ConCorso Buenos Aires 02

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CON/CORSO BUENOS AIRES 02


Con/Corso Con/Corso Buenos Aires 02 02 i deazione Giuseppe Villani A cura di Francesca Rizzardi Coordinamento editoriale Pietro Manara Progetto

Adattamento testi Francesca Rizzardi Con/Corso Con/Corso Buenos Aires Produzione e organizzazione

Staff Ingeborga Jura

© All rights reserved 2011

Open Art Milano di Euroweb S.r.l. Corso Buenos Aires 77, 20124 Milano È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo. mezzo

Ringraziamenti Natale Addamiano, Palma Almela Garcìa, Enrico Sonetto, Maurizio Chiazzo, Manuela Cappucci, Luigi Carboni, Paola Carlini, Chiara Carolei, Giusy Caroppo, Matteo Cattonar, Valentina Chiappini, Eva Comuzzi, Adriano D’Angelo, Marcello Dal Lago, Antonio De Bono, Luisa Denti, Massimo Falsaci, Sara Feola, Gianfranco Ferlazzo, Paolo Figara, Fiutorama, Guido Folco, Lorenzo Garin, Davide Genna, Giusy Geraci, Pierugo Giorgini, Roberta Guarnera, Saverio Hernandez, Sandra Levaggi, Adrian Lis, Alessio Liuzzi, Eleonora Magnani, Lucia Majer, Marcello Mantovani, Claudia Margadonna, Mariateresa Marino, Francesca Martinelli, Roberto Milani, Marta Mirra, Alberto Missana, Ester Negretti, Natale Pascale, Siro Perin, Michele Pierpaoli, Francesca Pompei, Maurizio Rosazza Prin, Paola Rota Brusadelli, Sabina Sala, Stefano Simone, Monia Sogni, Anna Soricaro, Lorenzo Taccagni, Cinzia Tesio, Maria Turner, Uraken, Irene Urbani, Manuela Valleriani.


CON/CORSO BUENOS AIRES 02



OPEN ART MILANO CON/CORSO BUENOS AIRES VINCITORE FINALISTI SELEZIONATI



OPEN ART MILANO

Dalla passione per l’Arte dei suoi fondatori nasce, nel 2009, Open Art Milano, galleria che ha tra i propri scopi la promozione d’autori emergenti del panorama nazionale ed internazionale.

Open Art Milano è un nuovo luogo destinato ai linguaggi del contemporaneo, è un’area espositiva innovativa. La sede, dedicata alla ricerca creativa, per noi non si limita allo spazio fisico, ma si estende alle nuove tecnologie, ecco allora che il sito web, in costante aggiornamento, diviene luogo d'esposizione e valorizzazione. Abbiamo scelto, per raccontarci la parola Open. L’apertura a cui facciamo riferimento ha diverse sfumature e significati.

Open è la nostra visione della produzione artistica che ha l'obbligo d’essere aperta a chiunque: esperti, semplici appassionati, curiosi d’ogni tipo.

Open sottende la nostra ricerca nei confronti d’autori contemporanei emergenti e per questa ragione nascono i web contest. Open è l’opportunità d’accesso all’Arte, senza barriere, apprensioni, sospetti e timori. Open è l’approccio all’opera, intesa non come elaborato di una lingua sconosciuta ed incomprensibile, ma come frutto di un linguaggio universale, facile a capirsi, che non ha bisogno di traduttori.

Open Art Milano è vitalità creativa.

CON/CORSO BUENOS AIRES

Il Con/Corso Buenos Aires è una competizione on-line, ideata da Open Art Milano, dedicata ai linguaggi del contemporaneo, in particolare fotografia, pittura e scultura. Un web contest voluto per dare visibilità ai talenti emergenti, alle personali ricerche creative, alle poetiche, un’occasione, un’opportunità. Siamo giunti alla seconda edizione e Con/Corso Buenos Aires 02, 02, questo catalogo digitale, è la restituzione di un cammino intrapreso verso la promozione degli autori, una pubblicazione che accompagnerà ogni edizione del concorso.



VINCITORE


VALENTINA VALENTINA CHIAPPINI

Valentina Chiappini/Graffi Testo di Francesca Rizzardi I Beatles, Lucio Battisti, Arthur Rimbaud, Jean Michel Basquiat, Friedrich Nietzsche, Andy Warhol, Piero Manzoni, Caravaggio, Louise Bourgeois, W.A. Mozart, Charles Baudelaire, John Lennon, Ermete Trismegisto, Modigliani, Platone, Mimmo Paladino, Bob Dylan, Anish Kapoor, Egon Schiele, Lou Salomè, Carl Gustav Jung, i Creedence Clearwater Revival, il movimento dada, gli stoici. Questi i riferimenti di Valentina Chiappini, giovane ed ironica artista, d’origini siciliane e milanese d'adozione. Entrare nel suo mondo richiede attenzione, concentrazione. Personalità artistica complessa in cui la ricerca creativa si distingue e si alimenta attraverso continui riferimenti "ancestrali". Lo strumento, il mezzo pittorico, attraverso l'uso inconsueto d’elementi "taglienti", assume profondità di significato. Il supporto non è tale, ma entra a far parte della poetica del progetto. Per capire come Valentina sia giunta alla produzione più recente, è necessario ripercorrere a ritroso le tappe fondamentali del processo creativo. La sperimentazione e la contaminazione iniziano, pressoché bambina, nella propria stanza che, nel corso dell'infanzia prima e dell'adolescenza poi, è divenuta stratificazione di colore. La svolta, gestuale appunto, avviene con la riscoperta e il rinvenimento degli strati. Attraverso l'uso di lamette, tutto quello che era stato dipinto negli anni, riemergeva violentemente. Il gesto diviene allora elemento tribale, ossessivo, violento, creazione di un microcosmo. Il graffio è, ancora oggi, l'elemento che distingue la sua produzione. La sua poetica è legata al caos e alla “destructio”, a tutto ciò che muore, che tocca il fondo e poi rinasce dalle proprie rovine. La scintilla è un senso di rottura, un gesto nervoso, violento, vigoroso, energico, che scava per ritrovare correspondances con la bellezza nello stratificarsi degli anni della coscienza. Altro elemento chiave per capire la sua produzione è la musica. Certe sonorità, melodie e canzoni sembrano imprigionate nella texture dei suoi lavori creando, in essi, una doppia valenza: "guardo, dunque ascolto". Oggi la musica trova un senso nel connubio pittorico/musicale che la vede protagonista, insieme al musicista Xabier Iriondo, di performance improvvisate a carattere sperimentale. Valentina non ha mai dipinto solo per il puro gusto di farlo, Valentina non ha mai dipinto paesaggi, Valentina cerca l'essenza delle cose attraverso le "sue lame", il suo segno, il suo graffio.




