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Poste Italiane - Spedizione in A.P. Tabella D - Autorizzazione S/CZ/67/2009 Valida dal 30/07/2009 - Distribuzione Gratuita

RIVISTA SEMESTRALE DELL’ORDINE DEGLI ARCHITETTI PIANIFICATORI, PAESAGGISTI E CONSERVATORI DELLA PROVINCIA DI CATANZARO

news

architetticatanzaro


AC - ArchitettiCatanzaro Rivista Bimestrale dell’Ordine degli Architetti Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Catanzaro Anno V - n. 03 dicembre 2015 direttore responsabile Arch. Giuseppe Macrì redazione:

Arch. Francesca Savari

Arch. Jole Tropeano

Arch. Junior Francesco Materazzo hanno collaborato in questo numero: Arch. Alessandro Pitaro Bruno Bevacqua Edoardo Suraci Vincenzo Costantino Arch. Maria Rosa Agresta Arch. Chiara Saraceno Nicoletta Grasso Prof. Arch. Domenico Marino Prof. Arch. Sante Foresta Arch. Jole Tropeano Arch. Domenico Conaci Arch. Francesco Materazzo Arch. Francesca Savari Arch. Eugenio D’Audino Arch. Luca Spagnolo Arch. Maya Azzarà

progetto grafico e impaginazione Graziella Pittelli stampa SudGrafica - Davoli Marina (CZ)

032015-16 OAPPC Ordine degli Architetti Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Catanzaro Via Paparo, 13 88100 (Catanzaro) segreteria Angela Calabretta Costantina Talarico Tel. 0961 741120 Fax 0961 743493 registrazione al tribunale di Catanzaro n. 130 del 12/06/2002 www.archicz.it info@archicz.it in copertina Cerere Nutrimento Padiglione Zero, Expo 2015 - Milano di Paola Trocino Arch. Consiglio dell’Ordine: Giuseppe Macrì Presidente Andrea Lonetti Vice Presidente Silvia Aloisio Vice Presidente Eros Corapi Segretario Pino La Scala Tesoriere Salvatore Aiello Consigliere Giuseppe Giampà Consigliere Francesca Savari Consigliere Jole Tropeano Consigliere Biagio Cantisani Consigliere Francesco Materazzo Consigliere Arch. Junior Chiunque volesse collaborare con noi può inviare materiale e foto all’indirizzo e mail: info@archicz.it


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SALUTI DEL PRESIDENTE

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CONCORSI

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ARSARTIS

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- Museo d’Arte Moderna Bolzano

- Alessandro Pitaro

- Je suis Modì Amedeo Modigliani: Il tuo unico dovere è salvare i tuoi Sogni. - Bruno Bevacqua - Street Art e riqualificazione urbana. Tra arte, architettura, urbanistica, sociologia e turismo: un approccio multidisciplinare. - Edoardo Suraci, Vincenzo Costantino

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CONTEMPORANEAMENTE

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TERRITORIALMENTE

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GOODESIGNEWS

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GENIUSLOCI

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ARCHI_JUNIOR a cura di Francesco Materazzo

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TIMELINE a cura di Francesca Savari

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BIOARCHITETTURA

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DIARIODIBORDO

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ARCHIBOOK

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ARCHIWORD a cura di Jole Tropeano

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FOTOCONTEST

- La qualità architettonica come occasione per il rilancio del territorio. Incontro con l’Arch. Marco Casamonti dello Studio Archea Associati - Maria Rosa Agresta - Studio B2B Arquitectes - Chiara Saraceno

- CRAC (Centro di Ricerca delle Arti Contemporanee) di Lamezia Terme - Nicoletta Grasso - Master Universitario di II livelloin “Economia dello Sviluppo e delle Risorse Territoriali, Culturali e Ambientali” Diretto dal Prof. Domenico Marino.

- Lui, lei, design - Jole Tropeano

- Ri_VEDI il centro storico - Domenico Conaci

- L’Architetto Iunior nell’universo sconosciuto del Lavoro Pubblico…

- La qualità dell’aria negli ambienti interni - Eugenio D’Audino

- Matera2019 da Carlo Levi agli “illuministi” - Luca Spagnolo

- A misura di bambino - Maya Azzarà

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A BARRA DRITTA Capita spesso, capita a tutti, di restare avvitati sulla propria quotidianità. Di procedere sull’onda vorticosa degli eventi per stare dietro a ciò che c’è da fare. E per la verità non si può dire che questo modo di operare sia sbagliato. D’altra parte sarebbe impensabile per uomini del proprio tempo non muovere a contatto costante con l’oggi, perché questo potrebbe voler dire in qualche modo esimersi dai propri obblighi, dagli impegni assunti con la società e con i singoli che ne costituiscono il corpo. Capita a tutti e tuttavia talvolta è necessario fermarsi, magari la sera, rincasati dai propri impegni quotidiani, e riuscire ad astrarsi dal continuo mulinare vissuto durante la giornata, per riflettere su quali siano i motivi profondi, reconditi, impliciti che quel mulinare senza sosta ci hanno portato a patire. In particolare, probabilmente, in un mestiere come il nostro. In particolare, probabilmente, per chi ha goduto della stima di tanti, come Voi che mi leggete, che hanno ritenuto accordargli la propria fiducia per la tutela dei propri diritti e delle proprie prerogative. Prerogative cui siete e siamo giunti dopo anni di studio e di passione per qualcosa di più grande di noi come senza dubbio alcuno è l’Architettura. Avrete certamente seguito le più recenti discussioni da questo Consiglio dell’Ordine promosse in tema delle modifiche alla Legge Urbanistica Regionale, del ruolo degli Ordini provinciali, del ruolo e delle iniziative che il prossimo Consiglio Nazionale dovrà a nostro avviso assumere, della formazione professionale, della centralità del ruolo dell’Architetto, del rapporto con Inarcassa, delle iniziative

a sostegno dei giovani professionisti, degli importi delle quote associative, della solidarietà tra colleghi. Non intendo dilungarmi in questo elenco che, per fortuna e come ampiamente riconosciuto dai colleghi, ha visto il nostro Consiglio in prima linea durante questi due anni e mezzo. Tutte attività necessarie, opportune e di cui andiamo fieri. E tuttavia, oggi, al termine della giornata di lavoro, sono felice di poter dedicare il mio tempo ad un saluto a tutti Voi colleghi in occasione del nuovo numero della nostra rivista, proprio a segnare quell’attimo di necessaria astrazione della quotidianità. Quel momento in cui ci si può fermare e riflettere su quanto di implicito c’è alla base dell’impegno che con orgoglio e responsabilità mi porta ad operare quotidianamente: l’architettura. Questa nostra rivista è uno strumento impagabile per riportare tutti noi a noi stessi, alla profondità del nostro desiderio realizzato di essere Architetto, alla concretizzazione di tutti sogni che abbiamo cullato durante la giovinezza e che hanno trovato compimento nel giorno della seduta di laurea, la cui data ciascuno di noi ricorda senza sforzo alcuno. Ecco, infondo, tolta la burocrazia, la quotidianità, le corse, le nottate a fare documenti, è per questo che il Consiglio dell’Ordine lavora. Perché Voi e noi si possa avere le condizioni ideali per il pieno compimento oggi del sogno di sempre. Per parte nostra, teniamo e terremo sempre la barra dritta su quel lavoro quotidiano, costante ed instancabile che consenta a Voi di realizzare, per quanto possibile in questi tempi difficili, i Vostri sogni di Architettura e la luminosa visione di Le Corbusier: “L’architettura è un fatto d’arte, un fenomeno che suscita emozione, al di fuori dei problemi di costruzione, al di là di essi. La Costruzione è per tener su: l’Architettura è per commuovere”. Il Presidente dell’Ordine Arch. Giuseppe Macrì


CONCORSI Museo d’Arte Moderna Bolzano di Alessandro Pitaro Architetto

L’esperienza progettuale svolta con il Prof. Arch. Marino Moretti è stata condotta in parallelo con le attività del Laboratorio di Sintesi Finale in Architettura dei Musei coordinato dal Prof. Arch. Alberto Breschi. Il tema del Laboratorio ha tratto ispirazione dal Concorso di Progettazione bandito nell’anno 2000 dalla Provincia Autonoma di Bolzano per la creazione di un Museo per l’Arte Moderna e Contemporanea. Sollecitati dai Docenti responsabili del Laboratorio, gli studenti si sono trovati ad affrontare la lettura e l’interpretazione del testo del bando, hanno ricevuto date di scadenza per la consegna dei propri elaborati, hanno agito in quasi totale autonomia per simulare il più fedelmente possibile la realtà dell’architetto che partecipa ad un concorso di progettazione. Durante l’attività del corso si sono succedute comunicazioni che avevano lo scopo di facilitare l’as-

similazione delle direttive del bando e la conoscenza del luogo sede dell’intervento, nonché il contatto con esperienze progettuali simili a quella intrapresa. Grazie alle informazioni fornite dagli architetti chiamati ad intervenire con le loro conoscenze specifiche sul Concorso di Progettazione di Bolzano e grazie anche alla visita guidata presso la città altoatesina comprendente la mostra dei progetti che hanno partecipato alla selezione, gli studenti hanno ricevuto ulteriori input che hanno contribuito ad arricchire il panorama degli strumenti a loro disposizione. L’attività del Laboratorio di Sintesi ha avuto un duplice scopo: non solo l’interpretazione di un bando di concorso di architettura e, quindi, la formulazione di una “risposta” alle richieste del medesimo ma anche l’acquisizione di un’autonomia di lavoro che ha come premessa la capacità di rielaborazione e di sintesi dei dati.

Sono stati ammessi a partecipare al concorso gli architetti e gli ingegneri residenti in un paese membro dell’UE, l’ente banditore si è riservato il diritto di invitare a partecipare al concorso progettisti di sua scelta che hanno dato impulsi innovativi in relazione alla costruzione di un museo. Sono stati invitati a partecipare: Juan Navarro Baldeweg, Madrid (E); David Chipperfield, Londra (GB); Massimiliano Fuxas, Roma (I); Coop Himmelbau, Wolf D. Prix con Helmuth Swiczinsky, Vienna (A); Steven Holl, New York (USA); Kazuyo Seijma e Ryue Nishizawa & Associates (J), Ben van Berkel, Amsterdam (NL); Daniel Libeskind, Berlino (D). Descrizione del progetto Il nuovo edificio è posto trasversalmente al fiume Talvera, lungo l’asse est-ovest, 3


4 sulla linea ideale che congiunge l’area verde dei prati con il centro storico, la periferia col cuore della città. All’interno del volume principale, ampie vetrate traducono l’esigenza di chiarezza, di trasparenza, di intelligibilità. Un ampio tracciato longitudinale con un attento disegno della pavimentazione sottolinea il concetto di passaggio attraverso una sequenza di cabine informative, prima occasione di incontro con la realtà/virtualità del museo, inizio del percorso, viaggio da una parte all’altra della città. Tre volumi delicatamente incernierati si incontrano nella parte centrale, incontro tra i poli opposti della realtà bolzanina, ricerca di dialogo tra le parti del museo. Gli apparati distributivi (scale, ascensori, montacarichi, uscite di sicurezza e

vani di servizio) cercando di non interferire con la zona espositiva, la zona comunicativa e i laboratori, né con l’area tecnico/amministrativa. Gli affacci principali, ad est e ad ovest, individuano e mantengono costante il legame con l’ambiente circostante. Verso est, lungo Via Dante, l’edificio contiene i vani dedicati all’accoglienza del pubblico, alla socialità, al rapporto con la città: al piano terra, hall d’ingresso, sala club, caffè/ristorante, shop museale; al primo piano, i laboratori grafici e fotografici e la sala manifestazioni e la sala seminari; al secondo piano, uno spazio importante è dedicato alla biblioteca con la grande e luminosa sala lettura, oltre ai laboratori e alla parte espositiva; al terzo piano, esposizioni, sale per produzioni e presentazioni;

mentre il quarto piano è dedicato solo all’area espositiva. La scelta di destinare i due piani interrati a depositi e uffici amministrativi ha permesso di alleggerire notevolmente gli ambienti destinati al pubblico e di destinare uno spazio ampio e flessibile alle funzioni sociali. Il museo viene suddiviso in una serie di ambienti dedicati alla riflessione artistica e alla conoscenza: esposizioni, ma anche biblioteca, sale seminari e sale manifestazioni. Il carattere dominante dell’intero intervento si afferma parlando con il linguaggio architettonico dell’impianto strutturale e dei materiali utilizzati. Pilastri e travi d’acciaio, lamiera grecata unita ad un massetto di calcestruzzo armato per i solai, pareti di calcestruzzo armato per i vani di servizio, costituisco-


no l’ossatura del museo e conferiscono volutamente all’edificio un’identità. Per ciò che concerne i rivestimenti esterni, diversi tipi di superficie traducono le diverse, i tre fondamentali volumi del Museo: vetro VISARM 10/11 viene utilizzato per chiudere le vetrate dell’edificio, una pelle scabra con profonde e sottili fessure tra le lastre di laminato DBOND 5mm avvolge l’edificio senza occultare la struttura, mentre il legno richiama le tradizioni locali e sottolinea il volume aggettante, infine il rivestimento in Chiampo fiammato evidenziano il volume intermedio che coincide con l’area d’ingresso. I collegamenti interni, essenziali per il funzionamento della struttura, possono essere riconosciuti come la materializzazione della sfera del quotidiano: muri

portanti in calcestruzzo armato, scale, ascensori parlano di concretezza, di elementi organi vitali che funzionano silenziosamente come substrato per le attività dello spirito. Per la vetrata del prospetto ovest viene usato vetro opalino, trattato con il metodo dell’acidificazione, intervallato a strisce orizzontali lasciate completamente trasparenti per creare una trama di superfici che permettono la vista interna o esterna. Questo tipo di paramento avvolge la parte più “nobile” dell’edificio, parlando di immaterialità, di trasparenze e semi-trasparenze, di visioni, di rivelazioni, con lo scopo di affermare il carattere spirituale dell’esperienza artistica che si svolge all’interno, ma anche all’esterno, con le esposizioni temporanee di scultura e di land-art.

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ARSARTIS Je suis Modì Amedeo Modigliani: Il tuo unico dovere è salvare i tuoi Sogni. di Bruno Bevacqua storico dell’arte 1

Anno 2014: 130° anniversario della nascita di Amedeo Clemente Modigliani, pittore e scultore livornese, L’ultimo romantico per usare le parole di Corrado Augias. Nato nella città labronica il 12 luglio del 1884 da una famiglia di origine ebraica e da geni3

tori atei, fu l’ultimo di quattro figli. Sin da bambino Dedo (altro nomignolo con cui l’artista è conosciuto) fu afflitto da problemi di salute: febbre tifoide prima, una forma grave di tubercolosi poi, all’età di sedici anni, quando fu costretto ad abbandonare gli studi e 4

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trascorrere alcuni soggiorni a Capri dove il clima era più mite. La passione per il disegno si manifestò molto presto e la madre, la quale nutriva un grande amore per Amedeo avendone intuito la vocazione artistica, permise al giovane di frequentare lo studio del pittore Guglielmo Micheli, fra i migliori allievi di Giovanni Fattori. Presso Micheli Amedeo apprese le prime nozioni della pittura ed ebbe modo di conoscere lo stesso Giovanni Fattori, appartenente alla corrente dei Macchiaioli, che finì per influenzare non poco le scelte del giovane Amedeo. La passione ardente per l’arte portò Dedo nel 1902 a trasferirsi a Firenze e ad iscriversi alla Scuola di Nudo; l’anno successivo fu invece a Venezia, dove frequentò l’Accademia di Belle Arti. Attratto dalla vivacità della Ville Lumière, si trasferì poi,

