GUIDO PINZANI
GUIDO PINZANI La forma nel tempo della forma Form in the time of form With a critical essay by M. Letizia Paiato
GUIDO PINZANI
La forma nel tempo della forma Form in the time of form GALLERIA OPEN ART, PRATO 18 gennaio 2020 - 7 marzo 2020 18 January 2020 - 7 March 2020
Testo di | Text by Francesco Tedeschi Produzione e coordinamento Production and coordination Mauro Stefanini Realizzazione grafica | Graphics-layout Giovanni Carfagnini Andrea Giurintano Supervisione | Supervision Giovanni Carfagnini Traduzione e revisione in lingua inglese Translation and English-language editing Mike Carlos per Lexis srl, Firenze Edizioni | Publisher Carlo Cambi Editore, Poggibonsi (SI) Digital cromalin | Digital Chromalin Tap Grafiche, Poggibonsi (SI) Stampa | Printing Tap Grafiche, Poggibonsi (SI) Assicurazioni | Insurance
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Copertina | Cover Guido Pinzani Nuotatrice 1990 Bronzo, esemplare unico Bronze, one of a kind 42 x 93 x 18 cm
INDICE CONTENTS
GUIDO PINZANI La forma nel tempo della forma Form in the time of form 3 Testo critico 4 Critic text M. Letizia Paiato 13 Opere 13 Plates
Apparati | Appendices 114 Biografia 114 Biography 115 Principali mostre personali 115 Selected solo shows 116 Principali mostre collettive 116 Selected group show
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Ritratto dell’artista, Pistoia 2018. Portrait of the artist, Pistoia, 2018. Photo by A. Frintino
GUIDO PINZANI
La forma del tempo della forma
Cos’è la scultura moderna è probabilmente, nel campo delle arti plastiche, una delle domande più ricorrenti del xx secolo. Un quesito ancora oggi al centro del dibattito critico contemporaneo capace di sollevare controversie e polemiche di non poco conto, su cosa considerare scultura e cosa no, sia sotto il profilo del suo carattere formale che di natura estetica. Qu’est-ce que la sculpture moderne? Recitava il titolo della celebre mostra del Centre Pompidou di Parigi del 1986 che, spartiacque e cerniera al contempo di un Novecento metamorfico, poneva i giusti interrogativi sulla genesi ed evoluzione della scultura, sino a toccarne gli estremi ambiti strutturali e concettuali maturati negli anni Settanta. Proprio quelli che, solo qualche anno prima, concludevano il noto volume di Rosalind Krauss: Passages in Modern Sculpture1, dove la studiosa, tralasciando volutamente quelle esperienze legate alla figura umana, vedeva il naturale svolgimento del pensiero di Lessing quando, nel Laocoonte quest’ultimo scriveva: «tutti i corpi non esistono solo nello spazio, ma anche nel tempo. Essi perdurano, e possono apparire in ogni momento della loro durata e combinazioni differenti»2. Se l’estremizzazione di tale pensiero vede da un lato il declinarsi di pratiche dove, negli ultimi cinquant’anni è addirittura la visualizzazione del tempo stesso a sostituirsi alla materialità dei corpi, in ricerche dove pittura, scultura e arte ambientale si fondono, rendendo inadeguato il termine scultura a descrivere la complessità di tali forme, dall’altro è altrettanto vero e innegabile che l’arte del passato non ha mai smesso di mantenere una presa sul presente per la sua inconscia e radicata potenza di rappresentazione, sia essa esplicitata in forme riconducibili all’umano o di natura astratto-informale. In questa parabola dell’arte il pensiero di Lessing sembra dunque trovare un sostegno ancora maggiore, rimodulandosi nell’attualità in un’infinità di possibili esplorazioni innanzi tutto legate allo spazio: quello che accoglie l’opera, quello che si compone intorno ad essa modificandolo, quello che al centro del discorso mette il corpo fisico dell’artista in termini d’interattività, ma anche – aggiungiamo noi – quello generato dalla materia stessa. Proprio in quest’ultima possibilità, dunque nella forma che diventa corpo dipanandosi nello spazio e nel tempo, si radica l’opera di Guido Pinzani, il cui lavoro, che trae innegabilmente origine dalle esperienze scultorie sviluppatesi all’indomani della fine del Secondo conflitto mondiale, sempre coerente a se stesso e immutato nel tempo, solleva oggi, forsanche più di ieri, interrogativi nevralgici su cosa sia la scultura nell’età contemporanea. Spingendosi oltre, l’accostarsi alla sua opera muove l’osservatore, la teoria e la critica anche e soprattutto a chiedersi: chi è oggi lo scultore? Domanda che per trovare risposta impone di converso un approfondimento, seppure breve, su chi è l’artista e chi l’uomo Guido Pinzani. Scorrendo brani della sua biografia appare subito chiaro come la vita e l’arte in Pinzani siano due facce della stessa medaglia. Nato a Firenze nel 1941, negli anni Cinquanta s’iscrive al cittadino Liceo Artistico dove, con Guido Peyron, Silvio Pucci, Piero Bugiani, Renzo Agostini, studia pittura e dove conosce il bolognese Quinto Ghermandi che influenzerà il suo sguardo in scultura per quelle tendenze di matrice più informale e per talune forme, in un certo senso, più “precarie”. Come spesso dichiarato dall’artista, fondamentale è stata la lettura della rivista «SeleArte»3, grazie alla quale scopre gli artisti Oskar Schlemmer e Fritz Wotruba, la grafica giapponese e l’opera di Alberto Viani che diventerà il suo maestro nella frequentazione dei corsi presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia. Poi un viaggio in Germania, il ritorno a Firenze e nel 1969 l’assistenza alla cattedra di scultura di Raffaello Scianca all’Accademia di Belle Arti di Urbino, dove resterà fino al 1972. Se il decennio Sessanta passerà alla storia dell’arte soprattutto come quello della messa in discussione definitiva dell’autosufficienza dell’opera d’arte, o della forma – atteggiamento prioritario benché non esclusivo alle avanguardie storiche – lo sarà anche per la cosiddetta “messa in scena” dei dispositivi artistici, dove lo spazio, nel dismettere 1 R. Krauss, Passages in Modern Sculpture, MIT Press, 1981; trad. it. Passaggi. Storia della scultura da Rodin alla Land Art, Edizioni Bruno Mondadori, Milano 1998. 2 G.E. Lessing, Laocoonte, 1766, trad. it. Aesthetica, Palermo 1991, p.71. 3 Rivista fondata e diretta da Carlo Ludovico Ragghianti dal 1952 al 1966. La documentazione completa di «SeleArte» è stata riordinata e si conserva presso la Fondazione Centro Studi sull’Arte Licia e Carlo Ludovico Ragghianti. Si veda: https://www.fondazioneragghianti.it/wp-content/uploads/2019/02/selearte_gen_2019.pdf (consultato il 10/12/2019).
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GUIDO PINZANI Form in the time of form
What is modern sculpture? In the field of the plastic arts, this was probably one of the most recurring questions of the 20th century. Still today it continues to be a central topic of critical debate, able to give rise to controversy and polemics of no small account. What is sculpture, and what is not sculpture? The issue touches on both the formal character and the aesthetic nature of this art form. Qu’est-ce que la sculpture moderne? was the name of the famous exhibition held at the Centre Pompidou in Paris in 1986. At once watershed and fulcrum of an ever-changing 20th century, this event asked the proper questions about the genesis and evolution of sculpture, even taking into consideration the extreme structural and conceptual propositions that emerged during the 1970s. These were the same considerations with which Rosalind Krauss concluded her well-known work Passages in Modern Sculpture1: intentionally leaving out those experiences connected to the human figure, the American art critic saw the natural evolution of the ideas of Lessing, when in Laocoön he wrote, “[…] all bodies exist not in space only, but also in time. They endure, and, in each moment of their duration, may assume a different appearance, or stand in a different combination.”2 On the one hand, the extreme form of this thought gives rise to practices – evident over the last half century – in which it is the visualization of time itself that replaces the materiality of bodies. Such strategies have seen the fusion of painting, sculpture and environment art, rendering inadequate the term “sculpture” in describing the complexity of these forms. On the other hand, it is equally true and undeniable that the art of the past has never ceased to maintain its grip on the present, thanks to its unconscious and rooted power of representation, whether this in expressed in forms attributable to the human or in an abstract and informal manner. In this trajectory of art, Lessing’s thought seems then to find even greater affirmation, finding fresh contemporary formulations in an infinity of possible explorations, which are above all linked to space: the space which hosts the work, that which constitutes its surroundings and is modified by it, that which places the physical body of the artist at the center of discourse in terms of interactivity, and that – we add – which is generated by the material itself. It is indeed this last possibility – the form that becomes matter, unfurling in space and time – which defines the work of Guido Pinzani. His art undoubtedly has its origins in his experience with sculpture in the postwar period. His oeuvre has always been coherent, remaining unchanged over time. Today especially – perhaps more so than in the past – his art raises fundamental questions about the identity of sculpture in the contemporary era. Viewing his work spurs observers, theorists and critics to reflection, to ask themselves above all, “Today, who is a sculptor?” To answer this question, we would do well to first consider who Guido Pinzani is, as an artist and a man. A cursory look at his biography reveals how life and art are two sides of the same coin in Pinzani. Born in Florence in 1941, he enrolled at the city’s Liceo Artistico, where together with Guido Peyron, Silvio Pucci, Piero Bugiani and Renzo Agostini he studied painting and where he met the Bolognese Quinto Ghermandi. The latter would channel his view of sculpture toward tendencies that were less formal and – in some cases – in a certain sense less “stable”. As the artist himself has often stated, his reading of SeleArte played a fundamental role in his training3, as it was thanks to this journal that he discovered the artists Oskar Schlemmer and Fritz Wotruba, Japanese graphic art and the work of Alberto Viani, who would become his teacher and guide when he attended courses at the Accademia di Belle Arti of Venice. Following travels through Germany, he returned to Florence. In 1969 he worked as an assistant to Raffaello Scianca at the Accademia di Belle Arti of Urbino, where he would remain until 1972.
