1 minute read
"Men, eaters of bread"
Un viaggio nella cultura del pane fino alla “Coppietta” venostana
Foto: Frieder blickle Tutti in fila! Le “coppiette” venostane dopo la cottura.
Advertisement
Nel poema epico del poeta greco Omero, Ulisse invia un messaggero in perlustrazione, alla ricerca di persone che mangiassero il pane. Per i Greci ciò era un indicatore di civilizzazione delle persone. Già da milenni i cereali costituiscono un alimento fondamentale, consumato come pappa ai cereali e come pane. Tra le attestazioni del Neolitico è da annoverare il contenuto dello stomaco di Ötzi, nel quale sono stati trovati resti di cereali e particelle delle pietre usate come macine. Il contadino considerava il pane come una sorta di alter ego. Ci si considerava un contadino autonomo solo se si era in grado di coltivare cereali e di fare il pane. Negli anni ’60 e ’70 nella Val Venosta, considerata per secoli il granaio del Tirolo, i campi di grano scomparvero rapidamente. Oggi è tornata la consapevolezza della sostenibilità e della sana alimentazione e si può notare una ripresa dell’agricoltura cerealicola. Ma torniamo al passato. Sui masi si era soliti fare il pane due tre volte l’anno e per questo motivo il pane doveva tenere a lungo. La “Coppietta” venostana esiste probabilmente da secoli. Segale, lievito madre e acqua sono gli ingredienti base dell’impasto. A volte la qualità della farina era scarsa e per migliorare il sapore si aggiungeva cumino, anice e trigonella. Due palline di impasto poste una accanto all’altra che si appiattiscono unendosi insieme, così il Paarl ottiene la forma a noi nota. Dopo la cottura il Paarl veniva messo nel cosiddetto “hurt” una sorta di grata di legno per l’essiccazione che di solito si trovava in soffitta. Con il “gromml” un attrezzo per tagliare il pane, simile ad una mezzaluna ancorata ad un lato, si riduceva il pane duro in piccoli pezzi e si mangiava con le zuppe o con il latte. ¬
Ulteriori informazioni a pagina 33