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nel 1906, a Parigi, all’epoca il centro nevralgico delle avanguardie artistiche. Trovò una prima sistemazione al Bateau-Lavoir, una comune per artisti squattrinati, dove occupava le sue giornate nell’esercizio della pittura, studiando gli artisti a lui più congeniali: dapprima si interessò a Henri de Toulouse-Lautrec, poi fu catturato dalla lezione di Paul Cézanne. Erano gli anni in cui il movimento del Cubismo esplose in tutta la sua fragorosa forza innovativa eppure esso non coinvolse Dedo, intento nella sua personale ricerca dell’originalità. Attratto anche dalla scultura (da giovane aveva osservato e studiato con entusiasmo le sculture di Tino da Camaino) si ispirò all’arte africana e primitiva per la creazione di teste che piacquero al giovane e ambizioso mercante d’arte Paul Guillaume (fu egli a presentarlo a Constantin Brâncu i e a Picasso); una serie di sue sculture venne esposta al Salone d’autunno del 1912. Il nostro fu, però, costretto ad abbandonare quest’arte: essa richiedeva, infatti, un notevole sforzo fisico per la debole salute di Amedeo; inoltre le polveri prodotte nelle varie fasi esecutive non fecero che aggravare la sua tubercolosi. Si dedicò, quindi, alla sola pittura e, più specificatamente, si concentrò sullo studio della figura umana definita a spirale e nudi concepiti con una linea ondulata eseguiti con inquadrature moderne. Celebri sono i “ritratti” di amici che posarono per lui (tra i più noti quelli dell’amico pittore Chaïm Soutine): molti i colleghi infatti che a quel tempo vivevano a Montparnasse, come Moïse Kisling, Pablo Picasso, Diego Rivera, Juan Gris, Max Jacob, il giovane scrittore Jean Cocteau


e la giornalista e scrittrice inglese Beatrice Hastings. Frequenti furono i ritratti della compagna dell’artista, Jeanne Hébuterne , anche lei pittrice, figlia di un ebreo convertitosi al cattolicesimo. L’occasione per presentare al mondo le opere frutto delle sue ricerche in campo artistico fu per Modigliani il 3 dicembre 1917 presso la Gallerie Berthe Weil, organizzata dal giovane poeta e mercante d’arte polacco Léopold Zborowski. L’esposizione durò solo poche ore poiché i nudi dipinti, ritenuti immorali, scandalizzarono il capo della polizia di Parigi che ordinò di chiudere la mostra. I corpi femminili, il cui linguaggio era memore della grande pittura del Rinascimento italiano reinterpretata in chiave moderna, attraverso l’ausilio dell’accensione tonale mutuata dai Fauves e la ricerca di una materia sempre più morbida e al linearismo dei maestri goticosenesi della pittura del Trecento che Amedeo aveva studiato da ragazzo, apparvero come una grande novità rispetto a quella che era la pittura in voga allora. Nel 1918 Amedeo si trasferì in Provenza dove il 29 novembre Jeanne, la sua compagna, diede alla

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luce una bambina, chiamata anche lei Jeanne. Durante il soggiorno a Nizza, Leopold Zborowski, per aiutare l’amico Amedeo, ormai padre e sempre più squattrinato, cercò di vendere qualche sua opera a facoltosi turisti, riuscendo a piazzarne pochissime e a prezzi modesti. La vita sregolata di Modigliani lo portò a spendere i già scarsi guadagni in droghe e alcool (è stato sfatato il mito di Modigliani artista maudit – maledetto – intento a far uso di sostanze stupefacenti che in quel giro di anni, a cavallo della prima guerra mondiale, era pratica diffusa in ambienti come quello di Montparnasse). Questo periodo della sua vita coincise con una grande attività artistica. Fatto ritorno a Parigi nel 1919, Modigliani continuò a dipingere conducendo una vita decorosa. La stato di salute fragile e gli effetti di una vita disordinata provocarono conseguenze devastanti per

il suo fisico che furono la causa della sua prematura morte nel 1920 per meningite tubercolotica. Amedeo morì all’Hôpital de la Charité il 24 gennaio, circondato dall’abbraccio degli amici più intimi e dall’amore di Jeanne. Vi furono delle magnifiche esequie a cui presero parte tutti i membri delle comunità artistiche di Montparnasse e Montmartre. Jeanne Hébuterne fu portata nella casa dei genitori il giorno successivo ai funerali di Amedeo. Al nono mese di gravidanza, dilaniata dal dolore, si gettò dalla finestra della sua stanza al quinto piano del palazzo. Modigliani fu sepolto nel cimitero del Père-Lachaise il 27 gennaio mentre Jeanne fu tumulata il giorno dopo al cimitero parigino di Bagneux. Solamente nel 1930 la famiglia di Jeanne, da sempre contraria al suo rapporto con Amedeo, concesse che le sue spoglie fossero messe accanto a


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Per approfondimenti: - Modigliani, Soutine e gli artisti maledetti. La collezione Netter (catalogo della mostra; Parigi Milano - Roma). - Modigliani et ses amis: Parigi 1906-1920 (catalogo della mostra; Pisa). - Modigliani e la bohème di Parigi (catalogo della mostra; Torino). - Corrado Augias, Modigliani: L’ultimo romantico, Milano 2008. - Amedeo Modigliani e il suo mondo, monografia Abscondita, Milano 2013.

quelle dell’artista livornese. La piccola Jeanne Modigliani, di soli venti mesi, dopo la morte dei genitori, fu affidata alla nonna paterna Eugènie Garsin, che viveva a Livorno. Le opere dell’artista dopo la morte furono ricercate ed acquistate da collezionisti e mercanti d’arte. Ciò che colpì della concezione artistica di Amedeo Modigliani fu il totale distacco con quelle correnti venutesi a formare negli anni in cui l’artista visse: Cubismo, Dadaismo, Futurismo, Surrealismo. Oggi Modigliani è riconosciuto tra i massimi artisti del XX secolo e le sue opere trovano posto nei più grandi musei di tutto il mondo. Nel novembre 2015 un’asta Christie›s a New York ha battuto un’opera del nostro artista alla straordinaria cifra di 170 milioni di dollari. Il quadro in questione è Nu Couché, un nudo sensuale di giovane donna, ritrat-

ta da Amedeo fra il 1916 e il 1918, che è diventata la seconda opera più cara di tutti i tempi, dopo La Femme d’Algier di Pablo Picasso, venduta nel 2014 per 179,4 milioni di dollari. Per i 130 anni dalla nascita di Amedeo Modigliani alcune istituzioni museali, lo scorso 2014, hanno pensato di dedicare all’artista delle mostre: la Fondazione Roma Museo in Palazzo Cipolla con un’esposizione dal titolo Modigliani, Soutine e gli artisti maledetti. La collezione Netter, approdata nell’Urbe dopo il successo ottenuto a Parigi e a Milano. La mostra ha presentato una selezione di 120 opere di artisti quali Soutine, Utrillo, Suzanne Valadon, Kisling ed altri accanto alle opere di Modigliani, artisti questi che vissero e dipinsero agli inizi del Novecento durante i cosiddetti “anni folli” a Montparnasse, il quartiere parigino divenuto in quel giro d’anni un cen-

tro culturale di avanguardia, luogo di incontro tra intellettuali ed artisti. Anche la Calabria ha voluto omaggiare il pittore Livornese con una mostra tenutasi nella Casa della Cultura presso il Centro Visite del Parco Nazionale della Sila (Villaggio MancusoTaverna, Catanzaro) dal titolo Amedeo Modigliani: Il tuo unico dovere è salvare i tuoi Sogni, curata da Bruno Bevacqua, Stefania Russo, Antonella Fratto (Associazione Culturale COSMOS 3) e promossa inoltre dalla Casa Natale di Amedeo Modigliani di Livorno. Tale operazione culturale ha permesso al visitatore di conoscere in maniera approfondita, anche attraverso un corredo didattico composto da estratti di lettere e da una selezione scelta tra gli scritti dedicati all’artista dalla letteratura critica, la vita e l’opera di Amedeo Modigliani. Attraverso una serie di fotografie d’epoca 11


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Riferimenti fotografici:

scelte accuratamente e riproducenti l’infanzia, la formazione artistica, a

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i luoghi, gli anni parigini, gli amici, Jeanne e l’arte di Amedeo, la mostra è stata un’occasione di crescita culturale per la Calabria la quale ha così partecipato attivamente alle celebrazioni nazionali ed europee dedicate ad Amedeo Modigliani. La mostra calabrese ha poi passato il testimone alla città di Pisa che ha dedicato all’artista un’esposizione nelle sale di Palazzo Blu dal titolo Amedeo Modigliani et ses amis che ha raccontato il pittore “maudit”, l’ultimo romantico, la figura più leggendaria della bohème parigina degli anni Dieci del XX secolo, tra i pittori più celebri del Novecento. Anche la GAM di Torino ha dedicato ad Amedeo Modigliani una mostra che, attraverso un itinerario ben studiato, ha guidato i visitatori alla scoperta e alla comprensione dell’arte del pittore livornese (disegni, sculture e pitture) ricomponendo i tasselli di una vita vissuta con estrema passione, con disperato amore: quella di Amedeo Modigliani appunto.

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Amedeo Modigliani bambino in braccio alla tata

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Amedeo Modigliani con Giovanni Fattori e la signora Micheli

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Amedeo giovane studente

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Modigliani all’arrivo a Parigi

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Testa scolpita nel 1911

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Testa scolpita tra il 1910

e il 1912

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Grande nudo disteso, 1917,

New York, Museum of Modern Art

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Nudo disteso, 1917,

collezione privata

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Nudo disteso, 1917-1918, collezione privata

10 Ritratto di Pablo Picasso, 1915, collezione privata 11 Ritratto di Beatrice Hastings, 1915, collezione privata 12 Ritratto di Jean Cocteau, 1916, Princeton University Art Museum 13 Jeanne Hébuterne 14 Amedeo Modigliani, Ritratto di Jeanne Hébuterne, 1919, collezione privata 15 Amedeo nel suo studio 16 Amedeo in posa 17 La tomba di Amedeo Modigliani e Jeanne Hébuterne al cimitero di Père Lachaise 18 Nu Couché, 1917, collezione privata (l’opera durante le operazioni dell’asta Christie’s a New York) a-b Due momenti della mostra


Street Art e riqualificazione urbana. Tra arte, architettura, urbanistica, sociologia e turismo: un approccio multidisciplinare. di Edoardo Suraci, Vincenzo Costantino

Curatore e project manager di ALT!rove Festival

Il tema della riqualificazione urbana delle periferie è già da un po’ al centro del dibattito architettonico, e non solo. I diversi studi e approcci portati avanti da numerosi gruppi di studiosi in varie regioni sono tutti incentrati all’individuazione della migliore strategia possibile per intervenire all’interno delle periferie e invertire il progressivo degrado sociale, civile, e culturale, che le ha investite negli ultimi anni. La soluzione ovviamente tarda ad arrivare - o semplicemente non esiste- ma è sicuramente possibile intervenire nelle aree periferiche delle nostre città allo scopo di innalzare lo standard qualitativo della vita. Per il raggiungimento di questo scopo sono fattori necessari -anche se a volte non sufficienti- alcuni step metodologici che, prendendo spunto da un approccio multidisciplinare (architettura, sociologia, economia, ecc.), mirano alla traduzione in atti concreti delle necessità espresse dalla popolazione in un momento partecipativo ex ante rispetto all’azione progettuale - e non solo ex post come avviene di frequente -. In tutti gli esempi di riqualificazione urbana la conclusione del processo, l’attivatore dello spazio, è sempre un elemento, un’attività dall’alto profilo culturale e sociale, che suscita appartenenza e identificazione. Uno dei principali “attivatori“ dello spazio è l’opera d’arte, in particolare quella a scala urbana, da qui il grande valore sociale e culturale dell’azione portata avanti negli ultimi anni a Catanzaro da ALT!rove - Street Art Festival. Andrea Lonetti Gli anni che stiamo vivendo verranno probabilmente ricordati per la velocità con cui le città, dalle metropoli ai

borghi più sperduti, hanno trasformato il proprio paesaggio visuale attraverso una sempre crescente quan-

tità di lavori, genericamente etichettati sotto lo pseudonimo “Street Art”, che spaziano molto facilmente

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14 dall’epico al dimenticabile. Una scalata rapida che ha portato un enorme numero di attori differenti ad essere coinvolti direttamente nella progettazione di un nuovo scenario urbano. Mai come adesso, l’arte si relazionata con il mondo in maniera tanto diretta, tanto popolare, come l’arte pubblica. Per ogni opera si instaura un dialogo con i quartieri e con le piazze in cui sono inserite, con le persone che non hanno abitudine ad entrare nei musei, e per questo riesce a imporre una reale crescita culturale. L’arte si sta così imponendo nell’immaginario collettivo del paesaggio urbano e, come disse Keith Haring nel 1989, potrà influire su un enorme numero di persone e stimolarne la creatività. Ma per parlare concretamente di riqualificazione è necessario abbandonare l’idea diffusa che mortifica l’opera d’arte urbana come mero atto decorativo e allo stesso tempo è evidentemente superficiale considerare la realizzazione di un’opera murale come azione sufficiente per la riqualifica di un territorio. Di questo si è discusso durante il seminario formativo dal titolo “Street Art e riqualificazione urbana. Tra arte, architettura, urbanistica, sociologia e turismo: un approccio multidisciplinare”, organizzato dall’Ordine degli Architetti PPC e l’Ordine degli Ingegneri della provincia di Catanzaro in collaborazione con il team di ALT!rove - Street Art Festival, all’interno del quale abbiamo aperto un dialogo tra le diverse realtà del settore e posto le basi per un approccio coordinato che coinvolga diverse competenze nella riflessione sulla città contemporanea. La conferenza è stata moderata da Andrea Lonetti, vice presidente dell’Ordine degli Architetti di Catanzaro, ed introdotta dagli interventi di Giuseppe Macrì, presidente dell’Ordine degli Architetti di Catanzaro, di Salvatore Saccà, presidente dell’Ordine degli Ingegneri di Catanzaro, di Maria Bordino, Preside dell’Istituto di Istruzione Superiore Giovanna De Nobili di Catanzaro Liceo Artistico - Linguistico - Scienze Umane, e da Anna Russo, direttore dell’Accademia di Belle Arti di Catanzaro. Il fil rouge della discussione ha evidenziato le ripercussioni positive sul tessuto sociale che seguono l’esposizione pubblica di opere d’arte di primo livello. L’intervento di Antonio Viapiana, capo gabinetto del Sindaco di Catanzaro nonché esperto di arte contemporanea,


ha in seguito aperto la discussione sull’arte urbana. Viapiana racconta l’azione avanguardista del suo amico Mimmo Rotella che strappava personalmente manifesti promozionali e li ricomponeva su quelle tele che oggi rappresentano un baluardo all’interno dell’evoluzione del movimento artistico internazionale del secondo dopoguerra. Oggi, l’azione degli street artist inverte la direzione presa da Rotella: dalla tela l’opera viene trasposta in strada. Proprio le origini del movimento muralista contemporaneo hanno rappresentato l’introduzione dell’intervento di Edoardo Suraci, curatore e co-fondatore di ALT!rove - Street Art Festival. L’analisi è partita dal mondo dei graffiti, il cui nome deriva proprio dall’italiano graffiare, e che esistono fin dai tempi della preistorica arte rupestre. Un fenomeno antropologico, che vedeva gli antichi poggiare la mano sulla roccia e soffiare il pigmento per lasciare la propria traccia. L’invenzione dello spray cans ha poi consegnato alla generazione degli anni ‘60

uno strumento che ha dato inizio ad una rivoluzione, che ha cambiato per sempre l’aspetto e la concezione stessa di spazio pubblico. Una logica tribale quindi conduceva i cosidetti writers a impossessarsi dello spazio pubblico con azioni che possono essere interpretate come una reazione all’invasione dell’advertising nel paesaggio visuale urbano. Gli street artists di oggi, o meglio quelli definibili tali, provengono tutti dal mondo graffiti e non hanno mai dimenticato quel coraggio e quell’entusiasmo, né tantomeno lo rinnegheranno mai.

Da queste logiche è nata l’esperienza di ALT!rove, realtà fondata nel 2014 con l’obiettivo di rieducare al concetto di bellezza in contesti urbani trascurati e di contribuire alla creazione di una cittadinanza attiva e partecipativa nella cura degli spazi comuni. Artisti del calibro di 108, Erosie, Moneyless, Sten Lex e Tellas, tra i tanti artisti internazionali invitati a Catanzaro dal team di ALT!rove, hanno reinventato simboli cardine della città, ormai logorati dal tempo, realizzando in sole due edizioni oltre 25 opere murali a Catanzaro e più di 10 tra Favara (AG), Bologna e Vico del Gargano (FG). Sfumare e rendere quasi invisibili i confini tra artearchitettura, spazio-luogo, così come qui­altrove, anima la nostra ricerca artistica e ci spinge alla riscoperta dei luoghi dimenticati, partendo dalle loro difficoltà, esaltandone bellezza e autenticità. (tratto dal concept di Abstractism space>place, II edizione di ALT!rove Street Art Festival).

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CONTEPORANEAMENTE La qualità architettonica come occasione per il rilancio del territorio Incontro con l’Arch. Marco Casamonti dello Studio Archea Associati di Maria Rosa Agresta Architetto Lo scorso 6 giugno 2015 nell’ambito della rassegna “Dialoghi di Architettura”, si è svolto presso l’ITIS “ENZO FERRARI” di Chiaravalle (CZ), l’incontro con l’architetto Marco Casamonti socio fondatore dello Studio Archea Associati. L’evento è stato organizzato dagli architetti Salvatore Donato ed Aglae Scicolone con il patrocinio dell’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Catanzaro, in collaborazione con l’Ordine degli Ingegneri di Catanzaro, il Collegio dei Geometri, l’Associazione Arkingegno di Chiararavalle, InarSviluppo e Funaro sas. Cenni biografici - L’Arch. Marco Casamonti, insieme agli architetti Laura Andreini, Giovanni Polazzi e Silvia Fabi, è socio fondatore dello Studio Archea Associati di Firenze dal 1988. L’intento degli architetti, da subito fu’ quello di realizzare un laboratorio d’architettura che utilizzasse le occasioni progettuali come opportunità di ricerca e sperimentazione. Oggi lo studio è divenuto un network di professionisti che conta più di 90 collaboratori provenienti da svariate regioni d’Italia ed Università del mondo, operativi in diverse città tra cui Milano, Genova, Roma, Pechino, Dubai, San Paolo, oltre alla sede originaria di Firenze. Ogni associato, affianca un’integrata attività di ricerca nell’ambito disciplinare della progettazione architettonica, all’interno di diverse Facoltà italiane di Architettura.

