Thiagopreview

Page 1



Frontespizio

Margaret Gaiottina

Thiago

2014 n. 18


Colophon

ISBN 9788890995460 1° edizione dicembre 2014 Copyright © 2014 Mamma Editori Casa Bonaparte 43024 Neviano degli Arduini  –  Parma telefono 0521.84.63.25 mamma@mammaeditori.it www.mammaeditori.it

Vai ai romance di Òphiere http://www.ophiere.it/index.php/catalogo/9-catalogo-generale Per comunicare con Margaret Gaiottina http://margaretgaiottina.blogspot.it/

Immagine di copertina elaborata a partire da una fotografia di: <a href='http://it.123rf.com/profile_subbotina'>subbotina / 123RF Archivio Fotografico</a> FINITO DI DIGITALIZZARE NEL MESE DI DICEMBRE 2014 PRESSO MAMMA EDITORI


Dedica

A mia madre e mio padre, che ho la fortuna di godermi in questa fase della vita. Ora che tutti i conflitti della giovinezza sono finiti, rimane solo l'amore.



1. Una fuoriserie

Portia osservò attentamente la ragazza nella foto. Maya O’Byrne era quella che si poteva definire una ragazza fortunata. Un bel tipo, bisognava ammetterlo, con quei capelli rossi ondulati, snella ma non secca, morbida in un modo che poteva piacere soprattutto agli uomini. Tuttavia, anche se interessante, si trattava pur sempre di una sconosciuta, mentre non si poteva dire lo stesso di lui, il ragazzo al suo fianco. La O'Byrne si era aggiudicata Orlando Saxton, bruno tenebroso e ambitissmo. Le foto pubblicate su Glamour Woman erano state catturate in sequenza: la futura sposa che usciva dalla limousine con la faccia stupita per l’assedio dei fotografi; il suo uomo – incazzato nero per l’appostamento – che la stringeva con fare protettivo per difenderla dai paparazzi. Le didascalie riassumevano la storia della tipa: una povera orfana cieca che guarisce e riesce ad accalappiare il secondogenito di una delle più prestigiose famiglie d’America, i Saxton di Sussex, fondatori della famosa clinica di chirurgia estetica. Lo sguardo di Portia volò sulla propria mano e sul livido che le deturpava il polso. Gran botta di fortuna quella Maya, avere un fidanzato disposto a uccidere per lei. Glielo si leggeva in faccia a quel tipo che sarebbe stato pronto a battersi, anche a mani nude contro chiun5


que si fosse permesso un passo falso. Soprattutto a mani nude. Quel grande palmo che stringeva la spalla della sua donna doveva essere capace di carezze irresistibili ma sarebbe stato in grado anche di stringere una gola. Tutto sembrava, tranne un medico. Piuttosto pareva un guerriero. Nei jeans di lusso, tra ai lembi della camicia bianca un po’ sbottonata poteva aver nascosto una pistola. Portia sospirò mentre una voce sguaiata penetrava a forza tra i pensieri: «Ho preso una Corvette da sballo. Veniva usata per la droga e adesso la do a noleggio a chi la vuole. Sai che puoi fare? La spingi al massimo fino a far ruggire il motore, tanto che ti frega se si rovina? È a noleggio. È fatta apposta per divertirsi senza problemi.» Il rappresentante di sottaceti parlava col fattorino e intanto, di certo, la stava fissando. Portia chiuse per un momento la rivista ma non sollevò lo sguardo. Le parole del rappresentante a proposito dell'auto a noleggio le avevano dato una fitta allo stomaco. Che cos’era lei se non qualcosa di molto simile? Cos’era se non esattamente questo? Un bell’oggetto troppo sfruttato per essere apprezzato fino in fondo. Chi avrebbe mai potuto desiderare una donna come lei, una “tirata al massimo” proprio come la Corvette di quel cretino? Era bella, sì ma dire “usata” sarebbe stato dire poco. Portia sbuffò facendosi vento col palmo aperto e stringendo le labbra. Non ci poteva fare niente, per quanto la cosa le desse sui nervi, era così e basta.

6


Portia smise di sventolarsi con la mano e si leccò le labbra. Faceva un caldo da morire e l’arsura non le dava tregua. Cercò di evitare lo sguardo del rappresentante. Quel tipo veniva spesso in drogheria. Aveva le mani sempre sudate; come ogni volta, anche quel giorno sfoggiava un completo dozzinale con la cravatta appena allentata per il caldo e un alone grigio sul colletto della camicia bianca. E la guardava con la bava alla bocca. Come altro si poteva definire quella espressione fatta di occhi sgranati e labbra socchiuse con una pallina di saliva agli angoli? Portia sapeva benissimo a cosa stesse puntando. Nello specchio che stava a lato del bancone poteva vedersi riflessa. Gli occhi scuri e cupi, la massa di capelli ricci che le ricadeva sulle spalle, la scollatura profonda sulla quarta di reggiseno, la gonna rossa a pois bianchi stretta in vita, i tacchi color corallo, le caviglie magre. Se fosse stato per la comodità non si sarebbe mai addobbata in quella maniera. La tentazione di dare fuoco al guardaroba a volte diventava fortissima. C’erano dei giorni in cui avrebbe voluto alzarsi dal letto e infilarsi nei pantaloni informi del padre. Ma poi come avrebbe fatto a rimorchiare? Era più forte di lei, gli uomini voleva averli sottomano, e sotto anche qualcos’altro, ne aveva un bisogno disperato. Era come se dentro di lei fosse nascosto un demone affamato che reclamava la sua razione a tutti i costi. Maledizione. La campanellina annunciò che qualcuno stava entrando. Erano Jessika ed Ella. Portia drizzò la schiena guardando altrove per evitare di aprire subito le ostilità. Non 7