FINALISTI


MARCELLO MANTOVANI

Testo di Natale Addamiano È sempre difficile scrivere di un giovane talento, tradurre in parole le raffigurazioni di Marcello Mantovani per seguire il nesso filologico che, con convinzione di grande carattere, lega la sua pittura alla realtà di oggi. I ritratti sono i temi recenti affrontati dall'autore con carica espressiva, con la volontà di aggiungere sempre qualcosa di nuovo al personale linguaggio pittorico. La volontà di colloquio umano è, per Marcello, soprattutto volontà di poesia. Egli non cerca delle forme, ma trova figure, volti. Ferma sulla tela volti di persone, gente d’oggi: un quotidiano fatto d’affetti e di storia è il suo racconto. La carica di passione realistica e la coscienza stilistica sono colte in piena adesione sentimentale, risolte con toni lirici e subito integrate nella resa oggettiva. L'equilibrio formale è ugualmente complesso e armonioso nel canto di personaggi scanditi di segni e colore, intrisi di luce. Marcello non si è mai discostato da un riferimento alla realtà, proprio perchè la realtà è l'invenzione che ciascuno di noi fa del mondo che percepisce: la sua pittura, il suo mondo poetico, la sua realtà, la sua felicità di dipingere, le sue intenzioni di ridurre il quadro alla luce-colore, con supporto materico arricchito da una colorazione fatta di terre calde. Per Marcello, matita o pittura, il discorso è tutt'uno. È interessante come sa cogliere e rappresentare, così bene, ciò che avviene dentro di lui: ha gli occhi buoni per capire la buona pittura e s'abbandona alla gioia di dipingere. Dipinge i suoi pensieri, è sincero, sa che l'Arte moderna e contemporanea è micidiale e spesso fatta d’indovinelli linguistici. Marcello ha imposto la nuova visione e la realtà, che da tempo andava maturando, osservando, e la ricerca si è arricchita, ha acquisito nuove sfumature, ha spostato la sua attenzione agli affetti familiari più vicini, oltre i luoghi dove di solito ritrae i suoi personaggi. È cambiata, soprattutto, la luce, una luce di composizione e di spazio, dove le nuove facce vivono con diretta ed immediata espressione fatta di tocchi sicuri, dentro densi impasti materici con luce uniformemente diffusa che si distende con omogeneità sulle figure, dando solidità plastica pur rimanendo sempre calda di tono e di sentimento.



MATTEO CATTONAR

Dichiarazione di poetica "Città come creature viventi in cui la frenesia, diventa plasma che scorre nelle arterie stradali. Moderni animali di cemento e lamiere, individui che cessano d’essere tali, abitati da ciò che abitano…luoghi vicini e lontani dove la speranza va cercata all’orizzonte, seguendo il punto di fuga o chiudendo gli occhi, abbandonandosi al dolce cullare del cosmo…lontano dal ruggito del vivere quotidiano" La natura dell’indagine o l’indagine della natura? Testo di Siro Perin Il giovane artista, dopo aver spaziato nei meandri della ricerca interpretativa, pare aver trovato il suo archetipo pittorico nella rappresentazione dell’albero, che sembra quasi assumere una dimensione sacrale. Infatti, la sua intrinseca essenza di simbolo della natura stessa nonché, al tempo stesso, di tramite primordiale tra il cielo e la terra ne hanno fatto un elemento fondamentale per l’uomo che accompagna la società umana nel suo vivere quotidiano e nei suoi progressi evolutivi. Non a caso, anche ai giorni nostri l’albero è un soggetto partecipe della contemporaneità e Cattonar ne percepisce la carica simbolica. L’artista, per sottolineare questa partecipazione sensibile della natura alla progressione dell’animo umano, crea una sua personale figuratività astratta costruita su uno sperimentalismo pittorico non occasionale, ma intellettuale, che catalizza sulla tela con gli strumenti ed i pigmenti d’oggi: il soggetto si sostanzia in sgocciolature, filamenti e raggrumi, composti da smalti sintetici e tecniche miste, stagliandosi da sfondi divisi in due parti.



CLAUDIA MARGADONNA

Testo di Antonio De Bono Ha seguito gli insegnamenti del padre apportando alla pittura, da sempre nella sua vita, uno stile del tutto personale. Il linguaggio pittorico così coinvolgente, affonda le radici in opere simboliche e di partecipazione personale. E' un’innovativa Nuova Figurazione con taluni spunti di contatto artistico con l'astrattismo espressionistico. In ogni quadro l'artista si avvale di uno spazio allusivo, come se una simbologia segreta accomunasse tutte le opere, che appaiono levitare in una confidenziale vibrazione lirica. La dirompenza dei quadri di Claudia Margadonna viene celebrata dall'emotività che sviluppano i colori, la loro saturazione, l'infinita versatilità cromatica della pittura acrilica confusa con l'olio. L'uso del linearismo grafico, del colore timbrico nei quadri, i blu cobalto, i rossi corallo, i gialli ocra, alludono talvolta ai Fauves il notissimo gruppo d'artisti sorto in Francia attorno al 1905, proiettando la libertà compositiva entro un linguaggio unitario, che ha il compito di celebrare l'espressività del colore-luce. I Fauves rendevano appieno l'immagine della purezza espressiva, con il compito di trasmettere alla francese, il rigore compositivo, diffuso e caldo, con qualità d'armonia delle forme. Celebre una frase di Matisse: "Per rendere un paesaggio d'autunno, non cercherò di ricordarmi quali tinte si convengano a questa stagione, ma mi ispirerò solamente alle sensazioni che essa mi procura". Nelle tele di Claudia Margadonna, trionfano ovunque le suggestioni intime e personali, alludendo ad un’esistenza dedicata all'arte. E' aperta ad un dinamismo vivente, attenta ad ispirarsi alla scuola dei grandi pittori, tiene presente l'insegnamento di Braque, Legér, Bonnard pittore simbolista che destò lo stupore di Guillaume Apollinaire. Molte opere colpiscono l'osservatore per la loro simbologia a tratti metafisica, per il mistero che le avvolge.




SELEZIONATI


PALOMA ALMELA GARCÌA GARCÌA

Testo di Palma Almela Garcìa Paloma guarda con attenzione tutto ciò che la circonda, fotografa o disegna quello che la colpisce, poi assembla i vari oggetti e li dipinge sulla tela. Per creare le sue composizione si ispira alla Pop Art dipingendo metafore dal tratto perfetto con contorni nitidi e ben delineati. Sono visioni che prendono spunto dal nostro quotidiano e introducono lo spettatore in un'atmosfera immersa nel silenzio. Sotto il profilo del significato, si dedica a percorsi tematici comuni, fino alla delucidazione creativa complessa. Il mondo onirico dell’uomo nella sua modernità è ora un tema di fondo del suo fare. Il processo formativo è legato ad un effettivo revival della cultura pop, re-inventata con molto glamour, un'eleganza più distaccata dall’invasiva presenza delle icone popolari che, peraltro, occhieggiano. Personaggi dal cinema alla tela, oggetti dal banco frigo del supermercato ai nostri occhi, ma decontestualizzati in una squillante resa dimensionale, a campiture riconoscibili e definite. Ogni opera ha una sua storia particolare, e potrebbe avere un legame concatenato a quella precedente. Paloma Almela sa dialogare con la realtà. Sulla scena nazionale ed internazionale è chiaro un ritorno all'immagine e lei sente un bisogno di raccontare per mettere in evidenza i meriti e le debolezze della società d’oggi.