Gli interessi e le attività di ricerca dello studio spaziano dal paesaggio alla città, dall’edificio al design, dall’allestimento alla ricerca applicata, oltre alla grafica e all’editoria con la direzione e redazione della rivista internazionale di Architettura AREA. L’attività svolta è stata accompagnata negli anni da un intenso lavoro di approfondimento e riflessione critica sui temi dell’architettura, divulgata attraverso saggi e pubblicazioni, l’organizzazione di mostre, eventi e workshop. Nel 1996 lo studio, è invitato a partecipare alla sezione italiana della VI Mostra Internazionale di Architettura de La Biennale di Venezia. Nel 1999 ottiene il terzo premio per la nuova sede della Facoltà di Architettura di Venezia. Nel 2001 e nel 2002 è tra i progetti finalisti per le Stazioni dell’Alta Velocità di Torino e Firenze; nel 2002,

con la Casa a Leffe, è selezionato alla Mostra Internazionale Architettura di Pietra e alla Rassegna Italiana di Architettura di Tokyo intitolata “Dal futurismo al possibile futuro”. Nel 2003 lo Studio Archea, risulta tra i nove gruppi italiani selezionati dall’Immobiliare Novoli per la costruzione di un isolato nelle aree ex-Fiat di Firenze. Nel 2004, con l’architetto Rafael Moneo, è chiamato a partecipare al concorso per il nuovo Palazzo del Cinema di Venezia. Nel 2005 vince il concorso ad inviti per la realizzazione di una delle 10 torri all’interno del masterplan per il nuovo centro di Tirana e il concorso internazionale ad inviti promosso da Pirelli Re e Morgan Stanley ex-aequo con Michael Maltzan Architecture, per l’ex area Ansaldo di Milano nell’area Grande Bicocca. Del 2006 è il progetto della Shangri-La Winery a Penglai.


Biblioteca di Nembro Bergamo - Italia / 2002 L’intervento, in un piccolo centro in provincia di Bergamo, interessa il recupero di un edificio di fine ’800. Il progetto prevedeva il restauro e l’ampliamento del manufatto originario al fine di adibirlo a nuova biblioteca comunale e centro culturale. La configurazione a “C” e la necessità di nuovi spazi hanno suggerito la costruzione di un blocco aggiuntivo disposto sul lato libero capace di definire uno spazio interno a cielo aperto e trasformare il manufatto in un “palazzo a corte”. La continuità planimetrica si realizza solo nel basamento interrato, mentre il nuovo volume a se stante e completamente trasparente all’interno, è rivestito da un prezioso involucro, dotato di un brise-soleil costituito da elementi che, come “libri” in terracotta smaltata e supportati da un sistema di profilati in acciaio, ruotano su loro stessi e consentono di schermare e filtrare la luce naturale all’interno degli ambienti in modo dinamico e sempre diverso.

Nel 2007 è secondo classificato nell’ambito del concorso per il “Parco della musica e della cultura di Firenze”. Nel 2008 il progetto della Biblioteca di Nembro è selezionato per la mostra organizzata dal Design Museum di Londra. Nel 2010 Studio Archea espone alla mostra “AILATI Riflessi dal futuro” nell’ambito della XII Mostra Internazionale di Architettura de La Biennale di Venezia.

Dal 2006 partecipa a svariati concorsi in Cina tra i quali, nel 2011, l’importante progetto del Meixi Lake Cultural Center di Changsha. Nel 2011 viene completato l’ampliamento per la riqualificazione della sede aziendale della Perfetti Van Melle di Lainate, Milano. Nel 2012 viene inaugurato il Green Energy Laboratory di Shanghai e completata la nuova Cantina Antinori a San Cascia-

no Val di Pesa con il quale progetto, è finalista per il premio Mies van der Rohe 2015. Sempre nel 2012, viene completato il Centro Socio Educativo di Seregno. Inaugurata nel 2014 l’International Grape Exhibition Garden di Yanqing. In corso i cantieri della Torre di Tirana, Albania, della trasformazione dell’ex Magazzino Vini del porto di Trieste. Da poco ultimato e inaugurato, il Li Ling World Ceramic Art City. 17


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Centro diurno per disabili a Seregno Seregno (RM) 2003/2012 Un grande foglio in cemento ripiegato, racchiude al proprio interno come in un guscio, un centro destinato ad accogliere le attività socio-educative specifiche per diversamente abili. L’edificio di 2500 mq di superficie complessiva, si sviluppa su un livello principale a piano terra e un semi interrato, adibito a parcheggio e locali di servizio. I progettisti hanno scelto di creare un legame di continuità con il parco circostante tramite un grande solaio in cemento armato “forato” che da piazza-giardino, prolungamento dello spazio aperto naturale, prosegue piegandosi fino a racchiudere l’edificio, di cui diventa pavimento e copertura. I due fronti principali sono visivamente contrastanti tra loro. Uno totalmente chiuso, salvo il taglio che definisce l’ingresso, raggiungibile tramite una rampa carrabile, l’altro completamente trasparente che ospita aule e laboratori con vista sul parco esterno. Legno e vetro sono i materiali che contraddistinguono gli spazi al di sotto del foglio in cemento armato ripiegato. Questo progetto, coniuga perfettamente le specifiche esigenze funzionali di un centro destinato ad un pubblico diversamente abile che attraverso l’ideazione di una forma architettonica protettiva come un guscio, al tempo stesso si apre verso l’esterno.

Nel corso dello svolgimento della conferenza, l’arch. Marco Casamonti ha scelto di mostrare una rappresentativa esposizione di architetture a piccola e grande scala, realizzate dallo Studio Archea Associati nel corso dell’ultimo ventennio. L’accento della discussione è stato posto da subito, prevalentemente sul rapporto profondo che intercorre tra architettura e luogo che, attraverso un dialogo reciproco e continuo, diventa strumento in-

dispensabile per il recupero, la crescita e lo sviluppo sostenibile di un territorio. Da qui l’importanza di riconsiderare con urgenza il genius loci (forse dimenticato?), come punto di partenza e strumento di conoscenza indispensabile per ridisegnare il territorio, poiché luogo e architettura sono vicendevolmente condizionati e condizionanti, legati l’uno all’altra attraverso un confronto inevitabile e necessario.

È questo l’approccio progettuale alla base del lavoro dello Studio Archea Associati, approfondito negli anni ed evidente sin dalle prime realizzazioni. Veri e propri esercizi progettuali, caratterizzati da una ricercata qualità architettonica sempre in evoluzione, posta in continua relazione con il contesto, sia esso naturale o costruito. Alla luce di ciò, ne consegue che, una reale riqualificazione del territorio oggi


Cantina Antinori San Casciano val di Pesa (FI) Italia / 2004 -2012 L’area di intervento è situata nello straordinario contesto collinare del Chianti, a metà strada tra Firenze e Siena. Richiesta specifica della committenza era principalmente quella di ottenere, attraverso un intervento architettonico, la valorizzazione del paesaggio e del territorio circostante come espressione socio-culturale dei luoghi di produzione del vino. L’operatività progettuale, è pertanto finalizzata alla sperimentazione geo-morfologica di un manufatto industriale, concepito come espressione di una ricercata simbiosi tra cultura antropica e opera dell’uomo, tra ambiente di lavoro e ambiente naturale. La costruzione fisica e concettuale della cantina scaturisce quindi dal legame profondo e radicato con la terra, tanto da portare l’architettura stessa a nascondersi e fondersi in essa. Il progetto integra il costruito al paesaggio. Il complesso industriale non è visibile dall’esterno poiché nascosto dalla sua stessa copertura che diventa esso stesso piano di campagna coltivato a vigneto e disegnato lungo le curve di livello naturali del pendio. Il fronte dell’edificio ipogeo, è disteso orizzontalmente sul pendio naturale scandito dai filari delle viti che, insieme alla terra, costituiscono il sistema di rivestimento di tutto il complesso. Due lunghi tagli orizzontali, consentono l’ingresso della luce all’interno e dall’interno permettono la può essere attuabile solo attraverso una ricerca della qualità architettonica che è insieme il risultato di una profonda analisi del luogo, di un adeguato studio degli spazi, di un ricercato utilizzo dei materiali e una particolare cura dei dettagli. Solo in questi termini oggi l’Architettura (quella con la “A” maiuscola), può e deve essere riconsiderata come strumento per il rilancio territoriale, indispensa-

visione verso l’esterno del paesaggio. In corrispondenza del taglio orizzontale inferiore, sono distribuiti gli uffici e le aree espositive, concepiti come un belvedere posto al di sopra della barriccaia e delle zone di vinificazione, mentre in corrispondenza del taglio orizzontale superiore, si sviluppano le zone di imbottigliamento e immagazzinamento. Il cuore protetto della cantina accoglie nell’oscurità diffusa e nella sequenza ritmata delle volte in terracotta, il vino maturato nelle barriques. Lo spazio assume dimensioni sacrali come fosse una cattedrale nascosta. Al suo interno si creano infatti le condizioni termo-igrometriche ottimali per la conservazione, la maturazione e l’invecchiamento del prodotto. I materiali e le tecnologie impiegate, rimandano alla tradizione locale soprattutto con l’utilizzo della terracotta.

bile per lo sviluppo economico e socio culturale del paese. L’architettura di qualità, intesa come valore aggiunto insieme alle preesistenze, dovrebbe essere riconsiderata soprattutto in un territorio come il nostro, territorio da troppo tempo violato e in cui, quel dialogo vicendevole tra luogo e architettura non riesce ancora a trovare compimento.

In questo senso oggi, anche l’importanza della figura dell’architetto, della sua responsabilità che è anche etica e sociale, deve essere assolutamente riconsiderata, poiché quella dell’architetto, rimane tra le figure professionali fondamentali ed indispensabili per lo 19


20 YANQING GRAPE EXPO Yanqing - Cina / 2014 L’International Grape Exhibition Garden di Yanqing, si inserisce nell’ampio programma di iniziative ed eventi promossi dal Governo Cinese in occasione della 11° Conferenza Internazionale sulla coltivazione e la genetica della uva da vino. Un evento internazionale di portata globale per quanto riguarda i temi legati all’agricoltura e in particolare alla coltura della vite considerata come l’elemento centrale dello sviluppo della contemporanea cultura enogastronomia. L’intervento è costituito da un parco di quasi 200 ettari interamente progettato e costruito per l’occasione, attrezzato con laghi artificiali, serre, musei, orti, visitors center, torri e ponti panoramici tali da rendere visibile e godibile il grande parco-giardino. Il progetto del masterplan e degli edifici è risultato vincitore di un concorso internazionale di progettazione ad inviti bandito dal Governo cinese, nel 2012. Si è trattato, di una grande opera che il governo cinese ha realizzato in tempi brevissimi nonostante l’eccezionale portata delle opere da realizzare.

sviluppo e la crescita di un territorio. Operare nel rispetto del territorio, oggi più che mai, diventa evidentemente l’unica scelta obbligata, necessaria e urgente, poiché tutte le modificazioni spaziali attuate tramite l’architettura, in un processo di trasformazioni irreversibili, producono un condizionamento fisico ed antropico dei luoghi, complesso, prolungato nel tempo e per questo difficile da sradicare.

I diversi padiglioni, sono stati concepiti come un grappolo d’uva, cerchi sparsi si distendono sul territorio in uno straordinario rapporto tra architettura e natura. Lo skyline delle montagne intorno, definisce il perimetro all’orizzonte. L’immagine complessiva che si ottiene, costituisce la perfetta sintesi tra due culture molto differenti tra di loro, quella italiana e quella cinese dove, insieme, elementi delle tradizioni si fondono con elementi della contemporaneità. Le facciate dei singoli edifici, alternano al colore grigio dei mattoni tradizionali cinesi, superfici di cemento modellate come basso rilievi e sculture che, con i loro riflessi e chiaro scuri, evocano narrazioni di terre in epoche lontane.

Bibliografia STUDIO ARCHEA 1988-1998 - Ed. Alinea 1997

ARCHEA ASSOCIATI. CANTINA ANTINORI CRONISTORIA DELLA COSTRUZIONE DI UN NUOVO PAESAGGIO Laura Andreini, con testi di Piero Antinori, Marco Casamonti introduzione di Massimiliano Fuksas, presentazione di Corrado Clini Ed.FORMA 2012

Involucri in cotto Sistemi innovativi per il rivestimento in architettura - Alfonso Acocella - Sannini Impruneta 2001

Fonti http://www.archea.it/ http://www.area-arch.it/it/


Studio B2B Arquitectes www.b2barquitectes.com di Chiara Saraceno architetto 1

JORDI BELLMUNT CHIVA (Barcellona), architetto e paesaggista dal 1980. Professore di Progettazione Urbana e Progetto del Paesaggio presso il Dipartimento di Pianificazione Urbana e Territoriale -UPC, Barcellona, Spagna- (dal 1982) Professore al Master in Architettura del Paesaggio -UPC- (dal 1985) Vice direttore dell’ETSAB -Escuela Técnica Superior de Arquitectura de Barcelona- (1997-2006) Direttore del Master in Architettura del Paesaggio -UPC, Barcelona, Spain- (dal 2000) Co-Direttore del Master in Architettura del Paesaggio -Rabat, Marocco- (2005-2007) Direttore del Master in Architettura del Paesaggio -ACMA, Milano- (2008-2012) Direttore della VIII Edizione della Biennale Europea del Paesaggio di Barcellona (1999-2014) Consulente del Comune di Barcellona Membro del Consiglio Consultivo dell’Osservatorio del Paesaggio della Catalogna Membro di diversi comitati scientifici di riviste ed enti pubblici Premi professionali: Premio FAD, 1991; Torsanlorenzo, 2006; Alejandro De la Sota, 2007; Ippolito Pizzetti 2008 e 2009; Medaglia Istituto Architetti Catalani, 2010; Premio Territorio (Territorial Planning Catalan Society, SCOT), 2011 Professore ospite in diverse Università e Istituzioni culturali nel mondo dal 1980 I suoi lavori sono esposti e pubblicati in diverse riviste specializzate.

Lo studio B2B Arquitectes, sito a Barcellona sulla Gran Via de les Corts Catalanes, è stato fondato dall’architetto paesaggista catalano Jordi Bellmunt I Chiva e dall’architetto paesaggista siciliano Agata Buscemi. Lo studio incentra principalmente il suo lavoro sul paesaggio e la progettazione dello spazio pubblico, espandendosi a progetti di pianificazione urbana e di architettura. La sua attività sul territorio rende imprescindibile una costante collaborazione con una vasta gamma di specialisti, da architetti a ingegneri, botanici, designer e artisti, da cui deriva un approccio multidisciplinare al progetto, un lavoro di squadra che unisce la creatività con un metodo rigoroso e un pensiero strategico. Inoltre, lo stretto rapporto con le istituzioni accademiche arricchisce il lavoro con i temi più avanzati della ricerca e dell’insegnamento, collegando teoria e pratica. AGATA BUSCEMI (Catania), architetto e paesaggista dal 2000. Professore del Master in Architettura del Paesaggio -MAP-UPC- (dal 2003) Professore del Master Universitario in Architettura del Paesaggio -MUP-ETSAB- (dal 2008) Membro di diversi comitati scientifici Direttore delle monografie “Monograficos del Paisaje”, editore Asflor -Barcellona- (dal 2010) Collaboratrice a diverse Riviste di Architettura del Paesaggio

