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L. Pujia Spazio pubblico come patrimonio: la lezione educatrice del playground Stephen Wise a New York

‘espressione’ ci si riferisce al pensiero dell’autore? O all’espressione delle potenzialità dell’oggetto? Oppure infine alla necessità espressiva delle potenzialità interpretative del fruitore? Domande che ci riconducono alle questioni poste dall’affermazione di Baudrillard, e ci permettono di considerare l’oggetto come dispositivo speculativo, anche al di là dell’intenzione dell’autore.

Può considerarsi il ‘grado zero’ di tale direzione un progetto di Bruno Munari elaborato intorno al 1933: le macchine inutili. Strutture staticamente in equilibrio, sospese al soffitto, queste ‘macchine’ sono formate da bacchette alle quali, attraverso fili di seta sottilissimi, sono vincolate figure geometriche. Tutte le parti – i corpi geometrici tra di loro, i bastoncini, la lunghezza dei fili di seta – sono in rapporto armonico. La chiusura verso una funzione d’uso specifica apre tuttavia, come un gioco, a innumerevoli funzioni altre. Non più beni di consumo materiale, afferma l’autore, queste si pongono come beni di consumo spirituale: immagini, senso estetico, educazione del gusto, informazioni cine-

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tiche [B. Munari, Arte come mestiere, Laterza, Bari-Roma 1966-1972, p. 15]. Dispositivi d’osservazione.

Le macchine inutili di Munari, portando a zero il valore di funzione d’uso, si pongono come radicali: tentano di andare alla radice dell’oggetto, di ridefinirne, riscoprendolo, il senso.

Gli oggetti extra-ordinari di Pagliaro, non rinunciano mai alla funzione d’uso, ma tuttavia giocano con questa, portandola a dialogare e riscoprire altre dimensioni del suo essere. Producono dei piccoli cortocircuiti che conducono ciascun fruitore a lande differenti, configurandosi come oggetti plurimi. Cortocircuiti resi tuttavia possibili solo dall’esistenza degli oggetti definiti ordinari: senza questi, ci chiediamo, si attiverebbero con la stessa potenza? Probabilmente no. Questo potrebbe essere tra i punti di forza maggiori del design: la possibilità di parlare il linguaggio semplice del quotidiano, entrando nelle case comuni, portando con sé significati immediatamente riconoscibili, influendo sulla vita della collettività; allo stesso tempo, con gli oggetti extraordinari, il design ha la possibilità di instaurare un dialogo individuale, innescando processi lenti di comprensione, codifica e scoperta. 69

1 Tematiche che appaiono già nelle riflessioni dei primi designer italiani, tra cui Munari o Enzo Mari, ad esempio. Pagliaro dopo le primissime sperimentazioni, come la serie in cartone, presterà sempre attenzione a questi aspetti quasi indispensabili per entrare nel mondo del commercio. 2 Molto prima che il design, italiano e non, esplodesse in alcune delle sue declinazioni più paradigmatiche-radicale, concettuale e speculativo. Ci riferiamo agli episodi cardine per la storia del design, in particolare al design radicale italiano degli anni Sessanta-Settanta, al design concettuale olandese degli anni Novanta e, in ultimo, a quello speculativo contemporaneo delle ricerche di Anthony Dunne e Fiona Ruby al Royal College of Art di Londra. Cfr. A. Dunne, Hertzian Tales. Electronic Products, Aesthetic Experience, and Critical Design, the MIT Press, Cambridge Mass. 2008; A. Dunne, F. Ruby, Design Noir: The Secret Life of Electronic Objects, Birkhauser, Basel 2001. 3 Durante la conversazione ho chiesto a Mario Pagliaro di definire l’ordine gerarchico di questi elementi per la concezione di Gymball e Carriola. Gymball: 1. Uso esperienziale come necessità espressiva; 2. Fruizione d’uso; 3. Materiale (palla) 4. Qualità estetica; 5. Processo tecnico-costruttivo. Carriola: 1. Materiale; 2. Uso esperienziale come necessità espressiva; 3. Qualità estetica; 4. Funzione d’uso; 5. Processo tecnico-costruttivo.