ENRICO BONETTO

Testo di Lucia Majer Si esprime attraverso uno stile eclettico che rielabora le istanze di modernità delle avanguardie dimostrando un’istintiva propensione verso la materia: le accumulazioni d’oggetti d’uso quotidiano, come anche gli assemblaggi realizzati attraverso vecchi oggetti recuperati trasmettono un messaggio ironico e diventano luogo di prove percettive. I rituali e l’iconografia della civiltà dei consumi passano attraverso l’interpretazione dell’artista, che n’effettua la scomposizione con esiti d’ironica e spiazzante paradossalità. T esto di Anna Soricaro Enrico Bonetto esalta la potenzialità astratta del linguaggio spontaneo dettato dai segni involontari che restano su cartoni d’appoggio. Un’arte poliedrica espressa dai piccoli formati a grandi installazioni, dimensione di una mente in continuo divenire in cui ogni realizzazione è superficie in cui si fermano i segni del tempo. Assoluta protagonista potrebbe apparire la materia, in realtà nelle opere intervengono un continuo d’elementi che rendono ogni lavoro un prodotto cardinale: i piccoli frammenti sono i risultati pittorici di grandi installazioni e le "opere da installare a muro" fungono da mediatrici poiché intrise di materia, idea, gestualità. Un’importante attenzione è posta all’equilibrio della forme che è anche equilibrio dei toni creando sempre soluzioni omogenee e cadenzate ricolme d’organicità emozionale.



PAOLA ROTA BRUSADELLI

Testo di Paola Rota Brusadelli Il mio percorso artistico è iniziato con il ritratto per poi espandersi in una ricerca più libera, fino ad intraprendere diverse strade che mi hanno portata all’utilizzo di tessuti e pizzi incollati sulla tela per poi fare un’escursione fino al genere Pop. Alcuni dei lavori allegati sono soggetti animali che interagiscono con la figura femminile assumendone le sembianze. Spesso gli occhi sono molto truccati ed esprimono un carattere vanitoso e/o ironico. Sono pertanto evidenti i richiami alla moda ed al make-up ed agli eccessi tipici di questi mondi. Altre opere sono invece dedicate alla bellezza femminile toccandone sia l’aspetto interiore (Brezza primaverile e La sposa è nuda) sia l’aspetto esclusivamente esteriore (Perla e Tentazione). Anche per quanto riguarda le tecniche utilizzate il mio percorso è stato ed è in continua evoluzione. Sono, infatti, passata dall’utilizzo d’olio su tela per i ritratti a tecniche miste quali acrilico, olio e china sia su tela sia su carta".



MAURIZIO CAIAZZO

Testo di Maurizio Caiazzo “Voglio premettere che trovo difficile spiegare a parole quello che metterò in un quadro, per certi versi lo trovo limitante, ed in generale credo nell’assoluta “dittatura dello spettatore”, che vede nel quadro quello che vuole vedere, o, nel “peggiore” dei casi quello che il quadro, semplicemente, è”. L’opera di Caiazzo, artista milanese, dalla spiccata personalità, sfugge alle facili classificazioni. La sua pittura, in perenne evoluzione, si caratterizza per un sincretismo, mai uguale a se stesso, in cui confluiscono i più disparati linguaggi: dalla musica alla letteratura, dal cinema alla fotografia, dalla grafica al fumetto. Caiazzo ha sviluppato un suo personalissimo stile, crudo e tagliente, lontano da ogni facile descrittivismo, essenziale nella forma e nei colori. I suoi lavori, allucinati e visionari, catturano e nel contempo disorientano: sono immagini icastiche, mai banali, che inquietano, turbano, agitano in profondità. Suo soggetto d’elezione è l’uomo colto nella sua fisicità, indagato e svelato, con spietata lucidità, nella sua essenza più intima. Bastano poche incisive pennellate al giovane pittore per scavare nei meandri dell’animo umano e far emergere con prepotenza dalla ruvida tela i suoi inquietanti feticci: moderne icone di un’umanità lacerata, tormentata, confusa privata delle sue certezze. E’ un grido forte, doloroso, quello che emerge dai quadri di Caiazzo, artista coraggioso e irrequieto, capace di farsi carico, con la propria angoscia, dello smarrimento e del naufragio della società contemporanea. Intensamente meditata, profondamente sofferta, la pittura di Caiazzo è, dunque, solo in superficie “Forma semplice”.



MANUELA CAPPUCCI

Le geometrie dissolventi di Manuela Cappucci Testo di Manuela Valleriani La pittura di Manuela Cappucci presenta una complessità e trasversalità di visione che prende le mosse da alcuni importanti movimenti dell’arte del Novecento, l’Astrattismo e l’Informale, senza per questo presupporre un'incondizionata, completa adesione alle due citate correnti, ma assumendo come "sostrato" fondamentale l'idea di una creazione autonoma e personale. Il lavoro di quest’artista nasce da un approfondito studio dell’opera teorica, didattica e pedagogica di Paul Klee, dall’analisi degli aspetti visivi/percettivi inerenti alla forma e al colore, dall'interesse infine per le filosofie orientali. Tali riferimenti sono tuttavia da intendere non come costrutti di matrice ideologica, quanto piuttosto come motivi legati alla creatività e all’inconscio, volti a costituire una trama "fluttuante" ed espressiva mediante un rapporto dialettico con la superficie indagata. La produzione realizzata finora mostra una processualità in continuo divenire e perciò indicativa di futuri sviluppi, che trova la sua caratterizzazione nello sfumato delle geometrie compositive, nell’uso di tonalità fortemente contrastate, nell’agilità del gesto e nel linearismo del segno grafico. L’esito finale, ossimorico e per questo ancor più coinvolgente, è il raggiungimento di una profondità che agisce a livello di superficie, e che conferisce alle opere di Manuela Cappucci il "vibrato" di un’intensa carica emozionale. A definire tale risultato concorre anche un'insistita libertà del fare pittorico, evidente nell'utilizzo di tele prevalentemente di grandi dimensioni, che si traduce in un’estrema varietà di materiali e procedimenti: olii, acrilici, smalti, sabbia e, nelle più recenti realizzazioni, fili di rame cuciti a mano sulla tela. Questi ultimi servono a tracciare sottili e poetiche geometrie, ma il segno grafico, prima solo sotteso in superficie, è divenuto ora elemento a sé stante emergente dal piano bidimensionale del dipinto. L’artista sperimenta un cromatismo che irrompe con forza e che accoglie anche "brandelli" di testi poetici, liberamente inseriti sul fondo della tela.



PAOLA CARLINI

Testo di Paola Carlini L’attuale ricerca si svolge partendo dalla riflessione del filosofo J.Baudrillard per il quale "Il Virtuale è più Reale del Reale". Nei dipinti ricerco un confronto tra ciò che è considerato generalmente reale e ciò che è virtuale, ravvisando un ribaltamento di senso, dove il Reale diventa Virtuale e il Virtuale diventa Reale. Osservando i dipinti Ary e Annamaria ci si può porre la domanda su chi e che cosa sia reale, scoprendo che, ad esempio, Biancaneve che è un soggetto di natura Virtuale, nel dipinto diventa più Reale di Ary, nonostante questa sia un soggetto di natura Reale. Il dipinto diventa uno specchio dove il senso si ribalta fino a permettere di porre alcune questioni: e se il mondo intero fosse lo specchio su cui un altro mondo si riflette? Se fossimo noi dentro la favola che Biancaneve legge prima di addormentarsi? Testo di Guido Folco Paola Carlini racconta una favola moderna e, come tutte le storie, cela una morale: nel mondo, oggi, cosa conta di più? L’apparenza che inganna, o l’essenza, che è il vero assoluto della nostra società?. Con un linguaggio fumettistico e dai risvolti introspettivi, l'artista ci mostra diversi facce della sua percezione e interpretazione della vita moderna.



