SOMAINI
FRANCESCO SOMAINI La stagione americana The American Season testo di | text by Francesco Tedeschi
GALLERIA OPEN ART PRATO
FRANCESCO SOMAINI La stagione americana The American Season
GALLERIA OPEN ART, PRATO 24 novembre 2018 - 9 febbraio 2019 24 November 2018 - 9 February 2019
Testo di | Text by Francesco Tedeschi Schede opere e apparati a cura di Information sheets and appendices by Chiara Rampoldi, Archivio Francesco Somaini Produzione e coordinamento Production and coordination Mauro Stefanini Realizzazione grafica | Graphics-layout Andrea Giurintano Supervisione | Supervision Giovanni Carfagnini Traduzione e revisione in lingua inglese Translation and English-language editing Paula Elise Boomsliter per Lexis srl, Firenze Edizioni | Publisher Carlo Cambi Editore, Poggibonsi (SI) Digital cromalin | Digital Chromalin Tap Grafiche, Poggibonsi (SI) Stampa | Printing Tap Grafiche, Poggibonsi (SI) Assicurazioni | Insurance
Uffici stampa | Press offices CSArt-Comunicazione per l’Arte, Reggio Emilia
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Copertina | Cover Francesco Somaini Affermativa II. Orizzontale II 1958
Le sculture presenti su questo volume saranno pubblicate sul catalogo ragionato di prossima pubblicazione.
Bronzo in bagno di nichel su base originale in legno Nickel-bath plated bronze on original wooden base 19 x 23 x 14 cm
The sculptures reproduced in this volume will be included in the soon-to-be-published catalogue raisonné.
INDICE CONTENTS
FRANCESCO SOMAINI La stagione americana The American Season 1 Introduzione 1 Introduction Luisa Somaini 3 Testo critico 4 Critic text Francesco Tedeschi 23 Sculture 23 Sculptures 103 Opere su carta 103 Work on paper
Apparati | Appendices 119 Biografia 118 Biography 120 Somaini nel mondo: musei 120 Somaini in the World: Museums 121 Somaini nel mondo: opere nei luoghi pubblici 121 Somaini in the World: Public Spaces
INTRODUCTION
This important personal show of the works of Francesco Somaini proposed by Galleria Open Art of Prato renders a summary survey of the motifs that characterised the various phases of the Lombard sculptor’s informal season in examples selected from his Verticali, Orizzontali and Oblique and his Martìri and Feriti cycles and from his later Memorie dell’Apocalisse, Racconti and Figure di Fuoco. Most of these works are from U.S. collections or were shown at the artist’s exhibitions abroad during his informal period. Herein, they are discussed by Francesco Tedeschi, who continues his study of the fortunes of Italian art in the U.S. and the works brought together at the New York New York. Arte Italiana. La riscoperta dell’America exhibition which he curated and staged in Milan at the Museo del Novecento and at the Gallerie d’Italia in 2017. Among the works on exhibit here are also several examples from the series of motifs begun by Somaini after that ‘informal season’, such as the Bozzetti del monumento ai Marinai d’Italia of Milan and the Cadute dell’uomo and the Da Sotto series. These works are all linked to his reflections on the relationship between sculpture, architecture and the urban context, triggered by his contact with U.S. culture during his numerous trips to the States and developed through his collaborative experiences with architects, which led him to create monumental works for the cities of Atlanta, Baltimore and Rochester. This subject was addressed in depth by the exhibition held at La Triennale di Milano in 2017, entitled Francesco Somaini. Uno scultore per la città. New York 1967-76 and curated by Enrico Crispolti and myself. Luisa Somaini Archivio Francesco Somaini
INTRODUZIONE
L’importante personale di Somaini, proposta dalla galleria Open Art di Prato, documenta in grande sintesi le serie di motivi che hanno caratterizzato le varie fasi della stagione informale dello scultore lombardo, con esemplari scelti delle Verticali, delle Orizzontali e delle Oblique, dei Martìri e dei Feriti, delle successive Memorie dell’Apocalisse, dei Racconti e delle Figure di Fuoco. Opere che, in buona parte, sono state in collezioni americane o sono state esposte nelle mostre che l’artista ha effettuato oltreoceano in quegli anni. Ne scrive ora Francesco Tedeschi, proseguendo i suoi studi sulla fortuna dell’arte italiana negli USA, confluiti nella mostra “New York New York. Arte Italiana. La riscoperta dell’America”, da lui curata e allestita al Museo del Novecento e alle Gallerie d’Italia di Milano nel 2017. Tra le opere esposte figurano anche alcuni esemplari delle serie di motivi avviati da Somaini dopo la stagione informale, come i Bozzetti del monumento ai Marinai d’Italia di Milano, le Cadute dell’uomo e i Da Sotto, legati alla riflessione sul rapporto tra scultura, architettura e contesto urbano, innescata dal contatto con la cultura americana durante i numerosi viaggi compiuti negli Stati Uniti e maturata nel corso delle esperienze di collaborazione con gli architetti, che lo hanno condotto alla realizzazione di opere monumentali per le città di Atlanta, Baltimora e Rochester. Argomento, questo, affrontato nella mostra allestita alla Triennale di Milano nel 2017 “Francesco Somaini. Uno scultore per la città. New York 1967-76”, curata da Enrico Crispolti e da chi scrive. Luisa Somaini Archivio Francesco Somaini
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L’artista ritratto nel suo studio, anni ‘60. The artist in his studio, 1960s. photo by A. Barilli - Studio Fotografico Barilli-Milano Courtesy Archivio Francesco Somaini
FRANCESCO SOMAINI
La stagione americana (o Memorie dell’“età del ferro”)
Le opere di Francesco Somaini selezionate per questa occasione rappresentano al meglio una fase determinante della sua attività e aiutano a comprendere il grado di interesse da esse suscitato in un pubblico sempre più attento ed esigente come quello del collezionismo americano del secondo dopoguerra. In esse sono al più alto grado evidenziati i caratteri portanti della sua scultura nel periodo fra gli anni Cinquanta e Sessanta, quando il tema della materia, della sua forza di affermazione quale sostanza della forma, oltre che sintomo di energia, sempre soggetta e guidata da una mano e da una sensibilità che cercano di trarre il massimo dell’espressività da un costituirsi del frammento in immagine, è matrice e frutto di una serie di proposte in cui entrano in gioco le possibilità di una scultura che unisca immediatezza e costruzione, gestualità e progetto. Si può parlare per esse, come si è fatto, di un carattere o di un’ascendenza informale, per quanto questo termine, di atmosfera estetica e stilistica, sia sempre soggetto a valutazioni problematiche, soprattutto nel parlare di scultura, e di una scultura che, rispetto al tratto gestuale e immediato dell’azione creatrice, comporta comunque un grado di raffreddamento, nella necessaria composizione, cui l’artista che opera, come Somaini fa, attraverso una ricerca di equilibrio fra le esigenze della materia e il controllo della tecnica e della strutturazione delle forme, necessariamente aspira. Lo dimostrano le stesse denominazioni e caratterizzazioni dei cicli cui egli ha dato vita, espressione delle logiche interne che generano un dialogo fra le diverse componenti di una scultura che riprende, a suo modo, il filo con una tradizione plastica che dal Futurismo al barocco berniniano, alle memorie della scultura gotica, recupera la sapienza del rapporto tra materia e luce, tra dinamismo e arresto in figura esemplare, all’interno di quella che può essere definita una nuova “età del ferro”. Questa, su cui si tornerà più avanti, è definizione di una temperie che si può riconoscere proprio nel confronto con la contemporanea scultura americana, la quale si muove su binari solo apparentemente paralleli. Il rapporto con la situazione artistica americana è al centro dell’attenzione in questo caso, come denota la provenienza di alcune di queste opere da collezioni statunitensi e dalla partecipazione di molte di queste sculture alle mostre tenute da Somaini negli Stati Uniti in quegli anni, come è stato ben ricostruito attraverso le ricerche svolte dall’archivio dell’artista in preparazione del catalogo generale delle sue opere scultoree, e come ha molto efficacemente raccontato Beatrice Borromeo Aiazzi nel testo pubblicato in occasione della recente mostra alla Triennale di Milano1. Per certi versi, questa mostra si ricollega a quella, in cui erano messe in luce, anche attraverso documenti inediti, le ragioni di una ideale restituzione di valore interrogativo e propositivo affidato alla scultura nel contesto di una critica alle forme di urbanizzazione diffuse nelle metropoli, in particolare quelle americane, nei progetti plastici ideati da Somaini a partire dalla fine degli anni Sessanta. Più specificamente, il materiale qui proposto si va a sovrapporre al percorso proposto nella precedente esposizione ospitata dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, dedicata appunto al “periodo informale” dell’artista2. Tale scelta di opere può però valere proprio a riprendere considerazioni sul rapporto di Somaini con il collezionismo, la scultura e la critica americana del periodo fra gli anni Cinquanta e Sessanta, come ulteriore elemento di riflessione sul ruolo che l’arte italiana ha assunto in quegli anni negli Stati Uniti. A suo modo, la scultura di Somaini partecipa infatti di un tema critico allargato, all’interno del quale la definizione della sua identità si precisa nel confronto con le posizioni esposte nell’ambito delle poetiche dell’informale quale definizione di un problema estetico, e nel confronto con il mondo americano, inteso sia sotto il profilo della sua qualificazione di ambito collezionistico e museale, sia per la complessa reazione che la frequentazione del mondo artistico e di alcune città degli Stati Uniti produce nell’artista, nell’arco di alcuni anni.
1 Cfr. B. Borromoeo Aiazzi, Travelling in USA. Cronaca di opere e di giorni, in Francesco Somaini. Uno scultore per la città. New York 1967-1976, cat. della mostra, a cura di E. Crispolti, L. Somaini, Triennale di Milano, Milano, 13 gennaio-5 febbraio 2017 (Skira, Milano, 2017), pp. 157-179. 2 Cfr. Francesco Somaini. Il periodo informale 1957-1964, cat. della mostra, a cura di M. Margozzi e L. Somaini, 20 settembre-25 novembre 2007 (Electa, Milano, 2007).
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FRANCESCO SOMAINI
The American Season (or, Memories of the ‘Iron Age’)
The works of Francesco Somaini selected for this occasion represent the best of a determinant phase of the artist’s activity and help us understand the degree of interest those works aroused in an ever-more attentive and demanding public, as was that of the post-war American collectors. To the nth degree, these works evince the driving forces of Somaini’s sculpture in the period straddling the Fifties and the Sixties, when the theme of materials and their affirmative power as form in substance, besides being a symptom of an energy that was always subject to and guided by a hand and by a sensitivity that attempted to draw the maximum expressivity from the constitution of the fragment in image, was at once the matrix and the fruit of a series of proposals that called into play the potentials of a sculpture uniting immediacy and construction, gestural character and design. In their regard, as many have done, we might speak of an ‘informal’ character or ascendency, however much the term ‘informal’, smacking as it does of aesthetics or of ‘style’, is always a problematical subject for assessment. This is true above all when we are speaking of sculpture, and especially of a sculpture whose composition, with respect to the gestural and immediate stroke of the act of creating, in any case entails a degree of ‘coolingoff’ that is necessary to its composition and to which the artist whose work, as does Somaini’s, based as it is on a quest for a balance between the exigencies imposed by the material and control of technique and the structuring of the forms, necessarily aspires. Demonstrations of this fact come from the very denominations and characterisations of the cycles to which he has given form as an expression of internal logical processes that generate a dialogue between the different components of a sculpture which, in its own way, picks up the thread of a tradition in plastic art which from Futurism to Bernini’s Baroque to recollections of the Gothic recovers an awareness of the relationship between matter and light, between dynamism and the full stop, in exemplary figures produced during what could be defined as a new ‘Iron Age’. This aspect, to which we will return later on, is the definition of a climate or mood that is recognizable in the comparison with contemporary American sculpture, which moved along tracks that were only apparently parallel. The relationship with the situation in American art is the centre of attention in this case, as is denoted by the provenance of several of these works from U.S. collections and by the fact that many of these sculptures were shown in exhibitions held by Somaini in the U.S. in those years. This presence was well-reconstructed through the research conducted in the artist’s archives for preparation of the general catalogue of his sculptural works and has been very effectively recounted by Beatrice Borromeo Aiazzi in the text published on occasion of the recent show at the Triennale di Milano.1 In some ways, this exhibition can be linked to that one, which pointed up, in part through presentation of ‘new’ documents, the reasoning behind an ideal rendering of the interrogative and propositive values attributed to sculpture in the context of the criticism, implied by the plastic projects conceived by Somaini from the late Sixties onward, of forms of urbanisation that were widespread in the metropolises and in U.S. cities in particular. Even more specifically, the material proposed here overlaps the specific object of a previous exhibition dedicated to the artist’s ‘informal period’ at the Galleria Nazionale d’Arte Moderna in Rome.2 This selection of works can, however, also serve as a stimulus to again consider Somaini’s relationship with American collecting, sculpture and criticism in the Fifties and Sixties; as an additional consideration in reflection on the role played by Italian art in the U.S. in those years. In its own way, Somaini’s sculpture is a player on a wider critical stage on which the definition of his identity emerges more precisely through comparison with the various positions put forward in regard of the poetics of the ‘informal’, such as definition of an aesthetic problem, and through comparison with the American world understood in terms both of its qualification as a collectors’ and museum milieu and of the complex reaction that frequentation of
1 Cf. B. Borromoeo Aiazzi, ‘Travelling in USA. Cronaca di opere e di giorni’ in Francesco Somaini. Uno scultore per la città. New York 1967-1976, catalogue of the exhibition curated by E. Crispolti and L. Somaini at the Triennale di Milano, Milan, 13 January-5 February 2017 (Milan, Skira, 2017), pp. 157-179. 2 Cf. Francesco Somaini. Il periodo informale 1957-1964, catalogue of the exhibition curated by M. Margozzi and L. Somaini, 20 September -25 November 2007 (Milan, Electa, 2007).
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Copertina del catalogo della mostra Somaini alla Galleria Odyssia di New York, 1964. Cover of the catalogue of the exhibition Somaini at the Galleria Odyssia of New York, 1964. Courtesy Archivio Francesco Somaini
Phoenix, 1964-70, bronzo con lucidi parziali, 470x380x380cm, Atlanta, First National Bank (collocazione originaria). Phoenix, 1964-70, bronze with polished areas, 470 x 380 x 380 cm, Atlanta, First National Bank (original installation site). Photo by Leviton, Atlanta Courtesy Archivio Francesco Somaini
the art circles and of certain U.S. cities produced in the artist over the course of his several years’ strict relationships with that ambiance. The voice that accompanied Somaini at his first official presentation to the American public was that of Giulio Carlo Argan, in a text written for the artist’s personal exhibition at the Italian Cultural Institute of New York in May of 1960 which was later reprinted as the introduction to the artist’s personal room at the 1960 Venice Biennale. Argan begins his treatise with a definition of Somaini’s sculpture as ‘sculpture of the fragment’, recalling the artist’s affinity with the apocalyptic and relational characteristics of matter on a horizon line stretching from the beginning to the end of the world. An affinity seemingly very much in tune with the mood of the time, which Argan sees, substantially, in terms of the international positions of the aesthetic of the informal: ‘In Somaini’s sculpture, therefore, the process of fusion is not an imprint a posteriori; it is the process whereby the matter creates itself because it is the reality of a world which, in melting, has become reduced to this impure and smouldering fragment, as if an atomic explosion had taken place.’3 The stress on the technique adopted by the artist, which points to how the production of the work is followed through all its various stages with attention to its formal generation and not simply taken in as the outcome of a previous aggregation, served to remind the American (and not only American) public how in his working process the Italian artist proceeded according to rules of construction that do not recognise happenstance but interpret happenings within the bounds of a precise desire for representation. This was manifest, in particular, in Somaini’s personal room at the 1960 Venice Biennale, which showed works he created with in mind the needs of formal structuring as well as of valorising the outcomes of the new experimentation with materials and even with the tools of the ‘subtractive’ creative process.4 This observation can prove useful to rereading a thought concerning the ‘difficulties’ of contemporary sculpture advanced by Argan some years before in an essay in which he questioned the reasons why Italian sculpture was fated to stand up in defence of a ‘tradition’ to be read as lying within modernity and as not opposing it.5 That essay, which moved from recording a crisis in sculpture following on the monumental style of the Thirties and Arturo Martini’s pronouncements on sculpture as a ‘dead language’, was impregnated, linguistically and otherwise, by research into a new formal vocabulary that could stand beyond the prerogatives of Cubism and Abstractionism; a vocabulary in which the ‘creative path’ would already seem to allude to the procedures of informal art in valorising matter as the identity of sculpture: ‘That sculpture […] no longer sets out from nature or from the object but from the reality given to immediate perception, from matter; [Somaini’s] process is a process of development or of growth of matter via the human experience which acts within it; the result is definition of a new matter which […] is a de facto plastic or spatial material’;6 further, Argan identifies Somaini’s ‘object’ as ‘something which from the interior projects outward and impresses itself in reality, inserts itself into his process and participates in its devenir’.7 The concept of devenir or ‘becoming’ was also very dear to Michel Tapié, who used it in the 1950s – associated with the qualification ‘autre’ – to indicate how the new art which welled up from profound and unexpected urges must be seen as and considered to be in a condition of continual vitality by effect of its link with the change underway in its configuration. Tapié’s two critical essays on Somaini’s work in that period defend the priorities of the form even in such a context.8 Returning to Argan’s essay, his thoughts might lead us to verify whether that ‘fate’ of Italian sculpture can be considered valid even within the framework of the situation in the late 1950s, when informal sculpture could aspire to demonstrating the continuity of a compositive and constructive register that availed itself of techniques and materials tending to represent a form of ‘tradition’ – which we could define as a ‘tradition of the modern’ 3 G. C. Argan, Somaini, catalogue of the exhibition held at the Italian Cultural Institute, New York, 9-21 May 1960. 4 As clearly delineated in L. Somaini, ‘Cronaca di opere e giorni’ in Somaini. Le grandi opere. Realizzazioni Progetti Utopie, catalogue of the exhibition curated by E. Crispolti and L. Somaini, Accademia di Belle Arti di Brera, Milan, 30 October-9 December 1997 (Milan, Electa, 1997), pp. 304-341, and ‘In these years (1955-1963), Somaini’s path toward the informal language coincided with use of certain techniques and materials. The sculptor fabricated his own tools (spheres, cylinders of various dimensions, grafted onto a handle) which, heated to incandescence, allowed him to “excavate” massive blocks of clay until, of times, obtaining arching membranes and cancelling out any trace of fire from the surfaces . . .’, ibid., p. 309. 5 Cf. G. C. Argan, ‘Difficoltà della scultura’ (1949) in Studi e note (Milan, F.lli Bocca, 1955), pp. 57-77. 6 Ibid. p. 63. 7 Ibid. p. 64 8 Cf. M. Tapié, Sculture di Somaini, catalogue of the exhibition held at the Galleria Notizie, Turin, 1959, and M. Tapié, Francesco Somaini, (Neuchâtel, Les Editions du Griffon, 1960) in relation to his theoretical texts, among which ‘Estetica in divenire’ (1956) now in M. Tapié de Céleyran, Un Art Autre e altri scritti di estetica 1946-1969, edited by M. Bandini (Milan, Nike, 2000).