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Lo studio si è imposto sulla scena internazionale grazie a progetti singolari ed innovativi anche a larga scala come il Progetto di recupero e riqua-

lificazione del lungomare della Platja Llarga a Salou –Tarragona, il cui tema centrale riguardava la definizione degli usi pubblici nella fascia costiera della Platja Llarga, una parte di costa catalana dove acqua, sabbia e roccia si incontrano in uno scenario coronato da una splendida pineta. L’obiettivo principale dell’intervento era recuperare l’immagine primigenia del luogo, rinaturalizzandolo con un sistema di dune e vegetazione locale. Il progetto, tra alberi, belvedere, spazi di contemplazione e punti d’incontro, ha rispettato come criterio principale la conservazione della ricchezza naturale del sito, trasformando il lungomare in un luogo dotato di qualità spaziale e ambientale, integrandolo al progetto del Camí de Ronda della città di Salou. Singolare intervento di riqualificazione e ricucitura all’interno di un tessuto urbano è il progetto di Carrer Cuba, 3

a Badalona. Il progetto di accessibilità della Via Cuba si inseriva in un sistema di interventi per migliorare la mobilità pedonale nelle periferie dell’Area Metropolitana di Barcellona. In un quartiere densamente popolato di Badalona, caratterizzato da un forte dislivello topografico, lo studio ha previsto l’inserimento di due rampe mobili, piccoli giardini e spazi di sosta, che ha permesso il miglioramento dell’aspetto e la fruibilità della zona da parte dei residenti, entusiasti di poter godere di uno spazio pubblico riqualificato. Jordi Bellmunt e Agata Buscemi mi hanno accolto nel loro studio nell’Ottobre dell’anno passato e mi hanno dato la possibilità di collaborare con loro per sei mesi, mesi durante i quali ho potuto apprezzare oltre alla loro eccezionale competenza professionale, anche un’estrema cordialità e affabilità nei rapporti all’interno dello studio. Durante questo periodo ho avuto la possibilità di lavorare su temi e progetti di grande rilievo, come il Progetto esecutivo del giardino di Casa Museu Gaudì a Barcellona, il Concorso Internazionale di progettazione per il quartiere Città della Scienza a Roma (Progetto finalista), il Progetto esecutivo del Parco Botanico RADICEPURA a Giarre, Il Concorso Internazionale per il Centro di Investigazione Territoriale a Matarranya (Progetto vincitore), che hanno contribuito in maniera notevole ad accrescere la mia formazione sui temi del progetto dello spazio pubblico e del verde. A conclusione di questa meravigliosa esperienza all’interno del team dello


Studio B2B Arquitectes, ho deciso di intervistare Jordi Bellmunt ponendogli domande di carattere generale e qualcuna più specifica sui temi a lui più congeniali. Cos’è per lei il paesaggio? JB. Con frequenza mi è stata rivolta questa domanda a cui rispondo con un’altra: Siamo coscienti della debolezza professionale che rivela l’insistenza nella definizione della disciplina paesaggistica in testi, conferenze o congressi? Ricordo sempre come chiarificatrice la risposta di un progettista straordinario, professore universitario, quando gli chiesi di chiarire la questione dell’identità paesaggistica. Rispose con leggero sarcasmo che da quasi venticinque anni si dedicava esclusivamente al paesaggio, in ambito professionale ed accademico, senza sapere cosa fosse esattamente. Con il rischio di concretizzare troppo, ma con la volontà di chiarire la questione, credo possa essere utile far riferimento a due testi: uno, con un aroma artistico, di Javier Maderuelo -El Paisaje: Genesis de un concepto. Edizioni Araba. Madrid 2005- che già dal suo primo capitolo espone con chiarezza e senza dar luogo a speculazioni, la definizione della disciplina del Paesaggismo; il secondo, significativo e sorprendente di Franco Zagari -Questo è paesaggio: 48 definizioni. Mancuso Editore. Roma 2006- in cui l’autore sonda le opinioni e differenze in merito al concetto di Paesaggismo.

È possibile, secondo lei, parlare di paesaggio urbano come reinterpretazione del ruolo dello spazio pubblico in architettura? JB. Credo che la questione sia più complessa, il paesaggio supporto fisico e culturale ci si presenta oggi nella sua metamorfosi costante, caratterizzato a seconda del contesto, da una maggiore o minore naturalità/urbanità; è fondamentale saper riconoscere con un metodo di analisi rigoroso le problematiche e le necessità di ogni paesaggio, per poter dare delle risposte adeguate, rigorose ed equilibrate. Quali elementi possono contribuire a migliorare la qualità della vita e delle relazioni nelle città contemporanee, sempre più estese e urbanizzate?

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24 Cosa pensa del ruolo che ricopre il paesaggio all’interno della cultura architettonica italiana? JB. L’Italia intera è un bellissimo paesaggio, nonostante vi sia una disperata necessità di risposte progettuali adeguate ed immediate, che vadano oltre la banale dialettica quotidiana. Che contributo potrebbe dare la cultura del paesaggio al tema dello spazio pubblico in Italia, sia a scala urbana che territoriale?

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JB. L’evidente liquidità dei nostri paesaggi, adattandosi al cambiamento formale, di paradigmi, di argomenti e logiche, è evidente. Questi nuovi paesaggi si indeboliscono, vibrano, sussultano e si contraggono, convertendosi in diversi, affascinanti, irriconoscibili e di conseguenza contemporanei. I nostri modelli si stanno esaurendo e i nostri riferimenti paesaggistici hanno bisogno di una revisione, perché alcuni metodi di progettazione e gestione non torneranno a ripetersi. Tutto ciò, anche se di enorme gravità è appassionante a livello intellettuale, come riflessione progettuale, come opportunità di relazione di una disciplina che basa i suoi valori nell’agilità di risposta, nella facilità di reazione e nella fiducia sullo sviluppo di processi di progettazione complessi a partire dal rigore, dalla conoscenza dei luo-

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ghi e delle tecniche. Il destino ci riserva una “chance”. Lei si reputa un paesaggista o un architetto paesaggista? La ritiene dunque una professione o una specializzazione dell’architetto? JB. Credo che non si tratti semplicemente di sentirsi più uno o l’altro. L’emergenza del paesaggismo come disciplina nell’area mediterranea, la diversità dei problemi territoriali, la maturità dei nostri paesaggi costruiti ripetutamente nello stesso luogo, la coscienza sociale e l’urgenza di incontrare risposte adeguate a problematiche complesse, obbliga ad un rinnovamento disciplinare basato senza dubbio sulla trasversalità della conoscenza.

JB. Le vicissitudini sociali, la crisi ambientale evolutiva, la necessità di promuovere le energie rinnovabili, la pressione antropica sul territorio derivante dal modello turístico di massa, il risparmio delle risorse idriche o il necessario rinnovamento delle cittá, sono alcuni degli aspetti che hanno cambiato obiettivi e strumenti per lo sviluppo dell’attività creativa e progettuale nei nostri paesaggi maturi. In questo scenario paesaggisti, scienziati e tecnici hanno sviluppato la propria attivitá professionale modificando i rigidi schemi disciplinari di divisione fra campo e città, fra agricoltura e natura o fra spazio pubblico e privato. Le certezze svaniscono, i nostri territori divengono ibridi ed il modo di affrontare gli attuali problemi ad essi relazionati e di prendere decisioni è sempre più interdisciplinare. Da qui la consapevolezza della necessaria collaborazione tra discipline, che purtroppo in Italia stenta ancora a riconoscersi.


Riferimenti fotografici 1 Jordi Bellmunt e Agata Buscemi 2 Platja Llarga, Salou, Tarragona (foto di Fabrizio Gruppini) 3 Platja Llarga, Salou, Tarragona (foto di Fabrizio Gruppini) 4 Carrer Cuba, Badalona, Barcelona (foto di Santiago Periel)

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5 Carrer Cuba, Badalona, Barcelona (foto di Santiago Periel) 6 Patio Anais Napoleon, Barcelona (foto di Jean-Michel Landecy) 7 Illustrazione di progetto per lo studio paesaggistico del 4R Hotel, Salou, Tarragona (MRT Arquitectes) 8 Illustrazione di progetto per il Parco Archeologico SIS, Casablanca, Marocco

Ritrovo, sul mio taccuino, una frase pronunciata da lei durante una riunione in studio Todo lo que vees…mal asunto (tutto ciò che vedi, cattivo affare)*. È un modo di approcciarsi ad un nuovo progetto di paesaggio? JB. I nostri paesaggi sono un riferimento visivo e materiale constante, presente, permanente, condizionato formalmente dall’azione antropica, che genera a volte un impatto disastroso ed irreversibile. Da qui la necessità di misurare l’azione progettuale

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nel tentativo di integrare al massimo le scelte formali nel paesaggio. Se dovesse scegliere due progetti che rappresentano maggiormente la sua idea di progetto di paesaggio, quale sceglierebbe? JB. Più che di un progetto in particolare, trovo molto interessanti:

a) Il sistema antropico, meraviglioso, apparentemente naturale della Camarga francese, esempio d’una attività ingegneristica e produttiva generatrice di bellezza paesaggistica di grande qualità. b) Il paesaggio del dettaglio, il paesaggio dell’uso, insomma, il paesaggio progettato.

CHIARA SARACENO, architetto siciliano, si laurea all’Università Mediterranea di Reggio Calabria nel 2012. Dopo aver collaborato con Paisea Revista s.l. a Valencia, affianca altri studi e torna in Spagna per collaborare con lo studio B2B Arquitectes a Barcellona, dove approfondisce la sua ricerca sullo spazio pubblico, il paesaggio e lavora su progetti di grande rilievo. Attualmente lavora a Catanzaro e partecipa con U.P.lab, un laboratorio di progettazione urbana, a concorsi di progettazione da cui seguono riconoscimenti e proposte di realizzazione. Website: http://saracenochiara.wix.com/sc-architetto

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TERRITORIALMENTE di Nicoletta Grasso Circa un anno fa abbiamo sentito parlare di un nuovo spazio che stava prendendo vita nella città di Lamezia Terme: il CRAC, acronimo di Centro di Ricerca delle Arti Contemporanee; “luogo di ricerca, creazione e sperimentazione delle arti contemporanee quali performing art, teatro, site specific, musica, video ed installazioni”, così come viene descritto sul sito dedicato. Questo spazio ha suscitato la nostra curiosità e siamo andati a trovare Nicoletta Grasso, founder del progetto, per farci aprire le porte di questa nuova realtà e descriverci l’iter che ha trasformato il concept iniziale in un centro culturale in grado di percepire gli stimoli provenienti da diversi background e metterli a sistema. Come è nata l’idea del CRAC? N. Ho deciso di tornare in Calabria per realizzare un centro di ricerca in un territorio totalmente vergine di questo gene-

CRAC-esterno: opera di GLois

re di cose. Crac | centro di ricerca per le arti contemporanee nasce dal desiderio di ricreare in una regione, talvolta ostile ma nello stesso tempo meravigliosa, un centro in grado di ospitare contenuti artistici innovativi e contemporanei quali: teatro di ricerca, performing arts, arti visive, musica, live show. Si pone l’attenzione sulla ricerca artistica contemporanea ed ancor di più sulla nuova generazione degli artisti italiani e non. Il nostro centro dispone di una gallery/ tunnel di 130 m2, 3 project room, 2 studi: di architettura e di art direction, un CRAC-esterno: opera di GLois

Nicoletta Grasso

foyer, un auditorium con 70 posti a sedere ed una zona caffè/ristoro, il tutto in 450m2 ristrutturati seguendo una linea minimale e direi con un tocco estetico nord europeo. È un centro polivalente e polifunzionale in grado di ospitare artisti in residenza, presentazioni teatrali e di danza, live show di musica, moda, talk, workshop e convegni. C’è da dire che senza il supporto di Daniele Mazzitelli, architetto, che ha subito creduto nella potenzialità e in questa idea folle ma innovativa, non sarebbe nato CRAC, almeno non qui, in questa ex scuola di

CRAC-interno

Quiet Ensemble Decano


informatica, in un quartiere molto off di Lamezia Terme! Daniele ed io ci siamo rincontrati 3 anni fa dopo tanti anni, ci siamo sempre conosciuti, entrambi nativi di Lamezia Terme e pur venendo da 2 background completamente opposti ci siamo ritrovati a metter su questa impresa: io con l’idea e lui fornendo la location. Ed eccoci qui!

facciata; abbiamo chiamato un artista, G Loois che ha eseguito un live painting sulla facciata esterna, opera molto interessante perché è lunga circa 15 metri! È stato un evento aperto al pubblico e durato 3 giorni.

Avete ricevuto degli aiuti economici per la realizzazione, ad esempio della Regione? Con quali tempistiche siete riusciti a concretizzare il progetto?

N. CRAC come dicevo prima è un centro polivalente ed offre dei contenuti culturali super innovativi rivolgendoci sia ad un pubblico molto giovane che ad adulti desiderosi di rimanere aggiornati sulla ricerca attuale.

N. L’anno scorso abbiamo vinto un bando di finanziamento per start up che ci ha permesso di ristrutturare la location, di comprare tutte le attrezzature audio, video, luci e scenografiche. Siamo molto felici di questo e siamo da poco partiti con le nostre attività: dopo aver terminato i lavori di ristrutturazione interna ci siamo dedicati al restyling della Ilaria Tortoriello

CRAC-interno

Cosa offre CRAC e a chi vi rivolgete?

Quali progetti per il futuro? N. Per il momento dopo aver iniziato il nostro percorso lavorativo, quest’estate, con FRAC | Festival di ricerca per le arti contemporanee, ci accingeremo ora a realizzare una rassegna autunnale che si chiama “A burning autumn un-

CRAC-interno

der a southern sky”: una stagione che sarà un mix tra teatro, danza, live show, talk, mostre e workshop. Questo avverrà, non solo presso il nostro centro ma, in accordo con il Comune di Lamezia Terme, anche in altre location comunali e non. Sarà super interessante perché avremo a Lamezia tantissimi artisti importanti provenienti da tutta Italia ed Europa. Vi aspettiamo a CRAC!

Performance di Vera di Lecce

Installazione di Daniele Spanò

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Master Universitario di II livelloin “Economia dello Sviluppo e delle Risorse Territoriali, Culturali e Ambientali” promosso dal Dipartimento Pau dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria e delle Risorse Territoriali, Culturali e Ambientali. Diretto dal Prof. Domenico Marino. di Sante Foresta Prof. Arch. Il Master universitario si propone di formare figure professionali con competenze finalizzate alla valorizzazione e gestione dei processi di sviluppo, della programmazione del territorio, dei beni culturali e dell’ambiente. In particolare, in relazione alla sempre più consistente domanda di competenze adeguate che riguardano il governo del territorio, le politiche di sviluppo e l’avvio di circoli virtuosi a

livello territoriale. Il master presenta un forte carattere di multidisciplinarietà, in quanto coniuga differenti competenze nel campo economico, statistico, aziendale, museologico e di valorizzazione dei beni culturali. Il Master intende formare una figura dinamica e duttile in grado di interagire con il territorio nelle sue diverse componenti socio-economiche ed istituzionali, dotata di conoscenze e strumenti per condurre, in via preliminare un’opera di sensibilizzazione alla cultura dello sviluppo dal basso. Capace di animare e vitalizzare il territorio, anche facendo da liaison tra i diversi soggetti che vi operano. Capace di mettere in discussione e rimuovere luoghi comuni e resistenze culturali antichi verso l’iniziativa imprenditoriale e ancor più verso le potenzialità di crescita di piccole e piccolissime imprese, spesso vittime di un atteggiamento di rassegnazione e disistima. Il Master permette di acquisire e sviluppare competenze specialistiche in: • Economia dello Sviluppo • Economia dei beni e delle attività culturali • Politica economica regionale • Programmazione economica • Metodi di valutazione e metodi quantitativi • Politiche di sviluppo e politiche regionali e territoriali

È rivolto a Laureati Magistrali che abbiano conseguito il titolo, in Italia o all’estero, nei Corsi di Laurea secondo il nuovo ordinamento o secondo il vecchio ordinamento Il Master avrà inizio entro il mese di dicembre 2015 e sarà ultimato entro e non oltre il 31 maggio 2016 per una durata complessiva di 1500 ore associate ad un totale di 60 crediti formativi (CFU). La composizione di ogni CFU, equivalente a 25 ore, è definito in 40% di attività frontale e 60% di studio individuale, per tutte le attività. L’erogazione della didattica avverrà secondo il metodo tradizionale, con la possibilità, sulla base delle esigenze specifiche, di uso della modalità e-learning. Il percorso formativo del Master si articolerà in tre ambiti, a propria volta sviluppati in moduli didattici, project work e ricerca-azione. La didattica frontale sarà pari a 30 CFU, di cui 5 CFU ore di seminari, 10 CFU saranno di ricerca/azione e 20 CFU saranno le ore del periodo di stage o di project work (di cui 5 CFU di prova finale). Una dissertazione finale concluderà il percorso formativo. Le migliori dissertazioni verranno pubblicate su una rivista internazionale.


