Optimist 2020 Numero 1

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Intervista con campioni ex optimisti Luca Bursic Come ti sei avvicinato alla vela? Come tutti, al Lago d’Iseo nella casa al lago. Il padre compra una barca e la ormeggia all’ANS. Avevo 6 anni, tutto è cominciato da lì. Della vittoria al Campionato del mondo nel 1997. Cosa ti ricordi di quell’esperienza? Mi ricordo tutto, molto bene. La sensazione di leggerezza che ho provato quando mi sono reso conto che avevo vinto. Ricordo anche gli abbracci di tutta la squadra e quello di mio padre all’arrivo a terra dal gommone. Cosa ha significato per te l’optimist? Innanzitutto gli amici, che sono anche gli ex avversari. L’optimist è stato uno strumento potentissimo per farmi tanti amici, in tutto il mondo. È stato una scuola di vita. Io ero molto timido e andare in optimist mi ha aiutato a superare le mie timidezze ed a prendere decisioni da solo. Mi ha insegnato la disciplina, il perseguire gli obiettivi. È stato importante più a livello umano che tecnico velico. Ti insegna soprattutto la strategia e la tattica di regata e ti dà tanto feeling. Soprattutto l’ultimo anno secondo me, quando sei grande e pesante e devi affrontare decisioni in situazioni non ottimali, devi essere perfetto dal punto di vista tecnico, a livello di sensibilità di movimenti. Luca sei stato padrino del 1° gruppo nazionale nell’ottobre 2012 a Riva del Garda. Ai ragazzi dicesti: “Andai a quel campionato con due braccia e due gambe come gli altri e me la giocai.” E l’errore più grosso nella carriera da ottimista che ti ricordi ancora? Lo ricordo molto bene. È stato un concorso di colpe tra me e Walter il mio allenatore. Era il

1996. Era un bel periodo per me, avevo raggiunto il mio massimo. Stavo benissimo, ero forte e sicuro. Quell’anno ci fu il passaggio al one design, una barca che si è rivelata molto diversa dalla mia. Ero al mio 2° mondiale in Sud Africa. Chiaramente dovetti prendere una barca charter (one design) e sinceramente non ci eravamo preparati. Le one design erano diverse dalle altre, 4 cm di differenza di centratura, io non andavo avanti. Fino a che il penultimo giorno, mio padre (che non si intendeva di vela) mi disse di mettere più avanti l’albero che secondo lui c’era qualcosa di strano. Così facemmo e cambiò tutto. Il giorno dopo feci 3 primi. Mi è rimasta di traverso, anche se poi ho vinto il mondiale l’anno dopo. Forse avrei dovuto vincerlo l’anno prima, nel 97 l’ho vinto forse per esperienza. Quali sono i punti di forza dell’attività giovanile in Italia? Innanzitutto la geografia dell’Italia. Chilometri di coste, condizioni meravigliose, è naturale che sforniamo tanti talenti. Poi il lavoro che fanno i circoli a livello giovanile è notevole. Anche i circoli più piccoli e la stessa classe AICO: riescono a tirare su dei team che sono veramente forti. Il successo dell’optimist parte dalla base. I genitori, tanti allenatori bravissimi che potrebbero tranquillamente allenare le squadre olimpiche. Riguardo all’annoso problema dei campioni optimist che quando passano di classe non vanno avanti e si fermano cosa ne pensi? Forse ci vorrebbe un’altra diretta per affrontare questo problema. In Italia tendiamo a dare opinioni su cose che non conosciamo. Io la


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