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La voce che accompagna Somaini nella sua prima presentazione ufficiale al pubblico americano è quella di Giulio Carlo Argan, con il testo redatto per la personale che ha luogo nell’Istituto Italiano di Cultura di New York nel maggio 1960, poi ripreso a introduzione della sala personale dell’artista alla Biennale di Venezia del 1960. In apertura del suo scritto, Argan definisce quella di Somaini come “scultura del frammento”, richiamando la sua affinità con quei caratteri apocalittici e di rapporto con la materia, in un orizzonte da inizio e fine del mondo, che sembra così in sintonia con il sentimento del tempo, sostanzialmente vedendola in relazione con le posizioni internazionali dell’estetica dell’informale: “... il processo della fusione nella scultura di Somaini, non è un processo a posteriori, di stampo; è il processo stesso del costituirsi della materia perché è la realtà del mondo che, fondendo, si è ridotta a quel grumo impuro e fumante, come dopo un’esplosione atomica”3. La sottolineatura legata alla tecnica adottata dall’artista, che indica come la realizzazione dell’opera sia seguita nelle varie fasi del processo di esecuzione, con attenzione alla sua generazione formale, e non accolta come esito di una precedente aggregazione, vale a richiamare, al pubblico americano e non solo, come nel suo fare l’artista italiano proceda secondo regole costruttive che non si abbandonano alla casualità dell’accadere, ma lo interpretano, all’interno di una precisa volontà di rappresentazione. Questo si manifesta in particolare nella sala personale della Biennale di Venezia del 1960, dove sono presenti opere realizzate tenendo conto delle necessità della strutturazione formale, insieme alla valorizzazione degli esiti delle nuove sperimentazioni sui materiali e addirittura sugli strumenti del processo creativo “per levare”4. Tale rilievo può essere utile per rileggere una considerazione che lo stesso Argan aveva avanzato in un suo intervento di qualche anno precedente, a proposito delle “difficoltà” della scultura contemporanea, nel quale si interrogava sulle ragioni per cui alla scultura italiana spettasse in sorte di ergersi a difesa di una “tradizione” da leggersi all’interno della stessa modernità, e non contro di essa5. Quel saggio, che muoveva dalla registrazione di una crisi della scultura seguita al monumentalismo degli anni Trenta e alle affermazioni di Arturo Martini sulla scultura “lingua morta”, risultava impregnato, anche linguisticamente, della ricerca di un nuovo vocabolario formale, che si collocasse oltre le prerogative del cubismo e dell’astrattismo; vocabolario nel quale il percorso creativo sembra già alludere ai procedimenti dell’informale, nel valorizzare la materia quale identità della scultura: “Quella scultura […] non parte più dalla natura o dall’oggetto, ma dalla realtà quale si dà alla percezione immediata, dalla materia; il suo processo è un processo di sviluppo o di crescita della materia attraverso l’esperienza umana che agisce in essa; il risultato è la definizione di una nuova materia che […] è di fatto materia plastica o spaziale”6; e ancora, Argan andava a identificare il suo “oggetto” come “qualcosa che, dall’interno si proietta ed imprime nella realtà, s’inserisce nel suo processo e partecipa del suo divenire”7. Il concetto di “divenire” sarà molto caro anche a Michel Tapié, che lo userà negli anni Cinquanta, associato alla qualificazione di “autre”, per indicare come la nuova arte scaturita da pulsioni profonde e impreviste debba essere vista e considerata in una condizione di continua vitalità, per effetto del suo legame con il mutamento in atto nella sua configurazione. Somaini, nel percorso critico di Tapié, che interviene due volte sulla sua opera in quel frangente temporale, è giudicato un artista che difende le priorità della forma, anche in tale contesto8. Tornando al saggio di Argan, le sue considerazioni possono spingere a verificare se tale “destino” della scultura italiana possa valere anche nel quadro della situazione di fine anni Cinquanta, quando la scultura di carattere informale può ambire a dimostrare la continuità di un registro compositivo e costruttivo che si avvale di tecniche e materie che vanno a rappresentare una forma di “tradizione” – che potremmo definire la “tradizione del moderno” – rispetto all’emergere di altre possibilità di operare in termini tridimensionali, secondo la direzione dell’assemblaggio. Accanto a Somaini, alcuni altri scultori propongono, attraverso il ricorso a una possibile originarietà della materia e del processo costruttivo, analogie con forme plastiche 3 G. C. Argan, Somaini, cat. della mostra, Italian Cultural Institute, New York, 9-21 maggio 1960. 4 Come chiaramente delineato in L. Somaini, Cronaca di opere e giorni, in Somaini; le grandi opere. Realizzazioni Progetti Utopie, cat. della mostra, a cura di E. Crispolti e L. Somaini, Accademia di Belle Arti di Brera, Milano, 30 ottobre-9 dicembre 1997 (Electa, Milano, 1997), pp. 304-341: “In questi anni (1955-1963) il cammino di Somaini verso il linguaggio informale coincide con l’utilizzo di determinate tecniche e materiali. Lo scultore fabbrica i propri attrezzi (sfere, cilindri di varia misura, innestati su un manico) che arroventati permettono di scavare i blocchi di cera massiccia fino a ricavarne spesse membrane inarcate e di cancellare ogni traccia di tocco dalle superfici…”, ivi, p. 309. 5 Cfr. G. C. Argan, Difficoltà della scultura, (1949), in Studi e note, F.lli Bocca, Milano, 1955, pp. 57-77. 6 Idem, p. 63. 7 Idem, p. 64 8 Cfr. M. Tapié, Sculture di Somaini, cat. della mostra, Galleria Notizie, Torino, 1959; M. Tapié, Francesco Somaini, Ed. du Griffon, Neuchâtel, 1960), in relazione ai suoi testi teorici, tra cui in particolare Estetica in divenire (1956), ora in M. Tapié de Céleyran, Un Art Autre e altri scritti di estetica 1946-1969, a cura di M. Bandini, Nike, Milano, 2000.
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Vista della mostra Italian sculptors of today, 26 ottobre-27 novembre 1960, Museum of Contemporary Art, Dallas. A destra è visibile il Ferito versione semplice. Cannone, bronzo, 1960. A view of the Italian Sculptors of Today exhibition, 26 October-27 November 1960, Museum of Contemporary Art, Dallas. Ferito versione semplice. Cannone (bronze, 1960) is visible on the right. Photo by N. Bleecker Green Courtesy Archivio Francesco Somaini
che hanno a che fare con una direzione estetica del “divenire”, in una situazione che trova un terreno specifico di sviluppo in Italia. Pur diversi tra loro, gli scultori riuniti nella rassegna Italian Sculptors of Today, proposta nel 1960 al Museum of Contemporary Arts di Dallas, interpretano le diverse voci mediante le quali leggere la partecipazione specifica della scultura italiana a tale direzione di ricerca. Pur comprendendo forme di figurazione espressionista, con Minguzzi e Fazzini, ipotesi di astrazione organica, in Viani, svolgimenti in termini critici della stessa idea di forma plastica, in Consagra, si possono sottolineare i diversi aspetti di un dialogo con le poetiche dell’informale presenti nei lavori di Somaini, Milani, Mannucci, Garelli, Guerrini, Mastroianni, oltre che, in termini più specificamente segnici, nelle opere di Arnaldo e Giò Pomodoro. I dodici artisti scelti in quel caso a rappresentare una “scuola” dai confini necessariamente larghi, trovano, pur nelle singole vie da ciascuno percorse, un punto in comune nell’essere esponenti di una persistenza del mestiere di scultore, sia nei termini delle pratiche operative, sia nell’ambito dei materiali adottati, pur nelle corrispondenze con le caratteristiche estetiche di una scultura che trae le proprie ragioni espressive dalle proposte di ambito “informale”9. Probabilmente questo, che può apparire un minimo comun denominatore piuttosto labile, può invece essere fattore attivo nel riconoscimento della vitalità di una tradizione, che vede gli artisti italiani emergere anche per la diversità di approccio che propongono in un contesto internazionale, dove una scuola italiana di scultura si va definendo in modo più pronunciato rispetto al mondo francese, per esempio, trovandosi piuttosto in competizione, per quanto riguarda l’Europa, con la più unitaria area inglese, dove Henry Moore, Kenneth Armitage, Lynn Chadwick, Reg Butler, costituiscono un nucleo di riformatori della scultura figurativa in chiave esistenziale. Anche se i confronti non possono essere svolti secondo una competizione nazionalistica, di certo un’attenzione per la scultura italiana, che ha toccato in modo specifico l’opera di Somaini, può inserirsi in un quadro di apprezzamento per la cultura figurativa del nostro paese e il suo apporto alle ricerche artistiche del secondo dopoguerra, che le istituzioni americane hanno ampiamente espresso, a cominciare dall’importante rassegna XX Century Italian Art, ospitata al Museum of Modern Art di New York nel 1949, e che si è andato amplificando in un fitto susseguirsi di iniziative nel decennio successivo10. Questo può comprendersi sia in senso assoluto, attraverso una disamina dell’interesse per la sua opera, testimoniato dalla diffusa sua presenza nelle maggiori collezioni americane del tempo11, sia all’interno di una verifica attorno alle condizioni della scultura negli Stati Uniti. Qui, infatti, se lo stesso Clement Greenberg, tra i critici più attivi nel delineare le posizioni dell’arte americana del secondo dopoguerra, nel 1948 guardava specificamente alla scultura come possibile fonte di rinnovamento della cultura figurativa statunitense, ponendo David Smith accanto a Jackson Pollock tra i protagonisti di una nuova situazione e mostrando di apprezzare gli sviluppi recenti di una scultura “costruita”12, attiva soprattutto attraverso il ricorso a composizioni in ferro saldato, che aveva caratterizzato l’evoluzione di un gruppo di artisti partecipi della scuola di New York. In un testo coevo al momento al quale si è fatto finora riferimento, per esempio, Sam Hunter individua specificamente una “scultura dell’età del ferro”, fondata su pratiche di saldatura e fusione, nella quale egli include artisti come Ibram Lassaw, Seymour Lipton, David Hare, Herbert Ferber, Theodor Roszak, oltre naturalmente a David Smith. Per le caratteristiche dei loro lavori, legati alla concezione estetica e alle modalità d’uso dei materiali, Hunter riconosce nella loro operatività l’espressione di un’era industriale portata ai massimi livelli: “Iron and steel are both malleable and of a stubborn refractoriness: they may be easily cut, forged and shaped by the oxyacetylene torch, and they also powerfully assert their permanency, and arouse sensations directly related to our industrial age”13. Quella corrente ai nostri occhi è destinata ad essere surclassata in breve tempo dal neodadaismo e dalla Pop Art, a cominciare dal successo deputato a Rauschenberg nella mostra Art of Assemblage, organizzata dal Museum of Modern Art di New York nel 1961, ma ha una presenza considerevole in quegli anni, tanto da costituire un tentativo di trasposizione delle stesse ragioni dell’action painting 9 Cfr. Italian Sculptors of Today, a cura di D. MacAgy, direttore del Dallas Museum for Contemporary Arts, intr. di L. Venturi, The Dallas Museum for Contemporary Arts, Dallas (ed. Galleria Odyssia, Roma), 1960. 10 A questo proposito mi permetto di rimandare all’insieme dei contributi raccolti in New York New York. Arte Italiana. La riscoperta dell’America, cat. della mostra, a cura di F. Tedeschi, con F. Pola e F. Boragina, Museo del Novecento e Gallerie d’Italia – Piazza Scala, Milano, 13 aprile-17 settembre 2017 (Electa, Milano, 2017). 11 Per queste - tra le quali figurano Nelson A. e John D. Rockefeller, Lydia Kahn Winston Malbin, i coniugi Kreeger, l’architetto Philip Johnson - si rimanda al citato testo di Borromeo Aiazzi, 2017, e alle note delle opere di questo catalogo. 12 Cfr. C. Greenberg, La nuova scultura (1948/1958), in C. Greenberg, Arte e cultura, Allemandi, Torino, 1991 (ed. orig. Beacon Press, Boston, 1961), pp. 143-147 e ivi, David Smith (1956), pp. 193-196. 13 S. Hunter, Sculpture for an Iron Age, cap. 9 in Modern American Painting and Sculpture, The Minneapolis Institute of Arts, Laurel Edition, Minneapolis, 1959, p. 171.
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– as opposed to permitting the emergence of other possibilities for working in three-dimensions given by the direction of assembly. Alongside Somaini, several other sculptors also had recourse to a possible primacy of matter and the process of construction to propose analogies with plastic forms having to do with a direction in aesthetics leading toward ‘becoming’, in a situation that found a specific terroir for development in Italy. Although very different the ones from the others, the sculptors brought together at the Italian Sculptors of Today exhibition in 1960 at the Dallas Museum of Contemporary Arts interpreted the different voices in which the participation of Italian sculpture in that specific direction in research could be read. Although including forms of expressionistic figuration, with Minguzzi and Fazzini, hypotheses of organic abstraction, with Viani, and critical workups of a single idea of plastic form, in Consagra, these voices point up the various aspects of a dialogue with the poetics of informal art that runs through the works of Somaini, Milani, Mannucci, Garelli, Guerrini, Mastroianni, besides, in more explicitly signic terms, of Arnaldo and Giò Pomodoro. Despite the individuality of their paths, the twelve artists selected on that occasion to represent a ‘school’ with necessarily broad borders shared a point in common: they were all exponents of the persistence of the sculptor’s craft in terms both of working methods and of the materials adopted, despite the correspondences with the aesthetic characteristics of a sculpture that draws its expressive justifications from the proposals put forth in the ‘informal’ milieu.9 Although this may appear to be a somewhat labile minimum common denominator, it may nevertheless be seen as an active factor in the recognition accorded the vitality of a tradition which saw the Italian artists emerge due, in part, to the diversity of the approaches they proposed in the international context, where an Italian school of sculpture was being more markedly defined than was, say, a French school, and was finding itself in competition, rather, as far as Europe was concerned, with the more unitary English area, where Henry Moore, Kenneth Armitage, Lynn Chadwick and Reg Butler constituted a nucleus of existentially-keyed reformers of figurative sculpture. Even though comparisons cannot be drawn in terms of nationalistic competition, it is certainly true that a particular attention to Italian sculpture, one which specifically touched Somaini’s work, fall within the framework of that general appreciation of our country’s figurative culture and its contribution to artistic research in the post-war period that was amply expressed by the American institutions, first in the epochal Twentieth Century Italian Art exhibition held at the Museum of Modern Art of New York in 1949 and then in a rapid-fire crescendo of shows in the following decade.10 This may be understood both in an absolute sense, through close examination of the particular interest for Somaini’s work witnessed by his diffuse presence in the greatest American collections,11 and in the context of the condition of sculpture in the U.S. at the time. In 1948, Clement Greenberg, one of the critics most active in delineating the positions of post-war American art, looked specifically to sculpture as a possible source of renewal of U.S. figurative culture, placing David Smith alongside Jackson Pollock as a protagonist of a new situation and expressing his commendation of recent developments in ‘constructed’ sculpture12 and above all of the recourse to compositions in welded iron that had characterised the evolution of a group of New York School artists. For example, in a text coeval with the moment to which we have been referring, Sam Hunter described a characteristically ‘Iron Age sculpture’ founded on the techniques of welding and casting, under which heading he included such artists as Ibram Lassaw, Seymour Lipton, David Hare, Herbert Ferber and Theodor Roszak as well, naturally, David Smith. On the basis of the characteristics of their works, linked to their aesthetic conceptions and the manners in which they used their materials, Hunter saw in their work the expression of an industrial era raised to the highest levels: ‘Iron and steel are both malleable and of a stubborn refractoriness: they may be easily cut, forged and shaped by the oxyacetylene torch, and they also powerfully assert their permanency, and arouse sensations directly related to our industrial age.’13 That current – which to our eyes was outclassed in short order 9 Cf. Italian Sculptors of Today, catalogue of the exhibition curated by D. MacAgy, Director of the Dallas Museum for Contemporary Arts, introduction by L. Venturi, Dallas Museum for Contemporary Arts, Dallas (Rome, Galleria Odyssia, 1960). 10 In this connection, let me refer the reader to the essays collected in New York New York. Arte Italiana. La riscoperta dell’America, catalogue of the exhibition curated by F. Tedeschi with F. Pola and F. Boragina, Museo del Novecento and Gallerie d’Italia – Piazza Scala, Milan, 13 April-17 September 2017 (Milan, Electa, 2017). 11 For the collectors – which include Nelson A. and John D. Rockefeller, Lydia Kahn, Winston Malbin, the Kreegers and architect Philip Johnson – refer to Borromeo Aiazzi, op. cit., and the notes to the single works presented in this catalogue. 12 Cf. C. Greenberg, ‘La nuova scultura’ (1948/1958) in C. Greenberg, Arte e cultura (Turin, Allemandi, 1991) (original title: ‘The New Sculpture’ in Art and Culture: Critical Essays [Boston, Beacon Press, 1961]), pp. 143-147; ibid., ‘David Smith’ (1956), pp. 193-196. 13 S. Hunter (The Minneapolis Institute of Arts), ‘Sculpture for an Iron Age’, chapter 9 in Modern American Painting and Sculpture (New York, Dell Publishing, Laurel Edition, 1959), p. 171.
