anno XIX
numero 59
quadrimestrale
febbraio - maggio 2010
POSTE ITALIANE S.P.A. SPED. ABB. POST. 70% - DCB/NOVARA/077/2005
attualità in senologia
Cover story Giovanni Paganelli
Nipple Sparing Mastectomy
Linee Guida F.O.N.Ca.M. Terapia medica del carcinoma mammario
Lipofilling e cellule staminali adipose
SOMMARIO
in copertina Giovanni Paganelli
Attualità in Senologia Rivista della Scuola Italiana di Senologia: direttore Claudio Andreoli Anno XIX - n. 59 Febbraio - Maggio 2010 Organo ufficiale di Forza Operativa Nazionale su Carcinoma Mammario (FONCaM) Gruppo Italiano per lo Screening Mammografico (GISMa)
Segreteria di Redazione Elena Biffoli Anna Coffano Tel. 0322905665 (8,30-13) Consiglio Scientifico Umberto Veronesi presidente Alberto Costa vicepresidente
Società Italiana di Senologia In collaborazione con Società Italiana di Radiologia Medica Sezione di Senologia (SIRM) Europa Donna Direttori Marco Rosselli Del Turco (Responsabile) Claudio Andreoli Redazione Rassegna della Letteratura EPIDEMIOLOGIA E PREVENZIONE: Eugenio Paci GENETICA: Maria Luisa Brandi IMMUNOLOGIA: Andrea Balsari LABORATORIO: Massimo Gion ANATOMIA PATOLOGICA: Anna Sapino ECOGRAFIA SENOLOGICA: Angela Maria Guerrieri MAMMOGRAFIA: Gian Marco Giuseppetti PATOLOGIA BENIGNA: Alfonso Pluchinotta CHIRURGIA: Roberta Simoncini CHIRURGIA PLASTICA: Vittorio Zanini BIOLOGIA CLINICA E TERAPIA MEDICA: Paolo Pronzato RADIOTERAPIA: Laura Lozza QUALITÀ DI VITA DISAGI E RELAZIONI: Gemma Martino LA PAROLA ALLE DONNE: Nadia Crotti Redazione Scientifica Elsa Cossu Viviana Galimberti Massimiliano Gennaro Maria Piera Mano Lorenza Marotti
attualità in senologia
Daniela Terribile Corrado Tinterri
Dino Amadori Franco Berrino Luigi Cataliotti Gianpiero Ausili Cefaro Maria Grazia Daidone Andrea Decensi Giuseppe D’Aiuto Mario De Lena Cosimo Di Maggio Alfonso Frigerio Marco Greco Maria Antonietta Nosenzo Nereo Segnan Piero Sismondi Fotografie Foto di copertina Riccardo Faggiana Altre foto © Fotolia e iStock
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EDITORIALE
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COVER STORY
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FORUM
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FORUM il parere di
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F.O.N.Ca.M
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OBIETTIVO SU
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RASSEGNA DELLA LETTERATURA
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NUOVI STUDI
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SPIEGHIAMO LA MEDICINA
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QUI CURANO COSÌ
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ATTUALITÀ NEWS
Coordinamento grafico e impaginazione Eleonora Fiumara Editore Faggiana Riccardo 28805 Vogogna (VB) info@ossola.it Stampa PRESS GRAFICA s.r.l. 28883 Gravellona T. (VB) Registrazione presso il tribunale di Verbania. Rivista “Attualità in Senologia” iscritta al n°2 come da decreto del 04/02/2005
Giovanni Paganelli
La <Nipple Sparing Mastectomy> (NSM)
Giovanni Tacchetti, Silvia Baldassarre Arianna Garrone
Terapia Medica del carcinoma mammario
Lipofilling e cellule staminali adipose
Prevenzione del tumore al seno con fenretinide in donne giovani a rischio genetico e familiare. Studio Randomizzato di fase III
L’espressione genica nel cancro della mammella: le potenzialità applicative presenti e future
Ospedale Evangelico Valdese di Torino
Copyright: le condizioni di utilizzo dei materiali contenuti in questa rivista sono concordate con i detentori. Se ciò non fosse stato possibile, l’editore si dichiara disposto a riconoscere tali diritti.
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SCUOLA ITALIANA DI SENOLOGIA Da oltre 25 anni scienza, cultura e formazione al servizio della salute delle donne
Dal mondo dell’arte, della cultura e dell’imprenditoria sostengono la Scuola condividendone finalità e obiettivi
Abbado Claudio
Freni Mirella
Pomodoro Arnaldo
Abbado Daniele
Gregotti Vittorio
Profumo Alessandro
Accardo Salvatore
Lerner Gad
Ravasi Bellocchio Lella
Archinto Rosellina
Lissner Stéphane
Ravera Lidia
Aspesi Natalia
Maltese Curzio
Rimini Cesare
Bonaiuto Anna
Maraini Dacia
Rossi Guido
Cantarella Eva
Meroni Nadia
Senin Forni Marina
Carofiglio Gianrico
Micheli Francesco
Serra Michele
Chailly Riccardo
Olmi Ermanno
Servillo Toni
Chéreau Patrice
Ovadia Moni
Sgarbi Elisabetta
Fazio Fabio
Oz Amos
Vacchi Fabio
Fo Dario
Piano Renzo
Zucconi Giovanna
Forni Giorgio
Pollini Maurizio
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EDITORIALE
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ra gli eventi più rilevanti di questo primo scorcio d’anno vi è la presentazione, da parte del Ministero della Salute, del Piano Oncologico Nazionale per il triennio 2010-2012 che si prefigge due obiettivi prioritari: offrire standard diagnostici e terapeutici sempre più elevati a tutti i cittadini italiani, riducendo il divario esistente fra le diverse aree del Paese, e contenere la spesa sanitaria, grazie a una sempre maggiore razionalizzazione delle risorse. Obiettivi più che condivisibili ma che richiedono fermezza e risolutezza nel perseguirli e l’adozione di provvedimenti di politica sanitaria ed economica complessi e difficili per non restare semplici enunciazioni e, come ci auguriamo, trovare invece pratica attuazione. Molte delle azioni programmatiche previste nel piano riguardano i tumori della mammella. Nel settore della prevenzione secondaria, viene ribadita, sia la volontà di incrementare, su tutto il territorio nazionale, la partecipazione alle campagne di diagnosi precoce, sia l’impegno a sperimentare, in accordo con le Regioni, programmi innovativi di screening, che tengano maggiormente conto della valutazione del rischio individuale e che, diversificandone gli interventi a seconda delle necessità, operino su fasce d’età più estese. Altro punto significativo è quello del rinnovo tecnologico, con incentivi per la rottamazione dei mammografi analogici e il passaggio al digitale. Sul versante del trattamento, il piano punta alla riorganizzazione dell’attività chirurgica in unità integrate di cura, che da un lato si propongano la gestione dell’intero percorso clinico della paziente e dall’altro siano in continuo, stretto contatto con l’attività di ricerca. Riorganizzazione che non potrà prescindere da una revisione dei criteri di tariffazione delle prestazioni offerte in funzione della qualità erogata. Una parte del documento che, come Scuola Italiana di Senologia, ci interessa particolarmente è quella dedicata alla formazione. Con l’introduzione del concetto di livello essenziale di formazione in oncologia (LEFO) si auspica la realizzazione di un modello educativo integrato, interdisciplinare e trasversale che implichi in modo strutturato e coerente tutte le aree e le fasi di intervento: dalla prevenzione alla diagnosi, dalla terapia alla riabilitazione, dalla terapia del dolore agli aspetti psicologici, di relazione e comunicazione. Il riconoscimento della validità di quest’approccio formativo, a cui ci siamo da sempre ispirati, non può che spingerci a continuare in questa direzione soprattutto in un momento di ulteriore espansione della Scuola, sempre più impegnata, non solo nella didattica, ma anche nella divulgazione scientifica, nell’educazione sanitaria e nella conduzione di studi clinici per contribuire a far sì che le donne italiane con problemi senologici possano trovare risposte pronte, adeguate e in linea con i continui progressi della ricerca. Obiettivo questo recentemente apprezzato e condiviso anche da numerose illustri personalità del mondo dell’arte, della cultura e dell’imprenditoria che hanno voluto assicurarci il loro appoggio aderendo al nostro Comitato di Sostegno.
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Marco Rosselli Del Turco *
Claudio Andreoli *
* Direttori AIS
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COVER STORY
Giovanni Paganelli A. COFFANO
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o studio del Dottor Giovanni Paganelli, Direttore, dal 1994, della Divisione di Medicina Nucleare dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano, è vivo e parla del suo ospite. Targhe, quadri, un pannello colmo di fotografie, l’immagine della famiglia che fa capolino dallo schermo del computer, libri e riviste riposte sugli scaffali, tutto sembra prendere vita sotto lo sguardo vivace del mio interlocutore. Alle sue spalle il dipinto di una marina: Cesenatico, con il suo mare, la sua spiaggia, luogo dove giocava bambino e dove è cresciuto con la famiglia. Padre romagnolo, madre pugliese e, visto che allora, nel 1955, si usava dare alla luce i propri figli in casa, nasce a Corato dove la mamma si trasferisce per l’occorrenza. A pochi mesi il ritorno a Cesenatico per ricongiungersi al padre, insegnante, ed ai due fratelli maggiori, oggi entrambe professori. Un’infanzia ricca di ricordi bellissimi “Sono cresciuto selvaggio, libero. Circondato da spazi ampi, dalle spiagge e dal mare, prima che si costruisse tanto negli anni ‘60”. Racconta con piacevole nostalgia. Le estati sull’ Adriatico lo vedono bagnino o impegnato nella costruzione di barche a vela in un cantiere nautico. Gioca a pallavolo, a livello agonistico, nel Cesenatico; non si dedica al calcio anche se lo segue con interesse ed oggi, come tutti gli interisti, è orgoglioso e felice per i successi della squadra. Con i compagni di scuola si diletta come musicista: suona la chitarra e si avvicina al saxofono ma, negli anni, abbandona questa strada perché troppi sono gli impegni. Come tutti i giovani romagnoli anche Paganelli è un centauro, protetto, a suo dire, da un vigile Angelo Custode, vista l’inclinazione alla velocità. Studia al Liceo Classico di Cesena; nell’ ’80 si laurea all’Università degli Studi di Bologna con il Professor Giovanni Gasbarrini e successivamente si specializza in Geriatria - Gerontologia ed in seguito in Medicina Nucleare, a Firenze. “Sin da bambino mi piaceva giocare con il microscopio” - mi 4
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dice - “mi piaceva guardare come erano fatti dentro il pollo od il coniglio che mia madre doveva cucinare; fare quelle cose, un po’ crudeli, che con innocenza fanno i bambini: sezionare lucertole, lombrichi e rane. Ho desiderato da sempre divenire medico”. La passione per l’oncologia nasce proprio dalla volontà, dal desiderio grande di combattere contro un nemico apparentemente più forte. “Si va in reparto, si incontrano pazienti che soffrono e dentro cambia qualcosa. Nasce il proposito di riuscire a sconfiggere la malattia, di alleviare il dolore ingiusto che ha colpito altri, consapevoli che potrà capitare anche a noi”. Da queste affermazioni traspare un’immensa umanità e una grande forza, dettate, senza dubbio, dal grande amore per un mestiere che non è, o almeno non dovrebbe essere solo tale. E tutta la vita, di quest’uomo che vive i suoi successi con semplicità, è guidato da una passione vera e profonda per la medicina ed i malati. Tra il 1987 ed il 1988 lavora presso l’Oncology Group dell’ Hammersmith Hospital, Royal Postgraduate Medical School di Londra. E’ un periodo che ricorda con piacere per numerosi motivi. E’ qui che nasce l’interesse per la Medicina Nucleare e qui mette a punto un nuovo metodo di imaging e terapia tumorale mediante anticorpi monoclonali, basato sul sistema Avidina - Biotina. “Ho vissuto un periodo bellissimo, con persone favolose” - ricorda - “su tutte il Professor Epenetos, uno degli uomini più intelligenti che abbia incontrato nella mia vita. Lui mi ha stimolato tantissimo nella ricerca con gli anticorpi monoclonali”. Un’esperienza positiva, quella di Londra, che gli ha insegnato l’approccio metodico alla scienza, un approccio pragmatico, proprio degli inglesi. “La cosa che mi impressionava era la possibilità che ci veniva data di esprimere il nostro parere liberamente, purché lo si giustificasse razionalmente” - e prosegue - “In Italia, all’Università, non era sempre così. Quanto affermavano i Docenti era dogma. Il classico “Ipse dixit”, insomma.
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Nel Regno Unito noi giovani leve ci potevamo tranquillamente misurare anche con persone in odore di Nobel e questo favoriva una grande crescita”. A Londra, Paganelli, si crea una cerchia di amici, pakistani, greci, indiani, irlandesi. Colleghi con i quali ancora oggi è in contatto, molti dei quali, come lui, hanno fatto carriera, hanno realizzato i loro sogni. E certamente anche il suo sogno si è attuato. “Ho sempre desiderato fare qualche cosa di utile, e senza falsa modestia, credo di esserci riuscito”. Su questa sua affermazione, il dottore, si sofferma e nasce un discorso che, a mio avviso, ne delinea tratti del carattere. Come già accennavo, l’umiltà e la semplicità di quest’uomo colpisce. “Mi dona piacere l’essere riuscito a compiere studi che hanno portato a miglioramenti nel mio campo, ma non suscita in me orgoglio. Non apprezzo la competizione immotivata, la posso capire, ma non la provo più di tanto: questo mi permette di vivere
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serenamente. Nella mia professione l’ambizione deve esserci ma non deve mai sfociare in presunzione: sono due elementi diversi, la prima è utile per far bene, la seconda può solo danneggiarci mettendoci gli uni contro gli altri, per primeggiare. Per Paganelli le scoperte sono mete alle quali si giunge con molto studio, impegno e lavoro. Quando ci si arriva bisogna essere pronti a metterle a disposizione di tutti. “La porta del mio reparto è sempre aperta, è una mia precisa volontà. Cerco di insegnare ai miei collaboratori che è importante raggiungere dei successi ma lo è altrettanto l’essere pronti a condividerli”. Si dice fortunato perché dopo aver svolto la sua attività come Aiuto ricercatore presso il Dipartimento di Medicina Nucleare dell’Istituto Scientifico del San Raffaele con il professor Ferruccio Fazio al quale deve molto, nel1994, è approdato all’Istituto Europeo di Oncologia di Milano. Per il Professor Umberto Veronesi, che lo ha voluto tra i suoi collaboratori sin dall’inizio dell’IEO Paganelli nutre grande stima e sente di avere grande affinità, “Qui ho trovato esattamente quello che desideravo e quanto cercavo. Mi sono stati offerti i mezzi e la possibilità per svolgere al meglio il mio lavoro. Credo” - e continua con schiettezza “non ci sia posto in Italia dove si possa lavorare bene come in questo Istituto. Sono consapevole che, nel mondo, ci siano posti altrettanto validi e che anche noi potremmo migliorarci ma, all’IEO, grazie alla guida di un uomo pieno di
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idee e di iniziativa come il Professor Veronesi, la scienza è vissuta nel modo più corretto; è quell’elemento che ci rende liberi, ci rende felici, consapevoli della nostra piccolezza e della nostra precarietà davanti alla sofferenza”. Per Paganelli ricercare la scienza, il sapere, apre la mente e rende liberi, liberi dagli stereotipi, dai meccanismi contorti della società. “Mi sento distante dai luoghi comuni, non per snobismo, semplicemente perché credo sia giusto seguire la propria strada”. E seguendo la propria strada, dopo un lavoro intenso, durato venticinque anni, oggi il traguardo è vicino. Dopo aver perfezionato la tecnica di linfoscintigrafia nel linfonodo sentinella nel carcinoma mammario e dopo aver ideato un nuovo sistema di localizzazione delle lesioni non palpabili, denominato ROLL, oggi è molto vicino alla realizzazione di un farmaco capace di raggiungere il tumore in maniera selettiva e specifica. “Molti mi chiedono perché i miei studi di radioterapia recettoriale non prendono piede su larga scala e la risposta è semplice: servono tempo e denaro per eseguire studi clinici registrativi per nuovi farmaci. Il linfonodo sentinella, da un punto di vista economico, non è costato nulla. Io ho solo ottimizzato un radiofarmaco che già esisteva. Dietro c’è stato un grande studio di farmacocinetica, biodistribuzione, delle molecole marcate con radiotecnezio ma non è stato troppo complicato. Il progetto al quale ci stiamo dedicando ora lo è, ma credo” - continua con fervore - “si possa arrivare, grazie alla metodica IART, a ridurre notevolmente i tempi della radioterapia post quadrantectomia e che questo apra la strada ad ulteriori applicazioni in altri tipi di tumori: sarebbe veramente una grande gioia.” Una gioia che deriva dalla speranza di riuscire a realizzare qualcosa di nuovo e di veramente utile per i malati. In questo narrare emerge tutta la testardaggine insita nel carattere romagnolo: perseguire un obiettivo con tutto l’impegno possibile, credendoci e lottando per raggiun-
gerlo. La coscienza di svolgere una professione dura e faticosa, senza orari, dove per sopravvivere è importante trovare il giusto equilibrio. Ancora dieci anni di lavoro e poi, senza rimpianti, la volontà di lasciare ad altri il compito di continuare su di una strada tracciata, consapevole di aver donato ai giovani collaboratori che lo affiancano, un bagaglio di insegnamenti che consentirà loro di procedere. Poi arriveranno giorni in cui godersi appieno l’hobby (molto più che un hobby! ndr) che da sempre lo accompagna: la pesca, per l’esattezza, la pesca a mosca. “Avevo un biglietto di visita, tempo addietro, che mi presentava come pescatore per professione e medico per hobby”. Come accennavo più che un hobby, la pesca, è per il dottor Paganelli una componente di vita. Anche parlando del proprio lavoro molti sono i paragoni ed i riferimenti a questo sport. E’ la valvola di sfogo, un modo per ricaricare le batterie, lo spazio nel quale proiettarsi per godere della pace interiore grazie alla quale lasciare liberi i pensieri e, perché no, tornare bambini. E poi il contatto con la natura, che, nei racconti del mio interlocutore, ha un’importanza notevole, tanto che confessa di non amare per nulla la vita in città e di accettarla solo per motivi professionali. I racconti legati alla pesca e i viaggi ad essa dedicati, sono coinvolgenti perché trasudano di sentimento. Dalla Penisola del Kola, in alta Scandinavia, per la pesca al salmone, un posto incontaminato e paradisiaco, alla Patagonia, soprattutto quella cilena. O la Finlandia ed ancora la Slovenia e la Croazia più facili da raggiungere, anche solo per il fine settimana. Ma la pesca è anche un modo per trovarsi con gli amici, quelli a cui si vuole bene, con i quali condividere gli intensi momenti di silenzio. Il novantanove percento delle volte il pesce che abbocca viene lasciato libero perché questo è il bello della pesca a mosca - mi spiega Paganelli - avere l’astuzia, la furbizia di far sì che la preda abbocchi ma poi, con una carezza, N. 59 - 2010
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ridarle la sua libertà. In questo racconto di vita avrei forse dovuto iniziare dagli affetti, dalla famiglia numerosa e, come si usa dire oggi, allargata, del dottor Paganelli, perché immenso è il ruolo che riveste nella sua vita. Ma il scriverne ora non credo ne sminuisca l’importanza. Una famiglia tutta al femminile “Amo le donne ed il destino ha voluto che ne fossi circondato, a casa, come sul lavoro”. Da un primo matrimonio, contratto in giovane età, nascono due figlie: Giulia, ventinove anni, biologa, sposata e mamma di una bimba di quasi due anni (femmina anche la nipotina! ndr) e Barbara, ventidue anni, studentessa universitaria di Farmacia. Quindici anni fa il secondo matrimonio con Stefania e poi il gioioso arrivo di altre due bambine: Sofia, sette anni e Beatrice tre. “Con le bimbe piccole e tutte queste donne mi mantengo giovane. Mi ritengo un uomo fortunato e felice. Penso che le donne abbiano una marcia in più rispetto a noi uomini che perdiamo il nostro tempo sfidandoci a chi hai i muscoli più grossi” - commenta allegramente il dottore e sorridendo aggiunge - “mi rincresce solo non sapere a chi lasciare in eredità il mio arsenale di canne da pesca, gioielli che valgono un patrimonio!” E’ certo che mentre parla delle sue donne gli occhi brillano di un amore grande “Sono orgoglioso del mio ma8
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trimonio perché, con la maturità, siamo riusciti a trovare il giusto equilibrio, a creare una grande armonia”. Armonia, una parola chiave nella vita di ogni uomo, secondo il pensiero di Paganelli “Nella vita di tutti i giorni, come nella scienza e nella ricerca bisogna trovare un equilibrio positivo. E questo nasce anche da momenti di intensa fatica, sofferenza, riflessione e meditazione”. E qui scopro un altro lato singolare, in quanto piuttosto raro da incontrarsi, oggi. Scopro che il mio anfitrione spesso si dedica alla lettura della Bibbia, un testo che porta con sé perché vi trova, soprattutto nei Libri della Sapienza, insegnamenti profondi, da applicare nella quotidianità. Un romagnolo, e come tale per antonomasia “mangia preti”, che si dichiara assolutamente cristiano: questo, senza ombra di dubbio, conferma, il carattere libero e, come scritto in precedenza, lontano dai luoghi comuni ai quali siamo ormai assuefatti. “Una delle frasi che mi ripeto spesso è tratta dall’ Antico Testamento - mi dice - proprio dal Libro della Sapienza e recita più o meno così: Figlio, nell’assemblea cerca di stare zitto perché anche lo stupido sembra intelligente quando tace. Una frase detta da un padre al figlio 4000 anni or sono... Credo che questa regola valga per tutti ed andrebbe applicata nella vita di tutti i giorni”. Dimenticavo di dire
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che se non si fosse dedicato allo studio della Medicina, gli sarebbe piaciuto molto seguire la via della Filosofia. La sua carriera dimostra che la strada intrapresa era quella giusta ma è, a mio modesto parere, assai bello che una persona che vive in mezzo alla sofferenza trovi gli spazi giusti per meditare ed approfondire pensieri lontani ma tanto vicini. “Negli ultimi cinque anni due episodi mi hanno molto segnato: la perdita del mio miglior amico e la paralisi che ha reso tetraplegico l’altro compagno più caro. Mi hanno cambiato molto portandomi, se pur non mollando di un centimetro l’impegno, a vedere il lavoro con occhi diversi, come qualche cosa che non mi appartiene anche se ho coscienza del fatto che devo ancora fare molto. E’ un po’ come con i figli - prosegue con una vena di serena malinconia - che devono, ad un certo punto, essere lasciati liberi di condurre la loro vita e, per citare ancora l’Antico Testamento, sono come le frecce che custodiamo nella nostra faretra ma che dobbiamo essere pronti a lanciare nel mondo”. Un altro pensiero profondo che affiora in questa chiacchierata è dedicato ai giovani medici “Il nostro è un mestiere difficilissimo che va affrontato con il cuore oltre che con il cervello. Se non si è consapevoli di questo è meglio dedicarsi ad altro perché si rischia di divenire medici mediocri e non c’è nulla di peggio di un medico mediocre. Non possiamo essere solo figure con un camice e crederci per questo i protagonisti indiscussi: l’importanza della nostra figura è insita nel malato, cioè nella persona che soffre. Questo comporta grandi sacrifici, nostri e di chi ci sta accanto. Mia moglie sa aspettare, non mi rimprovera mai per i ritardi, capisce ed accetta i tempi della mia professione” - e prosegue determinato - “Ai giovani consiglio sempre, quando sono nel dubbio,
innanzi ad un paziente, di domandarsi cosa farebbero se al posto di un estraneo ci fosse una persona cara. E’ un esercizio che comporta coinvolgimento ed uno sforzo maggiore che spesso ti svuota, ma è necessario”. Ed ecco perché, per il dottor Paganelli, è importante prendersi degli spazi per potersi ricaricare. E così la passione per la pesca, la lettura, i mille interessi a compensazione di un lavoro che è la sua vita, al quale dedica il suo tempo ed il suo amore. Ma il suo amore più grande, quello che, come detto, gli illumina lo sguardo e verso il quale prova profonda riconoscenza è per le sue donne. Desidero concludere questo racconto stilizzato, di una vita ricca ed intensa, con le stesse parole con le quali ha voluto farlo il dottor Giovanni Paganelli, perché credo che, se ci si pensa bene, siano parole di speranza per tutto l’universo femminile “Ho sposato una donna eccezionale... e qui chiudiamo.”
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Answers for life.
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La «Nipple Sparing Mastectomy» ( NSM )
COMITATO DI COORDINAMENTO: Luigi Cataliotti (Firenze), Viviana Galimberti (Milano), Maria Piera Mano (Torino), Lorenza Marotti (Firenze) GRUPPO DI LAVORO: Simonetta Bianchi (Firenze), Paolo Bruzzi (Genova), Claudio Calabrese (Firenze), Francesco Caruso (Catania), Florence Didier (Milano), Franco Di Filippo (Roma), Lucio Fortunato (Roma), Alfonso Frigerio (Torino), Mattia Intra (Milano), Alberto Luini (Milano), Stefano Martella (Milano), Gemma Martino (Milano), Maurizio Nava (Milano), Roberto Orecchia (Milano), Pietro Panizza (Milano), Jean Yves Petit (Milano), Francesca Pietribiasi (Torino), Ombretta Puricelli (Genova), Pierluigi Santi (Genova), Angelica Sonzogni (Milano), Daniela Terribile (Roma), Vittorio Zanini (Pavia), Chiara Zuiani (Udine) COMITATO CONSULTIVO: Cynthia Aristei (Perugia), Beniamino Brancato (Firenze), Riccardo Bussone (Torino), Giuseppe Canavese (Genova), Donato Casella (Firenze), Maria Cristina Cossu (Pisa), Alberto Costa (Milano), Giacomo Datta (Torino), Leonardo Fei (Firenze), Privato Fenaroli (Bergamo), Secondo Folli (Forlì), Marina Guenzi (Genova), Maria Grazia Lazzaretti (Modena), Valiano Mungai (Firenze), Roberto Murgo (San Giovanni Rotondo), Egle Muti (Torino), Luigia Nardone (Roma), Jacopo Nori (Firenze), Lorenzo Orzalesi (Firenze), Antonio Ponti (Torino), Alfonso Pluchinotta (Padova), Paolo Rovea (Torino), Virgilio Sacchini (New York), Marzia Salgarello (Roma), Francesco Sardanelli (Milano), Elena Scaffidi (Milano), Roberta Simoncini (Firenze), Mario Taffurelli (Bologna), Paolo Veronesi (Milano), Giuseppe Viale (Milano).