1 R. KRAUSS, Passages in Modern Sculpture, MIT Press, 1981. 2 G. E. LESSING, Laokoon, 1766, English trans. Laocoon: An Essay on the Limits of Painting and Poetry, London: Longman, 1853, pp. 101-2. 3 This journal was founded and edited by Carlo Ludovico Ragghianti from 1952 to 1966. The complete documentation of SeleArte has been reorganized and is preserved at the Fondazione Centro Studi sull’Arte Licia e Carlo Ludovico Ragghianti. See: https://www.fondazioneragghianti.it/wp-content/uploads/2019/02/selearte_gen_2019.pdf (accessed 10 December 2019).
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la propria funzione di sfondo abbraccerà scenograficamente il senso moderno di allestimento generando scambi di carattere estetico fra esso e le opere4. Un decennio, inoltre, che nel riappropriarsi del rapporto con la realtà metterà in crisi la percezione di originalità dell’opera lasciando fluire in superfice i caratteri di ripetizione e ricorrenza. Non abbracciare tali tendenze, non partecipare a questo flusso doveva sembrare all’epoca pressoché impossibile per un giovane artista. Mantenere salde le proprie visioni sui concetti di forma, sul senso dell’oggetto, approfondire pochi e peculiari temi difendendo al contempo valori di natura estetica, in sostanza agire controcorrente, restituisce già di per sé un’immagine chiara dell’indole di Pinzani. Il cui carattere forte, che si rispecchia in quello nerboruto delle sue opere e nell’immutabilità del suo percorso di ricerca, al principio del terzo decennio del XXI secolo, sebbene quando osservato in sequenza, e riordinato cronologicamente, spazializzi il tempo, ne restituisce uno interiore, continuo e indivisibile dove le opere – parafrasando Bergson – si compenetrano visivamente le une nelle altre senza soluzione di continuità. Non è casuale in tal senso la citazione che Marco Fagioli fa trascrivendo, all’inizio del testo critico che accompagna l’ultima antologica dell’artista alla Galleria Open Art nel 2008, un’affermazione di Renzo Federici del 1983, fra i numerosi critici a essersi occupati del lavoro di Pinzani5. Una citazione, dicevamo, che recita come segue: «L’antico assunto di una forma che nella sua lindura tutto comprenda e tutto esprima può apparire anche patetico, benché ancora conservi per chi alla scultura è nato, e in essa è cresciuto, un fascino cui è difficile resistere. E tuttavia stringe addosso come un cilicio. Tante altre cose ci sono nel mondo, e ai pittori sono concesse. E il grande e antico prestigio della “durata” ormai affascina sempre meno». Come si può notare, è proprio la bergsoniana parola durata a catturare lo sguardo. Un termine che, volutamente o forse no per Federici, in ogni caso determinava e determina tuttora il senso di “persistenza” sotteso all’opera di Pinzani, quell’ostinazione che, se vogliamo, non ha mai abbandonato la sua mente, tantomeno la sua mano e la conseguente e naturale presa sulla materia. Venendo dunque alla specificità delle opere, anche a quelle presenti in questo nuovo spaccato espositivo personale, dove sono soprattutto quelle di grande formato a essere protagoniste e dove si aggiunge all’antologica del 2008 un gruppo di lavori inediti, mai esposti o pubblicati prima, possiamo, nella loro lettura, tentare di chiarire ancora meglio quanto affermato finora. Per ciascuna sua opera, per la sua concezione di manufatto artistico, valga innanzi tutto il fatto che il senso dello spazio non è da ricercarsi esternamente a esso. Per essere ancora più espliciti, è scontato che l’opera trovi sistemazione nell’ambiente, ma esso non inciderà interattivamente su questa, altrettanto inversamente l’opera, pur condizionando implicitamente lo spazio che l’accoglie, non finirà mai per stravolgerlo. In tal senso lo spazio per Pinzani, così come si accennava al principio di questo scritto, è quello dell’opera stessa, ossia quello generato dalla manipolazione della materia. Se si accoglie tale ragionamento il lavoro dell’artista fiorentino, si lega, come apparirà ora evidente, al principio di autosufficienza dell’opera d’arte, proprio quel principio accantonato dalla maggioranza delle ricerche negli anni sessanta e proprio quello che estremizzando ci porta a considerare come autosufficiente l’artista stesso, mai parte di un gruppo o corrente, semmai semplicemente affine a determinate espressioni artistiche. In particolare a quelle d’impronta informale, se il termine, tuttavia, si riesce a cogliere correttamente, come dovrebbe essere, nella fattispecie per le esperienze europee, in “nuova forma”, e non come spesso accade in “senza forma”. Ancora e infine, il cruciale decennio Sessanta, quello di formazione dell’artista, non è attraversato da alcun riappropriamento del rapporto con la realtà. Questo perché la sua personale interpretazione della lezione informale considera realtà non solo il circostante, non solo il presente, non solo la figura o le figure, non solo le strutture o i concetti, ma anche la natura, il mondo organico, inorganico e animale, la storia, la storia dell’arte, le storie dell’arte e, più in generale, tutte quelle espressioni culturali riconducibili, in senso antropologico, all’essenza stessa dell’uomo, non ultima la sensibilità dell’artista che traduce in forme “altre” ciò che resta d’invisibile intorno a sé. Tutto ciò ricorrendo all’uso di materie e tecniche eterogene che variano dalle più tradizionali all’ars scultorea come la pietra scolpita, la fusione in bronzo, il legno
4 Ci si riferisce al concetto di White Cube per il quale fondamentali sono i cinque articoli di Brian O’Doherty pubblicati su «Artforum» nel 1976, raggruppati in seguito nel volume Inside the White Cube. L’ideologia dello spazio espositivo, Johan & Levi, 2012. Tuttavia, per comprendere la complessità della relazione con lo spazio maturata negli anni Sessanta, si pensi all’esperienza di Sculture nella città di Giovanni Carandente, proposta nel 1962 dove, senza abbandonare del tutto il concetto di monumento celebrativo, porterà alla cosiddetta arte pubblica. Cfr: G. Carandente, Una Città Piena Di Sculture. Spoleto 1962, Electa Editori Umbri, 1992 e G. Carandente, Sculture Nella Città. Spoleto 1962, Nuova Eliografica, 2007. 5 Hanno scritto dell’opera di Guido Pinzani, oltre ai citati Renzo Federici e Marco Fagioli: Bruno Alfieri, Umbro Apollonio, Silvia Bernardi, Luciano Caramel, Enrico Crispolti, Silvia Cuppini Sassi, Giorgio Di Genova, Marzia Galardini, Adriano Gattucci, Renzo Gherardini, Giuseppe Marchiori, Corrado Marsan, Marino Mercuri, Raffaele Monti, Marcello Pirro, Francesco Ragghianti e Alfredo Righi.
