una piii rigorosa corrente concettuale (quella di Kosuth, per esempio) che esamineremo piii avanti. Le opere della land art, infatti, a giudizio di questi critici, non sarebbero con­ cettuali, perche, invece di investigare le possibilita del­ l'arte, continuano a trasmettere messaggi aneddotici e circostanziali9• Una convergenza di tematiche si ha anche tra alcuni rappresentanti dell'arte povera• 0 che sono successivamente passati al concettualismo. Volendo ragionare per categoric e linee di tendenza, svuotate dei fatti e degli uomini, il concettualismo dovrebbe rappresentare 1' antitesi dell' arte povera, giacche, laddove questa puntava al materiale, quello punta al concetto, laddove questa ingombrava e oc­ cupava spazio con le sue materie, quello si e smaterializ­ zato ed e, talvolta, tomato al quadro, laddove questa si fondava sulla decultura, quello si pretende «colto». In realta lontano dall'arte povera si colloca senz'altro il con­ cettualismo di Art-Language, ma non quello che, per co­ modita di esposizione, stiamo chiamando comportamenti46 stico. Anzi, quest'ultimo si trova spesso a recuperare, se


non a ripetere, gli atteggiamenti di fondo dell'arte povera, soprattutto nella ricerca del primario. In Italia molti artisti «poveri» sono approdati alla con­ ceptual art, come Calzolari, Merz, Fabro, Prini, Kounellis, in parte Anselmo etc., conservando o eliminando a stento e gradualmente i segni del retaggio materico. E esemplare a questo proposito ii percorso di Mario Merz che comincio ad usare ii neon come materia, per poi adottarlo in alcune scritte, rendendolo, quindi, veicolo di messaggi e idee che lo avevano colpito. Ma, da un con­ cettualismo esteriore e approssimativo, quale e quello de­ gli slogans del maggio francese aggiunti ai suoi igloo ma­ terici e spaziali, Merz e passato a una operazione concet­ tuale piu inerente agli oggetti, quale e quella della serie di Fibonacci, trasformata in strumento di costruzione e di co­ noscenza 11• Mentre Merz ha in buona parte superato l'arte povera, altri artisti vi sono rimasti ancora legati: ad esempio Anselmo nella sua produzione, pur dedicandosi a ricerche concettuali nell' investigazione delle leggi della materia (potenzialita dinamica, equilibria, gravitazione, peso etc.), continua ad assegnare a quest'ultima un ruolo di protago­ nista. Quando restituisce all'antracite ii suo fuoco origi­ nario, introducendovi una luce, o quando concretizza l'i­ dea di tensione, inserendo una spugna fra due sbarre me­ talliche di centonovanta chilogrammi ciascuna, tutto som­ mato, polarizza la nostra attenzione sul data materico del1'antracite, della spugna, del ferro e non sul principio fi­ sico che viene sperimentato. Dall'arte povera proviene anche Jannis Kounellis che ha sempre dimostrato, sin dai segni alfabetici e numerici del '60, una propensione a scavalcare ii quadro come og­ getto. Un tema ricorrente della sua problematica e quello della dialettica tra elementi formali e elementi sensibili, che ritroviamo in un'opera del '70 «Senza titolo», in cui ad un rigido pannello di metallo fa da polo antitetico una donna (o, in un'altra versione, l'artista) con la bocca e gli occhi incerottati con su scritto «alberi», «alberi», 47


«piombo». Anche a livello verbale, ed in questo senso concettuale, toma l'evocazione di realta contrapposte dia­ letticamente. Tuttavia, lo sviluppo successivo di Kounellis non si e svolto tanto in direzione dei concetti, quanta dei comportamenti, dei gesti, in cui solo occasionalmente in­ tervengono elementi concettuali. L'elemento comportamentistico e nettamente preva­ lente in Joseph Beuys; in quest'artista tedesco, di cui rile­ veremo piu avanti il carattere da eroe romantico nietz­ schiano, il gesto si salda all'ideologia. Ritroviamo in lui il fascino del comportamentismo liberatorio e politico teo­ rizzato da Achille Bonito Oliva e Germano Celant, con tutto il peso dell'individualismo e della carica ascetica che comporta. La parte piu interessante della sua produzione e data dalle azioni, tra cui quella chiamata Eurasienstab, durante la quale Beuys crea, all'interno di una stanza, uno spazio con dei pali ricoperti di feltro e con del grasso raccolto negli angoli in forme geometriche. Questa, come le altre azioni di Beuys, punta l'attenzione sul data corporale, sulla resistenza fisica, sull'aspetto esistenziale. Non c'e un significato particolare nell'azione al di la dell'azione, ma questa, in quanta tale, finisce con l'avere una funzione mi­ stica ed esemplare sul piano dell'autoliberazione politica individuale. Oltre che per la portata ideologica del suo di­ scorso, nel caso di Beuys, si puo parlare di concettualismo per la presenza degli scritti, dei progetti, degli schizzi il­ lustrativi, che accompagnano l'azione e finiscono con l'as­ surgere al livello di opere vere e proprie. Comportamento' e concettualismo si sono fusi comple­ tamente in due artisti dell'ultima leva: Gino De Dominicis e Vetter Pisani, che hanno cominciato la loro attivita nel momenta in cui l'arte povera era agli sgoccioli. Tale com­ portamento concettualizzato nel primo si esprime nella ri­ cerca dell'immortalita (suo tema di fondo) e del supera­ mento di taluni limiti umani e naturali, nel secondo in un'azione di riporto da Beuys e, soprattutto, da Duchamp. 48 II ricorso al «plagio» sistematico, annullando l'elemento


creativo, che secondo parametri romantici distingueva l'artista dall'umanita volgare, sconfina nella dimensione concettuale di tipo analitico propria del critico. In tal modo, si assiste a un notevole scambio di ruoli: accanto a critici che intervengono nella prassi artistica, compaiono artisti che si appropriano degli strumenti della critica. Questo appunto, il caso di Vettor Pisani ed anche di Paolini, che opera su quadri del Lotto e di Raffaello, o di Agnetti 12 , che elabora veri e propri scritti teorici sull' arte. Negli artisti fin qui considerati ricorre, in forme di­ verse, uno degli aspetti pill frequenti ed anche pill este­ riori, se vogliamo, dell'arte concettuale: l'uso del Jin­ guaggio, della parola scritta che vive autonoma su un pan­ nello, o si appone ad un oggetto o lo sostituisce o si af­ fianca ad un gesto. Tuttavia, proprio nell'uso del linguaggio verbale si sono verificate le mistificazioni pill grosso­ lane, con ii ricorso a frasi profetiche, pseudo-letterarie, er­ metiche. Con questa applicazione indiscriminata del troppo estensivo termine «concettuale» polemizza Catherine Millet: Per alcuni ... questa pratica non con­ siste che in una sotto-Ietteratura; sottoletteratura, nella misura in cui l'interesse dell'opera non risulta tanto da un lavoro sulla parola o sulla costruzione della frase, quanto dalla bizzarria o dall'imprecisione dell'imma­ gine o del fatto evocato dalle parole 13 ; ed ancora: at­ tualmente, tutto quello che appare sensibilmente er­ metico, intellettuale o poetico e concettuale. Una ten­ denza italiana vuole che per fare «concettuale», si scelga qualche frase biblica, che la si conservi, se pos­ sibile, in latino, che la si scriva in lettere di bronzo o di acciaio su dei veri e propri quadri o degli oggetti surrealizzanti 14• Basta dare una scorsa ad alcuni titoli (che poi sono anche le opere), «Io sono l'alfa e !'omega il primo e !'ultimo ii principio e la fine di tutto quanto» di Agnetti, o «Della Metafisica» di Scheggi, o «Ho cucito ii mio vestito per la mia salita in paradiso» di Calzolari, per rendersi conto della gratuita di certe trovate ad effetto. Ancora pill chiara in questo senso e un'altra opera di 49

e,


Calzolari, costituita dalle parole «mortificatio», «imperfec­ tio», «putrefactio», «combustio», «incineratio», «calcinatio» scritte al neon, come se il fascino della lingua latina ba­ stasse a creare un'aura concettuale. Tuttavia, non riteniamo che sia I'aspetto evocative tout court che si debba rifiutare, come fa la Millet, ma solo un certo ermetismo semplicistico e grossolano, che non puo essere generalizzato. Per esem­ pio, in Paolini, un concettuale torinese piuttosto rigoroso, troviamo sl il carattere evocativo, ma privo di ogni allusi­ vita, mediato attraverso un linguaggio verbale o visivo estremamente scarno, che lo rende scarsamente incline al­ l'effetto suggestivo. Quando Paolini ha scritto le otto lettere dell'espressione «Lo Spazio» sulle quattro pareti di una stanza, esaurisce con la lettura la ricognizione spaziale, in modo che il medium evocante e la realta evocata si identi­ ficano senza generare misteri o «aure poetiche». L'elemento evocativo, controllato tuttavia dall' atteg­ giamento distaccato e obiettivo dell'artista, compare anche in «Stanza per voci», un lavoro recente ( 1971) di Carlo Alfano, che e passato alla conceptual art dalle ricerche ot­ tico-percettive. Si tratta di un'opera complessa, in cui si attua l'integrazione di messaggi a piu livelli linguistici: dall'intemo di un grande ma sottile telaio di alluminio, che ci ricorda nella sua pregnanza strutturale le esperienze mi­ nimal, ci vengono restituite voci registrate su piccoli na­ stri che, con tono cadenzato, elencano norni di piante ed animali, ricostruiscono verbalmente ritratti di amici o au­ toritratti, accennano dialoghi. A fianco vengono presentati contemporaneamente i progetti delle registrazioni e gli astucci marmorei delle bobine, dotati anch' essi come il te­ laio di una certa carica estetica, su cui sono incisi i norni di alcuni amici di Alfano e delle persone che entrano nella sua vita. Il concettualismo sottile di quest'opera ha diverse sfumature, nel suo associarsi all'elemento progettuale, a quello verbale-descrittivo e, inoltre, al significato generate che si coglie nella relazione tra realta diverse, in quanto testimonianza di un'altra relazione, quella tra l'artista e il 50 mondo esterno.


IL mito di un comportamento globalizzante

Lo scopo degli artisti fin qui considerati, sia che ri­ corrano all'azione sia che si servano degli scritti o ancora degli oggetti, e quello di indagare l'uomo come entita mentale e corporea, e di restituirlo, mediante una presa di coscienza individualistica, alla sua piu genuina natura, reintegrandolo in se stesso e nell'universo. Nella prospettiva di questa globalizzazione, !'opera d'arte non si dovrebbe piu costituire come distaccata dal­ l'autore, ma in prosecuzione di esso come trasparenza del movimento individuale dell'uomo sincronizzato su un movimento piu esteso, quello delPuniverso biolo­ gico 15 . Egli esperimenta ii proprio apparato psico-moto­ rio come zona elastica ed estensibile di reazioni ed azioni a catena nei riguardi dell'esterno 16• Si verifica, quindi, una sorta di auto auscultazione attraverso la quale... l'artista... scopre ii proprio apparato interno che, come campo di possibilita permanente, produce e sviluppa una nozione piu globale di fantasia, quella di immaginazione... Immaginazione..., come funziona­ mento integro e non intaccato dall'esterno di tutti i li­ velli esistenziali 17• Sebbene queste forrnulazioni non siano dissociate dalla preoccupazione di inserire I'attivita di questi artisti in una rigorosa struttura di motivazioni, ci sembra che si sia tal­ volta venuti meno a tale assunto, forse per il troppo fre­ quente ricorso alle facolta conoscitive che piu si fondano sulla sensibilita ed anche per ii livello fortemente riduttivo a cui spesso si pone la ricerca dei valori primari dell'esi­ stenza. Possiamo pertanto individuare una stretta connessione con alcuni temi della cultura romantica: nella tensione a recuperare, in una indeterminazione spazio-temporale, la totalita dell'uomo in consonanza con quella dell'universo; nel carattere individualistico di tale ricerca; nella netta pre­ valenza della sfera immaginativa, come catalizzatrice di tutte le facolta umane. Tale matrice culturale e evidente, 51


in particolare, nell'opera di Beuys, che ha come obbiet­ tivo lo sviluppo della creativita insita nell'uomo come strumento di autoliberazione. Penso di appartenere a questa linea culturale - afferma Beuys in un'intervi­ sta 18 -. Ma la linea del romanticismo tedesco - Novalis, in parte Goethe - e stata spezzata storicamente dal concetto positivistico di scienza col quale gli uomini hanno realizzato la rivoluzione industriale. Pero la me­ todologia che io ho ripreso non si puo identificare com­ pletamente con quella di Novalis, perche questa ha con­ siderato piuttosto ii rapporto tra l'uomo e le forze tra ­ scendenti che non tra l'uomo e la materia. Appare ora scontato un raffronto con Novalis, per ii quale temi come la morte o la notte non implicano mo­ menti di irrazionalita ma sono procedimenti di approccio conoscitivo alla realta. Cio trova pieno riscontro nel di­ scorso di Bonito Oliva: si tratta di consegnare l'uomo da­ vanti al nodo primario dell'esistenza: ii tempo e la morte. L'artista si e accorto che tale nodo non si scio­ glie col confronto della cultura e della storia, allora ha recuperato ii valore della natura, quale matrice astratta e germinatrice di tracce non artificiali 19. La considerazione degli eventi naturali in tutto ii Ioro arco, dalla nascita alla morte, rientra, appunto, in questo tentativo di raggiungere la materia prima assoluta, come sostanza dell'essere. Basted1. ricordare, ad esempio, il ri­ torno frequente del tema della morte in artisti come Pascali, Fabro, De Dominicis, Ulrichs etc., per rendersi conto di quanto questi motivi siano profondamente sentiti.