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Spazio pubblico come patrimonio: la lezione educatrice del playground Stephen Wise a New York

LAURA PUJIA

Il caso

Il 9 marzo 2021 alcune opere dell’artista sardo Costantino Nivola (1911-1988) concepite per lo spazio pubblico del complesso residenziale delle Wise Towers nell’Upper West Side di New York, dedicato al rabbino di origine ungherese Stephen Wise, sono andate distrutte e rimosse a causa di un progetto di “riqualificazione” dell’area i cui lavori sono stati intrapresi dalla Pacts Renaissance Collective, un team selezionato dalla New York City Housing Authority (NYCHA) che ha il compito di rinnovare e preservare alloggi per i cittadini newyorkesi a basso e medio reddito. Le sculture, secondo la NYCHA, sono state rimosse a causa della necessità di riparare una condotta idrica che scorre sotto il sito e alimenta i sistemi antincendio delle torri d’abitazione. Azioni di questo tipo rispetto a opere d’arte pubblica richiedono normalmente un preavviso sufficiente al fine di consentire opportuni interventi di conservazione e restauro, ma in questo caso ciò non è avvenuto1. Sebbene si tratti della più grande opera pubblica realizzata da Nivola a New York, le sculture sono state sradicate a «colpi di mazza» dal luogo in cui risiedevano da cinquantasei anni, colpite da un atto di vandalismo istituzionale, inspiegabile e scellerato2. come denunciato sui social dal Museo Nivola con sede nella città natale dell’artista, nel cuore della Barbagia in Sardegna.

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L’artista e l’opera

Costantino Nivola, nato a Orani da una famiglia numerosa, intraprende la sua formazione artistica lontano da casa: dapprima a Sassari nel 1926 come apprendista del pittore Mario Delitala con cui si dedica alla decorazione dell’Aula Magna dell’Università; poi nel 1931, grazie a una borsa di studio, si reca a Monza per frequentare l’Istituto Superiore per le Industrie artistiche (ISIA) dove, proprio in quegli anni, insegnavano il grafico Marcello Nizzoli e gli architetti Eduardo Persico e Giuseppe Pagano. Quest’ultimo, prima e dopo il diploma, lo coinvolge in una serie di occasioni, tra queste vi è la VI Triennale di Milano del 1936 per la quale esegue la pittura murale della serie Mutazioni della città italiana alla Mostra internazionale di Architettura per la sessione dedicata all’Architettura rurale. Nello stesso anno entra come grafico all’Olivetti di Milano e poco dopo, nel 1937, ricoprirà il ruolo di direttore artistico. Con il consolidamento politico del regime, Nivola, anarchico in fuga dal fascismo e dall’antisemitismo con sua moglie di origini ebraiche Ruth Guggenheim, emigra nel 1939 negli Stati Uniti d’America. New York, per lui, rappresenterà una seconda casa che, nonostante i numerosi viaggi, abiterà stabilmente fino alla sua morte, avvenuta il 5 maggio del 1988 a Long Island.

In questa città, presentatogli da Josep Lluís Sert, conosce nel 1946 Le Corbusier3 con cui consoliderà, per quasi cinque anni, un rapporto di amicizia condividendo anche il suo studio. Questa frequentazione, che portò alla realizzazione da parte di Le Corbusier di un dipinto murale in casa Nivola a Springs4 (1950), influenzerà inevitabilmente il suo percorso artistico segnandone un punto di svolta.