INTRODUZIONE Sebbene la chirurgia conservativa rappresenti da circa tre decenni lo “standard of care” per le donne con cancro della mammella, ad oggi la mastectomia rimane come indicazione oncologica nel 20-25 % dei casi. La skin-sparing mastectomy (SSM) con ricostruzione immediata, che tradizionalmente include l’asportazione del complesso areola-capezzolo (nipple-areola complex NAC), è stata la tecnica chirurgica che fino ad ora ha permesso di ottenere il risultato cosmetico migliore nel trattamento del carcinoma che non consente una chirurgia conservativa. Tuttavia, la perdita del NAC rappresenta ancora un’importante mutilazione corporea per le donne che effettuano questo tipo di intervento, pertanto negli ultimi anni si è cercato di studiare la possibilità di una sua conservazione per migliorare sensibilmente il risultato estetico. Sebbene studi retrospettivi su interventi di SSM abbiano evidenziato un’ampia variabilità di interessamento tumorale occulto del NAC, le casistiche più importanti riportano una percentuale di tale interessamento patologico non superiore al 20%. Inoltre questo dato si riduce in modo significativo (al 2-6%) quando la lesione è localizzata ad oltre 2 cm dal NAC. Per tale motivo, è stata proposta la “nipple-sparing mastectomy” ( NSM ), cioè la mastectomia totale con conservazione del NAC e ricostruzione immediata. Questo tipo di mastectomia può essere proposta a scopo profilattico alle portatrici di mutazioni di BRCA 1/2. Studi recenti hanno mostrato che la soddisfazione delle pazienti per i risultati estetici dopo la mastectomia è molto elevata dopo una NSM e migliore rispetto a quando il NAC è stato ricostruito dopo SSM. La NSM sembra aiutare le donne in particolare ad affrontare la nudità, per se stesse e in relazione ad un partner. L’obiettivo di questa Consensus è quello di individuare la tipologia delle pazienti candidabili alla NSM, definire la tecnica chirurgica e le modalità di valutazione patologica. N. 59 - 2010
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Le raccomandazioni nascono da una attenta rivalutazione, da parte di un panel di esperti, dei dati della letteratura e dei risultati ottenuti dai centri che utilizzano questa tecnica (vedi note metodologiche). La NSM non deve essere considerata un’alternativa ad una chirurgia conservativa con buon risultato cosmetico. La validità oncologica della NSM è ormai consistente, ma il suo ruolo va meglio delineato per evitare un abuso di mastectomie a scapito delle tecniche conservative che possono trovare ulteriori indicazioni con l’utilizzo di tecniche di oncoplastica. E’ inoltre necessario che questi interventi, che richiedono esperienza e una stretta collaborazione multidisciplinare, vengano eseguiti in centri dedicati dove la numerosità della casistica consente di ottenere i migliori risultati. Note metodologiche L’introduzione nella routine clinica di una tecnica chirurgica sulla base dei risultati di studi clinici randomizzati non è frequente, anche in senologia (es. chirurgia conservativa), per vari tipi di problemi, particolarmente evidenti nel caso della NSM: innanzitutto, le pazienti candidate all’intervento sono una minoranza, per cui qualsiasi studio, per assemblare adeguate casistiche, avrebbe dovuto essere multicentrico. A questo però si frappongono l’eterogeneità delle indicazioni all’intervento utilizzate dai vari centri (che tra l’altro è tra le motivazioni della presente Consensus Conference) e l’expertise multidisciplinare necessaria per la sua esecuzione. È infine importante considerare che si tratta di una tecnica in continua evoluzione, con un approccio difficilmente standardizzabile se non nei suoi elementi portanti, perchè molto condizionata dal singolo paziente nella sua applicazione. Di conseguenza, le evidenze disponibili derivano esclusivamente da casistiche non controllate monocentriche, spesso di piccole dimensioni. Il razionale e gli obiettivi di molti studi si concentrano sulla frequenza e sui predittori del coinvolgimento tumorale del capezzolo, che possono essere 12
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valutati senza bisogno di un gruppo di controllo. Su 4058 frammenti di mastectomia studiati l’interessamento del capezzolo, varia da 0 a 58%, probabilmente per le diverse metodiche di esame impiegate. In altri studi si valutano gli esiti cosmetici e il grado di soddisfazione delle pazienti. Non tutti gli studi, infine, riportano i tassi di recidive locali, di difficile interpretazione in assenza di un gruppo di controllo, e spesso il follow-up è insufficiente. In una recente revisione della letteratura su 1826 NSM, sono state osservate solo 3 recidive locali, 0,16% . Nel complesso, l’insieme delle evidenze disponibili è debole sul piano formale, ma con un forte grado di plausibilità derivante dalle conoscenze, cliniche, patologiche e biologiche, accumulate in decenni di studi di chirurgia conservativa in ambito senologico. Di conseguenza, le raccomandazioni elaborate da questa Consensus Conference potrebbero essere equiparate a quelle classificate dal National Comprehensive Cancer Network (NCCN) come 2-a e 2-b, che vengono definite come: ‘The recommendation is based on lower level evidence and…. 2 - a: ….there is uniform NCCN Consensus 2 - b:… there is nonuniform NCCN Consensus (but no major disagreement) (In appendice il dettaglio delle evidenze su cui si basano il Livelli NCCN, da cui si può vedere come il livello 2 si adatti perfettamente alle raccomandazioni per la NSM ). INDICAZIONI Nelle pazienti candidate a mastectomia con ricostruzione immediata la NSM può essere proposta nelle seguenti condizioni cliniche: - neoplasia infiltrante o in situ che in base alle indagini clinico-radiologiche preoperatorie non coinvolga il NAC (vedi imaging) - mammelle di dimensioni medio-piccole e con grado di ptosi minimo/moderato.
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CONTROINDICAZIONI Controindicazioni assolute: - evidenza clinica e strumentale di coinvolgimento patologico del NAC - presenza di secrezione patologica ( C4-C5 ) - morbo di Paget del capezzolo - carcinomi infiammatori Controindicazioni relative o situazioni controverse da valutare caso per caso: - pregressa RT o previsione di RT - pregressa chirurgia peri-retroareolare - fumo, diabete, malattie immunitarie Non sono controindicazioni: - età della paziente - stretta vicinanza del tumore alla cute extra NAC sovrastante la lesione purchè la si asporti - pregresso trattamento neoadiuvante - dimensioni del tumore* - multifocalità e multicentricità, - tipo istologico del tumore - stato linfonodale* *tali fattori aumentano il rischio di coinvolgimento del capezzolo, ma perdono significato se la distanza di sicurezza all’imaging tra lesione e capezzolo è mantenuta.
IMAGING Pur in assenza, attualmente, di dati derivanti da casistiche sufficientemente numerose e studi prospettici randomizzati è ragionevole che tutte le informazioni prodotte dagli esami di “imaging”, integrate dai reperti forniti dai prelievi percutanei guidati, debbano essere utilizzate in fase di selezione dell’approccio terapeutico, in particolare al fine di stimare l’estensione dell’eventuale coinvolgimento patologico del capezzolo e la distanza tra il tumore ed i piani cutanei e la fascia superficiale. In letteratura è riportato come il rischio di infiltrazione del
capezzolo sia funzione di: - dimensioni del tumore - distanza del tumore dal capezzolo - presenza di linfonodi ascellari patologici - estesa componente intraduttale - invasione linfatica Non ci sono, invece, studi rivolti specificamente all’interessamento dei piani superficiali. Ad oggi, il parametro più frequentemente citato e per il quale ci sono più dati analizzati in base ai reperti di diagnostica per immagini è la distanza tra neoplasia e capezzolo. Un valore predittivo negativo del 97% per l’interessamento del capezzolo, tale quindi da consentire con ampio margine di sicurezza un’indicazione alla NSM, è ottenibile sia con la dimostrazione mammografica di una distanza lesione-capezzolo non inferiore ai 4 cm, sia con la dimostrazione RM di una distanza di almeno 2 cm. In caso di lesione focale con microcalcificazioni extra-nodali da estesa componente intraduttale, tale distanza va calcolata rispetto alle microcalcificazioni e non rispetto alla lesione focale. I dati pubblicati sull’ecografia sono invece più scarsi, ma si ricorda che, pur in assenza di studi di confronto tra le varie metodiche di imaging, l’ecografia può fornire dati preziosi sui rapporti della lesione con i piani cutanei e fasciali superficiali. Si ribadisce comunque l’opportunità di integrare i dati disponibili dalle varie metodiche ed in particolare quelli della RM, ma si consiglia di lavorare su una maggiore standardizzazione della metodologia di esecuzione e di misurazione, utilizzando macchine RM altamente performanti (bobine 8 canali). A seconda dell’esperienza e del caso specifico, tutte e tre le tecniche di imaging possono essere ritenute valide ai fini di una corretta selezione dei casi per la NSM. Tuttavia la RM essendo metodica il cui valore, nel preciso bilancio di estensione delle neoplasie mammarie, è ben consolidato - andrebbe privilegiata, specialmente per i sottogruppi più probleN. 59 - 2010
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matici dal punto di vista della valutazione mammografica, quali: - pazienti ad alto rischio genetico - casi con diagnosi istologica preoperatoria di carcinoma lobulare infiltrante - casi di carcinoma in situ di alto grado - casi con mammelle dense alla mammografia - casi con calcificazioni mammografiche a stampo. Il follow-up strumentale delle pazienti sottoposte a NSM dovrebbe prevedere la mammografia annuale per la mammella controlaterale e la valutazione ecografica per la mammella operata. TECNICA CHIRURGICA E RICOSTRUTTIVA Tipo e sede di incisione Per decidere il tipo di incisione e la rimozione della cute, è importante conoscere la distanza del tumore dalla cute o, ancor meglio, la distanza del tumore dalla fascia superficiale sovrastante, dato questo ottenibile con l’imaging. La rimozione della cute viene suggerita se tale distanza è inferiore a 5mm. Un’altra indicazione per la rimozione della cute sovrastante il tumore può essere la pregressa biopsia escissionale del tumore. Il tipo di incisione proponibile può essere radiale/laterale corta (4-5cm), a S italica, partendo da 1 cm dal margine areolare fino al margine esterno della ghiandola, o al solco sotto-mammario. La scelta si basa, oltre che su indicazioni oncologiche (per esempio l’accesso all’ascella per l’esplorazione chirurgica) o ricostruttive, su motivi estetici e funzionali (perdita di sensibilità del capezzolo) e va valutata caso per caso in base anche all’esperienza del chirurgo. Assolutamente da evitare le incisioni periareolari per l’alta percentuale di necrosi. Tecnica di asportazione della ghiandola mammaria Dal punto di vista tecnico, quando possibile, l’asportazione 14
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della ghiandola mammaria, lo spessore del lembo cutaneo e la possibile conservazione della fascia muscolare non differiscono dalla tecnica delle mastectomie. In particolare la dissezione del lembo deve essere eseguita a livello della fascia superficiale ed estesa anche al di sotto del capezzolo. Particolare attenzione va posta all’asportazione del prolungamento ascellare che può risultare più indaginosa. A livello della regione retroareolare è opportuno asportare tutto il tessuto ghiandolare fin sotto l’areola usando preferibilmente una lama fredda. Quando non si asporti la cute sovrastante il tumore, è sempre necessario il posizionamento di un repere sulla proiezione superficiale del tumore. E’ necessario inoltre orientare correttamente la mammella asportata. Si deve inviare separatamente un frammento discoidale con diametro corrispondente al diametro dell’areola dello spessore di circa 1 cm e opportunamente orientato. In caso di positività intra o post operatoria (in situ o infiltrante) di questo tessuto retro areolare sembra al momento prudenziale l’asportazione del complesso areola-capezzolo, in quanto, in tali casi, l’interessamento occulto del capezzolo appare frequente. Il panel non è riuscito a trovare un sostanziale accordo sul margine minimo negativo tra l’opzione 2 o 5 o 10mm e considera quindi tale aspetto attualmente controverso. La radioterapia sul NAC potrebbe avere un ruolo alternativo alla rimozione del NAC, quando all’esame istologico definitivo, i margini risultino indenni, ma con una distanza inferiore a quella di sicurezza suggerita. La tecnica e le indicazioni di biopsia del linfonodo e/o della dissezione ascellare non differiscono da quelle abituali e non sono modificate dalla NSM. La biopsia del linfonodo sentinella, come pure la dissezione ascellare,quando indicata, possono essere eseguite dalla stessa incisione della NSM prima o dopo la mastectomia o da una incisione separata da quella utilizzata per l’asportazione della ghiandola mammaria.
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Tecnica di ricostruzione Anche in caso di NSM la scelta della ricostruzione avviene in base al volume e alla forma mammaria e utilizza la tecnica più appropriata tra le varie disponibili: con protesi definitiva, con espansore, con lembi autologhi, etc. Tra i parametri da prendere in considerazione, nella scelta del tipo di ricostruzione devono essere inclusi i parametri biomeccanici e percettivo motori, già da anni in uso in oncoplastica, per ottimizzare la scelta ricostruttiva e dare indicazione per una preparazione e una assistenza post-operatoria specifica. Quando si sottopongono a NSM pazienti con mammelle piccole la tecnica ricostruttiva più appropriata prevede l’impiego di un espansore mammario di volume maggiore se nel secondo tempo ricostruttivo si andrà ad aumentare, mediante l’inserimento di una protesi, anche il volume della mammella controlaterale. Anche quando si può prevedere o una mastopessi o una riduzione sulla mammella controlaterale è indicato l’impiego di un espansore, che permette una migliore scelta del volume e della forma della protesi definitiva nel secondo tempo oltre ad una miglior definizione della tasca protesica. Vi sono comunque casi di mammelle di medio volume non particolarmente ptosiche, o di mammelle piccole, nelle quali si può pensare ad una ricostruzione immediata con protesi definitiva, più semplice nelle ricostruzioni bilaterali, meno facile in quelle monolaterali, in cui occorre saper prevedere anche gli esiti della chirurgia controlaterale, solitamente una mastopessi con protesi. L’approccio chirurgico e ricostruttivo di una NSM in mammelle ptosiche o voluminose richiede l ’ i mpiego di tecniche particolari che ne sconsigliano l’esecuzione a chi non ha una consolidata esperienza in questo ambito. ESAME ISTOPATOLOGICO Esame del parenchima retroareolare Per l’esame istologico del parenchima retroareolare (intraoperatorio e/o definitivo), è necessario che il chirurgo invii
separatamente il frammento discoidale prelevato direttamente dal pezzo operatorio, con diametro corrispondente al diametro dell’areola, in considerazione del fatto che i dotti si aprono anche in corrispondenza dell’areola la cui estensione è valutabile solo dal chirurgo in sala operatoria. Il chirurgo deve inviare il frammento discoidale (di spessore 0,5 - 1 cm) marcandolo sul versante verso il capezzolo (vero margine) con filo-repere o con clip metallica. L’esame del parenchima retroareolare può essere eseguito durante l ’intervento chirurgico come esame intraoperatorio (esame estemporaneo al congelatore) oppure successivamente all ’ intervento chirurgico come esame definitivo. Modalità di valutazione del frammento di parenchima retroareolare Il frammento discoidale, in genere unico, viene misurato (diametro massimo e spessore) e il vero margine deve essere chinato. La valutazione può essere eseguita mediante: - l’esame di sezioni coronali (perpendicolari all’asse del capezzolo) ottenute sezionando il versante verso la mammella del frammento discoidale “a piatto” (con recupero del vero margine mediante ulteriori sezioni sino quasi ad esaurimento del frammento ). - l’esame di sezioni sagittali ottenute dopo aver sezionato sagittalmente (dal versante verso il capezzolo a quello mammario, parallelamente all’asse del capezzolo) l’intero frammento discoidale in fette di 3-5 mm di spessore, interamente incluse. Si possono prevedere 3 sezioni al congelatore a livelli di 200-300 micron e una ulteriore sezione al definitivo del frammento/i precedentemente valutato/i oppure 4 sezioni ogni 200-300 micron per l’esame definitivo. La risposta dell ’ esame al congelatore/ definitivo dovrebbe essere: a ) negativo per neoplasia b ) presenza di neoplasia in situ c ) presenza di neoplasia infiltrante N. 59 - 2010
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e dovrebbe quantificare l’estensione della componente neoplastica in mm) e la distanza dal margine verso il capezzolo (vero margine ). ESAME DELLA MAMMELLA a ) La mammella (senza il frammento retroareolare se già inviato per l’esame intraoperatorio o inviato a parte qualora non sia stato effettuato l’esame intraoperatorio), viene inviata al laboratorio di anatomia patologica, con fili di repere per permetterne l’orientamento: 1 filo nella sede da dove è stato asportato il tassello retroareolare, 2 fili verso l’ascella e un repere in corrispondenza delle sede della lesione, nella sua proiezione sulla superficie della ghiandola per valutare i rapporti della lesione con il tessuto sottocutaneo ad essa sovrastante, con il piano profondo, e con il restante parenchima retroareolare dopo asportazione del tassello retroareolare che è comunque da considerarsi come unico e vero margine. E’ importante che la richiesta di esame istologico riporti esattamente la sede (quadrante) della lesione o le sedi in caso di lesioni multiple (eventualmente allegando uno schemadisegno). b ) Il pezzo operatorio di mastectomia viene misurato in tre 3 dimensioni, chinato sulla superficie verso la cute e sul piano profondo e campionato per l’esame istologico, con prelievi a fresco o previa fissazione, dopo sezioni sagittali dal versante profondo verso quello cutaneo, mantenendo l’orientamento del pezzo. Nel referto istopatologico va riportata la distanza minima della lesione in situ e/o invasiva dalla superficie verso la cute, dal piano profondo e dai margini circonferenziali della mammella, precisando se la neoplasia coinvolge (tumore colorato dall’inchiostro di china) il margine retroareolare, il piano superficiale e/o profondo, oppure se si estende in prossimità (distanza inferiore ad 1 mm), oppure indicando la distanza microscopica qualora questa sia inferiore ad 1 cm. Quando la distanza è superiore al cm si può indicare nella macroscopica che la neoplasia dista oltre 1 cm dai 16
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margini circonferenziali e dai piani superficiale e profondo. RADIOTERAPIA Come già detto, la radioterapia potrebbe avere un ruolo alternativo alla rimozione del NAC, quando all’esame istologico definitivo, i margini risultino indenni, ma con una distanza inferiore a quella di sicurezza suggerita. Il trattamento con elettroni può essere differito nelle 48-72 ore successive all’intervento. In questo caso si utilizzano fasci esterni, di energia opportuna, eventualmente con filtri omogeneizzatori per evitare il sovradosaggio sul capezzolo, e dose totale di 16 Gy in frazione singola. Se il trattamento è differito di qualche settimana si suggerisce una dose di 6Gy al giorno per tre giorni consecutivi. E’ in corso di valutazione l’utilizzo della radioterapia intraoperatoria con elettroni (ELIOT) con intento adiuvante, che consiste nella somministrazione, durante l’intervento stesso, di una unica ed elevata dose di radiazioni sul complesso areolacapezzolo. Vengono utilizzati elettroni di energia variabile tra i 4 ed i 6 MeV, alla dose totale di 16 Gy (equivalenti a circa 45 Gy con il frazionamento convenzionale). Il razionale è basato sulla possibile riduzione del rischio di recidiva nel tessuto che il chirurgo in questo caso lascia al di sotto dell’areola e del capezzolo dopo l’esecuzione della mastectomia per ridurre il rischio di necrosi. In ogni caso, tale approccio rimane sperimentale ed il suo impiego è attualmente oggetto di studio. Un aspetto particolare della radioterapia con impatto sulla indicazione alla NSM è quello determinato da un precedente trattamento, sia per causa specifica che per altre neoplasie (tipico esempio, l’ i rradiazione a mantellina per un pregresso linfoma). Pur non ritenendosi questa una controindicazione assoluta, è comunque necessaria una attenta e preliminare valutazione delle dosi già somministrate e dei volumi trattati, oltreché dello stato della cute e del sottocutaneo, soprattutto per quanto riguarda il trofismo e la vascolarizzazione.
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Le indicazioni alla radioterapia adiuvante dopo NSM non si discostano da quanto già contenuto nelle linee guida correnti per le pazienti sottoposte ad altri tipi di mastectomia e tengono ovviamente in conto le componenti di rischio legate alle dimensioni del tumore ed al numero di linfonodi interessati dalla malattia. Anche le problematiche relative alla irradiazione dopo qualsiasi tipo di ricostruzione mammaria sono note, anche se raccomandazioni specifiche non sono state ancora definite stante l’assenza di studi randomizzati sull’argomento. Quindi particolare attenzione deve essere posta su ogni singola paziente sin dalla fase di pianificazione dell’intervento chirurgico, concordando secondo un’ottica multidisciplinare le modalità dell’intera procedura prima che questa abbia inizio, al fine di minimizzare i possibili impatti negativi sulla cosmesi che possono determinarsi ed incrementarsi anche a lungo termine. In linea generale il frazionamento convenzionale rimane quello più raccomandabile, con dose totale compresa tra i 45 ed i 50 Gy. L’ eventuale uso del “boost” dovrà essere valutato in rapporto a specifici fattori di rischio, con particolare riguardo all’ampiezza dei margini di resezione chirurgica ed al trofismo del complesso areola capezzolo. RISULTATI L’analisi della letteratura e dell’esperienze del panel in termini di risultati offre attualmente un panorama piuttosto eterogeneo in relazione ai criteri di inclusione nelle casistiche, all’inserimento di interventi eseguiti a scopo profilattico, oltre che al numero totale di casi e alla lunghezza di follow up molto variabili. Per questo motivo appare auspicabile una valutazione degli esiti, possibilmente prospettica, che consideri innanzitutto separatamente i due aspetti principali legati a questo intervento ovvero gli aspetti oncologici e quelli estetico-funzionali con particolare riguardo alle molteplici variabili che influiscono a tali riguardi. Nella valutazione dei risultati della NSM si devono quindi prendere in esame:
Risultati oncologici 1 ) percentuale di recidive locali, 2 ) sede delle recidive (retroareolari, periferiche) Nonostante non si disponga di follow-up mediani molto lunghi (solo lo studio di Beneditktsson KP, Perbeck L, EJSO 2008, 34:143-148, supera nettamente i 5 anni attestandosi sui 13 anni ) le % di vere recidive locali intendendo quelle centrali o nel NAC sono estremamente basse attestandosi tra lo 0 ed il 2% dei principali studi. 3 ) Percentuale di comparsa di malattia a livello del NAC in caso di mastectomie a scopo profilattico. Anche in questo caso, anche se le casistiche sono limitate, la percentuale riportata varia dal 0.2 al 2% Per poter definire, ai fini dei risultati sia oncologici sia estetico funzionali, la miglior tecnica ed il miglior approccio organizzativo i risultati dovranno essere posti in correlazione con le principali variabili: - indicazioni (particolare riguardo alla distanza lesione NAC e alla multifocalità/ multicentricità valutate alle tecniche di imaging e di istopatologia) - età - tipo di incisione - valutazione istologica status retroareolare (es. istol. est/es. istol. definitivo) - modalità ricostruzione: protesi / lembo - RT intraoperatoria / differita sul NAC - RT su mammella - operatore (chirurgia sen / chirurgia plastica/doppia equipe) Risultati morfo-funzionali 1 ) percentuale di capezzoli conservati: deve essere registrato il numero di necrosi parziali o totali del capezzolo, il numero di exeresi del complesso areola-capezzolo per necrosi ed il numero di necrosectomie senza asportazione del complesso areola-capezzolo; I dati relativi alla necrosi in senso globale sono estremamente variabili essendo compresi in un range che va dal 2 al 20% N. 59 - 2010
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ma in media la perdita completa del NAC dovuta a necrosi varia dallo 0 all’8%con una media attorno al 3-4 % 2 ) aspetto estetico del NAC (colore, discromie cutanee, proiezione, simmetria, risultato globale capezzolo/seno). Alterazioni del capezzolo sono globalmente riportate dal 20% al 43%. La valutazione deve essere oggettiva e soggettiva ed eseguita sia dallo staff medico sia dalla paziente con l’ausilio di un questionario specifico 3 ) sensibilità del NAC: deve essere effettuata ad un mese, a sei mesi e successivamente insieme alla valutazione dell’aspetto estetico. Si deve considerare se la sensibilità è scomparsa, parzialmente presente, normale, o se esiste una ipersensibilità. 4 ) organizzazione dinamica e sfera gestuale - nella loro portata simbolica in rapporto all ’ ambiente - della persona che usufruirà della NSM. La qualità del gesto e la sua eventuale modificazione, valutati con semeiotica biomeccanica e percettivo motoria nel pre e post-intervento, nonché nel follow-up, non sono definibili come deficit nervoso, muscolare, articolare o come attentato alla immagine corporea. Essi valutano e supportano la qualità del ritorno esterocettivo della NSM, capace o meno di generare la buona relazione della donna con il suo ambiente affettivo e oggettuale. 5 ) disagio psicologico / qualità di vita / vissuti-immagine del corpo: da valutare (con uno o più questionari validati, quando viene eseguita la valutazione dell’aspetto estetico e della sensibilità del NAC) La valutazione del grado di soddisfazione delle pazienti per i risultati della chirurgia plastica ricostruttiva e la conservazione del capezzolo deve essere effettuata annualmente nei primi due anni e ripetuta al quinto anno di follow up. Rimane aperta la questione relativa alla misurazione degli esiti (documentazione fotografica auspicabile pre/ post per facilitare l’obiettività e la valutazione multisede o a distanza; impiego di format di questionari condivisi) 18
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QUALITÀ DI VITA E IMPLICAZIONI PSICOLOGICHE Il processo decisionale: la relazione medico-paziente Una buona comunicazione fra chirurgo e paziente riveste un ruolo fondamentale per aiutare la paziente a prendere, insieme al chirurgo (senologo e/o plastico), la miglior decisione possibile, quella cioè che rispetta la persona e non prescinde dall’interazione medico-paziente. Ricordiamo che il momento della decisione clinica è da considerare in una prospettiva che contempli: - L’aspetto razionale-cognitivo: s’inserisce cioè in un processo logico/strategico oltre che in un contesto diagnosticoterapeutico. - L’aspetto organizzativo: ogni decisione s’inserisce in un contesto organizzativo e deve essere essa stessa “organizzata”. - L’aspetto giuridico ed etico-clinico, che comprende il problema dell’informazione, importantissima ai fini di una consapevole decisione clinica. - L’aspetto psico-dinamico e relazionale: la logica e la decisione clinica devono essere calate nella relazione medico -paziente, che non rispetta regole generalizzabili, ma è ogni volta peculiare di quella data relazione. Nella situazione in cui si decida di proporre la NSM, fondamentale per la comunicazione è il ruolo della fiducia che si instaura fra il medico e la sua paziente, in maniera da offrire un contesto adeguato (un tempo e un luogo adeguati) per favorire il processo decisionale che deve avvenire idealmente in maniera condivisa. La decisione clinica, infatti, vede due protagonisti, medico e paziente, entrambi pienamente attivi nel processo. Una buona comunicazione non prevede soltanto una parte informativa, nel senso del tempo dedicato alle informazioni, ma anche un momento in cui il chirurgo verifica se la paziente ha compreso in maniera sufficiente ed adeguata le informazioni fornite. Verifica la “comprensione” delle informazioni relative al periodo post-operatorio, compli-
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canze a medio e lungo termine (esempio: le informazioni fornite alla paziente sulle possibili complicanze relative alla protesi, al capezzolo, inclusa la perdita di sensibilità del NAC ). Il medico non può trascurare la propria influenza sul processo decisionale della paziente. Quando egli esprime il proprio e personale parere, oltre a quello più prettamente professionale, influenza in modo determinante la paziente, anche se non lo esplicita verbalmente. Basti pensare che solo una piccola parte della comunicazione che avviene fra due persone è verbale. Il risultato ottimale che vorremmo ottenere nell’incontro medico-paziente è raggiungere una decisione condivisa, razionale, ma che inglobi la realtà clinica della paziente, le conoscenze disponibili e, ultimo ma non ultimo, il punto di vista della paziente. Il processo decisionale e la qualità della vita E’ importante considerare la desiderabilità degli esiti nel processo decisionale relativo all’indicazione della NSM versus la mastectomia tradizionale: la desiderabilità degli esiti ha a che vedere con la qualità della vita. Quest’ultima è una questione soggettiva, perciò è fondamentale che sia la paziente stessa ad esprimersi nel momento della decisione clinica. Occorre considerare le preferenze “profonde” della singola paziente rispetto alle aspettative sulla qualità di vita, considerazione che non può prescindere dal parere della paziente rispetto alla tipologia degli interventi proposti (mastectomia tradizionale versus NSM). In primo piano sono perciò le motivazioni per le quali la donna preferisce scegliere un intervento piuttosto che un altro, ovviamente nel rispetto delle indicazioni cliniche. La paziente nella fase successiva alla diagnosi, evento inevitabilmente destabilizzante, di rottura, sviluppa una comprensibile vulnerabilità emotiva e una forma di dipendenza dal medico, “dipendenza funzionale”. La dipendenza è
psicologicamente utile perché l’aiuta ad affrontare la nuova situazione e a sentirsi meno sola: il cancro e le decisioni vitali con cui deve confrontarsi rappresentano ovviamente per lei un momento critico e colmo di incertezza. La conservazione del capezzolo ha lo scopo di migliorare il vissuto relativo all’immagine corporea della donna che deve subire una mutilazione, quale la mastectomia di fatto rappresenta. La NSM vuole evitare alla donna una doppia mutilazione e contribuire a migliorare la qualità della vita, ma va sottolineato, al fine di non essere fraintesi, che la qualità di vita rischia di essere intesa e confusa con un concetto di bellezza dominante nella nostra società, che esaspera il concetto di bellezza estetica e tende fortemente ad allontanare l’idea della morte e dell’imperfezione estetica. La qualità della vita rappresenta un fatto soggettivo, per il raggiungimento del quale dunque è importante che la paziente sia incoraggiata dal medico ad esprimersi e che sia “ascoltata” nel momento della decisione clinica. L’ esperienza clinica della psicoterapia con le donne che si ammalano di tumore mostra spesso, che una malattia grave come il cancro può divenire un evento catalizzatore per raggiungere, se opportunamente rielaborato, uno stato di benessere interno mai ottenuto prima. L’elaborazione psicologica può aiutare la paziente a superare la perdita di una parte di sé, il lutto, la costruzione di una nuova immagine corporea e talvolta una capacità nuova di vivere la vita e affrontare le difficoltà, che si pensava impossibile prima della malattia. Il panel ha deciso di istituire un archivio nazionale delle pazienti sottoposte ad intervento di NSM con l’obiettivo di valutare i risultati oncologici, morfo-funzionali e le implicazioni psicologiche alla luce delle indicazioni adottate, delle caratteristiche del tumore e delle tecniche utilizzate.