alzò nemmeno gli occhi. Conosceva a memoria le sue “amiche”, se così si potevano chiamare. Jessika Baneras, la tappetta portoricana con capelli neri e frangetta, entrò per prima ancheggiando a gambe larghe. Fu affiancata in un solo passo da Ella Hunko grazie alle gambe molto più lunghe: una stangona di origini polacche, bionda, top rosa, calzone bianco. Portia si mise a riordinare nella speranza di scoraggiare la solita commedia sul gommista ricchissimo fidanzato di Jessika e sul medico accalappiato da Ella. «Ciao, Portia, – disse la Baneras togliendosi le cuffiette. – Visto che carino? Hernandez mi ha regalato l’iPod Touch5.» Mostrò un rettangolo di metallo azzurro collegato agli auricolari e portò in avanti una spalla nascondendoci dietro il mento. Sorrise a occhi socchiusi. L’altra, Ella, intanto chinava appena la testa in cenno di saluto come trattenendo il fiato. «Andrew ascolta la musica solo con lo stereo a valvole,» disse buttando indietro i capelli lisci e mostrando il collo. Poi prese il giornale dalle mani di Portia: «Ma è Orlando Saxton, quello?» Jessika fece schioccare la lingua: «Ma ci pensate? Quello si sposa una che era cieca! Ha fatto un acchiappo la tipa! E anche l’altro è uno sballo.» «L’altro chi?» Portia allungò il collo per vedere meglio mentre Jessika puntava il dito scuro sulla pagina della rivista. L’unghia laccata di rosso andò a piantarsi su un riquadro col titolo “Lui è ancora disponibile”. Era un ragazzone alto e ben messo con i capelli biondo grano. 8


«Thiago Saxton,» lesse. Ella batté le ciglia lentamente: «È il fratello di Orlando. E lui è libero come il vento.» Jessika avvicinò la rivista agli occhi leggendo la didascalia: «“Il Golden Boy Thiago Saxton ventisei anni, uno degli scapoli più in vista d’America, continua a rifuggire l’idea del matrimonio.”» «Lui sì, che è davvero uno schianto,» annuì Ella ma Jessika protese una specie di broncio. «Peccato che sia così...» «Così come?» chiese Portia lanciando uno sguardo preoccupato alla foto. Cercò di concentrarsi sulla figura nel riquadro. Cosa poteva aver fatto di male quel tipo alto e bello per scontentare una come la Baneras? «Ma dai! Va con tutte!» Non era proprio difficile da credere. La foto lo inquadrava da lontano, ma non c’era dubbio che Thiago Saxton fosse un tipo ben più che interessante. «Beh che c’è di male?» mormorò Portia con un filo di voce, appena tremante. «Non si porta mai a letto due volte la stessa donna.» La polacca sgranò gli occhi un po’ spaventati e un po’ eccitati. Jessika annuì: «Proprio mai. È una barzelletta. Ma è così.» «Io, – si accalorò Jessika Benares avvicinandosi, – l’ho visto passare spesso qua davanti. Ha una supercar scura. Una volta stava per mettermi sotto, però, si è fermato e si è scusato… Era in costume, si vede che tornava dalla piscina. Un fisico pazzesco. Ho provato a fare un po’ 9


la carina ma poi ho guardato dentro l’auto e c’era una donna. Tanto per cambiare.» «Ma, scusa, non ce l’hanno la piscina a casa?!» Portia non poté impedirsi di squadrare Jessika a sopracciglia inarcate e questa le rispose con una smorfia: «Si vede che preferisce andare dove può agganciare.» Ella esalò un sospiro: «Roba da jet-set e poi noi siamo fidanzate. Certo che se un giorno Thiago Saxton avrà una donna fissa, quella ci farà morire d’invidia tutte quante.» Nella grocery "Da Mantini" il pensiero dei capelli biondo grano di Thiago Saxton impedì ai presenti di far caso al rombo potente e leggero di una Bmw I 8 blu notte che sfrecciava a tutta velocità su Hamburg Ave, proprio alle loro spalle, e che portava con sé l’oggetto dei desideri di ogni donna di Sussex e di moltissime altre città. *** Thiago era di nuovo in ritardo, maledizione. Non gliene andava una giusta. Spinse il pedale a tavoletta e il bolide divorò la strada con un’accelerata fluida e quasi silenziosa. Correre era davvero figo, gli regalava una scarica di adrenalina esaltante, al di là del fatto che non sarebbe servito a restituirgli quella mezz’ora persa. Con una manovra azzardata imboccò il viale alberato che saliva verso la collina dove sorgeva l’abitazione del padre, mentre le ruote stridevano sull’acciottolato. Mantenendo gli occhi fissi davanti a sé, allungò la mano verso il portaoggetti alla ricerca del telecomando. La porte del cancello automatico si aprirono con lentez-

10


za esasperante mentre aspettava tamburellando con le dita sul volante al ritmo duro dei Deftones. Dai, dai, su! Appena si aprì un varco sufficiente, si infilò tra due ali di metallo dritto fino al garage. Maledizione, il tempo era volato senza che se ne accorgesse. Prese la scala interna salendo i gradini due alla volta. Infilò le mani nel taschino della camicia. C’erano tre bigliettini tutti umidi e spiegazzati. Il solito copione: erano state le ragazze in piscina, tre tipette tutto pepe poco più che adolescenti con i bikini striminziti che lo avevano mangiato con gli occhi e alla fine erano riuscite a dargli il loro numero di telefono. Ovviamente tutte e tre. Scritto con la penna e uno addirittura coi cuoricini. Thiago abbandonò i foglietti spiegazzati nel posacenere. Sentiva voci familiari provenire dalla sala da pranzo, erano David e il padre che dovevano essere al dessert, ormai. «Non sono sicuro che sia una buona idea, papà.» «’Giorno.» Thiago scansò una sedia e prese posto con il sorriso candido di chi si ritrova a una riunione con amici. David rispose al saluto mentre Arthur gli rivolse solo un debole cenno del capo senza abbandonare il discorso. Ma lo sguardo faceva presagire che non avesse gradito il ritardo. «Perché no, David?» Il fratello maggiore si tamponò la bocca col tovagliolo, proprio là dove finivano le labbra e iniziava il pizzetto curato al millimetro:

11


«Credo che uno come James Monroe non sia incline ad accettare regali, anche se dovesse trattarsi di un presente di benvenuto.» Ah, ecco, parlavano del chirurgo: quello nuovo che aveva iniziato a lavorare nella loro clinica la scorsa settimana. Arthur annuì e David continuò: «Non abbiamo ancora confidenza con lui e potrebbe interpretare male il nostro atto di cortesia, scambiarlo per qualcos’altro, magari un tentativo di influenzare le sue scelte, anche future.» Saggio David, dalla sua bocca non potevano che uscire parole di buon senso. «Forse non hai tutti i torti...» Arthur abbassò lo sguardo sul Patek Philippe da polso e Thiago ebbe la certezza che in quel preciso momento sarebbe toccato a lui. Senza cambiare espressione, Arthur si rivolse al figlio minore: «Non si può certo dire che la puntualità sia il tuo forte, figliolo.» Thiago inspirò incamerando quanta più aria possibile nei polmoni, ecco che il vecchio ricominciava. Conosceva la manfrina a memoria quindi avrebbe potuto anche distrarsi un attimo guardando cosa ci fosse per lui sotto la campana di metallo. Scoperchiò il piatto dove trovò filetto, patate novelle e asparagi scottati. Aggrottò le sopracciglia setacciando il tavolo: posate d’argento, calici di cristallo, vino... Dove cacchio avevano messo la maionese? Ah, già, da nessuna parte, a casa Saxton al massimo si mangiava salsa villeroy preparata di fresco. 12


Che aveva detto suo padre? Ah, si blaterava del fatto che aveva tardato. Thiago prese un boccone e parlò con la bocca piena. Aveva una fame da morire, la piscina lo aveva sfiancato: «Ho fatto tardi ma il tempo è volato, dovrò mettermi una sveglia la prossima volta. Dovresti provare anche tu, papà, ti divertiresti un casino.» «A me basta la piscina della villa,» Arthur scosse la testa visibilmente irritato ma nonostante ciò le parole furono un flusso gentile e costante. «Stai prendendo il tirocinio troppo sottogamba, Thiago, la chirurgia richiede applicazione e pratica metodica. Quella che dovresti svolgere presentandoti con puntualità al tirocinio.» Thiago si riempì troppo la bocca e spostò lo sguardo verso David che non gli staccava di dosso gli occhi di ghiaccio. Il padre, invece, alzò un sopracciglio in senso di assoluta disapprovazione verso la voracità con cui Thiago si stava ingozzando. Thiago sentì la furia espandersi nel petto e bruciargli la gola come fuoco. Il cibo gli si trasformò in veleno nella bocca e dovette imporsi di deglutire per non sputare. Lasciò la forchetta portando entrambe le mani sotto la tavola dove le chiuse a pugno con tutta la forza che aveva. Nell’immaginazione spostava la sedia facendo stridere le gambe sul pavimento e si alzava in piedi guardando il padre dall’alto negli occhi grigio azzurri offuscati rispondendogli la verità, quella che proprio non voleva sentire. “Ho passato la mattina in piscina perché i depressori cardiaci con questo caldo mi sfiancano e sai 13


benissimo che non posso presentarmi in sala operatoria con il battito accelerato e rischiare le conseguenze che conosci, caro papà.” Quella voce gli ruggiva dentro, consumandolo come acido. Thiago strinse le ginocchia nei palmi, come se potesse stritolarle e i denti dietro le labbra rigide erano talmente digrignati da rischiare di andare in frantumi. Le sopracciglia erano aggrottate nello sforzo di contenersi. Che accidenti doveva fare? Strillare la verità pura e semplice e che tutti in quella stanza conoscevano? Perché Arthur continuava a fare domande inutili? Almeno David aveva il buon senso di stare zitto, questo doveva riconoscerglielo. “Basta bugie”, avrebbe voluto gridare. L’unica cosa sensata sarebbe stata ammettere con semplicità che si imbottiva di schifezze per evitare il disastro. Ancora meglio sarebbe stato smettere del tutto di nascondere “il disastro”. Thiago mandò giù il boccone ancora intero e sentì come un macigno nel petto che non aveva niente a che vedere col cibo. Avvertiva il labbro tremargli per la tensione ma non sapeva se fosse vero o se lo stesse solo immaginando. Ma alla fin fine, dal vigliacco che era, l’attimo di furore puro passò così come era arrivato. Come se nulla fosse accaduto, sfoderò uno dei suoi sorrisi migliori. «Hai ragione, papà. Credo proprio che a questo punto salterò il dolce e andrò dritto in clinica,» tanto l’appetito gli era del tutto passato. Scattò in piedi e fece per andarsene. «Aspetta, aspetta…,» Arthur gli fece cenno di sedersi.

14


Che altro poteva esserci? Thiago si fermò rigido tra la porta e il tavolo. «Dobbiamo assolutamente festeggiare: il Pentecostale della comunità di Monte Calvario ha menzionato la nostra famiglia, e me in particolare. Ha dedicato un articolo all’ultima asta di beneficenza a cui ho partecipato. Ha usato parole davvero lusinghiere. Dobbiamo brindare!» Ma stava dicendo sul serio? Thiago incrociò lo sguardo del fratello appena in tempo per sentirgli dire: «È una notizia meravigliosa, papà,» l’espressione imperturbabile che non faceva trapelare alcuna emozione. Con la medesima faccia da pesce lesso David avrebbe potuto benissimo dire “è morto il mio gatto stamattina” e sarebbe stato ugualmente credibile. Ma davvero Arthur poteva gioire per una cazzata simile? Il Pentecostale? Ma che razza di giornale si poteva chiamare così? Thiago si sentì offuscare la mente per la rabbia e dovette aggrapparsi alla spalliera della sedia per non perdere l’equilibrio. Quell'esaltazione per un oscuro giornaletto di una misconosciuta congregazione religiosa era da folli. Era ridicolo. Ma invece di dire la verità, ancora una volta si trincerò dietro un sorriso.