La tautologia ed ii problema dello spettacolo

52

La conseguenza immediata di questa ricerca volta a reintegrare l'uomo nella totalita della sua esistenza e l'at­ teggiamento tautologico, sintomo, appunto, del pareggia­ mento tra forma e realta20. Si chiude, quindi, il ciclo dei rapporti accidentali tra soggetto e quadro e si apre ii


ciclo in cui i rapporti non esistono, le entita sono, si­ gnificano solo se stesse, cosi ii quadro solo materia, tela21 • In questa luce vanno visti gia gli achromes di Manzoni de! '67, in cui la tela e da intendersi non come stru­ mento portante altri segni, ma segno realta essa stessa22 . Questo atteggiamento e ricorrente nella sua opera, dall'assunzione autosignificante dell'alfabeto e della carta geografica, a quella dello stesso corpo, in tutti gli aspetti: escrementi, sangue, impronte digitali, fiato etc. In ta! modo ii corpo non un mezzo tecnico per la trasmis­ sione di un messaggio, ma diventa esso stesso messag­ gio23. Cio si verifica sia che si attui la produzione di un oggetto, sia che ci si fermi al solo comportamento. Nell'azione, infatti, si vorrebbe realizzare la concretizza­ zione dello spazio e l'unione tra forma e realta. Deve es­ sere ben chiaro che non si vuol dare piu un «significato» al comportamento, ma solo un «senso» che e quello del1 'agire24 . Gia nel 1924 Schwitters realizzava un Merz-bau, cioe un environment, sviluppando in una dimensione quadridi­ mensionale ii discorso dei collages di Boccioni. Ma !'en­ vironment comporta ancora una componente contemplativa ed uno stacco nel tempo della fruizione. Negli hap­ penings di Kaprow, Holdenburg, Dine, etc., l'introduzione dell 'azione inserisce lo spazio-ambiente nel presente, su­ perando, in una contestualita nuova, la rigida struttura spa­ zio-temporale delle rappresentazioni tradizionali. In tali azioni, pero, in cui la dimensione contemplativa sarebbe superata da una partecipazione realmente attiva del pub­ blico, c'e ancora ii pericolo di produrre spettacolo in cui lo spettatore portato a leggere ii segno strutturale del corpo non come comportamento ma come forma25 ••• L'artista, dunque, non predispone uno spettacolo che si risolve ancora una volta in un rapporto di contem­ plazione e quindi in un congelamento di distanza tra pubblico e attore, ma attua una dimensione diversa a favore di un effettivo comportamento dell'artista coin- 53

e

e

e


volgendo se stesso e tutti gli spettatori26• In tal modo do­ vrebbe essere eliminata ogni barriera tra artisti e fruitori in una comune dell'immaginazione in cui si attui ii quo­ tidiano del fantastico. Ci sembra piuttosto arduo riconoscere questo appiatti­ mento, questo totale coincidere dell'arte con la vita. Di fatto, le azioni non sono momenti di vita «bruta»: il com­ portamento degli artisti in quanto «artisti» non si identi­ fica fino in fondo con la loro vita quotidiana, attuandosi di fatto in un tempo di fruizione determinate ed in uno spazio condizionante, particolare, come quello della galle­ ria, realizzando cosl di nuovo spettacoli. Anche quando si cercano ambienti diversi, la partecipazione consapevole e limitata ad un pubblico d'elite, che ripropone l'atmosfera tipica delle mostre. Inoltre ii distacco tra fruizione ed evento estetico si ritrova anche all'intemo di quest'ultimo rispetto alla vita, nel memento della mediazione conosci­ tiva analitica che gli e attribuita. In conclusione, ci pare che sia rimasta ancora inattuata la proposta di un modello di societa estetica27 avanzata da Menna, poiche non e l'arte che si e calata nella vita, ma, nuovamente, nell'opera di questi artisti e la vita ad es­ ser vista in una prospettiva estetica; a questo punto, si do­ vranno fare i conti con una visione estetizzante ed i suoi rischi. lnoltre, attraverso la concezione dell'arte come tauto­ logia, }'opera non piu rappresentativa ma presentativa ri­ fiuta la sua dimensione metaforica per essere associata al procedimento metonimico, che e la possibilita che l 'uomo ha di vivere accostato alla propria opera in modo che questa circolarmente sia presente e non sfugga lungo la tangente dei significati28• A questo proposito vorremmo far rilevare come I'uso indiscriminate dei termini linguistici produca una sorta di confusione. Non si capisce infatti come si attui in maniera esauriente la significazione di un segno che significa se stesso, e, d'altro canto, come possa avvenire la separa54 zione dei due livelli, quello metaforico e quello metoni-


mico, che, viceversa, sono connessi e necessariamente compresenti nel processo di significazione. Potremo, in­ fatti, aver messaggi prevalentemente metaforici o metoni­ mici ma, evidentemente, ognuno di questi non implica ii ricorso esclusivo ad uno dei due modelli29, se non si vuole cadere in un discorso in qualche rnisura «afasico», nel senso indicato da Jakobson30• La concezione dell'arte come tautologia e vista sotto un'altra angolazione da Catherine Millet, forse anche per­ che ii suo discorso si lega ad artisti che seguono un par­ ticolare filone nell'ambito dell'arte concettuale. Dice in­ fatti la Millet: Cio che l'arte ha in comune con la logica e la matematica e che e una tautologia cioe che «l'idea dell 'arte» («opera») e l'arte sono una stessa cosa31 •

Sostanzialmente questa accezione si pone su un piano me­ talinguistico, in quanto l'arte e tautologica nella misura in cui riflette se stessa, mentre per la corrente comporta­ mentista e tautologica rispetto alla vita, su un piano, dun­ que, non di metalinguaggio ma di linguaggio in quanto vorrebbe identificarsi con la vita.

I precedenti del concettualismo puro

E interessante rilevare come le esperienze della cor­ rente comportamentista, secondo Kosuth, che fa parte dei concettuali puri, appoggiati dalla Millet e da Harrison, hanno avuto un'importanza di rottura, ma non e abba­ stanza fare un gesto artistico o presentare un quadro bianco, o dire la mia vita e la mia arte o fare della co­ municazione orale ... Se l'artista... non ha allargato o articolato ii concetto di arte, non ha contribuito in niente, ed ii suo gesto, non spiegato, mistico, non ha senso in arte e probabilmente anche nella vita32• Cio

che interessa questi artisti, quindi, non e il contatto con la vita, ma una riqualificazione dell'attivita artistica in senso definitorio, al fine di un chiarimento operativo dell'arte e dei suoi confini. A questo proposito ii giudizio negativo

55


sulle avanguardie da parte dei comportamentisti si ribalta in giudizio positivo. Impressionismo, neoimpressionismo, cubismo, supre­ matismo hanno avuto ii merito di indagare l'essenza del­ l'arte. Non e quindi l'adesione (fallita) alla vita l'aspetto interessante dei movimenti del '900 - anzi ne costituisce un limite - ma ii loro carattere di auto-analisi. Su questo piano si giustifica l'interesse per Duchamp che ha messo in evidenza questa frontiera dove nasce l'oggetto d'arte. Con ii ready-made aiutato l'arte sposto ii suo obbiet­ tivo dalla forma del linguaggio al contenuto dello stesso... Tale svolta dall'«apparenza» alla «concezione» dette ii via all'arte «moderna», e all'arte «concet­ tuale»33. In questa prospettiva la ricerca artistica finiva per polarizzarsi su se stessa. I precedenti piu immediati di tale atteggiamento, nel senso in cui viene assunto dall' arte concettuale, Ii ritro­ viamo nelle esperienze dell' astrattista «freddo» americano Ad Reinhardt e dell'art minimal. Esponenti di tale ten­ denza, sviluppatasi negli Stati Uniti dalla prima meta de­ gli anni '60, erano Judd, Andre, Morris, Lewitt. II punto di contatto tra ii concettualismo e l'art minimal si indivi­ dua nell'istanza sostanzialrnente conoscitiva di quest'ul­ tima che sfociava in un processo di riduzione dell'oggetto ai suoi minimi elementi di riconoscimento. A tale scopo l'opera si liberava di ogni carattere rappresentativo e, quindi, di ogni riflesso del mondo e dell' artista, avvalen­ dosi spesso di forme geometriche che non producevano una rappresentazione particolare ed aneddotica della realta. II procedimento di produzione perdeva cosl di im­ portanza, gli oggetti rivelavano solo ii loro processo di percezione. Ma e stata proprio ... l'impossibilita di rag­ giungere ii limite mitico della sensibilita minimale che ha prodotto in qualche modo lo spostamento... verso ii concettualismo ... Poiche ii minimum sensibile era sem­ pre sfuggente-trascendente non si presentava in se ma sempre inserito in sistemi, la ricerca minimalista do56 veva mutare metodi e direzione34•


II termine di passaggio e costituito dalla land art; se­ condo Wedewer35 infatti, i solchi nella terra o sulla neve, poiche erano inamovibili dal luogo in cui venivano ese­ guiti, hanno reso necessaria la documentazione fotografica o cinematografica insieme alla pubblicazione dei progetti o dei diagrammi delle loro azioni, aprendo, in tal modo, la via al concettualismo.

La poetica de! concettualismo puro

Con I'art minimal abbiamo assistito alla scomparsa dell'artista, che cedeva ii posto all'oggetto come stimolo all'esercizio della percezione, anche se questo finiva quasi per dissolversi nel suo ridursi al «minimo» della sensibi­ lita. La corrente concettuale che ora esamineremo, invece, oltre all'artista pone in secondo piano anche la percezione sensibile collegata all' oggetto, secondo le indicazioni della land art. L'atteggiamento anti-oggettualistico e, infatti, una costante per questi artisti; ii supporto materiale, quando persiste, ha una funzione solamente strumentale. Nel 1966, per esempio, Joseph Kosuth, che lavora a New York, presentava una serie di oggetti d'uso, come una sedia, un orologio, una sega, accompagnati dalla loro fo­ tografia e dalla definizione tratta dal dizionario. Gli in­ grandimenti fotostatici - afferma Kosuth - non erano da considerarsi quadri o sculture o anche «opere» nel senso usuale - in quanto ii punto era che fossero arte come idea - mi riferivo alla natura fisica dell'ingran­ dimento come ad una «forma di presentazione36• Le di­ dascalie avevano lo scopo di evitare associazioni mentali estranee alle opere, cioe alle «proposizioni» che assolve­ vano al loro assunto conoscitivo. Questo atteggiamento e venuto radicalizzandosi nella produzione di Kosuth dal 1968 in poi, col ricorso a mezzi di comunicazione sempre piu anonimi (giornali, riviste, TV) e con la sostituzione degli ingrandimenti fotografici con i manifesti murali, tali 57


da evitare tutti i possibili risvolti formalistici connessi al­ l' idea di quadro. In tali lavori l'aspetto denotativo veniva enfatizzato al massimo, in modo da limitare il senso con­ notato che poteva portare a degli slittamenti eteronomi de! messaggio artistico. La preoccupazione dell'anonimato e della spersonaliz­ zazione dell'opera, estremamente rigorosa nel suo intento conoscitivo, si ritrova anche in Bemar Venet. Questo arti­ sta, infatti, presenta postulati analitici di varie discipline scientifiche, servendosi di diversi mezzi espressivi come registrazioni, conferenze, dischi, televisione etc., tra i quali particolare rilevanza ha la «trascrizione», cioe la riprodu­ zione dei testi scelti attraverso la ricopiatura a mano sulla tela (e qui l'equivocita del «quadro» potrebbe ancora pre­ sentarsi) o le fotocopie ingrandite. Ad esempio, nell'opera che ha per soggetto un codice matematico la deforma­ zione, dovuta alla personalita dell'artista, al suo ambiente naturale e storico, e ridotta al minimo, sia per il contenuto del messaggio che per la sua rappresentazione da cui sono omesse tutte le connotazioni tipiche del linguaggio pitto­ rico. 11 ricorso di Venet alla scienza ha come fine l'analisi allo stato puro, nell'intento di riconferire all'arte la fun­ zione didattica che essa ha gia avuto in altre epoche. A tale scopo le sue opere piu recenti non riproducono piu in­ tere parti dei testi scientifici, ma piuttosto il titolo o la pre­ fazione o il sommario, in modo da stimolarne una lettura diretta. L'artista assume, pertanto, una posizione sostan­ zialmente anti-individualistica. Afferma, infatti, Venet: solo l'energia creatrice giustifica la individualizzazione momentanea della coscienza, ma esaurisce la sua mo­ tivazione nel momento stesso in cui la svolge. La con­ clusione dello sforzo creativo e la negazione o piuttosto l' eliminazione dell'io37 • In questa prospettiva si deve interpretare il rifiuto da parte dei concettualisti della nozione di stile che, tuttavia, ci sembra ritomi nella caratteristica scelta di temi e di lin­ guaggio, che si determina in immagini facilmente attri58 buibili all'uno o all'altro, finendo per ripropome l'indivi-


dualita; cio, nonostante i media meccanici, le «legende» e il tipo di «scala» che vengono via via adottati. In definitiva, emerge, anche se talvolta in forma ridut­ tiva, un'esigenza tipica della cultura, o almeno di certa cultura, degli ultimi decenni: quella di sottrarre i prodotti artistici a metodologie analitiche eteronome che, nel Ioro frequente ricorrere all' irrazionale, all' individuo creatore o a parametri esterni alla specificita dell'opera, sono eco di una cultura che ci appare ormai superata. Nella sua esi­ genza di autonomia questa corrente concettuale si diffe­ renzia nettamente da quella che abbiamo chiamato com­ portamentistica, per cui individualismo e ascendenti ro­ mantici sono componenti fondamentali. Culturalmente vicini a Kosuth e Venet sono alcuni artisti concettuali che tuttavia Millet considera non «orto­ dossi», nella misura in cui non hanno del tutto rinunciato alla funzione espressiva dell'opera. In Lawrence Weiner, per esempio, tale tendenza si concretizza nei suoi «Statements»: dei chiodi di acciaio piantati nel pavi­ mento nei punti disegnati al momento dell'installa­ zione, oppure una scala di colori standard gettata nel mare o piu recentemente, con tono piu astratto una tur­ bolenza indotta in una massa d'acqua o un'entita in­ divisibile divisa, ridotta o separata oppure un insulto diretto ad un corso d'acqua naturale. Si tratta di idee di eventi, idee di progetti che sono stati attuati o che po­ trebbero essere attuati, in un clima di indefinitezza evoca­ tiva, estraneo alle interpretazioni puriste del concettuali­ smo. Tuttavia, lo spessore allusivo del linguaggio di Weiner ha uno scopo non troppo distante dai propositi di Kosuth, quello di sfuggire alla presa oggettuale. Ad en­ trambi, infatti, non interessa l'esecuzione dei progetti ma solo la loro dimensione mentale. A questo proposito Weiner afferma: 1) L'artista puo realizzare la piece; 2) La piece puo essere realizzata; 3) Non e necessario rea­ lizzare la piece. Essendo ciascuna di queste possibilita uguale e conforme alla intenzione dell'artista, la deci­ sione per quanto concerne le condizioni di realizzabi-