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La «Nipple Sparing Mastectomy» ( NSM )
Il parere di Dr. Giovanni Tacchetti
Regione Veneto - ULSS 5 “Ovest Vicentino” U.O.C. SENOLOGIA - Centro Donna 1. Nella sua esperienza, a quale proporzione delle donne candidate alla mastectomia si può offrire una NSM? 1) Teoricamente, tutte le donne con indicazione all’intervento di mastectomia totale potrebbero essere candidate all’intervento di NSM a condizione che ci sia una distanza tra la neoplasia, infiltrante e/o in situ ed il complesso areola capezzolo tale da garantire la negatività dei margini di exeresi all’esame istologico definitivo. Nella pratica clinica però le cose stanno in maniera differente e l’età della paziente gioca un ruolo non trascurabile. Nella mia esperienza, le donne al di sopra dei 65 anni candidate per motivi clinici alla mastectomia, raramente accettano il programma ricostruttivo che viene proposto, conservando una buona qualità di vita successiva alla elaborazione del lutto della perdita subita. Il percorso della ricostruzione mammaria nelle donne della fascia di età inferiore è più frequentemente condiviso perché, lo stato di benessere e la qualità di vita transitano attraverso la costruzione di una nuova immagine corporea che non influenzi la socialità e la vita di relazione. Con queste premesse, negli ultimi 6 anni della mia attività, su 915 interventi per neoplasia mammaria, 757 (82%) sono stati interventi conservativi, mentre i restanti 158 interventi (18 %) sono stati interventi di mastectomia totale. Di queste ultime 158 donne, 118 (75 %) hanno accettato il percorso ricostruttivo e in 25 di queste è stato proposto e accettato l’intervento di NSM con la percentuale quindi del 21 %. Delle 25 indicazioni alla NSM due di esse sono state convertite durante l’intervento in mastectomia skin sparing per la dimostrazione intraoperatoria della vicinanza/contiguità della neoplasia (peraltro sempre di tipo intraduttale)
della regione del complesso areola-capezzolo. Otto donne del gruppo della NSM hanno potuto usufruire della ricostruzione immediata in unico tempo con protesi anatomica definitiva per il volume favorevole del tessuto ghiandolare asportato oscillante tra i 120 e i 250 grammi, mentre in tutte le altre è stato impiantato un espansore sottomuscolare per la ricostruzione mammaria in due tempi. Fino ad oggi solo una paziente trattata nel 2003 con NSM e ricostruzione immediata con protesi in unico tempo, ha sviluppato a distanza di tre anni una neoplasia in situ di tipo papillare della regione retroareolare per cui si è provveduto alla radicalizzazione con l’asportazione del complesso areola-capezzolo che nell’anno successivo è stato ricostruito e completato con la pigmentazione mediante tatuaggio: a 48 mesi dall’ultimo intervento la signora è in buona salute e non presenta segni di ripresa di malattia. In sintesi credo che allo stato attuale, rispettando le indicazioni che emergono dalla letteratura, nel 25 % +/- 5% delle pazienti candidate all’intervento di mastectomia totale con programma ricostruttivo possa essere offerta la NSM. 2. Ritiene che ultimamente si eccedesse in interventi conservativi e che la isponibilità di questa tecnica possa far ridurre il numero di trattamenti conservativi a rischio di ripresa locale, senza alterare significativamente la qualità di vita della paziente? 2) Non credo che negli ultimi tempi si sia ecceduto in interventi conservativi tuttora il gold standard del trattamento secondo le conoscenze ormai consolidate dell’ultimo trentennio. E’ pur vero però che c’è un incremento degli interventi demolitivi e ritengo che ciò sia dovuto al perfezionamento della stadiazione preoperatoria che si avvale anche dell’uso della RMN. La programmazione operatoria di ogni singolo caso, quindi anche la NSM, deve comunque emergere dalla discussione multidisciplinare del team di specialisti dedicati.
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Nella mia esperienza, la qualità di vita delle pazienti sottoposte a mastectomia totale con ricostruzione è sicuramente migliore quando è possibile conservare il complesso areolacapezzolo e in definitiva penso che la NMS non debba sostituire la chirurgia conservativa in quanto considerata alternativa ad essa. Comunque ogni decisione va prima ponderata e discussa in ambito multidisciplinare e quindi proposta alla donna che deve essere sufficientemente motivata per accettare il programma operatorio più appropriato ed individualizzato compreso anche l’intervento di NSM.
Dr.ssa Silvia Baldassarre Azienda Ospedaliera Universitaria, Ospedali Riuniti, Ancona 1. Ritiene che la RM preoperatoria debba essere sempre effettuata in una paziente candidata alla NSM, o che ci si possa limitare ai casi indicati nel documento (alto rischio, seno denso, lobulare infiltrante, DCIS alto grado e microcalcificazioni)? 2. Nel follow-up della mammella operata con NSM, è sufficiente effettuare il controllo ecografico?
1) La corretta pianificazione dell’intervento chirurgico può essere ottenuta solo integrando, secondo logica clinica, le varie tecniche diagnostiche di imaging senologico (mammografia, ecografia e risonanza magnetica). Il carcinoma mammario può essere multifocale, multicentrico e bilaterale e le tecniche tradizionali di imaging (mammografia ed ecografia) non sono sempre in grado di identificare lesioni presenti oltre a quella principale. La MRM è la tecnica più sensibile per la detenzione del carcinoma mammario, con 22
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valori di sensibilità di 95-98%. La frequenza di lesioni multifocali o bilaterali e la capacità della MRM di identificare lesioni non altrimenti riconoscibili ripropongono l’utilità di tale esame nella stadiazione locoregionale e preoperatoria; infatti, una delle indicazioni più interessanti approvata dalle principali società scientifiche italiane (SIRM e FONCAM) ed americane (American Cancer Society), seppur spesso fa discutere, è proprio la valutazione prechirurgica in donne con diagnosi di carcinoma mammario confermato da prelievo citologico e/o istologico percutaneo. La MRM, caratterizzando morfo-funzionalmente le lesioni, possiede maggiore accuratezza, nella valutazione dimensionale della neoplasia, sia in lesioni “mass like” che non “mass like”, permette di definire i rapporti con i tessuti circostanti e grazie alla sua elevata sensibilità il numero di lesioni presenti, parametri importanti in fase preoperatoria per una corretta pianificazione dell’intervento. In particolare tali parametri sono importanti in una paziente candidata alla “nipple sparing mastectomy” (NSM). La MRM, metodica con valore ben consolidato, nel preciso bilancio di estensione delle neoplasie mammarie (valutazione di dimensioni ed estensione, con eventuale interessamento del muscolo pettorale o infiltrazione del capezzolo, identificazione o esclusione di multifocalità, multicentricità e bilateralità) dovrebbe, là dove possibile, essere sempre effettuata in una paziente candidata alla NSM, salvo in quei casi in cui è possibile esprimere con certezza un giudizio, sulla base degli esami di imaging tradizionale su dimensioni e numero di lesioni, su integrità (intesa come non infiltrazione) e distanza dal capezzolo. 2) Nel follow-up della mammella operata con tecnica “nipple sparing mastectomy” (NSM), l’imaging senologico (mammografia, ecografia e risonanza magnetica)
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ha il compito, così come in tutti gli altri casi di intervento con posizionamento di protesi, di studiare l’impianto protesico e di diagnosticare le complicanze tardive. La mammografia, in particolare con tecnica digitale, grazie agli algoritmi di contrasto e al post processing, permette di studiare meglio l’eccessiva densità protesica, valutarne la regolare morfologia, i segni di rottura extracapsulare e l’eventuale presenza di calcificazioni, segno importante di possibile recidiva locale, in particolare nei casi di NSM, ove il residuo ghiandolare è limitato al distretto areola - capezzolo. E’ inoltre necessario eseguire annualmente un esame mammografico alla mammella controlaterale per il maggior rischio di ammalarsi nuovamente di cancro al seno, di tali pazienti. L’esame ecografico, eseguito a completamento dell’indagine mammografica, valuta la regione areolare residua e l’impianto protesico. Nei casi dubbi la RM rappresenta la metodica più efficace per una corretta diagnosi e dovrà essere eseguita annualmente nei casi indicati nel documento (alto rischio, seno denso, lobulare infiltrante, DCIS alto grado), in particolare dopo una NSM.nuova immagine corporea che non influenzi la socialità e la vita di relazione. Con queste premesse, negli ultimi 6 anni della mia attività, su 915 interventi per neoplasia mammaria, 757 (82%) sono stati interventi conservativi, mentre i restanti 158 interventi (18 %) sono stati interventi di mastectomia totale. Di queste ultime 158 donne, 118 (75 %) hanno accettato il percorso ricostruttivo e in 25 di queste è stato proposto e accettato l’intervento di NSM con la percentuale quindi del 21 %. Delle 25 indicazioni alla NSM due di esse sono state convertite durante l’intervento in mastectomia skin sparing per la dimostrazione intraoperatoria della vicinanza/contiguità della neoplasia (peraltro sempre di tipo intraduttale) della regione del complesso areola-capezzolo.
Arianna Garrone Counselor relazionale, oncologico e Responsabile Regionale dell’Associazione Salute Donna Torino. 1. La conservazione dell’areola e del capezzolo consente una qualità di vita paragonabile a un intervento conservativo? Ho avuto un tumore al seno più di 3 anni fa e mi hanno fatto una mastectomia bilaterale. Era anche necessaria l’asportazione del capezzolo sx. Per me era stato quasi più traumatico immaginare di rimanere senza capezzolo. La mia idea era che la protesi avrebbe riempito il seno e, passato il tempo necessario, nulla si sarebbe più notato. Invece l’idea dell’asportazione del capezzolo mi mandava in ansia. Sarebbe rimasto un segno evidente anche davanti alle altre persone. Avevo inoltre l’impressione di perdere parte della mia femminilità. In più ad appesantire la situazione c’era anche la componente che poco prima di ammalarmi mi ero separata, ma avevo l’idea di avere un nuovo compagno di vita…e come mi sarei presentata a lui al nostro primo incontro intimo? Con un reggiseno di sicuro! Con il chirurgo è stato deciso di asportare entrambi i capezzoli; questa idea mi rincuorava almeno in parte in quanto sarebbe poi stati entrambi ricostruiti in egual modo! Dal momento dell’asportazione dei capezzoli al momento della ricostruzione son passati alcuni mesi. Ho fatto molto fatica a guardarmi allo specchio. Mi sembrava un seno cieco! Il vedermi senza capezzoli mi ricordava anche ciò che avevo passato!Sono sempre stata con un reggiseno o un copriseno, anche nei momenti d’intimità. C’era la possibilità di ricostruire il capezzolo prelevando la pelle dall’inguine o facendo un intervento che utilizza N. 59 - 2010
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due lembi, del seno, speculari e contrapposti che vengono arrotolati e si abbracciano; in seguito il tatuaggio della areola.Ho scelto la seconda soluzione perché non ne potevo più di operazioni chirurgiche impegnative e dolorose. Essendo la presidente dell’associazione Salute Donna Torino ed anche un counselor (professione di aiuto in ambito psicologico) lavoro spesso con donne che hanno un tumore al seno e si trovan davanti alla necessità di amputazione del capezzolo. Mi sono resa conto che la difficoltà di farsi guardare o di guardarsi allo specchio e’ una costante. Più donne definiscono la tetta “cieca” quando e’ senza capezzolo. Ci sono molte donne che per riempire lo spazio vuoto nel reggiseno, lasciato dalla mancanza del capezzolo, mettono del cotone perché molto sovente non vengono informate della vendita di capezzoli posticci nei negozi di articoli sanitari. Quindi a mio parere subire la mutilazione del capezzolo aumenta il carico di ansia e comporta una “ferita” più profonda ed evidente. 2. Forse le donne al momento di dover eseguire l’intervento dopo una diagnosi di tumore della mammella non si preoccupano degli esiti estetici,ma sarebbe opportuno informarle fin dall’inizio delle possibilità di avere un migliore risultato estetico? Alla comunicazione della diagnosi del tumore al seno, passata la fase dello choc, subentra la prima preoccupazione che è di salvare la pelle, ma la seconda è:cosa succederà al mio seno, come risulterà dopo l’operazione? Si noterà la differenza? Io, appena mi sono svegliata dall’anestesia, ricordo di aver chiesto come fosse andata l’operazione e poi ho sol24
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levato la camicia da notte per osservare il mio seno…. pensavo di vedermi piatta….invece è stato di grande conforto vedere che avevo già un seno della prima misura, poiché avevano inserito gli espansori e li avevano leggermente riempiti. Ciò mi ha sostenuto moltissimo nel mio percorso di guarigione, in quanto avevo conservato una mia identità femminile. In più situazioni ho potuto riscontrare che se l’effetto estetico è presente ciò permette alla donna di elaborare più velocemente il lutto della malattia; ci si sente meno malate e/o meno menomate. Sicuramente l’elaborazione del lutto sostiene nel percorso di guarigione. Ho incontrato donne alle quali non avevano messo la protesi oppure erano segnate da cicatrici terribili; sembrava fossero state operate da un macellaio invece che da un chirurgo come si deve! La loro elaborazione è stata più travagliata, più lunga perché guardarsi allo specchio e vedersi una brutta cicatrice ricordava loro la malattia. Questo continuo ricordo le teneva attaccate alla rabbia dell’accaduto e quindi legate al passato e non utilizzavano la loro energia per ricercare un nuovo equilibrio interiore.
FORZA OPERATIVA NAZIONALE SUL CARCINOMA MAMMARIO
Linee Guida - Aggiornamento 2010 Terapia medica del carcinoma mammario
F. O . N . C a . M .
Terapia medica del carcinoma mammario
C
ontinua la revisione periodica delle linee guida F.O.N.Ca.M. e siamo lieti di presentare in questo numero della rivista l’aggiornamento del capitolo “Terapia medica del carcinoma mammario”. A nome del coordinare nazionale prof. Umberto Veronesi e nostro personale desideriamo quindi ringraziare i colleghi Marco Colleoni, che ha curato la stesura del testo, Armando Santoro, Salvatore Palazzo e Sergio Crispino per il lavoro di revisione e tutti i membri della Forza Operativa che, con suggerimenti e proposte, hanno permesso la stesura del documento. Ricordiamo inoltre che sono state definite le date delle due riunioni plenarie 2010. La prima si terrà a il 16 giugno a Milano prima dell’apertura della X Milan Breast Cancer Conference. La seconda il 28 ottobre all’Istituto Clinico Humanitas di Rozzano (MI) convegno “Il carcinoma mammario in età avanzata” Alberto Luini e Claudio Andreoli
1) INTRODUZIONE
L
a terapia medica del carcinoma della mammella si avvale di tre fondamentali presidi terapeutici, la chemioterapia, la terapia endocrina, la terapia biologica. Tali trattamenti hanno specifiche indicazioni in funzione delle caratteristiche cliniche e biologiche della malattia e possono essere utilizzati in tempi diversi nelle varie fasi della evoluzione clinica di questa neoplasia. Per la chiarezza di esposizione e per la complessità dei problemi clinici che comportano una corrispondente variabilità di trattamenti, l'argomento sulla terapia medica del carcinoma della mammella verrà distinto in quattro parti: 1) I presidi terapeutici: chemioterapici, trattamenti endocrini, farmaci biologici. 2) La terapia medica del carcinoma metastatico o non operabile. 26
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3) 4)
La terapia preoperatoria o neoadiuvante. La terapia adiuvante o precauzionale.
2) I PRESIDI TERAPEUTICI
2.1 I chemioterapici Un ampio spettro di farmaci citostatici, caratterizzati da diversi meccanismi d'azione, sono stati studiati nel carcinoma della mammella, sia singolarmente che in regimi di combinazione. I farmaci chemioterapici più attivi in monochemioterapia nella neoplasia mammaria metastatica sono riportati nella Tabella 1. (*non ancora disponibile in Italia) Tabella 1) Monochemioterapia nel ca. mammario metastatico: farmaci maggiormente attivi % di risposte obiettiFarmaco ve (RC + RP) Taxolo 32 Ev Taxotere
25
Ev
Capecitabina Nab-Paclitaxel* Ciclofosfamide Alcaloidi della vinca Adriamicina Epirubicina Antraciclina liposomiale Vinorelbina
30 33 35 21 38 38 30 30
Os Ev os oppure ev ev ev ev ev os oppure ev
L’efficacia terapeutica delle combinazioni polichemioterapiche riportate nella tabella 2 può considerarsi equivalente; infatti le percentuali di risposte obiettive variano dal 50% all’80% con durata mediana della risposte attorno ai 12 mesi. Tuttavia, le remissioni complete (RC) non superano il 20-25% anche utilizzando la combinazione di antracicline più taxani che attualmente costituisce uno schema tra i piu’ efficaci in termini di risposta clinica. Recentemente è stato valutato anche una modalità “nuova” di somministrare “vecchi chemioterapici” La terapia metronomica cioè la somministrazione di chemioterapici (preferibilmente per via orale) a bassi dosaggi e in modo continuativo ha mostrato efficacia in pazienti con neoplasia mammaria in fase metastatica con un ottimo profilo di tollerabilità (Tabella 2).
F. O . N . C a . M . Tabella 2 Schemi di polichemioterapia
Farmaci
Dosi (mg/mq) e vie di somministrazione
FAC
5-Fluorouracile Adriamicina Ciclofosfamide
500 ev 50ev 500ev
FEC
5-Fluorouracile Epirubicina Ciclofosfamide
500 ev 60ev 500ev
EC/AC
Adriamicina Epirubicina Ciclofosfamide
50-60ev 75ev 600ev
ADM/TAX
Adriblastina Taxolo
50-60ev 200 ev
1°
EPI/TAX
Farmorubicina Taxolo
75-90ev 200ev
1°
AT
Adriblastina Taxotere
50ev 75ev
1°
ET
Farmorubicina Taxotere
75ev 75ev
1°
Cap/T
Capecitabina Taxotere
2500 os 75 ev
1°->14°
AV
Adriblastina Vinorelbina
50ev 25ev
EV
Farmarubicina Vinorelbina
60ev 25ev
Cap+Vin
Capecitabina Vinorelbina
2000 os 55 os 25 ev
Schema
CMF (classico)
Ciclofosfamide Methotrexate 5-Fluoruracile
100 p. o. 40 ev 600ev
CMF-1-21
Ciclofosfamide Methotrexate 5-Fluorouracile
600 ev 40ev 600ev
CMF 1-8
Ciclofosfamide Methotrexate 5-Fluorouracile
600 ev 40ev 600ev
Giorni di terapia
Frequenza
1° e 8° 1°
Ogni 21-28 giorni
1° e 8° 1° e 8° 1°
Ogni 21-28 giorni
1° e 8° 1° 1°
Ogni 21 giorni
1°
1°
1°
1°
1°
1° 1° 1° e 8° 1° 1° e 8
Ogni 21 giorni
Ogni 21 giorni
Ogni 21 giorni
Ogni 21 giorni
Ogni 21 giorni
Ogni 21 giorni
Ogni 21 giorni
1°->14° 1°e 8°
Ogni 21 giorni
1°e 8° (o 3°) Dal 1° al 14° 1° e 8° 1° e 8° 1°
Ogni 28 giorni
1°
Ogni 21 giorni
1° 1° e 8° 1° e 8°
Ogni 28 giorni
1° e 8°
Principali effetti collaterali dei chemioterapici Occorre precisare che gli effetti collaterali sotto indicati sono generalmente transitori e quindi reversibili (con l’eccezione della miocardiopatia da antracicline), e di tale caratteristica occorre dare precisa informazione alle pazienti. Effetti collaterali acuti. Si manifestano al momento della somministrazione del farmaco o entro poche ore. Sono in genere transitori e controllabili con terapie adeguate. Per alcuni farmaci (antracicline, alcaloidi della Vinca) ad una non corretta iniezione endovenosa (stravaso venoso) può seguire necrosi tissutale a lenta risoluzione. Per quanto riguarda la nausea ed il vomito (effetti collaterali acuti più frequenti) essi sono in rapporto con il potenziale emetogeno del farmaco (ele-
vato per il platino e la ciclofosfamide; alto per le antracicline e moderato per la maggior parte degli altri citostatici). Attualmente, con l’impiego degli antagonisti serotoninergici, specifici per i recettori encefalici del centro del vomito, tale disturbo viene controllato o prevenuto in oltre 1’80% dei pazienti anche quando causato dai citostatici a più elevato potere emetogeno. Tra i nuovi farmaci antiemetici oggi disponibili vi è l’aprepitant, antagonista del recettore Sostanza P/Neurochinina 1 (NK1). Il Taxolo può determinare fenomeni di ipersensibilità allergica fino a simulare lo shock anafilattico. Per tali ragioni si raccomanda una premedicazione con steroidi, antistaminici e ranitidina. L’alopecia è comune (in grado maggiore di intensità per le antracicline) a tutte le combinazioni chemioterapiche. Essa è sempre reversibile né può essere evitata con l’uso di cold cap se non in casi del tutto eccezionali. Effetti collaterali ritardati. Si manifestano in genere dopo alcuni giorni dalla somministrazione del farmaco. La mielodepressione (principalmente caratterizzata da leucopenia e piastrinopenia, e talora anche da anemia) alle dosi citate nella tabella 2 tende a manifestarsi tra 1’8° ed i1 12° giorno e si risolve tra il 20° e il 28°; per alcuni farmaci, quali la mitomicina, essa è più tardiva (4- 7 settimane) e può essere particolarmente accentuata sulla frazione trombocitica. Per quanto riguarda la leucopenia, la somministrazione dei fattori di crescita (G - CSF o GM -CSF) trova indicazione in casi selezionati se la conta dei neutrofili scende sotto di 800-1000/mm3 e la temperatura è >38. L’impiego precauzionale puo’ essere considerato quando il precedente ciclo di chemioterapia ha dato neutropenia di grado III e IV e può essere limitato a 2-3 giorni di terapia da effettuarsi generalmente tra l’8 ° e l’11° giorno dalla somministrazione della chemioterapia. Effetti collaterali cronici. Si manifestano a distanza di mesi od anni ed acquistano notevole importanza a causa dell’attuale impiego della chemioterapia non solo nella fase avanzata della malattia, ma anche in fase precauzionale. I1 rischio di miocardiopatia da Adriamicina, Epirubicina e Mitoxantrone, somministrati singolarmente, è praticamente N. 59 - 2010
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F. O . N . C a . M . nullo se, in assenza di fenomeni ischemici di base, non si supera il dosaggio totale, rispettivamente, di 450 mg/mq, 750 mg/mq e 150 mg/mq. Nelle pazienti sottoposte a radioterapia complementare o terapeutica sulla regione mammaria sinistra, è raccomandabile non superare, 350 e 600-700 mg/ mq, rispettivamente, di Adriamicina e Epirubicina. In caso di impiego singolo od in combinazione di tali antracicline e utile il monitoraggio con Eco-cardiogramma bidimensionale con valutazione della funzione di eiezione ventricolare sinistra. L’efficacia dell’antraciclina pegilata liposomiale, molecola incapsulata in liposomi, sulla cui superficie è legato il polietilen-glicole, è pari alla Doxorubicina con una minore cardiotossicià. Tossicità correlabile al farmaco è invece l’eritrodisestesia palmo-plantare, tossicità tipica anche della capecitabina Tossicità neurologica (caratterizzata da neuropatie periferiche, astenia, dolori addominali ed ileo paralitico) può osservarsi con l’uso prolungato di Vinorelbina, Taxani e Platino. Ai trattamenti prolungati con farmaci alchilanti (es. ciclofosfamide) è imputabile un potenziale rischio carcinogenetico. 2.2 Trattamenti endocrini Tali trattamenti sono indicati in presenza di una neoplasia ormonoresponsiva, caratterizzata dall’espressione del recettore per l’estrogeno (ER) e/o progesterone (PgR). Il tipo di terapia ormonale va stabilito in accordo allo stato menopausale della paziente L’efficacia terapeutica dei diversi farmaci ormonali è diversa a seconda delle caratteristiche biologiche dei casi trattati e delle sedi metastatiche, risultando nulla nelle metastasi cerebrali e modesta in quelle epatiche LH-RH analoghi->donne in premenoapausa Sono farmaci analoghi dell’ormone rilasciante l’ormone luteinizzante (LH-RH). La somministrazione ciclica prolungata determina una progressiva riduzione della secrezione delle gonadotropine ipofisarie con secondaria inibizione della produzione estrogenica da parte delle ovaie. La menopausa indotta da tali farmaci è paragonabile a quella ottenuta con la castrazione chirurgica (ovariectomia) o radioterapica ma ha il vantaggio di essere un trattamento reversibile nella maggior parte dei casi. La tossicità di tali farmaci è caratterizzata dai disturbi locali nella sede di iniezione, eruzioni cutanee, ipercolesterolemia, vampate di calore al volto, cefalea, spotting vaginale etc. Tamoxifen->donne in premenoapausa e in postmenopausa Tra gli antiestrogeni, il più comunemente utilizzato è il tamoxifene (TAM) che in pazienti con recettori ormonali positivi o sconosciuti può indurre risposte cliniche in più del 40% dei casi. Tra gli effetti collaterali causati dal tamoxifene, solo occasionalmente (1-4% dei casi) sono stati evidenziati casi di tromboflebite, di piastrinopenia (< 100.000 PP/ 28
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mmc) e alterazioni della funzionalità epatica riguardanti soprattutto l’innalzamento di valori delle transaminasi. Altri effetti collaterali sono le vampate di calore ed il prurito vulvare. Inoltre, nelle prime due tre settimane di trattamento con TAM può verificarsi, nel 5-10% dei casi il fenomeno del tumor flare caratterizzato da un’esacerbazione dei dolori ossei, da ipercalcemia e da un incremento delle lesioni cutanee dovuta alla debole attività estrogenica posseduta dal farmaco. Tuttavia questo fenomeno è passeggero. E’ raccomandabile in caso di trattamento prolungato un controllo periodico (almeno ogni 6 mesi) ematochimico completo comprendente la funzionalità epatica. In caso di somministrazione molto prolungata, è stata segnalata l’insorgenza di adenocarcinoma invasivo dell’endometrio per cui utile deve essere considerato il controllo ecografico transvaginale in caso di eventuale osservazione di stillicidio ematico dal canale cervicale. Fulvestrant->donne in postmenopausa Il Fulvestrant (Faslodex) è stato utilizzato come terapia di II linea in donne in progessione in corso di Tamoxifene, mostrando un’attività paragonabile agli inibitori dell’aromatasi. In un recente studio randomizzato di fase III il farmaco è stato confrontato con exemestane in donne in progressione ad inibitore dell’aromatasi di tipo non steroideo mostrando una simile efficacia. Inibitori delle armatasi-> donne in postmenopausa È ormai noto che la sintesi degli estrogeni nelle donne in postmenopausa ha luogo nei tessuti periferici, quali le ghiandole surrenaliche ed il tessuto adiposo. In questi tessuti, l’androstenedione viene convertito in estrone e, in seguito, in estradiolo per mezzo dell’aromatasi, un complesso enzimatico composto da un citocromo P450 (CYP 450arom) ed una flavoproteina. Il primo inibitore dell’aromatasi introdotto nella pratica clinica è stato l’aminoglutetimide, che per quanto clinicamente efficace, causava notevoli effetti collaterali quali disturbi gastroenterici, vampate di calore, rash cutanei, letargia, ipotensione, astenia ed altri. Inoltre poiché l’aminoglutetimide era un inibitore aspecifico delle aromatasi, necessitava di una terapia sostitutiva con il cortone acetato. Per questi motivi, oggi questo farmaco non viene più utilizzato nella pratica clinica corrente anche perché sostituito da farmaci più attivi e meno tossici. I farmaci più comunemente usati nella pratica clinica sono tra i non steroidei: l’anastrozolo (arimidex) e il letrozolo (femara), inibitore reversibile dell’enzima e l’exemestane (aromasin) inibitore steroideo, irreversibile. Questi farmaci riescono ad ottenere in seconda linea dopo tamoxifene circa il 25% di risposte e causano effetti collaterali di scarsa entità, in circa il 30% dei casi, quali nausea, vomito e diarrea, e meno frequentemente, vampate di calore, edema e trom-
F. O . N . C a . M . boflebite. Studi randomizzati di fase III in prima linea hanno dimostrato una maggior efficacia di questi farmaci verso il tamoxifene nel trattamento del tumore mammario metastatico ormonoresponsivo in donne in post menopaua. Gli effetti collaterali dovuti agli inibitori dell’aromatasi comprendono: artralgie, mialgie, dolori osteoarticolari, diminuzione della densità ossea. Progestinici I composti progestinici più comunemente utilizzati nel trattamento del carcinoma della mammella sono il medrossiprogesterone acetato (MAP) ed il megestrolo acetato (MA), entrambi derivati dal 17-ß-OH- progesterone. I progestinici esplicano attività antineoplastica attraverso un duplice meccanismo: uno diretto a livello della cellula tumorale ed uno indiretto di soppressione estrogenica. Nel carcinoma mammario avanzato i progestinici inducono risposte obiettive nel 30% delle pazienti già pretrattate e nel 40% di quelle non pretrattate e con recettori estrogenici positivi. Oggi vengono utilizzati come terapia di terza linea dopo gli antiestrogeni e gli inibitori dell’aromatasi. Gli effetti collaterali più frequenti a tali farmaci sono rappresentati da ascessi glutei (in caso di somministrazione i.m.), gastralgie (in caso di somministrazione sia p.o che i.m.), tromboflebite, aumento di peso corporeo, aumento della pressione arteriosa, iperglicemia, irsutismo, talora tremori ed ipercalcemia. 2.3 La Terapia Biologica A questo gruppo appartengono i farmaci più recentemente introdotti nella pratica clinica. Lo sviluppo di tali farmaci è nato dalle migliori conoscenze dei meccanismi biologici e molecolari coinvolti nello sviluppo delle neoplasia mammaria. A differenza dei chemioterapici che agiscono ad ampio spetto, i farmaci biologici sono target, cioè in grado di agire verso un bersaglio preciso. In assenza del target il farmaco biologico non ha indicazione (es trastuzumab per tumori HER2 neg) e vi è quindi una maggiore selezione dei pazienti in grado potenzialmente di rispondere al trattamento. Nella maggior parte dei casi tali farmaci vengono utilizzati in combinazione con la chemioterapia. Il Trastuzumab è un anticorpo monoclonale diretto contro la proteina HER2 che è iperespressa in circa il 25% delle neoplasie mammarie. La combinazione con la chemioterapia (es. il taxolo o il taxotere) aumenta le percentuali di risposte, il tempo alla progressione e la sopravvivenza rispetto alla monochemioterapia nel trattamento di prima linea della donne con neoplasia mammaria metastatica HER2 positiva. Seppur efficace il trastuzumab non viene somministrato in combinazione con regimi comprendenti antracicline per un rischio aumentato di cardiotossicità. Uno studio di fase III ha valutato il ruolo della combinazione del trastuzumab con