In the history of art, the 1960’s will be remembered above all for definitively calling into question the self-sufficiency of the work of art and of form itself: these were the leading – if not the exclusive – concerns of the “historical” avant-gardes. At the same time, that decade will also be associated with the so-called “staging” of artistic devices: space emerges from its traditional function as background and forms part of scenography in the modern sense, creating exchanges of an aesthetic nature between setting and work.4 In addition, the 60’s re-appropriates a relationship with reality which calls into question the perception of the originality of the work by allowing repetitive and recurring motifs to flow across the surface. From the perspective of a young artist of those times, refusal to engage and participate in those tendencies must have seemed an impossibility. Adhering to a coherent vision of concepts of forms and of the sense of the object, developing a handful of particular themes while defending certain aesthetic values, in a word, going against the grain – these are the hallmarks of Pinzani’s art. His works are powerful and robust, his aesthetic program constant. At the onset of the third decade of the new century, even when observed sequentially and reordered chronologically, his production spatializes time, giving rise to one which is interior, continuous and indivisible, in which the works interpenetrate each other without a solution of continuity, to paraphrase Bergson. In this sense, it is not by chance Marco Fagioli opens the critical essay that accompanies the most recent anthology of the artist for the Galleria Open Art (2008) with a quotation by Renzo Federici from 1983. One of the numerous critics to have treated Pinzani’s work5, Federici then wrote, “The old assumption of a form which in its neat and clean character includes and expresses everything might seem pathetic, even if it still preserves an irresistible charm for those who have always lived for sculpture. And yet it’s about as comfortable as a hair shirt. The world has seen many other developments, and painters have been granted license to pursue new paths: the long-vaunted prestige of ‘duration’ has by now lost much of its fascination.” It is the Bergsonian concept of “duration” that captures our attention here. Whether or not Federici used the word in this sense, it determined – and continues to determine – the idea of “persistence” that underlies Pinzani’s oeuvre: this defines that obstinacy which, we might say, has guided not only his mind but also his hand in its treatment of the material. Turning now specifically to his works, we note that this new solo exhibition foregrounds a number of pieces of large dimensions. In addition to those displayed in the 2008 exhibition, Pinzani presents a series of works that have not been exhibited or published before. A close look at these allows us to attempt a more refined evaluation than we what we have ventured thus far: in its conceptualization as an artistic object, each work shows that the sense of space is not be found outside of it. To be more precise: clearly each piece is situated in a certain setting, yet the latter does not interact with the former. And, conversely, the work, while implicitly conditioning the space that hosts it, never upsets it. In this sense, as we have seen at the outset of this essay, space for Pinzani refers to that of the work itself, or in other words, that generated by the manipulation of the material. If we accept this starting point, we notice that the oeuvre of the Florentine artist – as will soon be evident – is based on the principle of the self-sufficiency of the work of art. This is the very principle that was abandoned by the majority of artists in the 1960’s, together with that – which when taken to its logical conclusion – saw the artist as self-sufficient, not forming part of a group or school but only sympathetic to certain artistic trends. Specifically, Pinzani felt akin to those currents tending toward informalism, if by this label we understand a movement toward a “new form,” as in the case of European experiences, and not – as often happens – toward one “without form.” Finally, the crucial decade of the 60’s, which corresponded to the years of Pinzani’s training, was not marked by any type of re-appropriation of the relationship with reality on the part of this artist. Rather, his personal interpretation of the lesson of informalism considers reality not only as setting, not only as the present, not only as the figure or figures, not only as structure or concept, but also as nature, as the organic, inorganic and animal world, as the history and histories of art and more generally as all those cultural expressions anthropologically attributable to the very essence of humans; not least, these further include the sensitivity of the artist who translates all that remains invisible around him
4 We refer here to the White Cube concept, for which the five articles by Brian O’Doherty published in Artforum in 1976 are fundamental. Later, these were collected in the volume Inside the White Cube: The Ideology of the Gallery Space (Lapis Press, 1986). Nonetheless, to understand the complexity of the relationship with space developed during the 1960’s, we can cite the experience Sculture nella città (“Sculpture in the City”) by Giovanni Carandente, organized in 1962: the event would lead to the emergence of so-called public art, without altogether abandoning the concept of the celebratory monument. See G. CARANDENTE, Una Città Piena Di Sculture. Spoleto 1962, Electa Editori Umbri, 1992 and G. CARANDENTE, Sculture Nella Città. Spoleto 1962, Nuova Eliografica, 2007. 5 Besides Renzo Federici and Marco Fagioli, cited above, these critics have written about the oeuvre of Guido Pinzani: Bruno Alfieri, Umbro Apollonio, Silvia Bernardi, Luciano Caramel, Enrico Crispolti, Silvia Cuppini Sassi, Giorgio Di Genova, Marzia Galardini, Adriano Gattucci, Renzo Gherardini, Giuseppe Marchiori, Corrado Marsan, Marino Mercuri, Raffaele Monti, Marcello Pirro, Francesco Ragghianti and Alfredo Righi.
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policromo, la ceramica dipinta fino al cemento quale pura espressione della modernità. Con un bagaglio d’intenti così chiari sulla ricerca da condurre non era evidentemente possibile per Pinzani concorrere alla messa in crisi della percezione di originalità dell’opera, tanto è vero che i suoi lavori sono sempre e solo esemplari definibili veramente unici, come uniche sono, in verità, tutte le cose non sottoposte a processi industriali e di meccanizzazione. Prendiamo come esempio l’opera in bronzo Il grillo del 1968. Come nell’arte di avanguardia il titolo permette allo spettatore di rintracciare una forma riconoscibile in natura secondo il principio kantiano di quelle a priori. Sviscerando nel profondo tale assunto non si potrà negare mai che le prime forme a priori sono rappresentate proprio da spazio e tempo, proprio quelle strutture funzionali congenite alla natura umana che, trasferite nel contesto dell’arte, diventano essenziali a mostrare il sensibile. Per assurdo, è come se Pinzani per certi aspetti tentasse di andare oltre la realtà fenomenica del soggetto per cogliere e restituire in una forma inconosciuta, inedita – ma concreta – la verità della realtà noumenica che sappiamo essere inconoscibile. Sulla stessa via si possono pertanto collocare tutte le opere realizzate nello stesso decennio in pietra vulcanica della Ruhr, fra le quali la più iconica resta Omaggio ad Arnolfo del 1965. Asciutto, lineare e aristocratico, Arnolfo Di Cambio nella storia della scultura del Trecento italiano, posto sia necessario conoscerne i paventi per cogliere la sottile liaison culturale giocata da Pinzani, rappresenta istanze meno scontate e conosciute ma più radicali alla genesi della grande scultura italiana dal Rinascimento in poi. Ancora una volta è Marco Fagioli a sciogliere il nodo quando scrive: «scegliendo Arnolfo, e non magari un grande maestro del Rinascimento e del Barocco, Pinzani sembra compiere un atto preciso: ritornare alle origini, alla fonte primigenia di una scultura intesa non come decoro o espressione lirica, ma come atto fondante dello spazio, come assoluto concettuale dell’idea di realtà»6. È un discorso questo che vale per tutte le opere a seguire, si pensi al Grande Napoleone del 1966 o a Testa Barbarica I dell’anno seguente, dove è evidente che il soggetto esplicitato nel titolo diventa “atto fondante dello spazio” che dalla materia (in questi casi legno policromo e pietra scolpita) prende forma in un tempo che appartiene alla forma stessa mostrandosi, come nel caso di Omaggio ad Arnolfo, con la medesima grammatica asciutta, lineare e aristocratica. «[…] la parola scultura […] si riferisce più precisamente alla moderna interpretazione della forma artistica in tre dimensioni […] È una creazione autonoma, dove iconografia, tecniche, materiali e dimensioni possono quindi variare all’infinito. Questa concezione della scultura come creazione autonoma di un singolo artista è una tendenza occidentale, diametralmente opposta al pensiero e alla pratica artistica orientale. Nelle culture dell’Estremo Oriente, le tradizioni delle arti plastiche si fondono con quelle della pittura, in altre parole con l’arte in due dimensioni». Quando Margit Rowell, nel 1986, scriveva queste parole nel testo in catalogo della citata Qu’est-ce que la sculpture moderne?7 si riferiva ovviamente al superamento dell’autosufficienza dell’opera d’arte, tuttavia, trascurava una serie di esperienze che, come nel caso di Pinzani, non solo mantenevano viva quella tradizione prettamente occidentale di matrice avanguardista, ma ne rielaboravano il dettano alla luce di una rinnovata reinterpretazione del gusto e dello spirito orientale. Ascrivibili al decennio precedente sono, infatti, una serie di sculture dove, a emergere prepotentemente è il senso del primitivo con uno sguardo a tuttotondo su qualsiasi cultura extraeuropea che, come ha perfettamente inquadrato ancora una volta Marco Fagioli, in particolare nel riferimento a Il Grande Pellerossa del 1975, muove da una rilettura continua dell’arte di primo Novecento (Sintetismo, Simbolismo, Espressionismo, Orfismo, Cubismo) dalla quale, pertinentemente, esclude il termine selvaggio. Per chiarire questo passaggio, che ci introduce così alla nota serie dei Ronin, selvaggio, che significa più apertamente non addomesticato, indomabile, pone l’accento sul concetto di ostilità, sul non ancora reso mansueto e predisposto alla vita sociale, su quell’attrito, infine, dato dall’inclinazione a intervenire in prospettiva antropica. Le intenzioni artistiche di Pinzani sono palesemente opposte e muovono in direzione di un’unificazione dei contrasti culturali, tanto è vero che, si potrebbe sintetizzare come la relazione tra uomo e primitivo si muova per l’artista su un dato di prossimità, di coesistenza e di contaminazione dove la linea di margine è elastica e disponibile a essere frequentata e trasformata. Non a caso, ed è sempre Fagioli a chiarire la questione,
6 M. Fagioli, Guido Pinzani, catalogo della mostra antologica, Galleria Open Art, Prato, Signa (FI) 2008, p.9. 7 M. Rowell, Qu’est-ce que la sculpture moderne?, catalogo della mostra, Centre Georges Pompidou, Édition Centre Pompidou, 1986.