59


lita della piece dipende dal ricettore in occasione della ricezione38 •

Antioggettualista e anche !'opera di Robert Barry, la cui ricerca si attua, se cosl si puo dire, nel vuoto lasciato dall' oggetto: qualcosa di cui ero consapevole ma che ora ho dimenticato. Barry afferma che le sue pieces con­ sistono in pensieri dimenticati o in frammenti del suo inconscio. E aggiunge: Utilizzo anche delle cose che non sono comunicabili, che sono inconoscibili, o che non sono ancora conosciute. Le pieces sono effettive, ma non concrete. Cosl nel '70 Barry pubblica una serie di ag­ gettivi e di proposizioni riferiti, come definizioni concet­ tuali, all'oggetto che non c'e piu: allusivo, / unico, / per­ sistente, / armonioso, / composto, / consistente etc., cambia sempre. / Ha un ordine. / Non ha un Iuogo spe­ cifico. / I suoi confini non sono fissi ... / Una sua parte puo essere parte di un'altra cosa. / Un poco di esso e familiare. / Un poco di esso e estraneo. / Conoscerlo lo cambia39 . L'antioggettualismo si vela qui di una sfuma­ tura particolare che potremmo definire anti-sensibilistica, e questo in polemica con l'art minimal e con l'intento di superare l'impasse in cui tale ricerca si era cacciata. Anti-oggettualismo e anti-sensibilismo caratterizzano anche le opere di Douglas Huebler: «Duration», «Locations», «Variable Pieces». Per esempio, nella «Location Pieces» n. 8 del 1968 egli presentava un ver­ bale che, con stile notarile, ricordava come nell'aprile fosse stata inviata una lettera (di cui veniva riportata la co­ pia) a circa quattrocento ragazze del Junior College di Bradford, in cui esse erano state invitate a scrivere un loro importante segreto su un pezzo di carta che doveva essere poi bruciato. Dopo di cio le ceneri erano state spedite a Huebler che, come garantiva il verbale, nel maggio suc­ cessivo le aveva «sparse al vento». Il chiarimento di que­ st' opera ci viene dallo stesso Huebler: Il mondo e pieno di oggetti piu o meno interessanti, non e mia intenzione aggiungervene degli altri. Preferisco, semplicemente, 60 dichiarare l'esistenza delle cose in termini di tempo e


spazio. Piu specificamente, l'opera concerne se stessa (e qui toma la tautologia) in relazione con cose la cui in­ terrelazionalita e al di Ia dell'esperienza percettiva di­ retta. Poiche l'opera e al di Ia dell'esperienza percet­ tiva diretta, la conoscenza dell'opera dipende da un si­ stema di documentazione. La documentazione prende la forma di fotografie, mappe, disegni e linguaggio de­ scrittivo40 . Si tratta evidentemente di affermazioni in chiave anti-minimalista con un netto rifiuto dell'oggetto e delta percezione come strumento conoscitivo: tutto quello che vi puo essere di oggettuale, infatti, e solo «sistema di documentazione», e quindi strumentale al concetto. Una posizione particolare, per certi versi, ancora piu distante dai puristi Kosuth e Venet, e quella di Victor Burgin, inglese, e David Lamelas, argentino. Costoro, in­ fatti, riprendono alcune tematiche degli artisti di cui ab­ biamo gia parlato, come ii linguaggio verbale, l'istanza co­ noscitiva, l'uso della fotografia, ma vi inseriscono anche l'analisi ambientale e lo stimolo rivolto al comportamento del fruitore. Burgin, per esempio, in «Narrative Piece», un'opera del 1970, dispone sui muri di un locale una serie di diciotto proposizioni allusive a caratteristiche dell' ambiente. Queste, inizialmente si presentano come cate­ gorie vuote, impersonali, ma I'atto esecutivo del lettore, articolandole con una percezione-visualizzazione della realta, offre una via d'accesso all'immagine ambientale. Cosi «Performative, Narrative Piece», del I 971, consiste di tre parti: una narrativa che e rappresentata da un gruppo di proposizioni collegate tra loro secondo le leggi logiche e strutturali del linguaggio, ma tali da descrivere un fatto a livello universale, prescindendo dall'esperienza particolare dell' artista; una parte visuale, fotografica, dove e possi bile ritrovare elementi di quella narrativa (si raffronta la parola «scrivania» all' immagine di una scrivania); una parte «esecutiva» che costituisce ii legame tra le due pre­ cedenti. La parte narrativa acquista un senso solo a contatto con la fotografia, grazie all'impulso dato al lettore dall'autore nella parte esecutiva che impone 61


l'accostamento delle altre due41 . Anche Burgin, quindi, ha un atteggiamento sostanzialmente anti-oggettuale: la realta ritoma, infatti, nella sua opera, sempre e solamente attraverso l' «esecuzione» del fruitore (e qui vi sono evi­ denti ascendenti minimalisti) e totalmente mutata nel suo significato. A questo artista puo essere avvicinato, per molti aspetti, l' argentino David Lamelas, che lavora a Londra. Una sua opera dal titolo «Film Script» consiste in un cor­ tometraggio che descrive i movimenti di una giovane donna che percorre le vie della citta, rientra a casa e com­ pie le sue faccende domestiche. II film e accompagnato dalla presentazione simultanea di tre serie di diapositive, che fermano l'attenzione su alcuni punti de! cortometrag­ gio. Una prima serie fornisce una documentazione parziale e modificata nell'ordine degli atti della protagonista, la se­ conda una informazione completa, ma sempre modificata, la terza una informazione incompleta ma non modificata. II punto di contatto con Burgin si individua nell'accosta­ mento al reale, anche se a un livello «altro», nella con­ venzionalizzazione del linguaggio cinematografico e di quello delle diapositive manipolato dall'artista. Ma pro­ prio la scomposizione delle diapositive e lo sconvolgi­ mento del filo semantico della realta, dove cio che conta non e ii riferimento al mondo esterno quanto la rela­ zione sintattica dei segni tra loro42, restituiscono una nuova struttura analitica del reale. Infatti, anche qui, come in Burgin, lo spettatore ha una parte primaria nella realiz­ zazione della piece: la struttura dell'opera esige un atto di completamento (performatiO da parte del fruitore ... l'atto della performance si esplica ... al livello della per­ cezione e della memoria: le immagini e la loro combi­ nazione non hanno un valore autonomo, ma si presen­ tano come mezzi per mettere in moto un processo di riflessione fenomenologica del riguardante sui propri processi mentali43 .

62


L'uso del linguaggio verbale nei concettualisti puri

Abbiamo visto come nell'opera degli artisti esaminati ii linguaggio verbale sia spesso presente. Tale uso non e nuovo all'arte: surrealisti, cubis ti, dadaisti e pop artists hanno impiegato frequentemente la parola anche se con modalita e funzioni diverse. Ai surrealisti interessava ii conflitto tra il concetto espresso e un'immagine comple­ tamente estranea; i pop tenevano conto soprattutto del­ l' impatto visuale delle scritte prese dal paesaggio urbano contemporaneo. I concettualisti, invece, assumono il lin­ guaggio verbale prima di tutto come mezzo espressivo, come contenuto. nel senso tradizionale del termine, come strumento che rivela gli schemi di opposizione e di deter­ minazione dell'opera, attribuendogli o rneno, secondo i casi, . una dimensione iconica. In artisti come Barry e Weiner o nel gruppo Art-Language, tale dimensione e completamente scomparsa; in Arakawa, Kosuth, Venet, essa, invece, e ancora presente, anche se in modo nuovo. Per alcuni l'uso del linguaggio verbale nasce dalla con­ sapevolezza della sua maggiore precisione comunicativa rispetto all'equivocita dell'immagine, ricca di elementi particolaristici; affermazione opinabile, perche sappiamo bene quanti aspetti esso presenti che ne caricano di ambi­ guita la referenzialita. Infatti, restando nell'ambito di rnes­ saggi artistici, abbiamo gia notato come ii linguaggio ver­ bale sia spesso assunto da Weiner, Barry e ancora da Arakawa, On Kawara etc. proprio per l'alone evocativo, «poetico», tutt'altro che referenziale, che comporta. Secondo Millet, le opere di questi artisti non potrebbero essere considerate propriamente concettuali, ma solo «de­ nunziatrici», in quanto, portando fino ai limiti estremi le condizioni di esistenza di un'opera d'arte... interro­ gano l'arte, ma questa interrogazione non puo essere vista che come un epifenomeno a una elaborazione che potrebbe essere ancora «espressiva»44• Pertanto, questi interventi sarebbero ancora piii. letterari e aneddotici che risolutamente analitici45 . 63


Quella dell'analisi e della decodificazione e un' altra delle modalita d'impiego del linguaggio. Ma, in relazione a quest'ultima, bisogna operare una distinzione: nel caso, infatti, di artisti come Burgin, Weiner, Barry ii linguaggio non si limita a investigare ii campo dell'arte ma si rivolge alla realta oggettiva, esistenziale, con un tono allusivo che invece di annullarla la esalta; diversamente nell'opera di Kosuth, Art-Language, Art and Analysis la parola serve solo a decodificare l'arte. Quest'ultima, infatti, per Kosuth e costituita da «proposizioni» che ci dicono che cosa e l'arte. Se le scritte in Kosuth conservano ancora una pre­ gnanza iconica, nei gruppi di Art-Language e di Art Analytical mantengono solo ii loro significato concettuale. II linguaggio verbale, divenuto «linguaggio supporto», co­ stituisce ii fulcro della loro ricerca. Ma alla domanda se sia un mezzo specifico dell'arte essi onestamente rispon­ dono che e un mezzo per conservare ii loro lavoro in

un contesto di investigazione e di ricerca. E probabil­ mente un mezzo specifico dell'arte ma prima noi do­ vremmo definire che cos'e l'arte46.

Il problema dell'oggetto come problema politico

64

L'uso del «linguaggio-supporto» nasce, per Art-Lan­ guage, come conseguenza della scelta fra «dematerializ­ zazione» e «celebrazione plastica». Se la dematerializza­ zione puo portare all'idealismo e alla «letteratura», la forma, a parte tutti gli altri equivoci, si lega agli oggetti inserendo concretamente gli artisti nel sistema economico e produttivo della societa. Art-Language accetta, in linea di massima, l'analisi marxistica della materializzazione come sintomo del sistema capitalistico, ma si chiede fino a che punto I'oggetto sia un fatto borghese e comporti ne­ cessariamente la mercificazione e, d'altro canto, quale ga­ ranzia dia di non essere borghese la scelta di un supporto immateriale come quello linguistico.


Rispetto a tale posizione problematica e aperta, molto piu rigido appare ii discorso di Catherine Millet, per la quale I' arte occupa un posto a parte nella societa, una zona riservata ed esclusiva di indagine su se stessa in cui non entra nulla de! mondo esterno, con ii quale, invece, prima o poi bisogna fare i conti. L'origine di questo atteggia­ mento risiede in una profonda sfiducia verso la societa e ii ruolo stesso dell'arte al suo interno. E evidente che, se una qualunque azione artistica si svolge apertamente contro i sistemi in auge... essa e rapidamente sia co­ stretta ai compromessi, sia ridotta all'inefficacia. Non e essa che impone delle condizioni, e manifestamente cio a cui si oppone che la tollera. E piu avanti: Invece se e possibile all'arte di intraprendere metodicamente la propria analisi, la propria critica, se la sua azione non tende a un'altra apertura, puo allora privare i si­ stemi in auge dall'innestarvi i suoi valori e le sue ideo­ logie47 . Si delinea in tal modo un'attitudine negativa: l'arte puo agire solo sottraendosi all'azione; laddove anche I' atteg­ giamento dei comportamentisti e negativo - con una im­ pronta che vorrebbe essere marcusiano-adorniana ma in senso opposto, quello di un 'azione ipertrofica autoesclu­ dentesi dal sistema. Abbiamo gia visto come ii gesto vita­ listico che dovrebbe compensare lo scacco dell'uomo «se­ parato», in una convergenza di arte e vita, si sia risolto in una velleita illusoria, e come, d'altro canto, non sia sfug­ gito al pericolo dello spettacolo. Ma c'e di piu: l'«azione» superflua dei comportamentisti, continuando a servirsi del1' apparato divulgativo tradizionale (gallerie, cataloghi, ri­ viste, grafica e oggetti d'arte veri e propri), non solo non riesce a risolvere, come un deus ex machina, l'annoso e complesso problema della proprieta privata ma, nella sua pretesa di eliminare l'elaborazione ideologica, si presta ad essere fagocitata dal sistema molto piu dell'ideologia che prescinda dalla prassi. In definitiva, cosa preferire fra la concezione immobi­ listica della Millet e l'iperattivismo superfluo ed autoe- 65


marginante dei comportamentisti? Entrambe le posizioni hanno dei limiti: se appare legittima e onesta l'aspirazione definitoria dei concettuali puri, non si puo non segnalare ii pericolo che essi finiscano in un cul de sac riduttivo e paralizzante; d'altra parte, ii vitalismo estetizzante degli artisti del comportamento Ii coinvolge, e vero, in prima persona, nel loro sforzo di inserirsi nella realta storica con­ temporanea, ma rischia di sconfinare in un velleitario uto­ pismo. (n. 25, settembre 1972)

1 C. MILLET, Prefazione al catalogo della Biennale di Parigi, 1971. 2 C. MILLET, L'art conceptuel comme semiotique de l'art, in «V H. 101», n. 3, 1970. 3 Tale denominazione e stata adottata per comodita di esposi­ zione, in modo da distinguere questo gruppo di artisti da quelli che piu avanti chiameremo concettuali puri. 4 G. Celani, Conferenza su Piero Manzoni de! 6/2/71 presso la Galleria Nazionale d' Arte Moderna 'di Roma. 5 Ibid. 6 Ibid. 1 Ibid.

66

8 A. BONITO OLIVA, ll territorio magico. Comportamenti alter­ naivi dell'arte, Centro Di, Firenze 1971, p. 26. 9 Cfr. C. MILLET, Joseph Kosuth, in «Flash Art», n. 22, 1970. 10 Per una bibliografia sull'arte povera, cfr. V. CORBI, La poetica dell'arte povera, in «Op. cit.», n. 14, 1969. 11 Fibonacci e ii soprannome de\ matematico medioevale Leonardo da Pisa, che ha scritto nel 1202 ii Liber de Abaci, tra­ mandato nell'edizione de\ 1228. Questo matematico osservando la figliazione dei conigli, ha creduto di scoprire in natura una \egge di crescita secondo una progressione numerica in cui ogni numero e dato dalla somma dei due precedenti (l-l-2-3-5-8-13-21-34-55-89 etc.). Questa serie e stata riesumata da Merz che ha cominciato ad applicarla ad ogni tipo di realta (oggettuale, spaziale, vegetale, bio­ logica): !'igloo, per esempio, ha una struttura di ferro i cui nodi pos­ sono essere distanziati in base a questa progressione; la pigna pre­ senta una serie di Fibonacci all'inverso in quanto si verifica che dal cerchio piu largo con ventuno pinoli si passa a uno con tredici e poi con otto etc.; la lumaca (video-oggetto presentato alla telemostr a «Identifications» di Gerry Schum de! 1970) ha suggerito una spirale costruita secondo la stessa serie e cosi via.