ADRIANO D’ANGELO

Testo di Adriano d’Angelo Osservo il mio lavoro: non sono soddisfatto. Perché lo faccio? Perché creo continuamente nuove immagini da aggiungere a quelle che incessantemente sono prodotte nel mondo? Cosa mi spinge a farlo? Ogni volta che comincio un nuovo lavoro, mi pongo sempre queste domande, ma non trovo una risposta coerente. Vorrei non creare più nulla, ma non ci riesco. Penso a Mnemosyne L'Atlante delle Immagini di Aby Warburg e mi chiedo che senso abbia declinare un’immagine in differenti medium, visto che esistono immagini archetipiche da cui prendono forma tutte le altre. Sono giunto alla conclusione che tutte le immagini siano parte della realtà, quindi non è possibile selezionare un’immagine in particolare: tutte sono egualmente importanti e, di conseguenza, un’immagine vale l’altra. Non esiste una scala di valori, ma solo una selezione individuale. Le figure immaginarie hanno più spessore e verità di quelle reali afferma Fernando Pessoa nella sua opera autobiografica Il libro dell’inquietudine di Bernardo Soares e questo credo accada nelle mie immagini, che sono frammenti di realtà trasfigurata. Spesso un’immagine trascende se stessa: una foto può diventare un video e viceversa. Riprodurre e moltiplicare, secondo questo principio d’accumulazione, è un’attitudine che mi appartiene profondamente. Cerco di mettere ordine; ci provo costantemente. Solipsismo è una parola che descrive con sufficiente veridicità il senso del mio lavoro. Solipsismo è una parola che abbatte tutto quello che ci circonda e ricrea un mondo fatto di frammenti di realtà che ancora si abbandonano all’incoerenza, senza perdere completamente la loro originaria matrice.



LUISA DENTI D ENTI

Testo di Luisa Denti

Le cose consuete, La stanza amniotica, Ofelia underground, sono un percorso attraverso il corpo e i luoghi domestici, per analizzare una condizione esistenziale. Il progetto Ofelia underground nasce da corrispondenze psicologiche ed esistenziali con l’Ofelia shakespeariana a cui la nuova Ofelia è legata inconsciamente. Non annega fisicamente, perché lontana dalle dinamiche romanzesche, ma porta con sé il ricordo dell’acqua con tutte le sue simbologie.

..la misera Ofelia divisa da se stessa, dalla sua mente.. (Shakespeare, Amleto, atto IV, sc. I ) Ofelia è combattuta tra la realtà che la circonda e il suo mondo. L’acqua non è presente nelle opere che compongono il progetto, ma è evocata da elementi come una vasca, un telo di damasco verde e stivali da pioggia. L’ambiente in cui si muove la figura è domestico, spoglio, con elementi essenziali, un nucleo protettivo, un luogo distante, inesistente e irraggiungibile, come le stanze della mente.

Le sue vesti si sparsero e gonfiarono a sostenerla, una sirena, mentre ella intonava arie di vecchie canzoni, come inconsapevole della sventura, o come creatura nata e vissuta in quell’elemento; ma non a lungo, e le vesti, appesantite d’acqua, la trassero giù, infelice, dal suo mormorio melodioso a una fangosa morte. (Shakespeare, Amleto, atto IV, sc. III) Fluttuando sui fondi acquitrinosi, risale in superficie a nuova vita, ma è prigioniera in un mondo parallelo, tra acqua e terra, tra sotto e sopra, tra fuori e dentro, tra realtà e interiorità. Vaga in luogo non luogo, sotterraneo, metafora della sua anima e del suo essere incompiuta, portando con sé la rèverie del ruscello che l’ha chiamata a sé e l’ha cullata, attraverso gli elementi come gli stivali e la vasca.

Ofelia si è persa nelle stanze della sua mente, Si è persa nei suoi pensieri. È annegata in se stessa



MASSIMO FALSACI

Testo di Valeria Lombardi La città è anche specchio della propria cultura. Le architetture urbane sono le protagoniste delle opere di Massimo Falsaci. Architetture che raccontano un periodo, una società e che, viste dalla prospettiva futura della storia, testimonieranno di noi e della nostra civiltà alla stregua delle arene, degli acquedotti e delle ville romane. Il paesaggio urbano, con i suoi monocromatismi, le sue linee perfettamente dritte, le forme squadrate dei palazzi, diventa la tela bianca su cui Falsaci stende i suoi colori, esaspera i toni, sottolinea la luce; il rigore dell’architettura si arricchisce della morbidezza del colore, l’artista re-inventa la sua città, personalizza, come fa idealmente ognuno di noi, lo spazio che lo circonda. Intervenendo e modificando virtualmente il paesaggio, Falsaci sottolinea la necessità di trasformarsi da fruitore passivo a creatore attivo del proprio ambiente. Una presa tagliente, ma allo stesso tempo algida, impassibile. Un dato cromatico che né accentua non solo l'unicità trovata, ma che n’aumenta la finale resa così è costituita l'incredibile arte di Massimo Falsaci. Quasi un volgere verso grafiche degli anni '70 del novecento. Si guardino allora opere come: Relax e Nell'intimità. Un’immediata resa visibile che toglie, come la saliva, una sensazione di rarefatta allucinazione. Opere che sembrano costituirsi da loro medesime in quei tratti neri, quasi per un equilibrato ed interno gioco del togliere. Un togliere ponderato, vissuto a dare sensazioni più che emozioni, quasi un'arte digitale che si rende, si distende sulla tela quasi come una bella donna. Certi lavori arrecano anche un'immediatezza percettiva. Cromie le medesime: arancioni, gialli e rossi che né arrecano un'immediatezza non solo stilistica, ma un bel giungere ed un attendere verso nuovi compimenti, nuovi visi, nuovi tagli di spaccato di vita che si compie ogni giorno sotto i nostri ignari occhi e che Massimo Falsaci riesce a tradurre per tutti noi.



GIANFRANCO FERLAZZO

Testo di Gianfranco Ferlazzo La sua attuale ricerca mira ad una contaminazione del linguaggio pittorico con la deriva digitale; le opere che Ferlazzo propone sono plotter su tela ripresi ad acrilico e vernici ad acqua. Concettualmente si radicano sulle letture del sociologo Jean Baudrillard e sul concetto di surrogato.



PAOLO FIGARA

Testo di Paolo Figara Della propria ricerca dice: "Sono convinto che l’artista sia mosso da una forza cieca, per cui lascio che i quadri prendano forma da un’ispirazione iniziale, quasi da soli, senza decidere preventivamente soggetti e modi. Del resto, ogni mia idea annegherebbe nel minestrone di colori e contrasti che plasmo e riplasmo".