15


16


2. Lo sfasciacarrozze

«È una cosa fantastica, papà. Scusa sono davvero in ritardo, sai Orlando come si incazza quando poi faccio tardi. Diventa una bestia.» Dopo un quarto d’ora di sproloqui sull’importanza per la rispettabilità dei Saxton dell’appoggio fornito dall’oscura comunità pentecostale di Monte Calvario, Thiago fece l’occhiolino a David che gli stava proprio di fronte e che non poté fare a meno di alzare gli occhi al cielo. Si avviò verso l’anticamera dando le spalle al quadretto familiare e finalmente smise di sorridere. Che cosa sarebbe successo se avesse rovesciato il tavolo gridando: “Io sono diverso, papà, guardami! Sono diverso, lo sai! Guardami!”. Ecco cosa avrebbe dovuto fare. Avrebbe voluto vedere la tovaglia scivolare stretta nel suo pugno e trascinare giù la porcellana bianca, il filetto e le patate. Ma quell’esplodere di emozioni non era contemplato in casa Saxton. Bisognava essere sempre impeccabili, così gli avevano insegnato, mai esagerare con le reazioni, mai esternare i propri sentimenti. Bisognava essere misurati, accorti, prudenti. Thiago si chiuse la porta alle spalle sbuffando e stava per scendere la scalinata, ma poi si arrestò di colpo. Le aveva prese le pillole? I depressori cardiaci non erano mai abbastanza. No, non le aveva prese ma ne aveva di scorta in auto e in clinica, nell'armadietto in studio. 17


Mentre tirava la Bmw per Hamburg Ave, Thiago alzò la musica dello stereo a palla lasciando che l’adrenalina scorresse come droga nel suo corpo. *** L’auto sfrecciò così veloce che il rappresentate di sottaceti dovette alzare la voce per farsi sentire. Era eccitato al massimo. La figlia di Mantini lo stava facendo morire. Quella Portia era una specie di demonio, un fenomeno della natura creato apposta per tormentare gli uomini, con quella chioma di capelli ricci spettinati e il broncio sensuale e provocante. «Scommetto che sotto la gonna porti un paio di mutandine abbinate al reggiseno,» la provocò. Ora i pantaloni gli sarebbero scoppiati. «È pronto!» La voce di una delle sorelle rimbombò dal piano di sopra. Era ora di andare a pranzo. Portia si allontanò. A congedare il tizio ci avrebbe pensato il padre appena sbucato dal retro. E infatti dì a lì a pochi minuti anche il padre, il tronfio Tony Mantini della grocery "Da Mantini" raggiunse il resto della famiglia al piano di sopra. «Dov’è il vino?» fu la prima cosa che gli uscì dalla bocca. Intanto faceva scorrere gli occhi sulla tavola apparecchiata. «Perché cazzo non c’è il vino a tavola?» Un calcio ben assestato tra le natiche e Portia finì contro i fornelli. Barcollò per mantenersi in equilibrio mentre un flusso acido di ferocia pura le risalì in gola misto a lacrime di umiliazione. 18


Voltandosi vide il padre rosso in viso con gli occhi sporgenti come due biglie pronte a schizzare fuori dalle orbite. Una bestia, ecco cos’era. Portia strinse le labbra in una piega amara ma non poté impedire che gli occhi neri si dilatassero carichi di risentimento mentre gli serviva il vino. Era sempre stato così, un animale. Non aveva altri ricordi del padre se non di botte e inseguimenti per casa. E quando riusciva ad acciuffarla, la faceva nera. Come quella volta in cui le aveva rotto due costole, o quell’altra... Portia chiuse gli occhi un istante lasciandosi andare sulla sedia e lottò contro il desiderio di portarsi la mano alle orecchie, a quei lobi torturati così brutalmente con un paio di orecchini strappati via. Niente avrebbe potuto toglierle dalla testa quel pomeriggio d’inverno, quando la furia del padre si era sfogata su di lei in modo tanto doloroso. Il senso di strappo era qualcosa che ancora le metteva i brividi lungo la schiena e le faceva venire da vomitare. Sbocconcellò un po’ di pollo ma la fame le era passata. Il desiderio di restituire il dolore che pativa da una vita era bruciante. Non ci sarebbe voluto ancora molto tempo. Prima o poi qualche voce gli sarebbe arrivata all’orecchio e lei gliele avrebbe rese tutte, una per una. «Ahahah vedrai fra un po’ gli Ansaldo che fine faranno!» diceva lui intanto. Portia si girò dalla parte del padre che ruttò sonoramente e impugnò una coscia di pollo. Che fine avrebbe dovuto fare mai la famiglia Ansaldo, avversaria d’annata dei Mantini?

19


«Ma chi? I nipoti di Geronimo?» La madre somigliava sempre più a un specie di fantasma e così la sua voce. «Sì, sì, proprio loro.» Tony Mantini rise come una iena mostrando la bocca sdentata e piena di cibo: «Dovranno correre a farsi una lavanda gastrica con la partita di sardine avariate che gli ho rifilato oggi!» Ah, ecco perché se la rideva tanto, l’aveva messo in culo agli Ansaldo i quali in tal modo pagavano il prezzo di qualche fregatura che avevano rifilato a loro volta. Portia ingoiò un pezzo di carne stopposa e dovette innaffiarlo con acqua abbondante per farlo scendere. Il padre si asciugò la mano unta sulla tovaglia, si alzò e fece partire la sua insopportabile musica napoletana: «E che sarebbe ‘sto mortorio?». Quel motivetto odioso avrebbe continuato a suonare per chissà quanto. Con le finestre spalancate si sarebbe sentito fin dalla strada. Appena sparecchiato Portia si defilò in camera sua. Si era mossa con gesti automatici con il sangue ancora in tumulto. Si sedette sul letto e cominciò a strofinare via i residui di smalto sbeccato dalle unghie, raccoglieva le energie per rimanere calma e lucida. Gli avrebbe dato ciò che meritava, presto Antony Mantini avrebbe scoperto di essere il padre della più grande troia su piazza. Non c’era niente da fare, era nata così, era questione di natura. Si poteva essere malati di sesso? Forse sì, lo aveva letto a proposito di alcune celebrità, ma le sembrava strano che potesse capitare anche a lei. O forse, pensò guardandosi allo specchio, semplicemente non aveva forza di volontà. Non aveva mai capito quale fosse il suo problema veramente e aveva smesso di doman20