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GoodesignNEWS a cura di Jole Tropeano architetto

Francesco Tinello e Novella Monteleone. Marito e moglie. Lui architetto. Lei designer. Li abbiamo incontrati nel loro studio a Soverato per un’intervista doppia. Ci hanno raccontato con occhi diversi la loro stessa passione per il design.

creato ad hoc per un luogo ed un’occasione particolare, ma al contempo potenzialmente riproducibile. Design, quindi, per me è la creazione di “un oggetto” (sia esso un utensile, un arredo, un allestimento o un’architettura) che sintetizzi funzionalità, ergonomia ed estetica e soprattutto possessore di quella Affordance che ci spinge a scegliere quell’oggetto rispetto ad un altro. 1 2

COS’È PER TE IL DESIGN? F: Il Design non è nient’altro che il progetto, ovvero un procedimento mentale attraverso il quale si realizza l’idea di un edificio, di un oggetto, di una grafica, di un prodotto. Il Design è un impeto di idee, è intuizione, è un insieme di concetti, immagini, suoni, profumi, è un emozione, un ricordo, un’esigenza. È la voglia di realizzare un prodotto su misura, un prodotto unico adatto a quel singolo individuo, ma al contempo universalmente valido. È la continua ricerca della convivenza tra utile e bello, tra unico e indispensabile, è il giusto equilibrio tra esigenza e gusto. Il Design non è nient’altro che il nostro mondo. Ogni singolo oggetto, edificio, grafica, prodotto che ci circonda è frutto di un’idea, di un pensiero progettuale, di un percorso creativo, di una creazione che risponde ad un’esigenza. Il Design fa parte della tensione evolutiva dell’uomo, lo accompagnerà sempre e ci sarà ogni volta in cui un uomo comincerà a pensare. N: Considero la bellezza un elemento indispensabile nella mia vita, una sorta di terapia d’urto rispetto alle sfide

di tutti i giorni. Ma se il bello finalizzato al solo piacere estetico, unico ed irriproducibile si chiama Arte, quando all’estetica si unisce una funzione, ecco, quello per me è il Design. Design, però, non è solo la LC1 di Le Corbusier o lo spremiagrumi JUICY SALIF di Philippe Starck, Design sono anche un paio di scarpe disegnate reinterpretando il concetto classico di scarpa, la sua ergonomia e la sua espressività, come in un paio di United Nude (il Designer è il nipote omonimo del famoso Rem Khoolas) o nelle Mojito Shoes di Julian Hakes. Allo stesso modo ogni oggetto che ci circonda quotidianamente, nato da un approccio progettuale improntato sul binomio forma-funzione e dal risultato di uno studio prossemico, è Design; dalla penna che usiamo per appuntare qualcosa, al cellulare che, nella sua evoluzione tecnologica, ha sviluppato parallelamente estetica ed ergonomia delle sue componenti. Altro aspetto fondamentale del Design, per sua definizione, è la sua riproducibilità in serie: che si tratti di una forchetta o di un’automobile, il tratto di riproducibilità è sempre essenziale, anche nel caso dell’Interior Design, dove spesso il progetto è

QUAL’È UN OGGETTO A CUI NON POTRESTI RINUNCIARE. F: Bella domanda! La risposta appare non semplice, anche perché il mondo del Design è pieno di icone e simboli, oggetti legati fortemente alla loro forma e alla loro funzione. Facciamo un test: se dico chaise longue la maggior parte di voi dirà “LC4” o più comunemente chiamata “la chaise longue di Le Corbusier”. È questo l’oggetto a cui non potrei mai rinunciare, o che perlomeno vorrei tanto nel mio salotto, stanza, ambiente; eh si, perché questa seduta ha un design tale da poter arredare da sola anche un ambiente vuoto. Il suo profilo, che nasce nel 1938, ha rappresentato l’emblema del relax e della comodità, le sue forme si sono legate agli interni più ricercati delle abitazioni degli ultimi ottanta anni. Fonde assieme la stabilità di una base ben ancorata a terra alla flessibilità di una seduta semplicemente poggiata su un telaio; con la sua forma sinuosa avvolge chiunque provi a sedersi, il sedile a dondolo regolabile, il pog-


giatesta in pelle, mettono chiunque a proprio agio. A mio modo di vedere rappresenta un’icona della storia del Design, al quale il mondo intero non potrà mai rinunciare.

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N: Posso elencarne tre? Il primo è sicuramente la lampada Eclisse di Vico Magistretti, per la sua sofisticata semplicità e umile autorevolezza; una linea pulita, creata dalla sovrapposizione e dall’interazione di una forma geometrica semplice come la sfera. Una semisfera capovolta assume la funzione di base della lampada. Un’altra sfera sezionata la sormonta e racchiude al suo interno un’ennesima semisfera, dal diametro minore, che ruota intorno ad un asse, lasciando così intravedere in maggior o minor misura, la lampadina che racchiude. Essenziale, funzionale, autoreferenziale, per me perfetta. Il secondo oggetto che ha accompagnato affettuosamente la prima parte della mia carriera universitaria è la UP5 di Gaetano Pesce, insieme alla sua “appendice”, la UP6. Un Design apparentemente provocatorio che racchiude in sè una approfondita analisi comunicativa della condizione della donna. Le forme organiche richiamano le sinuosità femminili, diventano simbolo di fertilità, quasi ricordando le veneri paleolitiche, simbolo di protezione del ventre materno. Ma la donna è vista spesso come

vittima, a detta dell’autore, dei pregiudizi degli uomini e della società. Si collega alla UP6, di forma sferica, ricordando una simbolica “palla al piede”. Questa poltrona è degna figlia del suo tempo, di quel Design Radicale che ha fatto del Design Italiano quello che tutt’oggi è riconosciuto nel mondo. Estremamente innovativa per l’epoca (si parla del 1969) è la scelta del materiale: una schiuma di poliuretano espanso flessibile a iniezione rivestita con tessuto elastico: venduta sottovuoto, occupava circa il 10% del suo ingombro totale una volta aperta. Ultimi, ma non per importanza, voglio inserire i piccoli Libri Illeggibili di Bruno Munari. Una piccola perla di sperimentazione comunicativa in cui l’autore abbandona il testo scritto, affidando interamente l’incarico di narrare alla forma, al colore e alla fantasia del lettore. 4

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PENSANDO A UN ARCHITETTO O UN DESIGNER DEL PANORAMA CONTEMPORANEO O ANCHE DEL PASSATO, CON CHI PRENDERESTI UN THE? F: Forse più che un the preferirei un aperitivo, e inviterei volentieri Renzo Piano, una figura del palcoscenico professionale che mi affascina molto. Rappresenta una delle eccellenze italiane di cui mi piacerebbe scoprire come era da studente, fra le mura del politecnico di Milano (la mia stessa Università), sapere a chi si ispirasse e dirgli che io ho visto in lui uno dei miei mentori. Mi ha sempre affascinato la sua Architettura legata molto al Design e alla materialità della forma, il suo elogio all’Artigianato dell’Architettura. Ho avuto, durante il mio periodo di studi universitari, la fortuna di entrare in un suo cantiere, quello de Il Sole 24 ore; non capita tutti i giorni di vedere con i propri occhi la nascita di un’opera di un grande architetto, la meticolosità di ogni singolo componente, lo schizzo che diventa realtà, la parete ventilata, le tende esterne, la cupola verde. Idee, progetti straordinari, che entrano nel quotidiano di ogni singolo lavoratore del Sole 24 ore. Lo straordinario che diventa ordinario, la potenza di una scienza che può migliorare la vita degli uomini. Le sue opere racchiudono in sè una straordinaria e complessa semplicità, ogni elemento ha la sua giusta collocazione: la struttura diventa segno, ciò che tiene in piedi il tutto non si nasconde, anzi si esalta nelle forme. Esiste, quindi, si mostra. Il resto si armonizza con scelte tecnologiche sempre adatte e mai banali: la tecnica dell’artigianato, la vite, il bullone, il ragno e il tirante d’acciaio. 31


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Finirei il nostro aperitivo chiedendogli cos’è per lui Architettura, giusto per sentirglielo ripetere, visto che conosco già la risposta e ne condivido i contenuti: “L’architettura, intanto, è un servizio, nel senso più letterale del termine. E’ un’arte che produce cose che servono. Ma è anche un’arte socialmente pericolosa, perché è un’arte imposta. Un brutto libro si può non leggere; una brutta musica si può non ascoltare; ma il brutto condominio che abbiamo di fronte a casa lo vediamo per forza. L’architettura impone un’immersione totale nella bruttezza, non dà scelta all’utente. E questa è una responsabilità grave, anche nei confronti delle generazioni future. E l’architettura è un mestiere antico, forse il più antico della terra; o il secondo se preferite: è un po’ come la caccia, la pesca, la coltivazione dei campi, l’esplorazione dei mari. Sono le attività originarie dell’uomo, da cui discendono tutte le altre. Subito dopo la ricerca del cibo, viene la ricerca di un riparo; a un certo punto, l’uomo non si accontenta più dei rifugi offerti dalla natura e diventa architetto. L’architettura, infine, è un’arte che mescola le cose: la storia e la geografia, l’antropologia e l’ambiente, la scienza e la società. E inevitabilmente è lo specchio di tutto ciò.” (liberamente tratto dal discorso tenuto ricevendo il premio Pritzker, il «Nobel per l’Architettura”.) N: Se dovessi immaginare di sedermi a prendere un the con una personalità che ha influenzato la mia formazione, inviterei volentieri Achille Castiglioni, maestro indiscusso di Design del prodotto ma non di meno di allestimenti, e

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per questo, mio prediletto maestro progettuale, alla stregua di Carlo Scarpa. Castiglioni credeva fermamente nel concetto di Design quale mezzo di democrazia ed uguaglianza nella società. Oltre ad associare il suo nome alla celebre Lampada Arco, non si deve, però, dimenticare che a lui dobbiamo oggetti usuali del nostro quotidiano come l’Interruttore rompitratta, a suo dire, l’oggetto di cui andava più orgoglioso, proprio per la sua estrema diffusione, nonostante quasi nessuno ne conosca l’autore. Con la sua personalità estremamente poliedrica e il forte senso del contem-

poraneo è interprete della sua epoca in modo preciso e diretto, ma mai banale né ripetitivo. Oltre ad allestimenti innovativi precursori di Design espositivo, si è cimentato nei più svariati ambiti della progettazione dando vita ad elementi completamente in antitesi fra loro: dalla sinuosa linearità della lampada Parentesi alla giocosa adattabilità della libreria Joy, arrivando fino all’irriverenza dello sgabello Mezzadro, ottenuto con elementi di recupero come il sedile di un trattore, quasi a riprendere la poetica dadaista del ready-made di Man Ray, quando il riutilizzo di scarti industriali era veramente un’innovazione e non come ora che tutti vogliono, per forza, fare di ogni lattina un’opera d’arte. Nei suoi numerosi esempi di Exhibition Design l’eclettismo di Castiglioni è indiscutibile. Vorrei citare, prima di chiudere, due altre personalità per me davvero essenziali: la prima rappresenta il Design degli ultimi decenni, nella sua trasgressività più assoluta e nel suo saper andare oltre le forme ed i preconcetti; parlo di Fabio Novembre che, senza voler fare paragoni “troppo grandi” mi ricorda un po’ la figura di Castiglioni rapportata al giorno d’oggi. La seconda personalità è quella di Zaha Hadid: una delle pochissime donne ad aver raggiunto un tale successo, si distingue nel contesto contemporaneo per un formalismo assolutamente personale e riconoscibile, nonché un eclettismo che la portano dalla progettazione architettonica a quella di scarpe o elementi di arredo.


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LUI, LEI, IL PROGETTO: IL DIALOGO TRA I DUE MONDI. Sul sito del nostro studio si legge: “Non potevano trovarsi persone più diverse tra loro, ma si sono trovate e si sono piaciute…”. Ed è proprio da qui che nasce, giorno dopo giorno, ogni nuovo progetto. Di lavoro e di vita. Lei e lui, Yin e Yang, moglie e marito, Interior Designer e Architetto. La nascita di un nuovo lavoro è sempre una sfida; coordinare i “due mondi”, soprattutto all’inizio del processo creativo, quello del brainstorming, delle idee buttate là un po’ a caso, il momento in cui si accende quella famosa lampadina che talvolta si rileva inadatta. E’ veramente un gioco sul filo dell’alta tensione! Ogni progettista si trova spesso a confrontarsi con colleghi, quindi sa di cosa parliamo. Immaginate però di avere a che fare con vostra moglie/ vostro marito. L’inevitabile confidenza diventa potenzialmente pericolosa in quei momenti di naturale tensione mentre si sta creando. La stessa confidenza che si tramuta, però, presto in complicità appena superato il primo step: una complicità che credo difficilmente si possa trovare al di fuori di un rapporto così semplice e al tempo stesso complesso, intrecciato ed inequivocabile. Una complicità che non ha bisogno di parole, ma solo di uno sguardo, una complicità che sappiamo essere totale ed inestinguibile, una complicità che nasce dal sapere

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di poter contare sempre e comunque sull’altra persona, sul collega, sull’amico, sul partner. Le differenze fra noi, se inizialmente ostacolano, di fondo ci completano: una diversa formazione e un diverso punto di vista ci danno modo di osservare e analizzare in modo più attento e completo. Dove uno si ferma, arriva l’altro. E si arricchisce. Diversità non come mancanza ma come ricchezza, una lezione che noi abbiamo imparato su noi stessi e che il mondo, spesso, sembra dover ancora capire.

6 Libro Illeggibile mn 1 di Bruno Munari, immagine tratta da www.corraini.com)

Riferimenti fotografici

12 Libreria Joy di Achille Castiglioni, immagine tratta dal volume Achille Castiglioni 1918-2012 di Sergio Polano, 2001, Edizioni Electa)

1 Mobius Hi di United Nude, immagine tratta da www.unitednude.com) 2 Mojito Shoes di Julian Hakes, immagine tratta da www.dezeen.com). 3 Chaise longue LC4 di Le Corbusier, immagine tratta dalla collana Design in 1000 oggetti, volume II, 2008, Gruppo Editoriale L’espresso S.p.A. su licenza di Phaidon Press Limited)

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7 Schizzo di progetto de Il sole 24 ore di Renzo Piano a Milano, Immagine tratta da www.rpbw.com) 8 Foto de Il sole 24 ore di Renzo Piano, Immagine tratta da www.rpbw.com) 9 Foto de Paul Klee Zentrum di Renzo Piano a Berna, Immagine tratta da www.rpbw.com) 10 Foto dello studio di Renzo Piano a Genova, Immagine tratta da www.rpbw. com) 11 Interruttore Rompitratta di Achille Castiglioni, immagine tratta dal volume Achille Castiglioni 1918-2012 di Sergio Polano, 2001, Edizioni Electa)

13 Allestimento della mostra “L’altra metà dell’avanguardia” tenutasi a Palazzo Reale a Milano nel 1980, immagine tratta dal volume Achille Castiglioni 1918-2012 di Sergio Polano, 2001, Edizioni Electa)

4 Lampada Eclisse di Vico Magistretti, immagine tratta dalla collana Design in 1000 oggetti, volume VII, 2008, Gruppo Editoriale L’espresso S.p.A. su licenza di Phaidon Press Limited)

14 Allestimento della mostra “Vie d’acqua da Milano al mare” tenutasi a Palazzo Reale a Milano nel 1963, immagine tratta dal volume Achille Castiglioni 1918-2012 di Sergio Polano, 2001, Edizioni Electa)

5 Poltrone UP5 e UP6 di Gaetano Pesce, immagine tratta dalla collana Design in 1000 oggetti, volume VIII, 2008, Gruppo Editoriale L’espresso S.p.A. su licenza di Phaidon Press Limited)

15 Allestimento del Padiglione Rai alla XXIX fiera di Milano nel 1951, immagine tratta dal volume Achille Castiglioni 1918-2012 di Sergio Polano, 2001, Edizioni Electa)

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GENIUSLOCI Ri_VEDI il centro storico di Domenico Conaci architetto

Il 13 agosto si è svolta a Girifalco nella piazzetta Santa domenica, uno spazio urbano ricavato dalla demolizione di un vecchio edificio abbandonato all’interno del centro storico, una tavola rotonda dal tema “Ri_VEDI il centro storico”, nella quale si sono confrontati sul tema esperti di diverse discipline. La volontà non era di discutere, proporre soluzioni o piani particolari, ma quello di riflettere su cosa sta accadendo in Italia intorno al tema del recupero dei centri storici minori e sulle strategie di trasformazione di questi centri in borghi di eccellenza anche attraverso il loro ripopolamento e promozione turistica. Mentre se fino a pochi anni fa l’attenzione si era sempre rivolta in genere verso i grandi centri, la questione dei centri storici e dei centri minori in Italia ha conosciuto negli ultimi tempi un ampio dibattito risultando un tema di stretta attualità. Definendone un ruolo dal punto di vista statistico, i centri minori costituiscono la maggior parte dei comuni italiani e ospitanto circa il 20% della popolazione, infatti degli oltre 8000 comuni italia-

ni, circa 5.800 hanno una popolazione inferiore ai 5.000 abitanti, poco piu di 3.000 inferiore
ai 2.000, per finire con meno di 800 comuni con popolazione intorno ai 500 abitanti. I centri storici minori rappresentano quindi, in Italia, un notevole patrimonio storico, culturale ed economico e la loro classificazione non può essere esclusivamente demandata alle caratteristiche dimensionali. Il recente interesse nei confronti dei piccoli centri è dovuto principalmente a due fattori principali. Da una parte per aspetti storico-culturali, riscoperta delle tradizioni, tutela del territorio e soprattutto perché rappresentano una testimonianza fondamentale del nostro paese che con il passare del tempo si stava sempre di più perdendo. Per il resto per cercare di sanare, per quanto poco sia ancora possibile, “anche” le colpe che la pianificazione dei decenni delle espansioni urbane ha portato in tanti ad abbandonare le piccole case dei centri storici, dove ognuno condivideva parte della propria vita con i vicini nel vicolo, a favore di un mo-

dello abitativo composto da case isolate a destinazione mono o plurifamiliare, molte delle quali, soprattutto nei piccoli comuni calabresi sono rimaste incomplete e parzialmente abitate. Se nei grandi centri storici il degrado è sempre stato caratterizzato da fattori metropolitani nei piccoli centri la problematica è sempre stata lo spopolamento e l’abbandono che ha sempre rappresentato un fenomeno rilevante ma passato molto spesso sotto silenzio. Dove non è bastata la mancata programmazione o il controllo dell’uomo anche gli eventi della natura come i terremoti o dissesti idrogeologici hanno contribuito, soprattutto in Calabria ad un ulteriore abbandono o delocalizzazione di alcuni centri abitati. Oggi questi luoghi abbandonati sono una drammatica testimonianza di una vita stroncata nel giro di poche ore, come nel caso recente di Cavallerizzo la frazione di Cerzeto in provincia di Cosenza dove a seguito di una frana nel 2005 il vecchio centro abitato è stato in seguito ricostruito, completo dei servizi primari e secondari, in un’area diversa del comune di Cerzeto.


