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A. Donelli Il disegno di Atena
from Op. cit. 175
by Op. Cit.
1 Un modello cognitivo spiega di quale tipo sia la conoscenza dell’uomo, come egli la acquisisce, in quale modo la utilizza per risolvere o spiegare dei problemi e delle situazioni, e quindi compiere azioni intelligenti, come la archivia e la richiama. 2 Cfr. R.E. Oxman, R. Oxman, PRECEDENTS: Memory Structure in Design Case Libraries, in U. Flemming and S. Van Wyk (eds.), CAAD Futures ’93, Elsevier Science Publishers 1993; R.E. Oxman, (1994), Precedents in Design: A Computational Model for the Organization of Precedent Knowledge, in «Design Studies», vol. 15, n. 2, 1994; R.E. Oxman, Educating the Designerly Thinker, in «Design Studies» vol. 20, n. 2, 1999; R.E. Oxman, Think-Maps: Teaching design thinking in design education, in «Design Studies» vol. 25, n. 1, 2003. 3 R.C. Schank, Dynamic Memory Revisited, Cambridge University Press, New York 1999, p. 98.
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Il disegno di Atena
ANDREA DONELLI
Premessa
Il saggio intende riflettere sul rapporto tra la disciplina del disegno e il tema della costruzione in architettura, considerando la sempre crescente forza del complesso e vasto contesto culturale in cui il disegno si inserisce e la trama delle relazioni che ne coinvolgono la dimensione formativa. Da un lato vi è la posizione di conferma della rilevanza del disegno e della sua utile partecipazione alle iterazioni interdisciplinari e formative che offrono un palese riscontro nell’attualità; dall’altro lato le discussioni e le pratiche tendono ad assumere una dimensione babelica, derivante da una sorta di devianza e distanza rispetto al senso inerente al tema della costruzione.
La stessa tradizione di un sapere disciplinare sembra oramai accantonata a vantaggio di una diffusa nuova mentalità, dettata dalla classe dominante, che preme per nuovi traguardi basati su esperienze tecniche e scientifiche contrapposte alla prassi più classica, appartenuta anche al recente passato. Questa logica si articola in forme molteplici ma produce effetti precisi: la scuola, i saperi, le discipline sono i primi capisaldi colpiti dall’egemonia della complessità, trasformatasi, per mere ragioni applicative, nell’egemonia del superficiale, Si smarrisce così l’unità dell’introspezione, insita nella storia e nel fare costruttivo dell’uomo, che si produce attraverso la teoria e la pratica quotidiana. 55
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Egemonia della complessità
Gli antichi Greci ritenevano che un uomo, nonostante le sue abilità o attitudini e al di là della sua capacità di ottenere successi, dovesse sempre conservare una certa umiltà: macchiarsi di arroganza e superbia al punto tale da non rendersi più conto dei propri limiti porta un uomo dall’apice del successo all’abisso del fallimento: dagli originari miti greci è possibile, ancora oggi, trarre preziosi spunti di riflessione e in particolare una lezione diretta. Anche nel mondo cristiano, specie nelle figure dei Santi o nella vita dei Padri del deserto, si pratica con rettitudine e fortezza la virtù dell’umiltà, che oltre ad essere distintivo della vita sobria e distaccata dall’egoismo, è segno di intelligenza e di sapienza. Al contrario, il termine egemonia sta a significare una specie di politica delle alleanze, ma anche il sottoporre le minoranze, ossia i soggetti più deboli economicamente e indifesi nei confronti dell’astuzia del dominio corrente, all’influenza ideologica e politica delle classi dominanti, comprese le loro propaggini più avanzate. E qui si giunge al ruolo degli intellettuali. Essi, così come osserva Gramsci, “si sviluppano lentamente rappresentano tutta la tradizione culturale di un popolo, vogliono riassumerne e sintetizzarne tutta la storia”; ecco perché il “vecchio tipo di intellettuale” non riuscirà mai a “rompere con tutto il passato per porsi completamente sul terreno di una nuova ideologia” [L. Gruppi, Il concetto di egemonia in Gramsci, Editori Riuniti, Roma 1972].
Dal canto loro, i soggetti deboli sono poveri di elementi organizzativi, non hanno e non possono formare un proprio strato di intellettuali. Questa disposizione piramidale tocca un concetto che è di grande attualità. Per costruire un blocco sociale alternativo alle classi dominanti, le forze che mirano a organizzare le classi lavoratrici di un tempo devono riuscire a “disgregare il blocco intellettuale” avversario, demistificarne l’ideologia, smascherarne le menzogne. Quest’ultimo aspetto trova la sua difficoltà di azione per una sorta di politeismo che l’egemonia della complessità ha ampiamente diffuso come sindrome del possesso, strategia di una volontà incline verso la durata reattiva all’incertezza, alla mutuazione costante all’istantaneo, all’immateriale
dall’esito provvisorio, un insieme di cose e di fatti eletti come nuovi valori. che conducono però alla distrazione, alla devianza dalla natura propria del fare dell’uomo.