darselo da un bel po’. Sapeva solo di non essere capace di imporsi su se stessa per comportarsi da ragazza per bene; le veniva una specie di frenesia e in certi periodi del mese le sembrava di impazzire, se non avesse trovato qualcuno con cui andare a letto. Era un bisogno che la faceva letteralmente sciogliere e allargare le gambe, una cosa improvvisa e incontrollabile. Portia richiuse la boccetta d’acetone e fece un sospiro. Tutto quel concedersi al primo venuto spesso finiva per metterla nei guai. Soprattutto quando i bambocci di turno non volevano sentirsi dire che era finita e che era ora di girare al largo. Com’è che aveva detto il tipo dei sottaceti? Quella Corvette la si poteva tirare al massimo senza rimorsi, tanto era a noleggio. La potevi sfondare insomma. E chi si sarebbe mai comprato un’auto con cui tutti si erano divertiti senza riguardo? Per quanto bella e luccicante fuori come una fuoriserie, si sentiva già logora come un’auto di piazza che mai nessuno avrebbe voluto tenere per sé. Portia allargò le ginocchia e restò a fissare il buio tra le cosce nello specchio. Era un animale, anche se in modo diverso da suo padre. Se solo non avesse avuto le maledette voglie che le toglievano anche la dignità. Se non le avesse avute, sarebbe riuscita a tenere le gambe chiuse, o almeno aperte il giusto. Come Hella e Jessika. Senza un motivo particolare, mentre spremeva il tubetto di crema per le mani, le venne in mente la futura moglie di Orlando Saxton, bella, delicata. E lui, che la proteggeva con quel braccio intorno alle spalle come a difendere una cosa preziosa. 21


Portia gettò la testa all’indietro e i riccioli le ricaddero sulle spalle. Con gli occhi al soffitto, persa in quel bianco privo di fascino, decretò che mai nessuno avrebbe fatto lo stesso con lei. Chiunque l’avrebbe considerata, sempre e solo, pronta per lo sfasciacarrozze. *** Thiago intanto divorava i gradini della clinica a due a due mentre il rock duro gli martellava le orecchie. Dribblò pazienti e camici bianchi mirando alla tromba delle scale. Niente ascensore per lui; nonostante il nuoto della mattina, aveva tanta di quella energia in corpo che avrebbe potuto correre i diecimila metri e sentirsi ancora fresco. Vedeva solo immagini, isolato dai suoni della clinica, estraniato da tutto per tenere a bada il più possibile le emozioni. La realtà per lui era ridotta alle scale e poi alla porta dello studio personale in cui entrò a razzo. “Dr. Thiago Saxton” diceva la targhetta accanto allo stipite. Entrò nel piccolo studio sparato verso l’armadio dove teneva la divisa operatoria. Cos’è che aveva in programma per il pomeriggio? Sulla lavagna aveva visto di sfuggita che il primo intervento era l’asportazione del tragitto fistoloso di una trachea. Roba semplice. Ancora con la musica sparata nelle orecchie alzò lo sguardo e per poco non gli prese un colpo. La prima cosa che calamitò i suoi occhi fu un triangolo color miele perfettamente delineato. Non un triangolo qualsiasi, ma uno ben definito e allettante che rivelava appena due petali rosati su una pelle colore del burro. Più su, oltre la pancia piatta, compariva un seno 22


che sfidava la forza di gravità. Se lo ricordava perfettamente perché era passata solo una settimana da quando si era attaccato a uno di quei capezzoli di pesca e si era seppellito per intero in mezzo a quelle gambe. Un po’ più su, oltre il collo, un sorriso malizioso fatto di labbra carminio e denti bianchissimi. La ferrista canadese arrivata da dieci giorni in clinica e che si era allegramente sbattuto sulla centrifuga del laboratorio, com’è che si chiamava... «Pamela!» la indicò con l’indice e le indirizzò uno dei suoi sorrisi migliori. Almeno il nome se lo era ricordato. Per lui sarebbe andato bene anche “bionda scopata sulla centrifuga” ma nessuna donna, neanche la più ragionevole, sarebbe stata dello stesso avviso. Il camice era completamente aperto e quella ragazza...beh era uno schianto. Thiago sentì il battito del cuore accelerare e in contemporanea la carne premere sulla patta dei pantaloni. La saliva gli si prosciugò in bocca e l’istinto gli fece uscire fuori la lingua per leccarsi le labbra. Ma fu solo un istante, l’attimo dopo scosse la testa per schiarirsi le idee. No, no e poi no. La regola ferrea era “solo una volta”. “Una volta e basta” e Pamela aveva avuto la sua, di “volta”. La vide scendere con un saltello dal mobiletto e avanzare sui tacchi. Thiago rimase sul posto a fissare quel tripudio di corpo che marciava per conquistarlo. Lasciò cadere la divisa e incrociò le braccia sul petto nel più classico degli atteggiamenti di chiusura. Il suo viso doveva dire tutto perché Pamela deglutì atteggiando le labbra all’ingiù: «Cosa c’è che non va in me?» 23


Thiago glielo aveva letto sulle labbra. Se aveva esordito così senza che lui l’avesse ancora respinta a parole voleva dire che si trattava di una ragazza intelligente. Ma non sarebbe bastato, e lui lo sapeva bene. «Non sei tu, tesoro, sono io,» e non stava mentendo, in parte era vero. Pamela si avvicinò togliendogli gli auricolari. «No, cosa stai facendo?» Privato dello stordimento della musica Thiago sentì il fiato mozzarglisi nel petto. «Non dovevi,» sibilò. Era senza difese. Provò a sorridere ma la posa durò appena due secondi trasformandosi in un’espressione dura e contratta. Si batté la mano sulla tasca alla ricerca delle pillole ma la tasca era vuota. «Dannazione,» e senza aggiungere altro si girò per aprire l’anta dell’armadietto dando le spalle alla ragazza. Gli si aprì una voragine nel petto: lo svuota‑tasche in cui poggiava sempre i farmaci personali era vuoto. Sbatté la fronte contro lo sportello. Era finito, spacciato. Ce l’aveva duro da morire per colpa di quella stronza e se non avesse svaligiato al più presto la farmacia della clinica sarebbe avvenuta la catastrofe. E sarebbe successo davanti a tutti. Era la sua natura, natura del cazzo! Avrebbe dovuto vederlo ora suo padre, fanculo pure a lui e alla sua ipocrisia. Con la voce che gli usciva dal petto come un cupo brontolio riuscì ad articolare solo mezza frase: «Non posso, va’ via!» «Tra tanti che mi sono sbattuta sei in assoluto il più stronzo!»