Sulla base di queste considerazione ne viene fuori da una ricognizione limitata ai soli piccoli centri della Calabria, prendendo in esame la percentuale di abbandono, una situazione drammatica per cui una delle problematiche principali da affrontare nella valorizzazione dei centri storici minori riguarda indubbiamente quello di invertire la tendenza dei fenomeni
di spopolamento e fare in modo che il centro storico sia considerato come una risorsa da conservare e da proteggere da eventi naturali. Negli ultimi anni non sono certo mancate le proposte avviate per provare a trasformare i questi luoghi abbandonati in borghi di eccellenza, alcune delle quali così visionarie da non riuscire nemmeno a partire. Per la realizzazione e il successo del recupero dei piccoli occorre pensare ad interventi strategici caratterizzati da integrazione tra interventi e politiche urbane differenti, dove parallelamente si attuano interventi di riqualificazione urbanistica e la creazione dei servizi necessari. Se da una parte bisogna fare tesoro di tutte le risorse economiche pubbliche, soprattutto i fondi di programmazione dell’Unione Europea resi disponibili, per costruire di volta in volta piccoli tasselli di un quadro generale. Occorre anche creare le condizioni affinché una parte di interventi avvenga tramite il contributo dei privati che non necessariamente dovranno occuparsi della parte pubblica ma potrebbero concentrare la loro attenzione sul patrimonio privato attraverso aiuti con incentivi fiscali, economici o urbanistici consentendo loro, in qualità di imprenditori, un rientro delle spese nonché una fonte di guadagno.

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Murales: Cummari, 13 08 2015, Girifalco Artista: Sara Fratini Foto: Domenico Conaci

Ma un’attenzione particolare va posta anche dal punto di vista normativo. Infatti, in attesa da anni di una normativa specifica per la valorizzazione dei piccoli comuni, non esistono norme specifiche di riferimento in merito ai centri storici e quasi tutto il diritto urbanistico attualmente in uso fa riferimento da un punto di vista nazionale al DM 1444, che però identifica solamente i confini del centro storico e demanda agli strumenti urbanistici Comunali il compito di occuparsi di volta in volta con regolamenti di dettaglio del centro storico. Ma se da una parte occorre avere negli strumenti urbanistici dei regolamenti comunali, che dettagliatamente indicano le modalità di intervento, allo stesso tempo è necessaria un efficace attività di controllo, come ricordato dal prof. Aldo Fiale, Magistrato Presidente della III sezione della Corte di Cassazione intervenuto alla tavola rotonda, da parte degli uffici tecnici comunali affinche ogni intervento venga eseguito in osservanza delle regole, mantenendo le caratteristiche formali e i materiali tipici del luogo. Ritornando a quanto discusso durante la tavola rotonda, nell’occasione sono stati presi in esame alcuni interventi attuati o tentati in Italia. Tra questi, il borgo di Colletta di Castelbianco nell’entroterra della riviera ligure di ponente, dove dopo decenni di abbandono totale nel 1991, iniziò ad essere attuato un progetto di recupero dell’intero nucleo abitativo affidato all’arch. Giancarlo De Carlo che riuscì a coniugare tradizione del luogo ed innovazione nell’abitare dando la possibilità a questo luogo di essere di nuovamente vissuto diventando a distanza di anni un caso studio e uno degli interventi maggiormente riusciti. A questo sono seguiti altri interventi in tutta italia, dove la maggior parte di questi sono stati beneficiati da investimenti privati tra i quali: Santo Stefano di Sessanio (AQ), Prata Sannita (CE), Vagli (AR), Bussana Vecchia (IM) e molti altri dove sono state avviate politiche di recupero di immobili e spazi abbandonati. Altri interventi vengono tuttora promossi da enti o da varie associazioni che sono diventate un punto di riferimento per quanti affrontano tematiche connesse alla riqualificazione e la valorizzazione di borghi e centri storici, senza mancare comunque fenomeni di promozione “curiose” che hanno avuto una breve durata tra quali Borghi all’asta, Case ad un euro, Case Gratis e altre che se non altro, fanno discutere e conoscere il problema.


ARCHI_JUNIOR a cura di Francesco Materazzo architetto

L’Architetto Iunior nell’universo sconosciuto del Lavoro Pubblico… Il grandioso D.P.R. 380/2001, oltre a “chiarire” esplicitamente le competenze degli iscritti alla Sezione B nell’universo del lavoro edilizio privato, è molto chiaro (ironico) sulle competenza nel caso di Lavori Pubblici e/o su relativi incarichi. Infatti nei vari buchi neri della legge succitata ci siamo anche noi…. Una prima riflessione provocatoria… Avete mai provato a digitare su Wikipedia la parola “Architetto Iunior”?...Bene non fatelo, altrimenti anche a stomaco vuoto avreste indigestione!! Se già siamo svantaggiati anzi non considerati nel mondo edilizio del lavoro privato, aspettiamoci il peggio del peggio per un eventuale incarico nel settore pubblico. La famigerata Legge del Taglione (d’ora in avanti così sarà chiamata) prevede un nostro esclusivo “concorso e collaborazione ” con colleghi Senior. È inutile interpellare l’Accademia della Crusca per chiarire il significato di “concorso e collaborazione”, ne va da se che qualsiasi attività ci è preclusa a priori. Ora il motivo per cui si è fatta tale distinzione fra settore pubblico e privato, allo scrivente e penso un po’ a tutti, è ahimè sconosciuto…se si provasse ad azzardare qualche ipotesi in merito si potrebbe pensare che progettare (architettonicamente e staticamente) una casa unifamiliare si avrebbe possibilità di fare

meno vittime di crollo rispetto ad un opera pubblica quale asilo, centro aggregazione o campetto di bocce, ecc. E’ chiaro che il limite non è rivolto all’Architetto Iunior, ma alla sua “incapacità” progettuale, d’interpretazione del titolo di un qualsiasi Lavoro Pubblico, o di una semplice gara per un bando integrato, e chissà forse anche ad un concorso di idee. È di dominio pubblico il rigetto di un progetto pubblico vincente di un comune campano, che nonostante abbia valutato con il punteggio maggiore il progetto di un collega iunior al primo posto in un banda di gara, per le soluzioni adottate, l’abbia escluso dalla gara nel momento in cui è stato posto il quesito delle nostre competenze in questo settore. Ovviamente l’episodio è al vaglio della magistratura ordinaria, ma noi sappiamo già dove si metterà il “punto” preceduto dalla parola “fine” su questa storia. Nonostante la sfilza di episodi negativi in tutt’Italia con un’alta percentuale al Sud, non si riesce a dare uno sbocco a tale professione ghettizzata culturalmente e posta in un angolino come un pugile pronta a subire tiri destri e sinistri. Vorrei rimandarvi ad alcune considerazioni su quanto accaduto al Nord: I giudici amministrativi della prima sezione del T.A.R. Veneto con la senten-

za n. 633 depositata il 30 aprile 2013 hanno stabilito che la progettazione e la direzione lavori di costruzioni civili in cemento armato sono di competenza esclusiva di ingegneri e architetti, anche quando si tratta di fabbricati caratterizzati da modeste dimensioni. Questa interpretazione delle competenze progettuali di edifici costruiti in cemento armato è stata pronunciata in quanto è stato affidato ad un geometra da parte di un comune veneto l’incarico di progettazione e direzione lavori di alcune opere cimiteriali. Su ricorso dell’Ordine degli Ingegneri della provincia di Verona, il T.A.R. ha stabilito che tali opere sono di competenza degli ingegneri e/o architetti e non possono assolutamente essere affidate a tecnici diplomati. La sentenza sancisce che le opere relative ai cimiteri vanno considerate come “opere riguardanti la pubblica igiene” e che in giurisprudenza tale progettazione è di pertinenza esclusiva degli ingegneri e/o architetti. “In base all’art. 16 del R. D. (REGIO DECRETO!!!!) 11 febbraio 1929 n. 274, scrivono i giudici del T.A.R. Veneto, la competenza professionale dei geometri in materia di progettazione e direzione dei lavori di opere edili riguarda le costruzioni in cemento armato solo relativamente ad opere con destinazione agricola che non richieda-

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38 no particolari operazioni di calcolo e che per la loro destinazione non comportino pericolo per la incolumità delle persone.” Per le costruzioni civili che adottino strutture in cemento armato, argomenta il T.A.R., sia pure di modeste dimensioni, ogni competenza è riservata ad ingegneri ed architetti ai sensi dell’art. 1 del R. D. (REGIO DECRETO!!!!) 16 novembre 1939 n. 2229. I giudici scrivono della sentenza che tale disciplina non è stata modificata né dalla legge 1086/1971 né dalla legge 64/1974 le quali, ricorda il T.A.R., si sono limitate, pur senza esplicito richiamo, a recepire la previgente ripartizione di competen-

ze tra ingegneri, architetti e geometri. Esuliamo dalle competenze progettuali Architetti / Architetti Iunior (precedente articolo su tale rivista) e soffermiamoci su questi aspetti gravi: 1. Quale comune della Repubblica italiana darebbe un simile incarico pubblico ad un “tecnico laureato triennale”…non prendiamoci in giro…nessuno…eppur al geometra si!!! 2. Quante opere rientranti nelle limitazioni sopra esposte avete visto fin ora a firma di un “tecnico diplomato”? (Eppur si muove…disse G. Galilei al Tribunale dell’Inquisizione…)

3. A governarci ci sono ancora Regi Decreti, ovvero decreti del Re….è assurdo!!! Per concludere, come possiamo risolvere il problema se la giurisprudenza è intrisa di leggi e leggine, decreti ministeriali, del Presidente della Repubblica, del Re, e chissà di chi ancora non sappiamo, come si può discutere con un qualsiasi Ente pubblico di incarichi professionali quando gli Iunior ancora non sono liberi presentare una semplice costruzione a forma quadrata di sei per altezza? Rimando il problema ai Presidenti e Consiglieri di ogni provincia della Regione.

TIMELINE a cura di Francesca Savari architetto

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» 13-18.322016,Frankfurt am Main

» Build gardens, urban green, and landscapes Dal 03/02/2016 al 06/02/2016

Mostra internazionale di marmi, design e tecnologie Dal 28/09/2016 al 01/10/2016

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» 29/01/2016 - 01/02/2016 12/04/2016 - 17/04/2016

Salone del serramento e finiture di interni ed esterni Dal 19/10 al 22/10

Salone Internazionale della Ceramica per l’Architettura e dell’Arredobagno Dal 26/09 al 30/09

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» Salone Internazionale dell’Edilizia

Furniture - Design - Project Trade Fair and Conference Dal 28/09/2016 al 01/10/2016

55^ National Edition 38^ International Edition dal 12 al 17 aprile 2016


BIOARchitettura La qualità dell’aria negli ambienti interni di Eugenio D’Audino

Gli attuali standard di vita costringono a trascorrere molte ore all’interno di ambienti confinati. Una condizione che fa perdere, il più delle volte, la percezione della qualità dell’aria interna, generando ripercussioni anche molto gravi sulla salute. Una progettazione consapevole può ridurre i fattori di rischio. Necessità di un approccio bio-compatibile Uno dei principali compiti della bioarchitettura è quello di occuparsi dello studio e della definizione della qualità dell’aria all’interno degli edifici, valutandone il grado di salubrità e di comfort. Questo al fine di prevenire, attraverso l’attuazione dello sviluppo di una proget-tazione maggiormente consapevole, i malesseri e gli stati patologici che possono colpire gli occupanti di un definito ambiente confinato, in funzione del loro numero e tempo di permanenza. Preliminarmente, occorre distinguere tra patologie (BRI) e disturbi (SBS). 2

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Building Related Illnes (BRI) Si tratta di patologie aventi un quadro clinico ben codificato e sono la conseguenza di una determinata contaminazione dovuta alla presenza di uno specifico agente all’interno dei locali. Tra queste figurano: • problemi agli alveoli polmonari, • infezioni da virus e funghi, • asma bronchiale, • legionellosi • rinorrea, • cefalea, Sono malattie di tipo allergico o tossico-infettivo e non sempre si risolvono abbandonando l’ambiente che li ha indotti. Da queste patologie vanno differenziati i disturbi dello stato generale di salute, che comprendono la cosiddetta “Sindrome da edificio malato”. Sick Building Syndrome (SBS) Essa riguarda tutte le patologie, che colpiscono gli abitanti di un edificio, caratterizzate da un quadro clinico non riconducibile ad un unico agente. I principali sintomi sono riportati nella tabella seguente:

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40 Individuazione dei fattori di rischio Poiché il microclima indoor di un edificio riveste estrema importanza per la salute degli occupanti, in ogni edificio bisogna identificare quali sono effettivamente i fattori di rischio che possono generare queste patologie. Questi normalmente sono suddivisi in tre categorie: • inquinanti fisici, • inquinanti chimici • inquinanti biologici Inquinanti fisici Uno dei principali inquinanti di tipo fisico è radon, un gas radioattivo naturale, incolore ed insapore, caratterizzato da una grande inerzia chimica. Si diffonde rapidamente nell’ambiente senza combinarsi con altri elementi per formare dei composti. Si accumula all’interno di abitazioni e diventa una delle principali cause di tumore al polmone.

Tanti sono i fattori possono contribuire a determinare i sintomi descritti. Primo fra tutti il tempo di permanenza nell’edificio. La riprova è che l’allontanamento dall’edificio normalmente risolve o quantomeno attenua rapidamente la manifestazione dei disturbi. 3

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Inquinanti chimici I composti organici volatili (VOC) sono gli inquinanti chimici maggiormente presenti all’interno dei sistemi edilizi. Il principale è rappresentato dalla formaldeide, un composto organico utilizzato nella produzione nella fabbricazione di mobili e di numerosi materiali per l’edilizi. Essa si può trovare: • nei pannelli sia compensati che truciolari; • in alcune nelle schiume isolanti; • nella moquette, e nei tendaggi mobili, • nei rivestimenti, • nei materiali per la pulizia degli ambienti, Altri elementi volatili facilmente misurabili sono: • monossido di carbonio CO • anidride carbonica CO2 Inquinanti biologici Rappresentano un’importante ed eterogenea categoria di inquinanti, tutti di origine biologica. Troviamo: • batteri, virus e acari • muffe, • pollini e altri allergeni. In particolare, la muffe sono dei piccolissimi organismi appartenenti al regno dei funghi. In aria disperdono le spore e quando raggiungono una superficie umida, come superfici dove si forma la condensa, attecchiscono. La muffa inizia a svilupparsi colonizzando un nuovo ambiente.