12 Cfr. V. AGNErrI, Copia dal vero n. 1, in «Domus», nn. 496497-498, 1971. 13 C. MILLET, Prefazione al catalogo della Biennale di Parigi, cit. 14 C. MILLET, Note sur Art-Language, in «Flash Art», n.26, 1971. 15 A. BONITO OLIVA, op. cit., p. 19. 16 Ibid. 17 Ivi, p. 49. 1K A. BONITO OLIVA, «La rivol11zione siamo noi», intervista a J. Beuys, in «Domus», n. 505, 1971. 19 A. BONITO OLIVA, IL territorio magico, cit., p. 55. 20 Ivi, p. 15. 21 G . CELANT, op. cit. 22 Ibid. 23 A. BONITO OLIVA, op. cit., p. 43. 24 Ivi, p. 28. 25 !vi, p. 48. 26 Ivi, p. 43. 27 F. MENNA, L'ideologia estetica, in «Cartabianca», novembre 1968. 28 A. BONITO OLIVA, op. cit., p. 54. 29 R. BARTHES, Elementi di semiologia, Einaudi, Torino 1956, p. 54. 3 ° Cfr. R. JAKOBSON, Due aspeui del linguaggio e due tipi di afasia, in Saggi di linguistica genera le, Feltrinelli, Milano 1966. In que­ sto saggio Jacobson esamina quali aspetti del linguaggio sono alte­ rati negli afasici. A tale scopo analizza la struttura de! modo di co­ municazione, in cui intervengono due aspetti: quello della «sele­ zione» (metaforico) e quello della «combinazione» (metonimico). Quando uno dei due presenta dei disturbi abbiamo un discorso di tipo afasico. 31 C. MILLET, L'art conceptuel comme semiotique de l'art, cit. 32 P. RESTANY, Tre risposte di Kosuth a quatlro domande di Restany, intervista a J. Kosuth, in «Domus», n. 498, 1971. 33 J. KosuTH, Art after Philosophy, in «Studio International», ott. nov. die. 1969. 34 E. MIGLIORINI, Conceptual art, Edizioni d'arte II Fiorino, Firenze 1972, pp. 87-88. 35 R. WEDEWER, K. FISCHER, Konzeption-Conception, K0!n 1969. 36 P. RESTANY, op. cit. 37 P. RESTANY, La poursuite de /'analyse j11squ'a11 depassement du moi, intervista a B. Venet, in «Domus», n. 491. 1970. 38 E. MIGLIORlNI, op. cit., p. 109. 39 Ivi, p. ll7. 40 D. HEUBLER, Dichiarazione de! dicembre 1968, in Arte po­ vera, a cura di G. Celani, Mazzotta, Milano 1969, p. 43. 41 C. MILLET, Victor Burgin, linguaggio, percezione e funzione rappresentativa, in «Data», n. 3, 1972. 67


42 F. MENNA, David Lamelas e ii suo Film-Script, ne «II

Manino» de! 12/0711972. 43 Ibid. 44

C.

MILLET,

45 Ibid.

L'art concepmel comme semiotique de l'art, cit.

46 C. MILLET, Entretien avec Art-Language, in «Art vivant», n. 25, 1961. 47 C. MILLET, L'art conceptuel comme semiotique de l'art, cit.

68



E nel Seicento che i1 concetto viene a designare la facolta di discernere il bello e i1 brutto. E probabilmente e in Baltassar Gracian, teorico del concettismo nella Spagna della prima meta del XVII sec., che lo si ritrova per la prima volta in questa accezione. Croce ricorda inoltre che i1 Gracian attribuiva al ter­ mine piu che altro ii significato di «accorgimento pra­ tico», che sa cogliere ii «punto giusto» delle cose; e per «uomo di buon gusto» intendeva quel che oggi si dice «uomo di tatto» nella pratica della vita2 • Nelle Notizie de' professori de/ disegno (1681) del Baldinucci la parola assume una duplice significazione, sia come facolta che riconosce l'ottimo, sia come modo di operare di ciascun artista3• Per Leibniz (1684) invece, i1 gusto va concepito piuttosto in un senso naturale, istin­ tuale, che va educato ed esercitato: ii gusto, distinto dal­ l'intendimento, consiste nelle percezioni confuse di cui non ci si sa rendere conto a sufficienza. E un qualcosa che si avvicina all'istinto. II gusto e formato dal natu­ rale e dall'abitudine: e, per averlo buono, bisogna eser­ citarsi a gustare le cose buone, che la ragione e l'espe­ rienza banno gia autorizzato: ed in questo i giovani banno bisogno di guida4 • Una accezione piu propriamente estetica e quella di La Bruyere il quale, mostrando di credere in un gusto asso­ luto capace di cogliere la perfezione nella natura, afferma nei suoi Caracteres (1688): c'e nell'arte un punto di per­ fezione, come di bonta o di maturita nella natura; co­ lui che lo sente e lo ama ha ii gusto perfetto; colui che non lo sente e che ama un po' al di qua o al di la, ha ii gusto difettoso. C'e dunque un buono ed un cattivo gusto, ed e con fondamento che si disputa dei gusti5. Agli inizi del Settecento ritroviamo in Italia un' acce­ zione di gusto che si richiama ad una concezione estetica normativa e classificatoria. Nel suo sforzo di sistematiz­ zazione della nuova cultura arcadica e dei suoi fonda­ menti, ii Muratori, identificando ii gusto con il consenso 70 universale al bello ideale, lo definisce come quella virtu


dell'intelletto che ci insegna a fuggire e a tacere tutto cio che disconviene o puo pregiudicare all'argomento da noi impreso, e a scegliere cio che gli si conviene o pm) giovarli6 : definizione, questa, ancora saldamente an­ corata ad uno spiccato oggettivismo. E con la filosofia inglese de! Settecento che il concetto comincia ad acquistare una rilevanza propria nel contesto della riflessione sul bello e il sublime, e a diventare uno dei perni della concezione estetica per tutto il secolo. Punto di partenza e ii tentativo di cogliere ii bello non in caratteri propri dell' oggetto, ma nella coscienza stessa del soggetto che lo recepisce attraverso l'esperienza. Su di un altro versante, le correnti intellettualistiche, soprattutto francesi, insistono sul carattere oggettivo de! bello, pur ri­ conoscendo che, in quanto tale, esso non esiste che in rap­ porto alla coscienza soggettiva. II problema quindi per en­ trambe le correnti diventa quello della percezione de! bello, della sua definibilita: ii problema del bello si pone come problema de) gusto7• Con Shaftesbury cominciano a delinearsi i termini della questione. Gusto e l'idea generale che ci formiamo e la chiara nozione alla quale perveniamo di cio che si deve preferire e considerare importante in tutti questi argomenti che dipendono dalla scelta e dall'apprezza­ mento8; ma anche il senso naturale e comune a tutti gli uomini, irresistibile, cooriginario alla mente, guida dei nostri affetti e fondamento in noi dell'ammirazione, del disprezzo, della vergogna, dell'orrore, dello sdegno e delle altre naturali e necessarie imprese9• L'accordo della bellezza con ii bene e la verita (all beauty is truth) fa coincidere ii buon gusto con ii «senso comune» che opera sia in campo morale che piu propriamente estetico. L'uomo gode bellezza e bonta [ ...] grazie a cio che v'ha di piu nobile in Jui: lo spirito e la ragione. In cio con­ siste la sua dignita e ii suo interesse piu alto, in cio la sua capacita di bene e felicita 10• E cosi che il gentiluomo riesce a cogliere l'ordine e l'armonia del mondo, un gen­ tiluomo raffinato ed educato che sottomette ii proprio 71


umore e la propria fantasia a specifiche regole. La fon­ dazione naturale del gusto richiede ugualmente, infatti, che esso venga educato dall'abitudine, dalla pratica, e dalla cultura. Un gusto legittimo e ragionevole non puo venir generato, creato, concepito e prodotto, se non lo precedono ii lavoro e le fatiche della critica11• II discorso con Shaftesbury si va facendo piu articolato e, in una qual­ che misura, piu critico. II fondamento del giudizio di gu­ sto e, dunque, duplice: nella natura delle cose e [nella] natura degli uomini. La sua Iegittimita si basa sia sul ri­ conoscimento di un valore oggettivo della natura, sia sul­ l'universalita del gusto come facolta connaturata all'animo umano 12• Sulla strada segnata dal filosofo inglese si co­ minciano ad elaborare nuove riflessioni e nuovi spunti che tenderanno a mutare radicalmente i termini della que­ stione: non piu nell'oggettivita dell'opera d'arte verranno cercati i criteri di validita del gusto, ma sara quest'ultimo a garantire la validita dell'opera. Del 1712 sono i due saggi di Addison su The Spectator: uno sui Piaceri dell'immaginazione, l'altro sulle Caratteristiche del gusto. Partendo dalla definizione di facolta dell'anima che discerne le bellezze di un au­ tore con piacere e i difetti con avversione 13, egli indivi­ dua per primo, come nota Morpurgo-Tagliabue, la distin­ zione del giudizio di gusto in specific qualities di un au­ tore, che lo caratterizzano rispetto agli altri (giudizio di f atto), e distinguishing perfections, pregi e difetti di un'o­ pera che implicano quindi un giudizio di valore 14 • L'aspetto piu rilevante in Addison e comunque l'abban­ dono di una concezione estetica che si misuri in termini di maggiore o minore aderenza a criteri prestabiliti. II rap­ porto dell'oggetto con ii soggetto diventa fondamentale per ii giudizio di gusto, non in quanto piu o meno conforme alle regole classiche, ma per quel sentimento di piacere o dolore che genera nell'individuo. La dimensione critica che ha assunto Ia discussione sul problema nella prima meta del secolo, e accentuata nei 72 successivi interventi. II comune interesse psicologico de-


gli empiristi per le reazioni del soggetto nella considera­ zione del hello, sia naturale che artistico, porta in partico­ lare ii Gerard ad una trattazione molto analitica. Nel suo Saggio sul gusto presentato alla Societa filosofica di Edimburgo nel 1756, egli lo considera come l'insieme di piu facolta spirituali quali ii giudizio, I' immaginazione, il sentimento. A proposito di Gerard si parla infatti di «as� sociazionismo estetico», dell'unione psichica di immagini a sentimenti, per rendere ragione della sensibilita este­ tica u. Egli distingueva tre doti de! gusto: la sensibilita, ii rafflnamcnto, la giustezza, intendendo per la prima cio che deriva dalla struttura dei sensi intcriori (il nuovo, il hello, il grande), in pratica il godimento immediato che non implica ancora un momento valutativo ne compara­ tivo degli oggetti; per raffinamento, la capacita di giudizio sul hello e sul brutto nel confronto fra i vari oggetti; per giustezza, la capacita di ordinare le impressioni rice­ vute e fornire dunque le regole sicure per giudicare dei meriti e dei difetti 16• La riflessione del Gerard si rifaceva per molti aspetti ai precedenti contributi di Addison e di Dubos, ed ebbe senz'altro influenza sul successivo inter­ vento di Hume. Del 1757 e ii famoso saggio Of the stan­ dard of taste. Da convinto empirista, Hume non si preoc­ cupa di definire I'idea di bello, ma di trovare i fondamenti de! giudizio estetico, del gusto artistico che e alla base de! piacere e del dispiacere. Partendo dalla considerazione della grande varieta dci gusti, egli si pone ii problema di cercare una regola del gusto [ ...] mediante la quale possano venire accordati i vari sentimenti degli uomini, o almeno una decisione che, quando venga espressa, confermi un sentimento e ne condanni un altro 17• Non esistono infatti delle regole a priori a cui riferirsi: la bel­ lezza non e una qualita de11e cose stesse: essa esiste sol­ tanto ne11a mente che le contempla, e ogni mente per­ cepisce una diversa bellezza. Ma pur entro la varieta ed i capricci del gusto vi sono certi principi generali di approvazione o di biasimo la cui influenza puo ad uno sguardo attento essere notata in tutte le operazioni 73


dello spirito. Ed e qui che Hume si rifa alla struttura originale della fabbrica interiore [di cui] certe partico­ lari forme piaceranno e [ ..• ] altre dispiaceranno; e se ii loro effetto manchera in qualche caso particolare, cio deriva da qualche evidente difetto o imperfezione del­ l'organo. [ •••] In ogni creatura vi e uno stato sano e uno difettoso e si puo supporre che soltanto ii primo e in grado di darci una vera regola del gusto e del sen­ timento 18 . II gusto pero va educato: deve sapersi liberare dal pregiudizio nocivo al sano giudizio. [ ...] E compito del «buon senso» ii neutralizzarne !'influenza; e da questo punto di vista, come da molti altri, la ragione, anche se non e parte essenziale del gusto, e per lo meno una condizione perche quest'ultima facolta possa ope­ rare [...] Accade di rado, o mai, che [ ...] si incontri una persona che abbia un gusto retto senza un intelletto sano [ ...] soltanto un forte buon senso, unito ad un sen­ timento squisito accresciuto dalla pratica, perfezionato dall'abitudine ai confronti e liberato da tutti i pregiu­ dizi, puo conferire ai critici questa preziosa qualita; e la sentenza concorde di questi, ovunque si trovino, e la vera regola del gusto e della bellezza 19• La presa di posizione di Hume contro i pregiudizi, con­ tro una considerazione degli oggetti artistici che non tenga presente la particolarita della situazione in cui sono pro­ dotti e del pubblico cui si rivolgono20, ha giustamente fatto parlare di deciso storicismo. [ ...] Il gusto dipende da quel complesso di civilta di cui e un elemento e un mo­ mento; ne si puo veramente giudicare e gustare un'o­ pera d'arte astraendo dall'epoca, dalla situazione sto­ rica e di civilta in cui e sorta21 • Pur non chiarendo, in de­ finitiva, se il gusto sia una facolta innata o il frutto di una particolare educazione, la stretta relazione tra buon gusto e buon senso delinea un ideale umano, vero portavoce della societa borghese che comincia ad affermare i suoi valori. La pratica del gusto infatti fara sentire i suoi be­ nefici effetti sul comportamento sociale stesso dell'indivi74 duo. La squisitezza del gusto ha lo stesso effetto della


squisitezza della passione: allarga la sfera tanto della nostra felicita quanto della miseria, e ci rende sensibili a pene come a piaceri che sfuggono al resto del genere umano [...] nulla e piu adatto a guarirci dalla squisi­ tezza delle passioni che coltivare quel gusto piu alto e raffinato che ci mette in grado di giudicare dei carat­ teri degli uomini, delle composizioni del genio e delle produzioni delle arti piu nobili22 . Si ritrova in Hume (1762) l'accostamento tra buon gu­ sto e raffinatezza culturale e naturale, the delicacy of ta­ ste, sulla base di un senso comune a tutta la specie, che vale tanto a stabilire le regole di condotta quanto a for­ mulare giudizi su cio che hello o brutto, proprio ed improprio, proporzionato o deforme 23 ; mentre Burke (1759) piuttosto cerchera di dare una fondazione fisiolo­ gica all'uniformita del gusto, risalendo all'uguale confor­ mazione degli organi sensoriali in tutti gli uomini. La posizione degli illuministi francesi introduce ele­ menti nuovi. Un maggiore razionalismo caratterizza l'ar­ ticolo «gusto» scritto da Voltaire per I'Enciclopedia. II ter­ mine una metafora che esprime [ ...] la sensibilita alle bellezze e ai difetti di tutte le arti, [ ... ] un discerni­ mento pronto come quello della lingua e del palato, e che anticipa come quello la riflessione. Molto marcata la differenziazione tra buono e cattivo gusto in base all'a­ desione o meno ai cardini della concezione filosofica il­ luminista: nelle arti il gusto depravato consiste nel­ l'ammirare soggetti che ripugnano a menti sane; nel preferire il burlesco al nobile, il prezioso e ii manierato al hello semplice e naturale: una malattia dello spi­ rito [... ] le arti hanno bellezze reali, v'e un buon gusto che le discerne, e un cattivo gusto che le ignora24• Interessante ii tentativo di creare un aggancio storico e sociale al problema, tentativo che riflette in pieno le te­ matiche piu dibattute dell'epoca. Vi sono vasti paesi ove ii gusto non e mai esistito; sono quelli nei quali la so­ cieta non si e perfezionata, dove gli uomini e le donne non si riuniscono, dove certe arti come la scultura, la 75