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or her into “other” forms. In this endeavor, Pinzani makes use of heterogeneous materials and techniques that range from the most traditional ones of the ars scultorea –sculpted stone, bronze casting, Polychromatic wood and painted ceramic – to concrete, the pure expression of modernity. With an arsenal of such clear aims in the pursuit of his art, it was evidently not possible for Pinzani to participate in tendencies which called the originality of the work of art into question. Indeed, his works are always and exclusively truly unique exemplars, in the same way that all products that do not result from industrial and mechanized processes are one of a kind. We can take as an example the bronze work Il grillo (“The Cricket”), from 1968. As in avant-garde art, the title allows the viewer to perceive a shape that is recognizable in nature, in line with the Kantian principle of a priori forms. Delving more deeply into this assumption, we find that the first a priori forms are in fact represented by space and time: these are the functional structures congenial to human nature which when transposed into the artistic context become essential for depicting the sensible world. With an ironic twist, Pinzani in some ways seems to attempt to go beyond the phenomenal reality of the subject to grasp and recover – in an unrecognizable, novel yet concrete form – the truth of noumenal reality, which we know is unknowable. Within this framework, we can then place all his works created in the same decade from volcanic rock from the Ruhr, including the most iconic of this series, Omaggio ad Arnolfo (“Tribute to Arnolfo”), from 1965. Blunt, linear and noble, the style of Arnolfo Di Cambio left its mark on the history of sculpture during the Italian Trecento: although perhaps less known, his works played a critical role in the evolution of Italian sculpture from the Renaissance. To grasp the subtle cultural liaison forged by Pinzani with Arnolfo, we must gain a glimpse into the latter’s themes. Here again Marco Fagioli sheds light on these when he writes, “in choosing Arnolfo, and not a great Renaissance or Baroque master, Pinzani seems to have made a deliberate choice: a return to origins, to the primitive source of sculpture understood not as adornment or lyrical expression but rather as a foundational act of space, as the conceptual absolute of the idea of reality.” 6 This characterization holds true for all of the works that followed: we can cite the Grande Napoleone (“Great Napoleon”), from 1966, or the Testa Barbarica I (“Barbaric Head I”) executed in the following year. In each of these works, it is evident that the subject named in the title becomes a “foundational act of space,” which from the materials (Polychromatic wood and sculpted stone) takes form in a time that belongs to form itself. Here we find the same brusque idiom, linearity and nobility that characterize Omaggio ad Arnolfo. “[…] the word ‘sculpture’ […] refers more precisely to the modern interpretation of artistic form in three dimensions […]. It is an autonomous creation with infinite possible varieties of iconography, techniques, materials and sizes. This concept of sculpture as the autonomous creation of a single artist is a western tendency, diametrically opposed to eastern thought and artistic practice. In cultures of the Far East, the traditions of plastic arts blend with those of painting, in other words, with those of two-dimensional art.” When in 1986 Margit Rowell wrote these words for the above-mentioned catalogue Qu’est-ce que la sculpture moderne?,7 she was clearly referring to the overcoming of the self-sufficiency of the work of art. Nonetheless, she left out of her account a series of experiences which – as in the case of Pinzani – not only kept alive that thoroughly western tradition of the avant-garde but also re-elaborated its tenets in light of a renewed interpretation of the tastes and spirit of the East. Indeed, a series of his sculptures dating from the previous decade show the powerful emergence of a sense of the primitive, with panoramic allusions to non-European cultures generally. With particular reference to the work Il Grande Pellerossa (“The Great Indian”, 1975), Marco Fagioli perfectly captures the significance of this gesture: Pinzani is driven by a continuous rereading of the art of the early 20th century (Synthetism, Symbolism, Expressionism, Orphism, Cubism), from which he relevantly excludes references to the “uncivilized”. To clarify his intention, which introduces us to the well-known Ronin series, we note that “uncivilized” implies untamed and untamable, with undertones of hostility, of savageness, of an unwillingness to adopt forms of social life, and of discord, connotations motivated by an inclination to read differences from an anthropic perspective. Pinzani’s artistic intentions are clearly opposed to these assumptions, moving rather in the direction of unifying cultural differences. Indeed we can synthesize his views with the claim that for him the relationship between the civilized and the primitive is one of proximity, of coexistence and reciprocal influence, in which the boundary line is flexible and open to frequentation and transformation. Once again Fagioli clarifies the issue in his refer-
6 M. FAGIOLI, Guido Pinzani, catalogue of anthological exhibition, Galleria Open Art, Prato, Signa (FI) 2008, p. 9. 7 M. ROWELL, Qu’est-ce que la sculpture moderne?, exhibition catalogue, Centre Georges Pompidou, Édition Centre Pompidou, 1986.
quando, in merito ai Ronin che definisce: «rigorosa ricerca plastica attraverso la composizione di legni bicromi, neri e rossi»8, individua una doppia via di costruzione. La prima interessata alla memoria guarda a certe Maschere Swaihwé (salish) degli indiani della Columbia Britannica nel Nord America, la seconda afferma rifarsi «all’eco forte e tangibile di certe opere di Robert e Sonia Delaunay, con i loro vortici circolari tipici dell’Orfismo, come in Omaggio a Blériot, 1914, di un Cubismo cioè privo della grinta aggressiva di Picasso, attenuato da aspirazioni astratte, nella sintesi tra musica e colore»9. Non solo. Si prenda, ad esempio, Elmo del Samurai, ammirevole scultura del 1985 che, oltre a mostrare la disposizione a Oriente di Pinzani di questa particolare produzione, rende evidente la strutturazione della percezione del plastico in quella del piano bidimensionale, riuscendo a coniugare contrasti culturali anche di natura prettamente formale e strutturale. Ancora, si potrebbe aggiungere che, se è vero che in questa specifica scultura, come in altre del resto, taluni referenti iconografici si rintracciano in certe forme della natura ascrivibili alle elaborazioni di Arturo Martini o Mario Sironi10 , altrettanto lo è il fatto che fermarsi al solo dato iconografico in parte banalizza la questione. Sia per l’uno sia per l’altro artista il rapporto con l’antico si declina in un serrato dialogo fra opere del passato e della contemporaneità, secondo un procedimento che va inteso come forza creatrice per una nuova visione della classicità. Entrambi fanno muovere la scultura antica dimostrando la libertà di essere antichi e non solo di guardare all’antichità. In sostanza entrambi meditano su un linguaggio. Questo è probabilmente il nodo più importante che compete anche alla grammatica di Pinzani, ovvero la sua capacità di ponderare non uno, ma più linguaggi, dando dimostrazione nelle sue creazioni di come la simultaneità di visioni possa tradursi in durata e nell’originarsi di forme completamente nuove. In tal senso, i Ronin vivono in prossimità, coesistono e si contaminano con l’antico occidentale, con il Mito classico, con il nudo per il quale la lezione di Viani sarà sempre presente, con le culture scandinave, si pensi ad Alarico, 1984, e con tutte quelle forme più organiche che dagli anni Ottanta in poi iniziano a farsi largo nei suoi lavori. Non ultimo il paesaggio, la cui riflessione si snoda proprio sulla meditazione del linguaggio antico come in Nudo paesaggio del 1989, o il carattere stesso di una civiltà come in L’Arringatore del 2000 (ne esiste una precedente versione datata 1985) le cui morbide forme, peculiari a tutta la produzione anni Novanta e a quella successiva, in contrasto alla solidità del bronzo, sembrano, non solo ammaliare così come persuasivo appare L’Arringatore del Museo Archeologico di Firenze ma, ancora una volta, sollevare le iniziali domande su cosa sia la scultura moderna, chi lo scultore contemporaneo? Aggiungiamo anche un ulteriore quesito che, in parte, parlando di Pinzani, dell’uomo e dell’artista, del suo sovrapporre l’arte alla vita, avevamo già toccato: in che rapporto sono arte e verità? Tralasciamo le diverse possibilità con le quali sia possibile osservare e leggere un fatto estetico, rispondiamo attraverso lo sguardo di Rosario Assunto filosofo che, come in varie occasioni dichiarato da Pinzani stesso e come si legge nella sua biografia, ha rappresentato per lui un punto fermo nella costruzione del proprio pensiero. Per Assunto, affine alla critica kantiana, la facoltà estetica è parte integrante del processo di conoscenza della realtà. Per Guido Pinzani la facoltà estetica è parte integrante del processo scultorio, di conseguenza possiamo riassumere che la scultura è, nella sua visione, atto puro di conoscenza della realtà. Se si riesce a cogliere tale aspetto, ora dovrebbe apparire naturale come l’opera di Guido Pinzani, nel sovrapporsi all’iniziale citazione di Lessing, risponda spontaneamente alla domanda Che cos’è la scultura moderna? Nella visualizzazione di forme che l’artista ci propone, e nella loro concretezza, osserviamo il loro «apparire in ogni momento della loro durata e combinazioni differenti». Osserviamo, in sostanza, un puro atto di conoscenza della realtà, dove la forma assume significato nel tempo stesso della forma. La via proposta da un artista della caratura di Guido Pinzani, certamente non è la sola, tantomeno la più praticata, ma è una valida risposta alla feticizzazione del concetto nell’opera, allo stereotipo del valore, alla sparizione totale dell’arte come avrebbe detto Baudrillard11. Forse questo può rispondere anche alla più complessa domanda su chi sia oggi lo scultore moderno. Che a parlare siano le opere in mostra. Maria Letizia Paiato
8 M. Fagioli, Guido Pinzani, cit., p.11. 9 Ibidem. 10 Ivi, p.12. 11 J. Baudrillard, Le Complot De L’Art, Sens & Tonka, Parigi, 1997, trad. it. La Sparizione dell’Arte, Abscondita, Milano 2012.