Tabella 3 Farmaci ormonali più comunemente impiegati
FARMACO
DOSI E VIE DI SOMMINISTRAZIONE
Antiestrogeni: TAMOXIFEN FULVESTRANT Inibitori aromatasi: LETROZOLO ANASTORZOLO EXEMESTANE LH-RH analoghi: GOSERELIN TRIPTORELIN LEUPRORELIN Progestinici: MEDROSSIPROGESTERONE ACETATO MEGESTROLO ACETATO
20 mg/die per os 250 mg i.m ogni 28 giorni 2.5mg/die os 1mg/die per os 25mg/die os 3.6 mg ogni 28 giorni s.c. 3.75 mg ogni 28 giorni i.m. 3.75 mg ogni 28 giorni i.m. 500mg/die i.m. oppure 1000-15000mg/die os/ i.m. per 20 giorni consecutivi 160mg/die per os
ormonale inibitori dell’aromatasi nel trattamento di prima linea nella malattia metastatica mostrando la superiorità della combinazione rispetto alla sola terapia ormonale. Il trastuzumab è inoltre indicato nella terapia adiuvante e neoadiuvante della neoplasia HER2 positiva. Il Lapatinib è una piccola molecola in grado di inibire l’attività chinasica del recettore EGFR e HER2. Il farmaco ha dimostrato di essere attivo in pazienti in progressione al trastuzumab e viene utilizzato in combinazione con la capecitabina in pazienti, con neoplasia mammaria metastatica pretrattate con antracicline e taxani e in progressione a trastuzuamb. Il Bevacizumab è un anticorpo monoclonale contro il VEGF, fattore che induce la formazione dei vasi ed è coinvolto nei meccanismi di crescita tumorale. Il Bevacizumab combinato con chemioterapia in prima linea ha dimostrato di aumentare la probabilità di risposta e il tempo alla progressione. Bevacizumab è pertanto indicato nel trattamento di prima linea metastatica in combinazione con il paclitaxel e sembra avere attività promettente quando utilizzato nella terapia primaria dei tumori infiammatori. Effetti collaterali sono: ipertensione, trombosi, sanguinamenti. 3) LA TERAPIA MEDICA DEL CARCINOMA MAMMARIO METASTATICO In presenza di una malattia metastatica è consigliabile, qualora fattibile e con manovre poco invasive, la ricaratterizzazione biologica della malattia per ottenere una nuova valutazione dello stato dei recettori ormonali e dell’ HER2. La scelta del trattamento dovrebbe basarsi sia sulle caratteristiche biologiche che sulla tipologia del Paziente (sintomi correlati, patologie concomitanti,pregressi trattamenti, preferenza). In caso di malattia HER2 positiva il trattamento deve includere un farmaco anti HER2, in combinazione alla cheN. 59 - 2010
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F. O . N . C a . M . mioterapia e in casi selezionati all’ormonoterapia. In caso di malattia HER2 neg e ER neg il trattamento medico dovrebbe includere la chemioterapia. In caso di malattia HER2 negativa e ER positiva, la scelta tra il trattamento ormonale e la chemioterapia deve essere basata su considerazioni che valutano caratteristiche della malattia (vedi Tabella) e della paziente (età, pregressi trattamenti etc). Tabella 4) Criteri generali per la scelta fra endocrinoterapia e chemioterapia per neoplasie con recettori ormonali positivi
Endocrinoterapia
Chemioterapia
Malattia a lenta crescita
Malattia a rapida evoluzione con sintomi correlati
Localizzazioni soprattutto nei tessuti molli e nello scheletro
Localizzazioni epatiche massive, polmonari e/o cutanee di tipo linfangitico, metastasi al SNC (unitamente ad antiedemigeni e RT)
Lungo intervallo libero
Breve intervallo libero
Risposta favorevole al primo trattamento endocrino
Risposta negativa al primo trattamento endocrino
Criteri di scelta per l’ormonoterapia nel carcinoma della mammella metastatizzato. La terapia ormonale dovrà essere scelta in accordo allo stato menopausale della paziente e in accordo ai trattamenti precedenti (es. terapia adiuvante). Esempio. Premenopausa Tamoxifene+ LHRH analogo in adiuvante, alla progressione-> inibitore dell’aromatasi+LHRH analogo Esempio. Postmenopausa Inibitore dell’aromatasi steroideo in adiuvante, alla progressione -> Inibitore dell’aromatasi non steroideo oppure Fulvestant, alla progressione- >progestinici Criteri di scelta dei regimi di chemioterapia nel carcinoma della mammella metastatizzato. Il carcinoma della mammella metastatizzato è di solito una malattia non guaribile. La strategia terapeutica, pertanto, deve essere orientata verso obiettivi di palliazione nel rispetto della qualità della vita della paziente. Tale strategia si articola in trattamenti di prima linea, di seconda linea, di salvataggio e di supporto. Attualmente non esiste la combinazione “standard nel trattamento chemioterapico di prima linea del carcinoma della mammella avanzato e/o metastatico La combinazione di taxani (paclitaxel o docetaxel) con antracicline (adriamicina o epirubicina) è frequentemente usata in particolare in caso di malattia estesa e/o sintomatica Gli effetti collaterali maggiormente riscontrati sono la cardiotossicità (cardiopa30
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tia ischemica, scompenso cardiaco, ecc.), la neurotossicità periferica (ipoestesie o parestesie agli arti), la mielotossicità nonchè i classici disturbi gastrointestinali (nausea e vomito) e l’alopecia. Frequentemente usate sono anche la combinazione CMF “classico” o similare, e la combinazione vinorelbina e capecitabina. Dopo il fallimento dei trattamenti di seconda linea è dimostrato che i tassi di risposta obiettiva si riducono notevolmente qualunque sia il trattamento chemioterapico prescelto, e pertanto in questa situazione la terapia deve tenere conto soprattutto della qualità della vita delle pazienti. In questi casi deve essere tenuto presente il trattamento endocrino essendo possibili con la terapia ormonale risposte comprese tra il 20% e 35% in pazienti inizialmente, o successivamente divenute non responsive alla chemioterapia. 4) LA TERAPIA PREOPERATORIA O NEOADIUVANTE Per terapia neoadiuvante s’intende la somministrazione di farmaci che precede la terapia locoregionale (chirurgia, radioterapia) nei pazienti con neoplasie localmente avanzate inoperabili o per le quali non sia fattibile, in prima istanza, un intervento conservativo. Obiettivi della terapia primaria • Rendere radicalmente operabile una neoplasia localmente avanzata. • Consentire l’esecuzione di un intervento chirurgico conservativo, se le dimensioni della neoplasia impongono un intervento demolitivo. • Ridurre l’incidenza delle recidive locali. • Eradicare le micrometastasi responsabili della ripresa della malattia. • Valutare in vivo la responsività della neoplasia ai trattamenti Per pazienti candidate al trattamento preoperatorio è indispensabile disporre della caratterizzazione biologica della neoplasia mammaria (valutazione di ER, PgR HER2) ottenuta mediante microistologia. In termini di impatto sulla sopravvivenza libera da malattia e sulla sopravvivenza globale il trattamento preoperatorio è equivalente al trattamento adiuvante. La pCR cioè la risposta completa patologica (assenza all’intervento chirurgico finale, di neoplasia infiltrante sia a livello mammario che linfonodale) nella maggior parte degli studi è risultata un fattore associato ad una migliore sopravvivenza. Carcinoma mammario localmente avanzato Il 10-15% delle neoplasie della mammella, all’atto della diagnosi, presenta un diametro superiore a 5 cm (T3) e/o linfonodi ascellari omolaterali fissi tra loro o ad altre strutture, e vengono definiti localmente avanzati. La peculiarità di tale neoplasia (T3-T4) è quella di essere esente da metastasi clinicamente evidenti a distanza, anche se la storia naturale
F. O . N . C a . M . della neoplasia, in tale stadio, fa ampiamente presupporre la presenza delle stesse seppure a livello microscopico e, quindi, non evidenziabili con gli attuali mezzi diagnostici. Infatti, nella maggior parte delle pazienti, le riprese loco-regionali ed a distanza si manifestano piuttosto precocemente con un tasso di sopravvivenza a 5 anni non superiore al 30-45%. Considerato l’elevato rischio di ricaduta di malattia viene consigliato un trattamento chemioterapico primario per ridurre il volume del tumore primitivo con susseguente approccio chirurgico, conservativo o meno, seguito da un trattamento radiante con lo scopo di ridurre il rischio di recidive locali. Inoltre un ulteriore trattamento adiuvante con farmaci “non cross-resistenti” o terapie targeted, può essere proposto. I regimi chemioterapici maggiormente utilizzati comprendono le antraciclicne e/o i taxani con regimi di combinazionie o sequenziali.. Se la malattia risulta HER2 positiva un trattamento chemioterapico in associazione a trastuzumab dovrebbe esser considerato data l’aumentata incidenza di risposte complete patologiche. In caso di malattia altamente endocrinoresponsiva e HER2 negativa un trattamento endocrino in pazienti postmenopausali rappresenta una valida alternativa. Il tasso di risposte obiettive ottenuti con i regimi polichemioterapici varia da 50% al 85% Nella maggior parte dei casi la terapia chirurgica seguente è la mastectomia radicale, ma se il trattamento chemioterapico ha consentito la riduzione del volume del tumore, si può optare per un trattamento chirurgico conservativo (quadrantectomia) seguito da un trattamento radiante (terapia loco-regionale). Come detto in precedenza, terminato il trattamento loco-regionale è opportuno che le pazienti vengano valutate per un trattamento medico adiuvante (chemioterapia +/- ormonoterapia) con l’intento di prolungare la sopravvivenza libera da malattia. Carcinoma infiammatorio della mammella Il carcinoma infiammatorio o mastite carcinomatosa (T4d nella stadiazione TNM) può essere considerato una variante delle forme localmente avanzate ed è caratterizzato istologicamente da una permeazione linfatica del derma e clinicamente caratterizzato da un aspetto mastitico con pelle a buccia d’arancia ed eritema esteso a più di un terzo della mammella. Non è di frequente riscontro clinico e rappresenta circa l’1-4% dei tumori maligni della mammella. In considerazione della sua storia naturale, caratterizzata da una frequente e precoce disseminazione metastatica, trattamenti integrati chemio+radioterapia +/- chirurgia possono migliorare il controllo locale e a distanza della neoplasia, con un beneficio clinico di oltre il 50% ed un tasso di sopravvivenza a cinque anni pari al 40%. L’approccio terapeutico combinato comprende una polichemioterapia primaria (es a base di taxani e/o antracicline) x
6-8 cicli (4-6 mesi) seguita da un trattamento loco-regionale comprendente chirurgia e radioterapia. Per la gestione corretta delle pazienti con neoplasia mammaria infiammatoria è fondamentale un approccio multidisciplinare con diverse figure coinvolte: oncologo, chirurgo, radioterapista Trattamento integrato delle recidive loco-regionali Nel follow-up post-operatorio di una paziente operata per carcinoma della mammella, sia che abbia fatto una quadrantectomia che una mastectomia radicale, è possibile la comparsa di recidive locali o regionali, cioè di lesioni neoplastiche uniche o multiple a livello cutaneo o sottocutaneo pericicatriziale, o nel residuo della mammella in caso di pregressa quadrantectomia. Ovviamente in queste pazienti è opportuno avviare un’adeguata stadiazione della neoplasia, per escludere la presenza di metastasi a distanza. Un nuovo trattamento chirurgico, di exeresi della recidiva cutanea in caso di mastectomia radicale, è opportuno ma deve essere i seguito da un trattamento integrato di radioterapia e terapia sistemica in accordo a caratteristiche biologiche della malattia 5.LA TERAPIA ADIUVANTE Il razionale e le opzioni terapeutiche Nonostante la esecuzione di una terapia locale radicale adeguata, un significativo sottogruppo di pazienti va incontro nel tempo ad una diffusione metastatica della malattia, probabilità che non è influenzata dalla eventuale esecuzione di terapie locali (chirurgia e/o radioterapia) anche particolarmente aggressive. La probabilità che la malattia si ripresenti a livello loco-regionale e/o a distanza dopo trattamento locale radicale risulta invece associata in maniera importante con la presenza di alcune caratteristiche clinico-patologiche della neoplasia. L’unico presidio terapeutico dimostratosi in grado di modificare la probabilità di diffusione a distanza della malattia dopo terapia locoregionale è risultata la esecuzione di terapie precauzionali definite “adiuvanti” che hanno l’intento di eradicare eventuali foci microscopici di cellule tumorali residui. Indicatori prognostici/predittivi E’ oggi univocamente accettato che la scelta di un trattamento adiuvante debba essere basato sulla conoscenza di alcune caratteristiche cliniche, patologiche e biologiche del tumore di importante valore prognostico (fattori correlati con l’andamento della malattia ed indipendenti dal ruolo svolto da eventuali terapie) e/o predittivo (fattori correlati con la probabilità di risposta a specifici tipi di terapia adiuvante). L’indicatore prognostico più importante per la determinazione del rischio di ripresa è costituito dallo stato linfonodale (presenza o meno e numero di linfonodi ascellari metastaN. 59 - 2010
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F. O . N . C a . M . tizzati al momento della chirurgia) valutato con le comuni procedure patologiche (almeno 6-8 linfonodi esaminati). Per pazienti con linfonodi negativi, il rischio di ripresa di malattia è di circa 25-30% a 5 anni di follow-up, significativamente inferiore a quello delle pazienti con linfonodi positivi. Le pazienti con linfonodi positivi possono ulteriormente essere suddivise in sottogruppi con 1-3, 4-10 e >10 linfonodi positivi che risultano caratterizzate da prognosi progressivamente peggiore. L’eventuale ruolo prognostico della presenza di micrometastasi linfonodali evidenziata con metodiche di tipo immunoistochimico o molecolare non è completamente chiarito anche se la maggior parte degli studi pubblicati ha riportato un modesto incremento del rischio di ripresa di malattia se presenza di micrometastasi Un altro fattore prognostico è costituito dalle dimensioni del tumore primitivo. In assenza di altri indicatori prognosticamente favorevoli, il rischio di ripresa di malattia in donne con diametro del tumore primitivo <1cm è considerato inferiore al 10% a 5 anni. Il grado di differenziazione citoistologica, grading citoistologico, permette la individuazione di pazienti con neoplasie poco differenziate (Grade G3). Questo indicatore viene determinato secondo vari metodi. Quello comunemente utilizzato a fini prognostici per il ca. mammario è costituito dal Grade di Ellis ed Elston che tiene conto contemporaneamente del grado di differenziazione istologica, della presenza di atipie nucleari e dell’indice mitotico della neoplasia. I metodi di valutazione del grading cito-istologico non sono esenti da importanti problemi di riproducibilità inter ed intra-osservatore per cui si consiglia fortemente ai Laboratori che forniscono detta informazione, l’adesione a programmi di Controllo di Qualità L’indice di proliferazione cellulare tumorale (in particolare la valutazione del Ki67) costituisce un importante fattore prognostico;da recenti lavori l’espressione del ki67 potrebbe essere utilizzato come fattore nella selezione delle donne da candidare alla chemioterapia. Inoltre nel setting preoperatorio è stata dimostrata in studi retrospettivi una correlazione tra elevati valori di ki 67 e maggiore probabilità di risposta alla chemioterapia Lo stato dei recettori ormonali (recettori per estrogeno, RE; recettori per progesterone, RPg) rappresenta il principale ed insostituibile indicatore predittivo di risposta alla terapia con farmaci di tipo ormonale.La probabilità di beneficiare di un trattamento endocrino aumenta con l’aumentare della percentuale di cellule positive. E’ sempre raccomandabile una valutazione quantitativa dell’espressione recettoriale (% di cellule positive) Lo stato recettoriale dovrebbe essere determinato con metodica immunoistochimica; si consiglia l’adesione dei Laboratori a specifici programmi di Controllo di Qualità. L’espressione della proteina HER-2 è un fattore prognostico in quanto le neoplasie HER2 positive hanno un decosro 32
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più severo rispetto alle neoplasie HER2 negativo. L’HER2 inoltre è un fattore predittivo di risposta al trattamento con terapia anti HER2 e sembra essere predittivo di risposta ad alcuni trattamenti (chemioterapia comprendente antraci cline, inibitore aromatasi). La determinazione della positività HER2 puo’ essere effettuata con metodica immunoistochimica (sovra espressione) o con metodica FISH (amplificazione). L’invasione vascolare, in particolare il riscontro di una estesa invasione vascolare, rappresenta un valore prognostico di più recente identificazione. La scelta del trattamento adiuvante La strategia di utilizzo delle diverse terapie adiuvanti (ormonale, chemioterapica, biologica) è dipendente dalle caratteristiche biologiche della neoplasia mammaria radicalmente asportata. Nella selezione della terapia precauzionale personalizzata alcuni quesiti devono essere tenuti in considerazione: 1) Vi è indicazione ad un trattamento ormonale? 2) Vi è indicazione ad un trattamento anti HER2? 3) Vi è indicazione ad un trattamento chemioterapico? Per poter rispondere a queste domande è fondamentale che sia stata eseguita una caratterizzazione in immunoistochimica della neoplasia con la valutazione di tutti i parametri precendetemente esposti: stato recettoriale, HER2, grado di differenziazione, indice di proliferazione, invasione vascolare,diametro tumorale e dello stato linfonodale. L’indicazione alle diverse modalità di terapia adiuvante è riportata nella Tabella 5. Tabella 5) Indicazioni alla terapia adiuvante
TRATTAMENTO
INDICAZIONE
Terapia endocrina
ER positivo
Terapia anti HER2
HER2 positivo
Chemioterapia
In caso di neoplasia HER2 positivo (Trastuzumab indicato in combinazione o in sequenza alla chemioterapia) Neoplasia triple negative (maggior parte dei casi) Neoplasia ER positiva e HER2 negativa (in accordo al rischio)
Terapia ormonale adiuvante La terapia ormonale deve essere inclusa nel programma di terapia adiuvante in presenza di recettori ormonali positivi. (dato che anche una minima espressione recettoriale supporta l’utilizzo di un trattamento endocrino tale valutazione deve essere effettuata preferibilmente con una valutazione
F. O . N . C a . M . quantitativa della percentuale di cellule positive). In casi in cui venga riportata la positività per il solo recettore per il progesterone è consigliata la ripetizione dell’esame per probabile presenza di artefatti. Terapia ormonale adiuvante nelle donne in premenopausa Il trattamento con tamoxifene o la combinazione di tamoxifene con la soppressione ovarica (LHRH analoghi), entrambi per 5 anni viene considerato un trattamento adeguato per le donne in premenopausa con neoplasia mammaria endocrinoresponsiva. In considerazione dei limitati e preliminari dati sul vantaggio di una durata prolungata di trattamento con tamoxifene e al di fuori di trial clinici la durata standard è di 5 anni. La somministrazione del solo LHRH analogo è indicata in casi selezionati. Gli inibitori dell’aromatasi nelle donne giovani sono indicati in presenza di controindicazioni al tamoxifene (es eventi trombo embolici) e devono essere assunti in combinazione con LHRH analogo. Il concomitante utilizzo di farmaci che agiscono sul citocromo CYP2D6 (es inibitore del reuptake della serotonina)in grado potenzialmente di inibire o indurre il metabolismo del tamoxifene, non rappresenta ad oggi una controindicazione assoluta all’assunzione di tamoxifene. La valutazione periodica dei livelli sierici dell’estradiolo è consigliata in donne giovani che assumono inibitori dell’aromatasi. Terapia ormonale adiuvante nelle donne in postmenopausa Il trattamento con inibitore dell’aromatasi dovrebbe essere incluso nella strategia terapeutica adiuvante per donne in post menopausa con neoplasia mammaria ormonoresponsiva. L’inibitore dell’aromatasi può essere somministrato in sequenza dopo 2-3 anni di tamoxifene e in up front. La strategia di up front viene in genere preferita per le pazienti ad elevato rischio di recidiva precoce. In casi a basso rischio o in presenza di controindicazioni all’uso degli inibitori dell’aromatasi (grave osteoporosi non controllata dalle terapie specifiche) può essere proposto un trattamento ormonale con tamoxifene. Il trattamento prolungato oltre i 5 anni con inibitori dell’aromatasi non steroideo deve essere discusso con la paziente in caso di rischio di recidiva elevato (pN+). Terapia adiuvante anti HER2 Il trattamento anti HER2 è indicato in pazienti con neoplasia mammaria HER2 positiva, in accordo alla definizione dell’American Society of Clinical Oncology e del College of American Pathologsts (ASCO/CAP). Secondo tali definizioni vi è indicazione al trattamento anti HER 2 per neoplasie mammarie con: • Positività per HER2 intensa e completa >30% delle cellule
valutata con immunoistochimica oppure • Presenza di amplificazione per HER2 valutata mediante FISH test (ibridizzazione in situ) con ratio>2.2 oppure • HER2 positivo valutato mediante CISH test (ibridizzazione cromogenica in situ) Il trattamento adiuvante standard anti HER2 prevede il Trastuzumab per 18 sommnistrazioni (1 ogni 21 giorni). Tale trattamento viene di solito eseguito al termine o in combinazione con la chemioterapia adiuvante e al termine della radioterapia (se indicata). Non sono ancora disponibili i dati relativi all’efficacia di un trattamento più prolungato (2 anni) ed è in corso il confronto tra il trattamento standard (1 anno) vs un trattamento più breve (9 settimane). Per tumori molto piccoli (pT<1cm pN0) non vi sono chiare indicazioni sulla necessità di effettuare il trattamento biologico, in particolare in presenza di malattia endocrinoresponsiva. Durante il trattamento con trastuzumab, per il potenziale rischio di cardiotossicità, è raccomandato un monitoraggio cardiologico regolare con ecocardiogramma. Altri effetti collaterali possono essere legati a reazioni infusionale,in genere di lieve entità come febbre, brividi. Chemioterapia adiuvante La definizione delle donne candidate a chemioterapia adiuvante risulta più complessa. Indicazione alla chemioterapia: 1) In caso di neoplasia HER2 positiva, candidata a trattamento con trastuzumab 2) In caso di neoplasia triplo negativa (caratterizzata cioè dal’assenza di ER, PgR, HER2). Per la neoplasia endocrinoresponsiva HER2 negativa, l’inclusione della chemioterapia nel programma di terapia adiuvante, può essere una scelta complessa. Tale scelta è basata sulla valutazione del rischio di recidiva in accordo alle caratteristiche della neoplasia con scenari molto variegati partendo da situazioni di basso rischio di recidiva, per i quali viene considerato adeguata la terapia endocrina da sola a casi ad alto rischio nei quali viene consigliata anche la chemioterapia (vedi Tabella 6). In caso di malattia altamente endocrinoresponsiva (es. ER e PgR>50% HER2 neg) viene in genere considerato adeguato il solo trattamento endocrino. Ad oggi non esiste un trattamento chemioterapico standard, valido per le diverse tipologie di pazienti. Nella maggior parte dei casi vengono utilizzati schemi polichemioterapici comprendenti antraciclina, fluorouracile, ciclofosfamide (es. CAF, CEF, FAC, FEC), adeguati sono anche considerati alcuni regimi sequenziali comprendenti antracilina e taxano, (es antracicline e ciclofosfamide –AC- per 4 cicli seguito da paclitaxel o docetaxel per 4 cicli) I regimi dose-dense possono essere considerati nel trattamento precauzionale mentre regimi ad alte dosi con supN. 59 - 2010
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F. O . N . C a . M . rapeutici in genere statisticamente rilevanti ma dalla grandezza assoluta limitata e per lo più accompagnati da effetti tossici immeIndicazione Fattori non Indicazione diati e tardivi che rendono spesso delicata la Chemioterapia dirimenti endocrino terapia valutazione di un suo bilancio in termini di + endocrinoterapia per la decisione da sola rapporto costi-beneficio. Diversi studi hanno Alta espressione dimostrato che le pazienti sono in genere diER e PgR Bassa espressione recettoriale sponibili ad accettare anche trattamenti che garantiscono un guadagno in probabilità di G2 G1 Grado istologico (G) G3 sopravvivenza solo di un 1-2% ma rimarcano anche quanto importante sia, per esse, l’esigenza di essere ampiamente informati sia sul Intermedia(16-30%) Bassa (<15%) Proliferazione (Ki67) Alta (>30%) rischio personale sia sugli effetti della terapia adiuvante. E’ quindi assolutamente necessapN+(1-3 linfonodi) pN0 Linfonodi (pN) pN+ (>4 linfonodi) rio che tutte le informazioni relative al rischio ed agli effetti collaterali vengano fornite dal PVI assente Invasione vascolare (PVI) PVI estesa medico in modo dettagliato ed esauriente. Inoltre, tra gli effetti collaterali occorre tenere anche in considerazione lo stress psicologico 2.1-5 cm ≤2cm Diametro tumorale (pT) >5 cm che generalmente accompagna la paziente limitatamente ai primi tre anni dall’intervento Evitare effetti collaterali Preferenze paziente Tutti i trattamenti disponibili e dal successivo trattamento chemioterapico. Si sottolinea la necessità di disporre di mateScore intermedio Score basso Gene signature Score alto riale informativo da sottoporre alla attenzione della paziente e che la aiuti a focalizzare l’attenzione sui più importanti aspetti della porto di cellule staminali non devono essere utilizzati al di terapia adiuvante. fuori di trial clinici. Schemi di chemioterapia che possono I maggior doveri informativi del medico rispetto ad una paessere considerati nei pazienti con neoplasia endocrinoreziente candidata ad iniziare un trattamento adiuvante possosponsiva comprendono regimi meno intensivi, come AC no essere così riassunti: Informare la paziente su: per 4 cicli. • Valutazione del rischio di ripresa della malattia Nella malattia triplo-negativa dovrebbero essere considerati • Scopi della terapia medica adiuvante 6 cicli di trattamento e in casi selezionati puo’ essere utilizza• Valutazione della probabilità di efficacia dei trattamenti to lo schema CMF classico per 6 cicli. Tuttavia va sottolineamedici to che nel gruppo di neoplasie triple negative sono compresi • Illustrazione delle terapie farmacologiche possibili e istotipi rari (es. midollare, apocrino, adenoido cistico) per i criteri di scelta quali, l’indicazione alla chemioterapia è controversa. • Possibili complicanze ed esiti Per le pazienti anziane va discussa una durata inferiore della • Tempi approssimativi di attesa e di completamento chemioterapia (es. antraciclina settimanale per 12-16 setdella terapia timane), anche se l’età da sola non rappresenta un fattore • Informazioni sulla qualità di vita (vita di relazione e discriminante per la scelta del trattamento. L’avvio precoce lavorativa) della chemioterapia adiuvante sembra essere importante per Indicatori di qualità del trattamento medico adiuvante le pazienti con malattia non endocrinoresponsiva. 1. Tempi di inizio della terapia adiuvante dopo la chirurgia L’utilizzo dei fattori di crescita ematopoietici va in genere riradicale: 4-6 settimane servato a casi selezionati e non ne è consigliabile un utilizzo 2. Disponibilità di Indicatori prognostici e predittivi routinario. Analisi di studi non randomizzati riporterebbero In tutti i casi è necessario disporre della caraterizzazione bioun maggior numero di casi di mielodisplasia e di leucemia logica della neoplasia acuta in donne anziane che hanno ricevuto la chemioterapia 3. Apertura di normale cartella clinica (anche ambulatoriale adiuvante e il supporto ematopoietico. o di Day-hospital) Tale osservazioni non sono state però confermate da studi con indicazione del programma terapeutico e della terapia prospettici randomizzati. già eseguita completa di dosaggi ed effetti tossici 4. Disponibilità da parte della paziente di un cartellino di 6. QUALITA’ DI VITA IN PAZIENTI TRATTATI CON TEterapia adiuvante RAPIA ADIUVANTE E RAPPORTO MEDICO PAZIENTE programmata e già svolta in dotazione al paziente. La terapia medica adiuvante è caratterizzata da benefici teTabella 6) Scelta del trattamento in pazienti con neoplasia mammaria ER positivi e HER 2 negtiivo
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Lipofilling e cellule staminali adipose
MARCO KLINGER, DAVIDE FORCELLINI, VALERIA BANDI, BARBARA BANZATTI, VALERIANO VINCI, FABIO CAVIGGIOLI Università degli Studi di Milano, Cattedra di Chirurgia Plastica - Unità Operativa di Chirurgia Plastica 2, IRCCS Istituto Clinico Humanitas - Rozzano (Milano), Italy.