LORENZO GARIN



DAVIDE GENNA

Testo di Marcello dal Lago Queste opere di Davide Genna, si posizionano in un complesso e controverso rapporto tra simbologia e mondo fisico, tra immagine e pensiero, e pretendono un contatto costante con il "principio" di realtà. La più esplicativa per comprenderne i sottili rimandi è l’opera Il Grande Posacenere, ironica e irriverente, ma insieme drammatica. I piccoli filtri recuperati sono incolonnati e disciplinati. Nella comprensione del significato rimandano alla fuga dalle costrizioni del sociale e al desiderio di nuovi orizzonti, ma, nell’immediatezza un po' brutale dei segni e delle tracce dell'uso a cui sono stati sottoposti, suscitano una suggestione quasi cimiteriale, intrinseca a tutto ciò che è stato sistemato e incasellato perché finito e concluso. Da segno di trasgressione a segno grafico, dall'idea del disordine e della fuga trasgressiva a quella dell'inquadramento, l'opera dimostra la volontà di un superamento e la necessità di "cambiare pagina", resa molto forte dalla presenza fisica e reale dei piccoli oggetti in cui il valore simbolico si sovrappone ma non si sostituisce. La soluzione dalle difficoltà e lo scioglimento delle abitudini è qui soltanto e fortemente “formale”, nel senso che dimostra visivamente e immediatamente che una soluzione esiste, quella davanti agli occhi dello spettatore. Non si afferma che è stata trovata, ma che è stata trovata la sua necessità, con la trasformazione del contrasto in un’armonia e in un’organizzazione logico geometrica. Ma questo è in generale il limite e insieme il valore della rappresentazione artistica, che attraverso la fisicità del supporto materiale e gli esiti cromatici porta in primo piano la necessità di risolvere nei fatti le problematiche di vita, anche se in prospettiva e per esiti che finalmente non siano soltanto formali. Comunque tutto questo è fuori dall’opera, che non ha alcuna volontà didascalica diretta, anche se n’è implicita una significazione. Il “filtro” diviene quindi un modello tridimensionale per rappresentare aspirazioni e valori, e con la sua ripetizione quasi ossessiva introduce alla speranza di poter raggiungere ordine e tranquillità, con la fiducia nella disposizione logico razionale.



GIUSY GERACI

Testo di Giusy Geraci Da autodidatta, si appassiona all’arte e alle differenti forme d’espressione attraverso l’immagine. Trasporta sulla tela i colori delle emozioni, cercando di trasmetterle all'osservatore. Nelle sue opere, dai contorni indefiniti, si riflette l’aspetto frenetico di della società contemporanea. Nelle realizzazioni, mette tutta la propria passione unita ad una visione profonda del quotidiano, cerca così di sfuggire ad una dilagante banalità. Le molteplici forme d’espressione presenti nei dipinti, evidenziano il desiderio di non rimanere "agganciati" ad un solo genere espressivo. La ricerca pittorica di Giusy Geraci agisce nel punto di transizione dove tutto è divenire: l'apertura ad ogni possibile. Nei movimenti cosmici e nel micro biologico umano avvengono le stesse transizioni, scivolamenti, arresti, fusioni. Quello che avviene nelle straordinarie macro polluzioni cosmiche, si riprende, misteriosamente, nel microcosmo della nostra biologia molecolare. Stesse leggi che eseguono uno stesso mandato. Giusy Geraci riesce a trasmettere una struggente poetica delle parti dove micro e macro sono due note dello stesso partito da cui attingere con grande capacità gestuale. Siamo nell'Astratto informale, ma in realtà la capacità di rivelare la pura essenza energetica delle forme, la allontana da un mero formalismo di genere: non c è frame materico inerte, ma tutto é percorso e soffuso d'energia, transitivo di luce vitale. Quando lavora sul registro del Micro la pittura di Giusy Geraci è straordinariamente albumosa, filacciosa, protozoica, embriomorfa: la capacità è nel mixare forme significanti appartenenti alla scienza, che con il microscopio hanno preso vita, statuto d'esistenza, e reinserirli in un contesto di pura alterità energetica. Nel Macro assistiamo a placche materiche in movimento, sulfureo e mercuriale attrito di superfici, BigBen materici, siderale implosione di materia: i colori sono puro azzurro, oppure terrosi o bluetti dal lampo magnetico. L'unità di misura che sottende, sia il micro come il macromondo, è l'energia, che muove, inspiegabile e universale. Energia come trascendenza o immanenza del sublime? Qui l'artista si ferma, l'energia s’inchina e riprende il suo moto turbinoso che tutto avvolge.



PIERUGO GIORGINI

Testo di Pierugo Giorgini YuX o Pierugo Giorgini è Artista dalla poliedrica personalità, dipinge la vita immortalandola nelle sue forme più fantasiose e sfumandola con il moto errante dei suoi viaggi. L’intenso dialogo, con le proprie opere, prende vita attraverso pennellate d’acrilico, tratti di pastelli a cera, brandelli di manifesti e materia incollata alle tele, legno e altro per insaporirle del contesto urbano a cui appartengono. Ogni opera racchiude una composizione d’elementi simbolici che s’identificano nei tratti somatici delle figure che rappresenta. Questo percorso artistico in continua evoluzione convive con il manifestarsi degli eventi contemporanei e incarna scene di vita sospese tra reale ed astratto in cui i colori, le linee, le espressioni e i movimenti vanno in un'unica direzione: l’ironia del grottesco. Gli animali, nostri compagni di vita, si mescolano alla quotidianità, modificando le loro abitudini e diventando i nuovi protagonisti della società contemporanea. Vivono di passioni, sogni e si sentono liberi di esistere. Soggetti carichi d’espressioni si trasformano in viaggiatori urbani dal caotico movimento e dalle fantasiose identità colorate. I pesci varcano le acque del mondo marino ed invadono le vie cittadine intasando gli incroci. Ogni soggetto si racconta nel suo ritratto e ogni ritratto è la maschera di se stesso, mentre l’occhio curioso palpita nell’attesa del prossimo sguardo.



ROBERTA GUARNERA

Il corpo Testo di Roberta Guarnera Il corpo umano è impalcatura dell’essenza, sempre al centro dei nostri pensieri, oggetto di discussioni e malattie. Il corpo permette di esprimerci attraverso un linguaggio simbolico e primitivo: una mano tesa, le ginocchia piegate sul petto. Oggi l’uomo comunica mediante la tecnologia perdendo la sensazione e i piaceri di piccoli gesti. Il corpo è oggetto, mezzo di perfezione, lo vediamo con vecchie signore pirandelliane che negano la vecchiaia per mezzo di un bisturi, ritrovando la nostalgica giovinezza. Pure le ragazze che cercano, disperatamente, un corpo perfetto. Dunque l’oggetto, il tema della mie fotografie è il corpo, il suo linguaggio, le sue forme, i suoi colori.



SANDRA LEVAGGI

Testo di Francesca Rizzardi Le opere di Sandra Levaggi sono immerse nel silenzio. La ricerca creativa colpisce per un'evidente volontà di gestione del vuoto. Lo spazio è privo di presenza vitale e rimanda, per cromatismo e costruzione prospettica, ad un'interpretazione al limite del metafisico, spogliato da quel senso tipico d'inquietudine. L’autrice lascia allo spettatore la facoltà d'interpretazione. Questi deve, perciò, partecipare all'atto creativo, rispondendo allo stimolo dato dalle opere. È compito nostro "riempire" di significato il vuoto "provocatorio" della Levaggi. La presenza dell'uomo è percepibile solo attraverso gli oggetti da lui creati: architetture, barche, pale eoliche. Il soggetto prediletto, il tema ispiratore è l'ambiente marino e di esso si riesce a cogliere, attraverso l'uso della tecnica mista, acrilico su tavola, stucco e materiali di riciclo, quell'atmosfera rarefatta tipica dei pomeriggi assolati. La composizione dell'ambiente, spesso geometrizzante, l'uso sofisticato della luce, la scena deserta, le architetture, gli arredi urbani, gli oggetti, ma soprattutto una visione figurativa combinata con sentimenti poetici, fanno pensare a certe esperienze di realismo americano: Hopper, in primis.