Tra le varie fasi che si susseguono nelle vicende personali e artistiche, Nivola ha modo di consolidare la sua visione di arte moderna che spazia tra eredità antropologica, memorie individuali e urgenza di contemporaneità […] [riflettendo] intorno all’idea di un’arte corale, comunicativa, legata all’architettu-

ra [G. Altea, Antine, Costantino, Tino, in Id., Costantino Nivola, Ilisso, Nuoro 2005, p. 7]. Nei lavori a destinazione pubblica la corrispondenza tra architettura e decorazione è centrale e in questo

connubio l’arte non è qualcosa che viene giustapposta ma contribuisce a definire lo spazio architettonico e urbano senza imporsi e ne completa la lettura interpretandone la misura, la geometria e i materiali.

Nivola, nelle opere di grande dimensione in relazione alla scala architettonica, predilige le tecniche del rilievo, dell’affresco e del graffito, più volte adoperate e via via perfezionate con un particolarissimo procedimento, elementare e al contempo ricercato. Si tratta del sand-casting5 una tecnica dedotta da un’esperienza ludica in spiaggia con i suoi figli e poi arricchita col tempo grazie anche alle frequentazioni artistiche con Le Corbusier. La prima opera architettonica in cui mette in mostra tale sapienza è lo Showroom Olivetti, sempre a New York, progettato dallo studio BBPR e realizzato nel 19536 .

La semplicità della tecnica trova combinazione con l’uso del cemento, un materiale povero adottato nelle opere site-specific con l’intento di far avvicinare all’arte e alla bellezza un’ampia comunità, come avviene nel caso del quartiere popolare e densamente abitato dello Stephen Wise. Qui lo spazio pubblico ordinario assume un valore urbano e sociale che, prevalendo sul significato architettonico e artistico delle opere, fa di questo luogo un’architettura pubblica, un’arte pubblica, uno spazio pubblico. Pur limitandosi a disporre pochi e semplici elementi nello spazio, il suo lavoro, esteso anche ad altri progetti, cerca di educare lo spettatore. Soprattutto nell’ambito delle scuole e degli spazi urbani, emerge con gran vigore l’impegno civile racchiuso nella sua arte: Se si tratta di opere pubbliche ci sono da fare considerazioni di ordine civico, persino di buone maniere. […] mi pongo il problema di creare un’atmosfera che elevi e che, se non proprio abbellisca, dia almeno un sollievo e sottragga alla trivialità di tutti i momenti della vita quotidiana [A.G. Satta,

Intervista a Nivola, «La grotta della Vipera», XIII, n. 40-41, autunnoinverno 1987, p. 19].

Il problema educativo è sentito da Nivola in più campi, dalla sfera artistica a quella personale, di padre e insegnante. Gli spazi pubblici dedicati al gioco e le architetture scolastiche7 in cui interviene innestando tasselli ceramici, graffiti e sculture sono parte di una ampia lezione pedagogica che va anche di pari passo 73

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con la veridicità di un processo che mette in primo piano l’essenza dei materiali utilizzati.

I temi appena delineati costituiscono, assieme alla particolare sensibilità di Nivola nel “disporre elementi nello spazio”

[M. Curzi, Progettare con empatia, «Casabella», n. 925, settembre 2021, p. 31], il valore del processo progettuale messo in atto per lo Stephen Wise Recreation Area che, accettando il contesto, trasforma la piazza in un’opera d’arte che costituirà successivamente anche il presupposto per la realizzazione della Piazza dedicata al poeta Sebastiano Satta a Nuoro (1966)8 .

Il progetto

Nel 1962 l’architetto ed educatore statunitense Richard Stein (1916-1990) venne incaricato dalla NYCHA di progettare un playground, finanziato dal filantropo Jacob Merill Kaplan, all’ombra delle due Wise Towers, accanto alla Columbus e alla Amsterdam Avenue in un lotto tra West 91th Street e West 90th Street. Stein fu allievo e collaboratore di Walter Gropius e Marcel Breuer grazie ai quali nell’ambiente della scuola di Harvard conobbe Nivola che, divenuto suo amico e collega in diverse occasioni professionali fin dai primi anni Cinquanta, coinvolse in questo progetto segnato da un preciso intento: quello di migliorare la realtà degli abitanti attraverso una proposta di spazio pubblico in cui arte e architettura potessero dialogare per produrre una compresenza di socialità e di senso civico.