INTRODUZIONE La medicina rigenerativa e l’ingegneria tessutale si sono sviluppate in parallelo con i recenti progressi delle biotecnologie che, combinando biomateriali, fattori di crescita e cellule staminali, si propongono di riparare i danni tessutali. Le cellule staminali possiedono la capacità di autorinnovamento, una vitalità a lungo termine e una potenzialità di originare e differenziare in più popolazioni cellulari. Fonti ben conosciute di cellule staminali sono quelle embrionali e quelle adulte del midollo osseo. L’impiego delle prime presenta limitazioni etiche e legislative mentre quello delle seconde problemi di morbilità, di elevato dolore post-chirurgico e di limitato numero di cellule ottenibili (1). Il tessuto adiposo, di derivazione mesenchimale come il midollo osseo, è stato di recente individuato come una fonte ideale di cellule staminali adulte. Infatti, recenti studi, mostrano come il tessuto adiposo contenga una alta percentuale di tali cellule (2) (Figura 1). Si stima, inoltre, che si possano isolare circa 350.000 pre-adipociti da 1 grammo di grasso (3). Storicamente l’utilizzo del grasso a scopo ricostruttivo, nella cura delle deformità congenite, delle ferite traumatiche complesse con perdita dei tessuti molli, dopo chirurgia oncologica demolitiva fu inizialmente proposto nel 1893 da Neuber (3), da Hollander nel 1912 (4), da Neuhof nel 1923 (4) e da Josef nel 1931 (5). Sia nei primi lavori pionieristici che in quelli successivi (6) lo svantaggio dell’innesto di grasso autologo era l’imprevedibile riassorbimento del volume di tessuto innestato che poteva raggiungere il 70% a causa dell’insufficiente vascolarizzazione (7). Nel 1992 Coleman
descrisse una tecnica per aumentare la sopravvivenza del grasso prelevato mediante liposuzione e trapianto tramite iniezione (8). Tale metodica, detta lipostruttura, è una tecnica chirurgica semplice, oramai standardizzata, ampiamente diffusa, di tipo mini-invasivo, con una ridotta morbilità ed utilizzata in diversi contesti clinici per il rimodellamento corporeo a scopo ricostruttivo e/o estetico (9). L’evidenza clinica del miglioramento delle caratteristiche trofiche dei tegumenti dopo tali trattamenti è sempre stato sottovalutato fino all’esperienza di Verona che lo evidenziò negli esiti di quadrantectomie e radioterapia e in altri casi di radionecrosi (10). Prendendo spunto da questo, abbiamo applicato la stessa tecnica chirurgica nel campo degli esiti cicatriziali. Nella fattispecie, abbiamo inizialmente trattato mediante lipostruttura le cicatrici da ustione considerando la possibilità di effettuare delle biopsie cutanee prima e a distanza di tempo dal trattamento. Più di recente significativi risultati clinici sono stati anche ottenuti mediante l’impiego di cellule staminali adulte derivate dal tessuto adiposo nel trattamento dell’insufficienza glottica (11), dei difetti ossei della calvaria (12) e delle ulcerazioni croniche (13). TECNICA CHIRURGICA Il paziente candidato a lipofilling viene usualmente sottoposto agli esami pre-operatori di routine. La procedura viene eseguita in anestesia locale assistita con tecnica sterile. Le sedi donatrici prescelte sono l’addome e/o i fianchi per la facile accessibilità al paziente in posizione supina, per l’abbondante riserva di tessuto adiposo e per la assenza di esiti postoperatori della sede di prelievo. Dopo la preliminare incisione della cute con un bisturi a lama 11, utilizzando una cannula a punta smussa si effettua l’infiltrazione dell’area donatrice con 100 ml di soluzione fisiologica fredda addizionata con una fiala (10ml) di levobupivacaina cloridrato (7.5mg/ml), due fiale (20ml) di mepivacaina cloN. 59 - 2010
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ridrato (10mg/ml) e mezza fiala (0,5ml) di adrenalina (1mg/ ml) qualora non sussistano comorbidità cardiocircolatorie che ne impediscano l’utilizzo. L’infiltrazione garantisce una buona emostasi e una adeguata azione analgesica operatoria e perioperatoria. Si preleva il grasso attraverso la stessa incisione praticata per l’infiltrazione della miscela anestetica con cannule di 2-3 mm di diametro della lunghezza variabile tra 15-23 cm a punta smussa. La cannula utilizzata per il prelievo è collegata con una siringa Luer-Lock da 10 cc. Estraendo il pistone della siringa e bloccandolo a fine corsa con una pinza tipo “Backhaus” si crea, all’interno della stessa, una lieve pressione negativa mentre la cannula viene avanzata e retratta con movimento a raggiera nel sito donatore. Quando la siringa è piena la si chiude utilizzando un tappo Luer-Lock per prevenire la dispersione del contenuto e si rimuove il pistone della siringa. La siringa è a questo punto posizionata in una centrifuga con contenitori risterilizzabili e centrifugata a 3000 giri per 3 minuti. La quantità di tessuto che si preleva è molto variabile e dipende sostanzialmente dalla estensione della sede da trattare, dal tipo di patologia e dalla quantità di tessuto adiposo presente a livello del sito donatore. Dopo tale procedura il lipoaspirato si separa in tre ben distinti strati. Lo strato al livello superiore, il meno denso, è composto da olio derivato dalla rottura delle cellule adipose, la porzione intermedia è costituita prevalentemente dal tessuto vascolo-stromale e adipociti ed il livello inferiore, quello più denso, è costituito da cellule ematiche danneggiate, acqua e miscela anestetica. Lo strato oleoso viene assorbito da strisce di tessuto prima di rimuovere il tappo dalla siringa che, una volta rimosso, permette il drenaggio per gravità della porzione acquosa. Il grasso purificato contenente le cellule staminali adulte mantenute nel loro “scaffold” tridimensionale naturale, così da favorire la ricostruzione di un letto microvascolare (14), è trasferito quindi da una siringa da 10 cc in una siringa da 1 cc Luer-Lock che permette un preciso controllo della quan36
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tità di grasso iniettato e una migliore maneggevolezza. La frazione di lipoaspirato purificato è quindi iniettata tramite aghi da spinale da 18G o, tramite una piccola incisione della cute, con cannule della lunghezza di 7 o 9 centimetri di 0.10.2 mm (Figura 2). La frazione di lipoaspirato viene depositata a livello della giunzione dermo-ipodermica nel caso di un esito cicatriziale da ustione o da pregressa chirurgia, di un esito di radioterapia, o a livello dei margini di un ulcera o di un tramite fistoloso da trattare. Attraverso la stessa incisione si effettuano molti passaggi con disposizione a raggiera così da disporre il grasso in più direzioni secondo un ideale disegno a forma di ragnatela a supporto delle aree lesionate. La quantità di grasso iniettata ad ogni passaggio è minima così da evitare irregolarità ed ammassi che sono eventualmente risolti con la manipolazione digitale. L’iniezione è effettuata con tecnica retrograda lasciando un piccolissimo spazio tra una filiera di tessuto iniettato e l’altra. L’area trattata, sottoposta a lipostruttura, è delimitata con cerotti di carta per 1 settimana e si raccomanda al paziente di evitare pressioni e sfregamenti per limitare la dislocazione del grasso infiltrato. Le incisioni di accesso nella sede di prelievo sono suturate con nylon 5/0. L’addome e i fianchi vengono medicati con cuscinetti di schiuma autoadesiva tipo “Reston” e una benda adesiva elastica in tensione per circa 3 giorni. INNESTO DI TESSUTO ADIPOSO AUTOLOGO ED ESITI CICATRIZIALI La terapia degli esiti cicatriziali è particolarmente difficile per la presenza della fibrosi tessutale e delle retrazioni, delle aree ipertrofiche e cheloidi con sovvertimento della normale trama e colorazione cutanea. Al volto le contratture cicatriziali possono provocare microstomia (soprattutto quando si tratta di esiti cicatriziali da ustione), eversione del labbro e ectropion cicatriziale. Al collo, alle mani, ai piedi ed alle ascelle si può assistere ad una riduzione del range di movi-
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mento passivo ed attivo con atteggiamenti posturali obbligati. Le terapie proposte variano da quelle chirurgiche con l’impiego delle tradizionali plastiche a Z, V-Y e il ricorso ai lembi (15), a terapie conservative e mediche come l’applicazione di indumenti elasto-compressivi (16) e di lamine o gel di silicone (17), la fisioterapia, l’utilizzo di splint (18), le iniezioni intracicatriziali di corticosteroidi, la laserterapia, la crioterapia e la radioterapia (19). Si tratta di terapie che possono dare buoni risultati ma un’elevata tendenza alle recidive. Inoltre, alla guarigione delle aree ustionate, spesso residuano prurito persistente nel 15% e occasionale nel 44% dei casi (20), parestesie nell’82% dei pazienti (21), dolori, disturbi della sudorazione con turbe della termoregolazione (22). Le cellule staminali adulte mesenchimali sono una nuova e promettente terapia proposta per la riparazione dei danni tessutali. Infatti le cellule staminali adulte ottenute dal midollo osseo o dal grasso possono differenziarsi in diversi fenotipi cellulari quali l’osso, il grasso, la cartilagine, il muscolo, la pelle e il tessuto nervoso. Recenti studi hanno dimostrato che il grasso lipoaspirato e purificato secondo la tecnica proposta da Coleman contiene un pool di cellule staminali mesenchimali con potenziale di differenziazione in più linee cellulari. L’iniezione del derivato vascolo-stromale del lipoaspirato è risultato un promettente ed efficace approccio terapeutico agli esiti cronici e degenerativi della radioterapia (10,23). Per quanto concerne la nostra esperienza, abbiamo utilizzato la tecnica della lipostruttura per il trattamento delle cicatrici profonde da ustione. Nei pazienti trattati si è osservato un miglioramento clinico e istologico del tessuto danneggiato. Tale reperto non è attribuibile agli adipociti maturi danneggiati dai trattamenti di aspirazione e purificazione ed incapaci di sopravvivere nel sito di inoculazione, ma solo alla frazione delle cellule staminali iniettate che rappresentano la componente rigenerativa attiva nel tessuto vascolo-stromale trapiantato. La pressoché completa rigenerazione e norma-
lizzazione del derma e del tessuto sottocutaneo inizia con la liberazione di citochine, fattori di crescita e angiogenetici, la formazione di nuovi vasi e la differenziazione delle cellule staminali in adipociti maturi. La lipostruttura sembra quindi migliorare la giunzione dermo-ipodermica delle aree cicatriziali con l’aumento dello strato adiposo largamente distrutto dalla lesione termica e scarsamente rigenerato nel corso del processo di riparazione tessutale. Interessante alla luce dei risultati clinici del nostro studio l’osservazione sperimentale di Brzoska della differenziazione epiteliale delle cellule staminali adulte derivate dal tessuto adiposo (23). Questi risultati, che abbiamo ottenuto in primis nel trattamento degli esiti cicatriziali da ustione, sono stati evidenziati anche nel trattamento di altre tipologie di esiti cicatriziali quali gli esiti di trauma, gli esiti di radioterapia e gli esiti di pregressa chirurgia (24,25,26). Il trapianto di tessuto adiposo autologo permette infatti un miglioramento della trama cutanea in sede cicatriziale con uno sbrigliamento delle retrazioni (Figura 3). La cute trattata presenta una maggiore plicabilità e, considerando gli esiti di ustione al volto, si assiste al recupero della mimica facciale con una discreta attenuazione delle discromie ed un importante miglioramento dell’area trattata anche in termini estetici (Figura 4). Gli effetti rigenerativi documentati attraverso i preparati bioptici testimoniano un’ipertrofia delle papille dermiche, una ricomparsa degli annessi dermo-epidermici che sono chiaramente assenti nel contesto del tessuto cicatriziale ed una neovascolarizzazione (Figura 5). Da un punto di vista clinico infatti la cute trattata diventa più simile alla cute non cicatriziale. INNESTO DI TESSUTO ADIPOSO AUTOLOGO E CHIRURGIA MAMMARIA Le applicazioni attuali dell’innesto di tessuto adiposo autologo nell’ambito della chirurgia mammaria sono molteplici. Numerosi studi scientifici testimoniano il ricorso a tale tecnica per quanto riguarda la chirurgia ricostruttiva. Al momento non esistono studi scientifici che documentano un aumentato rischio di sviluppo di neoplasia mammaria dopo tali trattamenti (27). Considerando la chirurgia ricostruttiva, l’innesto di tessuto adiposo autologo ha un ruolo determinante. In primis gli esiti cronici e degenerativi della radioterapia possono ampiamente beneficiare dell’apporto locale della frazione vascolo-stromale del lipoaspirato (10-23). L’effetto rigenerativo permette, infatti, una risoluzione di gran parte delle ulcere radiodermitiche e garantisce un netto miglioramento degli esiti cicatriziali che si riscontrano in seguito a quadranN. 59 - 2010
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4) Neuhof H The transplantation of tissues. New York Appleton et Comp 1923. 5) Josef J Nasenplastic und sonstige Gesichtplstik nebst einem anhang ueber mammaplstik und einige weitere Operationem aus dem Gebiete der ausserem K-rperplastik, ein atlas und ein lehrbuch Berlin 1931. 6) Billings E Jr, May JW Jr Historical review and present status of free fat graft autotransplantation in plastic and reconstructive surgery. Plast Reconstr Surg 83 (2): 368-381, 1989. 7) Von Heimburg D, Hemmrich K, Haydarlioglu S, Staiger H, Pallua N. Comparison of viable cell yield from excised versus aspired adipose tissue. Cells Tissues Organs 178 (2): 87-92, 2004. 8) Coleman SR Long-term survival of fat transplants: controlled demonstrations. Aesthetic Plast.Surg 19: 421-425, 1995. 9) Coleman SR Facial augmentation with structural fat grafting. Clin Plast Surg 33 (4): 567-577, 2006. 10) Rigotti G, Marchi A, Galiè M, Baroni G, Benati D, Krampera M, Pasini A, Sbarbati A Clinical treatment of radiotherapy tissue damage by lipoaspirate transplant: a healing process mediated by adipose-derived adult stem cell. Plast. Reconstr Surg 119: 1409-1422, 2007. 11) Cantarella G, Mazzola RF, Domenichini E. Otolaryngol Head Neck Surg 132: 239, 2005. 12) Lendeckel S, Jodicke A, Christophis P Autologous stem cell (adipose) and fibrin glue used to treat widespread traumatic calvarian defects: case report. J Craniomaxillofac Surg 32: 370, 2004. 13) Garcia-Olmo D, Garcia-Arranz M, Herreros D A phase I clinical trial of the treatment of Crohn’s fistula by adipose mesenchymal stem cell transplantation. Dis Colon Rectum 48: 1416, 2005. 14) Scherberich A, Beretz A Culture of vascular cell in tridimensional (3-D) collagen: a methodological review. Therapie 55: 35, 2000. 15) Suliman MT Experience with the seven flap-plasty for the release of burns contrctures. Burns 30: 374-379, 2004. 16) Costa AM, Peyrol S, Porto LC Mechanical forces induce scar remodelling: study in non-pressure-treated versus pressure –treated hypertrophic scar. Am J Pathol 155: 16711679, 1999. 17) Klinger F, Caviggioli F, Villani F, Forcellini D, Catania B,
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Vinci V. Topical silicone sheets in the prevention of hypertrofic scars after reductive mammaplasty. Journal of Plastic Dermatology 2009; 5, 2: 1-5 18) Richard R, Miller S, Staley M Multimodal versus progressive treatment techniques to correct burn scar contractures. J Burn Care Rehabil 21: 506-512, 2000. 19) Reish RG, Eriksson E. Scars: a review of emerging and currently available therapies. Plast Reconstr Surg. 2008 Oct;122(4):1068-78. 20) Willebrand M, Low A, Dryster-Aas J Pruritus personality traits and coping in long-term follow-up of burn-injured patients. Acta Derm Venerol 84: 375-380, 2004. 21) Malenfant A, Forget R, Papillon J Prevalence and characteristics of chronic sensory problems in burn patients. Pain 67: 493-500, 1996. 22) Shapiro Y, Epstein Y, Ben-Simchon C Thermoregulatory responses of patients with excessive healed burns. J Appl Physiol 53: 1019-1022, 1982. 23) Brzoska M, Geiger H, Gauer S, Baer P Epithelial differentiation of human adipose tissue-derived adult stem cells. Biochemical and Biophysical Research Comunications 330: 142-150, 2005. 24) Klinger M, Caviggioli F, Forcellini D, Villani F. Scars: a review of emerging and currently available therapies. Plast Reconstr Surg. 2009 Jul;124(1):330. 25) Klinger M, Marazzi M, Vigo D, Torre M.Fat Injection for Cases of Severe Burn Outcomes: A New Perspective of Scar Remodeling and Reduction. Aesth Plast Surg (2008) 32:465–469. 26) Caviggioli F, Klinger F, Villani F, Fossati C, Vinci V, Klinger M. Correction of Cicatricial Ectropion by Autologous Fat Graft. Aesth Plast Surg (2008) 32:555–557. 27) Gutowski KA; ASPS Fat Graft Task Force. Current Application and Safety of Autologous Fat Grafts: A Report of the ASPS Fat Graft Task Force. Plast Reconstr Surg. 2009 Jul;124(1):272-80. 28) Villani F, Caviggioli F, Klinger F, Maione L, Klinger M. Fat graft before breast reconstruction by latissimus dorsi. Plast Reconstr Surg, in press 29) Caviggioli F, Villani F, Forcellini D, Vinci V, Klinger F. Nipple resuscitation by lipostructure in burn sequelae and scar retraction. Plast Reconstr Surg, in press
Figura 1) La marcatura con CD90 alla microscopia monofocale evidenzia le cellule staminali contenute all’interno del lipoaspirato.
a)
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b)
c) Figura 2) Dopo l'infiltrazione del sito donatore e l'attesa di 7 minuti affinchè avvenga l'effetto analgesico e ischemizzante, si procede mediante una lipectomia aspirativa (immagine a). La centrifugazione del lipoaspirato a 3000 giri per 3 minuti consente la separazione del lipoaspirato in tre distinti strati: quello superiore è composto dall'olio derivato dalla rottura delle cellule adipose, quello intermedio è composto da adipociti e tessuto vascolo-stromale, quello inferiore è composto da cellule ematiche danneggiate, acqua e miscela anestetica (immagine b). Il grasso purificato viene trasferito da una siringa da 10 cc (immagine c) in una siringa da 1 cc Luer-Lock. La frazione di lipoaspirato purificato viene iniettata tramite aghi da spinale da 18G.
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Figura 3) La paziente affetta da gravi esiti cicatriziali da pregressa ustione dolenti e limitanti l’abduzione dell’arto superiore sinistro, è stata sottoposta a 3 trattamenti di innesto di tessuto adiposo autologo. L’immagine postoperatoria documenta il miglioramento del tonotrofismo cutaneo, la regressione di alcuni cheloidi nel contesto dell’area cicatriziale, lo sbrigliamento di tutta la zona trattata. La paziente riferisce un netto decremento della sintomatologia algica.
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Figura 5) EE [4X] In alto preparato prelevato dal canto interno dell' occhio sinistro, regione cicatriziale non precedentemente trattata con lipofilling. Nella colorazione viene evidenziata la presenza di tessuto fibroso di riorganizzazione, collagene (rosa) e qualche raro fibroblasto in rosa più scuro. In basso preparato prelevato dalla regione glabellare sinistra dopo 3 mesi dall'innesto di tessuto adiposo autologo. Sono evidenziabili reperti identificabili una cute sostanzialmente normale. In particolare si possono vedere vasi, ghiandole sebacee e sudoripare (agglomerati azzurri e agglomerati a contenuto più chiaro) e depositi adiposi (agglomerati bianchi).
Figura 6) Esito di quadrantectomia superoesterna sinistra e successiva radioterapia. In basso la paziente dopo 2 trattamenti mediante innesto di tessuto adiposo autologo. Si noti come la procedura abbia permesso uno sbrigliamento della retrazione causata dalla cicatrice e dalla radioterapia con conseguente ricentratura del complesso areola-capezzolo sinistro
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Figura 7) In alto a sinistra paziente affetta da radiodermite mammaria destra in esiti di pregressa quadrantectomia superoesterna destra e successiva radioterapia. In alto a destra la paziente dopo 1 trattamento mediante innesto di tessuto adiposo autologo. In basso a sinistra si noti il particolare con la cute distrofica e teleangectasica che risulta sensibilmente migliorato dopo 1 singolo trattamento (in basso a destra).
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RASSEGNA DELLA LETTERATURA
Scuola Italiana di Senologia MASTER IN ECOGRAFIA SENOLOGICA
Il Master è un percorso formativo, da completarsi entro un anno, strutturato per fornire le conoscenze indispensabili per sfruttare appieno le potenzialità diagnostiche dellʼ ecografia mammaria nel rispetto delle indicazioni e degli standard internazionali.
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Il percorso prevede 120 ore complessive di didattica: 20 di formazione teorica e 100 di insegnamento pratico. La parte teorica si svolge partecipando al corso “Lʼecografia nella diagnostica senologica integrata”. Prossima edizione:
Milano, 22 e 23 marzo Salerno, 21 e 22 giugno Milano, 18 e 19 ottobre La parte pratica è organizzata su tre stage di cinque giorni (lunedi-venerdi) da eseguirsi presso almeno due degli Istituti che collaborano con la Scuola al programma Master. Al termine per il conseguimento dellʼattestato è prevista una prova per la valutazione del livello di preparazione raggiunto.
Per informazioni: Scuola Italiana di Senologia Segreteria Scientifica: Tel. 0331 891074 Fax 0331 891631
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R A S S E G N A D E L L A L E T T E R AT U R A
ANATOMIA PATOLOGICA RECENSIONE A CURA DI I. CASTELLANO E A. SAPINO Sezione Anatomia Patologica, Dipartimento Scienze Biomediche e Oncologia, Università di Torino
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a tecnica chirurgica del Linfonodo Sentinella (LS) nel carcinoma della mammella risale ad una ventina di anni fa. L’attuale TNM sottostadia il LS in: negativo (pN0), negativo con cellule tumorali isolate se le cellule neoplastiche occupano un’area inferiore a 0.2 mm (pN0 i+), positivo per micrometastasi se le dimensioni sono comprese tra 0.2 e 2 mm (pNmic) e positivo per macrometastasi se le dimensioni sono >2mm (pN1a). Per ottemperare a questa classificazione è quindi necessario analizzare il LS mediante un accurato esame istologico che richiede tecniche particolari di inclusione, taglio, allestimento e refertazione. Tali procedure tuttavia mancano di una standardizzazione universalmente riconosciuta. E’ inoltre dibattuta l’esecuzione dell’esame estemporaneo intraoperatorio del LS perchè comporta un rischio di falsi negativi e un elevato impegno del personale nei laboratori di anatomia patologica. In molti centri è eseguita pertanto una diagnosi posticipata, dopo fissazione e inclusione in paraffina del LS stesso, però con la necessità di un secondo intervento di dissezione del cavo ascellare qualora il LS risultasse metastastico. Alla luce di questi problemi sono ora disponibili in commercio dei test rapidi di biologia molecolare che analizzano il LS e che forniscono in circa 30 minuti la risposta sulla sua positività o meno per metastasi. Diversi centri stanno quindi testando l’efficacia di queste nuove metodiche, confrontandole con quelle tradizionali. I due studi di seguito riportati utilizzano il GeneSearch Breast Lymph Node (BNL) Assay (Veridex LLC), un test che identifica le metastasi linfonodali, attraverso una real time RT PCR, per la Mammoglobina e la Citocheratina 19 (CK19). Questo test molecolare prevede la diagnosi intrao-
peratoria su LS, fornendo un risultato di positività o negatività per metastasi, in circa 40 minuti. Mansel RE, Goyal A, Douglas-Jones A Detection of breast cancer metastasis in sentinel lymph nodes using intra-operative real time GeneSearchTM BLN Assay in the operating room: results of the Cardiff study. Breast Cancer Res Treat 2009; 115: 595-600
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o studio riporta i dati ottenuti su 124 LS provenienti da 82 pazienti con carcinoma mammario. Ogni LS era tagliato a fresco lungo l’asse minore e sezioni alterne venivano preparate per la valutazione istologica e quella molecolare. I risultati ottenuti mostrano che il 100% delle macrometastasi ed il 67% delle micrometastasi istologiche sono positive anche con il BNL Assay. Due LS con ITC e 3 LS negativi all’istologia sono risultati invece positivi al test molecolare. La concordanza fra istologia-BNL Assay è del 94%, con una sensibilità del 88.9% ed una specificità del 94.6%. Gli autori concludono quindi che, dati questi valori di specificità e sensibilità più elevati rispetto a quelli riportati per le metodiche utilizzate all’esame estemporaneo tradizionale eseguito con imprint citologico o con sezioni criostatiche, il BNL Assay può essere un valido aiuto nella diagnostica intraoperatoria del LS. Con un taglio più critico il gruppo del Prof. Viale (IEO, Milano) descrive la propria esperienza nello studio di seguito riportato, affermando che la sensibilità del test BNL Assay è in realtà paragonabile a quella ottenibile con l’esame estemporaneo al criostato dell’intero LS con sezioni seriate a 0.2 mm.
Viale G, Dell’Orto P, Biasi MO et al Comparative Evaluation of an Extensive Histopathologic Examination and a Real-Time Reverse-Transcription-Polymerase Chain Reaction Assay for Mammaglobin and CytokeN. 59 - 2010
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ratin 19 on Axillary Sentinel Lymph Nodes of Breast Carcinoma Patients Annals of Surgery 2008; 24 (1) 136-142
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a casitica è di 293 LS provenienti da 293 pazienti con carcinoma mammario. L’analisi molecolare è stata condotta su sezioni raccolte ogni 50 mn. I risultati ottenuti confrontando l’istologia con la metodica molecolare dimostrano che BNL Assay identifica 51/52 macrometastasi, 5/20 micrometastasi e che 11/211 casi negativi per l’istologia sono risultati positivi per l’analisi molecolare. Nella discussione gli autori sostengono che BNL Assay, pur non identificando le ITC e le micrometastasi, ha una buona sensibilità nel distinguere le macrometastasi (94.7%). Secondo gli autori i falsi positivi molecolari possono seguire a contaminazione o amplificazione aspecifica di pseudogeni. Concludono infine che il test molecolare ha una sensibilità paragonabile ma non superiore all’istologia tradizionale. Il lavoro qui di seguito riportato si riferisce invece all’utilizzo del test One-Step Nucleic Acid Amplification (OSNA) Assay (Sysmex), che differisce dalla precedente metodica BNL Assay (VERIDEX) perché identifica solo le copie di CK19 eventualmente presenti a livello linfonodale e perché classifica il LS in negativo, positivo per micrometastasi o positivo per macrometastasi. Tamaki Y, Akiyama F, Iwase T et al Molecular Detection of Lymph Node Metastases in Breast Cancer Patients: Results of a MulticenterTrial Using the One-Step Nucleic Acid Amplification Assay Clin Cancer Res 2009; 15(8) 2879-2884
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engono qui esaminati due trial clinici con due differenti protocolli di sperimentazione, volti da un lato a misurare la sensibilità e la specificità del test (trial 1) e dall’altro a paragonare l’accuratezza diagnostica del test con la l’analisi morfologica tradizionale. In entrambi i trial il LS è stato
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diviso in quattro parti, due delle quali sono state esaminate con OSNA. Le due parti rimanenti sono state esaminate istologicamente dopo fissazione e inclusione in paraffina. Nel trial 1 tali parti del LS sono state tagliate fino ad esaurimento ad intervalli di 0.2 mm colorate alternativamente con Ematossilina-Eosina (EE) e con l’immunocitochimica (ICC) utilizzando anticorpi anti citocheratina ad ampio spettro, mentre nel trial 2 sono state ricavate dalle parti processate solo 2 sezioni, una per EE e una per ICC. I risultati mostrano una buona sensibilità e specificità della metodica OSNA (rispettivamente di 95 e 97%) nel trial 1 effettuato su 124 LS, ed una concordanza del 93% fra istologia tradizionale e test molecolare nel trial 2 effettuato su 164 LS. Gli autori concludono dunque che l’OSNA può essere una valida metodica di ausilio o addirittura sostitutiva nella diagnostica intraoperatoria del LS. I test di sensibilità e specificità della metodica molecolare rispetto all’istologia tradizionale sono tuttavia limitati dal fatto che le due analisi sono eseguite sullo stesso linfonodo, ma non sullo stesso tessuto. In un lavoro recente abbiamo studiato i motivi delle discrepanze tra le due indagini (tradizionale e con biologia molecolare) su LS fissati in methacarn, fissativo che permette anche analisi di PCR. Daniele L, Annaratone L, Allia E Technical limits of comparison of step-sectioning, immunohistochemistry and RT-PCR on breast cancer sentinel nodes: a study on methacarn fixed tissue. J Cell Mol Med 2008; Jul 30
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4 LS sono stati fissati in metacharn ed esaminati a 100 mn di intervallo a diversi livelli. Su sezioni di scarto ottenute tra il livello 4 e 5 è stata eseguita la PCR per CEA, mammoglobina e CK19. Dalla mappatura delle metastasi sui vari livelli di taglio veniva chiaramente dimostrato che il risultato falso negativo in PCR era semplicemente legato
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all’assenza di cellule neoplastiche sul campione di tessuto selezionato per l’indagine molecolare rispetto a quello analizzato per l’analisi istologica. I test molecolari su LS sono stati anche oggetto di questa review pubblicata su Histopathology e di seguito riportata. Douglas-Jones AG and Woods V Molecular assessment of sentinel lymph node in breast cancer management Histopathology 2009, 55: 107-113.