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in una scultura composta di elaborazioni in ferro saldato o rielaborato in officina, che apre la strada al grande ciclo realizzato da David Smith nel 1962 nella fabbrica dell’Italsider di Voltri e poi esposta nella mostra Sculture nella città a Spoleto. Al confluire di tali situazioni contrapposte, che vedono, in una lettura che potrebbe apparire semplificata, ma utile a cogliere gli umori in atto, rapidamente volgere l’estetica americana da una “età del ferro” (o industriale) ad una “età della plastica” (o dell’immagine mediatica), la posizione di artisti come Somaini può apparire quella di chi difende e afferma una concezione moderna, proveniente dall’Europa, ma che è figlia della storia e della tradizione, nella fattispecie italiana. Quello che caratterizza la sua opera in quel frangente è la coincidenza fra il ricorso ai processi tecnici che fanno parte della sua esperienza e della sua operatività e le tipologie delle idee formali che ne derivano. Come asserì Crispolti nel presentare la mostra personale dell’artista nella galleria Odyssia nel 1960, “la scultura di Somaini mi sembra affermi intrinsecamente una possibilità di celebrazione dell’operatività umana […], nel senso di dimostrare in atto lo svolgersi e la potenzialità di una tecnica, il suo formularsi ed emergere da una tesa dialettica con la materia (il piombo, il conglomerato ferrico, oggi soprattutto la ghisa), il cui ruolo è perciò, insolitamente, anziché epidermico, intimamente strutturale e spazialmente motivato”.14 Tali relazioni motivano e spiegano il dialogo fra il sommovimento della materia, condotta a valore di superficie, e l’azione mitigante, di controllo e di ulteriore direzione espressiva, prodotta dalle levigature, dalle lucidature e dalle patine che vanno a ribaltare quasi, come è stato detto, la sensazione dell’interno e dell’esterno, secondo le qualità che si possono cogliere in modo compiuto e sorprendente in un lavoro come Primavera d’altoforno, del 1963. I suoi “frammenti”, per questo, non sono elementi isolati e quasi incompiuti, ma immagini determinate, concentrazioni di energia che si rapprende e trova la sua componente di tensione vitale, risposta alle disgregazioni della materia che fanno parte dell’immaginario epocale di quel tempo. In questo senso, credo si possa intendere il carattere “informale” delle opere di Somaini realizzate fra i tardi anni Cinquanta e gli anni Sessanta come un’operazione che si svolge non in ritardo, ma in risposta alle direzioni di diluizione della forma in un suo surrogato di matrice immediata, improvvisa, che presto potrà essere intesa in chiave manierista. Il suo non è un abbandono alle ragioni intrinseche e automatiche del gesto, non è un’adesione passiva all’informale, ma una partecipazione diretta alla crisi dell’informale come tendenza o maniera, mostrando una via interna e ulteriore a quel sistema estetico attraverso un’applicazione delle possibilità di operare con il “conglomerato ferrico” prima, e quindi con il piombo e altre tecniche di lavorazione dei metalli, mediante le forme di elaborazione dell’agglomerato plastico con cui si misura fisicamente, fino alla sperimentazione di tecniche e materiali più o meno duri, più o meno malleabili, e nel ricercato dialogo fra epidermidi grezze e lucidature, per raggiungere di quella tradizione una visione che incarna e condensa lo spirito di un momento. Nel corso di pochi anni, dalle composizioni fondate su precise evoluzioni di piani e volumi orizzontali (vedi appunto le opere denominate Affermativa II. Orizzontale e Affermativa II. Orizzontale II), verticali e diagonali sapientemente combinati, quell’idea di “frammento” trova la possibilità di elevarsi in direzione monumentale, in progetti e figure che anche grazie alla frequentazione del mondo artistico americano trovano una loro nuova qualificazione possibile negli spazi e nelle memorie della città, come accade, in modo originale e perentorio, nel monumento ai Marinai d’Italia, collocato a Milano nel 1967. Elemento prevalente, soprattutto nelle sculture eseguite intorno al 1960, è il loro essere espressione del divenire della forma e della materia, che si traduce in aggregazione solo apparentemente spontanea in uno sviluppo di volumi in complesso intreccio di contrapposti - da Nauta I e Piccolo Assalonne (Corona), fino alle Memorie dell’Apocalisse15 -, dove l’istante sembra trovare la sua evidenza compiuta, definitiva, condensare il momento in cui la materia trova la sua qualificazione come forma, secondo un processo che denota qualche affinità, si potrebbe dire, con il valore della materia-luce in Medardo Rosso, per il suo essere esito di una condensazione di un momento percettivo e costruzione di un rapporto fra il motivo e il punto di vista16. 14 E. Crispolti, Sculture di Somaini, in Somaini, cat. della mostra, Galleria Odyssia, Roma, 1960. 15 Centrali nella mostra personale realizzata per l’apertura della sede newyorkese della galleria Odyssia; cfr. Somaini, cat. della mostra, Galleria Odyssia, New York, 28 gennaio-15 febbraio 1964. 16 In un appunto del gennaio 1960 Somaini così sintetizza il suo atteggiamento nei confronti della materia: “Prendere la materia dall’interno, non umiliarla ma guidarla nel suo crescere spontaneo di volume in volume, di ombra in ombra verso una forma che realizzi un ordine nuovo, un altro ordine. Occorre io credo in questa ricerca arrischiata, bruciare ogni scoria, le compiacenze, le arditezze polemiche, i saperi, ogni cosa insomma non strettamente ed assolutamente indispensabile: una grande potatura che riduca l’albero alla venatura, alle sole ragioni di vita” (in cat. mostra GNAM, p. 41).
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by Neo-Dadaism and Pop Art, beginning with the acclaim won by Rauschenberg at the Art of Assemblage exhibition organised by New York’s Museum of Modern Art in 1961, but which in those years stood its ground to the point that it constituted an attempt to transpose the very tenets of action painting into sculpture composed of flights of fancy in iron, whether welded or reworked at the forge – opened the way to the great cycle produced by David Smith in 1962 at the Italsider plant in Voltri and exhibited at the Sculture nella città exhibition in Spoleto. At the confluence of such opposing situations which, in a reading that might appear simplistic but is nevertheless useful for understanding the sentiments of the moment, when the American aesthetic was rapidly evolving from an ‘iron age’ (or industrial age) to a ‘plastic age’ (or age of media image), the position of artists such as Somaini might seem to be that of defence and affirmation of a conception of the ‘modern’ of European provenance and daughter of history and tradition – in this case, Italian. What most characterised Somaini’s works at that juncture was the coincidence between his recourse to technical processes drawn from his experience and his portfolio of manual skills and the types of the formal ideas that derived from them. As Crispolti asserted when presenting the artist’s personal show at the Galleria Odyssia in 1960, ‘Somaini’s sculpture seems to me to intrinsically affirm a possibility of celebrating practical human activity […], in the sense of demonstrating in action the mechanism and the potential of a technique, its formulation and emergence from a tense dialectic with matter (lead, “ferric conglomerate” and today above all cast iron), the role of which is thus, unusually, intimately structural and spatially motivated instead of merely epidermic.’14 These relationships motivate and explain the dialogue between the agitation of matter, conducted at surface value, and the mitigating and controlling action, imparting further expressive direction, produced by the smoothing, the polishing and the patinas which almost overturn, as we have said, the sense of interior and exterior, according to what qualities it is possible to wholly and surprisingly perceive in a work; Primavera d’altoforno (1963) is an example. Its ‘fragments’ are not isolated and almost unfinished elements but definite images, concentrations of energy that congeals and finds its dimension of vital tension in response to the disaggregation of matter that was so much a part of the collective imagination of that era. In this connection, I believe we can look at the ‘informal’ character of the works produced by Somaini in the late Fifties and the Sixties as an operation carried out not ‘too late’ but in response to the trend toward dilution of form into immediate, suddenly-arising surrogate for form soon to be seen in a manneristic key. His was not an abandonment of the intrinsic and automatic causes of the gesture nor a passive adhesion to the informal, but direct participation in the crisis of the informal as a trend or a ‘manner’ that revealed an interior and ulterior road to that aesthetic system by way of application of the possibilities offered by ‘ferric conglomerate’ first and lead later, and of different metalworking techniques to process the plastic agglomerate – against which he physically measured himself – until arriving at experimentation with yet other techniques and with more or less hard, more or less malleable materials. All in a studied dialogue between rough ‘skins’ and polished areas, all to reach a vision of that tradition which incarnates and condenses the spirit of a moment. Over the course of just a few years, from the compositions based on precise evolutions of horizontal planes and volumes (see the works named Affermativa II. Orizzontale and Affermativa II. Orizzontale II) skilfully combined with verticals and diagonals, that idea of the ‘fragment’ drew the means to rise in a monumental direction, in projects and figures which, thanks in part to Somaini’s frequentation of the U.S. art world, found a new possible qualification in the spaces and the memories of the cities – as happened, in an original and peremptory manner, with installation of the Monumento ai Marinai d’Italia in Milan in 1967. What prevails, above all in the sculptures produced around 1960, is the sense that they are expressions of a ‘becoming’ of form and matter which translates into only-apparently spontaneous aggregation in volumes developing through intricate interweavings of opposites – from Nauta I and Piccolo Assalonne (Corona) to Memorie dell’Apocalisse15 – in which the instant seems to come into complete, definitive evidence, to condense the moment in which matter finds its qualification as form by means of a process which carries certain affinities, one might say, with the value of
14 E. Crispolti, ‘Sculture di Somaini’ in Somaini, catalogue of the exibition (Rome, Galleria Odyssia, 1960). 15 Central in the personal show for the opening of the New York home of the Galleria Odyssia; cf. Somaini, catalogue of the exhibition, Galleria Odyssia, New York, 28 January-15 February 1964.
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La materia contiene cioè una connotazione di spazio e di ambiente, non potendo considerarsi isolata rispetto al contesto in cui va a collocarsi. Sarà anzi questa ricerca di una connessione, non solo formale, ma attiva, sul piano dell’emozione e della potenzialità critica, a sollecitare in Somaini una riflessione articolata sul ruolo e il luogo della scultura nell’ambiente urbano. Il rapporto con il contesto americano è certamente servito a Somaini per il riconoscimento della sua qualità di autore di vocazione ambientale, oltre che per confermare l’accoglienza della sua voce in un ambito internazionale dove il genere di linguaggio da lui proposto viene apprezzato in chiave di confronto con le peculiarità del moderno, ma diventa presto, però, memoria dell’età del ferro, all’interno della quale la vitalità della sua proposta sembra subire un acclimatamento che non corrisponde pienamente alle intenzioni che avevano motivato il suo autore. Così come, nel verificare la riduzione del messaggio portato da un’opera che ha una sua intrinseca e profonda drammaticità a un fatto estetico che risulta assorbito e quasi neutralizzato in una dimensione urbana che, pur affascinante, viene sempre più sentita come fattore di alienazione, la collocazione delle sue sculture nello spazio della città, come avviene ad Atlanta, e l’esperienza fatta nel corso dei passaggi necessari per portare a compimento un progetto di tale natura, ingenerano una lettura critica del dialogo fra arte e architettura, che scaturisce dal confronto diretto con le città americane, alla luce delle riflessioni urbanistiche e sociologiche, oltre che estetiche, di un periodo in cui le strutture del vivere sociale vengono messe in discussione. La frequentazione del mondo americano è infatti alla base di quel grido d’allarme che Somaini andrà elaborando alla fine degli anni Sessanta e che si traduce, oltre che nelle tavole e nelle meditazioni – svolte accanto alle riflessioni parallelamente elaborate da Enrico Crispolti –, nelle sculture che vanno in direzione anti-monumentale, per un processo di negazione interno alla stessa ideazione della scultura come elevazione e “caduta”. Tema questo, che aveva una sua anticipazione nelle strutture, di indubbia ascendenza “cruciforme”, delle sculture realizzate attorno al tema del “Grande Martirio Piagato”, dove il cuore della materia si addensa nella luce del vuoto interno, rispetto alla emanazione di luce della superficie esterna, introducendo un dialogo fra aspirazione alla verticalità e ricaduta nella solidità della terra. Francesco Tedeschi
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light and matter in Medardo Rosso, in that it is the outcome of a condensation of a precise perceived moment and construction of a relationship between motif and point of view.16 That is to say, the sculptor’s matter holds a connotation of space and of surround and cannot be considered as isolated from the context in which it eventually comes to rest. And more: it will be this quest for a connection, not only formal but active, on the plane of emotion and critical potential, to spark in Somaini an articulated reflection on the role and the place of sculpture in the urban environment. His relationship with the American context most certainly served Somaini by offering its acknowledgement of his quality as an author with an environmental vocation and confirming the reception of his voice on an international stage where the type of language he proposed was valued in relation to the peculiarities of the ‘modern’ – even though it soon became a memory of that ‘iron age’ within which the vitality of his proposal seems to have suffered a sort of acclimatisation that did not fully jibe with the intentions which had motivated its author. Just as, in verifying the reduction of the message conveyed by a work whose intrinsic and most profound dramatic force lies in an aesthetic which is absorbed and almost neutralised in an urban dimension which, while fascinating, is increasingly felt as an alienating factor, the placement of his sculptures in city spaces, as in Atlanta, and the experience accrued in the various stages of bringing to completion a work of this type engender a critical reading of the dialogue between art and architecture as an overflow of direct confrontation with the U.S. cities in light of the urbanistic and sociological – as well as aesthetic – repercussions of a period in which the structures of social living were being brought into question. The cry of alarm launched in the late 1960s originated from Somaini’s frequentation of the American world; he translated it, besides into his plans and meditations – carried on alongside parallel reflections developed by Enrico Crispolti – into sculptures that veer in the direction of the anti-monumental owing to a process of intimate negation of the idea of the sculpture as elevation and ‘fall’. This theme, anticipated in the structures of unquestionable ‘cruciform’ ascendency of the sculptures skirting the theme of ‘Great Wounded Martyrdom’ in which the heart of the matter thickens in the light of the inner vacuum with respect to the emanation of light from the exterior surface, introducing a dialogue between an aspiration to verticality and a fall back into the solidity of the earth. Francesco Tedeschi
16 In a note dated January, 1960, Somaini sums up his stance toward matter thus: ‘[I am committed] to taking the material from the inside, to not humiliating it but to guiding it in its spontaneous growth from volume to volume, from shadow to shadow, toward a form that can bring into being a new order, an “other” order. It is necessary that I believe in this chancy research, that I burn off every waste product, complaisance, polemical effrontery, lingering flavour – that is, everything that is not strictly and absolutely indispensible; that I conduct a large-scale pruning that reduces the tree to its vascular system, to its life-essential parts’ (catalogue of the exhibition at the Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Rome, 2007, p. 41).
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Copertina della rivista Museum News - The Toledo Museum of Art, autunno 1968. In primo piano Memoria dell’Apocalisse I (1961, bronzo). Dietro alla scultura, da sinistra: Ad Reinhardt, Number 1 (1951); Ben Nicholson, Ides of March (1952); William Baziotes, Scorpion (1952). Cover of the magazine Museum News - The Toledo Museum of Art, autumn 1968. In the foreground, Memoria dell’Apocalisse I (1961, bronze). Behind the sculpture, from left to right: Ad Reinhardt, Number 1 (1951); Ben Nicholson, Ides of March (1952); William Baziotes, Scorpion (1952). Courtesy The Toledo Museum of Art Archives / Archivio Francesco Somaini
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Dear De Micheli, I am more than a little embarrassed by your request that I write about my sculpture for the appendix to your book. What can a sculptor say that he has not already and more correctly stated in his sculpture, where he uses the means of dialogue most congenial to him? Pressed into answering, I will tell you that I do not allow my work to be preceded by any personal ‘aesthetic’: I allow it to come forth from instinct and emotion, I guide it by the light of my negative and positive experiences with previous works. I feel that my desire to not place any overly limiting critical datum before [the work] fits well with these times, which in my opinion are more and more taking on the quality of a period of silent research without labels or preconstituted aesthetic stances. I believe that such research must be strictly individual and lead to affirmations, to realisations, to awareness arising from individual volition; the time of the groups, of the schools, of the manifestos is over, and has been for awhile. I believe in the emotional (to not inconvenience the term ‘human’) value of a shout provided it is alive and vital: the necessary ‘social’ efficacy will be inevitable and proportional to the pitch and the sincerity of the sound. Hence the need for a sculpture that is direct and emotional, uncompromising; an all-out sculpture that freely (I would be tempted to say ‘violently’) makes use of volume, shadow and matter. Direct sculpture; that is, sculpture that renders a plastic emotion solely with plastic means, in content that is human or, better, personal, not borrowed from any cultural revival, as are our existential actions. Emotional: that sacrifices everything to the violence of the discourse, to its immediacy. Sculpture that makes free use of techniques and materials without doing them violence but neither allowing them to use violence against the already-formed emotional nucleus. I spoke of shadow besides of volume because I consider [shadow] to be an element essential to sculpture, since only through [shadow] and the dimming of light do spaces become spaces of the soul or emotional spaces. I cannot conceive of a sculpture that places outlines before shadows; on the contrary, I would say that a work is born within me as a relationship of shadows and volumes that slowly acquires form and outlines, from the inside out. I have a certain propensity for the ‘big’ because I feel it is the destiny of sculpture to take on a function, to be a presence among men, and because spaces are born having a scale in relation to man, a scale it is dangerous if not impossible to change. Naturally, all this presupposes an initial choice: to assume that, today, the face and the figure of man, even in his most deformed interpretations and in particular those of archaic-ethnic evocation, are scarcely ‘possible’ because they inspire only culturally-mediated emotions. It is high time that sculpture spoke subjectively, freely and exclusively about our times and our human condition; in this connection, I feel that any non-conformist road along which the artist risks his work and risks falling into contradiction is worthwhile. Pardon the peremptory tone, which emerged spontaneously as I was writing these notes. I attribute it equally to my passion and to the molten nature of the question at issue. Francesco Somaini, Letter to Mario De Micheli, 8 August 1958 Courtesy Archivio Francesco Somaini, Milano