e

e

e

e

e


pittura degli esseri animati, sono proibite dalla reli­ gione. Quando e scarsa la societa, l'intelletto si re­ stringe, ii suo acume si smussa, non v'e materia per formare ii gusto25 . Le osservazioni ulteriori di Montesquieu (1757) annesse alla stessa voce «gusto» dell'Enciclopedia, considerano oggetto del gusto i vari piaceri dell' anima, ii bello, ii buono, ii gradevole, ii non so che. Esso e cio che ci avvince ad una cosa mediante ii sentimento; ii che non impedisce - aggiunge subito l'autore - che lo si possa applicare alle cose dell'intel­ letto, la cui conoscenza fa tanto piacere all'anima, da essere l'unica felicita che certi filosofi possono com­ prendere. Dato che I'origine dei sentimenti e da cercare in noi stessi, I'indagarne le ragioni e come ricercare le cause dei piaceri della nostra anima [ ... ] cio potra aiu­ tarci a formare ii gusto, che altro non e se non la pre­ rogativa di scoprire, con finezza e prontezza, la misura del piacere che ogni cosa deve dare agli uomini. Esistono due diverse specie di gusto, uno naturale che non e una scienza teorica ma l'applicazione pronta e squi­ sita di regole che neppur si conoscono (ed e qui che trova ii suo aggancio la tematica del «non so che», una grazia naturale, un effetto fondato essenzialmente sulla sorpresa) e un gusto acquisito, l'unico a cui si possono ri­ ferire le varie regale. Tra i due momenti la relazione e con­ tinua: infatti il gusto acquisito esercita, modifica, ac­ cresce e diminuisce ii gusto naturale, cosi come ii gu­ sto naturale esercita, modifica, accresce e diminuisce ii gusto acquisito26 . Queste considerazioni, se da un lato marcano in maniera forse ancor piu netta che in Hume e gli empiristi il ribaltamento da un livello oggettivo ad uno soggettivo nella considerazione dei fatti artistici, supe­ rando l' apriorismo dell' oggetto dato come bello attraverso la facolta critica di giudizio del fruitore, si inquadrano nella piu vasta concezione estetica illuminista che Diderot sintetizza dichiarando: la percezione del rapporti e dun­ que ii fondamento del hello; e dunque la percezione dei 76 rapporti cio che e stato designato nelle diverse lingue


con una infinita di nomi differenti, che indicano tutti, in sostanza, differenti specie di bello27 . Nel 1762 a Zurigo vengono pubblicati i Gedanken iiber die Schonheit und den Geschmack in der Malerei di Anton Raphael Mengs. E la chiara espressione delle teo­ rie neoclassiche, e ii capitolo riguardante le «Determina­ zioni e le regole del buon gusto» appare come una sorta di decalogo. Per risalire all'origine de! concetto di gusto nell 'arte, Mengs, considerate imperfette tutte le opere umane, dichiara che si usa nella pittura ii termine di gu­ sto per significare che un'opera puo avere un gusto di perfezione senza essere veramente perfetta. Simile a quello della gola che interessa pero la lingua e ii palato, ii gusto in pittura tocca e muove gli occhi e l'intelletto. In pittura e necessario infatti che ciascuna cosa che vede l'occhio, tocchi i suoi nervi per piacere al medesimo. Questo e ii gusto ed e equivalente allo stile o metodo che e diverso in ciascuno uomo. Proprio in base a que­ sta equivalenza di gusto con stile e possibile determinare tutta una serie di regole cui rifarsi nella pratica artistica. Il gusto, non piu considerato come momenta di giudizio o facolta critica, viene ad identificarsi con la misura e l'or­ dine della composizione, e con la capacita stessa dell'ar­ tista di scegliere tra le varie possibilita che gli si offrono. Si ritorna a quella accezione in certo modo precettistica che aveva caratterizzato precedentemente ii concetto, in buona sintonia, del resto, con i dettami neoclassici che vengono imponendosi. Ecco allora che ii miglior gusto che possa dare la natura e quello di mezzo, poiche piace a tutti gli uomini in genere [...] Le opere di pit­ tura che comunemente si sogliono dire e stimare di buon gusto sono quelle in cui o si vedono solamente bene espressi gli oggetti principali, oppure si osserva una facilita tale nell'esecuzione che la fatica non com­ parisca [...] II gusto grande consiste nello scegliere le parti grandi tanto dell'uomo, quanto di tutta la natura, con nascondere le parti subordinate e piccole [... ] II gusto e quello che nel pittore produce e determina uno 77


scopo principale e che gli fa scegliere o rigettare cio che al medesimo conviene, o che gli e contrario [ ...] Se si sceglieranno le cose piu belle e piu grandi, si faranno opere del miglior gusto [ ...] II gusto hello finalmente e quando si esprime tutto ii piu hello della natura28 . L'artista che vuole conseguire ii buon gusto ha precisi mo­ delli a cui riferirisi. Due sono le vie che egli puo seguire sotto la guida della ragione: l'una scegliere dalla na­ tura stessa ii piu utile ed ii piu hello, ma la piu diffi­ cile perche implica uno speciale discernimento e spirito filosofico per distinguere nel complesso delle cose na­ turali ii buono, ii meglio e l'ottimo; l'altra, piu facile, e apprendere dalle opere in cui la scelta gia e stata fatta. Non resta dunque che ricercare negli antichi ii gusto della bellezza, in Raffaello ii gusto del significante e dell'e­ spressione, in Correggio quello del piacevole e dell'ar­ monia, e in Tiziano ii gusto della verita e del colorito. Sono queste le pietre di paragone con le quali i princi­ pianti nell'arte [...] devono procurare di giudicare ii loro proprio e l'altrui gusto. Alla conclusione Mengs in­ vita a seguire i suoi consigli: chi lavorera diligentemente col senno e con la mano, riflettendo seriamente su cio che ho detto, avra un giorno a gloriarsi della sua fa­ tica e conseguira ii buon gusto29 . Con Kant ii problema comincia ad assumere carattere diverso. Pur mettendo in relazione ii giudizio riflettente, proprio dell'attivita estetica, con ii sentimento, non si tratta piu di vedere nel gusto solo una facolta o capacita di sentire il bello e ii brutto e basare sull'irnmediatezza di questo atto un giudizio, ma di fare critica del gusto cioe l'arte o la scienza che riporta a regole ii rapporto re­ ciproco dell'immaginazione e dell'intelletto nella rap­ presentazione data30• Non v'e una scienza del hello, ma solamente la critica di esso31 • Senza addentrarci nella

e

78

e

complessa concezione estetica kantiana e senza discuteme, per ovvie ragioni, gli aspetti piu problematici e, a volte, contraddittori, la definizione piu sintetica che Kant fomi quella di facolta di giudicare del bello32 see di gusto

e


messa a fondamento della sua Analitica del giudizio este­ tico (prima sezione della Critica del giudizio, 1790). Nell' introduzione egli aveva gia cercato di dare una spie­ gazione piu ampia di cio che intendeva per gusto: Ia fa­ colta di giudicare mediante [ ... ] piacere (e, per conse­ guenza, universalmente) [un oggetto]; ii fondamento del piacere posto soltanto nella forma dell'oggetto [...] Si giudica cioe la forma dell'oggetto (non l'elemento ma­ teriale della sua rappresentazione, come sensazione), nella semplice riflessione su di essa - senza alcuna mira a un concetto che se ne potrebbe ricavare - e questo piacere viene pure connesso con tale rappresentazione [dell'oggetto] in modo necessario, e quindi non solo per ii soggetto che apprende questa forma, ma per ogni soggetto giudicante in generale33 . II problema si pone dunque nei termini di «giudizio di gusto». L'essere co­ sciente della rappresentazione di un oggetto mediante il sentimento cosa del tutto diversa dal rappresentarsi un oggetto attraverso la facolta conoscitiva: la rappresenta­ zione e riferita interamente al soggetto [ ...] la qual cosa da luogo ad una facolta interamente distinta di discer­ nere e di giudicare, che non porta alcun contributo alla conoscenza, ma pone soltanto in rapporto, nel soggetto,

e

e

la rappresentazione data con la facolta rappresentativa nella sua totalita 34 • Percio ii giudizio di gusto pura­ mente contemplativo, un giudizio, cioe, che, indiffe­ rente riguardo all'esistenza dell'oggetto, ne mette solo a riscontro i caratteri con ii sentimento di piacere e di dispiacere. Ma questa contemplazione a sua volta non diretta a concetti; perche ii giudizio di gusto non e un giudizio di conoscenza (ne teorico ne pratico), e per conseguenza non e fondato sopra concetti, ne se ne pro­ pone alcuno35. Esso senza alcun interesse36 . A suo fon­ damento, come condizione soggettiva, la possibilita di comunicare universalmente lo stato d'animo prodottosi rispetto alla rappresentazione data37• Ma non potendosi dare una regola oggettiva del gusto che determini per mezzo di concetti che cosa sia hello, vista che la causa

e

e

e

e

e

79


determinante del giudizio e ii sentimento del soggetto, non un concetto dell'oggetto, Kant asserisce che ii cer­ care un principio di gusto che sia ii criterio universale del hello mediante concetti determinati, una fatica vana, perche cio che si cerca impossibile e in se stesso contraddittorio. La comunicabilita universale della sensazione,. [ ... ] l'accordo, per quanto possibile, di tutti i tempi e di tutti i popoli riguardo a questo senti­ mento nella rappresentazione di certi oggetti: questo ii criterio empirico, per quanto debole e appena suffi­ ciente alla congettura, col quale si possa derivare un gusto [ ... ] da quel fondamento, profondamente nasco­ sto e comune a tutti gli uomini, dell'accordo nel giudi­ zio delle forme sotto cui sono dati gli oggetti38• E ii sen­ sus communis aestheticus il principio soggettivo che rende possibile la comunicazione del piacere o del dispia­ cere solo mediante ii sentimento e non mediante con­ cetti39. Su questo fondarnento, ii modello supremo, ii prototipo del gusto, una semplice idea che ognuno deve produrre in se stesso, e secondo la quale deve giu­ dicare tutto cio che oggetto del gusto, che esempio del giudizio di gusto, ed anche ii gusto di ciascuno. Pio propriamente tale rnodello dovrebbe chiamarsi ideale del hello, un ideale che, se non lo possediamo, ci sforziamo di produrlo in noi40. Anche in Kant compare un'idea di educazione seppure con una accezione diversa rispetto alle posizioni dei pen­ satori inglesi del Settecento. In relazione al concetto di ge­ nio egli parla infatti di gusto come la disciplina (l'edu­ cazione) del genio [che] gli ritaglia le ali e lo rende co­ stumato e polito; ma nel tempo stesso gli da una guida;

e

e

e

e

e

e

80

e

[ ...] e portando chiarezza e ordine nella massa dei pen­ sieri, da consistenza alle idee, facendole insieme degne di un consenso durevole ed universale, d'esser seguite dagli altri, e di concorrere ad una sempre progressi va cultura. [...] Le belle arti esigono dunque immagina­ zione, intelletto, anima e gusto, e significativamente, le 41 prime tre facolta trovano nella quarta la loro unione •


L'impostazione critica di Kant introduce la svolta data da Hegel al problema estetico. Con Hegel infatti il con­ cetto di gusto scompare come problema a se, per rientrare in una piu vasta riflessione concernente la fondazione di una «scienza» filosofica dell'estetica: II vero e proprio termine per la nostra scienza e «filosofia dell'arte», e piu specificamente «filosofia della bella arte»42. La di­ scussione estetica approda ora ad un tentativo di sistema­ tizzazione dell' insieme dei problemi legati alla creazione artistica e alla riflessione su di essa. Non si tratta piu di definire unicamente il bello e limitarsi a fomire parametri o sollevare questioni circa la formazione di un senso ca­ pace di giudicarlo. La posizione di Hegel e estremamente critica rispetto alle teorizzazioni estetiche precedenti mosse, nella generalita delle loro riflessioni, dall'intento di formare [ ...] ii giudizio sulle opere d'arte, «di for­ mare» in generate «ii gusto» piuttosto che provocare direttamente la produzione di vere e proprie opere d 'arte. Per questi aspetti ebbero grosso successo, secondo Hegel, nella loro epoca gli Elements of criticism di Hume e gli scritti di Batteaux e Ramler. In quell 'ottica ii gusto [veniva inteso come] la disposizione, ii trattamento, l'appropriatezza e la compiutezza di cio che appartiene all'apparenza esterna di un'opera d'arte. Inoltre si ag­ giungevano ai principi del gusto opinioni appartenenti alla psicologia di allora e tratte dalle osservazioni em­ piriche sulle facolta e attivita dell'anima, sulle passioni e sulle loro verosimili gradazioni e successioni [ ...] e poiche quell'educazione del gusto riguardava solo cio che e esteriore e povero, e inoltre traeva i suoi precetti solo da una ristretta cerchia di opere d'arte e da una limitata formazione dell'intelletto e dell'animo, la sua sfera era insufficiente ed incapace di afferrare l'intero e ii vero e di acuire lo sguardo per coglierli43 . Una critica cosl decisa alle posizioni dei suoi predecessori e il primo passo verso una considerazione «filosofica» del problema estetico. La filosofia dell'arte non si cura di dare precetti agli artisti, ma deve decidere che cosa e 81


ii hello in generale e come si e mostrato nell'esistente, in opere d'arte, senza voler dare regole del gusto in ge­ nere44 . Sempre in polemica con la riflessione estetica a lui precedente, nota che poiche l'opera d'arte non deve de­ stare solo sentimenti in generale [ .•• ] ma Ii deve destare solo in quanto hella, Ia riflessione si data a ricer­ care per ii hello un «peculiare sentimento del hello» e a rinvenire un «senso» specifico per «esso». E apparso suhito che tale senso non puo essere un istinto cieco e stahilmente determinato dalla natura, ii quale distin­ gua gia in se e per se ii hello, e cosl per questo senso fu richiesta una «educazione», e ii senso educato della hellezza fu chiamato «gusto». Questo, sehhene educato a cogliere e a scoprire ii hello, doveva tuttavia rima­ nere un sentire immediato. Ora, secondo Hegel, proprio la mancanza di principi generali a cui rifarsi fece preva­ lere piu la tendenza [ ..• ] a promuovere la formazione del gusto in generale [che] a motivare un «giudizio piu determinato» e aggiunge ironicamente per inciso non ce n'era la stoffa. Per questi motivi questa formazione del gusto in generale rimase egualmente nel piu indetermi­ nato e si curo solo che ii sentimento, come senso della hellezza, fosse dotato della riflessione in modo che ii hello, dove e quale fosse, avrehhe potuto immediata­ mente essere trovato. Tuttavia la profondita della cosa rimane inaccessihile al gusto, poiche tale profondita esige non solo ii senso e le riflessioni astratte, ma la piena ragione e ii solido spirito, mentre ii gusto era ri­ volto solo alla superficie esteriore, intorno a cui i sen­ timenti potevano giocare e principi unilaterali farsi va­ lere. Percio ii cosiddetto huon gusto s'impaurisce di fronte ad ogni effetto piu profondo e tace dove viene in discussione la cosa e spariscono esteriorita e futilita. Cola dove si dischiudono grandi passioni e commozioni di un'anima profonda, non c'e piu posto infatti per le sottili distinzioni del gusto e ii suo piccolo commercio con delle minuzie45 • Valeva la pena riportare l'intero 82 brano per l' efficacia delle espressioni adoperate da Hegel.