ADRIAN LIS



ALESSIO LIUZZI



ELEONORA ELEO NORA MAGNANI

Testo di Saverio Hernandez Il lavoro d’Eleonora Magnani si colloca al confine tra installazione e pittura. Questa è presente a due livelli, come tema e come linguaggio: si parla cioè di pittura con i modi della pittura. Perché, allora, un’installazione e non un semplice quadro? Perché l’installazione permette di creare tra i due livelli quel piccolo scarto che li distingue senza separarli: è a partire da questo scarto che va cercato il significato del lavoro. Cosa si vuol dire dunque della pittura? Innanzi tutto che è insieme oggetto e immagine di oggetti: la dimensione dell’oggetto è data dalla tela arrotolata, dall’impronta oleosa lasciata dalle cornici; quella dell’immagine è data dai motivi ornamentali e dai volti dipinti. Questa duplicità si ritrova dentro la pittura, in altre parole, nella dimensione dell’immagine. In pittura l’immagine diventa linguaggio e, come tale, oscilla tra due poli: quello dei significanti e quello dei significati. Il lavoro ri-propone quest’oscillazione nel conflitto tra gli ornamenti e i volti: i primi sono decorazione pura, gioco autoreferenziale, i secondi chiamano in causa il significato più alto, cioè l’uomo. Pur differenti, rappresentazione e decorazione restano sottoposti allo stesso dominio, quello dei segni: è appunto lavorando sulle qualità segniche dell’una e dell’altra che è stata costruita l’immagine. Qualsiasi segno pittorico, anche il più elementare, determina la rottura dell’unità della superficie, che si scinde in un positivo e in un negativo, in un pieno e in un vuoto. E’ quanto accade nella tappezzeria: tra i motivi ornamentali si crea un intervallo, un embrione di spazio. In questo intervallo si installano i volti; essi sciolgono la rigidità della superficie, fluidificano lo spazio, affondano nel rosso suggerendo una lontananza. In quanto immagini, i volti vivono nella coscienza, entrano nel flusso della memoria: i quadri (gli oggetti) sono stati rimossi, resta solo l’alone delle cornici e la traccia (l’immagine) di ciò che rappresentavano. Il lavoro si apre così ad una dimensione temporale, si sposta per così dire nel passato, lì dove si può ritrovare il senso della pittura.



MARIATERESA MARINO

Testo di Sara Feola I dipinti di Mariateresa Marino sono caratterizzati dalla forza intensa della figurazione che emerge dallo sguardo dei soggetti ritratti. Occhi vivi, taglienti, disturbanti, molti dei quali appartenenti ad artisti del recente passato, oggetto di costante attenzione e ricerca dal punto di vista non solamente artistico, ma piÚ propriamente umano. Il linguaggio parlato da questi lavori ha a che fare con il dolore, con l'ironia, con l'orgoglio. Negli anni Mariateresa Marino ha condotto una costante indagine sperimentale che l'ha vista misurarsi con diverse tecniche e numerosi formati. Particolarmente interessante e di forte impatto l'uso della foglia d'oro e d'argento, richiamo alla tradizione delle icone sacre e strumento attraverso il quale proiettare il soggetto in una dimensione altra e quasi ultraterrena, una forma di sacralizzazione che acceca e destabilizza l'occhio inconsapevole dello spettatore. Notevoli i lavori di piccolo formato, in cui Mariateresa Marino concentra e articola sapientemente i propri potentissimi mezzi, usati in modo misurato, dosato, ponderato, mai casuale, ma non per questo scevro di un impeto passionale che si palesa sulla tela in modo ineluttabile. La stessa maestria si dispiega sui formati piÚ grandi, dove la totale assenza di un disegno preparatorio è prova di un talento straordinario, fedele all'ideale di una pittura pura.



FRANCESCA MARTINELLI

Testo di Eva Comuzzi La Terra, Dea Madre generatrice di vita ma al contempo contenitore della morte. È dalle sue profondità che germinano le tre Grazie di Ridicula Difformitas, lavoro performativo e fotografico in cui le protagoniste, “innestate” nel terreno, danzano sinuose in un rito iniziatico di purificazione. Formalmente affine al tableaux vivant VB 53, realizzato da Vanessa Beecroft nel 2004 presso il Tepidarium di Firenze, il lavoro di Francesca Martinelli se ne discosta non solo per una forte componente narrativa e teatrale, quanto per l'assenza di una concezione frigida e statica della composizione. Nei suoi defilé antropologici la definizione bachtiana del corpo prende il sopravvento e cerca di sovvertire gli stereotipi imposti dalla visione massmediale comune, evitando che ogni forma di diversità venga alienata. Ecco allora che la protesi, i funesti ex voto realizzati con oggetti d'affezione, gli animali impagliati e le piccole bambole amputate prossime, oltre alle più recenti Broken Dolls di Cindy Shermann -, alle antiche composizioni legate al concetto di Vanitas, fungono quasi da improbabili ed alternativi accessori femminili. Sempre in bilico fra bellezza e deformazione, perfezione e menomazione, Martinelli ripercorre così attraverso la performance, la fotografia e l'installazione, il suo “inno di gioia al corpo parlante”, e ci conduce all’interno di mondi ibridi dove natura, animale ed oggetto si fondono in un'unica forma, divenendo materia viva e pulsante. Se nella performance tutto è accuratamente studiato e calibrato, nelle fotografie l'artista lascia che la componente aleatoria abbia quasi il sopravvento, mentre i colori sempre più intensi delle ultime serie, assumono un valore espressionistico che simula non solo una condizione d’artificiosità e surrealtà, quanto quella “parodia del bello che è la cosmesi”.



ALBERTO MISSANA

I Fotocerchi Testo di Alberto Missana Fotocerchi è un progetto fotografico in cui tutte le immagini insistono sul medesimo layout grafico composto da un cerchio in alto a destra e da una diagonale dall'angolo in basso a sinistra a salire verso l'angolo in alto a destra. IL CONCETTO DEL VUOTO La filosofia che sta alla base delle fotografie Fotocerchi è il concetto di Vuoto dello Zen. Il Vuoto non è inteso come assenza ma come sostanza intrinseca della materia stessa.



SALVATORE MONTOLEONE/URAKEN MONTOLEONE/ URAKEN

Testo di Giusy Caroppo

Uraken considera le "comunicazioni multimediali" la sua "sfera attitudinale di sopravvivenza" insieme alle arti marziali, come il Karate Shotokan (Uraken è il gesto del "pugno rovesciato"), la musica e i viaggi: in Francia è ospite di Sophi Crumb, figlia del fumettista underground Robert Crumb. Mediante la modellazione solida 3d, costruisce, in principio, elementi essenziali. Similmente agisce, per le immagini bidimensionali, con quelli di vettorializzazione; mediante il fotoritocco, ne uniforma colore, luci ed ombre.

Artista novus per Alessandro Riva, attento alle sperimentazioni nel campo della calcografia, ritenuto post-futurista e sciamano, è firmatario di un personale Manifesto dell'arte digitale, che riassume nel motto magrittiano "This is not a reproduction of a work of art,

this is Operation art. This is the Digital Manifesto dell'Arte". In bilico tra filosofia e grafica, accompagna le sue creazioni con scritti autobiografici, citazioni, pensieri, auto-analisi e inedite composizioni di musica elettronica.