L’intervento, con queste prerogative, tenta di contribuire in maniera attiva alla crescita dell’individuo in una sorta di apprendimento libero che coinvolge la creatività del bambino, soprattutto in contesti ad alta densità abitativa e a basso reddito come quello qui preso in esame. Non è un caso che la sperimentazione progettuale portata avanti da Stein e Nivola riguardi molti spazi urbani scolastici e playground, un tema che negli Stati Uniti si era sviluppato dagli anni Trenta [del Novecento], prendendo avvio dal dibattito europeo della fine del XIX e l’inizio del XX secolo – da Rousseau a Itten, passando per Pestolazzi e Montessori – per adattarlo alla cultura e alla società americana

[cfr. G. Altea, A. Camarda, Nivola. La sintesi delle arti, Illisso, Nuoro 2015, p. 278].

Il progetto era composto da un sistema di spazi aperti in sequenza definito da: un gruppo di “cavallini” in cemento di tre diverse colorazioni (bianco, nero e grigio), una fontana monumentale con due prismi affiancati, una parete scolpita su entrambi i fronti con la tecnica del sand-casting, un grande murale monocromo in cemento graffito lungo circa dieci metri posto alla base della torre est e due sculture tridimensionali9. I diciotto cavallini, concepiti già nel 1959 per il cortile della Public School 46 a Brookling e qui ripensati10, sono ispirati alle figure equestri a dondolo per l’infanzia su reinterpretazione della statuaria zoomorfa orientale; queste opere sono state spezzate, portate via con la ruspa e private della relazione con gli altri elementi distruggendo la dimensione d’insieme, che rappresentava il senso dell’opera. Nella sua semplicità ed economicità il progetto mostrava come fosse possibile con pochi elementi e un costo contenuto realizzare una atmosfera favorevole alla creatività e all’armonia. Era un luogo pensato per umanizzare l’architettura e stimola-

re la fantasia [G. Altea, A. Camarda, op. cit., p. 281].

Nel 1964 il playground venne inaugurato e non fu accolto con entusiasmo poiché ritenuto di difficile comprensione, in accordo ai diffusi contrasti verso il modernismo e l’uso dell’arte contemporanea nel contesto urbano11. Con il tempo, invece, l’intervento ha assunto il significato più prezioso a cui aspirava: ha acquisito un duplice valore legato sia alla storia della città sia alla memoria degli abitanti. Ne è testimonianza il sentimento comune diffusosi nell’opinione pubblica intorno al malinconico e paradossale episodio che lo scorso anno ha colpito il playground: un sentimento che, a distanza di più di cinquant’anni dalla realizzazione dell’opera, è manifestazione di una coscienza comunitaria che si estende a livello globale, quasi a riprova del valore di cui scrive Franco Purini, in tema di spazio pubblico, per l’Enciclopedia Treccani (2007): deposito di memorie urbane espresse nelle forme di una narrazione in grado di trascendere gli elementi locali per farsi racconto universale [Spazio pubblico, in

Enciclopedia italiana - VII Appendice, Treccani, 2007, https://www. treccani.it/enciclopedia/spazio-pubblico]. 75

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Il playground e l’arte pubblica

La ricostruzione del recente accadimento che ha investito il caso dello Stephen Wise con la sua arte pubblica pone l’attenzione sulla funzione educatrice ricoperta da molti spazi urbani e sul senso di comunità ad essi sotteso.