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Azioni per ridurre i fattori di rischio Avere la consapevolezza dei fattori di rischio e degli inquinanti interni consente ai progettisti di operare le scelte più appropriate in termini di bio-compatibilità. Questo presuppone prioritariamente una conoscenza approfondita dei materiali selezionati per la realizzazione della propria idea progettuale. A ciò si deve anche aggiungere lo studio delle caratteristiche fisico-tecnico-prestazionali di alcuni componenti edilizi costi-

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tutivi dell’involucro al fine di favorire l’abbattimento del problema dell’inquinamento indoor. Elementi di valutazione della IAQ Per aumentare la purezza e qualità dell’aria (Indoor Air Quality) bisogna eliminare gli inquinanti presenti negli ambienti confinati. La IAQ è legata al numero di ricambi d’aria. Il ricambio d’aria può essere ottenuto con tre modalità distinte: • ventilazione tramite infiltrazioni naturali; • ventilazione tramite aperture manuali • ventilazione di tipo meccanico Complessivamente si cerca di garantire 0,3 V/h di ricambio orario o 30 m3/(ora persona)

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Ventilazione tramite infiltrazioni naturali Può essere ottenuta attraverso una corretta scelta dei materiali da costruzione, e dei componenti costrut41


42 tivi che nel loro insieme definiscono l’involucro dell’edificio, noto anche come “terza pelle”. E’ proprio per questo motivo che, a parità di altre prestazioni richieste, occorre selezionare elementi che devono avere caratteristiche di altissima porosità, igroscopicità e traspirabilità. Questi requisiti in genere valgono per gli elementi di chiusura opaca. Ma ai fini della immissione d’aria tramite infiltrazione naturale, un ruolo decisivo può essere svolto dai serramenti che possono essere dotati di particolari sistemi atti a favorire la micro circolazione naturale dell’aria esterna. Ventilazione tramite aperture manuali Si tratta di una ventilazione senz’altro molto utile anche se non molto efficace in quanto è: • di tipo discontinuo, sia come frequenza che come durata della ventilazione; • assoggettata alla sensibilità e alla discrezionalità degli occupanti un ambiente confinato che può variare da persona a persona. Ventilazione di tipo meccanico È un tipo di ventilazione che può essere anche molto efficace ma che è funzione di diversi parametri quali: • il tipo di macchina scelta; • il sistema di distribuzione • il posizionamento delle bocchette • la pulizia dei filtri e dei tubi; • il bilanciamento dell’impianto Conclusioni Per ridurre i fattori di rischio derivanti da aria insalubre all’interno degli ambienti abitati devono concorrere insieme tanto i progettisti quanto i committenti e/o utenti destinatari degli spazi progettati. I primi devono operare scelte consapevoli rispettando i principi di bio-compatibilità, anche laddove non espressamente previste o non imposte da norme specifiche. I secondi devono essere informati adeguatamente in maniera da essere spinti a fare investimenti a beneficio della propria salute. 8

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Riferimenti bibliografici: Roberto BONO. L’inquinamento dell’aria negli ambienti confinati: gli effetti sulla salute dell’uomo. Dipartimento di Igiene e Medicina di Comunità dell’Università di Torino. Leopoldo BUSA. Prodotti Biocompatibilli contro le Sostanze Nocive [Rubrica Master CasaClima]. “Tetto e Pareti in Legno”, 15 (2009), p. 98.. AA.VV., Inquinamento indoor: aspetti generali e casi studio in italia, ISPRA - Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, Rapporto N. 117 del 2010. AA.VV., Indice Alfabetico delle Sostanze Pericolose, < www. ispesl.it/cancerogeni/indice.asp#2. Marco SALA, Eugenio D’AUDINO, Lessico di tecnologia bioclimatica. Firenze, Alinea, 2000. Riferimenti iconografici e fotografici: 1 Clip art, rappresentativa del nesso tra architettura e salute. 2 Word cloud astratto per sindrome da edificio malato. 3 Le irritazioni oculari sono molto frequenti in ambienti dove c’è aria secca. 4 Immagine, rappresentativa delle irritazioni alle mucose. 5 Localizzazione schematica dei fattori di rischio di presenza di agenti all’interno di una comune abitazione. 6 La formazione di condensa superficiale favorisce la proliferazione di colonie di batteri e muffe. 7 Serramento dotato di componente per favorire la micro ventilazione naturale. 8 Ottenimento del ricambio d’aria per apertura manuale degli infissi esterni. 9 La necessaria operazione di manutenzione periodica per la pulizia dei filtri dei condizionatori domestici.


DIARIODIBORDO Matera2019 da Carlo Levi agli “illuministi” di Luca Spagnolo architetto

“….Questi coni rovesciati, questi imbuti si chiamano Sassi, Sasso Caveoso e Sasso Barisano. Hanno la forma con cui a scuola immaginavo l’inferno di Dante.” A Matera il futuro è già iniziato. Ci arrivo nell’aprile 2015, a settant’anni dalla denuncia di Carlo Levi e a sei mesi dall’assegnazione del titolo di Capitale Europea della Cultura. “L’Open Future”, che è nello slogan della candidatura all’Unione Europea, è ovunque: negli spot, nei giochi di parole che circolano - Sasso pigliatutto o Scelta sassista - nell’avvio dei primi interventi di recupero dei quartieri, ma soprattutto nello

spirito che aleggia della ritrovata identità di Lucani, orgogliosamente esposta nelle parole chiave del dossier di presentazione della candidatura: “Ruralità”, “Frugalità”, “Silenzio” e “Lentezza”. Pensare a Basilicata coast to coast non è tanto irrispettoso. Da queste “Passioni” deve essersi fatta convincere l’Europa, dall’idea di una possibile alternativa lucana alla solita, seppur splendida, avventura culturale al servizio del turismo, del fatturato indotto e del consenso. Il progetto è presentato in nome di un’area vasta che va dalla Murgia al Pollino, al Cilento. I Sassi sono l’elemento capace di mediare tra la campagna da rigenerare e la città sostenibile, tra crescita e decrescita. Sono nell’albergo diffuso - camera prenotata on line in una residenza nei Sassi - e capisco subito di non poter indossare il solito abito del recensore di hotel, come la Margherita Buy del film Io viaggio da sola. Qui hanno inventato una strana categoria di ospitalità, non ci sono catene standardizzate e neanche il loro opposto, quei boutique hotel che, dotando 43


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le stanze di oggetti unici, tentano di attrarre suggerendo che la relazione tra esse e l’ospite sarà personale. Qui le residenze non sono luoghi ma storie, veicoli di mitologie che regalano una narrazione, un ethos o un’estetica. Cammino nel labirinto dei Sassi, non c’è alcun ordine, o almeno non riesco a

scoprirlo, ma qui parliamo di preistoria. Decido a caso di iniziare la visita da Piazza Duomo, la via per arrivarci è caratterizzata dalla presenza della massiccia torre quadra, parte della cinta muraria che chiudeva la città medievale, prima porta di accesso alla rocca. Salendo, dopo il cinquecentesco palazzo Santoro

e la seconda porta, finalmente la Piazza, sovrastata dalla mole della Cattedrale. Nella Civita - zona di separazione tra il Sasso Barisano e il Sasso Caveoso - una terrazza consente la suggestiva veduta sull’agglomerato urbanistico formato dall’accavallarsi di abitazioni, stradine, piazzette e scalinate.


Mi accompagna Saverio, guida per hobby con cagnolino al seguito, nato e cresciuto nei Sassi, accento e terminologia lucani: “…nel ‘47 De Gasperi ci chiamò vergogna nazionale, ma poi dopo tanti anni arrivarono degli illuministi che decisero di riqualificare i Sassi….”. Tra gli illuministi c’era Ludovico Quaroni che progettò il borgo La Martella; là e nel Borgo Venusio vennero forzatamente trasferite 15.000 persone che occupavano 3.300 grotte. “L’Open Future” era iniziato con un trauma che ora Matera vuole definitivamente rimuovere. E inizio a capirli i Sassi: piccole strade che sono i tetti delle case sottostanti, con comignoli che ti ritrovi tra i piedi lungo i percorsi, abitazioni scavate nella roccia nei posti più impensabili, persino sotto un’antica necropoli. Come dice Saverio “qui abbiamo un esempio dei morti sulla testa dei vivi”. Tra le antiche abitazioni anche botteghe artigiane, piccole strutture ricettive e poi il vero spettacolo: le Chiese Rupestri. Tra le più belle San

Pietro Barisano, armonico accordo tra escavazione e ricostruzione; la facciata seicentesca è arricchita da un rosone quadrilobato e affiancato da un campanile a tre piani terminanti a cuspide, l’interno è a tre navate, scandite da sei pilastri uniti ad arco a tutto sesto. Anche le altre sono piccoli gioielli: Madonna delle Virtù, Santa Lucia alle Malve, Madonna de Idris. Ho la fortuna di visitare il Complesso Rupestre San Giorgio, un sito emerso durante i lavori di ristrutturazione di un’abitazione settecentesca e che, con i suoi 40 metri di profondità, percorre mille anni di storia materana. Originariamente Chiesa, poi frantoio e successivamente cantina; nel ‘700 si costruì un palazzotto. Ancora oggi è ben visibile la rete di recupero delle acque, con i suoi canali intatti e con le cisterne intonacate di coccio pesto. I sistemi di raccolta delle acque sono tra i motivi principali per cui i Sassi diventano Patrimonio UNESCO nel 1993. Nei pressi di Piazza Vittorio Veneto, o meglio sotto la Piazza, a partire dal XVI secolo fu realizzata una maestosa cisterna, “il Palombaro Lungo” conosciuta anche come Cattedrale dell’Acqua per la sua

eccezionale forma definita da pilastri e arcate rivestite di coccio pesto; profondo 16 metri e lungo 50, con una capacità di cinque milioni di litri, fino ai primi decenni del secolo scorso ha rap-

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presentato il punto di riferimento fondamentale per l’approvvigionamento dell’acqua. Matera è anche campagna e natura, non posso rinunciare ad una visita al Parco della Murgia, 8.000 ettari caratterizzati da profonde rupi, cascate, sentieri fra rarità vegetative, gravine e

grotte naturali utilizzate dall’uomo sin dalla Preistoria. Ed è qui che trovo ancora le Chiese Rupestri ad aula unica oppure a due o a tre navate, con la vista sui sassi separati dal Parco dalla profonda fossa naturale in cui scorre il torrente Gravina.

È il tramonto e si accendono le prime luci, le pietre dolci e chiare dei Sassi acquistano mille sfumature, quelle che suggestionarono Pasolini, la città si trasforma in un magnifico scenario e come nel film del ’64 gli attori sono di nuovo gli abitanti dei Sassi.


ARCHIBOOK A misura di bambino di Maya Azzarà Architetto

Spesso mal interpretata o fraintesa, talvolta erroneamente associata alla messa in sicurezza degli ambienti, l’espressione “a misura di bambino” racchiude in sé un significato ben diverso da quello attribuitogli comunemente. Proiettiamoci agli inizi del ‘900, per la precisione nelle scuole dell’infanzia dell’epoca. A quei tempi le aule, seppur destinate a bambini di tre/sei anni, erano organizzate in rigide file di banchi, con un impianto predisposto per svolgere la tipica “lezione frontale”: bambini seduti, fermi al posto assegnato, e insegnante alla cattedra (spesso sistemata su una pedana rialzata) che, occupando una posizione privilegiata, trasmetteva il sapere “dall’alto al basso”, ponendosi come modello di riferimento necessario allo sviluppo del bambino. In quegli stessi anni Maria Montessori, medico e pedagogista, cominciò a sostenere e diffondere teorie educative atte a modificare questo tipo di relazione tra insegnante e bambino. Montessori riteneva che l’educatore non dovesse più porsi al centro dell’attenzione: era il fanciullo, infatti, il nuovo e vero protagonista, che andava incoraggiato alla parte-

cipazione, spinto a fare esperienze in autonomia senza una linea coercitiva imposta dell’insegnante il cui ruolo, invece, era osservare e preparare l’ambiente circostante. Questa teoria pedagogica, rispettosa del bambino e che confida nelle sue capacità innate, si traduce in una nuova organizzazione pratica

Ambiente di apprendimento di una scuola montessoriana: i bambini si sistemano in spazi differenti concentrandosi in attività diverse (Fonte img www.montessori.uniroma3.it)

“Case anche per bambini – Educare i bambini attraverso lo spazio domestico”, Maya Azzarà (edizioni la meridiana, Molfetta 2014, ISBN: 978-88-6153-4346, 14.50) è un libro pratico per organizzare una casa a misura di bambino dell’aula: nelle scuole montessoriane la tradizionale distribuzione a file viene smantellata, quasi destrutturata, gli ingombranti banchi scompaiono -così come la cattedra sistemata a mo’ di altare- sostituti da mobili di piccole dimensioni che vanno a costituire i cosiddetti “centri di interesse”.I centri di interesse di matrice montessoriana sono quegli spazi che ancora oggi, entrando in un asilo nido o in una scuola dell’infanzia, individuiamo a colpo d’occhio: porzioni di aula circoscritte e destinate alle varie attività, generalmente ben connotate e separate da arredi (gruppi di tavoli, divanetti, scaffali, etc.), e predisposte

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affinché gli scolari possano spostarsi agilmente e scegliere con chi e con che cosa giocare; l’ambiente è quindi strutturato per assecondare i movimenti spontanei legati al desiderio di esplorazione e scoperta dei bambini, favorendo la relazione e la condivisione dell’esperienza tra pari.In particolare Maria Montessori propone nelle strutture educative, chiamate “Case dei bambini”, lo svolgimento di attività di routine, corredando perciò gli ambienti con mobili e accessori proporzionati alla statura dei più piccoli per facilitarne l’utilizzo: lavandini bassi con acqua corrente e spugnette per lavarsi e pulire, scopine e palette per spazzare il pavimento, piccole dispense con l’occorrente per apparecchiare, e via discorrendo, tutto presentato senza forzature, ma come occasione di esperienza, esercizio e apprendimento attraverso il gioco libero.

Una “Casa dei bambini” a Berlino nel 1930. L’adulto mette a disposizione i materiali affinché ogni bambino sia libero di scegliere le attività da svolgere. (Fonte img www.bild.bundesarchiv.de) Ed è questo, allora, il significato racchiuso nell’idea di un ambiente “a misura di bambino”: nulla a che vedere con paraspigoli, sistemi di chiu-

sura o barriere che impediscono la libera circolazione, ma, al contrario, uno spazio fluido, un “ambiente maestro” che insegna attraverso la sperimentazione, intenzionalmente predisposto affinché il bambino possa muoversi e fruirne in autonomia.Questa premessa è importante per capire quanto l’eredità del metodo Montessori è presente ancora oggi sia nelle nostre scuole sia nella nostra mentalità: recandoci in un asilo, infatti, ci aspettiamo di trovare piccoli arredi, con sedie e tavolini proporzionati e funzionali, utilizzabili facilmente dai bambini. Se, contrariamente a ciò, entrando in un asilo trovassimo un’aula arredata con scrivanie e sedie da ufficio, rimarremmo sconcertati, proprio perché lo spazio così proposto non risponde alle nostre aspettative, non rispecchiando la nostra idea di luogo idoneo a ricevere ed educare dei bambini. Ma come mai, allora, non ci stupiamo di vedere case non progettate, pensate e organizzate per accogliere anche i bambini, dato che proprio tra le sue stanze essi crescono e trascorrono gran parte della propria infanzia? L’educazione e la formazione che demandiamo alla scuola, non dovrebbero svolgersi ancor prima all’interno della famiglia e perciò nelle abitazioni private?È da questo interrogativo che è partita la mia ricerca sul ruolo pedagogico degli spazi per l’infanzia e, nello specifico, sul modo in cui l’organizzazione della nostra casa –in cui convergono e coabitano esigenze diverse- incide sulla crescita dei bambini, impattando sul loro sano sviluppo psicofisico e sull’apprendimento. Case malpensate e arredate trascurando la compresenza dei più piccoli, hanno reali ricadute sull’e-

Un gancio fissato ad altezza di bambino consente ai più piccoli di appendere il proprio giubbotto in autonomia. (Fonte img: Gabriele Zani per Maya Azzarà). ducazione dei figli e sul ruolo del genitore, che spesso si sostituisce al bambino, passivizzandolo e scaricandolo da ogni responsabilità.Questa modalità di relazionarsi ai figli, che ha evidenti ripercussioni a livello sociale, è causata anche dalle nostre case concepite in maniera adultocentrica, ossia pensate dagli adulti per soddisfare i soli bisogni degli adulti. Da un lato, infatti, non trovando nello spazio domestico angoli di attività destinati a loro –si tratti di routine o di zone strettamente destinate al gioco-, per soddisfare i propri bisogni naturali e mettersi a proprio agio, i bambini si insediano progressivamente in tutta la casa, colonizzando e appropriandosi (anche) degli spazi dell’adulto, rendendo l’abitazione un luogo caotico, a volte origine di conflitti e rimproveri. Allo stesso tempo l’adulto, invece di rimuovere inutili ostacoli e adattare la casa per aiutare il bambino a essere autonomo, tende a sostituirsi ad esso, a soccorrerlo, a interrompere le sue iniziative. In sintesi: l’adulto crede


di essere necessario e ritiene che il bambino non sia all’altezza, mentre invece è la casa a non essere all’altezza …dei bambini. Se all’ingresso di un’abitazione, per esempio, c’è un attaccapanni fissato in basso che i più piccoli possono utilizzare senza la mediazione di un adulto, un bambino, rientrando, sa dove sistemare il proprio giubbotto, e questo senza spiegazioni o obblighi, ma imitando i grandi in maniera spontanea; quando è ora di uscire, egli può prendere e indossare la giacca da solo, partecipando attivamente e con soddisfazione alla quotidianità, trovando in questo modo approvazione anziché rimprovero. Riporre la giacca in un luogo raggiungibile rassicura il bambino che così sa dove ritrovare le proprie cose, interiorizzando l’abitudine con serenità e imparando fin da piccolo che il giubbotto gli appartiene e si appende con cura al gancino, assumendosi in questo modo anche una piccola e salutare responsabilità.Avendo piccole accortezze in ogni stanza della casa, l’ambiente stesso diventa un veicolo di apprendimento, un luogo dove l’educazione passa attraverso un’esperienza autentica che permette ai bambini di acquisire abilità e competenze, rinforzando così la fiducia in se stessi e l’autostima, importanti cardini per la strutturazione della personalità futura.Ogni genitore può intervenire nella propria abitazione attuando alcuni accorgimenti pratici (raccolti nel mio libro “Case anche per bambini – Educare i bambini attraverso lo spazio domestico”, edizioni la meridiana), che consentono di rendere più funzionali e accessibili gli spazi, ma ciò non è sufficiente quando si tratta di rimediare a problemi legati alle

Una gabbia per finestra prodotta negli anni ’30 pensata per consentire ai bambini di poter stare all’aria aperta, rimediando all’assenza di balconi nelle case. (Fonte img: www.theatlantic.com) barriere architettoniche.Avete mai pensato che i bambini sono troppo bassi per riuscire a vedere fuori dalle finestre? O che i parapetti dei balconi realizzati con mattoni facciavista li privano della visuale esterna, murandola letteralmente? A volte ci si sofferma in maniera sommaria sulla sfera dell’infanzia, si realizzano addirittura scuole e asili adultocentrici, che lasciano trapelare nelle scelte progettuali un’evidente inconsapevolezza di quali siano i reali bisogni di chi abiterà quello spazio. Si tende a sottostimare la potenzialità e le competenze dei bambini, a liquidare il loro punto di vista come qualcosa di irrilevante importanza -“perché tanto crescono”- di fronte alle tediose difficoltà dell’iter progettuale. Ma “l’infanzia non è semplicemente un tempo di preparazione alla vita, come sovente siamo portati a pensarla per i nostri figli, ma è già vita essa stessa” (P.Rosegger) e l’atmosfera e le esperienze vissute da bambini ci accompagneranno per tutto il resto della nostra esistenza. Un progetto “a misura di bambino” è una visione pedagogica dello spazio, dove l’ambiente è un luogo di socialità e di relazione in gra-

do di accogliere e soddisfare i bisogni umani di tutti, a partire da quelli dei bambini, i più fotografati e i meno ascoltati nella nostra società. Un’architettura attenta anche a loro è uno strumento a lungo termine che educa grandi e piccini all’ascolto dell’altro, alla condivisione e al rispetto reciproco, traducendo uno spazio mentale in uno spazio fisico capace di trasmettere benessere, armonia e pace.