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ences to the Ronin series. While defining these sculptures as “a rigorous plastic search through the composition of bichrome – black and red – wood,” 8 he identifies a twofold strategy of construction: the first regards memory, looking to certain Swaihwé masks of the Salish Indians in British Columbia; the second takes inspiration from “the strong and tangible echo of certain works by Robert and Sonia Delaunay – such as Homage to Blériot (1914) – with their circular vortices, typical of Orphism, of a Cubism, that is, without Picasso’s fighting spirit, one that is attenuated by abstract aims in the synthesis of music and color.” 9 As a further example, we can cite the admirable sculpture Elmo del Samurai (“Samurai Helmet,” 1985), which, in addition to affirming Pinzani’s openness to the East in this work, makes evident the channeling of perception of the material into a two-dimensional field, as the artist manages to harmonize cultural contrasts even on purely formal and structural levels. In this context, we can make an additional assertion: if it is true that this specific sculpture, like others, contains iconographic referents found in certain natural forms attributable to the production of Arturo Martini or Mario Sironi,10 it is likewise clear that focusing upon a single iconographic detail tends to trivialize the question. For both of these artists, the relationship with the past is expressed in a close dialogue between old and contemporary works, according to a procedure that should be understood as a creative force for a new vision of classicism. Both treat traditional sculpture by claiming the freedom of belonging to the past and not only looking to it. Both, in effect, perform a meditation on a language. This perhaps constitutes the most important link with the idiom of Pinzani, namely his ability to use not only one but several languages, demonstrating in his work that a simultaneity of visions can translate into duration and lead to the emergence of completely new forms. In this sense, the Ronin sculptures are close to, coexist with and influence traditional western art, the myth of classicism, Viani’s teachings on the nude, Scandinavian cultures – the work Alarico (1984) comes to mind here – and all those more organic forms that beginning in the 1980’s become prominent in his work. Not least of these is landscape, which invites reflection on the language of the past – as in Nudo paesaggio (“Naked Landscape”, 1989) – and considerations of the very character of a civilization, as in L’Arringatore (“The Orator,” 2000 – a prior version dates to 1985). The soft forms of the latter work are unusual in the context of his production of the 1990’s and after, contrasting with the solidity of bronze: not only do they seem to enchant the observer, much like the imposing antique sculpture of the same name in the National Archaeological Museum of Florence, but they also once again raise the questions that opened this essay on the identity of modern sculpture and the contemporary sculptor. We can add another question to these, one that they we have already touched upon in our discussion about the overlapping of art and life in Pinzani the man and the artist: in what relationship does art stand to truth? Leaving aside the various approaches by which it is possible to observe and interpret an aesthetic fact, let us answer this question through the eyes of Rosario Assunto, the philosopher who represented a firm point of reference for Pinzani in constructing his own thought, as the artist himself has acknowledged on various occasions and as his biography claims: following Kant’s critique, Assunto believed that the aesthetic faculty is an integral part of the process of knowing reality; for Guido Pinzani, the aesthetic faculty is an integral part of the process of sculpting. As a result, we can affirm that in the latter’s vision sculpture is a pure act of knowing reality. If we manage to comprehend this perspective, it should now seem natural that Pinzani’s oeuvre – within the framework of Lessing’s words cited above – is a spontaneous response to the question, “What is modern sculpture?” In the visualization of the forms with which the artist presents us, and in their concreteness, we observe how “in each moment of their duration, [they] may assume a different appearance, or stand in a different combination.” We see, in essence, a pure act of knowing reality, in which form takes on meaning in the time itself of the form. The approach proposed by an artist of the caliber of Guido Pinzani is certainly not the only one, or even the one which is most put into practice. Yet it is a valid response to the fetishization of the concept of a work, to the stereotype of value and to the total disappearance of art, as Baudrillard would say11. Perhaps he could also have provided an answer to the more complex question of the identity of the modern sculptor today. But let us give the last word to the works on display. Maria Letizia Paiato 8 M. FAGIOLI, Guido Pinzani, cit., p. 11. 9 Ibidem. 10 Ivi, p. 12. 11 J. BAUDRILLARD, Le Complot De L’Art, Sens & Tonka, Paris, 1997, italian translation. La Sparizione dell’Arte, Abscondita, Milan 2012.
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«[…] In fondo la condizione della scultura è un letto di Procuste dove male essa si rigira tra gli assunti di una purezza formale, intellettualmente controllata, umanamente incorruttibile, e la voracità che ormai ha pervaso l’arte del nostro tempo, ferocemente alla ricerca di tutto, pronta a tutte le metamorfosi, ai più imprevedibili scambi di ruoli. L’antico assunto di una forma che nella sua lindura tutto comprenda e tutto esprima può apparire anche patetico, benché ancora conservi per chi alla scultura è nato, e in essa è cresciuto, un fascino cui è difficile resistere. E tuttavia stringe addosso come un cilicio. Tante altre cose ci sono nel mondo, e ai pittori sono concesse. E il grande e antico prestigio della «durata» ormai affascina sempre meno. Tutto questo era già chiaro nei due maestri di Pinzani: in quella continua ed estroversa nostalgia dell’organico (dell’effimero dell’organico) che gonfiava le foglie e i volatili di Ghermandi ai tempi in cui Pinzani lo frequentava, in quel segreto fremito di sensualità che indora e fa risplendere i grandi nudi di Viani, nei repentini sussulti di Humour che ne increspano l’impeccabile flusso. Che Pinzani, più giovane, abbia captato al volo queste inquietudini va da sé; ed è anche naturale che le abbia via via acutizzate, nel maturare di altri e più smaniosi umori nel clima del tempo» (Renzo Federici, Guido Pinzani, 1983)
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PLATES
TESTA BARBARICA 1967
Pietra scolpita | Carved stone 110 x 18 x 30 cm PROVENANCE Collection the artist, Firenze Galleria Open Art, Prato LITERATURE M. Fagioli: Guido Pinzani, nell’assillo della scultura, Masso delle Fate Edizioni, Firenze, 2008, p. 31
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TESTA BARBARICA 1967
Pietra scolpita | Carved stone 130 x 21 x 30 cm PROVENANCE Collection the artist, Firenze Galleria Open Art, Prato LITERATURE M. Fagioli: Guido Pinzani, nell’assillo della scultura, Masso delle Fate Edizioni, Firenze, 2008, p. 32
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PICCOLO DIAVOLO 1967
Bronzo, esemplare unico | Bronze, one of a kind 85 x 26,5 x 21,5 cm PROVENANCE Collection the artist, Firenze Galleria Open Art, Prato
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IL GRILLO 1968 Bronzo, esemplare unico | Bronze, one of a kind 106,2 x 26 x 23 cm PROVENANCE Collection the artist, Firenze Galleria Open Art, Prato
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CAPITANO DI VENTURA 1969
Bronzo, esemplare unico | Bronze, one of a kind 106,5 x 39,3 x 34,5 cm PROVENANCE Collection the artist, Firenze Galleria Open Art, Prato LITERATURE B. Buscaroli: Utopia e Progetto, Sguardi sulla Scultura del Novecento, Carlo Cambi Editore, Poggibonsi (SI), 2017, pp. 153, 189
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GRANDE IMMAGINE RIFLESSA 1971
Legno scolpito | Carved wood 200 x 30 x 26 cm PROVENANCE Galleria Il Ponte, Firenze Galleria Open Art, Prato Private collection, Vicenza LITERATURE Guido Pinzani, Galleria Il Ponte, San Giovanni Valdarno, ora Firenze, 1975, ill. M. Fagioli: Guido Pinzani, nell’assillo della scultura, Masso delle Fate Edizioni, Firenze, 2008, p. 37
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CAPITANO DI VENTURA 1972
Bronzo, esemplare unico | Bronze, one of a kind 102 x 22 x 20 cm PROVENANCE The artist’s studio, Firenze Galleria Open Art, Prato MART - Museo Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto, Collezione VAF-Stiftung LITERATURE M. Fagioli: Guido Pinzani, nell’assillo della scultura, Masso delle Fate Edizioni, Firenze, 2008, p. 39 Catalogo della mostra personale presso la Galleria Il Ponte, San Giovanni Val d’Arno (ora Firenze), 1975
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Catalogo della mostra personale presso la Galleria Il Ponte, San Giovanni Val d’Arno (ora Firenze), 1975 Cover of the catalogue of the exhibition at Galleria il Ponte, San Giovanni Val d’Arno (now Florence), 1975
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GRANDE SAMURAI 1972
Legno policromo | Polychromatic wood 200 x 87 x 45 cm PROVENANCE The artist’s studio, Firenze Galleria Open Art, Prato LITERATURE M. Fagioli: Guido Pinzani, nell’assillo della scultura, Masso delle Fate Edizioni, Firenze, 2008, p. 40
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RITO 1975
Legno policromo | Polychromatic wood 187 x 63 x 37 cm PROVENANCE The artist’s studio, Firenze Galleria Open Art, Prato
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GRANDE DIAVOLO 1976
Bronzo, esemplare unico | Bronze, one of a kind 220 x 41 x 40 cm PROVENANCE The artist’s studio, Firenze Galleria Open Art, Prato LITERATURE M. Fagioli: Guido Pinzani, nell’assillo della scultura, Masso delle Fate Edizioni, Firenze, 2008, p. 46
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Partendo da imponenti blocchi in pietra serena, nel 1977 l’artista realizza altari, sedili, tabernacoli e acquasantiere su committenza di Padre Leonardo Tasselli, divenuto nel 1958 Direttore Nazionale della Guardia d’Onore del Cuore Immacolato di Maria per l’Italia e principale fautore, 7 anni più tardi, della costruzione del Santuario del Cuore Immacolato di Maria, sito in Valdragone di San Marino. La struttura a pianta centrale del Santuario, luogo nel quale sono collocate le opere frutto di diversi anni di lavoro di Pinzani, stimola la vis creativa dello scultore, il quale, su indicazione di Padre Tasselli, intellettuale illuminato e appassionato d’arte, crea un corpus di opere che si rivela in quel contesto una presenza discreta ma estremamente elegante, portatrice di un sintetismo formale perfettamente affine all’architettura del Santuario; è di Pinzani il disegno circolare su cui si sviluppa l’architettura dell’altare centrale e il cerchio diviene l’elemento unificatore, il leitmotiv stilistico, che caratterizza e lega tra loro ciascuna delle opere realizzate dallo sculture per il Santuario. Beginning from large blocks of pietra serena, in 1977 the artist executed altars, chairs, tabernacles and holy water fonts for the Sanctuary of the Immaculate Heart of Mary. These works were commissioned by Father Leonardo Tasselli, who in 1958 became Italian national director of the Guardia d’Onore del Cuore Immacolato di Maria and who seven years later was the driving force behind the construction of the Sanctuary, located in Valdragone, San Marino. Over the span of a number of years, Pinzani executed various works for the Sanctuary, whose central plan indeed spurred the artist’s creative impulse. Aided by Father Tasselli, an enlightened intellectual with a passion for art, Pinzani created a series of works which in this setting appear discreet yet extremely elegant, introducing a formal synthetism that blends perfectly with the architecture of the Sanctuary. Pinzani conceived the circular design from which develops the architecture of the main altar; the circle becomes a unifying element, a stylistic leitmotif that characterizes and ties together each of the works executed by the sculptor for the Sanctuary. 38
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Con il maestro scalpellino Guido Mazzoni, 1975, durante la realizzazione dei leggii per il Santuario del Cuore Immacolato di Maria. With the master stonecutter Guido Mazzoni, 1975, during the realization of the lecterns for the Sanctuary of the Immaculate Hearth of Mary.