L’egemonia in atto, in sintesi, è molto simile a un modello feudale che costituisce l’assenza e, prima ancora, la privazione di un pensiero critico sul mutamento. Mutamento che non significa inseguire l’idea di un mondo completamente digitale come avviene con la narrazione predominante secondo cui il digitale e la digitalizzazione risolveranno ogni problema compreso quelli del sociale (dalla corruzione alla partecipazione dei cittadini). Il punctum dolens è la convinzione che introdurre anche nella scuola strumenti digitali migliorerà tutto, apprendimento e prestazioni, capacità di analisi … chi non capisce è un apocalittico, colui che si oppone al cambiamento etc.; ora che, lentamente, ci si sta rendendo conto che le questioni sono un po’ più complesse noi, invece, siamo bravi a renderle complicate
[P. Dominici, Fuori dal Prisma, in «nòva Il sole 24 ore», https://pierodominici.nova100.ilsole24ore.com/2015/11/22/legemonia-di-un-modello-feudale]. Allo stesso modo il successo performante dell’attuale attività architettonica (considerata per il momento globalmente senza eccezioni qualitative) e le sue ben note negatività richiedono alla stessa critica nuovi strumenti, non bastando più le denunce estetiche o moralistiche, né le artificiose polemiche tra avanguardia e tradizione, specie in un settore dove il livellamento del linguaggio rende difficili tali distinzioni. L’impiego di software per disegnare l’architettura o l’uso di mezzi di comunicazione1 che, secondo Elémire Zolla, sono tutt’altro che meri mezzi (donde la stolidità di coloro che insistono a volerne fare un uso buono invece che malvagio) diventano per la loro struttura stessa già dei messaggi, dei modi di configurare la realtà [cfr. E. Zolla,
cit. in Architettura e cultura di massa, «Op.cit.», n. 3, maggio 1965]. D’altro canto in questo momento l’architettura attuale può dirsi incapace anche di un compromesso con l’industria culturale. Questo fatto è dovuto all’insieme della complessità che non riesce ad includere ed assimilare molta arte d’avanguardia, molte delle sue opere intelligenti ed argute di livello sperimentale, la stessa letteratura moralistica che sembra muoverle le accuse più accese non riesce a produrre – ad eccezione di quegli edifici con 57
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troppa esplicita funzione pubblicitaria – un’architettura che non sia massificata.
Il disegno di Atena (dal greco Αθήνη o Αθηνᾶ), la dea greca nominata poi Minerva dai Romani e accertata quale protettrice delle arti, specialmente quelle femminili del filare e del tessere, ma anche quelle maschili del lavoro operoso e intelligente, prevede la lettura degli eventi. Essa, nella storia del mito di Aracne sembra, come nell’oggi, cedere alla corporate image. Al contrario la dimensione estetica è intimamente legata alle proprietà geometriche, siano esse analitiche o meccaniche, così come a quelle della geometria descrittiva e proiettiva. Ogni tratto e linea matematicamente definiti possiedono una loro verità – realtà che sono loro intrinseche, esprimono un codice, una legge, ma rappresentano anche un’idea e recano con sé pregi e virtù. Negare queste cose significa rinchiudersi nel cieco ed egoista rifugio
della pigrizia e dell’ignoranza [E. Benvenuto, in E. Torroja, La concezione strutturale (1960), Cittàstudi, Milano 1995, p. xi].
Saper riconoscere attraverso il rilevamento e il disegno l’architettura significa collocarsi dinnanzi ad essa allo stesso modo in cui gli antichi affrontavano le questioni del costruire così come del restaurare, accertando senza mediazioni, tanto meno strumentali, la verità. Il toccare con mano fa comprendere ciò che svia, ciò che il tempo elimina, ciò che è durevole rispetto al provvisorio, l’utile al bisogno, il necessario. In questo modo la menzogna della complessità che strumentalmente si tramuta in una mera applicazione che appartiene alla superficialità, viene rivelata tramite l’essenzialità, il senso e il valore che sono segni di una particolare bellezza: quella che è propria, ad esempio, del disegno storico del suolo, che dava conto della profondità delle unioni e delle congruenze, atto di completezza e di unità tra il disegno della terra e il disegno della fabbrica. Lo stesso vale per il disegno di dettaglio: la sua esemplarità costituisce le figure “retoriche” che formano la struttura: sono figure aperte, sono sillepsi, preterizioni, paronomasie, ossimori e metafore. Ogni retorica si colloca in una topologia così come ogni topologia si dispone ad una riconosciuta retorica. Rappresentare l’architettura indica pertanto il volgere e il trasmutare un processo in cui è accertato che il disegno diviene conoscenza, ossia la ragione delle forme essenziali.