24


Aveva di sicuro detto la verità . Thiago sentÏ il tacco echeggiare sul pavimento di marmo e poi la porta sbattere. Espirò di colpo il fiato che aveva trattenuto, gli restavano pochi minuti, appena sufficienti per poter scendere nei locali della farmacia della clinica. Quel pomeriggio si era messa male dal pranzo in poi. Il giorno dopo avrebbe fatto il bis in piscina ma avrebbe saltato di passare a casa, il quadretto famiglia felice gli dava il voltastomaco. Avrebbe preso qualcosa in Hamburg Ave, in quella drogheria sulla strada, tanto era sempre aperto.

25


26


3. Caldo

L’indomani, tornando dalla piscina, il pensiero di Thiago era fisso sul fratello maggiore. Doveva assolutamente farsi venire in mente qualcosa per risvegliare quello stoccafisso di David. Lasciò scivolare la Bmw I 8 blu notte proprio di fronte all’unica drogheria aperta, dall’altro lato della strada. Non si trattava di un parcheggio vero e proprio ma non importava, tanto, alle due del pomeriggio con quel caldo, non circolava anima viva. Aveva ancora stampata in mente l’espressione severa di David, il pizzetto curato e lo sguardo gelido con cui lo aveva squadrato la sera prima. Il fratellone non aveva gradito affatto i programmi per l’indomani. Ma Thiago era stato irremovibile. Aveva confermato candidamente che avrebbe saltato il tirocinio per arrivare in clinica nel pomeriggio. Il tutto per il più nobile dei motivi: spassarsela in piscina. Anatema. Per David assentarsi dal lavoro era qualcosa da combattere come la più terribile delle tentazioni. Tentazioni del Maligno, ovviamente, maledetta afa. Così per evitare ramanzine aveva mantenuto fede al programma di saltare il pranzo in famiglia. Thiago fermo ai lati della strada si decise ad aprire lo sportello. Gli sembrò di spalancare le porte dell’inferno. 27


L’aria rovente risaliva dal basso come in un forno a gas. Invece, era solo la strada. Fu tentato di richiudere e restare in auto. L’abitacolo, freschissimo grazie al condizionatore, diceva “rimani” ma lo stomaco non era d’accordo. Doveva soddisfare un primitivo, urgente, assoluto bisogno: mangiare e bere. Non gli andavano i toast stantii che vendevano in piscina e ora, se fosse stato per David, avrebbe dovuto volare in clinica a digiuno perché il ritardo si sarebbe sommato all’assenza del mattino. Ma soffrire non rientrava nella scaletta dei programmi del giorno. Slacciò i primi due bottoni della camicia e poi un terzo mentre attraversava la Hamburg Ave. Era ora di mangiare o sarebbe svenuto in sala operatoria. Passare la mattina in compagnia di ragazze seminude che ti gironzolavano intorno poteva mettere davvero parecchia fame. Spinse la porta a vetri della drogheria. Il negozio era poco illuminato e del tutto deserto. Non c’era anima viva tra gli scaffali sovraccarichi di scatolette, espositori e bottiglie. Di clienti nemmeno l’ombra ma sembrava non ci fosse nemmeno il commerciante. Probabilmente ronfava della grossa nel retrobottega. Thiago sbuffò e tossicchiò ma dietro il bancone non comparve nessuno e nemmeno alla cassa. Doveva rassegnarsi e ritornare all’auto ma lì intorno era pieno di tentazioni per il suo stomaco affamato. A destra, dalla penombra, emergevano scaffali pieni di barattoli di fagioli e sottaceti impilati ordinatamente, a sinistra dal soffitto penzolava una fila di prosciutti interi. Nell’aria aleggiava un odore buono di pane fresco e caffè. Il che gli procurò un nuovo gorgoglio. Se anche qual28


cuno si stava facendo un pisolino appena dietro la tenda anti-mosche, lo avrebbe svegliato. Bastava chiamare. «C’è nessuno?» Silenzio per una decina di secondi. «Arrivo!» Voce femminile giovane e poco entusiasta. L’annuncio fu seguito da un rumore di tacchi e poi una mano scansò la tenda. *** Il solito camionista di passaggio con una pancia enorme e già pieno di birra, pensò Portia. Chi altro poteva andare girando con quel caldo! L’ora di pranzo era passata da un po’ e quello era il momento in cui avrebbe dovuto stendere lo smalto levato il giorno prima; se c’era una cosa che proprio non sopportava era avere la mani in disordine. E invece ecco che arrivava lo scocciatore di turno. Ma aperta la tenda restò per un istante senza fiato. Thiago Saxton, non era possibile. La vita era fatta di coincidenze ma quella le superava tutte: dalla rivista all’uomo reale in carne e ossa. Il metro e ottantacinque meglio portato di sempre era impegnato al momento a passarsi la mano aperta tra meravigliosi capelli di varie tonalità di biondo grano e a guardare in basso gli affettati e i sottaceti esposti nel banco frigo. Poi il Golden Boy alzò lo sguardo. Portia vide l’attimo esatto in cui gli occhi color cobalto si sollevarono e si trattennero nei suoi agganciandola e scintillando di quell’interesse che aveva notato centinaia di volte negli uomini. Contatto stabilito.

29


Qualcosa – e Portia sapeva esattamente cosa – gli aveva fatto alzare le antenne. E anche la parabolica. Non le ci volle neanche una frazione di secondo per esserne certa. Il top a canottiera che lei indossava era impossibile da tenere chiuso per l’afa e mai al mondo lo avrebbe allacciato ora che a chiamarla non era stato l’ennesimo cliente con la pancia da bevitore, ma l’uomo più esplosivo mai visto. La reazione del corpo era stata istantanea. Nell’avvicinarsi al bancone sentì l'eccitazione vibrare tra le cosce e i capezzoli premere con il jersey leggero della canottiera attillata. «Buongiorno!» Gli rivolse il sorriso da gatta sorniona, repertorio. «Non potrebbe essere migliore,» rispose lui di rimando. La voce calda e fresca insieme rimbalzò tra gli scaffali come i rintocchi di una campana a primavera. Sorrideva con gli occhi. Le palpebre sonnolente si incurvavano in due mezze lune in cui l’azzurro delle iridi si fermò diritto nelle pupille di Portia. Quanto a lei, si accorse di muovere le labbra senza emettere suono. «Prepareresti a questo povero ragazzo affamato un panino al... – si sporse per vedere l’assortimento che proponeva il bancone – bacon, cetrioli e mostarda?» chiese scendendo con la mano dai capelli fino a fermarsi sulla nuca. A quel gesto la camicia di cotone così leggera da essere trasparente e che portava sbottonata si aprì ancora di più. Il collo si innestava forte, possente, lungo e leggermente arrossato dal sole tra spalle ingrossate dall’eser30