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TORSO VIRILE 1978
Bronzo, esemplare unico | Bronze, one of a kind 100 x 40 x 15 cm PROVENANCE Collection the artist, Firenze Galleria Open Art, Prato
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GRANDE NUDO 1979
Bronzo, esemplare unico | Bronze, one of a kind 117 x 26,5 x 42 cm PROVENANCE Collection the artist, Firenze Galleria Open Art, Prato
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IMMAGINE VERTICALE IN FORMA DI RONIN 1979
Legno policromo | Polychromatic wood 200 x 52 x 25 cm PROVENANCE The artist’s studio, Firenze Galleria Open Art, Prato LITERATURE M. Fagioli: Guido Pinzani, nell’assillo della scultura, Masso delle Fate Edizioni, Firenze, 2008, p. 53
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GRANDE BAGNANTE DELLE ISOLE BORROMEE 1982
Legno policromo | Polychromatic wood 214 x 59,5 x 59,5 cm PROVENANCE Collection the artist, Firenze Galleria Open Art, Prato MART - Museo Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto, Collezione VAF-Stiftung
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IL CANTORE 1982
Bronzo, esemplare unico (base in pietra serena) | Bronze, one of a kind (sandstone base) 24 x 31 x 25,5 cm PROVENANCE The artist’s studio, Firenze Galleria Open Art, Prato
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ALARICO 1984
Bronzo, esemplare unico (base in acciaio) | Bronze, one of a kind (steel base) 60,5 x 39 x 25 cm PROVENANCE The artist’s studio, Firenze Galleria Open Art, Prato
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«Intorno a questo periodo, accadde che Roma fu espugnata dai Barbari; infatti, un certo Alarico, un barbaro che era stato alleato dei Romani, e che aveva servito come alleato dell’Imperatore Teodosio nella guerra contro l’usurpatore Eugenio, essendo per la sua collaborazione stato onorato con dignità romane, [...] ritirandosi da Costantinopoli, arrivò alle parti occidentali, e giunto in Illirico devastò immediatamente l’intera nazione. Durante la marcia, tuttavia, gli abitanti della Tessaglia gli si opposero alle foci del fiume Peneo, [...] uccidendo all’incirca tremila dei suoi uomini. Dopo ciò i Barbari che erano con lui devastarono tutto nella loro avanzata, giungendo infine ad espugnare la stessa Roma[...].» (Socrate Scolastico, Storia Ecclesiastica, VII,6.)
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ELMO DEL SAMURAI 1985
Bronzo, esemplare 2/2 (base in acciaio) | Bronze, 2/2 (steel base) 108,5 x 28 x 21 cm PROVENANCE The artist’s studio, Firenze Galleria Open Art, Prato
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Fotogramma dal film Ran, 1985, di Akira Kurosawa. A still from the movie Ran, 1985, directed by Akira Kurosawa.
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Fotogramma dal film Il Trono di Sangue, 1957, di Akira Kurosawa. A still from the movie Throne of Blood, 1957, directed by Akira Kurosawa.
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FIGURA PAESAGGIO 1989
Bronzo, esemplare unico | Bronze, one of a kind 40 x 98 x 15,5 cm PROVENANCE The artist’s studio, Firenze Galleria Open Art, Prato
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NUDO PAESAGGIO 1989
Bronzo, esemplare unico | Bronze, one of a kind 34 x 105 x 24 cm PROVENANCE The artist’s studio, Firenze Galleria Open Art, Prato
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NUOTATRICE 1990
Bronzo, esemplare unico | Bronze, one of a kind 42 x 93 x 18 cm PROVENANCE The artist’s studio, Firenze Galleria Open Art, Prato
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RONIN 1999
Legno | Wood 108,5 x 44 x 31 cm PROVENANCE The artist’s studio, Firenze Galleria Open Art, Prato LITERATURE W. Weishan, C. Acidini, A. Di Tommaso, Y. Dongwei, V. Santoianni: La Via della Scultura, Qingdao Sculpture Art Museum, Qingdao, 24 novembre 2018 - 23 dicembre 2018, p. 83
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L’ARRINGATORE 2000
Bronzo, esemplare unico | Bronze, one of a kind 114 x 43 x 34 cm PROVENANCE The artist’s studio, Firenze Galleria Open Art, Prato
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«[…] Guido Pinzani, formatosi chiaramente nel contesto artistico del Novecento, ha rivolto la sua curiosità soprattutto alle immagini del passato. Ciò avviene, ad esempio, nelle tre dimensioni de l’Arringatore, bronzo del 2000 con il corpo ricco di movimento e di sottile memoria, che sarebbe bello vedere accanto all’originale etrusco, praticamente integro, espressione di una fase di dinamiche storiche ancora in crescita» Fiorenzo Copertini Amati La contraddizione dell’arte nell’opera di Guido Pinzani, 2018
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L’arringatore, bronzo, fine del II-inizi del I sec. a.C. “L’Arringatore”, bronze, late II-early I century B.C. © Museo archeologico nazionale, Firenze
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PICCOLA RELIQUIA 2002
Legno | Wood 67 x 30 x 22 cm PROVENANCE The artist’s studio, Firenze Galleria Open Art, Prato LITERATURE M. Fagioli: Guido Pinzani, nell’assillo della scultura, Masso delle Fate Edizioni, Firenze, 2008, p. 176 W. Weishan, C. Acidini, A. Di Tommaso, Y. Dongwei, V. Santoianni: La Via della Scultura, Qingdao Sculpture Art Museum, Qingdao, 24 novembre 2018 - 23 dicembre 2018, p. 80
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IL RONIN OBOSHI N. 1 (n. 38) 2002
Legno policromo | Polychromatic wood 114 x 43 x 14 cm PROVENANCE The artist’s studio, Firenze Galleria Open Art, Prato LITERATURE M. Fagioli: Guido Pinzani, nell’assillo della scultura, Masso delle Fate Edizioni, Firenze, 2008, p. 177
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Il Ronin Oboshi Yuranosuke Yoshio, from: 101 Great Samurai Prints by Utagawa Kuniyoshi, 2008, Dover Publications, Inc, New York. © 2008 by Dover Publications, Inc, New York.
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IL RONIN YAZAMA SHINROKU MITSUZAKE (n. 19) 2003
Legno policromo | Polychromatic wood 128 x 55 x 19 cm PROVENANCE The artist’s studio, Firenze Galleria Open Art, Prato LITERATURE M. Fagioli: Guido Pinzani, nell’assillo della scultura, Masso delle Fate Edizioni, Firenze, 2008, p. 197
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Il Ronin Yazama Shinroku Mitsuzake, from: 101 Great Samurai Prints by Utagawa Kuniyoshi, 2008, Dover Publications, Inc, New York. © 2008 by Dover Publications, Inc, New York.