e

e


E posizione completamente divergente non solo dall'im­ mediatezza rivendicata degli empiristi o dalla puntuale normativa di Mengs, ma dallo stesso Kant che aveva af­ fermato consistere ii giudizio di gusto proprio nel chia­ mar bella una cosa soltanto per la sua proprieta di ac­ cordarsi col nostro modo di percepirla46, e vi aveva escluso ogni valore conoscitivo. Viene messo in discus­ sione il fondamento su cui fino ad allora si era basato. il concetto di gusto e tutti i problemi che intomo ad esso si facevano ruotare, con maggiore o minore rilevanza in cia­ scuno degli autori. Negata ogni importanza al sentimento, ottusa regione indeterminata dello spirito47, forma del tutto vuota dell'affezione soggettiva, incapace di im­ mergersi profondamente nella cosa48 , il gusto, in quanto fondato su di esso, diventa cosa «esteriore e futile» che indietreggia di fronte alla potenza del genio, n dove an­ cora Kant l'aveva inteso come disciplina ed educazione di esso. L'opera d'arte sta nel mezzo tra sensibilita im­ mediata e pensiero ideale. Essa «non e ancora» puro pensiero, ma, nonostante la sua sensibilita, «non e piu» semplice esistenza materiale49• Per cui poiche l'arte ha come compito di rendere manifesta l'idea per I'intui­ zione immediata in forma sensibile, e non nella forma del pensiero e della pura spiritualita in generale, e poi­ che questo manifestare ha valore e dignita solo nella corrispondenza e nell'unita dei due Iati, l'idea e la sua forma, l'altezza ed eccellenza dell'arte, nella realta conforme al proprio concetto, dipendera dal grado di intimita e unita in cui idea e forma appaiono l'una nel­ l'altra elaborate50. Da questo momenta in poi il concetto di gusto perde la sua centralita nell'ambito della teorizzazione estetica. Persino l'uso del termine diviene assai meno frequente. E le rare volte in cui lo si reincontrera come momenta au­ tonomo di riflessione sara in accezioni del tutto atipiche rispetto agli usi tradizionali. Un capitolo dell'Estetica di Croce (1902) e dedicato a «il gusto e la riproduzione dell'arte». Ritoma qui l'acce- 83


zione del termine come momenta di giudizio dell'attivita estetica, ma in pratica esso viene a perdere la sua rilevanza per ii fatto che la critica stessa non e piu considerata come semplice esplicazione dell'attivita del giudizio. Che cosa significa infatti giudicare? Significa, per Croce, riprodurre }'opera, mettersi nel punto di vista dell'artista produttore e rifarne, con l'aiuto del segno fisico da Iui prodotto, ii processo creativo51 • In pratica quindi l'attivita giudica­ trice che critica e conosce il bello, s'identifica con quella che lo produce. La differenza consiste soltanto nella diversita delle circostanze, perche l'una volta si tratta di produzione e l'altra di riproduzione estetica. Vattivita che giudica si dice gusto; l'attivita produt­ trice genio: genio e gusto sono, dunque, sostanzial­ mente identici. In altre parole ii critico deve avere al­ cunche della genialita delPartista, e l'artista deve es­ sere fornito di gusto; ovvero vi ha un gusto attivo (pro­ duttore) e uno passivo (riproduttore)52. Viene negata in pratica ogni possibilita di divergenza tra critico e artista in nome della necessita spirituale dell'attivita espressiva che non puo che richiedere una univoca considerazione. Se si ponesse infatti una differenza sostanziale tra critico ed ar­ tista, diventerebbe inconcepibile la comunicazione ed ii giudizio. Come - si domanda Croce - cio che e prodotto di una determinata attivita si potrebbe giudicare con una attivita diversa? II critico sara un piccolo genio, l'artista un genio grande [... ] ma Ia natura di entrambi deve essere la medesima per far s"i che nel momenta della contemplazione e del giudizio lo spirito dell'uno sia tutt'uno con quello dell'altro53 • Respingendo sia la consi­ derazione assolutistica del hello che riferisce }'opera ad un modello ideale di cui si serve poi lo stesso critico nel suo giudizio, sia ii relativismo e lo psicologismo di coloro i quali, trincerandosi dietro l'antico adagio, che del gusto non si disputa, credono che l'espressione estetica sia della stessa qualita del piacevole e dello spiacevole, Croce asserisce che ii criterio del gusto e assoluto, ma di una assolutezza diversa da quella dell'intelletto, che 84


si svolge nel raziocm10; e assoluto dcll'assolutezza in­ tuitiva della fantasia5 4• Qualche anno piu tardi, nel Breviario di estetica (1912), riproponendo ii problema di che cosa sia la vera critica, egli introduceva di nuovo ii concetto di gusto, momento di giudizio, come una delle tre necessarie condizioni senza le quali la critica non sor­ gerebbe. Senza ii momento dell'arte [ ...] mancherebbe alla critica la materia sopra cui esercitarsi. Senza gu­ sto (critica giudicatrice), mancherebbe al critico l'e­ sperienza dell'arte, l'arte fattasi interna al suo spirito, sceverata dalla non-artc e goduta contro quclla. E mancherebbe, in fine, codesta esperienza senza l'ese­ gesi, ossia senza che si tolgano gli ostacoli alla fantasia riproduttrice, fornendo allo spirito quei presupposti di conoscenze storiche, di cui ha bisogno, e che sono le le­ gna che bruceranno nel fuoco della fantasia55 • L'imporsi dell'opera d'arte come bella e perfetta in quanto tale, relega l'attivita del giudizio, e quindi del gu­ sto attraverso cui si manifesta, alla riaffermazione tauto­ logica di questa bellezza e perfezione. E da giudicare percio bello qualsiasi atto di attivita espressiva che sia davvero tale, e brutto qualunque fatto, in cui entrano in lotta insoluta attivita espressiva e passivita56• Non molti anni dopo, nel 1926, appariva IL gusto dei primitivi di Lionello Venturi. Prescindendo in questa sede dal significato che ii libro ebbe nella cultura italiana ed europea dell'epoca, ci interessa notare la particolare acc­ cezione in cui ii termine veniva riproposto. Questo libro e scritto per recare all'attuale critica d'arte ii contri­ buto di una esperienza della «rivelazione» in arte, e non si limita ad una sola personalita per chiarire ii pro­ blema sotto ii maggior numero possibile di aspetti, non si occupa dell'arte di questo o di quello o di molti pri­ mitivi, non cerca cio che individua gli artisti, cerca cio che Ii accomuna, non la loro arte ma ii loro gusto. Non so se la parola «gusto» sia la piu adatta a significare quello che intendo; non ne ho trovata una migliore. E per evitare equivoci dichiaro che intendo per gusto l'in- 85


zione del termine come momenta di giudizio dell'attivita estetica, ma in pratica esso viene a perdere la sua rilevanza per il fatto che la critica stessa non e piu considerata come semplice esplicazione dell'attivita del giudizio. Che cosa significa infatti giudicare? Significa, per Croce, riprodurre l'opera, mettersi nel punto di vista dell'artista produttore e rifarne, con l'aiuto del segno fisico da lui prodotto, ii processo creativo51• In pratica quindi l'attivita giudica­ trice che critica e conosce ii hello, s'identiflca con quella che lo produce. La differenza consiste soltanto nella diversita delle circostanze, perche l'una volta si tratta di produzione e l'altra di riproduzione estetica. L'attivita che giudica si dice gusto; l'attivita produt­ trice genio: genio e gusto sono, dunque, sostanzial­ mente identici. In altre parole ii critico deve avere al­ cunche della genialita dell'artista, e l'artista deve es­ sere fornito di gusto; ovvero vi ha un gusto attivo (pro­ duttore) e uno passivo (riproduttore)52• Viene negata in pratica ogni possibilita di divergenza tra critico e artista in nome della necessita spirituale dell'attivita espressiva che non puo che richiedere una univoca considerazione. Se si ponesse infatti una differenza sostanziale tra critico ed ar­ tista, diventerebbe inconcepibile la comunicazione ed ii giudizio. Come - si domanda Croce - cio che e prodotto di una determinata attivita si potrebbe giudicare con una attivita diversa? D critico sara un piccolo genio, l'artista un genio grande [ ... ] ma la natura di entrambi deve essere la medesima per far sl che nel memento della contemplazione e del giudizio lo spirito dell'uno sia tutt'uno con quello dell'altro53 • Respingendo sia la consi­ derazione assolutistica del hello che riferisce l'opera ad un modello ideale di cui si serve poi lo stesso critico nel suo giudizio, sia ii relativismo e lo psicologismo di coloro i quali, trincerandosi dietro l'antico adagio, che del gusto non si disputa, credono che l'espressione estetica sia della stessa qualita del piacevole e dello spiacevole, Croce asserisce che ii criterio del gusto e assoluto, ma di una assolutezza diversa da quella dell'intelletto, che 84


si svolge nel raziocm10; e assoluto dell'asso]utezza in­ tuitiva della fantasia54• Qualche anno piu tardi, nel Breviario di estetica (1912), riproponendo ii problema di che cosa sia la vera critica, egli introduceva di nuovo ii concetto di gusto, momento di giudizio, come una delle tre necessarie condizioni senza le quali la critica non sor­ gerebbe. Senza ii momento dell'arte [ ...] mancherebbe alla critica la materia sopra cui esercitarsi. Senza gu­ sto (critica giudicatrice), mancherebbe al critico l'e­ sperienza dell'arte, l'arte fattasi interna al suo spirito, sceverata dalla non-arte e goduta contro quella. E mancherebbe, in fine, codesta esperienza senza l'ese­ gesi, ossia senza che si tolgano gli ostacoli alla fantasia riproduttrice, fornendo allo spirito quei presupposti di conoscenze storiche, di cui ha bisogno, e che sono le le­ gna che bruceranno nel fuoco della fantasia55• L'imporsi dell'opera d'arte come bella e perfetta in quanto tale, relega l'attivita del giudizio, e quindi del gu­ sto attraverso cui si manifesta, alla riaffermazione tauto­ logica di questa bellezza e perfezione. E da giudicare percio hello qua]siasi atto di attivita espressiva che sia davvero tale, e brutto qualunque fatto, in cui entrano in lotta inso]uta attivita espressiva e passivita56. Non molti anni dopo, nel 1926, appariva IL gusto dei primitivi di L ionello Venturi. Prescindendo in questa sede dal significato che ii libro ebbe nella cultura italiana ed europea dell'epoca, ci interessa notare la particolare acc­ cezione in cui il termine veniva riproposto. Questo libro e scritto per recare all'attua]e critica d'arte il contri­ buto di una esperienza della «rivelazione» in arte, e non si limita ad una sola personalita per chiarire ii pro­ blema sotto ii maggior numero possibile di aspetti, non si occupa dell'arte di questo o di quello o di molti pri­ mitivi, non cerca cio che individua gli artisti, cerca cio che Ii accomuna, non la loro arte ma ii loro gusto. Non so se la parola «gusto» sia la piu adatta a significare quello che intendo; non ne ho trovata una migliore. E per evitare equivoci dichiaro che intendo per gusto l'in- 85


sieme delle preferenze nel mondo dell'arte da parte di un artista o di un gruppo di artisti57. Questa e l'indica­ zione programmatica esposta nell'introduzione. Gusto in pratica e ii complesso di scelte che I'artista opera all'in­ temo della propria cultura, ii suo rapporto con la tradi­ zione e con i contemporanei. Se le preferenze indivi­ duano ii loro autore non assolutamente ma solo in rap­ porto ad altre preferenze, e naturale ch'esse accomu­ nino un artista con altri affini [ ... ] in questo senso ii «gusto» accomuna gli artisti di un medesimo periodo storico o scuola o tendenza, comunque si vogliano chia­ mare ed e la strada che bisogna battere per giungere ad intendere J'arte individuale58. Come notava Argan, ii concetto, cosi inteso, appariva come lo sviluppo in senso storicistico del «Kunstwollen» di Riegl, comprendendo esso l'intero processo genetico dell'opera d'arte nel suo interagire con la cultura della societa in cui si produce59 • Una impostazione storico-ideale coinvolge dunque ii pro­ blema del gusto e non furono in pochi a fare il nome di Dvorak per l'affinita delle tesi di Venturi con le sue ana­ lisi60 . «Gusto» inoltre, come insieme di preferenze, si di­ stingue da «arte», come momenta di creativita. Nell'intro­ duzione alla sua Storia della critica d'arte (1936) Venturi ribadisce infatti che nessuna di quelle preferenze si iden­ tifica con la creativita. Esse accompagnano la forma­ zione dell'opera d'arte, sono comprese nell'opera d'arte, ma quando J'opera d'arte perfetta esse risul­ tano trasformate dalla creativita, e si possono ricono­ scere solo se distaccate da quell'insieme, da quel ca­ rattere di sintesi, che proprio della creazione. Questi elementi costruttivi del fatto artistico sono di varia na­ tura, dalla tecnica all'ideale, ma hanno un comune ca­ rattere di fronte alla sintesi, alla creazione dell'opera d'arte. Quel comune carattere fu molti anni fa da me chiamato «gusto»61 • La proposta metodologica che scatu­ risce e il superamento di tutti i disconoscimenti della per­ sonalita dell'artista, delle inutili dispute su pregi e difetti 86 astrattamente intesi, delle rigide precettistiche o dei vuoti

e

e


concetti come progresso e decadenza, per richiamarsi al­ l'assoluto della creazione come unico momenta univer­ sale: tutti i gusti sono relativi rispetto a quell'assoluto che e la creazione artistica; quel che importa e che Ia creazione ci sia [...] ii valore negativo o positivo del gu­ sto non dipende da un assoluto del gusto. Ciascun gu­ sto e ottimo quando e adatto alla creativita dell'artista [...] La misura di valore di ciascun gusto si trova sol­ tanto nella personalita dell'artista che quel gusto ha adottato62 , imprimendogli carattere eterno63 . Sulla scia delle posizioni crociane, storia e critica d'arte finiscono per convergere nella comprensione dell'opera d'arte che e contemporaneamente giudizio e conoscenza delle condi­ zioni del suo sorgere. Percio Ia storia critica dell'arte consiste nell'illustrazione dei rapporti tra arte e gusto in ciascun artista, dell'azione dell'arte sul gusto, e delle reazioni del gusto sull'arte64• La distinzione tra questi due momenti e in pratica per Venturi ii parallelo, nel campo· delle arti figurative, della distinzione di Croce tra poesia e letteratura, l'una momento di sintesi di indivi­ duale e universale (arte), l'altra particolare, storicarnente determinata (gusto, ponte tra la creazione de! genio e lo svolgimento storico)65. E poiche la storia non e storia sol­ tanto di momenti eroici, ma anche della vita quotidiana che permette di collocarli e comprenderli, la storia del­ l'arte e generalmente storia del gusto [ ...] lo analizza e descrive [...] con Io scopo di riconoscere ii momento in cui si identifica con l'arte per la forza del genio. Ed e quello ii momento in cui la storia dell'arte si identi­ fica col giudizio critico66• Un ulteriore contributo al problema e quello di Guido Morpurgo Tagliabue. Nel suo intervento al Simposio di estetica di Venezia nel 1958, egli lamenta l'odierna man­ canza di un principio estetico consapevole; individuato ii problema dell'arte non piu nell'operazione dell'artista ma nella reazione del pubblico, egli sente di estrema im­ portanza la necessita di identificare un sufficiente criterio di giudizio. E propone di pensare i criteri cardinali 87