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Caro De Micheli La sua richiesta di scrivere sulla mia scultura per l’appendice del suo Libro mi imbarazza non poco. Cosa può dire uno scultore che non abbia già affermato e più correttamente nelle sue sculture perché usando qui dei mezzi di dialogo che più gli sono famigliari? Messo alle strette dalla obbligatorietà di una dichiarazione le dirò che non faccio precedere da nessuna “estetica” personale il mio lavoro: lascio che nasca dall’istinto e dalle emozioni, lo guido al lume delle esperienze negative e positive fatte nei precedenti lavori. Penso che il mio non voler anteporre un dato critico troppo vincolante si adegui a questo ultimo tempo che a mio avviso va sempre più caratterizzandosi come periodo di silenziosa ricerca senza etichette o precostituite posizioni estetiche. Tale ricerca io credo debba essere prettamente individuale e sfociare in affermazioni, prese di coscienza e di volontà dell’individuo; finita ormai e da tempo l’epoca dei gruppi, delle scuole, dei manifesti. Credo nel valore emotivo (per non disturbare il termine “umano”) di un grido purché sia vivo e vitale, l’efficacia “sociale” necessaria sarà immancabile e proporzionata all’altezza e alla sincerità del grido. Di qui l’esigenza di una scultura diretta ed emotiva senza compromessi, una scultura ad oltranza che usi liberamente (sarei tentato di dire “violentemente”) del volume, dell’ombra e della materia. Scultura diretta: che dia cioè una emozione plastica solo con mezzi plastici di un contenuto umano o meglio personale non mutuato da nessuna ripresa culturale come lo sono i nostri atti esistenziali. Emotiva: che tutto sacrifichi alla violenza del discorso, alla sua immediatezza. Scultura che usi liberamente delle tecniche e delle materie senza violentarle ma non lasciando che esse usino violenza al nucleo emozionale già formato. Ho parlato di ombra oltre che di volume perché la considero elemento essenziale alla scultura perché solo attraverso di essa ed il cadere della luce gli spazi diventano spazi dell’animo o spazi emozionali. Non riesco a concepire una scultura fatta di profili prima che di ombre e anzi le dirò che una opera nasce in me come rapporto di ombre e di volumi che viene via via prendendo forma e profili partendo dall’interno. Ho una certa propensione verso il “grande” perché mi pare destino della scultura prendere una funzione, una presenza tra gli uomini e perché gli spazi nel loro nascere hanno una scala nei confronti dell’uomo che è pericoloso, ma non impossibile, mutare. Naturalmente quanto detto presuppone una scelta iniziale: il ritenere oggi scarsamente “possibile” il volto e la figura dell’uomo anche nelle sue interpretazioni più deformate e in particolare in quelle di rievocazione arcaico-etnica perché suscitatore di sole emozioni di mediazione culturale. È tempo che la scultura parli soggettivamente, liberamente ed esclusivamente della nostra epoca e della nostra umana condizione; in questo senso ritengo valide tutte le strade non conformiste dove l’artista rischia ogni giorno il suo lavoro e la contraddizione. Perdoni la perentorietà che mi è venuta naturale nel scriverLe queste note e le attribuisca in parti uguali alla mia passione e allo scottare della materia trattata. Francesco Somaini, lettera a Mario de Micheli, 8 agosto 1958 Courtesy Archivio Francesco Somaini, Milano
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A. ‘It is embarrassing for a sculptor to speak theoretically about problems which present themselves to him in purely plastic terms in the white-hot atmosphere of the studio, in the daily practice of his work. These are problems which are more difficult than ever today, in times in which a new crisis of recent values has taken root there where the gash of a past order has not yet scarred over. I allude to the fall, by now definitive for us younger people, of any and all figurative possibilities, both in the denotations advanced by Realism and Neo-Naturalism and also in Surrealism’s broader acceptations. I also allude to the increasing difficulty in which the Constructivist positions, those of expressive-mechanistic leanings as well as those of purer geometric formulation, have been experiencing for some time now. It was, in effect, quite logical and foreseeable that an intellectual order relying upon aprioristic reasoning – one, that is, imposed from without – should have slowly emasculated form and put forward, in substitution of the eclipsed figurative grammar, a lexicon that is definitely monumental but more than a little ‘public’ as far as its mechanism goes; such, that is, as to become accessible to decoration and to verge on the jargon of academia. Hence the revolutions, the recent poetics which have hurled the artist outside of any set of rules, far away from any limit. The young sculptor – he who of the old anti-figurative battles hears nothing more than a muted echo and instead feels his conscience pressing on him the question of human and dramatic expression, of a freely-sung poetic – finds himself (busy with his hard materials that leave no margin for resilience or fortuity) facing the dual problem of how to save an order and how to not erect intellectualistic barriers to free expression of his sensibility. I would be tempted, here, to endorse the revolutionary value of a centrist position today – in times, that is, in which we are willing to credit all the most bizarre aesthetic stances – if I did not know that centrism as such is impossible in art because in its attempt to unite different experiences it also is aprioristic. In my opinion, then, all that remains is to attempt extreme experiences, but with an extreme aspiration to the absolute: total human commitment to realising free expression while yet divesting that expression, to the maximum possible extent, of burrs, of slack, of trouvailles; to taking the material from the inside, to not humiliating it but to guiding it in its spontaneous growth from volume to volume, from shadow to shadow, toward a form that can bring into being a new order, an ‘other’ order. It is necessary that I believe in this chancy research, that I burn off every waste product, complaisance, polemical effrontery, lingering flavour – that is, everything not strictly and absolutely indispensible; that I conduct a large-scale pruning that reduces the tree to its vascular system, to its life-essential parts. There must be born a phantasm, an autonomous being, a presence – but one that manifests only in plastic values, because here, every equivocation, every ‘suggestion’, slips immediately into the literary. This plea – since I realise I am not writing a critical comment – could become even more personalistic and I could say that among the innumerable paths that branch out, the high road appears to be that of problems relating to space. Space as it is variously understood, as outside, inside, dynamic, etc., would seem to have achieved more and more value as the years have gone by until now appearing, as concerns sculpture, to be one of the most deeply-rooted of modern conquests and, in any event, one of the most inescapable, with a value no less than that of volume, light, shadow. It becomes difficult, today, to conceive of a true sculpture without considering the space surrounding it, without allowing it to insert itself into that space to some extent. What is more, the word ‘space’ can be dilated from its initial geometric and dynamic meanings, which are nonetheless highly significant, to take on values of aggressive space, of emotional space and of dramatic space until assuming, in the eyes of the spectator, an indubitable value as human suggestion.’ B. ‘At the limit between total shutdown of every figurative possibility and the by-now extenuated articulations of a monumental grammar of Constructivism and the mechanistic-abstract approaches, the human drama can re-emerge and find new cadences, pushing on to the point of skimming the symbolism of martyrdom, of life, of death, without for this characterising itself as a new figuration nor presenting itself as a cultural reworking of past, archaised experiences.’ Francesco Somaini, January 1960 Courtesy Archivio Francesco Somaini, Milano 18
A. “Imbarazzante per uno scultore affrontare in sede teorica dei problemi che a lui si pongono in termini puramente plastici nell’atmosfera arroventata dello studio, nella pratica quotidiana del lavoro; ancor più difficili oggi, in un tempo cioè in cui una nuova crisi di valori recenti si è impiantata là, dove la falla di un ordine passato non era ancora stata rimarginata. Alludo alla caduta ormai definitiva per noi giovani di ogni possibilità figurativa oltre che nelle sue significazioni realistiche e neonaturalistiche anche nelle accezioni più late del surrealismo. Alludo anche alla sempre maggiore difficoltà in cui si vengono a trovare da qualche tempo le posizioni costruttivistiche, sia di accezione espressivo-meccanicistica sia di più pura impostazione geometrica. Era infatti abbastanza logico e prevedibile che un ordine intellettualistico aprioristico e quindi imposto dall’esterno, avrebbe lentamente svirilizzato le forme e innalzato, a sostituire la tramontata grammatica figurativa, un lessico monumentale sì ma abbastanza scoperto nel suo meccanismo, tale cioè da divenire accessibile alla decorazione e a rasentare il gergo d’accademia. Da qui le rivoluzioni le recenti poetiche che hanno buttato l’artista fuori da ogni regola, lontano da ogni limite. Il giovane scultore che delle vecchie battaglie antifigurative non abbia più che una eco soffocata e senta invece alla sua coscienza urgere il problema di una umana e drammatica espressione, di un libero canto poetico, si trova (impegnato da dure materie che margine non lasciano al gioco e alla casualità) di fronte al duplice problema di salvare un ordine e non porre barriere intellettualistiche al libero esprimersi del suo sentire. Sarei tentato qui di propugnare il valore rivoluzionario oggi, in un tempo cioè in cui si è disposti a dare credito a tutte le più bizzarre impostazioni estetiche, di una posizione di centro, se non sapessi che un centrismo come tale è in arte impossibile perché aprioristico anch’esso nel tentare connubi di esperienze diverse. Non resta a mio avviso allora che il tentare le esperienze estreme ma con estrema volontà di assoluto: totale impegno umano a realizzare una libera espressione sì, ma nel massimo denudamento possibile delle scorie, dal giuoco, dalle trouvailles. Prendere la materia dall’interno, non umiliarla ma guidarla nel suo crescere spontaneo di volume in volume, di ombra in ombra verso una forma che realizzi un ordine nuovo, un altro ordine. Occorre io credo in questa ricerca arrischiata, bruciare ogni scoria, le compiacenze, le arditezze polemiche, i sapori, ogni cosa insomma non strettamente ed assolutamente indispensabile: una grande potatura che riduca l’albero alla venatura, alle sole ragioni di vita. Deve nascere un fantasma, un essere autonomo, una presenza, ma che si manifesti per soli valori plastici perché qui ogni equivoco, ogni suggestione cadono subito nel letterario. La perorazione, poiché mi rendo conto di non svolgere un discorso critico, può divenire ancora più personalistica e dirò che tra le vie innumerevoli che si aprono, maestra appare quella dei problemi attinenti lo spazio. Lo spazio nelle sue differenti accezioni di spazio esterno, interno, dinamico ecc. pare essere sempre più messo in valore dal succedersi degli anni fino ad apparire per quanto concerne la scultura una delle più radicate conquiste moderne, ma comunque delle più scontate, un valore non inferiore a quelli di volume, di luce, di ombra. Difficile oggi infatti diviene concepire una vera scultura senza compromettervi lo spazio circostante, senza che esso in qualche modo non vi si inserisca. Il vocabolo spazio può oltre tutto essere dilatato dalle iniziali concezioni geometriche e dinamiche già pur rilevanti ad assumere valori di spazio aggressione, di spazio emotivo e di spazio drammatico così da raggiungere nei confronti dello spettatore un suo indubbio valore di umana suggestione”. B. “Al limite fra la totale chiusura di ogni possibilità figurativa e l’estenuarsi ormai nelle articolazioni di una monumentale grammatica del costruttivismo e delle posizioni meccanicistico-astratte, il dramma umano può ben riemergere a ritrovare nuove cadenze, spingendosi fino a rasentare le simbologie del martirio, della vita, della morte senza caratterizzarsi in una nuova figurazione né presentarsi come rielaborazione culturale di passate esperienza arcaicizzate”. Francesco Somaini, gennaio 1960 Courtesy Archivio Francesco Somaini, Milano 19
Somaini’s sculpture – sculpture of the fragment – not the fragment of anything specific but fragment in the absolute sense. A reconstruction of the original from which the fragment was rent would show us not an object but space; to locate this space one would have to delve into time past since, for Somaini, space is no universal hypothesis but the world of yesterday. In the plastic masses one can still crearly make out the horizontal, vertical, oblique, crooked and criss-cross thrusts of sometime space that no longer has existence. These are masses without existence that have a spatial origin. The space, with its distinct structure, had occupied the place where now there is nothing but a formless lamp of overwrought, barely quenched matter; the passages through which blew the vital currents of space can still be seen like huge veins laid bare and dissected. The process of aggregation in this plastic matter is not centrifugal but centripetal: the matter does not expand, it deposits. Space, therefore, is done with, it ceases to exist; it has left, however, a solid residue which is our only source of knowledge concerning its original nature. Thus we discover that this space was not, was never, a geometrical construction; it was reality itself, heavy with things and happenings, widespread, without confine, and quivering with life. This reality has now, it could be said, turned in on itself, condensed itself into a lump of fused matter, heavy, porous, full of slag, fearfully unquiet despite its apparent inertia. In Somaini’s sculpture, therefore, the process of fusion is not an imprint a posteriori; it is the process whereby the matter creates itself because it is the reality of a world which, in melting, has become reduced to this impure and smouldering fragment, as if an atomic explosion had taken place. This lump of matter must now be taken hold of and examined; it is all that is left to us of the world that was. There is no point in trying to reconstruct imaginatively the world to which that lump once belonged in an historical past where time has stopped. We must seek, rather, to comprehend how much compressed and latent energy, how much of an abraded and obliterated form, how much of the ancient scattered beauty of the world remains in this splinter of fused and still incandescent metal; and how much, still, of myths and human symbols which, on explosions, have provoked the ruin and obliteration of vital space. There is no doubt but that this catastrophe was caused by human rather than cosmic intervention: Somaini’s previous sculpture, attentive to the solid geometry of volumes, is proof of this, and his present work is even better evidence, with the strangely human configuration these blocks preserve, not in their structure, naturally, since they have none anymore, but in the tragic agitation of their gesture, in the convulsive but deliberately desperate movement of the matter. One thing is certain, however: the explosion that has burnt away natural aspects, destroyed spacial relationships, fused reality into this torpid and disturbing piece of matter, has already taken place and now belongs to the past. What, therefore, do they mean, these strange remains that are left us, and, products of the destruction of space, continue their existence in a paradoxical dimension – emptiness? Are they spent relics, as the living tree becomes a spent relic in a piece of charcoal? Or will they be capable of further dissolution, – and disintegration right to the very end? Or something alive, a seed, from which absorbed energy can burst forth and reconstruct about itself space, a nature, a world? And that movement both lucid and convulsive, that gesture still unmistakably human, the threat with which these masses appear laden, are they life’s final contractions, such as the petrified spasms of Pompei’s dead, or are the only the groping gesture of a humanity outraged and mutilated but, all in all, still alive? What will occur when, and if, the energy that saturates this lump of matter becomes unchained? These questions cannot be answered, everything in the world is in too great a state of suspense. It can only be said that Somaini’s sculpture, the sculpture of the fragment, is also the sculpture of potentiality: a potentiality without great hopes but which provides but one alternative – an end or a continuance. Giulio Carlo Argan (extract from the catalogue of the XXX Biennale Internazionale d’Arte di Venezia, 1960) 20
La scultura di Somaini è la scultura del frammento: non del frammento di qualche cosa, del frammento in assoluto. Chi volesse ricomporre il contesto dal quale quel frammento è stato strappato, non troverebbe una cosa, troverebbe lo spazio; e, ancora, per trovarlo dovrebbe andare indietro nel tempo, perché lo spazio, per Somaini, non è un’ipotesi universale, è il mondo di ieri. Nelle masse plastiche si vedono ancora, chiaramente, le direzioni orizzontali, verticali, oblique, sghembe, incrociate di quello che fu, e non è più, lo spazio. Sono masse che hanno, non un’esistenza, una origine spaziale. Lo spazio, con la sua chiara struttura, è stato in quel luogo dove ora non c’è che un grumo informe di esagitata, mal spenta materia: si vedono ancora, come grosse vene divelte e sezionate, i condotti attraverso i quali è passata la corrente vitale dello spazio. Il processo d’aggregazione di quella materia plastica non è centrifugo, ma centripeto: la materia non si espande, si estrae o deduce dallo spazio; non si dilata, precipita. Dunque lo spazio non c’è più, è finito: ha lasciato però un residuo solido, e soltanto questo può informarci sulla sua originaria natura. Impariamo così che quello spazio non era, non è mai stato una costruzione geometrica: era la realtà stessa, gremita di cose e di eventi, illimitatamente estesa, brulicante di vita. Ora, quella realtà è rientrata, per così dire, in se stessa; si è condensata nel grumo di materia fusa, pesante, porosa, piena di scorie, paurosamente agitata nella sua inerzia apparente. Perciò il processo della fusione, nella scultura di Somaini, non è un processo ‘a posteriori’, di stampo; è il processo stesso del costituirsi della materia perché è la realtà del mondo che, fondendo, si è ridotta a quel grumo impuro e fumante, come dopo un’esplosione atomica. Ora si tratta di prendere in mano e di considerare proprio quel grumo di materia; tutto quello che, del mondo, ci resta. Non ha senso cercare di ricostruire con l’immaginazione il mondo che quel grumo è stato, in un tempo storico che ha cessato di scorrere. Bisogna piuttosto cercare di capire quanto, in quella grossa scheggia di metallo fuso e ancora incandescente, rimanga di energia compressa e latente, quanto di una forma cancellata od abrasa, quanto dell’antica, dispersa bellezza del mondo; e quanto, ancora, dei miti e dei simboli umani che, deflagrando, hanno provocata la distruzione, la cancellazione dello spazio vitale. Non è dubbio, infatti, che la catastrofe abbia cause umane, non cosmiche: lo prova la precedente scultura di Somaini, attenta alla geometria solida dei volumi, e meglio lo prova l’attuale, con la configurazione stranamente umana che i blocchi conservano, e non certo nella struttura, che non hanno più, ma nell’agitazione tragica del gesto, mei moti convulsi ma consapevolmente disperati della materia. Un fatto è comunque certo: la deflagrazione che ha bruciate le apparenze naturali, distrutte le relazioni spaziali, fusa la realtà in quel pezzo di materia torbida e preoccupante, è già avvenuta, appartiene ormai al passato. Che cosa significano, dunque, gli strani relitti che ci sono rimasti e, prodotti dalla distruzione dello spazio, seguitano a esistere in una dimensione paradossale, nel vuoto? Sono relitti spenti, com’è spenta la vita dell’albero nel pezzo di carbone? O sono qualcosa che andrà avanti a corrompersi e disintegrarsi, fino alla fine? Oppure qualcosa di vivo, come un seme, che potrà sprigionare l’energia assorbita e ricostruire intorno a sé uno spazio, una natura, un mondo? E quel moto insieme lucido e convulso, quel gesto ancora inequivocabilmente umano, la minaccia di cui queste masse sembrano gravide, sono le ultime contrazioni della vita, come gli spasimi pietrificati dei morti di Pompei, o sono il gesto vago di un’umanità offesa e mutilata, ma, insomma, ancor viva? Quale sarà la scarica che seguirà, se mai seguirà, a questa saturazione di energia in un grumo di materia? Non è possibile rispondere a queste domande, perché tutto è ancora sospeso nel mondo. Si può dire soltanto che la scultura di Somaini, scultura del frammento, è anche la scultura della possibilità: di una possibilità senza grandi speranze, che ammette soltanto un’alternativa, la fine o il seguito. Giulio Carlo Argan (testo tratto dal catalogo della XXX Biennale Internazionale d’Arte di Venezia, 1960) 21
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SCULTURE | SCULPTURES
[Piccolo] Canto Aperto 1955-1956 Tecnica | Technique Bronzo polito su base originale in ferro Polished bronze on original iron base Dimensioni | Dimensions 27 x 37 x 18 cm, base 7 x 35 x 11,5 cm © MART - Archivio Fotografico e Mediateca Provenienza | Provenance Galleria La Bussola, Torino Galleria Proposte d’Arte, Legnano Collezione Berni Canani, Roma Galleria Cardelli e Fontana, Sarzana MART Museo Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto, Collezione VAF-Stiftung Bibliografia | Literature L. Berni Canani, G. Di Genova: MAC/ESPACE Arte concreta in Italia e in Francia 1948-1958, Acquario Romano, Roma, catalogo della mostra, 19 maggio-7 luglio 1999, edizioni Bora, Bologna, ill. p. 159. Esposizioni | Exhibited Acquario Romano, Roma, 1999 Note | Notes Piccolo Canto Aperto Questa scultura in bronzo polito, oggi conservata al MART di Rovereto, deposito collezione VAF-Stiftung, fa parte di un breve ciclo di opere che declinano un motivo centrale della stagione concretista di Somaini, da lui sviluppato in varie dimensioni tra il 1955 e il 1956, su suggerimento di Léon Degand tra i primi estimatori della sua attività creativa. Si tratta di un bozzetto della grande scultura in conglomerato ferrico (materiale ideato da Somaini e da lui brevettato nel 1955, particolarmente adatto alle opere di grande dimensione), esposta alla Biennale di Venezia del 1956. L’artista aderisce al MAC-ESPACE nel 1955, dopo aver partecipato fin dal 1954 ad alcune esposizioni del Groupe Espace, che si propone di introdurre i principi del costruttivismo e del neoplasticismo nell’urbanistica, su invito del suo fondatore André Bloc. This sculpture in polished bronze, today at MART of Rovereto, VAF Stiftung collection loan, is part of a short cycle of works addressing a motif central to Somaini’s ‘concrete’ period. He developed the motif in various sizes in 1955-1956, following a suggestion advanced by Léon Degand, one of the first critics to applaud his creative activity. It is a sketch for the large sculpture in ‘ferric conglomerate’ (a material, particularly suitable for large-scale works, invented by Somaini and patented by him in 1955) exhibited at the 1956 Venice Biennale. Responding to an invitation by the founder of Groupe Espace, André Bloc, Somaini declared his adherence to MAC-ESPACE in 1955, after having participated until 1954 in several of the exhibitions by the group, which proposed introducing the principles of Constructivism and Neo-Plasticism into urban planning.