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IL RONIN TAKENORI USHIODA MASANOJO (n. 38) 2005
Legno policromo | Polychromatic wood 140 x 44 x 24 cm PROVENANCE The artist’s studio, Firenze Galleria Open Art, Prato LITERATURE M. Fagioli: Guido Pinzani, nell’assillo della scultura, Masso delle Fate Edizioni, Firenze, 2008, p. 219
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Il Ronin Takenori Ushioda Masanojo, from: 101 Great Samurai Prints by Utagawa Kuniyoshi, 2008, Dover Publications, Inc, New York. © 2008 by Dover Publications, Inc, New York.
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Vista della mostra Guido Pinzani, nell’assillo della scultura, Galleria Open Art, Prato, 2008. Installation view of the exhibition Guido Pinzani, nell’assillo della scultura, Galleria Open Art, Prato, 2008.
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Guido Pinzani e l’amico e collega Walter Fusi durante l’inaugurazione della personale dello scultore presso la Galleria Open Art, Prato, 2008. Guido Pinzani and his friend and colleague Walter Fusi during the opening of his solo show at Galleria Open Art, Prato, 2008.
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Immagine di Copertina del catalogo per la mostra del 2016 presso la Galleria Open Art, intitolata: Guido Pinzani, Rotondo. Cover image of the catalogue of the exhibition held in 2016 at Galleria Open Art, entitled: Guido Pinzani, Rotondo.
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Vista della mostra Guido Pinzani, Rotondo, Galleria Open Art, Prato, 2016. Installation view of the exhibition Guido Pinzani, Rotondo, Galleria Open Art, Prato, 2016.
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Vista della mostra Guido Pinzani, Rotondo, Galleria Open Art, Prato, 2016. Installation view of the exhibition Guido Pinzani, Rotondo, Galleria Open Art, Prato, 2016.
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Vista della mostra Guido Pinzani, Rotondo, Galleria Open Art, Prato, 2016. Installation view of the exhibition Guido Pinzani, Rotondo, Galleria Open Art, Prato, 2016.
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IL SOGNO DEL POETA 2009
Legno | Wood 99 x 58 x 17 cm PROVENANCE The artist’s studio, Firenze Galleria Open Art, Prato LITERATURE W. Weishan, C. Acidini, A. Di Tommaso, Y. Dongwei, V. Santoianni: La Via della Scultura, Qingdao Sculpture Art Museum, Qingdao, 24 novembre 2018 - 23 dicembre 2018, p. 79
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RITMO LUNARE 2012
Legno policromo | Polychromatic wood 155 x 54 x 22,5 cm PROVENANCE The artist’s studio, Firenze Galleria Open Art, Prato LITERATURE W. Weishan, C. Acidini, A. Di Tommaso, Y. Dongwei, V. Santoianni: La Via della Scultura, Qingdao Sculpture Art Museum, Qingdao, 24 novembre 2018 - 23 dicembre 2018, p. 81
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Copertina del volume La Via della Scultura (24 novembre - 23 dicembre 2018), mostra patrocinata dall’Associazione di Arte e Cultura Contemporanea Cina e Italia, con sede presso il Qingdao Sculpture Art Museum di Qingdao. Cover of the volume “La Via della Scultura” (24 November - 23 December 2018), exhibition under the patronage of the Associazione di Arte e Cultura Contemporanea Cina e Italia, held at the Qingdao Sculpture Art Museum in Qingdao.
Nelle pagine ancora successive, la biografia di Pinzani tratta dal volume cinese e due viste della mostra con alcune delle opere dell’artista in esposizione. In the following pages, Pinzani’s biography taken from the Chinese volume and two installation views of the exhibition with some of the artist’s works on display.
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APPARATI | APPENDICES
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GUIDO PINZANI
BIOGRAFIA BIOGRAPHY
Guido Pinzani nasce a Firenze il 3 gennaio 1939. Negli anni ‘50 si iscrive al Liceo Artistico di Firenze e studia scultura sotto la guida del maestro Quinto Ghermandi, che sarà fondamentale per il suo orientamento stilistico. In questo periodo, frequentando i tagliapietre delle cave di Maiano, realizza le prime sculture in pietra che richiamano le Cariatidi di Amedeo Modigliani, artista che apprezza molto e al quale dedicherà la sua tesi di laurea. Oltre che da Modigliani, egli ricevette una determinante influenza da altri maestri: Alberto Viani, del quale Pinzani fu allievo presso l’Accademia delle belle arti di Venezia, lo scultore austriaco Fritz Wotruba, il pittore tedesco Oskar Schlemmer. Nel periodo successivo alla sua formazione, dopo un lungo viaggio in Germania, egli comincia a lavorare alla serie delle sculture dei Ronin, samurai senza padrone la cui passione nasce dalla curiosità di scoprire il mondo orientale dei film Rashomon e I sette samurai di Akira Kurosawa. Contemporaneamente alla sua attività di insegnante presso l’Accademia di Belle Arti di Urbino e presso il Liceo Artistico di Firenze, la sua carriera di scultore è caratterizzata da una brillante attività espositiva che si lega a doppio filo soprattutto con la Galleria Open Art di Prato (sede dell’Archivio Pinzani), presso la quale l’artista è stato protagonista di ben tre esposizioni personali. Nel periodo novembre-dicembre 2018, Pinzani ha esposto le proprie opere nel prestigioso contesto dello Qingdao Sculpture Museum, in occasione della mostra patrocinata dall’Associazione Arte e Cultura Cina e Italia intitolata La Via della Scultura. Guido Pinzani was born in Florence on 3 January 1939. In the 1950’s he enrolled at the Liceo Artistico of Florence, where he studied sculpture under the well-known sculptor Quinto Ghermandi, an experience which would be crucial in shaping his stylistic orientation. During this period, Pinzani visited the stonecutters of the quarries of Maiano and executed his first sculptures in stone. These works recall the “caryatids” of Amedeo Modigliani, whom Pinzani greatly admires and who was the subject of his thesis. In addition to Modigliani, Pinzani was influenced by other masters: Alberto Viani, who was Pinzani’s teacher at the Accademia delle belle arti in Venice, the Austrian sculptor Fritz Wotruba and the German painter Oskar Schlemmer. Following his formal training and then a long sojourn in Germany, he began working on a series of sculptures of rōnin, those samurai who had no masters. His passion for the subject was born of his curiosity about the East, which was stimulated by the films Rashomon and Seven Samurai by Akira Kurosawa. While teaching at the Accademia di Belle Arti in Urbino and at the Liceo Artistico in Florence, Pinzani pursued his career as sculptor, which has been characterized by a series of successful exhibitions, above all at the Galleria Open Art of Prato, to which the artist has a double connection: in addition to hosting three of his solo exhibitions, the Galleria houses the Pinzani Archive. From November to December 2018, he displayed his works in the prestigious setting of the Qingdao Sculpture Museum, on the occasion of the exhibition La Via della Scultura, sponsored by the Associazione Arte e Cultura Cina e Italia.
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PRINCIPALI MOSTRE PERSONALI SELECTED SOLO SHOWS
1967 - Nuova Università, Bochum, Germania.
Le sue opere sono presenti in Collezioni Pubbliche e Private. His works are present in public and private collections.
1968 - Galleria 2000, Bologna.
Elenco delle Collezioni Pubbliche: Public collections list:
1969 - Studio Internazionale d’arte grafica l’Arco, Macerata.
- Chiesa annessa alla “Casa San Giuseppe dei Frati Minori”, Valdragone (Repubblica di San Marino).
1975 - Palazzo Campana, Osimo (Ancona). - Galleria Il Ponte, San Giovanni Valdarno (Arezzo, ora Firenze).
- Galleria Comunale d’Arte Contemporanea, Arezzo.
1979 - Pinacoteca Comunale, Macerata.
- Galleria Regionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Sassoferrato (Ancona). - Monumento ai Caduti Partigiani, Polcanto (Firenze).
1980 - Galleria Centro Sud Arte, Scafati (Salerno). - Ricerca di un paesaggio. Acqueforti di Guido Pinzani, Galleria Comunale d’Arte Contemporanea, Arezzo.
- Monumento a San Francesco, Chiusi della Verna (Arezzo).
1982 - Guido Pinzani. Bronzi e incisioni, Studio Calcografico P. d’A, Firenze.
- Pinacoteca e Musei Civici, Macerata.
1983 - Galleria Rossi, Parma. 1985 - Circolo ACLI, Urbino. 1986 - Due scultori: A. Di Tommaso, G. Pinzani, Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo, Marina di Massa (Massa-Carrara).
- Museo d’Arte delle Generazioni italiane del ‘900 “G. Bargellini”, Pieve di Cento (Ferrara).
- Palazzo Campana, Osimo (Ancona). - Oratorio del “Sacro Cuore” in Vallina, Vallina (Firenze). - Raccolta di Arte Contemporanea del Comune di Firenze, Firenze. - Convento “San Bernardino”, Urbino. - Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, Collezione VAF-Stiftung.