ESTER NEGRETTI

Testo di Roberto Milani È un’artista che arriva. Capace di mostrare la propria forza creativa nella più intrigante complessità, completezza e determinazione e con la necessaria consapevolezza che essere artista oggi è allo stesso tempo un privilegio ed una missione. Sa mettere a proprio agio l’interlocutore che rimane ammirato e coinvolto dalla scoperta degli infiniti particolari che compongono le sue opere. Di fatto resta meravigliato dal risultato finale. La Negretti, vuole "ascoltare la voce pura della natura in noi stessi" e ci fornisce così la propria chiave di lettura: mettendosi a nudo. Mostra tutta la sua forza e la sua vulnerabilità. E’ un’arte dura, diretta e allo stesso tempo fragile e femminile. Guardare una delle sue tele in maniera superficiale è gradevole, piacevole; ma c’è ancora più gusto entrarvi, esplorando, scoprendo e comprendendo che dietro a tutto ciò, c’è arte, quella vera! Un pensiero e personalità. Chi vuole trovare risposte ad alcuni dei tanti quesiti che si celano dietro ogni piega della materia, oltre ogni pennellata o sotto ogni elemento plastico che troviamo su queste superfici, deve necessariamente immedesimarsi nella psicologia dell’artista. Gli elementi, che v’invito ad indagare per risolvere l’enigma metafisico che permea la sua arte, sono altri, ad esempio: il sentimento, l’idea, la forza e soprattutto la luce. È, infatti, la luce l’assoluta protagonista di queste tele. Quella luce che a prima vista sembra neanche esistere, svela la sua presenza nei contorni degli elementi, nei contrasti e variazioni di tono. In eterno equilibrio come un funambolo, Ester vive nel grande circo dell’arte come assoluta protagonista, con invidiabile certezza (ed è questa la sua qualità più importante) e solida determinazione. Muri e barriere, oramai superate ma ancora presenti, albergano nelle reti che imbrigliano l’essere libero dell’artista, costringendolo a fare i conti con le convenzioni, convinzioni e i pregiudizi che governano il complicato e complesso sistema, determinato e generato da critici, curatori, galleristi e collezionisti che non sempre vedono nelle donne/artiste il tanto ricercato "genio". Non esistono quesiti esistenziali o domande senza risposta. Esistono soluzioni. Visibili e tangibili. Sono impronte e segni, anche graffi. Sanguinanti a volte, generati dalla rabbia.



NATALE PASCALE

Testo di Natale Pascale Il mio percorso artistico, inizia con una forte esperienza con la ceramica, tra filettature e argilla, dove il segno era ed è tuttora elemento vivo, direi energico del mio carattere, quasi introverso. Segno, come sostanza, come, gesto, come una linfa che si addormenta, e all’improvviso getta fuori, aria compressa, sbattendo ali e stomaco sul duro suolo, sudore di un pensiero, il segno è qualcosa che mi cattura, e rimango lì per ore a capire non so cosa tra i verdi e i gialli e rossi, che anche se quasi furibondi si mescolano o si ferma all’istante. L’approccio sulla tela è sempre stato come un treno impazzito o un avversario da buttare giù, per questo, molte volte, anzi di solito la tela è aggrappata alla parete senza telaio, come un foglio di carta, per questo motivo posso scavare ed essere delicatissimo nello stesso tempo. Rallento per dare pensiero e studiare lo spazio, come un distruggere per ricostruire. Il segno mi da la totale visione di quello che ho intenzione di fare, anche perchè dietro c’è un progetto immediato seguito da altre carte che vengono giù come niente, tanta a volte inutili. Penso, ma non nego che mi piace molto disegnare. Tanto che ritengo il disegno quasi o addirittura più importante della tela. Mi piace giocare con i simboli, colonne vasi bicchieri e il cavallo, che col tempo è diventato uomo, in altre parole gioca e si proietta nella vita sociale dell’uomo. Cosi come la maggior parte dei temi che mi piace affrontare, come la psicologia, le tensioni dell’uomo, e così via, lo stato umano, pandora, la natura, eccetera, mi piace molto chiudere una porta e aprirne subito un’altra mi piace capire, m’interessa. Sono molto attratto dai silenzi dell’essere umano, così come la natura che con forza e molto silenzio reagisce inaspettatamente, come la tela documento di un piccolo momento, intrappolato nel tempo.



MICHELE PIERPAOLI

Testo di Luigi Carboni Attraverso l’utilizzo del bianco trasparente della carta velina e del nero dell’inchiostro, costruisce con un segno “inciso” un immaginario complesso. Immagini, simboli e segni, dalla forte impronta grafica, realizzano doppi e tripli piani, creando un flusso narrativo dove il disegno in bianco e nero diventa un metodo per analizzare il reale. Sulle superfici leggere e mutabili, Pierpaoli incide immagini e segni alternando la natura all’artificio. Presenze e assenze, figure, sembianze di cose, piccoli inganni velati, svelati e riportati sulla superficie della carta si alternano in una continuità di divisione che reclama una prima, una seconda, una terza lettura. Pierpaoli passa attraverso le forme e le immagini senza legarsi ad alcune di esse, con distaccata continuità costruisce l’opera. L’opera simula se stessa, imita i processi della propria creazione in una consapevole assenza di protagonismo, suggerisce e non impone.



POMPEI FRANCESCA

Testo di Francesca Pompei La foto d’arte e d’architettura hanno a che fare con luoghi dell’abitare collettivo, ricchi di una loro specificità sociale e culturale a cui bisogna accostarsi con rispetto ed attenzione. La memoria delle cose ed il fattore tempo che ogni opera porta con sé come dono da offrire allo sguardo attraverso forme, linee e scansioni di volumi, giocano un ruolo determinante. Registrare non basta: bisogna affrancarsi dal ruolo di fruitori inconsapevoli ed aprirsi lasciandosi catturare da ciò che si ha davanti, dalla sua intensità e vitalità. Poi c’è il momento dello scatto e della sua preparazione, del frame fotografico vero e proprio, a cui si aggiunge il vissuto personale e soggettivo. Una sfida che si traduce in un'unica esperienza estetica, che modifica lo sguardo permettendo di creare il proprio alfabeto visivo. E' necessario smantellare l'immagine conosciuta e prevedibile per ricostruirla sulla base di nuove coordinate mentali di riferimento. Una ricerca che non mostra l’insieme, ma piuttosto ne seleziona un dettaglio, parte per il tutto che sottintende un approccio non descrittivo, ma piuttosto attento agli squarci di luce ed ombra. Non un processo, quindi, dal taglio descrittivo o didascalico, ma il desiderio di essere esplicitamente ed intensamente emozionale, andando diritto al cuore dello spettatore in una tensione plastica che evidenzia i contrasti e si sposa con il medium fotografico per affinità naturale, in un reciproco rinnovamento che si astrae dal tempo e dallo spazio. Ed è a quest’attualità che si rifà lo scatto, riproponendo la sfida dell’artista d’oggi, preso in una dialettica che si esprime in una sorta di circolarità feconda e di mutuo scambio e che si serve delle immagini come strumento per trasmettere quelle sensazioni che, legate all’arte ed al bello, dovrebbero aiutare a vivere meglio.