cizio atletico. Era quello il punto preciso, quello che la mandava fuori di testa: il rigonfiamento dei muscoli dietro e a ai lati del collo che rendevano le spalle larghe un po’ spioventi per via del fisico allenato. Portia si succhiò le guance alla ricerca di saliva e distolse lo sguardo. Gli occhi puntarono i piedi di Thiago. Mentre armeggiava con il barattolo della senape lo squadrò per bene: mocassini scamosciati italiani e indossati senza calzini. Allungò il collo e dalle vetrata del negozio vide un bolide scuro parcheggiato dall’altro lato della strada. Doveva esser il tizio di cui aveva parlato Jessika, ci avrebbe scommesso una gamba. Non ci si poteva aspettare di meno dal più giovane dei fratelli Saxton. «Ma certo, bel vichingo.» Quella strafottenza lo fece sorridere ancora e, se quando il Golden Boy era aggrottato per la scelta del panino era bello, quando era divertito diventava addirittura irresistibile. L’allegria pulita e contagiosa si illuminava come una lampadina quando le labbra si schiudevano sul sorriso bianchissimo e perfetto. Il vichingo si avvicinò al bancone. Sotto le palpebre sonnolente gli occhi cobalto fissarono come fossero ipnotizzati le mani di Portia intente a farcire il sandwich. Poi lo sguardo si sollevò un poco fermandosi di una spanna sotto il mento di lei. Le sopracciglia del ragazzo restarono inarcate in espressione ironica ma a labbra chiuse gli si disegnò in volto un sorriso perfetto e per un istante vi si affacciò la punta della lingua. Portia ghignò di soddisfazione. Un altro punto a segno. «Allora, oltre a questo che ti do?» 31


Sorrise anche lui e sollevò il mento. «Eh, che mi dai…» Sapeva stare al gioco, il nostro Thiago, ma se avesse pensato di poterla mettere in imbarazzo, lo compativa. Farla arrossire sarebbe stato più complicato di far nevicare nel deserto. Mentre il bel tipo divorava il sandwich in due bocconi e svuotava una birra gelata, Portia iniziò a succhiarsi distrattamente il mignolo mentre lo squadrava: si spinse un po’ in avanti fingendo di sistemare altro pane senza guardarlo negli occhi ma certa di offrirgli un’occhiata generosa alla scollatura e, tramite lo specchio dietro il bancone, una visione altrettanto particolareggiata del sedere, ben evidenziato dalla posizione chinata in avanti. «Forse riesco a immaginarlo, che cosa vorresti…» «No, credo proprio di no, bellezza,» aveva bisbigliato più a se stesso che a lei. Ma per Portia quel trampolino era più che sufficiente. Eresse il busto cercando quegli occhi blu intenso. Invece di essere in difficoltà, lui mantenne le sopracciglia sollevate e scosse la testa mettendo le mani sui fianchi. Sicuro, senza la minima titubanza o insicurezza. E perché avrebbe dovuto averne? Bastava guardarlo per comprendere che non aveva mai avuto un problema nella vita che non fosse scegliere come passare una serata. Portia lo studiò un istante ad occhi socchiusi. Dalla faccia si intuiva che il ragazzo aveva un'immaginazione vivace. E Portia conosceva bene gli uomini per capire cosa stava costruendo dietro quello sguardo da principe azzurro. 32


«Oh, credo proprio di sì, invece.» Gli avrebbe dato una bella lezione a quel signorino così bello, appena uscito dalla copertina di GQ, con i vestiti firmati e il fisico palestrato. Un lampo le illuminò gli occhi. Prese un grosso wurstel e senza staccare gli occhi da quelli di lui, lentamente lo portò alla bocca leccandone appena la punta. Poi come se avesse tutto il tempo del mondo lo abbassò infilandolo nella fessura tra i seni. Ora, sì. Ci sarebbe stato da divertirsi. Lo vide spiazzato per una frazione di secondo, schiudere per un istante la bocca, come se fosse rimasto senza parole. Lo aveva scioccato, povero cucciolo. Poteva dirsi confuso? Se lo era stato, durò solo un attimo, il tempo di un battito di ciglia, poi le labbra del ragazzo meraviglioso tornarono distese a scoprire appena un sorriso impertinente. Aveva brillantemente superato la fase scioccata. Bene, Portia poteva passare alla seconda parte dell’incontro, quella davvero divertente. Sì portò le mani sui seni stringendoli uno contro l’altro senza staccare gli occhi da lui. Le sembrò che le pupille inghiottissero il blu dell’iride. «Non so, se sapresti bene cosa farci…» Lo vide sorridere ancora di più e qualcosa le diceva che sarebbe arrivata una risposta a tono. Lui scosse un poco la testa come a schiarirsi le idee. «Scommetto invece di essere preparato sull’argomento, sai?» Era interessante, il tipo. Portia sollevò il mento: «Vediamo. Vieni con me.»

33


Lo precedette nel retrobottega diretta al suo boudoir personale, l'angolo spazzatura nel vicolo, protetto da una tettoia a da un paio di lamiere verso la strada. Non lo sentiva parlare ma capì dal rumore dei passi che la stava seguendo e uscirono nel vicolo. Dalla finestra aperta del primo piano sopra le loro teste nascoste dalla tettoia, arrivava il rumore della televisione e il padre di Portia che chiamava la moglie. Sgarbatamente, urlandole contro come sempre. Ma Portia ormai non ci faceva più caso, era come il rumore del camion dell’immondizia che raccoglieva i rifiuti per la strada. Lui rise: «Abbiamo compagnia.» «No, è solo quello stronzo di mio padre dal soggiorno,» Portia alzò le spalle. Nella penombra creata da scatoloni e fusti impilati, lui sembrava assolutamente sereno e divertito. Tanto da estrarre dal taschino una caramellina e ficcarsela tra i denti. Se era una caramellina! Possibile che il GoldenBoy non si sentisse abbastanza sicuro di sé? Come rispondendo al dubbio di Portia, Mr. Splendore le mise le mani sui fianchi in un gesto che era un invito sfacciato e che nello stesso tempo lasciava a lei la prima mossa. Portia trattenne a stento i movimenti. Gli sarebbe volentieri saltata addosso, sentiva la carne infiammata e pulsante reclamare sollievo. Ma gli aveva promesso qualcosa di particolare e in quel momento si maledisse.