L’espressione “spazio pubblico” identifica un tema ampio che, se in termini fisici coincide con il sistema di vuoti urbani e aperti di natura non privata bensì collettiva tra il costruito, nella sua concezione più estesa assume una specifica connotazione riguardante l’uomo e riferita quindi agli usi e ai significati di un determinato ambiente culturale. L’impegno progettuale dell’architetto o dell’artista nei confronti degli utenti mira a definire questo secondo carattere, di memoria e di percezione, proponendo luoghi di incontro e di aggregazione che possano tratteggiare uno scenario comunitario. Un’ambizione quest’ultima non facile da raggiungere ma che spesso è acquisita col passare del tempo, nella lunga durata. Il buon esito di un progetto richiede la capacità di gestire con equilibrio la commistione tra diversi aspetti; per lo spazio pubblico particolare significato assume il tema della committenza: persone reali che effettivamente useranno quello spazio progettato o vedranno quell’opera d’arte. Esse sanno che quelle cose sono destinate a occupare i loro spazi abituali; spesso non le hanno volute, quindi ne diffidano e comunque assisteranno con sospetto alla loro costruzione; infine hanno proprie e variegatissime aspettative, prevenzioni e idee, sia sul piano dell’uso, che del significato [L. Pujia (a cura

di), Trentaquattro domande a Francesco Cellini, Clean Edizioni, Napoli 2019, p. 46].

Il senso corale, quindi sociale e di condivisione, trova manifestazione nella cultura dello spazio pubblico attraverso diffuse forme artistiche, soprattutto in contesti metropolitani ampi. Si pensi, ad esempio, alla cultura di strada di una grande città come New York che coinvolge e influenza, in una complessità antropologica e sociale, chi abita quel paesaggio urbano. L’arte pubblica può delineare una risposta di riscatto alla monotonia che spesso investe le città e può attivare meccanismi di memoria visuale e identitaria in una sorta di polifonia urbana [M. Canevacci, La

città polifonica. Saggio sull’antropologia della comunicazione urbana, Edizioni SEAM, Roma 1993].

In questa chiave va letto il caso del playground tra le Wise Towers, poiché tutti gli elementi che compongono l’insieme urbano costruiscono il significato pubblico del contesto al loro intorno, in ricordo peraltro di una antica tradizione tipicamente mediterranea, molto sentita dall’artista italiano, impostata sull’abitare gli spazi condivisi. Già nel 1889, Camillo Sitte ricordava che le piazze principali della città sono rimaste, per molti aspetti, fedeli al tipo degli antichi Fori. Una parte sempre appariscente della vita pubblica è collegata alla loro funzione e con essa anche una parte del loro significato pubblico, così come molti dei rapporti naturali fra le piazze e gli edifici mo-

numentali che le circondano [C. Sitte, L’arte di costruire le città, a cura di L. Dodi, Antonio Vallardi Editore, Milano 1953, p. 21]. In effetti questo spazio pubblico intercluso tra le alte torri altro non è che una “piazza” in quanto luogo chiuso e individuato. La condizione essenziale per le piazze come per le stanze è che tanto le une come le altre siano ambienti ben delimitati [ivi, p. 41].

Utile, a questo proposito, è la definizione di “architettura a zero cubatura”, affinata da Aldo Aymonino e Valerio Paolo Mosco nel 2006, che individua un campo d’indagine per la disciplina architettonica nell’interazione tra città e spazio pubblico [V.P.

Mosco, Città e spazio pubblico, in Enciclopedia italiana, XXI secolo, Treccani 2010, https://www.treccani.it/enciclopedia/citta-e-spazio-pubblico] e in particolare nello spazio collettivo all’aperto. Il concetto di playground come sistema compositivo a scala urbana interpreta tale carattere declinando lo spazio pubblico in una accezione ludica ove: Una serie di elementi a zero cubatura che insistono in uno spazio pubblico determinano un ambiente, ovvero un campo costituito dal dialogo tra diversi oggetti [A.

Aymonino, V.P. Mosco, Spazi pubblici contemporanei. Architettura a volume zero, Skira, Milano 2006, p. 211].