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econdo gli autori le metodiche molecolari sono in grado di ridurre il numero di falsi negativi derivati dalla tecnica istologica tradizionale (in paraffina o su tessuto congelato) e dovuti probabilmente al basso numero di sezioni che il patologo esamina. La review prende poi in considerazione i vantaggi e gli svantaggi di queste metodiche. Tra i primi vi sono: i) i sistemi molecolari sono automatizzati e per l’utilizzo richiedono solo un breve training del personale tecnico dedicato; ii) il grado di concordanza con la morfologia tradizionale è ottimo; iii) la diagnosi viene posta in 40 minuti, con possibilità di procedere alla dissezione del cavo ascellare in un’unica seduta operatoria. Tra gli aspetti negativi vengono contemplati: i) il costo; ii) il fatto che non ci sia materiale di archivio; iii) l’impossibilità di eseguire altre diagnosi su LS (come la sarcoidosi, la toxoplasmosi, le infezioni da micobatteri ed il linfoma) e iv) non ultima l’impossibilità di eseguire marcatori prognostici (come recettore per gli estrogeni ed HER2) nel caso in cui la neoplasia primitiva mammaria sia regredita completamente in seguito ad un trattamento chemioterapico in neoadiuvante. Gli autori infine concludono che verosimilmente sono necessari ulteriori studi per stabilire il rapporto costo/efficacia di queste metodiche, ma che effettivamente questi test rappresentano una significativa traslazione dalla ricerca alla pratica routinaria e che dovrebbero essere applicati anche ad altri tumori come al melanoma o al carcinoma prostatico.
BIOLOGIA CLINICA E TERAPIA MEDICA RECENSIONE A CURA DI C. BIGHIN E P. PRONZATO Oncologia Medica A, Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro, Genova
A M Gonzalez-Angulo, J K. Litton, K R. Broglio, et al High Risk of Recurrence for Patients With Breast Cancer Who Have Human Epidermal Growth Factor Receptor 2– Positive, Node-Negative Tumors 1 cm or Smaller Journal of Clinical Oncology 2009;published online ahead of print on November 2 G Curigliano, G Viale, V Bagnardi, et al. Clinical Relevance of HER2 Overexpression/Amplification in Patients With Small Tumor Size and Node-Negative Breast Cancer Journal of Clinical Oncology 2009; published online ahead of print on November 2
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irca il 25% dei carcinomi della mammella sovra-esprimono il recettore HER2, questa sovra-espressione è associata ad una prognosi peggiore sia in termini di sopravvivenza libera da malattia (DFS) che di sopravvivenza globale (OS). Cinque studi randomizzati hanno dimostrato un significativo aumento sia della DFS che della OS con aggiunta dell’anticorpo monoclonale anti-HER2 trastuzumab alla chemioterapia adiuvante nelle pazienti operate per un carcinoma mammario HER2+. La maggior parte di questi studi prevedeva l’arruolamento di pazienti con linfonodi positivi e tutti, con l’esclusione dello studio BCIRG006, non consentivano l’inclusione di tumori con diametro uguale o inferiore a 1 cm e con linfonodi negativi; quindi nel gruppo di pazienti pT1a-b, N0, HER2+ N. 59 - 2010
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R A S S E G N A D E L L A L E T T E R AT U R A non abbiamo a disposizione dati prospettici sia riguardo alla prognosi sia riguardo all’eventuale beneficio dell’aggiunta del trastuzumab alla chemioterapia adiuvante. Qualche anno fa, un’analisi retrospettiva su circa 800 pazienti operate per carcinoma mammario pT1N0 ha mostrato come lo stato di HER2 riesca ad essere il fattore prognostico più importante con una differenza significativa in termini di percentuale di recidive tra tumori HER2+ ed HER2-, indipendentemente dallo stato dei recettori ormonali. Recentemente, un’altra analisi retrospettiva su circa 400 donne con carcinoma della mammella con linfonodi negativi e basso grado di differenziazione (G1-G2) ha dimostrato che HER2+ compromette in modo significativo la prognosi in termini di sopravvivenza a 5 anni (68% verso 96%, p<0.001) pur in presenza di altri fattori prognostici favorevoli. All’ultimo convegno ASCO è stata presentata una valutazione retrospettiva su circa 100 donne con un tumore di diametro inferiore ad 1 cm ed HER2+ che ha dimostrato come la terapia adiuvante con trastuzumab, somministrata in circa il 40% delle pazienti, ha ridotto in modo significativo il rischio di recidiva, anche nelle pazienti con linfonodi negativi rispetto alle pazienti che non hanno ricevuto tale terapia. Quindi, tutte le valutazioni retrospettive che abbiamo a disposizione ci indicano che lo stato di HER2 è un fattore prognostico fondamentale nelle pazienti con tumore inferiore ad 1 cm e linfonodi negativi e ci suggeriscono il beneficio dell’utilizzo del trastuzumab adiuvante nei casi HER2+. Nonostante queste evidenze, le principali linee guida, comprese le linee guida del National Comprehensive Cancer Network (NCCN), non raccomandano l’utilizzo del trastuzumab adiuvante nelle pazienti pT1a-b N0 HER2+. I due articoli selezionati e pubblicati come Early Release sulla versione online del Journal of Clinical Oncology, sono due analisi retrospettive su un ampio numero di pazienti con tumore di diametro inferiore ad 1 cm, linfonodi negativi ed HER2+. Questi due lavori sono importanti perché ci forniscono ulteriori informazioni riguardo alla prognosi di queste pazienti e ci possono aiutare nella decisione terapeutica. Il lavoro di Gonzales et al ha rivisto i dati di quasi 1000 donne operate per un carcinoma mammario pT1a-b N0 che sono state seguite dal centro MD Anderson di Houston dal 1999 al 2002. Di queste circa il 10% è risultato positivo per lo stato di HER2. Ad un follow-up mediano di 74 mesi, la sopravvivenza libera da recidiva a 5 anni è stata del 77% nelle pazienti HER2+ e di quasi il 94% nelle pazienti HER2- (p<0.001). Inoltre, le pazienti HER2+ sono risultate essere significativamente più 48
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a rischio di recidive a distanza rispetto alle pazienti HER2(HR=5.3, p<0.001). Questa analisi ci conferma che le pazienti HER2+, anche se presentano altri fattori prognostici favorevoli quali il diametro inferiore ad 1 cm e i linfonodi negativi, sono pazienti ad alto rischio di recidiva tanto che gli autori concludono che la terapia adiuvante con trastuzumab deve essere presa in considerazione in tali pazienti. Il lavoro di Curigliano et al comprende la revisione di più di 2100 donne seguite presso l’Istituto Europeo di Oncologia di Milano dal 1996 al 2006 per un carcinoma mammario pT1a-b N0. In queste pazienti gli autori hanno identificato 150 donne con un tumore HER2+. Ad un follow up mediano di quasi 5 anni, nelle pazienti con recettori ormonali positivi la sopravvivenza libera da malattia è stata del 99% nelle pazienti HER2- e del 92% nelle pazienti HER2+, mentre nelle pazienti con recettori ormonali negativi non si è rilevata una differenza significativa in termini di DFS tra le HER2+ e le HER2-. Nella popolazione totale l’hazard ratio associato alla positività di HER2 è stato di 2.4 (p=0.09). Quindi, questa analisi fornisce dei risultati in parte diversi rispetto a quella del MD Anderson. Infatti, il lavoro milanese dimostra che lo stato di HER2 conferisce un peggioramento nella prognosi delle pazienti pT1a-b N0 ma questo peggioramento è di dimensioni inferiori rispetto a quello riportato nel lavoro statunitense. Nello stesso numero del Journal of Clinical Oncology è pubblicato anche un interessante editoriale che analizza questi due lavori e ne interpreta le differenze. Entrambi i lavori confermano una maggiore percentuale di recidiva nei tumori pT1a-b N0 HER2+ e questo aumento è stimabile tra il 10% e il 23% in termini di rischio assoluto a 5 anni. Questi valori di rischio cadono, in termini numerici, in una zona intermedia; infatti sono sicuramente più bassi rispetto al rischio delle pazienti HER2+ con linfonodi positivi o con grandi tumori, ma sono anche significativamente più alti rispetto ai piccoli tumori HER2- con linfonodi negativi. Non è chiaro da dove derivi la differenza nel rischio riscontrata tra i due lavori. Una spiegazione parziale potrebbe essere data dal fatto che le pazienti dello studio milanese sono state trattate in una buona percentuale con ormonoterapia e/o chemioterapia adiuvanti, rispetto a quelle dello studio statunitense cha hanno ricevuto una terapia adiuvante in una percentuale inferiore. In alcune di queste pazienti potrebbe essere preso in considerazione l’utilizzo di uno schema che prevede una durata minore del trastuzumab come nello studio FinHer, del quale il recente update conferma i risultati della prima analisi.
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CHIRURGIA RECENSIONE A CURA DI R. SIMONCINI, D. CASELLA, L. GALLI (1) Breast Unit, Azienda Ospedaliero-Universitaria di Careggi, Firenze
Straver ME, Rutgers EJTh, Russel NS et al Towards rational axillary treatment in relation to neoadyuvant in breast cancer Eur J Cancer 2009; Sep 45 (13): 2284-2292
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elle pazienti con tumore della mammella lo stato linfonodale è un fattore prognostico fondamentale sia in termini di sopravvivenza globale (OS) che di sopravvivenza libera da malattia (DFS). La rimozione di linfonodi ascellari patologici non modifica OS ma fornisce un adeguato controllo loco-regionale della malattia e le informazioni prognostiche necessarie alla pianificazione di un corretto trattamento. La biopsia del linfonodo sentinella (SNB) è un metodo accurato per valutare lo stato linfonodale ed ha sostituito la dissezione ascellare completa (LAA) nelle neoplasie mammarie operabili con linfonodi clinicamente ed ecograficamente negativi prima dell’intervento L’indicazione ad un trattamento sistemico con intento neoadiuvante (NAC) attualmente viene fornita anche a pazienti con tumore mammario in stadio non avanzato al fine di permettere una chirurgia conservativa, anche in assenza di metastasi linfonodali. Inoltre può consentire di valutare direttamente la chemiosensitività della neoplasia, così da ottenere importanti informazioni prognostiche e predittive. I protocolli attuali prevedono che dopo NAC lo stato linfonodale venga valutato mediante LAA anche nelle pazienti potenzialmente N0, procedura che si associa ad una morbilità non trascurabile. Sarebbe auspicabile un approccio chirurgico meno invasivo; a tale riguardo è di grande interesse cercare di capire non solo se è sicuro applicare SNB alle pazienti sottoposte a NAC, ma anche quale sia il
corretto timing, se prima o dopo NAC. Eseguire SNB prima di NAC consente una stadiazione linfonodale accurata, evitando le possibili alterazioni del circolo linfatico o il downstaging legati alla terapia; tale approccio implica però due procedure chirurgiche con un aumento dei tempi e dei costi operatori, una possibile insoddisfazione del paziente ed una LAA anche nelle pazienti che si sono negativizzate a livello ascellare per effetto della terapia. Eseguire SNB dopo NAC può significare d’altro canto un downstaging. Lo scopo del lavoro cui ci riferiamo è di individuare quelle pazienti sottoposte a NAC per carcinoma mammario in cui possa essere eseguita con sicurezza SNB come unica procedura di stadiazione linfonodale. Gli Autori presentano una casistica di 327 pazienti trattate con NAC per carcinoma mammario. L’ indicazione a NAC era data per neoplasie con dimensioni >3 cm e/o almeno un linfonodo ascellare metastatico senza evidenza di metastasi a distanza. Hanno studiato lo stato linfonodale con visita clinica, ecografia e FNA in caso di sospetto. Le pazienti N0 sono state sottoposte a SNB prima dell’inizio della terapia sistemica. Le pazienti N+ pre-NAC venivano sottoposte a dissezione ascellare completa dopo la terapia. Gli Autori riportano i seguenti dati: a. 53 pazienti (16,2%) clinicamente N0 con SNB eseguita prima di NAC; b. 22 pazienti (6,7%) clinicamente N0 con SNB positiva eseguita prima di NAC e che hanno ricevuto LAA dopo NAC; c. 252 pazienti (77,1%) con metastasi linfoghiandolari dimostrate prima dell’inizio della terapia mediante FNAC che hanno ricevuto LAA dopo NAC. Nelle 274 pazienti dei gruppi b e c è emersa una pCR in 65 casi (24%). Viene messo in particolare evidenza il dato per cui nel gruppo b pCR venga riscontrata in 15 casi (68%). Al riguardo gli Autori sostengono che in 6 di questi 15 casi (40%) si notavano i segni anatomo-patologici della regressione linfonodale, dato interessante ma che non può essere considerato la prova assoluta di una pCR. Nelle 252 pazienti del gruppo c pCR è emersa in 50 casi (20%). Nel 48% di tali pazienti ad una pCR ascellare si associava un’analoga risposta a carico della neoplasia mammaria; la più bassa pCR del tumore primitivo nel gruppo b suggerisce che, in alcune pazienti con malattia residua in mammella, i linfonodi ascellari rimasti erano già liberi da malattia prima dell’inizio della terapia e non sussiste una risposta ascellare che sia andata parallelamente ad una risposta mammaria. Gli Autori considerano poi quali siano i fattori predittivi di una pCR nel gruppo di pazienti con metastasi linfonodali dimostrate alla FNAC prima dell’inizio di NAC. All’analiN. 59 - 2010
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si multivariata emerge la presenza di due fattori predittivi di pCR: tripla negatività recettoriale del tumore e iperespressione di Her2/neu. Al contrario, la quota di pCR delle neoplasie fortemente ormonoresponsive risulta molto bassa. Tali dati confermano ciò che già è noto in termini di sensibilità biologica alla chemioterapia delle neoplasie mammarie. In termini di OS e DFS ha significatività statistica solo la differenza tra il gruppo N0 ed il gruppo con pCR e, ovviamente, quella tra il gruppo N0 e quello con malattia ascellare residua; non emerge significatività statistica in termini di OS e DFS invece tra il gruppo con pCR e quello con malattia residua in ascella dopo NAC. Gli Autori citano la metanalisi di Xing in cui le elevate identification rate (90%) e sensibilità (88%) possono essere considerati fattori a favore di una attuabilità di SNB dopo NAC. Obbiettano però che il lavoro citato riporta un range di valori molto ampio per questi parametri (72-100% per IR e 67-100% per la sensibilità) e pertanto l’accuratezza di SNB dopo NAC deve secondo loro ancora trovare una dimostrazione certa. Gli Autori cercano anche nuovi dati in letteratura identificando 19 studi con un totale di 793 pazienti. L’esame dei dati raccolti porta ad una identification rate dell’85% (range 68-100%), valore piuttosto basso, attribuibile secondo gli Autori alla fibrosi che si realizza a carico dei collettori linfatici dopo NAC. La sensibilità di SNB dopo NAC appare essere in tale revisione dell’89% (range 67-100%); in termini assoluti tale dato appare elevato ma il range dei valori riportati è molto ampio. La presenza di cellule tumorali nei vasi linfatici può ostruire o alterare il drenaggio della linfa; inoltre la non prevedibilità della regressione patologica conseguente a NAC può influire sui falsi negativi. Siamo in accordo con gli Autori nel notare come la percentuale di pCR del 35% che emerge dalla loro metanalisi sia troppo più alta rispetto a quella del loro studio (20%) o a quelle ottenute nei lavori con casistiche numericamente più corpose (23%). E’ anche vero che nella metanalisi da loro eseguita le casistiche riportate sono numericamente molto esigue, con due soli studi che superano le 100 pazienti. Questo, potrebbe 50
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realizzare un bias statistico non trascurabile. Pertanto, alla luce dei dati riportati, l’ipotesi di eseguire SNB dopo NAC potrebbe evitare una LAA non solo alle pazienti N0 alla diagnosi ma anche a quelle pazienti che ottengano una risposta patologica completa (pCR) a carico dei linfonodi ascellari e questa è una prospettiva di grande interesse al fine di minimizzare i rischi di sovratrattamento. E’ degno di nota però come la metanalisi di Xing citi casistiche più numerose e che si riferiscono anche ai primi periodi in cui veniva utilizzata SNB. Inoltre, sempre nella metanalisi di Xing la quota di falsi negativi complessiva è del 12% nelle pazienti sottoposte pre-operatoriamente a NAC, dato che non si discosta molto dalle percentuali riportate nelle casistiche con pazienti non chemiotrattate (Xing cita tre metanalisi numericamente consistenti che riportanto quote di falsa negatività dell’8.4%, 5.1% e 9%). All’aumentare della numerosità delle casistiche si riduce la quota dei falsi negativi (Kim et al.). E’ importante poi notare che il reale impatto clinico della sottostadiazione ascellare è sconosciuto. Nel gruppo delle pazienti sottoposte a NAC tale significato risulta ancor meno importante in considerazione del fatto che la decisione di intraprendere una terapia sistemica in queste pazienti è già stata presa. Il rischio di lasciare malattia residua in ascella non sembra poi così drammatico se si prendono in considerazione i dati del National Surgical Adjuvant Breast and Bowel Project B-04 trial secondo i quali una LAA eseguita all’eventuale comparsa della recidiva ascellare non ha alcun influenza su OS. Gli Autori concludono affermando che l’accuratezza della SNB per valutare la risposta ascellare alla terapia neoadiuvante nelle pazienti N+ rimane discutibile mentre nella nostra opinione è una via assolutamente percorribile, con la necessità di ulteriori studi con sufficiente follow up per poterla adottare come metodica standard. Dal lavoro esaminato emerge anche l’utilità di sviluppare in futuro nuove tecniche diagnostiche in grado di quantificare la risposta linfonodale al fine di selezionare accuratamente quelle pazienti in cui possa considerarsi sicura una chirurgia ascellare conservativa, specialmente laddove si riscontrino fattori predittivi di risposta alla terapia (tripla negatività del tumore o l’iperespressione di Her2/neu). In merito a tale questione gli Autori hanno recentemente avviato un trial clinico che valuta la risposta linfonodale a NAC mediante FDG-PET/TC. Inoltre hanno sviluppato una nuova procedura, sempre rivolta ad aumentare la sensibilità nell’identificazione di linfonodi metastatici, denominata MARI (Mapping of the Axilla with Radiactive I-125 seeds); i linfonodi patologici captano il tracciante e sono identificabili con estrema sensibilità; tale valutazione potrebbe essere eseguita sia precedentemente che dopo NAC, in modo da valutare accuratamente la risposta al trattamento.
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CHIRURGIA PLASTICA RECENSIONE A CURA DI V. ZANINI, E. GALLAROTTI U.O. Chirurgia Senologica e Chirurgia Plastica Oncologica Fondazione Salvatore Maugeri, Pavia
Nava MB, Catanuto G, Pennati A, Garganese A, Spano A Conservative Mastectomies Aesth Plast Surg 2009; 33: 681-686
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ttualmente la chirurgia oncologica mammaria deve avere come obiettivo l’ottenimento del miglior risultato estetico possibile, anche nei casi di mastectomia. Abbiamo analizzato gli approcci chirurgici alle mastectomie skin sparing; sono state valutate la sede ottimale della cicatrice ed il volume di riempimento. Per quanto riguarda l’approccio chirurgico, in mammelle di piccole dimensioni, la mastectomia può essere effettuata attraverso un’incisione circolare che include il complesso areola-capezzolo. Nelle mammelle di maggiori dimensioni si può utilizzare la tecnica modificata di “Wise Pattern” denominata skin reducing mastectomy che permette, in un unico tempo operatorio, un buon risultato cosmetico con simmetria cicatriziale rispetto alla mammella controlaterale. Eseguita la mastectomia,si possono utilizzare impianti, lembi peduncolati o lembi liberi. L’uso dei lembi miocutanei nella ricostruzione contraddice il proposito ultraconservativo della tecnica a causa delle sequele biomeccaniche e dell’elevata perdita di sangue. La ricostruzione con protesi in uno o due step è la metodica più facile e sicura in mani esperte. L’utilizzo di protesi anatomiche testurizzate ha diminuito significativamente il rischio di contrattura capsulare migliorando il risultato estetico. Qui di seguito proponiamo uno schema per la ricostruzione in pazienti sottoposte a skin sparing mastectomy: - per mammelle piccole, se la paziente desidera un solo inter-
vento, si può inserire una protesi definitiva; questa metodica non permette però il rimodellamento del solco inframammario, più evidente a paziente supina. - per mammelle di medie dimensioni,senza pregressa RT e con ptosi assente o moderata, si procede a intervento in due step, expander e poi protesi. Può seguire una mastoplastica additiva controlaterale o una mastopessi. - per mammella di medie-grosse dimensioni con ptosi da moderata a severa, può essere offerta l‘opzione di skin reducing mastectomy con protesi definitiva ed una mastoplastica riduttiva controlaterale. La protesi anatomica e la conservazione del solco inframammario danno un aspetto naturale con adeguata distribuzione di volume e giusto grado di ptosi. La mastectomia nipple sparing risolve il problema di ricostruzione del complesso areola capezzolo CAC che spesso non soddisfa le aspettative della paziente e del chirurgo, a causa di perdita di pigmentazione progressiva e assenza di sensibilità. Molti ostacoli devono però essere superati: - La conservazione del CAC crea lembi cutanei lunghi con rischio di necrosi da devascolarizzazione. - La ricostruzione con protesi in mammella grandi induce una migrazione laterale del CAC ed il polo inferiore del solco mammario può creare un doppio scalino. - La sensibilità è spesso diminuita dalla radicalità sottoareolare. Le incisioni più diffuse sono quella a S italica e quella al solco inframammario, le quali offrono una sicurezza maggiore nel garantire una vascolarizzazione al CAC. La NSM deve essere offerta a pazienti che, oltre a soddisfare i criteri oncologici, hanno mammelle di taglia piccola o media, con ptosi minima o moderata e con una distanza areola-solco inframmammario di almeno 5 cm. Brachtel EF, Rusby JE, Michaelson JS, Chen LL, Muzikansky A, Smith BL, Koemer FC Occult nipple involvement in breast cancer: clinocopathologic findings in 316 consecutive mastectomy specimens Journal of Clinical Oncology 2009; 27 (30): 4930-4932 N. 59 - 2010
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e tecniche di conservazione mammaria rappresentano l’approccio chirurgico standard per molte pazienti affette da carcinoma mammario. Quando è necessario eseguire una mastectomia terapeutica o profilattica le opzioni attualmente includono anche la mastectomia nipple sparing. Questa procedura non è altro che una mastectomia skin reducing con conservazione del complesso areola-capezzolo al fine di ottenere un miglior risultato estetico. E’ ancora controversa la sicurezza oncologica di questa tecnica chirurgica. I sostenitori di questa tecnica si appellano alla bassa frequenza di capezzoli interessati da malattia e al basso tasso di recidive locali dopo chirurgia. Lo studio di E. Brachtel e coll. mira a valutare la frequenza di coinvolgimento neoplastico e la tipologia del coinvolgimento del capezzolo nella mastectomia nipple sparing. Viene analizzata una serie di 316 mastectomie sia profilattiche che terapeutiche con capezzoli microscopicamente indenni da neoplasia. I pezzi operatori sono stati analizzati con sezioni coronali dell’intero capezzolo e del tessuto sottoareolare. In questo studio viene definito come margine retroareolare il tessuto 3 mm al di sotto della cute del complesso areola capezzolo. Il 79% delle mastectomie terapeutiche non ha dimostrato alcuna alterazione patologica nè in forma di carcinoma infiltrante, nè in forma di duttale in situ, nè di invasione linfatica, nei rimanenti casi la maggior parte (62%) è risultata essere interessata da carcinoma duttale in situ. L’autrice osserva che la dimensione del tumore, la distanza del tumore dal capezzolo, il grado istologico, la presenza di invasione linfovascolare, la presenza di metastasi ascellari sono associati ad un aumentato rischio di interessamento neoplastico del capezzolo. Il tessuto mammario retroareolare in questo studio risulta essere un buon fattore predittivo dello stato patologico del capezzolo. In conclusione gli autori ritengono la mastectomia nipple sparing una tecnica sicura in casi selezionati di carcinoma mammario con bassa probabilità di coinvolgimento del capezzolo e in casi di mastectomia profilattica.
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ECOGRAFIA SENOLOGICA RECENSIONE A CURA DI A.M. GUERRIERI, C. DE LEO Servizio di Senologia SARIS - Centro di Riferimento Regione Puglia - Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico - Bari
Meissnitzer M, Dershaw DD, Lee CH, Morris EA Targeted ultrasound of the breast in women with abnormal MRI findigs for whom bopy has been recommended AJR 2009 Oct; 193 (4): 1025- 1029
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a RM mammaria gioca attualmente un importante ruolo nell’imaging della mammella, in quanto possiede una sensibilità nel rilevamento del carcinoma mammario che si avvicina al 100%. Quando in RM viene riscontrato un reperto sospetto che è occulto alle indagini mammografiche ed ecografiche di base, la biopsia RM-guidata è necessaria per stabilire una diagnosi. Alcune lesioni sospette in RM possono essere visibili al second look ecografico e sottoposte più agevolmente a biopsia ecoguidata. I vantaggi della guida ecografica sono noti: minor tempo per l’esecuzione della biopsia, minor costo, maggior comfort per la paziente. Tuttavia, in Letteratura l’esperienza con l’ecografia mirata dopo RM ha mostrato che solo nel 77% dei casi vi è un correlato ultrasonografico al reperto RM. In questo studio retrospettivo gli Autori hanno analizzato nell’arco di tempo di 28 mesi, da Settembre 2005 a Dicembre 2007, 519 lesioni riscontrate con RM (categoria BI-RADS 4 o 5) in 361 donne. Un presunto corrispettivo ecografico è stato trovato in 290 (56%) delle 519 lesioni in esame. Le lesioni ritrovate ecograficamente dopo l’esecuzione di una RM erano più frequentemente lesioni focali (mass-like 62% versus nonmass-like 31%), all’esame ecotomografico risultavano
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meglio visibili le mass-like > di 5 mm e le nonmass-like > 15 mm con morfologia indicativa per malignità alla RM (categoria BI-RADS 5 versus 4). Non è stata invece riscontrata alcuna significativa differenza analizzando altri parametri, come l’età della paziente, le diverse indicazioni all’esecuzione della RM o la densità della mammella. Delle 519 lesioni esaminate, 422 sono state sottoposte a biopsia: 253 sotto guida ecografica per quelle lesioni che avevano un correlato ultrasonografico e 169 sotto guida RM per le lesioni non eco-visibili. Nel follow-up con RM su 80 di 154 casi risultati benigni alla biopsia eco-guidata, 10 delle lesioni sottoposte a biopsia non corrispondevano alla lesione riscontrata con RM; la successiva biopsia RM-guidata eseguita in 9 casi ha dimostrato 5 carcinomi. L’esperienza riportata dagli Autori mette in evidenza l’importanza dell’ecografia mirata eseguita dopo l’esecuzione di una RM, soprattutto per la possibilità di effettuare una biopsia eco-guidata, certamente più agevole di una biopsia sotto guida RM. I limiti di questo studio, come riportato dagli stessi Autori, sono intrinseci al carattere retrospettivo dello studio stesso e riguardano inoltre la mancanza di linee guida nell’indicazione all’esecuzione di un’ecografia dopo RM.
EPIDEMIOLOGIA E PREVENZIONE RECENSIONE A CURA DI D. PULITI E E. PACI UO Epidemiologia Clinico Descrittiva, ISPO, Firenze Laziosanità - Agenzia di Sanità Pubblica, Regione Lazio.