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Affermativa II. Orizzontale II 1958 Tecnica | Technique Bronzo in bagno di nichel su base originale in legno Nickel-bath plated bronze on original wooden base Dimensioni | Dimensions 19 x 23 x 14 cm, base 3 x 15 x 16,7 cm Provenienza | Provenance Galleria Mazzoleni, Milano Collezione Privata, Milano Collezione Privata, Milano Galleria Open Art, Prato Bibliografia | Literature F. Porzio: Francesco Somaini. Bozzetti e piccole sculture dal 1950 al 1990, Galleria Mazzoleni, Milano, catalogo della mostra, 10 maggio-29 giugno, Edizioni Mazzoleni Arte (fuori cat.). F. Pola: Italian Postwar Sculpture, Robilant+Voena, London, 2018, p.23 e 56. Esposizioni | Exhibited Studio La Ruota, Como, 1972, Galleria Jacopo della Quercia, Siena, 1974 Galleria Michelucci, Firenze, 1976 Galleria Mazzoleni, Milano, 1990 Robilant&Voena Gallery, London, 2017 MiArt, Milano, 2018 Note | Notes Piccola Affermativa II. Orizzontale II / Affermativa II Queste opere fanno parte della serie delle Orizzontali, composta di motivi molto diversi tra loro, talora portati a grandi dimensioni tra il 1958 e il 1960. Grande Affermativa del 1958 in bronzo patinato e Grande Orizzontale II in bronzo del 1959 vengono esposte alla V Biennale di San Paolo del Brasile dello stesso anno, dove Somaini ottiene il premio come migliore scultore straniero. Sculture di questa serie sono invece conservate al Walker Art Center di Minneapolis (Grande Orizzontale II, ferro, 1960) e alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma (Grande Orizzontale IV, bronzo, 1959). Orizzontale III (ferro con lucidi, 1960) viene invece esposta nella sala personale di Somaini alla Biennale di Venezia del 1960. Un esemplare della Piccola Affermativa II. Orizzontale II è conservato al Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofia di Madrid (1960, bronzo). These works are from the series entitled Orizzontali, comprising motifs very different the ones from the others, some of which were translated into large dimensions between 1958 and 1960. Grande Affermativa (1958), in patinated bronze, and Grande Orizzontale II (1959), in bronze, were shown in 1959 at the 5th Biennal de São Paulo, Brazil, where Somaini was awarded first prize in the International Sculptors category. Other sculptures from this series are conserved at the Walker Art Center of Minneapolis (Grande Orizzontale II, iron, 1960) and at the Galleria Nazionale d’Arte Moderna of Rome (Grande Orizzontale IV, bronze, 1959). Orizzontale III (iron with polished areas, 1960) was instead shown at Somaini’s personal room at the 1960 Venice Biennale. An exemplar of Piccola Affermativa II. Orizzontale II (1960, bronze) is conserved at the Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofia of Madrid.
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Italian Postwar Sculpture, Robilant+Voena, London, 2018. Photo by Mark Blower Courtesy Robilant+Voena, London
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Proposta per un Monumento IV 1958 Tecnica | Technique Peltro massiccio ripreso dall’artista con lucidi parziali su base originale girevole in ferro dipinto Solid pewter retouched by the artist, with polished areas, on original lacquered iron turntable base Dimensioni | Dimensions 74,2 x 22 x 22 cm, base 4,3 x 14,5 x 14,5 cm Provenienza | Provenance Galleria Odyssia, New York Collezione Evelyn Shaw, New York Collezione Privata, California Galleria Open Art, Prato Collezione Privata, Certaldo Bibliografia | Literature B. Buscaroli: Utopia e Progetto, Sguardi sulla Scultura del Novecento, Carlo Cambi ed., Poggibonsi (SI), 2017, ill. in quarta di copertina e pp. 160, 189 Esposizioni | Exhibited Galleria Open Art, Prato, 2017 Note | Notes Proposta per un monumento IV / Proposta per un monumento V Proposta per un monumento IV del 1958 e Proposta per un monumento V del 1963 si inseriscono in una grande serie plastica, avviata nella grafica fin dal 1957 e conclusasi con il Monumento all’energia creativa del 2001, bronzo patinato con lucidi, posto all’ingresso degli uffici Bennet a Montano Lucino (Como). Somaini sonda il motivo di una grande scultura verticale, dandone esiti formali diversi nel corso degli anni, talora portati anche a grande dimensione. Si vedano, a questo proposito, le opere conservate al MUMOK di Vienna (Grande Proposta per un monumento, 1959-61, ferro con lucidi parziali) e all’Openluchtmuseum voor Beeldhouwkunst di Anversa (Grande Proposta per un monumento III, 1961, bronzo patinato con lucidi parziali). Tra queste, in particolare, Proposta per un monumento V del 1963 (oggi conservata al MART di Rovereto, deposito collezione VAF-Stiftung), si configura come un bozzetto per l’opera monumentale, eretta nella Charles Center Plaza di Baltimora nel 1970. Proposta per un monumento IV (1958) and Proposta per un monumento V (1963) belong to a great plastic series, begun in graphics as early as 1957 and concluded with the Monumento all’energia creativa (2001), a patinated bronze with polished areas installed at the entrance to the offices of the Bennet company in Montano Lucino (Como). Somaini probed the idea of great vertical sculpture with different formal outcomes over the years; some of these works were translated into large dimensions. In this regard, compare the works conserved at MUMOK of Vienna (Grande Proposta per un monumento, 1959-61, iron with polished areas) and at the Openluchtmuseum voor Beeldhouwkunst of Antwerp (Grande Proposta per un monumento III, 1961, patinated bronze with polished areas). Among these, Proposta per un monumento V from 1963 (today at MART of Rovereto, VAF Stiftung collection loan), is a sketch for the monumental work installed in Charles Center Plaza in Baltimore in 1970.
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Grande scultura verticale. Monumento alla volontà e all’energia umana 1958-1970 Bronzo con lucidi parziali Bronze with polished areas 1050 x 160 x 110 cm Baltimora (Maryland), Charles Center Plaza, collocazione originaria | original installation site Photo by F. Somaini Courtesy Archivio Francesco Somaini
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Proposta per un Monumento V a Incastro (III Variazione Baltimora) 1963 Tecnica | Technique Bronzo con patina dorata e lucidi parziali su base originale in legno dipinto Gilt-patinated bronze with polished areas, on original lacqered wood base Dimensioni | Dimensions 88,4 x 12,5 x 10 cm, base 20 x 29 x 29 cm ca. Š MART - Archivio Fotografico e Mediateca Provenienza | Provenance Galleria Odyssia, New York Collezione privata, Massachusetts Collezione Privata, New Jersey Galleria Open Art, Prato MART Museo Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto, Collezione VAF-Stiftung Bibliografia | Literature B. Buscaroli: Utopia e Progetto, Sguardi sulla Scultura del Novecento, Carlo Cambi ed., Poggibonsi (SI), 2017, pp. 161, 189 Esposizioni | Exhibited Galleria Open Art, Prato, 2017
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Sala della mostra New York New York. Arte Italiana. La riscoperta dell’America, Gallerie d’Italia, Milano, 2017. Sono visibili da sinistra: Grande Scultura Verticale 60.10, 1961, bronzo e Prometo. Grande Figura di Fuoco, 1963, bronzo. Room at the New York New York. Arte Italiana. La riscoperta dell’America exhibition, Gallerie d’Italia, Milan, 2017. From the left: Grande Scultura Verticale 60.10, 1961, bronze, and Prometo. Grande Figura di Fuoco, 1963, bronze. Photo by M. Maraffi Courtesy Archivio Francesco Somaini
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Piccola Assalonne (Corona) 1959 Tecnica | Technique Bronzo su base girevole in ferro dipinta di nero Bronze on black-lacquered iron turntable base Dimensioni | Dimensions 35 x 27 x 20 cm, base 30 x 30 x 6 cm Provenienza | Provenance Galleria Odyssia, Roma-New York Concept Art Gallery, Pittsburgh Collezione Privata, Pittsburgh Galleria Open Art, Prato Collezione Privata, San Polo d’Enza Bibliografia | Literature P. Gueguen: Arkitetktur og Billedkunst. I Samspill, Morten Johansens Boktrykkeri, Oslo 1959, p. 17, n. 122 B. Buscaroli: Utopia e Progetto, Sguardi sulla Scultura del Novecento, Carlo Cambi ed., Poggibonsi (SI), 2017, pp. 159, 189 Esposizioni | Exhibited Kunstnernes Hus, Oslo, 1959 Galleria Open Art, Prato, 2017 Note | Notes Piccola Assalonne (Corona) L’opera fa parte della serie delle Verticali declinato in vari motivi e in sculture di diverse dimensioni tra il 1958 e il 1960. In particolare questa scultura può essere considerata il bozzetto della Verticale. Corona Grande I, bronzo del 1959 che si trova all’AlbrightKnox Art Gallery di Buffalo. Altre sculture di questo ciclo figurano nelle raccolte di alcuni musei degli Stati Uniti e del Brasile. Ferro (1959), esposto alla Biennale di San Paolo del Brasile del 1959, dove Somaini ottiene il premio come migliore scultore straniero, è oggi conservato al Museu de Arte Contemporanea da Universidade, mentre una Verticale Assalonne III (1960) in ferro è conservata nel Franklin D. Murphy Sculpture Garden, Università della California di Los Angeles. Il piombo della Verticale III Assalonne (1960) è oggi esposto al Museo del Novecento di Milano. This work is one in the Verticali series produced with various motifs and in different dimensions between 1958 and 1960. This work may be considered the sketch for the Verticale. Corona Grande I (bronze, 1959) at the Albright-Knox Art Gallery in Buffalo. Other sculptures from this cycle are in the collections of several U.S. and Brazilian museums. Ferro (1959), shown in 1959 at the 5th Biennal de São Paulo, Brazil, where Somaini was awarded first prize in the International Sculptors category, is today conserved at the city’s Museu de Arte Contemporânea da Universidade, while a Verticale Assalonne III (1960) in iron is conserved at the Franklin D. Murphy Sculpture Garden of the University of California, Los Angeles. The version in lead of Verticale III Assalonne (1960) is now at the Museo del Novecento of Milan.
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Prendere la materia dall’interno, non umiliarla ma guidarla nel suo crescere spontaneo di volume in volume, di ombra in ombra verso una forma che realizzi un ordine nuovo, un altro ordine. Occorre io credo in questa ricerca arrischiata, bruciare ogni scoria, le compiacenze, le arditezze polemiche, i saperi, ogni cosa insomma non strettamente ed assolutamente indispensabile: una grande potatura che riduca l’albero alla venatura, alle sole ragioni di vita. (F. Somaini, gennaio 1960)
Grande Scultura per un Planetario, 1962-1970 Bronzo con lucidi parziali, 450 x 215 x 520 cm Rochester, New York. A destra lo scultore. Grande Scultura per un Planetario, 1962-1970 Bronzo con lucidi parziali, 450 x 215 x 520 cm Rochester, New York. To the right, the sculptor. Photo by L. Somaini Courtesy Archivio Francesco Somaini
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Obliqua. Il Gesto 1959 Tecnica | Technique Bronzo patinato con lucidi parziali su base originale doppia a cavalletto girevole in ferro dipinto di nero Patinated bronze with polished areas, on original dual-support open-ended turntable base in black-lacquered iron Dimensioni | Dimensions 18,5 x 40 x 23 cm, base 5,5 x 28 x 28 cm Provenienza | Provenance Collezione privata, Milano Collezione Tansini, Roma Galleria Open Art, Prato Bibliografia | Literature M. Tapié, Sculture di Somaini, Torino, Galleria Notizie, aprile 1959, cat. ripr. (illustrato primo stadio, senza lucidi montato su doppia base rettangolare). Recenti sculture di Somaini, Milano, Galleria Blu, maggio 1959, cat. ripr. n. 5912 (illustrato primo stadio, senza lucidi montato su doppia base rettangolare). E. Villa, La sculpture italienne contemporaine, in “Art d’aujourd’hui. Art et architecture”, Boulogne sur Seine 1959, ripr. p. 5, n. 5912 (illustrato primo stadio, senza lucidi, montato su doppia base rettangolare). Redazionale, Mostre di arte moderna a Torino, in “Arbiter”, Milano 1960, ripr. p. 89 (illustrato primo stadio, senza lucidi, montato su doppia base rettangolare). A. Audoli, Dopo la guerra la rinascita, in “Antiquariato”, Milano 2018, pp. 78-79. Esposizioni | Exhibited Torino, Galleria Notizie, 1959 Note | Notes Obliqua. Il Gesto L’opera fa parte del ciclo delle Oblique, centrale nella produzione della stagione informale, che raccoglie motivi diversi, eseguiti tra il 1958 e il 1960. Tra questi figurano quelli ordinati nei sottogruppi delle Aggressive, dei Piccolissimi Guerrieri, dei Nauta, delle Oblique. Tridente e delle Oblique. Il gesto. Una Obliqua. Il gesto in ferro del 1959 ottiene il primo premio del Ministero dell’industria e del Commercio alla Biennale del Metallo di Gubbio nel 1961, entrando a far parte delle Civiche Raccolte d’arte. Un’Obliqua in piombo lavorato del 1960, esposta alla Biennale di Venezia nello stesso anno, si trova ora alle Gallerie d’Italia di Milano. This work is from the Oblique series produced between 1958 and 1960, a cycle which brought together different motifs and was central to the artist’s production during his informal season. The broad-ranging cycle comprises works in various sub-groups: the Aggressive, the Piccolissimi Guerrieri, the Nauta, the Oblique. Tridente and the Oblique. The sculpture Il gesto. Una Obliqua. Il gesto (iron, 1959) won the Ministero dell’Industria e del Commercio first prize at the Biennale del Metallo in Gubbio in 1961, where it is now conserved in the city art collection. An Obliqua in lead (1960), shown at the Venice Biennale the same year, is now at Milan’s Gallerie d’Italia.
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Affermativa II 1959 Tecnica | Technique Piombo lavorato con lucidi parziali su base originale in legno Lead, with polished areas, on the orginal wooden base Dimensioni | Dimensions 70 x 90 x 60 cm, base 68,5 x 68,5 x 6.9 cm Provenienza | Provenance Collezione Privata, Milano Collezione Privata, Pietrasanta Bibliografia | Literature Premio Morgan’s Paint. III Biennale Internazionale per la Pittura e la Scultura Italia-Jugoslavia, Rimini, Palazzo dell’Arengo, 1 luglio-30 agosto 1961, Colorificio Toscano, Pisa, cat. cit. n. 152. Esposizioni | Exhibited Rimini-Lubiana-Zagabria-Belgrado, 1961
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Grande Martirio Piagato (II Versione) 1960 Tecnica | Technique Peltro con lucidi parziali e base originale in legno Pewter with polished areas and original wooden base Dimensioni | Dimensions 133 x 65 x 50 cm, base 12 x 73 x 7 cm Provenienza | Provenance Galleria Blu, Milano Collezione Privata, Milano Galleria Open Art, Prato Esposizioni | Exhibited MiArt, Milano, 2018 Note | Notes Grande Martirio Piagato Il tema del martirio viene sviluppato da Somaini a partire dal 1958 in una serie di sculture che trovano spunto nel clima esistenziale, tipico della cultura postbellica. Lo scultore mette mano a una serie di croci formalmente molto diverse tra loro, talora montate su targa, realizzate anche a grande dimensione, che va dal Martirio I del 1958 al Martirio XI del 1961. Tra queste merita attenzione il Grande Martirio Sanguinante che incontra il favore del collezionismo americano: il ferro, esposto alla Biennale di Venezia del 1960, entra a far parte della collezione dell’architetto Philipp Johnson ed è oggi conservato al MoMa; il bronzo, esposto nella prima personale di Somaini a New York all’Italian Cultural Institute nel 1960, viene invece acquistato da Blanchette Hooker Rockefeller ed è oggi collocato nell’atrio del Lincoln Center for the Performing Arts di New York. Il Martirio Piagato rappresenta un ulteriore sviluppo del motivo, profondamente trasformato dall’artista a livello formale ed espressivo. Somaini began to develop the theme of martyrdom in 1958 in a series of sculptures inspired by the distinctive existential climate of the post-war era. The sculptor set his hand to a series of crosses of great formal diversity, sometimes mounted on plaques, some large-size, ranging from Martirio I of 1958 to Martirio XI of 1961. Of particular note is Grande Martirio Sanguinante, which was much acclaimed by U.S. collectors: the iron sculpture, shown at the 1960 Venice Biennale and purchased by collector-architect Philipp Johnson, is now at New York’s MoMa; the bronze version, exhibited in 1960 at Somaini’s first personal show at the Italian Cultural Institute in New York in 1960, was instead purchased by Blanchette Hooker Rockefeller and now stands in the atrium of Lincoln Center for the Performing Arts. Martirio Piagato represents a further development and a profound formal and expressive transformation of the motif.
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Grande Martirio Piagato (II Versione) 1960 particolare detail
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Philip Johnson nel suo studio di New York con Grande Martirio Sanguinante, ferro, 1960. La scultura Grande Martirio Sanguinante del 1960 fu donata al Museum of Modern Art di New York dal celebre architetto. Philip Johnson in his New York studio with Grande Martirio Sanguinante, iron, 1960. The famous architect donated the sculpture to the Museum of Modern Art in 1960. Photo by M. Warman Courtesy of Morris Warman Archive / Archivio Francesco Somaini Alla pagina seguente: Grande Martirio Piagato (II Versione), 1960 Dettaglio firma e punzone Detail, showing signature and hallmark
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Nauta II 1960 Tecnica | Technique Piombo antimoniato scavato a fiamma ossidrica dall’autore su base originale girevole in ferro dipinto di nero Antimony lead shaped by the artist with a blowtorch, on original black-lacquered iron turntable base Dimensioni | Dimensions 39,4 x 50,8 x 27,9 cm, base 3,8 x 27,9 x 27,9 cm Provenienza | Provenance Worldhouse Galleries, New York Collezione Privata, New York Galerie T, Houston Collezione Gail Massey, Austin Collezione Privata, Los Angeles Galleria Open Art, Prato Bibliografia | Literature XXX Biennale Internazionale d’arte di Venezia, 1960, p. 142, n. 12. 20th Century Italian Art, 1967, Finch College, New York, 1967, cat. cit. n. 83. F. Russoli, Somaini, in “Le Arti”, a. X, nn. 5/6, Milano, maggio-giugno 1960, ripr. p. 24 D. Chavalier, Biennale de Venise, in “Aujourd’hui Art et Architecture”, n. 27, Boulogne sur Seine, giugno 1960, ripr. come “Nauta II, 1960” S. Frigerio, Lettre de Venise. La XXXe Biennale Internationale, in “Les beaux arts”, Brussel, 20 giugno 1960, ripr. p. 14 come “Nauta II, 1960” Preview Artefiera, in “Vernissage-Il Giornale dell’arte”, Torino, gennaio 2018, ripr. p. 17 Esposizioni | Exhibited XXX Biennale, Venezia, 1960 Finch College, New York, 1967 Note | Notes Nauta II L’opera fa parte della serie dei Nauta del 1959-61 che rientra nel più ampio ciclo delle Oblique. Questa serie raccoglie motivi molto diversi fra loro, talora portati a scala monumentale come il Grande Nauta in ferro con lucidi esposto nella sala personale di Somaini alla Biennale di Venezia del 1960. Anche l’esemplare, qui presentato, viene esposto nella stessa occasione. L’artista scrive ad Argan delle sue scelte per la sala personale, dando conto di alcune personalissime pratiche laboratoriali nella lavorazione a caldo del piombo, per chiedergli il permesso di utilizzare il suo testo critico già pubblicato nel catalogo della personale tenuta nello stesso anno all’Istituto Italiano di Cultura di New York. “ [...] Sono inoltre spinto a reiterare la mia richiesta dall’entusiasmo per il suo scritto che oltre ad essere aderente come le scrissi ad un mio intimo e segreto sentire, viene ad essere particolarmente calzante alla sala che vado allestendo a Venezia composta esclusivamente di grandi e nere colate di ferro e di piccoli piombi per i quali non fu nemmeno usato il procedimento tradizionale della fusione in quanto ricavati da un masso di piombo-antimoniato scavato a fiamma ossidrica per successive abrasioni [...]”. (Lettera autografa di Francesco Somaini a Giulio Carlo Argan, maggio 1960). Un’altra scultura di questa serie è oggi conservata al Musée National d’Art Moderne del Centre Pompidou di Parigi (Grande Nauta, 1960, bronzo con lucidi parziali). This is one in the Nauta series of sculptures (1959-61) within the broader cycle of the Oblique. This series includes very different motifs, some of which on a monumental scale – such as the Grande Nauta in iron with polished areas exhibited by Somaini at his personal room at the 1960 Venice Biennale. The exemplar presented here was exhibited on the same occasion. The artist wrote to Argan concerning his selections for his personal room, giving an account of several of his very individual ‘laboratory’ processes for hot-working lead and requesting his permission to use his critical text, previously published in the catalogue of Somaini’s personal show, that same year, at the Italian Cultural Institute of New York: ‘. . . I am also spurred to reiterate my request by my enthusiasm for your essay, which besides reflecting, as you wrote it, my intimate, secret feelings, seems to be particularly fitting for the room I am staging in Venice, which is composed exclusively of large, black castings in iron and small lead pieces for which the traditional casting methods were not employed, since they are made of a mass of antimony lead ‘carved’ with a blowtorch and successive abrasions [...]’ (Handwritten letter from Francesco Somaini to Giulio Carlo Argan, May 1960). Another sculpture from this same series (Grande Nauta, 1960, bronze with polished areas) is conserved at the Musée National d’Art Moderne of the Centre Pompidou in Paris.