88

del gusto, che entrano con preventiva ricognizione nel giudizio, come i risultati della soddisfazione che certi gruppi di attrattive offrono a certi bisogni, o, che e lo stesso, del loro accordo con certe situazioni dominanti. In ultima analisi sempre criteri di valore, o del «senso» delle cose, della loro «signifiance» [ ...] della loro im­ portanza ed efficienza comparativa. Ma lo stesso pro­ cedimento di selezione per confronto da cui emergono, impedisce che questi criteri vengano applicati come criteri esclusivi e assoluti di «metaconfronto» 67 , vale a dire di confronto con una idea precostituita. Cio che conta infatti non sono tanto i criteri ma i risultati della scelta at­ traverso cui sono prodotti, risultati i quali poi divengono «modelli» che giustificano la scelta fatta e condizionano le scelte successive [...] Vi e cos'i una continua dialet­ tica tra i «criteri» e le «attitudini» di scelta che e la ben nota dialettica tra scienza critica e sensibilita critica, tra «giudizio» e «gusto»68. Sotto tutt'altra angolazione si presenta l'intervento di Dorfles Le oscillazioni def gusto ( 1958). Egli si propone di indagare i rapporti tra pubblico e arte contemporanea sulla base di quella curiosa costante - anzi «inco­ stante» - psicologico-estetica che di solito va sotto ii nome di «gusto»69 . Le varie stratificazioni de! gusto sono basate essenzialmente sulla distinzione di raggrup­ pamenti culturali, piuttosto che sociali, economici o po­ litici, i quali generano vere e proprie paratie stagne che dividono tra di loro i diversi gradini della cultura e Ii rendono tra di loro incomunicabili70 • La discrepanza fra una produzione per la massa e un'arte di avanguar­ dia destinata esclusivamente ad una elite intellettuale co­ stituisce sostanzialmente la vera ragione per l'incom­ prensione dell'arte «vera» da un Jato, e per le rapide oscillazioni del gusto dall'altro. Oscillazioni rese ine­ vitabili dalla scarsa eco che le forme esasperate del­ l'arte d'avanguardia trovano presso i non iniziati7 1 • II problema diventa quello della fruizione estetica piu generale, del suo processo formativo, delle stratificazioni


socio-culturali che assume, delle implicazioni politico­ ideologiche. Una impostazione sociologica, ma in ambito Ietterario, e quella di Levin Schi.icking che nella poco nota Sociologia del gusto letterario (1923) lega in maniera diretta ii tema a quello della fruizione. Nella premessa all'edizione del 1961 l'autore dichiara: questo libro parte dall'idea che la concordanza che notiamo nella fruizione delle opere d'arte e che chiamiamo «gusto» non derivi semplice­ mente dalle qualita intrinseche delle opere stesse, ma sia per lo piu il risultato di un processo molto complesso nel quale confluiscono forze di diverso genere, in parte ideologiche, in parte anche di natura molto concreta, che portano ad un risultato non sempre libero dall'in­ flusso di circostanze contingenti72 • L'ottica con la quale I'autore affronta il suo studio e I'aggancio tra il gusto e i suoi mutamenti con lo «Spirito dell'epoca» e i vari strati sociali, attraverso ii concetto di esponente-tipo del gusto, nucleo dei diversi gruppi dominanti che assumono un ruolo determinante nella elaborazione di nuove linee di tendenza culturali. Gli esponenti-tipo infatti sono fautori appassio­ nati della nuova corrente perche si trovano in sintonia con cssa ed essa soddisfa pienamente le loro esigenze nel confronti dell'arte73 • Tra gli interventi piu recenti e la lpotesi per una .filo­ sofla del «gusto» (1972) di Paolo Veronese. E un tentativo di rifondazione filosofica del concetto come espressione simbolica dell'evidenza o meno dell'artisticita74. L'ipotesi formulata e quella di un gusto come criterio for­ male [...] nel senso che non spetta ad esso ii compito di specificare in che consista codesta affermata o ne­ gata artisticita dell'esperienza; come assoluta apertura alla problematicita dell'esperienza artistica [...] rifug­ gendo da ogni concettualizzazione ed esprimendo[ne) l'intcgralita75• E solo in seno all'integralita dell'espe­ rienza artistica, della sua continua processualita, che i due poli, dell'opera e del fruitore, assumono ii loro giusto rilievo, escludendo ogni pretesa di dogmatismo. 89


Ormai, l'accezione del termine ha assunto connotati e implicazioni tali da non rendere quasi piu possibile limi­ tarsi alla trattazione di questo singolo aspetto senza pren­ dere in esame l' intera concezione estetica di cui e parte. Con il complesso delinearsi di nuovi indirizzi metodolo­ gici diventa inutile continuare a seguire un «filo gusto» che viene sempre piu identificandosi con le concezioni ge­ nerali determinanti le varie linee di tendenza, si tratti delle metodologie di rnatrice idealista o fenomenologica, o di quelle di impostazione strutturalista, semiologica, e, so­ prattutto, sociologica. Da un lato, non si puo non ricono­ scere nel gusto quell'aspetto immediatamente sociale del fatto estetico con cui e inevitabile ii confronto; dall'altro, gusto e diventato il problema del ruolo sociale dell'artista, della committenza, del pubblico, dei suoi rapporti con l'o­ pera, dell'interagire delle diverse componenti sociali e del loro contributo alla determinazione di soluzioni formali e contenutistiche. L'avvento della tecnologia, dell'arte di massa, l' epoca della «riproducibilita tecnica» hanno investito il gusto di una dimensione sociale che ha assorbito integralmente i diffe­ renti connotati filosofici che esso aveva assunto nel tempo. Non esiste che un problema di gusto asseriva a suo tempo Persico76 . Ogni gesto della vita quotidiana implica oggi un riferimento a questo labile codice figurativo in­ dispensabile alla comunicazione77 • Ma l'antica sentenza «de gustibus non est disputan­ dum» perde ogni sua praticabilita. II relativismo estetico, questo menefreghista, e a sua volta parte della co­ scienza reificata; non e tanto malinconico scetticismo a proposito della propria insufficienza, quanto rancore per la pretesa che l'arte ha alla verita; tuttavia soltanto tale pretesa legittimo quella grandezza delle opere d'arte senza ii cui feticcio i relativisti raramente hanno di che vivere78• De gustibus est disputandum79•

90

(n. 42, maggio 1978)


1 B. CROCE, Estetica come sciem:.a dell'espressione e linguistica generate, Laterza, Bari 1950, p. 208. 2 Ibid. 3 Cfr. L. VENTURI, Storia della critica d'arte, Torino 1964, p.

29.

4 G. W. Leibniz, cit. in V.E. ALFIERI, L'estetica dall'illuminismo al romanticismo fuori di Italia, in Momenti e problemi di storia del­ l 'estetica, Milano 1959, vol. III, p. 631. s J.D. LA BRUYERE, Les caracteres, cap. I, cit. in A. LAGARDE­ L. MICHARD, XVII siecle, Paris 1973, p. 398. 6 L.A. MURATORI, Della perfetta poesia italiana, 11, X, p. 464, cit. in G. MORPURGO TAGLIABUE, La nozione di gusto ne/ sec. XVII/: Shaftesbury e Addison, in «Rivista di estetica», VII, 1962, fasc. II,

p. 208. 7 V.E. ALFIERI, op. cit., p. 587. 8 SHAFTESBURY, Miscellanee, III, c. V I, cit. in G. Morpurgo Tagliabue, op. cit., p. 206, nota 30. � A.A.C. SHAFTESBURY, Miscellanee, IV, c. II, cit. in L. Fonnigari, L'estetica del gusto nel settecento inglese, Roma 1962, p. 62. io A.A.C. SHAFTESBURY,/ moralisti, Laterza, Bari 1971, p. 203. 11 A.A.C. SHAFTESBURY, Miscellanee, Ill, c. II, in M. M. Rossi, L'estetica dell'empirismo inglese, Firenze 1944, p. 401. 12 Cfr. L. FORMIGARI, op. cit., pp. 64-65 e 70. 13 G. ADDISON, in «Spectator», 1712, n. 409, cit. in M.M. Ross,, op. cit.. j,. 250. 14 Cfr., per questa problematica, G. MORPURGO TAGLIABUE, op. cit., p. 21 l. 15 Cfr. sul problema V.E. ALFIERI, op. cit., pp. 611-12. 16 A. GERARD, Essay on taste, London 1757. 17 D. HUME, La regola del gusto, Laterza, Bari 1967, p. 30. 18 lvi, pp. 31 e 34-35. 19 lvi, pp. 42, 43, 44. 20 I vi, pp. 40-4 l. 21 lntroduzione di G. PRETI a D. HUME, op. cir., p. 21. 22 D. HUME, op. cit., pp. 54-55. 23 Cfr. L. FORMIGARI, op. cit., p. 96. 24 Enciclopedia o Dizionario de/le scienze, arti e mestieri, Laterza, Bari 1968, pp. 730-732. 25 !vi, p. 732. 26 Ivi, pp. 733-51. 27 Cfr. la raccolta di articoli dell'Enciclopedia a cura di A. Pons, Milano 1966, p. 150. 28 A.R. MENGS, Opere sulle belle arti, Milano 1836, vol. I, p. 110 sgg. 29 Ivi, pp. 124 e 161-62. 30 I. KANT, Critica del giudizio, Laterza, Bari 1972, p. 142. E da ricordare che per Kant dall'annonia tra la facolta dell'immagina­ zione e dell'intelletto nasce ii sentimento della bellezza, cioe ii sen-

91


92

timento colto in modo immediato e diretto, di una unita in cui l'in­ telletto o Ia natura possono Iiberamente accordarsi. 31 lvi, p. 163. 32 lvi, p. 43. 33 Ivi, p. 31. 3• Ivi, p. 44. 35 Ivi, p. 50. 36 Ivi, p. 52. 37 Ivi, p. 59. 38 lvi, p. 76. 39 Ivi, p. 83. 0 • Ivi, p. 77. " lvi, p. 180. 42 G.W. HEGEL, Estetica, Einaudi, Torino 1972, p. 5. 43 Ivi, p. 22. ... Ivi, p. 25. 45 lvi, pp. 42-43. 46 I. KANT, op. cit., p. 137. 47 G.W. HEGEL, op. cit., p. 41. 48 Ivi, p. 42. 49 Ivi, p. 48. 50 Ivi, p. 85. 51 B. CROCE, op. cit., p. 131. 52 lvi, p. 132. 53 Ivi, p. 133. 54 Ivi, p. 135. 55 B. CROCE, Breviario di Estetica, Laterza, Bari 1974, pp. 8283. 56 B. CROCE, Estetica ...• cit., p. 135. 57 L. VENTURI, Jl gusto dei primitivi, Einaudi, Torino 1972, p. 14. 58 Ibid. 59 G.C. ARGAN, Prefazione a L. VENTURI, op. cit., p. XXII. 60 Cfr. le osservazioni su Venturi di C.L. RAGGHIANTI, Profilo della critica d'arte in Italia, Firenze 1973, pp. 58-68 e 198-200. Anche Argan, nella sua Prefazione parla del tentativo di «spirltua­ lizzare», net senso di storicizzare, gli schemi visivi w5lffliniani, cit., p. XVIII. 61 L. VENTURI, Storia della critica d'arte, cit., p. 27. 62 Ivi, p. 30. 63 Ivi, p. 35. 64 Ibid. 65 lvi, pp. 39-40. 66 Ivi, p. 41. 67 G . MoRPURGO TAGLJABUE, Giudizio e gusto, in «Atti del Simposio di estetica», Venezia 1958, pp. 56-59. 68 lvi, p. 55. 69 G. DoRFLES, Le oscillazioni del gusto. Einaudi. Torino 1970, p. 11.


10 Ibid.

71 lvi, p. 12. 72 L.L. ScHOCKING, Sociologia del gusto letterario, Milano 1968, p. 7. 73 lvi, p. 100. 74 P. VERONESE, lpotesi per una filosofia del «gusto», Padova 1972, p. 100. 75 lvi, pp. 86-87. 76 E. PERSICO, Profezia dell'architettura, 1935, in Scritti critici e polemici, Ed. Comunita, Milano 1947, p. 206. 77 R. DE Fusco, Sull'importanza del gusto, ne «II Messaggero», 23.12.1977. 1• T.W. ADORNO, Teoria estetica, Einaudi, Torino 1975, p. 398. 79 T.W. ADORNO, Minima moralia. Einaudi. Torino 1974, p. 71.