Nella contemporaneità, tessere attraverso la geometria la “tela” della realizzazione del disegno di architettura eguaglia il mito di Atena ed Aracne in cui Atena dapprima cerca di dissuadere la giovane dalla sfida ma poi accetta di competere nella creazione dell’arazzo più bello. La dea sceglie come soggetto la potenza degli dei nel punire gli uomini. Anche Aracne sceglie di rappresentare nella sua bellissima tela gli dei, ma ridicolizzandoli, mostrandone le debolezze e i capricci dei loro amori con i mortali. Quando Atena si rende conto che l’arazzo di Aracne non solo deride le divinità, ma è anche di una bellezza e perfezione insuperabili, va su tutte le furie. Non può accettare di essere stata battuta da una mortale e, livida di rabbia e d’invidia, scatena la sua ira su Aracne, distruggendone la tela e colpendola sulla testa con la spola del telaio. La giovane, sconvolta, cerca di impiccarsi ma, in punto di morte, Atena viene mossa da indulgenza e la salva, infliggendole tuttavia una terribile punizione per l’arroganza dimostrata. La trasforma in un ragno e la condanna a tessere la sua tela per l’eternità. Il ragno, così come il lavoro di tessitura e di conseguenza la ragnatela, sono simbolo del lavoro meticoloso, del fare o meglio, del costruire secondo una tensione consona al grado di appropriatezza e adeguatezza di una complessità che assolve il compito e il ruolo che le è naturale, quello dell’essenzialità.
Acqua alle corde. Il n’y a pas de détail dans la construction (Auguste Perret)
“Acqua alle corde” è la frase pronunciata da un marinaio in un improvviso impeto di saggezza durante il sollevamento dell’obelisco di piazza San Pietro il dieci Settembre del 1586. Papa Sisto V aveva pubblicato un editto che imponeva, pena la morte, che nessuno parlasse durante l’operazione, peraltro molto complessa, relativa alla messa in opera del monumento. Il capitano Benedetto Bresca, un marinaio di Sanremo, vedendo che le corde che reggevano il monolito sotto lo sforzo della tensione si allungavano e stavano per spezzarsi, non curandosi della diffida papale, gridò nel suo dialetto la nota frase aiga ae corde!
Gli antichi Greci avevano una parola per definire ciò che si intende per proporzione: συμμετρία, da cui il termine simmetria 59
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il quale non ha alcuna diretta relazione con significato di origine. Di fatto un manufatto può essere simmetrico ma non costruito secondo proporzioni adeguate. Anche un artista poco abile può adottare un approccio simmetrico, mentre servirà arguzia e attenzione per stabilire delle convenienti ed adeguate proporzioni. Le dimensioni indicano le lunghezze, le larghezze e le altezze nonché le superfici, mentre le proporzioni costituiscono l’unità e la congiunzione con cui si stabiliscono rapporti tra le parti e il tutto. In architettura le proporzioni si fissano sulle leggi della stabilità, sul senso del costruire, in quanto la proporzione è strettamente legata alla geometria, all’ordine in cui secondo Eugène Emmanuel Viollet-le-Duc regola la sua disposizione naturale. Acute osservazioni inerenti a ragionamenti geometrici sono svolte da Viollet-le-Duc nell’impiego della geometria descrittiva, utile per il tracciamento e l’applicazione delle proiezioni verticali e orizzontali, di sezioni e ribaltamenti riferiti al disegno, così come direttamente dal disegno saranno costituite le singole parti e l’intera costruzione della fabbrica. Si pensi al tracciamento dei principi ordinatori di una struttura a volta: il disegno ordina la disposizione, la forma e la resistenza dei punti di appoggio e ne consente in tal maniera la corretta esecuzione; e in ciò Viollet-le-Duc si rifà direttamente all’esperienza di Villard de Honnecourt. La derivazione riferita al rapporto duale tra geometria e costruzione si riscontra anche nello studio relativo alla proporzione delle statue: l’analisi sulla scultura consente a Viollet-le-Duc di intercettare una regola ritrovando nella modellazione tridimensionale il canone approssimativo per lo studio delle articolazioni utili per il movimento del corpo umano. Si associano inoltre in questo caso i valori antropomorfi, considerati come tratto caratteristico delle metafisiche arcaiche che ricercano un equilibrio “simpatetico” tra uomo e natura. Il dettaglio costruttivo in architettura rappresenta l’essenza di un elemento, di una sua parte, di una connessione di elementi di una fabbrica. Ne è la rappresentazione il più delle volte tecnico-grafico-geometrica che si dispone nell’esecuzione in opera come la configurazione fisica, visibile ma, al termine dell’esecuzione e della stessa finitura, non più visibile. La costruzione dell’incalmo a “dardo di Giove” nella capriata in legno, ad esempio, è un elemento essenziale e fondamentale, un