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Nauta II, 1960 Vista alternativa | Alternative view
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XXX Biennale di Venezia ,1960. – Sala personale. Sono riconoscibili da sinistra: Orizzontale III, ferro, 1960, Grande Martirio Sanguinante, ferro 1960, Ferito, ferro 1960, Assalonne, ferro 1959, Obliqua, ferro 1960, Grande Ferito, ferro 1960, Grande Nauta, ferro 1959, Nauta III, piombo scavato, 1960. 30th Venice Biennale, 1960 – Personal room. From the left: Orizzontale III, iron, 1960; Grande Martirio Sanguinante, iron, 1960: Ferito, iron, 1960; Assalonne, iron, 1959; Obliqua, iron, 1960; Grande Ferito, iron, 1960; Grande Nauta, iron, 1959; Nauta III, ‘carved’ lead, 1960. Courtesy Fototeca A.S.A.C. / Archivio Francesco Somaini
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Copertina del catalogo della XXX Biennale Internazionale d’arte di Venezia, 1960. Cover of the catalogue of the 30th International Biennale of Art of Venice, 1960.
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Ferito VIII 1961 Tecnica | Technique Piombo scavato con lucidi parziali su base originale in ferro a T rovesciata ‘Excavated’ lead with polished areas on original ‘reversed-T’ base Dimensioni | Dimensions 36 x 48 x 35 cm, base 25 x 30 x 31,5 cm Provenienza | Provenance Galleria Blu, Milano Galleria Odyssia, Roma-New York Collezione Privata, Milano Collezione Cribiori, Maranello (Modena) Collezione Privata, San Polo d’Enza Bibliografia | Literature G. Ballo, Italie. Somaini, in “Cimaise”, Paris, novembre-dicembre 1962, pp. 68-75, ripr. p. 72 Kleinplastiek uit Italie, Scheveningen - Festival Madurodam, Den Haag, 15 giugno-25 luglio 1965, cat. ripr. n. 79 12 italienische Bildhauer, Museum Folkwang, Essen, 19 settembre-7 novembre 1965, cat. ripr. n. 38 J. H. Oosterloo, Twee exposities in Museum Boymans-Van Beuningen. Houtsneden uit drie eeuwen, in “Delftse Courant”, Delft, 30 dicembre 1965, ripr. p. 4 L. Roest, Italiaanse beeldhouwers zoeken nieuwe vormen, in “Vaderland”, Den Haag, 31 dicembre 1965 Twaalf italiaanse Beeldhouwers, Museum Boymans-Van Beuningen, Rotterdam, 26 novembre 1965-16 gennaio 1966, cat. ripr. n. 38 IX Quadriennale nazionale d’arte di Roma, Palazzo delle Esposizioni, Roma, 20 novembre 1965-31 marzo 1966, cat. ripr. n. 51 Esposizioni | Exhibited Milano, Galleria Blu, 1962 L’Aia, Scheveningen-Festival Madurodam, 1965 Essen, Museum Folkwang Essen, 1965 Rotterdam, Museum Boymans-van Beuningen, 1965-1966 Note | Notes Ferito VIII Questo piombo scavato dall’artista del 1961 si inserisce nell’importante ciclo dei Feriti, avviato da Somaini nel 1959 e declinato in una serie di motivi diversi, portati talora alla grande dimensione, fino al 1962. Questa tipologia di lavoro trova ispirazione nel clima postbellico ed è quindi da considerarsi complementare al ciclo dei Martiri. Lo scultore conduce il tema esistenziale della ferita, percorso da altri artisti italiani attivi nel dopoguerra, introducendo una nuova componente simbolico operativa nel suo linguaggio plastico, legato alla poetica del frammento di materia che vive nello spazio. Procede, infatti, alla collocazione della scultura su una putrella in ferro industriale a T rovesciata, dipinta di nero, infliggendo all’opera una cesura, un taglio profondo, che ad un tempo ne determina la dimensione spaziale-architettonica. La serie dei Feriti incontra il favore della critica e del collezionismo: il Ferito Versione semplice. Cannone (ferro, 1960), esposto alla Biennale di Venezia nel 1960, è ora conservato al Kiasma Museum of Contemporary Art di Helsinki; due fusioni in bronzo di Grande Ferito I (1960) figurano nelle raccolte del Koninklijk Museum voor Schone Kunsten di Anversa e del Detroit Institute of Art (dono di Lydia Winston Malbin), mentre la fusione in ferro è al Palazzo dei Congressi di Bienne; Ferito II (ferro, 1959) è al Museum of Modern Art di New York (Blanchette Hooker Rockefeller Fund); Piccolo Addio III largo (ferro, 1960), acquistato da Nelson Rockefeller, si trova ora al Rockefeller Estate di Kykuit (New York); Ferito VII (ferro, 1960) viene donato da Ida e Pieter Sanders al Kröller-Müller Museum nel 1980; Grande Ferito V in bronzo del 1962 è collocato nell’atrio dell’Automobil Club di Como. This lead sculpture, ‘hollowed’ by the artist in 1961, is a piece in the important Feriti cycle begun in 1959 and incorporating a series of different motifs, sometimes transposed into large formats, on which he worked until 1962. His works of this type were inspired by the post-war climate and thus should be considered as complementary to the Martiri cycle. The sculptor centres on the existential theme of the ‘wounded’, as did other Italian artists active in the post-war period, and introduces a new symbolic and operative concept into his plastic language, an element linked to the existence of a fragment of matter in space. He mounted the sculpture on shaft/stand in black-painted industrial inverted T-beam, so inflicting on the piece a caesura, a deep cut, which rends it and at the same time determines its spatial/architectural dimension. The Feriti series was well-received by criticism and the collecting world: Ferito Versione semplice. Cannone (iron, 1960), exhibited at the 1960 Venice Biennale, is now at the Kiasma Museum of Contemporary Art in Helsinki; two bronze castings of Grande Ferito I (1960) are included in the collections of the Koninklijk Museum voor Schone Kunsten of Antwerp and of the Detroit Institute of Art (gift of Lydia Winston Malbin), while the iron casting is at the Congress Centre of Biel/Bienne, Switzerland; Ferito II (iron, 1959) is at the Museum of Modern Art in New York (Blanchette Hooker Rockefeller Fund); Piccolo Addio III largo (iron, 1960), purchased by Nelson Rockefeller, is now at Kykuit, the Rockefeller Estate near Mount Pleasant, New York; Ferito VII (iron, 1960) was donated by Ida and Pieter Sanders to the Kröller-Müller Museum in 1980; Grande Ferito V (bronze, 1962) is installed in the atrium of the Automobile Club of Como.
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Racconto sul Cielo 1961 Tecnica | Technique Ferro grafitato con lucidi parziali ripreso direttamente dall’autore con elettrodo, su base originale a parallelepipedo in ferro dipinto in nero Graphite iron retouched by the artist with electrode, with polished areas, on original black-lacquered iron parallelepiped base Dimensioni | Dimensions 20,3 x 43,5 x 21 cm, base 6 x 47,5 x 6 cm Provenienza | Provenance Collezione Privata, Como Galleria Odyssia, Roma Collection John D. Rockefeller III, New York Collezione Privata, Roma Galleria Il Chiostro, Saronno Studio d’Arte del Lauro, Milano Collezione Privata, Castiglione d’Adda Galleria Open Art, Prato Collezione Privata, Prato Bibliografia | Literature S. Fontana: L’Altro Novecento della Scultura, Studio d’Arte del Lauro, Milano, 2015, p.35. B. Buscaroli: Utopia e Progetto, Sguardi sulla Scultura del Novecento, Carlo Cambi ed., Poggibonsi (SI), 2017, pp. 164, 189. C. Gatti, Tutte le forme dell’Informale, in “La Repubblica” (Milano), Roma, 23 maggio 2015, cit. p. 14 M. L. Paiato, Utopia e Progetto, in “Segno”, Pescara, luglio 2017, ripr. p. 67 Utopia e progetto. Sguardi sulla scultura del novecento, in “Comunicati-stampa.net” (web), 8 maggio 2017, ripr. Utopia e progetto. sguardi sulla scultura del Novecento, in “Murmurofart.com” (web), 7 maggio 2017, ripr. Esposizioni | Exhibited Studio d’Arte del Lauro, Milano, 2015 Galleria Open Art, Prato, 2017 Note | Notes Racconto sul cielo / Racconto Patetico I / Piccolo Racconto sulla Terra II Nella prima metà degli anni Sessanta Somaini avvia un grande ciclo di opere che attraversano la piena stagione informale. Ne fanno parte i Racconti sull’alba del 1961, i Racconti sul cielo del 1961-63, i Racconti sul mare del 1961-64, i Racconti nella notte del 1962-64, i Racconti patetici del 1962-64 e i Racconti sulla terra del 1965, per citarne solo alcuni. Si tratta di opere che trovano spunto negli elementi simbolico-naturali o evocano stati d’animo di carattere onirico-esistenziale. Alcuni di questi Racconti vengono esposti alla mostra personale di Somaini alla Galleria Odyssia di New York del 1964, incontrando il favore del collezionismo americano. Il Racconto sul cielo, qui presentato, viene dalla collezione di John D. Rockefeller III di New York. Un piccolo Racconto sul mare I del 1961 in peltro è invece conservato allo Smithsonian Institution, Hirshhorn Museum and Sculpture Garden. Somaini sviluppa poi il motivo di Racconto sul cielo in una Grande Scultura per una scala del 1962, per l’atrio di un edificio milanese ristrutturato dall’architetto Luigi Caccia Dominioni. In the first half of the 1960s, Somaini began a great cycle of works that ran through his informal season, inclusive of the Racconti sull’alba (1961), the Racconti sul cielo (1961-63), the Racconti sul mare (1961-64), the Racconti nella notte (1962-64), the Racconti patetici (1962-64) and the Racconti sulla terra (1965), among others. These are works inspired by symbolic/natural elements or which evoke moods of an oneiric/existential character. A number of these ‘Stories’ were exhibited at Somaini’s solo exhibition at the Galleria Odyssia of New York in 1964 and found favour with the U.S. collecting public. Racconto sul cielo presented here, is from the collection of John D. Rockefeller III of New York. A small Racconto sul mare I (1961) in pewter is instead conserved at the Smithsonian Institution’s Hirshhorn Museum and Sculpture Garden. Somaini later developed the motif of Racconto sul cielo, in a Grande Scultura per una scala (1962) for the atrium of a building in Milan remodelled by architect Luigi Caccia Dominioni.
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Una veduta della mostra Twentieth-Century Art from the Nelson Aldrich Rockefeller Collection, MoMA, New York, 28 maggio-1 settembre, 1969. La seconda opera da sinistra è Ferito III. Installation view of the Twentieth-Century Art from the Nelson Aldrich Rockefeller Collection exhibition. MoMA, New York, 28 May to 1 September 1969. The second work from the left is Ferito III. Photo: Rolf Petersen MoMA IN892.31. DIGITAL IMAGE Š data, The Museum of Modern Art/Scala, Florence.
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Blanchette e John D. Rockefeller III nel 1969 durante l’esposizione di alcune opere della loro collezione nell’ingresso del palazzo degli uffici di famiglia in Rockefeller Plaza, New York. L’opera Racconto sul Cielo, 1961, proviene dalla loro collezione. Blanchette and John D. Rockefeller III in 1969 during the exhibition of works from their collection in the entranceway to the family’s office building in Rockefeller Plaza, New York. Somaini’s Racconto sul Cielo (1961) is from their collection. Courtesy Rockefeller Archive Center, Sleepy Hollow (New York State) / Archivio Francesco Somaini
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Racconto Patetico I 1962 Tecnica | Technique Bronzo con patina dorata e lucidi parziali su base in ferro originale dipinta di nero Bronze with gilt patina and polished areas on original black-lacquered iron base Dimensioni | Dimensions 31,6 x 57 x 38 cm ca, base 8 x 8 x 37,3 cm ca. Provenienza | Provenance Odyssia Gallery, New York Collezione Privata, New Jersey Galleria Open Art, Prato Collezione Privata, Verona Bibliografia | Literature B. Buscaroli: Utopia e Progetto, Sguardi sulla Scultura del Novecento, Carlo Cambi ed., Poggibonsi (SI), 2017, pp. 165, 190. Esposizioni | Exhibited Galleria Open Art, Prato, 2017
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Galleria Odyssia, New York, 1964. Sono riconoscibili da sinistra: Racconto Patetico I, peltro 1962, Grande Ala della Memoria, bronzo 1963, Racconto nella notte, ferro 1962, Figura di Fuoco: Prometeo, bronzo 1963. Galleria Odyssia, New York, 1964. From the left: Racconto Patetico I, pewter, 1962; Grande Ala della Memoria, bronze, 1963; Racconto nella notte, iron, 1962; Figura di Fuoco: Prometeo, bronze, 1963. Photo by T. Feist Courtesy Archivio Francesco Somaini
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Racconto Patetico I, 1962 Vista alternativa | Alternative view
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Memoria dell’Apocalisse II 1962 Tecnica | Technique Bronzo patinato con lucidi parziali su base in ferro a putrella Patinated bronze with polished areas on iron-girder stand Dimensioni | Dimensions 211 x 102 x 130 cm, base 80 x 120 x 4 cm Provenienza | Provenance Odyssia Gallery, New York Collezione Privata, Lentate (Como) Fondazione Pietro Rossini, Briosco Collezione Privata, Forlì Galleria Open Art, Prato Bibliografia | Literature Francesco Somaini, Odyssia Gallery, New York, 1963, ripr. n. 3. F. D’Amico, M. Margozzi, M. V. Marini Clarelli, L. Somaini: Francesco Somaini, il periodo informale 1957-1964, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Roma, 20 settembre-25 novembre 2007, Electa, Milano, p. 38, 77. F. G. Porta Trezzi, A. Monti, L. Somaini: Somaini, L’Atelier. Lomazzo, 30 ottobre-22 novembre 2015, Silvana Editoriale, Milano, 2015, p. 14. Michele De Luca, Lo scultore del frammento, in “Abruzzo A/Z-60”, L’Aquila, giugno 2011, ripr. p. 8 m.v.c., Tra i Sassi di Matera spunta lui, lo scultore del frammento, in “Quotidiano di Bari”, Bari, 15 giugno 2011, ripr. p. 13 Michele De Luca, Francesco Somaini, in “Arte Contemporanea”, Roma, giugno-luglio 2011, ripr. p. 53 Michele De Luca, L’artista del frammento, in “Gazzetta del Sud”, Messina, 27 luglio 2011, ripr. p. 16 Zoe Bellini, Somaini, mostra nei sassi di Matera, in “Il Domani della Calabria”, Catanzaro, 21 agosto 2011, ripr. p. 11 Marina Mojana, Calendart, in “Domenica – Il Sole 24 Ore”, Milano, 4 settembre 2011, ripr. p. 45 Giuseppe Massimini, Le sculture di Franceso Somaini tra i Sassi di Matera, in “Corriere Laziale”, Roma, 16 settembre 2011, ripr. p. 6 Esposizioni | Exhibited Odyssia Gallery, New York,1964 Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma, 2007 MiArt, Milano, 2018 Note | Notes Memoria dell’Apocalisse II Questo ciclo di sculture di piccola, media e grande dimensione, sviluppato tra il 1961 e il 1963, trova ispirazione nella complessa simbologia della catastrofe, declinata in una serie di motivi caratterizzati da una drammatica espressività, con riferimento all’Apocalisse di Giovanni, ultimo libro del Nuovo Testamento e considerato uno dei testi più difficili e controversi da interpretare. Esemplari della Memoria dell’Apocalisse I del 1961 si trovano oggi al Toledo Museum of Art (bronzo) e al Detroit Institute of Art (ferro). Memoria dell’Apocalisse II in bronzo e Memoria dell’Apocalisse III in ferro vengono presentate alla personale di Somaini alla Galleria Odyssia di New York nel 1964, mentre un bronzo della Memoria dell’Apocalisse III del 1963 è conservato alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma. This cycle of sculptures in small, medium and large formats, created between 1961 and 1963, is inspired by the complex symbolism of ‘catastrophe’ and developed in a series of motifs characterised by dramatic expressivity and referred to the Apocalypse of John, the last book of the New Testament, which is generally considered one of the most difficult and controversial to interpret. Exemplars of Memoria dell’Apocalisse I (1961) are today found at the Toledo Museum of Art (bronze) and at the Detroit Institute of Art (iron). Memoria dell’Apocalisse II in bronze and Memoria dell’Apocalisse III in iron were presented at Somaini’s personal show at the Galleria Odyssia of New York in 1964, while a bronze of Memoria dell’Apocalisse III (1963) is conserved at Rome’s Galleria Nazionale d’Arte Moderna.
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Memoria dell’Apocalisse II, 1962 Dettaglio | Detail
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Francesco Somaini con Memoria dell’Apocalisse II, 1962 (in fase di lavorazione). Francesco Somaini with Memorie dell’Apocalisse II, 1962 (during production). Courtesy Archivio Francesco Somaini
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Primavera d’Altoforno 1963 Tecnica | Technique Bronzo patinato con lucidi parziali su base originale in ferro a parallelepipedo Patinated bronze with polished areas, on original iron parallelepiped base Dimensioni | Dimensions 45 x 56 x 53 cm, base 8 x 43 x 16 cm Provenienza | Provenance Collezione privata, Como Galleria Open Art, Prato Esposizioni | Exhibited MiArt, Milano, 2018 Note | Notes Primavera d’Altoforno I L’opera fa parte della serie delle Figure di Fuoco, tema sviluppato in sculture profondamente diverse tra loro tra il 1963 e il 1964, che sfocia nel Prometeo. Grande Figura di Fuoco esposto nella personale alla Galleria Odyssia di New York nel 1964 insieme a Primavera d’altoforno I in bronzo e a Primavera d’altoforno II in ferro con lucidi. Primavera d’altoforno I incontra il favore della critica e del collezionismo per la grande espressività formale del motivo che rinvia ai processi della fusione dei metalli. Un piombo, medaglia d’oro alla XVIII Mostra Internazionale d’Arte Premio del Fiorino a Palazzo Strozzi del 1967, è conservato alla Galleria Nazionale d’arte Moderna di Palazzo Pitti a Firenze, mentre un bronzo in bagno di nichel fa parte della collezione del Memorial Art Gallery di Rochester. This is one of the works in the series of the Figure di Fuoco, developed in vastly differing sculptures in 1963-64 and culminating in Prometeo. Grande Figura di Fuoco, exhibited at the artist’s personal show at the Galleria Odyssia of New York in 1964 together with Primavera d’altoforno I in bronze and Primavera d’altoforno II in iron with polished areas. Primavera d’altoforno I greatly impressed criticism and collectors due to the great formal expressivity of the motif, which calls into play the processes of metal casting. A lead version, gold-medal winner at the XVIII Mostra Internazionale d’Arte Premio del Fiorino at Palazzo Strozzi (Florence) in 1967, is conserved at the Galleria Nazionale d’Arte Moderna of Palazzo Pitti in the same city, while a nickel-bath plated bronze exemplar is found in the collection of the Memorial Art Gallery of Rochester.