93



a cause politiche, sociali ed economiche e quanto a moti­ vazioni inteme alla rifJessione, alla vicenda storica, alle poetiche e a quant' altro appartenga alla teoria, per cosi dire, piu intema all'esperienza dell'architettura. E poiche, come studiosi, al di la dell' «impegno», ormai in gran parte relegato nell' ordine della retorica e della demagogia, poco possiamo fare di fronte alle negativita esteme (errori po­ litici, malaffare economico, incapacita amministrativa, mancata pianificazione, insufficiente industrializzazione edilizia ecc.), nella presente nota cercheremo di indivi­ duare alcune cause della crisi ascrivibili alle negativita, per cosi dire, inteme; in altre parole, piu che una critica rivolta alle circostanze, tenteremo di svolgere una sorta di autocritica, almeno nel senso che ci sentiamo eredi di una tradizione. Piu esattamente, richiameremo una causazione intema prevalentemente, sia perche, come s'e visto, essa e dialetticamente collegata con quella esterna, sia soprat­ tutto perche i testi e gli assunti cui ci riferiremo spesso trovano il loro punto di forza proprio nell'ordine dell'ete­ ronomia. Iniziamo, in deroga alla premessa, da alcuni dati stati­ stici. Una recente stima americana rileva che, a fronte di un semplice raddoppio della popolazione dagli anni Venti ad oggi, gli architetti sono invece aumentati di otto volte3• Nel nostro paese la situazione e ancor piu grave. Da un rilevamento del 1993 risulta un numero che, commisurato percentualmente al totale della popolazione, e in assoluto fra i piu alti del mondo. In Giappone ci sono 325 archi­ tetti per ogni milione di abitanti; negli Stati Uniti, 340; nei Paesi Bassi, 136; in Francia, 435; nel Regno Unito, 502; in Italia, 663. A tali cifre va associata la presente condi­ zione nazionale caratterizzata da un saldo demografico molto prossimo allo zero, ii piu basso del mondo. Da una parte c'e quindi una forte offerta sul mercato del lavoro, dall'altra una oggettiva, minore necessita di nuove costru­ zioni. Entrando nel vivo della nostra cosiddetta autocritica, va registrato che, accanto a indubbi progressi della teoria 95


e storiografia architettonica italiana, vi sono stati notevoli errori di previsione e valutazione relativi alle sorti della nostra disciplina. Emblematico quanta scrive Argan, agli inizi degli anni Settanta, in un bilancio dell' architettura contemporanea: essa si e sviluppata, in tutto ii mondo, secondo alcuni principi generali: 1) la priorita della pianificazione urbanistica sulla progettazione architet­ tonica; 2) la massima economia nell'impiego del suolo e nella costruzione al fine di poter risolvere, sia pure a livello di un «minimo di esistenza», ii problema delle abitazioni; 3) la rigorosa razionalita delle forme archi­ tettoniche, intese come deduzioni logiche (effetti) da esigenze obiettive (cause); 4) ii ricorso sistematico alla tecnologia industriale, alla standardizzazione, alla pre­ fabbricazione in serie, cioe la progressiva industrializ­ zazione della produzione di cose comunque attinenti alla vita quotidiana (disegno industriale); 5) la conce­ zione dell'architettura e della produzione industriale qualificata come fattori condizionanti del progresso so­ ciale e dell'educazione democratica della comunita4 • Pur riconoscendo l'abilita dell'autore nel sintetizzare i ca­ pisaldi programmatici dell'architettura, dell'urbanistica e del design del periodo da lui considerato e, pur tenendo conto che il brano e inserito in un testo divulgativo, ci corre l'obbligo di constatare che i suddetti cinque punti, appunto programmatici, vengono dati per realizzati stori­ camente, mentre nei fatti sono vere e proprie petitiones principii, vale a dire sofismi consistenti nel presupporre implicitamente dimostrata la stessa tesi che si pretende di dimostrare. Assumendoli invece non come eventi storica­ mente verificati, bens'i come «artifici storiografici», ossia come parametri di riferimento atti alla verifica o alla fal­ sifica di quanta realmente e accaduto, possiamo dire quanto segue. Falso e il preteso primato dell'urbanistica sull' architettura, ad eccezione di qualche isolata espe­ rienza; anzi la prima, che nell'Ottocento aveva data tante prove positive, ha perduto recentemente di credibilita al 96 punto da essere considerata, secondo alcuni autori, un


equivoco disciplinare. La Francoforte pianificata da Ernst May, la Bertino amministrata da Martin Wagner, I' Amburgo di Fritz Schumacher, la Amsterdam di Cor van Eesteren sono i capitoli piu im­ portanti della storia della gestione socialdemocratica della citta. Ma accanto alle oasi di ordine delle Siedlungen - vere e proprie utopie costruite, ai mar­ gini di una realta urbana da esse ben poco condizio­ nata - le citta storiche e i territori produttivi conti­ nuano ad accumulare e moltiplicare le loro contraddi­ zioni. E sono in gran parte contraddizioni che ben pre­ sto appaiono piu vitali degli strumenti elaborati dalla cultura architettonica nel tentativo di controllarle5 • Notiamo per inciso che quel preteso primato dall'urbani­ stica sull'architettura ha consentito, tra gli altri equivoci, l 'intervento di specialisti di altre discipline in un campo che tradizionalmente e sempre stato di appannaggio degli architetti; donde l'intervento dei professionisti della poli­ tica, mediatori fra tanti interessi e di fatto arbitri della pia­ nificazione o di quella che si pretende tale. Altrettanto falsi, nel senso di non verificati, sono gli altri punti enunciati da Argan; dall'economia dei suoli, che viceversa ha registrato enormi sprechi a danno del pae­ saggio urbano e rurale, alla pretesa razionalita delle forme architettoniche, risoltasi in pratica in una scadente omolo­ gazione morfologica; dalla progressiva industrializzazione dell'edilizia, che al contrario rappresenta uno dei punti piu fallimentari del programma modemo, al ruolo svolto dal1' architettura nel progresso democratico della societa, un ruolo che viceversa la societa ha visto come intento di se­ parazione classista e di fatto risoltosi in molti casi nella creazione di ambienti degradati e socialmente ghettizzanti. Quanto al design, non e chi non veda come ii suo pro­ gramma fondato sul trinomio qualita-quantita e. giusto prezzo sia stato totalmente tradito. In breve, la vivacita in­ tellettuale del pensiero teorico del modemo non e riuscita a occultare Ia vastita del fallimento. Il portato stesso del­ l'illuminismo, costituente un'indubbia componente del- 97


e

l'architettura modema, stato da molti autori contestato. Senza risalire al celebre saggio di Horkheimer e Adorno, anche recentemente la critica tomata sull'argomento. La modernita, da due secoli almeno, ci ha insegnato a de­ siderare l'estensione delle liberta politiche delle scienze, delle arti e delle tecniche. Ci ha insegnato a le­ gittimare questo desiderio perche questo progresso, cosi diceva, era destinato a emancipare l'umanita dal dispotismo, dall'ignoranza, dalla barbarie e dalla mi­ seria. La repubblica e l'umanita cittadina. Questo pro­ gresso oggi prosegue con ii nome meno appariscente di sviluppo. Ma e divenuto impossibile legittimare lo svi­ luppo con la promessa di un'emancipazione dell'uma­ nita intera. Questa promessa non e stata mantenuta6 • Ad analoghe conclusioni, pur muovendo da una di­ versa filosofia e specificamente discutendo del nostro campo, era gia giunto nel '73 Manfredo Tafuri. Cio che ci interessa... e precisare quaIi siano i compiti che lo sviluppo capitalistico ha tolto all'architettura: che e

e

come dire, che esso ha tolto, in generale, alle prefigu­ razioni ideologiche. Con la qual cosa, si e condotti quasi automaticamente a scoprire quello che puo an­ che apparire ii «dramma» dell'architettura, oggi: quello, cioe, di vedersi obbligata a tornare «pura ar­ chitettura», istanza di forma priva di utopia, nei casi migliori, sublime inutilita... I temi nuovi che si pro­ pongono alla cultura architettonica sono invece, para­ dossalmente, al di qua e al di la dell'architettura. Nessun rimpianto, ma anche nessuna apocalittica pro­

98

fezia in tale riconoscimento, che ci proponiamo di con­ validare storicamente. Nessun rimpianto; poiche quando ii ruolo di una disciplina si estingue, e solo uto­ pia regressiva e della peggior specie, tentare di fermare ii corso delle cose. Nessuna profezia: perche ii processo si svolge quotidianamente sotto i nostri occhi, e, per chi ne volesse una prova clamorosa, sarebbe gia sufficiente riflettere sulla percentuale degli architetti laureati effettivamente esercitanti la professione. pero vero che

E


alla caduta della professionalita non corrisponde an­ cora alcun ruolo istituzionalmente definito per i tecnici preposti all'edilizia. Per questo, ci si trova a navigare in uno spazio vuoto, nel quale tutto puo accadere, ma nulla e decisivo7 • Anche se questa severa analisi va contestualizzata nei propri anni, e nonostante che, bene o male, il sistema ca­ pitalistico non sia piu, momentaneamente, messo in di­ scussione, essa conserva una indubbia attualita. D'altra parte la critica e persino quella che abbiamo definito au­ tocritica, in quanto eredi di una tradizione, non ci esonera affatto dall'obbligo propositivo, sia pure in via d'ipotesi, sulle sorti della nostra disciplina, anche ammettendo il suo stato di crisi profonda. Intanto, ci sembra di riconoscere nella posizione di Tafuri un tema ricorrente nell'avan­ guardia artistica: quello che proclama la «morte dell'arte», salvo ad ammettere che si .tratta della morte di una parti­ colare forma dell' arte; tant' e vero che, mentre egli da per estinta l'architettura, riconosce l'esigenza di un ruolo isti­ tuzionalmente definito per i tecnici preposti all'edilizia. Non solo, ma ulteriori spunti per chi voglia impegnarsi in proposte critiche e operative, vengono da altre ammissioni tafuriane: quella per cui i temi nuovi che si propongono alla cultura architettonica sono al di qua e al di la dell'ar­ chitettura e l'altra, per cui le contraddizioni accumulate e moltiplicate dalla citta e dal territorio sono piu vitali de­ gli strumenti elaborati dalla cultura architettonica. Come possiamo interpretare oggi tali indicazioni? Relativamente all'essere al di qua e al di la dell'architet­ tura, si profilano due possibilita. La prima, che bisognasse procedere oltre l'architettura, era gia stato ammessa da Persico, sia pure in una chiave spiritualistica; l'altro senso da dare a quell'oltre lo specifico disciplinare potrebbe essere di natura politica. Tuttavia, viste e considerate le con­ traddizioni emerse recentemente in quest'ultimo campo, esso ci sembra pri'lc'.O di ogni sbocco; anzi e assai piu pro­ babile che qualche «fondamento», quanta meno una fal­ sariga, possa venire dalla sfera spirituale se non addirit- 99


tura religiosa. Non ignoriamo �e difficolta di una simile prospettiva in ordine alle sue applicazioni pratiche: a vo­ ler essere laici fino in fondo, bisognerebbe essere prudenti rispetto alle vie d'uscita spiritualistiche non meno che ri­ spetto allo stesso pensiero laico che ha generato e soste­ nuto tutti i fondamenti della modernita, oggi puntualmente decaduti. Toma utile qui ii richiamo alla nozione di tipo­ ideale proposta da Weber. Che cosa piu di quest'ultimo, infatti, tenta di fornire un mezzo per rappresentare una realµl eterogenea e confusa come la nostra senza ricorrere a «fondamenti», ma ponendo in luce aspetti piu o meno evidenti della realta stessa al fine di una sua interpretazione univoca? Quale concezione diversa dal tipo-ideale e cosi disponibile a rivedere ii suo schema quando questo si rivela inadeguato ai fatti e pronta a riproporne un altro piu adatto alla loro let­ tura? In altre parole, ii tipo-ideale, grazie alla sua na­ tura ipotetica e «finzionistica», costituisce una possibile guida per poterci regolare, benche in maniera provvi­ soria, in un universo estremamente sregolato8 • Per cio che concerne quelle contraddizioni che sarebbero piu vi­ tali degli stessi strumenti culturali atti a controllarle, ed escluso che fra essi sia da annoverare ii tipo-ideale appena menzionato, ci sembra che Tafuri colga uno degli aspetti centrali dell'odierna condizione. lnfatti la presa d'atto del­ l'esistenza di una realta ben piu complessa degli strumenti elaborati dalla modernita, la loro stessa riammissione nel novero dei materiali di lavoro dell' architetto, non puo che aprire a quest'ultimo un piu vasto campo d'azione. Ma quali sono tali contraddizioni e quali i nuovi ipotizzabili strumenti? Se ci riferiamo alla vasta tematica, poniamo, dei cen­ tri storici, non piu intesi soltanto come ambito di salva­ guardia e tutela, ma come campo di intervento operative, le contraddizioni si danno in tutta la loro evidenza: an­ tico e nuovo, monumento e ambiente, piano e progetto, conservazione e innovazione, ecc., fino al piu problema100 tico conflitto fra proibizionismo e abusivismo. In parti-


colare, come mediare tra chi vuole che nulla cambi e chi vuole cambiare senza regole? Ancora... , tra chi proibisce, e proibendo abusa di potere, e l'abusivismo tradizionale sempre in agguato9? In una fonte certo non

sospetta di collusione con la speculazione edilizia, leg­ giamo: Se ii fiorire delle leggi volte al controllo minu­

e

zioso del territorio coevo ad un diligente abusivismo non bastano le scomuniche e le condanne: occorre ri­ flettere sulle ragioni profonde di quella contraddi­ zione. Forse meglio programmare meno ma meglio, cogliere cio che conta, proporsi di dire cio che vera­ mente si riesce a fare. L'importanza grande e decisiva di questa scelta, non puo sfociare nell'archeologia ur­ bana, in un riflesso condizionato contro la produ­ zione 10 . Ma, prendendo atto dell 'interpretazione realistica,

e

bastano questi propositi di una gestione piu attenta e qua­ lificata a risolvere le contraddizioni di cui ci occupiamo? L' esperienza ha dimostrato ii contrario. Alla doppia di­ storsione del vitalistico abusi vismo e dell' ideologismo proibizionistico non s'e ancora trovato un fattore di cor­ rezione. Basta un compromesso, nell'accezione migliore del termine, basato su quel senso comune che Cartesio identificava senz'altro con la razionalita? 0 e invece ne­ cessario chiamare in causa, «costruire» una struttura del genere ideal-tipico, cui abbiamo accennato sopra, da uti­ lizzarsi come parametro verso ii quale o contro ii quale regolare le nostre azioni? (n. 95, gennaio 1996)

1 Cfr. E. PERSICO, Profezia dell'architettura, in Scritti critici e polemici, Rosa e Ballo, Milano 1947, p. 202. 2 L. ANCESCHI, Autonomia ed eteronomia dell'arte, Vallecchi, Firenze 1959, p. 281. 3 Cfr. S. SuTroN, in «P/A», ottobre 1993. 4 G.C. ARGAN, Ane moderna 1870-1970, Sansoni, Firenze 1970, p. 324. s M. TAFURI, Progetto e utopia, Laterza, Roma-Bari 1973, p.

100.

101


6

J.-F. LYOTARD, ll postmodemo spiegato ai bambini, Feltrinelli, Milano 1987, p. 108. 7 M. TAFURI, op. cit., p. 3. 1 R. DE Fusco-C. LENZA, Le nuove idee di architettura, Etaslibri, Milano 1991, p. 322. 9 P. BELFIORE, Architettura: tra proibizionismo e abusivismo, in «Op. cit.», n. 63, maggio 1985. •0 L. LIBERTINI, in «Rinascita», 3 novembre 1984.

102




Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.