Arte e architettura per la comunità

Il grande intervento, dal forte valore educativo, mostra lo scenario innovativo portato nel contesto popolare delle Wise Towers 77

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dove arte e architettura, con Nivola e Stein, lavorano congiuntamente per arricchire lo spazio della vita degli abitanti, costruendo una dimensione sociale attraverso spazi ricreativi e comunitari. Un’arte che, assieme al contesto e alle persone, diviene un patrimonio ordinario e quotidiano a uso della collettività urbana e degli inquilini delle torri; i quali, riconoscendone il solido valore nell’immaginario sociale del quartiere, nel momento dell’accaduto si sono schierati con la famiglia Nivola, la Chanin School of Architecture della Cooper Union, l’Istituto Italiano di cultura di New York e le associazioni per la tutela del patrimonio architettonico modernista come la Landmark West12 .

Tutti accomunati dalla volontà di testimoniare il valore di un progetto pubblico nato come spazio di comunità per stimolare la creatività delle varie fasce di residenti13, in accordo ai temi di socialità, partecipazione e condivisione cari all’artista a partire dagli anni Cinquanta. Lo scopo dell’arte di Nivola era infatti creare un senso di appartenenza ai luoghi, sollecitare una riflessione sulla vita collettiva e i rapporti tra le persone, così come proposto anche con il progetto Pergola-village, vined Orani14 del 1953, pensato per la sua città natale di Orani nel cuore della Barbagia quale strumento per aprirsi al dialogo comunitario, filtro ospitale tra la casa e la natura. Il rapporto di Nivola scultore con lo spazio non riguarda dunque il singolo edificio, o la sua decorazione, bensì la relazione che l’opera artistica instaura con il pubblico in una dimensione sociale e urbana

[F. Chiorino, Orani, lo spazio pubblico e l’arte/Orani, Art and Public Spaces, «Casabella», n. 925, settembre 2021, p. 38]; un progetto di arte ambientale dal robusto carattere comunitario che riprendeva le tesi di Sigfried Giedion e il dibattito dei CIAM sollecitati all’epoca da Sert con il core of the city15, dove il ritmo della vita collettiva permea gli spazi pubblici esistenti (piazze, strade, vicoli ecc.).

Diffuse forme artistiche sono oggi manifestazione della cultura dello spazio pubblico e ne raccontano il senso di comunità. Le espressioni dell’hip hop, ad esempio, nate proprio nel contesto metropolitano di New York descrivono e occupano i tessuti urbani di molti quartieri. L’artista americano Bigg Dogg, cresciuto in quest’area, ha ambientato il video di un brano, Pain Free-

style16, nella piazza di Nivola e Stein e all’epoca dell’accaduto ha lamentato la perdita dell’identità del luogo.

Lo spazio pubblico tra le Wise Towers non è solo un museo a cielo aperto ma anche un simbolo del valore sociale del quartiere che esibisce il ruolo dell’arte nel suo contesto urbano rafforzando il suo valore patrimoniale. È qui che risiede il valore specifico del caso: difatti al netto dei legittimi intenti di rinnovamento che hanno coinvolto il complesso residenziale attorno al playground, l’episodio rivela una disattenzione verso un patrimonio ormai consolidato nella memoria del luogo e riconosciuto sia a scala locale dai cittadini, sia a livello internazionale dalla comunità scientifica nel campo dell’architettura e della storia dell’arte. Purtroppo si assiste spesso a interventi che con imperdonabile leggerezza agiscono su forme di patrimonio collettivo, impoverendo opere a cui bisognerebbe offrire cura e attenzione. In tal senso, il caso delle Wise Tower assume un valore esemplare grazie all’azione di reti e associazioni culturali attivatesi per ridimensionare la distruzione di una comune eredità.