Un ambiente pensato per accogliere i bisogni naturali anche dei bambini diviene un luogo di condivisione capace di educare senza l’uso di troppe parole (Fonte img: Gabriele Zani per Maya Azzarà).

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ARCHIWORD il glossario di Architettura a cura di Jole Tropeano architetto

AGGETTO sporgenza di un elemento rispetto al profilo della costruzione ad esempio una mensola o più comunemente un balcone. In un edificio si dicono in aggetto quelle parti sporgenti rispetto al prospetto, come balconi, bow-windows, cornicioni, modanature, mostre di porte, di finestre, ecc. Su una facciata, con le relative ombre che proietta, contribuisce a dar maggiore movimento e maggiore risalto a tutto l’edificio. BAUHAUS fondata a Weimer nel 1919 dall’architetto Walter Gropius, poi trasferita a Dessau nel 1925 (dove venne costruito il famoso edificio ad opera di Gropius) e poi ancora a Berlino nel 1932, la Bauhaus nacque come scuola sperimentale delle arti e mestieri in un periodo storico in cui, a seguito della Rivoluzione Industriale, ci si confrontava con la produzione in serie degli oggetti e con la meccanizzazione di tutti i processi produttivi. Non mancano le iniziative di introdurre la sezione di architettura all’interno della scuola nel maggio 1920 promossa da Adolf Meyer, socio di Gropius, fin quando nel 1927 si avrà il primo corso istituzionale. COR-TEN è una tipologia di acciaio che prende il nome dalle sue due principali caratteristiche ovvero : COR (corrosion resistance) elevata resistenza alla corrosione, e TEN (tensile strength) elevata resistenza meccanica. Brevettato nel 1933 dalla United States Steel Corporation (U.S.S.), si presenta di colore rosso bruno (come la ruggine) poichè proprio una delle sue peculiarità è quella di autoproteggersi dalla corrosione elettrochimica fino a formare una patina superficiale che diventa il suo elemento materico caratterizzante. Gli ossidi che compongono la lega, nel tempo, lo proteggono dal propagarsi della corrosione dovuta ai fattori ambientali esterni fino ad ottenere resistenze 4 volte superiori a quelli dell’acciaio al carbonio (COR-TEN di tipo C). La norma EN 10025-5 ne definisce le caratteristiche meccaniche e chimiche.

DECOSTRUTTIVISMO La decostruzione appare come una tendenza contemporanea a disarticolare forma, spazi e funzioni dell’organismo architettonico sostituendosi alla distribuzione tradizionale delle gerarchie prima del XX secolo. Tra i rappresentanti più celebri ritroviamo Zaha Hadid, Frank O. Gehry, Daniel Libeskind, Rem Koolhaas che, senz’altro, propongono un nuovo linguaggio stilistico in forte contrapposizione con quello precedente, decostruendo appunto l’oggetto, ma ricostruendolo a partire dalle singole particelle, che si ritroveranno strutturate in nuove gerarchie. EPI (Indice di Prestazione Energetica) è un parametro architettonico che viene usato per valutare l’efficienza energetica di un edificio. In particolare questo indice tiene conto del rapporto tra l’energia necessaria per portare un ambiente alla temperatura di 18 °C e la sua superficie utile o volume lordo, in caso di locali non residenziali, ove per superficie utile si intende la superficie netta calpestabile dell’ambiente. L’indice di prestazione energetica EPi esprime il consumo totale di energia primaria per il riscaldamento invernale (in regime continuo degli impianti su 24h) riferito all’unità di superficie utile o di volume lordo. L’indice di prestazione energetica EPi viene quindi espresso in kWh/m2 per anno, o kWh/m3 per anno per locali non residenziali. FIRMITAS ovvero, fermezza, solidità di una costruzione. Assieme a Utilitas e Venustas compongono la cosiddetta “triade vitruviana” sintetizzata da Claude Perrault nel XVII secolo. Per riportare la teoria completa che Marco Vitruvio Pollione ci ha trasmetto attraverso il suo trattato “De Architectura” del I sec. A.C. : « Tutte queste costruzioni devono avere requisiti di solidità, utilità e bellezza. Avranno solidità quando le fondamenta, costruite con materiali scelti con cura e senza avarizia, poggeranno profondamente e saldamente sul terreno sottostante; utilità, quando


la distribuzione dello spazio interno di ciascun edificio di qualsiasi genere sarà corretta e pratica all’uso; bellezza, infine quando l’aspetto dell’opera sarà piacevole per l’armoniosa proporzione delle parti che si ottiene con l’avveduto calcolo delle simmetrie.» GIUNTO DI DILATAZIONE Tutti i materiali che compongono un organismo edilizio, a determinate temperature, possono mutare dimensione. A partire dall’analisi dei coefficienti di dilatazione specifici per ogni materiale (acciaio, alluminio, legno ecc.) vengono predisposti, nelle strutture, degli appositi giunti per evitare che la dilatazione, appunto, generi fessurazioni, coazioni o rotture. In caso di esposizione ad agenti esterni è necessaria l’applicazione di un coprigiunto idoneo, sia esso ad esempio metallico o in pvc rigido, soggetto comunque a manutenzioni programmate. HERAION Tempio di culto dedicato alla dea Hera. Troviamo diversi esempi di santuari nella Grecia antica, costruiti in tutto il bacino del Mediterraneo. Nell’area della Magna Graecia, in particolare in Calabria si segnala l’Heraion di Hera Lacinia, a Capo Colonna, Crotone che fu uno dei santuari più importanti della Magna Graecia dell’età arcaica fino al IV sec. a.C. Tale santuario, tra le cui rovine di oggi annoveriamo una colonna dell’antico tempio rimasta in piedi, era stato eretto in posizione strategica lungo le coste calabre su un promontorio chiamato anticamente Lacinion (da cui poi il nome di Hera Lacinia). ISOIPSE (CURVE DI LIVELLO) Nel caso della restituzione grafica, le curve di livello, rappresentano l’altitudine rispetto al livello del mare. In geografia, con particolare riguardo alla cartografia, la curva di livello, è quella curva che unisce punti con uguale quota, ovvero uguale distanza verticale dal piano di riferimento al quale è stato attribuito quota zero; se sono sopra il livello del mare si chiameranno isoipse mentre al contrario isobate. Esse vengono adottate per rappresentare l’altimetria in una superficie piana, com’è quella di un foglio. L’uso delle isoipse è uno dei metodi usati in cartografia per rappresentare le tre dimensioni su un foglio bidimensionale, consentendo di farsi un’idea della morfologia del territorio. Il colore delle isoipse, l’equidistanza e la presenza o meno del valore della quota varia in base al tipo di carta (topografica, corografica, ecc.), il tipo di utilizzo (militare, turistico, ecc.) e all’ente cartografico che produce le carte.

LIGHT PIPES Espressione che sta per “condotti di luce”, noti anche come “tunnel solari”. Si tratta di un sistema di illuminazione naturale, avente la capacità di trasmettere e di diffondere la radiazione luminosa in ambienti confinati che non hanno l’opportunità di essere illuminati direttamente (locali sotterranei, parcheggi, ecc.). I light pipes basano il loro funzionamento sullo studio delle modalità di riflessione dei raggi di luce. M.I.A.R. Acronimo di Movimento Italiano per l’Architettura Razionale, sorto in Italia dopo la Prima Esposizione Italiana di architettura razionale organizzata a Roma nel 1928 dall’architetto Adalberto Libera. Il M.I.A.R. era organizzato in quattro gruppi suddivisi territorialmente; una cinquantina di architetti promotori dell’architettura moderna in Italia. Nel 1931, in occasione della Seconda Esposizione Italiana dell’Architettura Razionale, il M.I.A.R. fu condannato ufficialmente dal Sindacato Fascista che fondò invece il R.A.M.I. - Raggruppamento Architetti Moderni Italiani. L’atto ufficiale di condanna fu un comunicato dell’”Agenzia Stefani” diramato a tutti i giornali il 9 maggio 1931, a firma del Segretario Nazionale Fascista Architetti Alberto Calza-Bini. NEBULIZZAZIONE Processo di riduzione di un liquido in minutissime gocce, e di dispersione del medesimo nell’aria. In tecnologia bioclimatica, viene impiegata come sistema di raffrescamento di superfici esposte direttamente alla radiazione solare, consentendo di abbassarne la temperatura e di evitarne il surriscaldamento. OPISTODOMO Nell’antica Grecia, era un ambiente collocato nella parte posteriore del tempio, in posizione opposta al pronao. Generalmente era un luogo con accesso diretto dall’esterno e senza collegamento alla cella. Etimologicamente deriva appunto da ópisthen “di dietro” + dómos “stanza”. PROSPETTIVA Metodo di rappresentazione che sottende proporzioni geometriche-matematiche di oggetti e forme presenti nello spazio (nel disegno, nella pittura ma anche nella scultura in bassorilievo o altorilievo) in modo da raggiungere l’effetto della terza dimensione su una superficie bidimensionale. QUADRO CONOSCITIVO È il sistema integrato di tutte le informazioni e dei dati necessari riferiti allo stato attuale di un territorio, di tutti i processi e le tendenze evolutive e costituisce elemento chiave nella definizione degli obiettivi 51


52 e dei contenuti della pianificazione comunale, provinciale o regionale. Individua e descrive gli elementi strutturanti, fisici e antropici, i sistemi ambientali, insediativi e infrastrutturali che poi saranno alla base dei successivi elaborati grafici di pianificazione. RCK Ogni calcestruzzo è identificato in funzione dell’appartenenza ad una ben determinata classe di resistenza e tale classe, espressa come resistenza caratteristica Rck, si valuta in base alla resistenza alla compressione del calcestruzzo indurito. La resistenza caratteristica Rck (N/mm2) viene determinata sulla base dei valori ottenuti da prove di compressione monoassiale su provini cubici di dimensioni 150x150x150 mm, lasciati maturare per 28 giorni in condizioni ambientali definite. SLU (Stati Limiti Ultimi) In campo strutturale, uno stato limite è una condizione superata la quale una struttura non può più assolvere alle esigenze quali era stata progettata. In particolare per il calcolo semiprobabilistico degli Stati Limiti Ultimi, la cui metodologia è racchiusa nel D.M. 14/01/2008, vengono calcolati la resistenza di progetto che riguarda i materiali adoperati e quella delle azioni (dirette, indirette o di degrado) cui la struttura può essere sottoposta. Dai calcoli effettuati combinando i sistemi di caratteristiche vengono individuati gli stati limiti ultimi oltre i quali struttura avrà il collasso irreversibile. A differenza del calcolo effettuato secondo il metodo delle tensioni ammissibili, mediante il quale il coefficiente di sicurezza viene applicato alla resistenza, con il metodo degli S.L. si introducono i cosiddetti coefficienti parziali di sicurezza che riguardano uno i carichi e uno le resistenze.

fu trasformata in UNI. Dal 1930 al 1942 l’UNI si impegnò in un notevole lavoro di elaborazione di norme, la cui attività subì una battuta d’arresto a causa delle vicende belliche. Dal 1946, per l’inizativa di un gruppo di industriali italiani, l’UNI ha assunto la struttura di libera Associazione caratterizzata dalla forma federativa. VESPAIO AREATO Nella progettazione delle chiusure orizzontali di base degli edifici è necessario prevedere il controllo dell’umidità risalente dal terreno ed evitare fenomeni di condensa. Il vespaio, utilizzato già sin dall’antica Roma sotto forma di cunicolo areato, è uno dei sistemi più semplici per proteggere appunto gli edifici dal’umidità di risalita. Tra le varie applicazioni di vespaio areato una è quella di costruire uno strato di pietre omogenee derivanti da rocce compatte non gelive, con buona resistenza meccanica, entro il quale è assicurata l’areazione mediante canali paralleli, comunicanti tra loro e con l’esterno, posti a interasse di ≤ 1,5 m e con sezione non inferiore a 15 cm di base e 20 cm di altezza. Tra le tipologie di vespaio, in alternativa a quello composto da pietrame, troviamo gli igloo, ovvero casseforme in materiale plastico a forma di cupola, che, assemblati, diventano strutture autoportanti in grado di supportare il getto di calcestruzzo. ZENITH punto di intersezione tra la sfera celeste e la retta perpendicolare al piano dell’orizzonte di un osservatore. Il punto diametralmente opposto è detto nadir.

Bibliografia

TRENCADIS Tecnica decorativa che consiste nell’utilizzo di frammenti di ceramica o vetro colorato di diverse dimensioni e forme tali da ricoprire una superficie anche molto estesa. L’effetto finale è quello di un mosaico irregolare. Tale tecnica trova la sua massima espressione nelle opere dell’architetto catalano Antoni Gaudì: Parc Guell, Casa Milà e la Sagrada Familia a Barcellona.

AA. VV., Il nuovissimo manuale dell’Architetto, Gruppo Mancosu Editore srl, Roma, 2006

UNI Sigla che sta per Ente Nazionale per l’Unificazione nell’Industria. L’UNI venne creato nel 1921, per iniziativa dell’Associazione nazionale fra gli industriali meccanici ed affini (ANIMA), ed inizialmente ebbe la denominazione di “Comitato generale per l’Unificazione nell’industria meccanica - UNIM”. Nel 1930, ebbe riconoscimento giuridico con approvazione del relativo Statuto, e la denominazione

D.M. 14 Gennaio 2008, Approvazione delle nuove norme tecniche per le costruzioni

AA. VV., Il nuovo manuale Europeo di Bioarchitettura, Gruppo Mancosu Editore srl, Roma, 2007 Bruno Zevi, Storia dell’architettura moderna, Giulio Einaudi Editore s.p.a., Torino, 1975 (quinta edizione)

Luigi Prestinenza Puglisi, La storia dell’architettura 19052008, prima versione, 13 luglio 2013 George R. Collins, Antonio Gaudì, Il saggiatore, Milano, prima edizione: Agosto 1960


FOTOCONTEST Cluster Caffè, Expo 2015, Milano Foto di Marisa Gigliotti

Padiglione Giappone , Expo 2015, Milano Foto di Andrea Lonetti

Padiglione Giappone, Expo 2015, Milano Foto di Andrea Lonetti

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Nemesi_Geometria non pervenuta (Padiglione Italia) Expo 2015, Milano Foto di Paola Trocino

Infuso_Miscele Orientali Expo 2015, Milano Foto di Paola Trocino

Bacco_Collezioni di teste Expo 2015, Milano Foto di Paola Trocino


Padiglione Giappone, Expo 2015, Milano Foto di Chiara Saraceno

Padiglione Polonia, Expo 2015, Milano Foto di Chiara Saraceno

Padiglione Giappone, Expo 2015, Milano Foto di Chiara Saraceno

Padiglione Zeno, Expo 2015, Milano Foto di Gilberto Luca Pittelli

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56 Padiglione Vaticano Foto di Gilberto Luca Pittelli

Padiglione Turchia, Expo 2015, Milano Foto di Gilberto Luca Pittelli

Padiglione Inghilterra, Expo 2015, Milano Foto di Gilberto Luca Pittelli




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