1997 - Attraverso, Galleria Aurelio Stefanini, Firenze. 2008 - Nell’assillo della scultura - Galleria Open Art, Prato. 2016 - Guido Pinzani – Rotondo - Galleria Open Art, Prato.
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PRINCIPALI MOSTRE COLLETTIVE SELECTED GROUP SHOWS
1961 - Mostra degli scultori veneziani, Fondazione Bevilacqua la Masa, Venezia.
1974 - 28ª Biennale d’Arte città di Milano, Palazzo della Permanente, Milano.
1963 - Seminario Henraux per la scultura, Querceta (Lucca).
1975 - X Biennale Internazionale del Bronzetto, Padova.
1965 - Pinzani, Vardanega, Zambon, Galleria San Giovanni, Busto Arsizio. - 10 nuovi scultori italiani, Pinacoteca Civica, Lissone (Milano).
1977 - Concorso di arti figurative, Cassa di Risparmio, Piacenza. - VI Premio “Pontano”, Napoli.
1966 - Esposizione e proposte d’arte d’oggi, Garden House, Cinquale (Massa-Carrara). - Indicazioni 1966, Chiostro del Carmine, Firenze. - II Mostra Internazionale di scultura all’aperto, Fondazione Pagani, Milano.
1978 - 1ª Mostra Toscana/Scultura, Palagio Fiorentino, Stia (Arezzo). - XXVII Edizione del Premio Internazionale di pittura – scultura – grafica e libro d’artista “G. B. Salvi” e “Piccola Europa”, Palazzo Oliva, Sassoferrato (Ancona).
1967 - Premio di Scultura Francesca da Rimini, Rimini. - Premio Ramazzotti per il disegno, Palazzo Reale, Milano. - Prospettive 2, Galleria Due Mondi, Roma; Libreria Leonardo, Napoli; Palazzo dei Diamanti, Ferrara; Ridotto del Teatro Regio, Parma; Palazzo Pretorio, Prato; Galleria Comunale d’Arte Contemporanea, Arezzo.
1979 - Nuove presenze nella scultura toscana, Galleria Comunale d’Arte Contemporanea, Arezzo. - VI Mostra “Poggibonsi Arte”, Poggibonsi (Siena).
1968 - Premio di Scultura Francesca da Rimini, Rimini. - Rassegna Nazionale di Disegno “Appiano Gentile”, Appiano Gentile (Como). - 3 scultori: Fajardo, Pinzani, Scianca, Galleria Il Canale, Venezia. 1969 - Cinquantanovesima Biennale Nazionale di Verona, Verona. 1970 - 3 pittori 3 scultori, Casa di Raffaello, Urbino. 1971 - Scultura italiana contemporanea nel centro storico bolognese, presentata da Giuseppe Marchiori, Bologna. - 20° Premio del Fiorino, Palazzo Strozzi, Firenze. 1972 - Proposte di scultura, Galleria Stellaria, Firenze. - XXII Edizione del premio internazionale di pittura – scultura – grafica e libro d’artista “G. B. Salvi” e “Piccola Europa”, Palazzo Oliva, Sassoferrato (Ancona). 1973 - Benelli, Catano, Daniele, Guerra, Gattuso, Manco, Denis Olsen, Suzy Olsen, Perelli, Pietropia, Pinzani, Raffaele, Ragusa, Ranaldi. Nuove proposte di grafica, Palazzo Campana, Osimo (Ancona). 116
1980 - 2ª Mostra Toscana/Scultura, Palagio Fiorentino, Stia (Arezzo). 1984 - 29ª Biennale di Milano, Palazzo della Permanente, Milano. 1985 - Materia e Forme, Villa di “Poggio Reale”, Rufina (Firenze). 1986 - Dotti, Nocentini, Pinzani, Logge Vasari, Arezzo. - III Biennale Nazionale di Scultura, Palagio Fiorentino, Stia (Arezzo). 1987 - Materia e Forma, Villa di “Poggio Reale”, Rufina (Firenze). 1988 - 15ª Rassegna sestese di pittori-grafici-scultori, Circolo culturale “Il Tondo” M.C.L., Sesto Fiorentino (Firenze). 1989 - Nei labirinti della materia, Palazzo Farnese, Ortona (Chieti). 1993 - Artisti per la vita. Dipinti Sculture Grafica di contemporanei, Palazzo Lazzarini, Pesaro. 1994 - La più bella galleria d’Italia, V edizione, Palazzo degli Affari, Firenze.
1998 - Frisa – Firenze, Palazzo Caccianini, Frisa. - Misure uniche per una collezione. Parte seconda, Palazzo Ducale, Revere (Mantova), ottobre - novembre 1998; Pio Sodalizio dei Piceni, Roma, gennaio -febbraio 1999; Museo Internazionale dell’Immagine Postale, Belvedere Ostrense (Ancona), marzo - aprile 1999. 1999 - Gli scultori dell’Accademia delle Arti del Disegno, Sala delle Esposizioni dell’Accademia delle Arti e del Disegno, Firenze. - Galleria Aurelio Stefanini, Firenze. 2000 - Arte Sacra Contemporanea, Chiostro della Chiesa di San Domenico, Pistoia. 2001 - Arte Internazionale a Prato, Galleria Open Art, Prato. - Kunstmesse Salzburg, Museum der Moderne auf dem Mönchsberg, Salzburg. 2002 - Collettiva Artisti della Galleria, Galleria Open Art, Prato. - Misura unica per una collezione: pittura del secondo Novecento della collezione Fiocchi nel cantiere di Palazzo Tiranni Castracane, Palazzo Tiranni-Castracane, Cagli (Pesaro-Urbino). 2003 - Arte Sacra Contemporanea, Chiostro della Chiesa di San Domenico, Pistoia. - De statua. Aspetti della Scultura Italiana del Novecento, Galleria Open Art, Prato. 2004 - Dipinti, disegni e sculture del sec. XIX e XX. Arredi e mobili antichi, Pandolfini Casa d’Aste, Firenze. - Kunstart - Bolzano - Galleria Open Art, Prato. - Expoarte - Montichiari (Brescia) - Galleria Open Art, Prato. - Immagina Arte In Fiera - Reggio Emilia - Galleria Open Art Prato.
2006 - Arte Sacra Pistoia. III Biennale Nazionale. Rassegna di opere contemporanee di pittura e scultura, Chiostro di San Francesco, Pistoia. - Artisti per l’Unicef. Asta di dipinti, sculture, ceramiche, disegni di importanti artisti moderni e contemporanei donati per l’Unicef, Sala Mitoraj, Municipio di Pietrasanta (Lucca). - Bergamo Arte - Galleria Open Art, Prato. - Vicenza Arte - Galleria Open Art, Prato. 2007 - Importanti sculture dalla Grecia classica al contemporaneo, Casa d’Aste Finarte, Milano. - Rinnovamento nella tradizione. Antonio di Tommaso, Gabriele Perugini, Guido Pinzani, Antonio Violano, Sala delle Esposizioni dell’Accademia delle Arti e del Disegno, Firenze. - Arte Firenze - Galleria Open Art, Prato. - Bergamo Arte - Galleria Open Art, Prato. - Vicenza Arte - Galleria Open Art, Prato. 2008 – 2016 - ArtVerona - Galleria Open Art, Prato. 2017 - Nove Scultori dell’Accademia delle arti del disegno – Accabì Hospital Burresi, Poggibonsi. - Utopia e Progetto, Galleria Open Art, Prato. 2018 - ArtVerona - Galleria Open Art, Prato. - Flashback, Torino - Galleria Open Art, Prato. - Qingdao Sculpture Art Museum, Qingdao, China. 2019 - ArtVerona - Galleria Open Art, Prato. - Flashback, Torino - Galleria Open Art, Prato.
2005 - Una collezione internazionale di piccole sculture del secondo Novecento, Castello Scaligero, Malcesine (Verona). - Vicenza Arte - Galleria Open Art, Prato - Kunstart - Bolzano - Galleria Open Art, Prato. - Expoarte - Montichiari (Brescia) - Galleria Open Art, Prato. - Immagina Arte In Fiera - Reggio Emilia - Galleria Open Art, Prato.
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RINGRAZIAMENTI ACKNOWLEDGEMENTS Antonio Frintino Volker Feierabend Vittorio Santoianni Gloria Secci Ilaria e Martina Stefanini Franco Tonato Klaus Wolbert e a tutti coloro che hanno voluto mantenere l’anonimato and all the others who wish to remain anonymous Un particolare ringraziamento a Special thanks to MART Museo Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto In collaborazione con In collaboration with Archivio Guido Pinzani
via Mugellese, 42 50010 Capalle (FI) - ITALY Tel. +39 055 898247 - 8985619 Fax +39 055 898251 e-mail: info@ilcampionario.it
Viale della Repubblica, 24 - 59100 Prato (PO) tel. +39 0574 538003 / +39 0574 537808 galleria@openart.it
www.openart.it
Finito di stampare nel mese di gennaio 2020 presso Printing completed in January 2020 by Tap Grafiche - Poggibonsi (SI)