Del resto, la storia che lega l’artista a questa città non è secondaria. New York difatti aveva accolto Nivola e, negli ultimi anni, gli aveva dedicato importanti mostre: Nivola in New York. Figure in Field tenutasi nel 2020 alla The Cooper Union e Nivola. Sandscapes inaugurata nel 2021 a Magazzino Italian Art. Un’altra mostra Nivola e New York. Dallo showroom Olivetti alla città incredibile è attualmente al Museo Nivola a Orani e illustra i cinquant’anni di Nivola a New York (1939-1988) esponendo opere autentiche e ricostruzioni, tra cui una riproduzione dei cavallini. Un artista che in fondo – riprendendo le parole di sostegno espresse da Ugo Carughi, già Presidente di DO.CO.MO.MO. Italia, in una lettera dell’Associazione al Museo Nivola e alla fondazione Costantino Nivola – potremmo considerare un nomade, messaggero di una terra lontana, che intendeva, come ogni artista, l’arte come forma religiosa17 .

La solidarietà in rete, espressa da parte di vari enti culturali e associazioni (tra cui la stessa DO.CO.MO.MO.Italia), è stata intensa ed è riuscita a influenzare il destino delle opere, oggi fortunatamente oggetto di restauro. Attualmente, a distanza di un anno dalla vicenda, sono stati eseguiti restauri che hanno richiesto un 79

lungo e attento lavoro da parte della Jablonsky Building Conservation, Inc. (JBC) su monitoraggio dell’architetto Carl Stein, figlio di Richard e membro del Consiglio della Fondazione Nivola18. Un risultato raggiunto attraverso un dialogo serrato con l’impresa che a suo tempo era stata poco attenta ai valori etici ed estetici dell’opera. Peraltro, con il tempo, l’azione di agenti atmosferici, di impropri interventi, di usura e di vandalismo avevano alterato i cavallini, composti da un conglomerato cementizio che conteneva anche scaglie di marmo. La fase di ricostruzione dei prototipi delle zampe – eseguiti anche attraverso un modello tridimensionale fornito dalla Fondazione – è attualmente in via di ultimazione; a seguire le statue verranno ricostruite e collocate nella loro posizione originaria. E il restauro, oltre alla conservazione dell’opera d’arte in sé, merita una riflessione nel rapporto con le altre parti del complesso. L’auspicio è che le relazioni tra gli elementi siano ripristinate come da progetto e possano diventare persino occasione di ripensamento per gli interventi da adottare, grazie a un raffronto tra le foto d’epoca e quelle più recenti in cui è facile osservare una serie di manomissioni sulla natura spaziale del playground, compromesso dalla presenza di elementi di arredo urbano e recinti.

Nella nostra epoca il tema dello spazio pubblico è particolarmente carico di significati. La vicenda qui ricostruita sembra sottolineare il valore aggiunto che l’arte e l’architettura possono offrire ai luoghi collettivi; e l’azione comunitaria che ha accompagnato questa vicenda, segnalando il valore che essa aveva assunto per una estesa comunità, sembra testimoniare il suo rilevante significato in termini di educazione alla cittadinanza.

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1 Cfr. D. Budds, The Nivola Horses Are Finally Getting Feet Back, «Curbed», march 30 2022, https://www.curbed.com/2022/03/costantino-nivola-wise-towers-horse-sculpture-repair-conservation.html. 2 La denuncia è partita dal Museo Nivola e dalla Fondazione Costantino Nivola sui social, sulla pagina Facebook del Museo in un post del 9 marzo: https://it-it.facebook.com/Museo.Nivola.pagina.ufficiale. 3 Per approfondire le relazioni tra Le Corbusier e Nivola si veda: M. Mameli, Le Corbusier e Costantino Nivola. New York 1946-1953, Franco Angeli, Milano 20172. Si ricorda inoltre la mostra Le Corbusier. Lezioni di Modernismo, a cura di Giuliana Altea, Antonella Camarda, Richard Inger-

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