MAURIZIO ROSAZZA PRIN

Testo di Maurizio Rosazza Prin Figure e istantanee delle vere anime che stanno nascoste sotto pelle, camuffate interagendo con noi, in noi, fra noi. In giro, se alzi lo sguardo e vai aldilĂ dell'udibile, noti che le facce, magari, non rappresentano l'anima. Come mai questa discordanza fra l'io e la facciata? Dietro la pelle si nascondono goffi esseri, mostri sorridenti con i denti aguzzi, con le labbra carnose a volte rifatte. Inutile metterli a fuoco, vanno presi e immortalati cosĂŹ come sono, con oli e graffi e con un sacco di colore. Il gesto deve essere sicuro, altrimenti ci scappano via per sempre.



FIUTORAMA

Testo di Fiutorama Pittore autodidatta informale-astratto non ha mai seguito schemi accademici. Ama il disegno e la scultura, da poco si è avvicinato alla video-arte e alle nuove sperimentazioni linguistiche d’artisti come Damien Hirst e Olafur Eliasson. Ha realizzato diversi cicli pittorici e installazioni ispirandosi all'iconografia della Pop Art americana e alle tematiche care ai grandi pittori del passato, da Picasso a Basquiat.



SABINA SALA

Sabina Sala Riflessioni tratte dall’intervista Microcosmi di Chiara Carolei Quello che cerco solitamente nei miei lavori, di là della forma e del linguaggio scelti, è una sorta d’equilibrio instabile capace di mettere in moto qualcosa in grado di giocare con il caso e con l’immaginazione di chi la osserva. Mi piace l’idea che l’opera viva di vita propria: l’idea-immagine arriva, chiede di prendere forma e si libera proprio in quel “mondo” che siamo in grado di darle per poi essere di nuovo indipendente da noi. Il mio lavoro attuale parte da un’evoluzione del lavoro d’incisione: di esso mi affascina il processo, più che la stampa definitiva, così ho iniziato a lavorare su lamiere di ferro registrando i processi d’ossidazione naturale su carte o cenere… Questo il filo conduttore del lavoro d’oggi: cogliere il divenire, il casuale, il molteplice, catturare l’impalpabile. (…) Di qui il lavoro sulle ombre: qualità dei vivi, ma senza corpo. E’ proprio questa duplice verità propria dell’ombra che mi attrae… Da quando lavoro su questi soggetti ho scelto linguaggi molteplici per esprimermi ( disegno, fotografia, video, installazioni) per assecondare l’idea d’effimero, volubile ed instabile. (…) Credo che per l’arte non sia più il tempo dei grandi proclami, piuttosto una testimonianza di “fede” in ciò che è fragile e destinato a perire, una potente politica della coerenza, del silenzio e della pausa che si contrappone al frastuono mediatico.



STEFANO SIMONE

La forza emozionale di Stefano Simone Testo di Cinzia Tesio La pittura di Stefano Simone è spesso caratterizzata da interpretazioni di volti, sentimenti e talvolta di un’umanità nuova, non ancora esistente. È una visione alterata e aggressiva, di nuove e vicine realtà. Il ritratto diventa un’immagine manipolata, la materia ed il colore fremono creando contrasto rispetto alla fotografia. La rappresentazione non è mai enfatica; la tela punta diritto ai veri sentimenti del soggetto raffigurato, forse indugiando su alcuni dettagli salienti che vogliono confermare la sua propensione a non transigere mai dal pensiero che si vuole trasmettere. È uno sguardo attento il suo, che penetra silenziosamente l’incurante consuetudine dei volti. Facile criticare quello che si vede, facile criticare un membro della società, più difficile riuscire a restituire la gran dignità delle verità anche alle cose più semplici e ai sentimenti più genuini.



MONIA SOGNI

Testo di Monia Sogni Le opere nascono dalla produzione incisoria Destroying beauty basata sulla falsità della bellezza e sul divario tra quella esteriore e la bruttura interiore. Come tecniche predilige l’uso di ferro zincato (lavorato con mola, plasma, puntasecca), il linoleum e il transfer fotografico, a volte abbinandoli.



LORENZO TACCAGNI

Testo di Lorenzo Taccagni Nel mio percorso artistico, non avendo io una "mano buona", ho concentrato la ricerca sul riutilizzo di materiali di scarto, adattandoli al supporto pittorico "classico", la tela, colorata con pigmenti vivaci, così da "rivitalizzare" oggetti altrimenti destinati alla distruzione. La mia poetica è legata all'elemento materico, ai materiali di scarto con lo sguardo rivolto all'arte povera. Il mio desidero è quello di "far apparire" gli scarti non più come tali, ma ordinati, con un nuovo e rigenerato senso.



MARIA TURNER

Testo di Marta Mirra Sin dall’inizio del suo percorso Maria Turner, pittrice,

performer e fotografa, si è sempre interessata ad una qualsivoglia forma percepibile dell’universale che si manifesta attraverso l’indagine d’ogni suo singolo componente: il tutto per una parte, una parte per il tutto. Frammenti che, pur nella loro incompletezza costitutiva, sono delle unità di senso che possiedono una doppia direzione temporale: fanno parte di un tutto che non c’è più o di un tutto che deve ancora essere? Questione d’istanti, questione di prima e di dopo, questione che lascia il fruitore in sospeso grazie all’uso che Maria Turner fa della macchina fotografica: immediato e subitaneo. L’artista si è dunque concentrata sull’indagine della gente incontrata per strada o sui mezzi pubblici, lavorando anche sugli spazi con i quali questi soggetti interagiscono. Esterno-interno, privato-pubblico: binomi evidenti nell’opera della fotografa. I suoi primi esperimenti miravano a demolire quest’antinomia, rendendola, paradossalmente, più forte. Questi frammenti fotografici non rappresentano mai situazioni domestiche. Si tratta d’esterni, di spazi di pubblica frequentazione in cui tuttavia si ha la sensazione di dovere entrare in punta di piedi, tanto queste dimensioni sono intime. Ed è nella scelta dei soggetti e della loro situazione pubblica-privata che si vede, in controluce, l’esempio degli scatti di William Klein: la fotografia come strumento di indagine sociale, come frutto dell’esigenza dell’artista di conoscere e del soggetto di lasciarsi conoscere, ma non è il solo riferimento rintracciabile: in alcuni casi i soggetti guardano nell’obiettivo in modo franco e diretto, a ricordare quel contatto cooperativo tipico delle fotografie di Diane Arbus. L’artista dimostra dunque una straordinaria capacità di sfruttare il suo stesso essere osservatrice in chiave sociologica: in tempi in cui la demonizzazione a tutti i costi del dilagante voyeurismo televisivo, giornalistico e politico, è diventata quasi di moda, il lavoro di Maria Turner è di grande profondità. I soggetti diventano oggetti attivi della sua indagine, frammenti di una totalità analizzata nella sua dimensione particolare: l’artista restituisce dignità all’azione del "guardare" anche quando si tratta della privacy degli altri, perché il suo sguardo è, in realtà, un atto conoscitivo.



IRENE URBANI

Testo di Irene Urbani Nel tempo, mossa dalla voglia irrefrenabile di dipingere, il suo mondo inizia a colmarsi di tele e tavole dipinte senza tregua, materiali dismessi trovati per strada, assemblati, trasformati e rivissuti. Inizia cosÏ ad assaporare la curiosità di far uscire, fuori dalle piccole stanze, tutte le sue opere, per la messa in discussione, per il confronto, per l'impatto con un pubblico del tutto estraneo a ciò che essa lascia su ogni supporto. Alla ricerca di stile e di forma si unisce la ricerca di luoghi ed eventi per esporre il suo cosmo, i suoi studi e se stessa.




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