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Primavera d’Altoforno, 1963 Vista posteriore | Rear view
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Primavera d’Altoforno, 1963 Vista posteriore | Rear view
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Piccolo Racconto sulla Terra II 1965 Tecnica | Technique Bronzo in bagno di nichel su base originale a parallelepipedo in ferro dipinto in nero Nickel-bath plated bronze on original black-lacquered iron parallelepiped base Dimensioni | Dimensions 8 x 21 x 15 cm, base 4 x 15 x 10 cm Provenienza | Provenance Galleria Il Chiostro, Saronno Galleria Open Art, Prato Collezione Privata, Lecce Bibliografia | Literature B. Buscaroli: Utopia e Progetto, Sguardi sulla Scultura del Novecento, Carlo Cambi ed., Poggibonsi (SI), 2017, pp. 166, 190. Esposizioni | Exhibited Galleria Open Art, Prato, 2017
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Bozzetto per il Monumento ai Marinai d’Italia III (versione ultima definitiva) 1966 Tecnica | Technique Bronzo con lucidi parziali in bagno di nichel su base in legno Nickel-bath plated bronze with polished areas on wooden base © MART - Archivio Fotografico e Mediateca Dimensioni | Dimensions 47 x 40 x 35 cm, base 3 x 26 x 27 cm Provenienza | Provenance Collezione Willy Macchiati, Milano Collezione Privata, Milano Galleria Cardazzo, Milano MART Museo Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto, Collezione VAF-Stiftung Bibliografia | Literature E. Crispolti: Alternative attuali 3. Rassegna internazionale d’arte contemporanea. Omaggio a Somaini (retrospettiva antologica), Castello Spagnolo, L’Aquila, luglio-settembre 1968, Centro Di Edizioni, Firenze, cat. cit. n. L20, p. 619. Esposizioni | Exhibited Castello Spagnolo, L’Aquila, 1968 Note | Notes Bozzetto per il Monumento ai Marinai d’Italia III (versione ultima definitiva) L’esaurirsi della stagione informale porta l’artista a un momento di riflessione durante il quale medita una svolta creativa, condotta attraverso l’intensa attività disegnativa. Nel 1965-66 Somaini avvia infatti la serie delle Metamorfosi, che anticipa soluzioni formali di alcune sculture, come la serie dei Bozzetti per il Monumento ai Marinai d’Italia di Milano del 1966-67. Si veda a tale proposito l’inchiostro di china dilavato del 1965, qui esposto, che accoglie suggestioni antropomorfiche. Il Bozzetto per il Monumento ai Marinai d’Italia III, conservato al MART di Rovereto, deposito collezione VAF-Stiftung, rientra nella serie degli studi preparatori per l’esecuzione del celebre monumento milanese. Tre fusioni in bronzo del Bozzetto per il Monumento ai Marinai d’Italia II sono conservate nelle raccolte del Quirinale a Roma, in Palazzo Morando a Milano e nel Museum of Art dell’Università del Michigan ad Ann Arbor. L’ampia eco suscitata dalla realizzazione del monumento a Milano orienta la First National Bank nella scelta di un’opera monumentale di analogo impianto per la città di Atlanta. The winding-down of the informal season prompted the artist to reflect on a change of creative direction and produce a great number of drawings. In 1965-66, Somaini began the Metamorphosi series, which anticipated the formal solutions we see in several sculptures such as the series of Bozzetti per il Monumento ai Marinai d’Italia in Milan (1966-67). In this connection, compare the India ink wash drawings from 1965, on exhibit here, with their anthropomorphic suggestions. The Bozzetto per il Monumento ai Marinai d’Italia III, conserved at MART of Rovereto, VAF Stiftung collection loan, is one in a series of preparatory studies for the famous monument in Milan. Three bronze castings of the Bozzetto per il Monumento ai Marinai d’Italia II are conserved in the collections at Rome’s Quirinal Palace, at Palazzo Morando in Milan and at the Museum of Art of the University of Michigan at Ann Arbor. The far-reaching echo generated by the Milan monument in Milan persuaded the First National Bank of Atlanta to choose for that city a monumental work with an analogous look.
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Da Sotto la Polvere. Quasi un Volo I (la Guerra Ritorna) 1967-69 Tecnica | Technique Scultura composta di due elementi connessi a incastro, in bronzo in bagno di nichel con lucidi parziali Sculpture composed of two interlocking elements in nickel-bath plated bronze with polished areas Dimensioni | Dimensions 23,8 x 38,3 x 26 cm Provenienza | Provenance Collezione Pino Binda, Como Collezione Privata, Como Collezione Privata, Como Galleria Lietti, Como Galleria Open Art, Prato Bibliografia | Literature III Exposicion Internacional del Pequeno Bronce Escultores Europeos, Madrid, Museo Espanol de Arte Contemporaneo, 2-30 aprile 1970, cat. cit. n. 149 p. 47 con data errata B. Buscaroli: Utopia e Progetto, Sguardi sulla Scultura del Novecento, Carlo Cambi ed., Poggibonsi (SI), 2017, pp. 167, 190. F. Pola: Italian Post-War Sculpture: Between Figuration and Abstraction, Robilant+Voena, London, 4 ottobre-17 novembre 2017, ill. pp. 10-11. Esposizioni | Exhibited Museo Espanol de Arte Contemporaneo, Madrid-Barcellona, 1970 Galleria Open Art, Prato, 2017 Robilant+Voena, London, 2017 Note | Notes Da Sotto la Polvere. Quasi un Volo I (la Guerra Ritorna) La serie dei Da sotto (1966-69) prende il titolo dalla tipologia strutturale di queste sculture, composte da due elementi a incastro: un elemento scolpito che emerge da una forma geometrica, scavata all’interno e polita esternamente, che funge anche da base. Si tratta di opere, come la serie coeva delle Cadute dell’uomo, legate alla riflessione sul rapporto tra scultura, architettura e città, che diviene centrale nell’attività creativa di Somaini negli anni successivi alla stagione informale. Tra queste figura Quasi un volo. La guerra ritorna, in cui lo scultore evoca l’aquila dello stemma degli Stati Uniti d’America, a quel tempo impegnati nella Guerra del Vietnam, che documenta la sua adesione al movimento pacifista. The Da sotto series of sculptures (1966-69) takes its title from the structural layout of the works, which are each composed of two interlocking elements: a sculpted element, ‘carved out’ internally and polished on the outside, emerging from another, geometric, form, which also acts as a base. These are works, like the coeval series of the Cadute dell’uomo, that are linked to Somaini’s reflections on the relationship between sculpture, architecture and the city which became central to his work in the years following his informal season. Among these figures, Quasi un volo. La guerra ritorna, evokes the eagle of the Great Seal of the United States – which at the time was involved in the Vietnam War – and documents Somaini’s adhesion to the pacifist movement.
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Da sotto la polvere. Quasi un volo I (la guerra ritorna), 1967-69 Vista laterale | Side view
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Vista della mostra Utopia e Progetto, Sguardi sulla Scultura del Novecento, Galleria Open Art, Prato, 2017. Alla parete Il Giocoliere, olio su tavola del 1927 di Marino Marini. View of the Utopia e Progetto, Sguardi sulla Scultura del Novecento exhibition, Galleria Open Art, Prato, 2017. On the wall, Il Giocoliere (1927), oil on panel by Marino Marini.
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Italian Postwar Sculpture, Robilant+Voena, London, 2018. Da sinistra a destra: Affermativa II, 1958 e Da sotto la polvere. Quasi un volo I (la guerra ritorna), 1967-69. From left to right: Affermativa II, 1958, and Da sotto la polvere. Quasi un volo I (la guerra ritorna), 1967-69. Photo by Mark Blower Courtesy Robilant+Voena, London
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Caduta dell’Uomo: Caduta dal Potere 1967-69 Tecnica | Technique Scultura composta di due elementi connessi a incastro, in bronzo in bagno di nichel con lucidi parziali Sculpture composed of two interlocking elements in nickel-bath plated bronze with polished areas Dimensioni | Dimensions 90 x 26 x 36 cm Provenienza | Provenance Collezione privata, Como Collezione Privata, Milano Collezione Privata, Milano Galleria Open Art, Prato Bibliografia | Literature G. Appella, L. Somaini: Francesco Somaini, opere dal 1943 al 2005, Matera - Chiese rupestri Madonna della Virtù e S. Nicola dei Greci e MUSMA, Museo della Scultura Contemporanea, 18 giugno-9 ottobre 2011, Edizioni della Cometa, Roma, p. 200. B. Buscaroli: Utopia e Progetto, Sguardi sulla Scultura del Novecento, Carlo Cambi ed., Poggibonsi (SI), 2017, pp. 169, 190. Esposizioni | Exhibited Studio della Quaglia, Verona, 1974 Galleria Agency d’Ars Ottocentodiciotto, Pescara, 1974 Galleria Il Diagramma 32, Napoli, 1974 Galleria Campanile, Bari, 1974-75 Museum des 20 Jahrhunderts, Vienna, 1976 Palazzo Te, Mantova, 1977 Galleria Open Art, Prato, 2017 Note | Notes Caduta dell’uomo: caduta dal potere / Carne Saturnina Il grande ciclo di opere dedicato alla Caduta dell’uomo rappresenta un momento nodale nell’ambito della riflessione condotta da Somaini sul rapporto tra scultura, architettura e contesto urbano avviata negli anni conclusivi della stagione informale. Le sculture di questo ciclo sono composte da due elementi a incastro: una struttura verticale scolpita, talora bipartita, che accoglie elementi antropomorfici nell’evocazione in maniera più o meno esplicita dell’architettura dei grattacieli newyorchesi, ed un elemento geometrico che funge da base, polito esternamente, riferibile al suolo urbano. Fanno parte di questo ciclo Caduta e Remissione (1967), Caduta e Rivolta (1967-69), Caduta nello spazio (1967-69), la cui fusione in bronzo oggi fa parte della raccolta della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, Caduta in se stesso (1967-69), Ascolto dal profondo (1967-69), Caduta dal potere (1967-69), Caduta nella crudeltà (1967-69), Caduta nel vizio (1967-69), Caduta nell’avidità (1969), Voce Antica (1969), Discesa Innominabile (1969), Agguato Antico (1969), Carne Ansiosa (1969) e Carne Saturnina (1969-70). Quest’ultimo motivo, di cui si espone una fusione in bronzo, viene portato nel 1973 a dimensione monumentale in resina rosa in occasione della partecipazione di Somaini a “Volterra ‘73”. Caduta nello spazio e Caduta in se stesso vengono inoltre ripresi dall’artista nei fotomontaggi dedicati allo skyline di New York come Grande scultura-arco e Scultura-legamento tra due grandi edifici commerciali del 1974. The great cycle of works exploring the theme of the fall of man, Caduta dell’uomo, came at a nodal moment within Somaini’s reflection on the relationship between sculpture, architecture and the urban context begun in the closing years of his informal season. The sculptures in this cycle are each composed of two interlocking elements: a sculpted, sometimes two-part vertical structure incorporating anthropomorphic elements in more or less explicit evocations of the architecture of New York’s skyscrapers, and an externally-polished geometric element that acts as a base and can be referred to the urban ground level. Included in this cycle are Caduta e Remissione (1967), Caduta e Rivolta (1967-69), Caduta nello spazio (1967-69) – the bronze casting of which is now in the collection of the Galleria Nazionale d’Arte Moderna of Rome – Caduta in se stesso (1967-69), Ascolto dal profondo (1967-69), Caduta dal potere (1967-69), Caduta nella crudeltà (1967-69), Caduta nel vizio (1967-69), Caduta nell’avidità (1969), Voce Antica (1969), Discesa Innominabile (1969), Agguato Antico (1969), Carne Ansiosa (1969) and Carne Saturnina (1969-70). The latter motif, of which a bronze casting is on exhibit here, was transposed into monumental format in pink resin in 1973 on occasion of Somaini’s participation in the Volterra ’73 event. Caduta nello spazio and Caduta in se stesso were reprised by the artist in his photomontages dedicated to the New York skyline: examples include Grande scultura-arco and Scultura-legamento tra due grandi edifici commerciali (1974).
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La retrospettiva al Museum des 20. Jahrunderts (oggi MUMOK), Vienna 1976. Sala dei disegni e delle opere legate alla progettazione di interventi urbani. La prima scultura sulla sinistra è Caduta dell’uomo: caduta dal potere 1967-69. The retrospective at the Museum des 20. Jahrunderts (now MUMOK), Vienna, 1976. Room exhibiting drawings and works linked to design of projects for urban areas. The first sculpture on the left is Caduta dell’uomo: caduta dal potere (1967-69). Courtesy Archivio Francesco Somaini
Caduta dell’uomo: caduta dal potere, 1967-69 Vista posteriore | Rear view
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Carne Saturnina 1969-70 Tecnica | Technique Scultura composta di due elementi connessi a incastro in bronzo con lucidi parziali Sculpture composed of two interlocking bronze elements with polished areas Dimensioni | Dimensions 87 x 26,5 x 26,5 cm Provenienza | Provenance Galleria Il Campanile, Bari Collezione Privata, Bari Collezione Privata, Roma Galleria Open Art, Prato Bibliografia | Literature Z. Krzisnik: Francesco Somaini, Mala Galerija, Lubiana, settembre 1971, ripr. Z. Krzisnik: Francesco Somaini, Salon muzeja savramene umetnosti, Belgrado, 17 dicembre 1971-16 gennaio 1972, cit. n. 10 C. Passaro: Notizie dalla “Jacopo della Quercia”. Francesco Somaini, a. III (1973-74), 5-31 gennaio, ripr. Francesco Somaini, Studio della Quaglia, Verona, 2-28 febbraio 1974 (depliant), ripr. E. Crispolti, B. Zevi: Francesco Somaini 1967/1977. Scultura e condizione urbana, Palazzo Te, Mantova, 11 settembre-23 ottobre 1977, Electa Editrice, Venezia, ripr. n. 47 Floriano De Santi, Alfabeto magico. In Campania due interessanti mostre di Luigi Pierno e Francesco Somaini, in “Brescia Oggi”, Brescia, 27 dicembre 1988, ripr. E. Crispolti: Urban Urgencies – City projects by Francesco Somaini. 1973, Mazzotta Editore, Milano, ill. p. 179, n. 143. E. Crispolti: Francesco Somaini, mostra antologica 1955-1988. Comune di Gallarate – Civica Galleria d’Arte Moderna 9 ottobre-5 novembre 1988, Edizioni Bora, Bologna., n. 36. Esposizioni | Exhibited Mala Galerija, Lubiana, 1971 Umetnosna Galerija, Maribor, 1971 Muzeja Savremene Umetnosti, Belgrado, 1971/72 Galleria Il Diagramma 32, Napoli, 1974 Studio d’arte Condotti 85, Roma, 1974 Pavillon im unteren Zwerglgerten, Salisburgo, 1974 Galleria Il Campanile, Bari, 1974/75
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Grande Carne Saturnina, 1969-1973, resina poliestere dipinta di rosa nell’installazione alla Fonte Docciola per “Volterra ‘73” (qui e a p. 97). Grande Carne Saturnina, 1969-1973, pink-painted polyester resin, in the installation at Fonte Docciola for Volterra ‘73 (here and on p. 97). Photo by E. Cattaneo Courtesy Archivio Francesco Somaini
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Antropoammonite IV 1975 Tecnica | Technique Bronzo patinato grigio Grey-patinated bronze Dimensioni | Dimensions 64 x 62 x 28 cm Provenienza | Provenance Mazzoleni Arte, Milano Galleria Open Art, Prato Bibliografia | Literature R. Bossaglia: Francesco Somaini, 1959-63, 1975-86 Due stagioni a confronto. Mazzoleni Arte, Milano, catalogo della mostra, 21 gennaio-28 febbraio 1987, Edizioni Mazzoleni Arte. E. Crispolti, L. Somaini, Somaini. Le grandi opere. Realizzazioni, progetti, utopie, Electa, Milano 1997, ripr. p. 332 Esposizioni | Exhibited Mazzoleni Arte, Milano, 1987 Note | Notes Antropoammonite IV L’importante ciclo delle Antropoammoniti, sviluppatosi nell’arco di circa quindici anni a partire dal 1975, apre un nuovo capitolo nella scultura di Somaini, caratterizzato dal recupero parziale della figura, evocata in modo più o meno esplicito in una “forma avvolta e contratta”, talvolta disposta ad anello, che riprende l’andamento di una conchiglia. Le Antropoammoniti sono concettualmente legate alla nascita di una nuova tipologia operativa plastica, che caratterizza la scultura di Somaini in questi anni, composta da una matrice e dalla traccia lasciata dal suo rotolamento su una materia duttile. Si tratta di una tipologia di intervento concepita nel 1975-76 in occasione di Operazione Arcevia, coordinata dall’architetto Ico Parisi, in cui l’artista prevede la caduta di una scultura lungo il crinale di una collina. Alcuni Studi per una traccia del 1977, del 1981 e del 1983, qui pubblicati, documentano a livello grafico questa pratica laboratoriale. Il motivo di Antropoammonite IV, che allude ad una figura femminile panneggiata di grande sensualità formale, non viene tuttavia utilizzato dall’artista per l’esecuzione di tracce. The important cycle of Antropoammoniti, developed over a period of about fifteen years beginning in 1975, opened a new chapter in Somaini’s sculpture. It was marked by a partial recovery of the figure, which he evoked in a more or less explicit manner in an ‘enveloped and contracted form’, sometimes presented as a coil recalling the spiral of an ammonite shell. Conceptually, the Antropoammoniti are linked to the artist’s adoption of a new plastic working mode, characteristic of his work in this period, associating a matrix and the ‘track’ left as it was rolled over a ductile material. This approach was conceived in 1975-76 on occasion of Operazione Arcevia coordinated by architect Ico Parisi, for which the artist produced a project envisioning a sculpture rolling along the ridge of a hill. Several Studi per una traccia (1977, 1981 and 1983), published herein, provide documentation in graphics of this ‘laboratory’ practice. The motif seen in Antropoammonite IV, which alludes to a draped female figure of great formal sensuality, was nevertheless not used by Somaini for producing his ‘tracce’.