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’overdiagnosi è la diagnosi di un tumore che non si sarebbe manifestato clinicamente nel corso della vita della donna e che, quindi, non sarebbe mai stato diagnosticato in assenza di screening. La misura della sovradiagnosi del tumore mammario ha dato luogo a stime molto diverse tra loro, in parte dovute alle differenti metodologie utilizzate ed in parte alle diverse definizioni operative di sovradiagnosi. Nel lavoro recentemente pubblicato sull’European Journal of Cancer (Puliti et al, 2009a) è stata stimata la sovradiagnosi di tumore mammario nella città di Firenze dopo 15 anni dall’introduzione del programma di screening mammografico (Settembre 1990). Il metodo utilizzato per la stima della sovradiagnosi è il metodo dell’incidenza cumulativa. La misura di sovradiagnosi è stata calcolata come il rapporto tra l’incidenza cumulativa in un gruppo di donne invitate allo screening (dati osservati), con un follow-up minimo dopo l’interruzione dello screening di almeno 5 anni, e l’incidenza cumulativa attesa in assenza di screening. L’incidenza delle donne invitate allo screening è stata ottenuta dai dati del Registro Tumori selezionando la coorte di donne in età compresa tra i 50 ed i 69 anni nell’anno di attivazione del programma di screening. L’incidenza attesa in assenza di screening è stata stimata adattando un modello di regressione di Poisson ai dati pre-screening di Firenze (modello che includeva l’età e l’anno di calendario) per tenere conto sia di una eventuale differente struttura per età della popolazione sia di un trend temporale N. 59 - 2010
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sottostante di aumento dell’incidenza. Sono state selezionate 61.568 donne appartenenti alla coorte delle donne 50-69enni nell’anno di inizio screening e seguite per incidenza di tumore mammario nei 15 anni successivi (1990-2004). Sotto l’assunzione di un trend temporale del 1.2% annuo, nella coorte di donne tra i 60 ed i 69 anni nell’anno di inizio screening il rapporto tra il numero cumulativo di casi osservato ed atteso è risultato pari a 1.01 (95% CI: 0.95 – 1.07), includendo i carcinoma in situ. Per tenere in considerazione le fluttuazioni causali nella stima del trend, è stata effettuata un’analisi di sensibilità: assumendo lo scenario più estremo (assenza di qualsiasi trend temporale) il rapporto tra casi osservati ed attesi è risultato pari a 1.13 (95%CI: 1.07 – 1.19). E’ stato infine effettuato un bilancio dei benefici e dei potenziali danni di un programma di screening mammografico: invitare allo screening mammografico 1000 donne può prevenire circa 6 morti per tumore della mammella e può condurre alla sovradiagnosi, nel peggiore e più improbabile scenario, di un massimo di 8 casi (sotto l’assunzione di un trend del 1.2%, di meno di 1 caso). La sovradiagnosi nel programma di screening fiorentino può essere stimata solo per la coorte di donne che ha tra i 60 ed i 69 anni nell’anno di inizio screening, perchè solo per questa coorte è disponibile un follow-up sufficiente dopo l’interruzione dello screening. Sebbene la stima di sovradiagnosi sia molto sensibile alle stime del trend pre-screening, i nostri dati mostrano che a 15 anni dall’introduzione dello screening la quota di sovradiagnosi è probabilmente vicino a zero e sicuramente inferiore al 13%. Infine, il bilancio dei danni e dei benefici supporta fortemente l’idea di continuare i programmi di screening mammografico. La stima della sovradiagnosi è oggi oggetto di numerose pubblicazioni internazionali. La review pubblicata su Future Oncology (Puliti et al, 2009b) mostra la complessità metodologica della stima e la necessità di tenere conto di 54
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tutti i potenziali bias associati a ciascun metodo al fine di ottenere una stima meno distorta possibile. Le stime pubblicate infatti variano ampiamente nella letteratura in rapporto alla metodologia utilizzata e alla correzione per lead time. In un recente articolo pubblicato sul BMJ (Jørgensen et al, 2009), è stata ipotizzata sulla base di dati descrittivi una sovradiagnosi di circa il 52%. E’ evidente che il confronto tra le diverse stime è ancora carente ed è quindi arduo accettare risultati cosi diversi. Questo è in particolare vero quando si richiede di inserire la stima del beneficio e dei rischi collaterali, tra cui la sovra diagnosi, nella comunicazione relativa agli screening. E’ evidente che mentre vi è accordo sull’opportunità di migliorare le strategie di comunicazione, è necessario concordare sulle stime quantitative, su cui ad oggi vi è incertezza e controversia. L’articolo di Jama (Esserman et al, 2009) riprende questo dibattito ponendo a confronto lo screening per il tumore della mammella e quello per il carcinoma della prostata, due realtà che in Europa hanno strategie di diffusione completamente diverse . E’ però condivisibile la preoccupazione per la necessità di sviluppare la ricerca per una migliore definizione della aggressività delle lesioni e per protocolli capaci di migliorare la performance dello screening. Una strada che deve comunque passare per una valutazione empirica dei costi e dei benefici.
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GENETICA RECENSIONE A CURA DI M.L. BRANDI Dipartimento di Medicina Interna, Università degli Studi di Firenze
Jung JH, Chae YS, Moon JH et al TNF superfamily gene polymorphism as prognostic factor in early breast cancer J Cancer Res Clin Oncol, published online 5 November 2009
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’incidenza del tumore mammario è costantemente in crescita. Diversi criteri prognostici sono stati introdotti e validati per adiuvare la pratica clinica e il management delle pazienti affette. Tuttavia è ancora forte la necessità di individuare marcatori genetici validi che consentano di discriminare la variabilità interindividuale e quindi predire ricadute o guarigione tra le pazienti con tumore mammario e stesso apparente quadro clinico. L’apoptosi è un processo di morte cellulare programmata che gioca un ruolo chiave nell’omeostasi dei tessuti; una regolazione anormale dell’apoptosi è correlata ad una diversa prognosi e sviluppo del tumore mammario. Studi scientifici hanno identificato diversi geni correlati al processo apoptotico come fattori prognostici nei tumori. E’ ragionevole supporre che un’alterazione del processo apoptotico, dovuta a polimorfismi nei geni apoptosi-correlati, possa rivestire un ruolo cruciale nella progressione del tumore, nella prognosi e nella eventuale comparsa di recidive dopo la chirurgia in pazienti con tumore mammario. Sulla base di queste premesse il presente studio di Jung et al. ha analizzato possibili associazioni tra 12 polimorfismi di 11 geni coinvolti nel processo
apoptotico, appartenenti alla superfamiglia dei geni TNF (Tumor Necrosis Factor), e la sopravvivenza in 240 pazienti operate di tumore mammario. In particolare questo studio ha evidenziato che il polimorfismo rs1131532 del gene TNFRSF10 era correlato ad una diversa percentuale di recidive e sopravvivenza dopo l’intervento a seconda degli alleli presenti nelle pazienti. Tale polimorfismo perciò potrebbe essere un possibile fattore prognostico di sopravvivenza nelle pazienti operate per tumore mammario invasivo. Tuttavia, ulteriori studi, comprensivi di studi di funzionalità, saranno necessari per chiarire il ruolo di questo e di altri polimorfismi dei geni apoptosicorrelati come marcatori predittivi e/o prognostici nelle pazienti affette da carcinoma mammario.
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IMMUNOLOGIA RECENSIONE A CURA DI A. BALSARI SC Biologia Molecolare, Dip. Di Oncologia Sperimentale, Fondazione IRCCS, Istituto Nazionale dei Tumori, Milano
Elsheikh SE, Green AR, Rakha EA et al. Global histone modifications in breast cancer correlate with tumor phenotypes, prognostic factors, and patient outcome Cancer Res 2009; 69: 3802
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ecenti studi hanno evidenziato che le cellule tumorali, oltre a presentare mutazioni genetiche, sono caratterizzate dalla presenza di alterazioni epigenetiche nello stato di metilazione del DNA e nel livello di modificazioni post-traduzionali degli istoni. Le modificazioni post-traduzionali degli istoni, quali acetilazione e metilazione delle lisine e metilazione delle arginine, giocano un ruolo importante nella regolazione genica, demarcando quelle regioni della cromatina che devono essere trascritte, quindi soggette a minore compattamento, o mantenute represse. Queste modificazioni post-traduzionali degli istoni sono note essere alterate nelle cellule tumorali e la perdita di specifiche acetilazioni e trimetilazioni di alcuni istoni rappresenta un hallmark per alcuni tumori umani. Pertanto cambiamenti del normale stato di modificazione degli istoni potrebbero essere predittivi dell’andamento della malattia e rappresentare nuovi marker prognostici o target terapeutici. In questo studio è stato valutato il significato biologico e clinico di 7 ben definite modificazioni post-traduzionali degli istoni H3 e H4 in 880 casi di carcinoma della mammella primario invasivo mediante analisi di microarray e immunoistochimica. I risultati di questo studio suggeriscono che la com56
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parsa di specifici cambiamenti negli istoni possa avere un significato clinico e correlare con la morfologia e il sottotipo biologico dei tumori della mammella invasivi. Infatti, è stato osservato che i tumori a cattiva prognosi, che comprendono i sottotipi basali e HER2 positivi, presentano ridotti livelli di acetilazione e metilazione degli istoni H3 e H4, mentre i tumori con prognosi migliore e comprendenti per lo più il sottotipo luminale mostrano generalmente i più alti livelli di tali modificazioni post-trasduzionali. Heck S, Rom J, Thewes V, et al Estrogen-related receptor alpha expression and function is associated with the transcriptional coregulator AIB1 in breast carcinoma Cancer Res 2009; 69: 5186
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ecentemente è stato dimostrato che il 30% dei carcinomi primari della mammella negativi per il recettore estrogenico alfa (ERĮ) esprimono il recettore orfano nucleare denominato Estrogen-Related Receptor alpha (ERRĮ) e che questo recettore ha un ruolo nella loro crescita. Essendo ERRĮ un recettore orfano nucleare costitutivamente attivo, le sue funzioni dipendono dalla sua interazione con proteine co-regolatorie. In questo studio vengono per la prima volta studiate le interazione del ERRĮ con differenti proteine co-regolatorie e viene osservata una associazione tra ERRĮ e AIB1, un co-attivatore di ERĮ spesso overespresso nei tumori della mammella e associato con la resistenza al trattamento ormonale. Si è visto che un blocco di ERRĮ determina a sua volta un blocco della sua interazione e coattivazione di AIB1; il complesso ERRĮ/AIB1 potrebbe quindi controllare l’espressione dei geni regolati dall’estradiolo in assenza dell’ormone. Pertanto ERRĮ potrebbe essere un interessante nuovo bersaglio per il
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trattamento dei tumori che non esprimono ERĮ o sono resistenti alla terapia endocrina. Olkhanud PB, Baatar D, Bodogai M, et al Breast cancer lung metastasis requires expression of chemokine receptor CCR4 and regulatory T cells Cancer Res 2009; 69: 5996
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a formazione di colonie metastatiche è un fenomeno precoce che inizia durante la crescita del tumore primario. Si presume, in analogia a quanto avviene per le cellule del sistema immunitario, che anche le cellule tumorali richiedano per la loro disseminazione la presenza di recettori chemochinici. In questo lavoro, studiando in un modello sperimentale la metastatizzazione di una linea di carcinoma mammario, si è visto che la capacità di metastatizzare è ristretta a quelle cellule tumorali che esprimono il recettore chemochinico CCR4. Ma la parte più interessante del lavoro è l’osservazione che l’espressione di CCR4 non è sufficiente per produrre metastasi, in quanto le cellule tumorali che arrivano al polmone possono essere eliminate dalle cellule natural killer (NK); perchè si formino metastasi è necessario anche un altro evento, cioè che a livello polmonare le cellule NK siano uccise dai linfociti T. Pertanto un controllo del processo metastatico potrebbe essere ottenuto con strategie che intervengano su questi due bersagli, la molecola CCR4 o i T regolatori. Questi dati sul ruolo delle cellule NK nel processo metastatico sono in accordo con l’osservazione che un ripristino della attività NK nei pazienti oncologici è spesso associata ad un incremento della sopravvivenza.
LABORATORIO RECENSIONE A CURA DI M. GION*, M.G. DAIDONE**, M. DE BORTOLI***, A. PARADISO****, * Centro Regionale Specializzato Biomarcatori/Consorzio Istituto Oncologico Veneto IRCCS - Dipartimento di Patologia Clinica, Azienda ULSS 12 - Venezia ** Dipartimento di Oncologia Sperimentale e Medicina Molecolare - Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori - Milano *** Dipartimento di Scienze Oncologiche presso IRCC - Candiolo (Torino) e Centro Interdipartimentale Sistemi Complessi in Biologia e Medicina Molecolare - SysBioM, Università degli Studi di Torino **** Direzione Scientifica e Unità Operativa Laboratorio di Oncologia Sperimentale Clinica - Istituto Tumori “Giovanni Paolo II” IRCCS, Bari
BIOMARCATORI DI MECCANISMO Cardamone MD, Bardella C, Gutierrez A, Di Croce L, Rosenfeld MG, Di Renzo MF, De Bortoli ERalpha as ligand-independent activator of CDH-1 regulates determination and maintenance of epithelial morphology in breast cancer cells Proc Natl Acad Sci USA 2009; 106(18): 7420-7425
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li inibitori delle aromatasi di terza generazione registrano oggi un notevole successo, perchè diversi studi hanno dimostrato risposte superiori rispetto al Tamoxifen. Questo fatto ha dato un nuovo impulso alla ricerca sui meccanismi d’azione degli estrogeni e dei loro recettori (ERĮ, ERȕ; ESR1, ESR2). Il meccanismo d’azione di questi farmaci è fondamentalmente diverso rispetto al Tamoxifen e farmaci simili (collettivamente SERM: selective estrogen receptor modulator), come dimostrato anche dall’osservazione clinica dell’assenza di resistenza crociata alle due classi di farmaci: tumori resistenti al Tamoxifen possono rispondere agli inibitori delle aromatasi e, almeno in parte e contrariaN. 59 - 2010
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mente a quanto si pensava fino ad ora, viceversa (vedi per esempio, Yamamoto et al, 2009). Appare quindi evidente come i marcatori di resistenza ad una ed all’altra classe di farmaci debbano essere studiati e caratterizzati separatamente. Alcuni lavori iniziano ad affrontare questo punto. Per esempio, Henriksen e coll. hanno esaminato alcune proteine dipendenti da estrogeno in microarrays di tessuti di ca. mammario ed osservato che un profilo di espressione che include PR (PGR), BCL-2 (BCL2) e IGF-IR (IGF1R) è in grado di discriminare una migliore probabilità di risposta al letrozolo, rispetto al Tamoxifen (Henriksen et al, 2009). I farmaci della classe del Tamoxifen vengono legati isostericamente da ERĮ, inducendone però una conformazione più affine ai co-repressori trascrizionali (es. NCoR e SMRT) che conducono a repressione i geni proliferativi normalmente indotti dagli estrogeni. Gli inibitori delle aromatasi funzionano invece annullando la produzione endogena di estrogeni, anche nelle stesse cellule tumorali, ovvero azzerando il livello di estrogeni nelle donne in trattamento. Nelle cellule tumorali avremo quindi nel primo caso ER legato ai geni bersaglio, ma con funzione repressiva, mentre nel secondo caso ER sarà libero e, secondo la teoria, non impegnato in interazioni con i geni di competenza. Questo concetto del recettore inattivo è stato messo in dubbio recentemente dal lavoro di Cardamone e coll. (Cardamone et al, 2009). I risultati qui presentati suggeriscono una situazione abbastanza diversa, che prospetta un’azione per ER in assenza di ormone che potrebbe spiegare in parte il maggior effetto terapeutico degli inibitori delle aromatasi, rispetto ai farmaci della classe del Tamoxifen. L’osservazione di base, da cui è partito questo lavoro, consiste nella ben conosciuta associazione tra l’espressione di ERĮ ed un fenotipo più differenziato e meno invasivo nel carcinoma mammario. ERĮ è espresso tipicamente nel58
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le cellule di tipo luminale ed è praticamente sempre accompagnato dall’espressione di E-Caderina (CDH1), il maggiore determinante del contatto cellula-cellula negli epiteli, mentre nei tumori di tipo basale, più aggressivi, si ha spesso perdita contemporanea di ERĮ ed E-Caderina. Gli autori di questo lavoro hanno riprodotto questa situazione introducendo l’oncogene attivato RONsf nella linea cellulare di carcinoma mammario T47D, di tipo epiteliale, ER+ ed ormono-dipendente per la crescita in vitro. RONsf provoca una completa transizione epiteliomesenchimale (EMT), con totale repressione di E-Caderina e perdita di ER ed altri marcatori epiteliali, accompagnata da acquisizione di un fenotipo schiettamente invasivo. Il promotore di E-Caderina, in questa situazione, appare totalmente eterocromatico ed ipermetilato, cosa tipica delle cellule di origine mesenchimale. Tuttavia, l’inibizione della via di trasduzione chinasica nelle cellule T47D/ RONsf riesce a re-indurre espressione di E-Caderina, accompagnata da reversione del fenotipo invasivo EMT. Durante questa reversione, ricompare anche l’espressione di ERĮ e di altre proteine epiteliali. Il dato più sorprendente e rilevante è che la re-espressione di E-Caderina (e la reversione fenotipica) richiede il legame di ERĮ al promotore del gene, in completa assenza di estrogeni. Non solo, ma la re-introduzione di ERĮ in cellule mesenchimali, sempre in assenza di estrogeni, è sufficiente a indurre la re-espressione di E-caderina. Infine, la soppressione di ERĮ in cellule epiteliali, con l’uso di RNA interferenti, porta a repressione di E-Caderina. Il quadro che deriva da questi risultati suggerisce una nuova funzione di ERĮ in assenza di ligando (apoforma) come regolatore epigenetico dell’espressibilità di base di geni, come la E-Caderina, che sono considerati essenziali per il mantenimento di un fenotipo epiteliale luminale nelle cellule mammarie. La mancanza di ERĮ sarebbe, in questo modello, fattore determinante per la trasformazio-
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ne in senso mesenchimale ed invasivo. Durante il trattamento con AI, è ragionevole pensare che ER si trovi in gran parte in apoforma e funzioni quindi nel modo descritto da questo lavoro, favorendo l’espressione di base di geni differenziativi, in modo significativamente diverso dall’effetto del Tamoxifen. Sarebbe a questo punto necessario capire se e quanto l’azione di ER in assenza di estrogeni si estenda anche ad altri geni caratteristici del fenotipo epiteliale. Il ruolo di ER nelle cellule tumorali in assenza di estrogeni va quindi ripensato, perché potrebbe generare interessanti novità sia nel campo dei marcatori predittivi, sia nello sviluppo di nuovi bersagli terapeutici.
Ratio of 17HSD1 to 17HSD2 protein expression predicts the outcome of Tamoxifen treatment in postmenopausal breast cancer patients Clin Cancer Res 2009; 15(10): 3610-3616 Thomssen C, Harbeck N, Dittmer J, et al Feasibility of measuring the prognostic factors uPA and PAI-1 in core needle biopsy breast cancer specimens J Natl Cancer Inst 2009;101(14): 1028-1029
BIOMARCATORI DI ESTENSIONE Selezione Bibliografica Nunes RA, Li X, Kang SP, Burstein H, et al Circulating tumor cells in HER-2 positive metastatic breast cancer patients treated with trastuzumab and chemotherapy Int J Biol Markers 2009; 24(1): 1-10
BIOMARCATORI DI MECCANISMO Selezione Bibliografica Yamamoto Y, Masuda N, Ohtake T, et al Clinical usefulness of high-dose toremifene in patients relapsed on treatment with an aromatase inhibitor Breast Cancer 2009 Aug 15 [Epub ahead of print] Henriksen KL, Rasmussen BB, Lykkesfeldt AE, et al An ER activity profile including ER, PR, Bcl-2 and IGF-IR may have potential as selection criterion for letrozole or Tamoxifen treatment of patients with advanced breast cancer Acta Oncol 2009; 48(4): 522-531 Bedard PL, Piccart-Gebhart MJ Progress in tailoring adjuvant endocrine therapy for postmenopausal women with early breast cancer Curr Opin Oncol 2009; 21(6): 491-498
BIOMARCATORI DI RISCHIO Selezione Bibliografica Goodwin PJ, Ennis M, Pritchard KI, et al Prognostic effects of 25-hydroxyvitamin D levels in early breast cancer J Clin Oncol 2009; 27(23): 3757-3763 Milne RL, Benítez J, Nevanlinna H, et al (Breast Cancer Association Consortium) Risk of estrogen receptor-positive and -negative breast cancer and single-nucleotide polymorphism 2q35-rs13387042 J Natl Cancer Inst 2009; 101(14): 1012-1018
Baar J, Silverman P, Lyons J, et al A vasculature-targeting regimen of preoperative docetaxel with or without bevacizumab for locally advanced breast cancer: impact on angiogenic biomarkers. Clin Cancer Res 2009; 15(10): 3583-3590 Jansson A, Delander L, Gunnarsson C, et al
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MAMMOGRAFIA RECENSIONE A CURA DI G.M. GIUSEPPETTI*, C. LANZA** *Clinica di Radiologia, Azienda Ospedaliero-Universitaria Ospedali Riuniti, Ancona **Servizio di Radiologia Interventistica e Pediatrica, Azienda Ospedaliero-Universitaria Ospedali Riuniti, Ancona
Moon HJ, Kim MJ, Kim E-K, Park B-H US surveillance of regional lymph node recurrence after breast cancer surgery Radiology, September 2009, vol.252 (3): 673-681
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el management del tumore mammario la recidiva ai linfonodi regionali è un’evenienza rara ma difficile da diagnosticare. L’ascella e la regione sopraclavicolare sono le più comuni stazioni linfonodali coinvolte nelle recidive e sono gravate da una pessima prognosi, soprattutto le recidive nei linfonodi sovraclaveari, perchè più frequentemente associate a metastasi a distanza. L’identificazione precoce delle recidive linfonodali locoregionali è resa difficoltosa anche perché l’esame clinico nel 39% dei casi risulta negativo e il campo di vista della mammografia non include l’intera area. L’identificazione precoce delle recidive regionali linfonodali nei pazienti asintomatici ha un effetto positivo sulla sopravvivenza poiché è ancora possibile una cura. Scopo dello studio è valutare gli indici diagnostici come la sensitività, specificità, accuratezza dell’ecografia nella identificazione delle recidive linfonodali locoregionali dopo terapia chirurgia per tumore mammario e stabilire l’effetto sulla prognosi della valutazione ecografica dei linfonodi.Sono state arruolare 1817 pazienti precedentemente sottoposte ad intervento chirurgico per tumore al seno.Tutte hanno eseguito nell’ambito del routinario esame eco-mammografico anche l’ecografia 60
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dei linfonodi ascellari e sovraclaveari. I linfonodi diagnosticati all’ecografia come sospetti per recidiva sono stati sottoposti a FNAB sotto guida ecografica. Delle 1817 pazienti 54 avevano linfonodi ecograficamente sospetti per recidiva.Tutte hanno eseguito l’agoaspirato che ha confermato in 30 pazienti (veri positivi) la diagnosi di recidiva; le rimanenti 24 sono state classificate come falsi positivi, mentre in 9 pazienti l’ecografia ha dato un risultato falso negativo (23%). Delle 39 pazienti con recidiva, solo 6 (15.4%) avevano linfonodi palpabili. Nessuno è stato identificato alla mammografia; il diametro medio è stato di circa 12.8 mm e il tempo medio dopo l’intervento è stato di 42 mesi. Le sedi delle recidive sono state 9 nei linfonodi ascellari ipsilaterali, 9 in sede sovraclaveare omolaterale, 5 in sede sovraclaveare e ascellare omolaterale, 3 nell’ascella controlaterale, 7 in sede sovraclaveare controlaterale, 2 ai cavi ascellari bilateralmente e 1 in sede sovraclaveare e ascellare bilateralmente.Tra le 29 pazienti con recidiva linfonodale omolaterale, il 62% ha avuto metastasi a distanza. Gli autori quindi raccomandano il controllo ecografico dei linfonodi ascellari e sovraclaveari, anche nelle pazienti asintomatiche. Per confermare però l’impatto di una diagnosi precoce di recidiva linfonodale locoregionale sono necessari ulteriori studi prospettici su un largo campione. Abdullah N, Mesurolle B, El-Khoury M, Kao E Breast imaging reporting and data system lexicon for US: interobserver agreement for assessment of breast masses. Radiology September 2009, vol. 252 (3): 665-672
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’ecografia del seno è considerata uno strumento insostituibile nell’imaging senologico sia nella identificazione che nella caratterizzazione delle lesioni mammarie. Tale metodica è però gravata dalla scarsa
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riproducibilità riguardo alla caratterizzazione delle lesioni, in particolare per le lesioni di piccole dimensioni. Alla luce di questo, nel 2003 è stato introdotto il Breast Imaging reporting and Data System (BI-RADS) un lessico standardizzato per descrivere i reperti ecografici, come per la mammografia, così da standardizzare e unificare il linguaggio ecografico. Successivamente è stata introdotta una nuova suddivisione della categoria BIRADS 4 per le masse, che riflette la probabilità di malignità (4a, basso sospetto; 4b, intermedio; 4c moderato). Scopo dello studio è valutare retrospettivamente la concordanza interosservatore tra radiologi che utilizzano il lessico BI-RADS per caratterizzare ecograficamente le lesioni mammarie. 267 ecografie di lesioni mammarie sottoposte ad esame istologico sono state rivalutate da 5 radiologi in termini di contorni, orientamento parallelo o non parallelo, margini, echo pattern (ipo, iso, iperecogeno, complesso, anecogeno) e assorbimento acustico posteriore. Ad ogni radiologo è stato chiesto di assegnare a ciascuna lesione una categoria BI-RADS inclusa la suddivisione 4a, 4b e 4c. L’uso del BI-RADS per intepretare l’ecografia ha mostrato una sostanziale concordanza iterossservatore per quanto riguarda i contorni e l’orientamento della lesione anche se con valori inferiori nelle lesioni di piccole dimensioni, probabilmente per la difficoltà di differenziare i contorni irregolari da quelli arrotondati. La concordanza per quanto riguarda i margini è risultata bassa solo nelle lesioni maligne per la difficoltà a differenziare i margini microlobulati da quelli con piccole spiculazioni. La concordanza è risultata moderata per l’assorbimento acustico posteriore e nella classificazione dell’echo pattern con una concordanza eccellente per il pattern iperecogeno e anecogeno. La più grossa variabilità nella risposta interosservatore si è avuta nell’assegnazione delle categorie BI-RADS
(K=0.28) probabilmente per la suddivisione del gruppo 4 in sottogruppi, infatti la riproducibilità interosservatore incrementa se si considera la categoria 4 come un unico gruppo. Lo studio ha dei limiti, in primis considera solo le lesioni sottoposte ad esame microistologico il che riduce il numero delle lesioni in stadio BI-RADS 2 (0.3%) e 3 (11.6%). Inoltre i lettori non erano a conoscenza dell’esito dell’esame mammografico e la classificazione BI-RADS delle lesioni era stabilita solo sulla base solo dell’ecografia, il che non riflette quello che succede nella pratica clinica. Inoltre lo studio, essendo retrospettivo, si è basato sulla reinterpretazione solamente di due immagini per ogni lesione mentre nella pratica clinica l’esame ecografico è uno studio real-time.
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PATOLOGIA BENIGNA RECENSIONE A CURA DI A. PLUCHINOTTA E B. GNOCATO UF Senologia Chirurgica - Chirurgia Mammaria Radioguidata - Policlinico Abano Terme (PD)
Vaughan A, Crowe JP, Brainard J, Dawson A, Kim J, Dietz JR Mammary ductoscopy and ductal washings for the evaluation of patients with pathologic nipple discharge Breast Journal 2009; 15(3): 254-260
COMMENTO: Per quanto la duttoscopia sia una tecnica diagnostica promettente, la sua letteratura e le sue applicazioni pratiche sono a tutt’oggi limitate. Non vi è dubbio che essa presenti dei validi presupposti scientifici, confermata da alcune recenti pubblicazioni, l’ultima delle quali si deve a Michael Hünerbein (Ductoscopy of Intraductal Neoplasia of the Breast, in: Renzo Brun del Re (ed.) Minimally Invasive Breast Biopsies, Springer, Berlin Heidelberg, 2009). Nel web alcune suggestive immagini sono visibili anche su You Tube in www.youtube.com/watch?v=4yQ4PbsYf4U o su siti come www.ukbiopsy.com/ductoscopes.htm e www. cancernews.com/data/Article/236.asp). Nondimeno sui suoi limiti d’impiego probabilmente incide la convinzione restrittiva che si tratti di un semplice esame diagnostico attuabile solo in una limitata percentuale di casi, una buona parte dei quali non beneficerebbe comunque di indicazioni tali da modificare la terapia. Vengono in tal modo sottovalutate altre implicazioni pratiche di indubbia importanza dovute alla maggiore possibilità della duttoscopia: - di identificare più correttamente le atipie, e quindi di modificare l’estensione dell’intervento, in presenza di lesioni proliferative benigne suscettibili di essere borderline; - di anticipare alcune diagnosi di neoplasia a volumi minimi (0.25 mm); 62
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- di stabilire meglio l’estensione della componente intraduttale di alcune neoplasie con risultati, ai fini di una adeguata chirurgia conservativa, più affidabili di quelli ottenibili da una RM; - di consentire interventi guidati dalla tecnica e quindi più completi rispetto ad una quasi abituale blind surgery. Vantaggi non da poco se teniamo conto che il carcinoma intraduttale ha avuto negli ultimi anni un notevole incremento, che esso è da considerare il precursore -sia pure non obbligato- del carcinoma infiltrante, che la sua possibile estensione è difficile da stabilire in quanto non strettamente correlata ad immagini visibili come le microcalcificazioni. Il lavoro di Vaughan e coll., basandosi su una casistica di 89 casi, sostiene che la duttoscopia permette una buona visibilità delle anomalie endoluminali ed un lavaggio del dotti tale da consentire la raccolta di migliaia di elementi cellulari su cui effettuare la diagnosi. L’articolo, inoltre, enfatizza il ruolo intraoperatorio della duttoscopia nella corretta identificazione ed asportazione guidata delle lesioni a sviluppo più periferico. Non mancano tuttavia alcuni elementi di discussione, non tanto sui parametri tecnici (possibilità di incannulare e dilatare il dotto) e interpretativi (per il momento ancora operatore-dipendenti), quanto sul giusto valore da attribuire alla maggiore quantità di dati conoscitivi ottenibili dalla tecnica sulle lesioni proliferative endoluminali. Tra questi, il fatto che nel lavoro di Vaughan le citologie effettuate sui prelievi da lavaggio dei dotti sembrano evidenziare la presenza di atipie citologiche in più della metà dei casi di papilloma (62% dei papillomi benigni). Questo dato si discosta alquanto dalla casistica di pari numero di Kapenhas-Valdes E. et al. (Mammary ductoscopy for evaluation of nipple discharge. Ann Surg Oncol. 2008;15(10):2720-2727) che su un numero quasi uguale di casi (93) ha riscontrato la presenza di atipie solo nel 6,5%. Ma soprattutto si discosta anche dai risultati della istologia definitiva di quasi tutte le casistiche riproponendoci ancora una volta il problema della reale influenza delle atipie sulla evoluzione delle lesioni.