34


Ingoiando un gemito decise di sopportare per concedergli quello sfizio sperando che fosse solamente un antipasto. Invece di passare all’azione inarcando una gamba e invitarlo dentro di sé, Portia cominciò a slacciare gli ultimi bottoncini del top fino ad appena sotto l’incrocio dei seni. Lui, senza mai staccarle di dosso lo sguardo carico di ironia, scese con la mano accarezzandole la coscia e le tirò su il tessuto della gonna leggera. Un brivido le serpeggiò sulla pelle dal ventre fino ai capezzoli. Portia fremette. L’atmosfera si era fatta carica di aspettativa; erano così vicini che Portia poteva sentire l’odore dei suoi indumenti e sotto, quello della sua pelle. E le piaceva ciò che sentiva. Scivolò lentamente in ginocchio e senza staccare i propri occhi neri da quelli blu di lui, afferrò la cintola dei pantaloni attirandolo verso di sé. Per un attimo rimase spiazzata quando la mano grande ma delicata del ragazzo si posò sulla sua guancia indugiando sull’orecchio. Ma si era sbagliata, non le stava facendo una carezza, stava solo sfiorando il lobo strappato. Se Thiago Saxton avesse scostato la massa di ricci dalla parte opposta avrebbe scoperto che l’altro era stato tirato via anche peggio. Portia cercò di non concentrarsi su quel curioso contatto ma su ciò che aveva davanti. Lo accarezzò vogliosa sul cavallo dei pantaloni e gemette. Le fece eco il sospiro di lui. Poi fu la volta del bottone. Lui portava sotto un costume della Nike perfettamente asciutto e aderente ai genitali. Il tessuto era evidentemente teso e gonfio. Por35


tia sollevò lo sguardo soddisfatta per incontrare di nuovo l’azzurro ridente del suo amante del momento. E ciò che vi lesse le cancellò il sorriso. La mandibola pendeva lasciando la bocca aperta, le sopracciglia erano completamente abbandonate, le palpebre semi-abbassate su uno sguardo annebbiato dal desiderio, il più puro, selvaggio e torbido. L’impazienza era anche rivelata dalla pelle tesa sulle tempie. Bellezza e desiderio potevano essere una combinazione letale. Avvicinò il viso è sentì il turgore della carne premuta sul naso e odore di sesso e cloro. Sganciò il reggiseno dal davanti. Si strinse i seni liberi fra le mani e iniziò a farli lavorare intorno a lui, avvolgendolo. Mentre il sesso di quel ragazzo tutto d’oro le scottava la pelle scendendo e risalendo con dolcezza implacabile, i pensieri di Portia ebbero il tempo di fluttuare attorno a un senso di rimpianto. Le erano tornate in mente le parole di Jessika sulla regola del Golden Boy: mai due volte. Così, quello squarcio di sole miracolosamente apparso nella sua vita si sarebbe spento d’incanto. Offuscato da nuvole grigie come il soffitto della drogheria. Thiago sarebbe rimasto un ricordo, l’apparizione fuggevole di un semidio. Sarebbe scomparso per sempre dalla sua esistenza senza guardarsi indietro. *** Le labbra le bruciavano di un calore inestinguibile e il languore la trafiggeva con una prepotenza che le annebbiava la vista. Ma Portia si sollevò e si passò il fazzoletto sul collo con l’espressione di una crocerossina che ha appena adempiuto al proprio dovere. 36


Le braccia forti di Thiago la ghermirono sollevandola. Le gambe le tremavano mentre sentiva mani esperte affondare nelle sue mutandine. Portia si abbandonò a quella carezza spettacolare e si sciolse sotto quel tocco magico. Ma fu solo un istante perché in un impulso improvviso gli fece scostare le dita. «Ti ho dato ciò che ti avevo promesso,» sussurrò maliziosa stampandosi un sorriso disteso e trattenendo l’urlo di sofferenza chiuso nella laringe. «E tu?» Thiago la guardava come se le fossero spuntate un paio di corna. «E io...» Portia schiarì la voce esibendosi in un gesto vago della mano, ad intendere che si trattava di roba da nulla. Per sicurezza si voltò immediatamente evitando di sostenere troppo quello sguardo attento. Prese un chewingum dalla tasca della gonna e scomparve nel retrobottega. «Aspetta...» La voce di Thiago fu come una carezza. Portia sorrise tra sé, lo stratagemma di non dargliela aveva funzionato alla grande. «Cosa?» rispose senza voltarsi. Ma lui le girò intorno piazzandosi davanti e bloccandole l’accesso nel retrobottega: «Aspetta, ho un'idea. Mio fratello ha proprio bisogno di qualcuno che lo smuova. E tu sei così seducente, così pensavo se, magari...» Portia lo guardò e sollevò un sopracciglio, in attesa. «Pensavo che, magari potresti fare la ragazza sorpresa …ecco – sembrò rifletterci un secondo e poi sgranò gli occhi, come folgorato da una intuizione improvvisa – 37


venire fuori dalla torta per la serata d’addio al celibato.» Stava facendo un gesto con le mani come a mostrare qualcosa di grosse dimensioni. «Sì, ho presente,» annuì Portia. Una festa di ricconi, sarebbe stato divertente. «Ok, ti do il mio numero di telefono.» Portia snocciolò una sequenza di cifre mentre lui estraeva il telefono per memorizzarlo. Ultimo modello con funzioni super, ovviamente. «Come ti chiami?» le domandò. «Portia,» disse lei facendo un pallone che le scoppiò sul naso. Poi recuperò la gomma che le si era spiaccicata sulla faccia e la rimise in bocca. «Thiago.» Rispose. «Ok, Portia, penso che ti chiamerò molto presto.»

38


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.