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L’artista esegue un disegno della serie Etna Magico. La morte di Empedocle, 2000. The artist working on a drawing from the series: Etna Magico. La morte di Empedocle, 2000. Photo by C. Somaini Courtesy Archivio Francesco Somaini
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OPERE SU CARTA | WORKS ON PAPER
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Studio per una Scultura 1965 Tecnica | Technique Inchiostro di china dilavato su carta azzurra India ink wash on light blue paper Dimensioni | Dimensions 33,7 x 44,7 cm Provenienza | Provenance Mazzoleni Arte, Milano Galleria Open Art, Prato Bibliografia | Literature R. Bossaglia: Francesco Somaini, 1959-63, 1975-86 Due stagioni a confronto. Mazzoleni Arte, Milano, catalogo della mostra, 21 gennaio-28 febbraio 1987, Edizioni Mazzoleni Arte, cit. n. 40 come Studio per una metamorfosi. Esposizioni | Exhibited Mazzoleni Arte, Milano, 1987
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Studio per una Traccia 1977 Tecnica | Technique Inchiostri di china dilavati rosso e nero su carta Red and black India ink washes on paper Dimensioni | Dimensions 50,5 x 72,5 cm Provenienza | Provenance Galleria La Colonna, Como Collezione Privata, Como Galleria Open Art, Prato Esposizioni | Exhibited Galleria La Colonna, Como, 1984
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Studio per una Traccia 1981 Tecnica | Technique Inchiostri di china dilavati nero e bruno su carta bianca Black and brown India ink washes on white paper Dimensioni | Dimensions 50 x 36 cm Provenienza | Provenance Collezione privata, Pietrasanta Galleria Open Art, Prato
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Studio per una Traccia Antropomorfica 1983 Tecnica | Technique Inchiostro di china dilavato nero su carta Black India ink wash on paper Dimensioni | Dimensions 50,5 x 72,5 cm Provenienza | Provenance Galleria La Colonna, Como Collezione Privata, Como Galleria Open Art, Prato
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Studio per una Scultura (Grande Plurimo, III Premio Ingersoll Rand) 1985 Tecnica | Technique Inchiostri di china dilavati nero e bruno su carta Black and brown India ink washes on paper Dimensioni | Dimensions 27,4 x 40,2 cm Provenienza | Provenance Galleria La Colonna, Como Collezione Privata, Como Galleria Open Art, Prato
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Studio per una Scultura (Grande Plurimo, III Premio Ingersoll Rand) 1985 Tecnica | Technique Inchiostri di china dilavati nero e bruno su carta Black and brown India ink washes on paper Dimensioni | Dimensions 33,7 x 44,7 cm Provenienza | Provenance Mazzoleni Arte, Milano Galleria Open Art, Prato
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APPARATI | APPENDICES
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FRANCESCO SOMAINI
BIOGRAPHY
(1926-2005) Francesco Somaini was born in Lomazzo (Como) on 6 August 1926. He attended Manzù’s courses at the Accademia di Belle Arti di Brera in Milan and made his exhibition debut in 1948 at the Rassegna Nazionale di Arti Figurative promoted by the Rome Quadriennale. He earned his degree in law from the University of Pavia in 1949. He took part in the Venice Biennale for the first time in 1950. Following a period of reflection on the experiences of international modern sculpture, he turned toward abstraction and achieved an autonomy of language in the mid-1950s with works in ‘ferric conglomerate’ (Canto Aperto, Forza del Nascere) that marked his adhesion to the Arte Concreta movement and heralded his great informal sculptures. Somaini came to the attention of criticism in 1956 at the 28th Venice Biennale. He achieved success at the world level in 1959 with a personal room at the 5th Biennal de São Paulo, Brazil, where he was awarded first prize in the International Sculptors category, an acknowledgement that opened the doors to the U.S. market. He was granted a personal room at the 30th Venice Biennale of 1960. The next year, he showed at the Deuxième Biennale de Paris, where he was awarded the French art critics’ first prize. His work in this period was also acclaimed by such critics as Argan and Tapié. Interested as he was in experimentation with materials, he produced numerous works in iron, lead and pewter which he then attacked with the blowtorch and polished in their concave areas to accentuate their compositive expressiveness. This was the era of the Martiri and the Feriti, presented at various personal exhibitions held at the Galleria Notizie of Turin, the Italian Cultural Institute of New York, the Galleria Odyssia of Rome and New York, the Galleria Blu of Milan and at all the top international collective sculpture exhibitions. As the season of informal art drew to its close, Somaini’s sculptures became charged with symbolic valences (Portali, 1967). They are sculptures in which organic forms stand in dialectic rapport with geometric, ‘architectural’ volumes that attain visionary levels in the Carnificazioni di un’architettura cycle (19741976). In the conviction – developed as he produced his large-scale informal works between 1958 and 1972 in Italy and the United States – that sculpture must play a role in regenerating the urban architectural fabric, he formalised his utopian theoretical ideas in a series of design studies (E. Crispolti, F. Somaini, Urgenza nella città. Milan, Mazzotta, 1972). In parallel with his reflections on the relationships among sculpture, architecture and the environmental context, Somaini experimented with a personal technique of direct intaglio by means of high-pressure jets of sand, which from 1965 onward became a fundamental component of his plastic language. His 1975 analysis of the ‘laboratory’ processes inherent to sculpture led him to the idea of producing a bas-relief ‘track’ by rolling a sculpted ‘matrix’ which left always-evolving impressions that developed and revealed the cryptic message carried by the negative matrix. Matrices and tracks introduced a dynamic element, action and the idea of a path, of an operation involving architecture and the urban context. These new works were presented at the 1978 Venice Biennale (Prima traccia e la scultura matrice: Antropoammonite), at the anthological exhibition at the Stiftung Wilhelm Lehmbruck Museum of Duisburg in 1979 (Sviluppo di un paesaggio antropomorfico e matrice, 1978-79) and at his solo exhibition at the Lucca’s Botanical Garden in 1980 (Svolgimento dell’avvolto: traccia tragica, 1979). Beginning in the mid-1980s, Somaini again turned to large-scale works in Italy and Japan; the dialectic of the ‘track’ led to more in-depth exploration of the form in positive/negative; for example, in Porta d’Europa (Como, 1995). The artist proceeded with his direct sand-blasting intaglio of marble in 1975 (Antropoammonite I) and continued to apply the technique in such important works as Fortunia (1988), a series characterised by a powerful organic vitalism and entitled Lotte con il serpente, including Fortunia Vincitrice (2000) installed near the Como superhighway exit. Several of these works were shown at the anthological exhibition at Milan’s Palazzo di Brera in 1997, the Rome Quadriennale of 1999, the Carrara Biennale exhibitions of 1998 and 2000 and at the anthological show held at the Castello di Pergine (Trento) in 2000. In his last years, the sculptor increasingly flanked his plastic activity with drawing and painting. In 1999, he set his hand to an extensive series of works on paper that propose, in a fantastical key, the myths and legends that have arisen around Mount Aetna, in part as they are revisited in Maria Corti’s book Catasto magico (Einaudi, 1999). In the years that followed, he installed Fortunia Vincitrice (1997-2000) and Variazioni su Grande scultura verticale (2001) at the offices of the Centro Commerciale Bennet of Montano Lucino (Como). Somaini also continued his exhibition activity at important events such as Arti e Architettura, 1900-2000 curated by Germano Celant at Palazzo Ducale in Genoa in 2004 and Scultura Italiana del XX secolo at the Fondazione Arnaldo Pomodoro and Annicinquanta. La nascita della creatività italiana at Milan’s Palazzo Reale, both in 2005. He died in Como on 19 November 2005. The first posthumous retrospective of his work, entitled Francesco Somaini - Il periodo informale 1957-64, was held at the Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea of Rome in 2007. 118
BIOGRAFIA
Francesco Somaini nasce a Lomazzo (Como) il 6 agosto 1926. Frequenta i corsi di Manzù all’Accademia di Belle Arti di Brera ed esordisce nel 1948 alla Rassegna Nazionale di Arti Figurative, promossa dalla Quadriennale di Roma. Si laurea in giurisprudenza all’Università di Pavia nel 1949. Partecipa per la prima volta alla Biennale di Venezia nel 1950. Dopo una fase di riflessione sulle esperienze della scultura moderna internazionale, si volge all’astrattismo e raggiunge autonomia di linguaggio verso la metà degli anni Cinquanta con opere realizzate in conglomerato ferrico (Canto aperto, Forza del nascere), che segnano la sua adesione al Movimento Arte Concreta - Gruppo Espace e preludono alla grande stagione informale. S’impone all’attenzione della critica nel 1956 con la partecipazione alla XXVIII Biennale di Venezia. Raggiunge il successo a livello mondiale con la sala alla V Biennale di San Paolo del Brasile nel 1959, dove gli viene assegnato il premio come migliore scultore straniero, riconoscimento che gli apre il mercato negli Stati Uniti. Nel 1960 tiene la sua prima personale all’Istituto Italiano di Cultura di New York e viene invitato con una sala personale alla XXX Biennale di Venezia. L’anno seguente partecipa alla Deuxième Biennale de Paris dove riceve il premio della Critica d’Arte Francese. In questi anni la sua opera incontra il favore di critici come Argan e Tapié. Interessato alla sperimentazione dei materiali, l’artista fonde le sue opere anche nel ferro, piombo e peltro, che poi aggredisce con la fiamma ossidrica e polisce nelle parti concave, per accentuarne l’espressività. È il tempo dei Martirii e dei Feriti, presentati nelle varie personali allestite alla Galleria Notizie di Torino, alla Galleria Odyssia di Roma e New York, alla Galleria Blu di Milano e in tutte le più importanti collettive internazionali di scultura. Conclusasi la stagione informale, Somaini carica le sue sculture di valenze simboliche (Portali,1967), dove forme organiche sono poste in continuo rapporto dialettico con volumi geometrici di impianto architettonico, che raggiungono livelli di alta visionarietà con il ciclo delle Carnificazioni di un’architettura (19741976). Nella convinzione che la scultura debba svolgere un ruolo di riqualificazione del tessuto architettonico urbano – maturata durante le esperienze informali compiute a grande scala, tra il 1958 e il 1972, in Italia e negli Stati Uniti – lo scultore formalizza le proprie idee a livello teorico e utopico in una serie di studi progettuali (Crispolti, Somaini, Urgenza nella città, Mazzotta, Milano 1972). Parallelamente alla riflessione sul rapporto tra scultura, architettura e contesto ambientale, Somaini sperimenta una tecnica personale di intaglio diretto praticato mediante l’uso del getto di sabbia a forte pressione, che diviene componente fondamentale del suo linguaggio plastico. Nel 1975 l’analisi concettuale delle procedure laboratoriali inerenti alla scultura conduce l’artista all’ideazione di una “traccia” a bassorilievo, ottenuta mediante il rotolamento di una “matrice” scolpita che, lasciando un’impronta in divenire, sviluppa e rivela un’immagine criptica ad essa affidata in negativo. Matrici e tracce introducono l’elemento dinamico, l’azione, l’idea di un percorso, di un intervento che coinvolge architettura e contesto urbano. Queste nuove opere vengono presentate nella sala personale alla Biennale di Venezia del 1978 (Prima traccia e la scultura matrice: Antropoammonite), nella antologica al Wilhelm Lehmbruck - Museum di Duisburg nel 1979 (Sviluppo di un paesaggio antropomorfico e matrice, 1978-79) e nella personale all’Orto Botanico di Lucca nel 1980 (Svolgimento dell’avvolto: traccia tragica, 1979). A partire dalla metà degli anni Ottanta, Somaini si volge nuovamente all’esecuzione di opere a grande dimensione in Italia e in Giappone, dove la dialettica dell’impronta porta alla trattazione di forme in positivo/negativo, come in Porta d’Europa, Como 1995. L’artista procede all’intaglio diretto del marmo con il getto di sabbia ad aria compressa a partire dal 1975 (Antropoammonite I), attività che prosegue in opere successive di grande impegno come Fortunia (1988), in una serie di Lotte con il serpente caratterizzate da una organicità prepotentemente vitalistica, come Fortunia Vincitrice (2000), installata in prossimità dello svincolo dell’autostrada a Como. Opere in parte proposte nell’antologica allestita nel Palazzo di Brera a Milano nel 1997, alla Quadriennale di Roma del 1999, alle Biennali di Carrara del 1998 e 2000 e nell’antologica al Castello di Pergine (Trento) del 2000. In questi ultimi anni lo scultore affianca sempre più l’attività disegnativa e pittorica a quella plastica. Nel 1999 pone mano a una grande serie di opere su carta che riprendono in chiave fantastica i miti e le leggende sviluppatisi attorno all’Etna, rivisitati anche attraverso la lettura di Catasto magico di Maria Corti (Einaudi, 1999). Negli anni seguenti colloca negli uffici del Centro Commerciale Bennet di Montano Lucino (Como) Fortunia Vincitrice (1997-2000) e Variazioni su Grande scultura verticale (2001). Partecipa ad alcune importanti mostre, come Arti e Architettura, 1900-2000, curata da Germano Celant al Palazzo Ducale di Genova (2004), Scultura Italiana del XX secolo alla Fondazione Arnaldo Pomodoro e Annicinquanta. La nascita della creatività italiana, Palazzo Reale di Milano (2005). Muore a Como il 19 novembre 2005. La Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma gli dedica la prima retrospettiva postuma, Il periodo informale 1957-1964 (2007). 119
SOMAINI NEL MONDO SOMAINI IN THE WORLD
MUSEI
Austria Museum Moderner Kunst MUMOK, Wien Neue Galerie am Landesmuseum Joanneum, Graz
Brasile Museu de Arte Contemporanea da Universidade de Sao Paolo MAC, San Paolo
MART, Rovereto Triennale Design Museum, Milano Casa della Memoria, Milano CAMeC – Centro d’Arte Moderna e Contemporanea, La Spezia Museo d’Arte Contemporanea, Lissone Palazzo del Quirinale, Roma Pinacoteca Comunale di Arte Contemporanea Pietro Volpe, Sessa Cilento (Salerno) Pinacoteca Civica, San Felice sul Panaro (Modena) Gallerie d’Italia, Milano
Città del Vaticano Musei Vaticani , Collezione d’Arte religiosa Moderna
Macedonia Museum of Contemporary Art, Skopje
Finlandia Museum of Contemporary Art KIASMA, Helsinki
Olanda Rijksmuseum Kröller-Müller, Otterlo
Francia Musée National d’Art Moderne – Centre Pompidou, Paris
Spagna Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía
Germania Damnatz an der Elbe, Skulpturen Garten Kunst Palast, Düsseldorf Wilhelm-Lehmbruck-Museum der Stadt, Duisburg Stadtisches Museum, Schloss Morsbroich, Leverkusen
Sud Africa Rupert Museum, Stellenbosch
Belgio Koninklijk Museum voor Schone Kunsten, Anversa
Italia Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma Museo del Novecento, Milano Solomon R. Guggenheim Foundation, Venezia Galleria degli Uffizi, Gabinetto dei disegni e delle stampe, Firenze Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Palazzo Pitti, Firenze MAMBO, Bologna Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea, Ferrara Museo della Grafica, Palazzo Lanfranchi, Pisa Raccolte Storiche, Palazzo Morando Costume Moda Immagine, Milano Gabinetto dei Disegni e delle Stampe, Accademia di Belle Arti di Brera, Milano Galleria d’Arte Moderna e Contempoanea, Bergamo Galleria Civica, Modena Pinacoteca Civica Palazzo Volpi, Como MAGA, Gallarate Civiche Raccolte d’Arte, Gubbio Galleria d’Arte Contemporanea Musei Civici di Palazzo d’Avalos, Vasto Civico Museo d’Arte Moderna e Contemporanea, Castello di Masnago, Varese MUSMA – Museo della Scultura Contemporanea, Matera Museo d’Arte delle Generazioni italiane del ‘900, Pieve di Cento Pinacoteca Comunale d’Arte Moderna, Sulmona Casa Museo Remo Brindisi, Lido di Spina Pinacoteca Civica Vero Stoppioni, Santa Sofia di Romagna Museo Didattico di Storia e Arte, Castello della Rancia, Tolentino 120
MUSEUMS
USA Museum of Modern Art MoMA, New York Memorial Art Gallery of the University, Rochester, New York Rochester Museum and Science Center, Rochester, New York The Rockefeller Estate, Kykuik, Sleepy Hollow Hirshhorn Museum and Sculpture Garden, Smithsonian Institution, Washington The Kreeger Museum, Washington F.D. Murphy Sculpture Garden University of California, Los Angeles Walker Art Center, Minneapolis Albright-Knox Art Gallery, Buffalo Detroit Institute of Arts, Detroit Toledo Museum of Art, Toledo University of Michigan Museum of Art, Ann Arbor (Michigan)
SOMAINI NEL MONDO SOMAINI IN THE WORLD
OPERE IN LUOGHI PUBBLICI PUBLIC SPACES
Giappone Kumamoto, Kyushu Parco di Kashiwa-shi, Shiba, Tokio Italia Largo Marinai d’Italia, Milano Cariparma-Crédit Agricole, Milano Biblioteca del Parco Sempione, Milano Galleria Strasburgo, Milano Teatro Filodrammatici, Milano Galleria San Fedele, Milano Galleria Mazzini, Genova Camera di Commercio, Como Palazzo dell’Amministrazione Provinciale, Como Chiesa del Santo Spirito, Bergamo Banca Popolare di Sondrio, Sondrio Parco della Rimembranza, Villaguardia Lungolago, Menaggio Ninfeo Cinquecentesco, Villa d’Este, Cernobbio Chiesa di Santa Maria sull’Osa, Fonte Blanda, Grosseto Chiesa di San Biagio, Monza Chiesa di San Pietro Apostolo, Voghera Holcim s.p.a., Merone Chiesa di San Vito e Modesto, Lomazzo Campo del Sole, Tuoro, Lago Trasimeno Giardino di Scultura Bargellini, Pieve di Cento Acquedotto della Romagna, Ridracoli Bennet, Montano Lucino, Como Piazzale Milano, Campione d’Italia Automobil Club, Como Monumento ai Caduti, Lomazzo Ospedale di Circolo, Cantù Amministrazione Centrale Banca d’Italia, Roma Nuova Zelanda Library of University of Canterbury, Christchurch Olanda Matrosen Haus, Rotterdam Svizzera Palais des Congrés, Bienne Monastero Suore Agostiniane, Poschiavo USA New York State Theater, Lincoln Center, New York Baltimore RESCO, Annapolis Road, Baltimora Strassenburgh Planetarium, Rochester, New York Fontana della First National Bank Tower, Atlanta, Georgia
Photo by M. Maraffi Courtesy Archivio Francesco Somaini
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RINGRAZIAMENTI ACKNOWLEDGEMENTS Salvino Barnini Attilio Begher Enrico Botti Beatrice Borromeo Aiazzi, Archivio Francesco Somaini Aldo Cannavale Giuseppe Cetti e Bianca Marinoni Francesco De Luca Volker Feierabend Cecilia Gilardoni, Archivio Francesco Somaini Chiara Rampoldi, Archivio Francesco Somaini Francesco Russo Luisa Somaini, Archivio Francesco Somaini Ilaria e Martina Stefanini Fausto Torelli e a tutti coloro che hanno voluto mantenere l’anonimato and all the others who wish to remain anonymous Un particolare ringraziamento a Special thanks to MART Museo Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto In collaborazione con In collaboration with Archivio Francesco Somaini, Milano
via Mugellese, 42 50010 Capalle (FI) - ITALY Tel. +39 055 898247 - 8985619 Fax +39 055 898251 e-mail: info@ilcampionario.it
GALLERIA OPEN ART
Viale della Repubblica, 24 - 59100 Prato (PO) tel. +39 0574 538003 / +39 0574 537808 galleria@openart.it
www.openart.it
Finito di stampare nel mese di novembre 2018 presso Printing completed in November 2018 by Tap Grafiche - Poggibonsi (SI)