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QUALITÀ DI VITA DISAGI E RELAZIONI
RECENSIONE A CURA DI A. COLA E G. MARTINO METIS Centro Studi in Oncologia, Formazione e Terapia - Milano
Petit JY, Veronesi U, Orecchia R, et al Nipple sparing mastectomy with nipple areola intraoperative radiotherapy: one thousand and one cases of a five years experience at the European institute of oncology of Milan (EIO) Breast Cancer Research & Treatment 2009; 117(2):333-338
ABSTRACT per ridurre al minimo il danno estetico la conservazione del complesso capezzolo-areola (NAC) può essere proposta per il trattamento del cancro al seno con intervento di mastectomia. In questi casi per ridurre il rischio di recidive retro-areolari viene proposto un nuovo protocollo radio-chirurgico che associa la mastectomia sottocutanea con la radioterapia intraoperatoria (ELIOT). Dal 2002 al 2007 preso lo IEO sono state effettuate mille e una mastectomie con conservazione del capezzolo (NSM), di queste l’82% per carcinoma infiltrante e 18% per carcinoma in situ. 800 di queste donne sono state trattate con ELIOT e 201 con una unica dose di radioterapia il giorno seguente all’intervento chirurgico. Il follow-up medio è stato di 20 mesi (range 1-69). È stata registrata una necrosi totale del complesso capezzolo-areola nel 3,5% e parziale nel 5,5%. Nel 2% dei casi si è avuta infezione e la protesi è stata rimossa nel 4,3% delle donne. La valutazione soggettiva del risultato estetico è stata di 8 (su una scala da 0 a 10). Si è registrato l’1,4% di recidive locali. Nei due gruppi (ELIOT e radioterapia ritardata) non si sono evidenziate differenze significative.
restano aperte: la selezione delle persone, le indicazioni e le controindicazioni, la tecnica operatoria, la valutazione istopatologia, le modalità radioterapiche, la semeiotica biomeccanica e la valutazione conseguente degli esiti locali, funzionali e sistemici, le implicazioni psicologiche e relazionali sono stati l’oggetto di un gruppo di studio coordinato da Luigi Cataliotti, da Viviana Galimberti e Maria Piera Mano. Il documento di consenso nazionale, presentato al Congresso Attualità in Senologia di Firenze del 18-10 novembre 2009 è pubblicato sul questo stesso numero della rivista. SENZA COMMENTO! Selezionando i lavori recenti sull’argomento qualità di vita, ci siamo imbattuti in penosi articoli sugli esiti ed abbiamo registrato una sovrabbondanza di pubblicazioni a… sfondo sessuale. D’altro canto il 18 novembre 2009 nella riunione della FONCaM una parte degli astanti si è dimostrata incuriosita al ‘tema’ svolto dalla dott. Alessandra Graziottin su La sessualità dopo tumore al seno: limiti ed opportunità. Il nostro personale commento critico, esposto in Aula e le perplessità di molti altri Senologi, ripropongono l’attenzione sull’attuale tendenza al riduzionismo nozionistico ed alla segmentazione della conoscenza che non trova riscontro nell’esperienza soggettiva. Anche noi - come è d’uso su canali televisivi indipendenti di fronte ad immagini sconcertanti - ci limitiamo a segnalarvi alcuni lavori ‘Senza Commento’!
COMMENTO: Questo è il risultato autorevole di un gruppo prestigioso. Tuttavia le problematiche applicative della NSM
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RADIOTERAPIA RECENSIONI A CURA DI L. LOZZA SC Radioterapia Fondazione IRCCS Istituto Nazionale Tumori di Milano
Adamowicz K, Marczewska M, Jassem J Combining systemic therapies with radiation in breast cancer Cancer Treatment Reviews 2009; 35: 409-416 Halyard MY, Pisansky TM, Dueck AC et al Radiotherapy and adjuvant trastuzumab in operable breast cancer: tolerability and adverse event data from the NCCTG phase III trial N9831 J Clin Oncol 2009; 27: 2638-2644 Kirova YM, Caussa L, Granger Bet al Monocentric evaluation of the skin and cardiac toxicities of the concomitant administration of trastuzumab and radiotherapy Cancer Radiothérapie 2009; 13: 276-280
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a maggior parte delle pazienti affette da neoplasia mammaria è inserita in programmi terapeutici che prevedono chirurgia, terapie sistemiche e radioterapia, trattamenti complessi di cui è ancora dibattuta l’integrazione ottimale. E’ di più recente introduzione la somministrazione delle cosiddette “target therapies” (lapatinib, anticorpi monoclonali) e per alcuni componenti è stata identificata, in studi preclinici, attività sinergica con la radioterapia. Ancor più controversa è divenuta, pertanto, la scelta di una loro somministrazione concomitante alla radioterapia, stante la scarsa conoscenza dei possibili effetti
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collaterali derivanti. Circa il 15-30% delle neoplasie mammarie esprime HER-2 (human epidermal growth factor receptor 2), malattie a più severa prognosi gravate da maggior rischio di ricaduta. In queste situazioni è stata validata l’efficacia di trastuzumab, anticorpo monoclonale la cui somministrazione ha dimostrato un significativo aumento della sopravvivenza libera da malattia e della sopravvivenza globale. Il beneficio di trastuzumab sembra essere tanto maggiore quanto più precoce è la sua introduzione nel trattamento sistemico. Le tossicità più rilevanti sono state riscontrate a livello cardiaco. Trastuzumab viene generalmente somministrato per lunghi periodi e ne è prevedibile la somministrazione concomitante ai programmi di radioterapia: è stato pertanto ipotizzato un possibile aumento degli effetti collaterali, soprattutto cutanei e cardiaci. Nello studio randomizzato del North Central Cancer Treatment Group N9831, su 1503 pazienti HER 2 positive candidate a regimi di chemioterapia adiuvante comprendenti doxorubicina, ciclofosfamide, paclitaxel e trastuzumab, si è valutata la tossicità della somministrazione concomitante di radioterapia e trastuzumab. Ad un follow up di 3.7 anni gli Autori non hanno riscontrato un aumento di eventi cardiaci, né di tossicità cutanea e polmonare, senza differenza tra le pazienti irradiate sulla regione mammaria destra o sinistra. I dati confermano la possibilità di somministrazione concomitante purché la radioterapia sia condotta con le migliori tecniche. Gli Autori francesi hanno valutato l’associazione di trastuzumab a trattamenti di radioterapia condotti su mammella o parete toracica con dosi e frazionamento convenzionali in 57 pazienti.
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Nell’88% dei casi è stata prevista l’irradiazione della catena mammaria interna alla dose di 43-48 Gy. Anche in questo lavoro non si è osservato un aumento della tossicità cutanea e cardiaca: una radioterapia condotta con tecnica di elevata qualità consente la concomitante somministrazione di trastuzumab anche quando prevista l’irradiazione ampi volumi. Dato il breve follow up, questi dati necessitano di conferme a più lungo termine. Zellars RC, Stearns V, Frassica D et al Feasibility trial of partial breast irradiation with concurrent dose-dense doxorubicin and cyclophosphamide in early-stage breast cancer J Clin Oncol 2009; 27: 2816-1822
breast irradiation negli anni 2004-2007. La radioterapia è stata condotta alla dose di 40.5 Gy in 15 frazioni, utilizzando fasci esterni con tecnica 3D o ad intensità modulata, in associazione con i primi due di quattro cicli di chemioterapia comprendente doxorubicina e ciclofosfamide. Gli Autori hanno rilevato una bassa tossicità ematologica e l’insorgenza di dermatite di grado moderato in circa l’11% delle pazienti. Il campione di pazienti osservato è esiguo e di esse il 12% non ha completato la chemioterapia.
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el trattamento delle neoplasie mammarie la somministrazione concomitante di chemioterapia e radioterapia offrirebbe idealmente i migliori benefici, riducendo il tempo globale delle cure, massimizzandone l’efficacia, sfruttando anche gli effetti radio sensibilizzanti peculiari di alcuni farmaci. Se vi è accordo sulla possibile concomitanza dell’irradiazione della mammella con CMF, da molti oncologi (medici e radioterapisti) è sconsigliata la contemporanea combinazione di antracicline e taxani con la radioterapia, dato il rilevante riscontro di effetti collaterali, anche gravi, a livello degli organi critici. Per quanto riguarda la tossicità cutanea si sono documentate in letteratura reazioni di grado elevato nel 3044% dei casi. La irradiazione parziale della mammella potrebbe consentire l’associazione con tali farmaci, in virtù di una minor quantità di volumi irradiati. Questo il presupposto dello studio di fase I condotto in 25 pazienti accuratamente selezionate per partial
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NUOVI STUDI
Prevenzione del tumore al seno con fenretinide in donne giovani a rischio genetico e familiare. Studio Randomizzato di fase III.
MATTEO LAZZERONI*; BERNARDO BONANNI* * Divisione di Prevenzione e Genetica Oncologica, Istituto Europeo di Oncologia, Milano. § Scuola di Specializzazione in Oncologia, Università di Roma Tor Vergata, Roma.
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Retinoidi sono una classe di farmaci molto studiata in sperimentazioni cliniche di farmaco prevenzione, grazie ai numerosi dati ottenuti in diversi modelli preclinici che hanno dimostrato la capacità di regolare la crescita cellulare, la differenziazione e l’apoptosi.1 L’induzione d’apoptosi è una caratteristica unica di fenretinide (4-HPR), il retinoide maggiormente impiegato in studi clinici di farmacoprevenzione del carcinoma mammario. Questa molecola è infatti in grado di accumularsi selettivamente nei tessuti mammari2 ed il suo profilo di tossicità si è dimostrato essere molto basso3 (secchezza cutanea e rush, e difficoltà d’adattamento visivo al buio, sintomi peraltro molto ridotti e prevenibili con un weekend di sospensione del farmaco ogni mese di trattamento4). I risultati di quindici anni di follow-up di uno studio randomizzato di fase III5 che impiegava fenretinide con l’obbiettivo di prevenire un secondo tumore al seno dimostrano che la fenretinide è in grado di ridurre del 17% l’incidenza complessiva di secondi tumori mammari, effetto che si mantiene nel tempo. Stratificando poi la popolazione in base allo stato menopausale l’analisi ha mostrato una riduzione statisticamente significativa del 38% nelle donne in premenopausa e questo effetto protettivo persiste fino a 15 anni, vale a dire 10 anni dopo la sospensione del trattamento. Soprattutto, più giovani erano le donne, maggiori sembrano essere i benefici legati alla fenretinide, con una riduzione del rischio fino al 50% nelle 66
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donne di età inferiore ai 40 anni, mentre tale beneficio sembra scomparire dopo 55 anni d’età. Recenti studi hanno dimostrato che la 4-HPR modula l’espressione genica nelle cellule ovariche, con una up-regolazione dell’espressione dei geni proapoptotici nelle cellule tumorali e una down-regolazione dei geni BRCA mutati nelle cellule precancerose.6, 7 Questo suggerisce un effetto sia preventivo nelle cellule precancerose sia terapeutico sulle cellule tumorali. Considerando l’attività protettiva della fenretinide riscontrata sia per i secondi tumori al seno in donne giovani, sia per il cancro ovarico8 (quest’ultimo almeno durante il periodo di trattamento), appare evidente che le giovani donne ad alto rischio, come quelle con mutazione germinale dei geni BRCA-1 e BRCA-2 oppure le donne con un alto rischio familiare rappresentino le candidate ideali per ulteriori indagini su questo retinoide. Inoltre, la fenretinide si è dimostrata capace d’inibire la crescita di linee cellulari BRCA-1 mutate. Sulla base di tutte le considerazioni abbiamo deciso di organizzare uno studio randomizzato di fase III, multicentrico, placebo controllato con fenretinide in giovani donne sane ma ad alto rischio di sviluppare un tumore al seno. Un totale di 758 donne sane, d’età compresa tra 2544 anni e ad un aumento del rischio (portatrici di mutazioni BRCA 1 / 2 o con un rischio di mutazione ≥ 20%) verranno randomizzate a 4-HPR 200 mg/die versus placebo per 5 anni. Alla fine del trattamento, i soggetti verrano seguiti per altri dieci anni di follow up. L’obiettivo primario di questo studio è valutare l’efficacia del fenretinide nel ridurre l’incidenza di cancro al seno, sia in situ sia infiltrante. Tra gli endpoint secondari vi sono: l’incidenza di altre patologie mammarie, (neoplasia intraepiteliale lobulare, iperplasia atipica),
NUOVI STUDI
di carcinoma ovarico e di altri tipi di cancro. Lo studio è promosso e coordinato dall’Istituto Europeo di Oncologia di Milano e circa 15 centri italiani saranno coinvolti nel processo. I soggetti saranno seguiti periodicamente con visite cliniche ogni 6 mesi, mammografia, ecografia mammaria, risonanza magnetica del seno e ecografia transvaginale annualmente. Ad ogni visita verrà eseguito un prelievo venoso per esami di sicurezza e analisi dei principali biomarcatori di rischio. Come altri retinoidi, anche la fenretinide potrebbe avere effetti potenzialmente teratogeni, nonostante gli studi disponibili non mostrino effetti genotossici sia in vitro sia in vivo,9, 10 senza evidenza di accumulo nell’embrione umano. Pertanto, adeguate misure di contraccezione devono essere adottate quando si trattano le donne potenzialmente fertili.
Reference List
5. Veronesi U, Mariani L, Decensi A et al. Fifteen-year results of a randomized phase III trial of fenretinide to prevent second breast cancer. Ann Oncol 2006; 17(7):1065-1071. 6. Formelli F, Cleris L. Synthetic retinoid fenretinide is effective against a human ovarian carcinoma xenograft and potentiates cisplatin activity. Cancer Res 1993; 53(22):5374-5376. 7. Kaiser PC, Korner M, Kappeler A, Aebi S. Retinoid receptors in ovarian cancer: expression and prognosis. Ann Oncol 2005; 16(9):1477-1487. 8. De Palo G, Mariani L, Camerini T et al. Effect of fenretinide on ovarian carcinoma occurrence. Gynecol Oncol 2002; 86(1):24-27. 9. Turton JA, Willars GB, Haselden JN, Ward SJ, Steele CE, Hicks RM. Comparative teratogenicity of nine retinoids in the rat. Int J Exp Pathol 1992; 73(5):551563. 10. Kenel MF, Krayer JH, Merz EA, Pritchard JF. Teratogenicity of N-(4-hydroxyphenyl)-all-trans-retinamide in rats and rabbits. Teratog Carcinog Mutagen 1988; 8(1):1-11.
1. Lippman SM, Lee JJ, Sabichi AL. Cancer chemoprevention: progress and promise. J Natl Cancer Inst 1998; 90(20):1514-1528. 2. Mehta RG, Moon RC, Hawthorne M, Formelli F, Costa A. Distribution of fenretinide in the mammary gland of breast cancer patients. Eur J Cancer 1991; 27(2):138-141. 3. Camerini T, Mariani L, De Palo G et al. Safety of the synthetic retinoid fenretinide: long-term results from a controlled clinical trial for the prevention of contralateral breast cancer. J Clin Oncol 2001; 19(6):1664-1670. 4. Decensi A, Torrisi R, Polizzi A et al. Effect of the synthetic retinoid fenretinide on dark adaptation and the ocular surface. J Natl Cancer Inst 1994; 86(2):105110.
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SPIEGHIAMO LA MEDICINA
L’espressione genica nel cancro della mammella: le potenzialità applicative presenti e future
Maria Grazia Daidone Dipartimento di Oncologia Sperimentale e Medicina Molecolare - Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori
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onostante i significativi avanzamenti in termini di anticipazione diagnostica ed efficacia terapeutica (grazie all’utilizzo di approcci conservativi e risolutivi a livello locoregionale, all’impiego di trattamenti adiuvanti citotossici e/o anti-ormonali e, più recentemente, di farmaci mirati contro bersagli molecolari presenti sulle/nelle cellule neoplastiche) che hanno prodotto – fin dagli anni novanta – una riduzione della mortalità, il carcinoma della mammella rimane uno dei principali problemi di salute pubblica in campo oncologico, con più di 37.000 nuovi casi e 11.000 morti l’anno tra le donne italiane. I principali problemi clinici e biologici ancora non risolti per questa neoplasia sono rappresentati da: i. aumentata incidenza (quali i fattori predisponenti e i sottogruppi a rischio); ii. prevenzione (chi ne ha bisogno, quando e come, e come effettuare identificazione e sorveglianza dei soggetti a rischio); iii. diagnosi precoce (messa a punto di metodi specifici e sensibili possibilmente a minima invasività);
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iv. progressione della malattia (impatto dello stile di vita, della biologia del tumore e del microambiente tumorale, e identificazione di predittori biomolecolari solidi e attendibili); v. trattamento (chi ne ha bisogno e quale è il migliore/ l’ottimale per sottogruppi di pazienti o per la singola paziente): vi. resistenza e tossicità ai/dei trattamenti clinici (come predirle, prevenirle, superarle). Proprio l’eterogeneità del tumore della mammella, in termini di suscettibilità genetica, comportamento clinico, profilo biomolecolare e caratteristiche istomorfologiche, rappresenta il maggiore ostacolo alla soluzione di questi problemi. Studi a livello genetico e trascrizionale hanno dimostrato che tale eterogeneità può essere spiegata da a) una differente suscettibilità alla trasformazione neoplastica da parte dei diversi lineage cellulari che costituiscono la ghiandola mammaria; b) un andamento non necessariamente lineare nella progressione della carcinogenesi mammaria da condizioni di massimo differenziamento a situazioni di estremo sdifferenziamento, anche complicata dal fatto che c) non esiste un singolo pathway o una presentazione istologica dominante, differentemente da quanto si osserva per altre neoplasie nelle quali mutazioni di un singolo pathway hanno un ruolo virtualmente dominante nella progressione in tutti i tumori. Recentemente, approcci tecnologici di elevata qualità e altamente performanti hanno fornito per mezzo di analisi molecolari multidimensionali nuove modalità classificative per il carcinoma mammario e potranno rappresentare uno strumento attraverso il quale ridurre la complessità della patologia decifrandone l’eterogeneità biologica e quindi identificando in maniera precisa tra le donne a rischio quelle che effettivamente svilupperanno la malattia e tra queste ultime quelle a rischio di disseminazione metastatica, per le quali è necessario pianificare trattamenti sistemici in aggiunta ai loco-regionali. L’impressionante mole di conoscenza generata dagli studi del profilo di espressione genica sta in effetti significativamente modificando la classificazione correntemente utilizzata per
SPIEGHIAMO LA MEDICINA
il carcinoma mammario, così come le teorie sui meccanismi alla base di insorgenza, progressione e metastatizzazione. Molte signature (o impronte) prognostiche sono state sviluppate con l’utilizzo di approcci “top-down”, cioè retrospettivi in termini di applicazione poiché derivano i modelli prognostici direttamente dalle correlazioni tra profili di espressione genica e andamento della malattia in casistiche cliniche (fanno parte di questa tipologia gli studi sui profili di espressione genica condotti ad Amsterdam1, a Rotterdam2, e lo studio che ha prodotto il Recurrence Score3). Due di queste signatures, quella di Amsterdam costituita da 70 geni (il cui test, approvato da FDA, è commercializzato come Mammaprint), e quella del Recurrence Score (basata su 16 geni e “contesto-specifica” poiché derivata dall’analisi di una casistica clinica di tumori ER+ da pazienti sottoposte a trattamento anti-ormonale, il cui test, commercializzato come Oncotype-Dx, potrebbe avere una maggiore utilità clinica rispetto ad un classificatore solo prognostico, in quanto fornisce informazioni anche sulla risposta ad un determinato trattamento) sono oggetto di due studi prospettici su migliaia di casi, i cui risultati sono fin d’ora molto attesi (anche se disponibili nei prossimi 5-10 anni). Lo studio clinico basato sulla signature di 70 geni prevede la randomizzazione di pazienti con tumore N- per rispondere al seguente quesito di rilevanza clinica: “could Microarray In Node-negative Disease Avoid ChemoTherapy (MINDACT) for more patients than conventional clinical risk assessment can do?”. L’altro studio, basato sull’utilizzo del Recurrence Score, viene condotto su pazienti con tumore N-ER+ e, poiché il test fornisce risultati su scala continua (non dicotomici come il precedente), prevede una modulazione del trattamento in relazione alla classe di rischio, con la somministrazione di ormonoterapia per pazienti con tumore a basso rischio, chemioterapia + omonoterapia per pazienti con tumore ad alto rischio, e la randomizzazione tra ormono e chemioterapia per pazienti con tumore a rischio intermedio. In attesa dei risultati di questi due importantissimi stu-
di prospettici è opportuno fare alcune considerazioni. La maggior parte delle signature prognostiche sviluppate per il carcinoma mammario sono sovrapponibili (e quindi ridondanti) in termini di potere predittivo, mentre mostrano solo minime sovrapposizione tra i geni che le costituiscono (malgrado le casistiche cliniche da cui sono state originate si possano considerare simili nella maggior parte degli studi), senza fornire informazioni realmente clinicamente utili per personalizzare il trattamento post-chirurgico. Recentemente si è fatta strada la convinzione che, per aumentare l’accuratezza predittiva dei profili di espressione genica, le informazioni relative alle signature individuali devono essere ampliate tanto da includere anche caratteristiche biologiche e studi funzionali, e questo ha portato alla definizione di set di geni associati alla singole, specifiche caratteristiche funzionali delle cellule tumorali e ad una predittività meno “contestoassociata” (cioè valida solo per lo studio da cui è stata generata, o per studi con caratteristiche simili). Questo nuovo disegno sperimentale trae vantaggio principalmente dallo studio di modelli e sistemi sperimentali con un approccio “botton-up” (prospettico in termini di applicazione: si studia - ad esempio il processo metastatico utilizzando una linea di cellule tumorali umane altamente metastatica in vivo alle ossa e la predittività del profilo genico ottenuto viene testata e validata sui database di carcinomi mammari già sottoposti ad analisi molecolare, attualmente disponibili in rete). Inoltre, poiché finalizzate allo studio delle caratteristiche specifiche della cellula tumorale, queste nuove signature presentano una predittività non istotipo-specifica, ma generalizzabile a più neoplasie, anche di diversa origine. Un eccellente esempio di come questi nuovi approcci integrati di genomica funzionale contribuiscano ad aumentare non solo la conoscenza in senso lato, ma anche l’informatività clinica, è fornito dal lavoro di Acharya4, nel quale gli Autori hanno testato l’accuratezza predittiva di geni componenti le signature della risposta dei fibroblasti al siero5 insieme a quelli associati ad instabilità cromosomica5, invasività6, staminalità7 e TNFĮ8 su una casistica di carcinoN. 59 - 2010
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SPIEGHIAMO LA MEDICINA
mi della mammella derivata da 5 set di dati analizzati con la piattaforma genomica Affymetrix. Tutte queste signature, considerate singolarmente, avevano mostrato un significato prognostico in alcuni casi anche decisamente rilevante; tuttavia, considerata la complessità e l’eterogeneità biologica del carcinoma mammario, è verosimile che il singolo tumore presenti una serie di alterazioni molecolari che comprendono più aspetti funzionali, e che quindi la considerazione di profili integrati possa essere maggiormente informativa, anche quando confrontata con un modello predittivo clinico-patologico come Adjuvant!Online, molto utilizzato nella pratica clinica. Tuttavia, abbiamo realmente bisogno, al momento attuale, di un nuova signature predittiva, anche se generata in maniera molto più razionale che in passato, considerando il fatto che, comunque, la predittività non è perfetta nell’identificare né il minimo rischio, né l’alto rischio? Ovvero, abbiamo ancora bisogno di indicatori di rischio, o forse non è arrivato il momento in cui bisogna mettere a fuoco il nuovo obiettivo della Medicina Molecolare: un’azione più mirata grazie all’identificazione di predittori molecolari di risposta a trattamenti specifici e/o di nuovi target molecolari aggredibili farmacologicamente. E’ nel fornire la risposta a questo quesito che il lavoro di Acharya evidenzia il suo valore aggiunto rispetto a lavori analoghi. Infatti, le informazioni sui profili di espressione genica relativi alla prognosi vengono integrate con i dati prodotti su linee cellulari9, sensibili e/o resistenti a farmaci convenzionali, considerati singolarmente e in associazione. In questo modo, si opera una integrazione tra prognosi e risposta a trattamenti specifici che, in associazione alle informazioni clinico-patologiche già disponibili, potrebbe veramente contribuire a personalizzare la medicina, adeguando la terapia all’aggressività del tumore e alla sua intrinseca chemioresponsività. In termini pratici, pazienti classificate a prognosi peggiore (con tumori nei quali è attivata la risposta dei fibroblasti al siero e che presentano instabilità cromosomica 70
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e caratteristiche di staminalità) sono potenzialmente resistenti ad adriamicina e paclitaxel ma sensibili a docetaxel, etoposide e topotecan. Per contro, pazienti classificate a buona prognosi (con tumore che presenta attivazione di TNFĮ, SRC, RAS e ȕ-catenina) sono potenzialmente resistenti a docetaxel, etoposide e topotecan ma sensibili a fluoro-uracile, adriamicina, ciclofosfamide e paclitaxel. Queste osservazioni, ovviamente, devono essere validate su casistiche indipendenti, possibilmente attraverso un approccio realmente prospettico (pazienti trattate in base ai risultati del laboratorio rispetto ad un trattamento convenzionale), ma forniscono la preliminare evidenza che nel carcinoma mammario una razionale considerazione dell’insieme dei dati che provengono dal laboratorio può realmente integrare gli attuali criteri di classificazione clinico-patologica utilizzata in clinica. Inoltre, subito fruibili nella pratica clinica sono le infomazioni relative alla sensibilità/resistenza ai farmaci convenzionali in relazione al profilo di espressione genica. L’approccio di Acharya, già parzialmente validato per la terapia neoadiuvante con un trial multicentrico EORTC10, potrebbe non solo essere esteso ad altre situazioni cliniche del carcinoma mammario (ormonoterapia, ad esempio), ma anche ad altre neoplasie, traendo vantaggio dalla quantità di dati di espressione genica disponibile in rete. 1. Van’t Veer L et al., Nature 2. Wang et al., Lancet 3. Paik S et al., N Engl J Med 4. Acharya CR et al., JAMA 299, 1574-87, 2008 5. Chang HY et al., Proc Natl Acad Sci USA, 3738-43, 2005 6. Carter SL et al., Nat Genet 38, 1043-1048, 2006 7. Liu R et al., N Engl J Med 356, 217-226, 2006 8. Viemann D et al., J Leukoc Biol 80, 174-185, 2008 9. Bild AH et al, Nature 439, 352-357, 2006 10. Bonnefoi H et al., Lancet Oncology 8, 1071-78, 2008
QUI CURANO COSÌ
Ospedale Evangelico Valdese di Torino
L
a Task Force di Senologia dell’Ospedale Evangelico Valdese di Torino nasce nel 2002 dalla collaborazione tra Servizi Ospedalieri e Service Autonomi Convenzionati e dalla volontà di creare una Unità di Senologia multidisciplinare, nel rispetto di un approccio per processi, che in sanità trova applicazione attraverso la definizione di percorsi diagnosticoterapeutici organizzati. In altri termini l’apporto culturale e di esperienza pratica di più operatori nel campo della senologia è confluito nella definizione di una metodologia di lavoro ed in una serie di protocolli clinici che guidano il rapporto medicopaziente e che sono soggetti a continua verifica di correttezza e di efficacia. L’Unità di Senologia opera nell’ambito del SSN secondo le normative e le linee guida regionali, nazionali ed internazionali, in collaborazione con i medici di medicina generale (MMG) e con gli specialisti che riferiscono alla Task Force sia le donne asintomatiche che non partecipano al Programma di Screening regionale, sia le donne affette da patologia mammaria. L’Unità di Senologia opera nell’ambito del Gruppo Interdisciplinare Cure (GIC) del Polo Torino Est. Tutte le Unità Operative dell’Ospedale Evangelico Valdese componenti la Task Force di Senologia hanno ottenuto la certificazione ISO 9001, che garantisce la qualità delle prestazioni fornite e dell’attenzione al cliente. Il percorso seguito dalla paziente senologica che richieda l’intera procedura è così articolato: 1. Possibilità di diagnosi mediante mammografia ed ecografia mammaria, con apparecchiature di ultima generazione, e cito-istologia da agoaspirato. I casi agoaspirati vengono discussi collegialmente ed il referto viene consegnato alla paziente entro 4 giorni in oltre il 90% dei casi, con disponibilità per un accesso diretto alla chirurgia (visita immediata per chi la desidera). 2. Possibilità di consultazione senologica, di prenotazione dell’intervento, di gestione di tutti gli esami pre-operatori e delle problematiche connesse alla patologia specifica, sino alla visita anestesiologica in regime di pre-ricovero.
3. Informazione della paziente con strumenti idonei e dettagliati al fine di renderla partecipe alla scelta del trattamento ritenuto più corretto. Compilazione della cartella clinica e consegna di uno stampato informativo sulle procedure del ricovero, di una lettera informativa per il MMG, di stampati tecnici informativi (come quello sul linfonodo sentinella) e del modulo di consenso informato (che la paziente dovrà riconsegnare firmato al momento del ricovero). 4. Possibilità di reperimento pre operatorio (filo metallico, traccia di carbone, tatuaggio cutaneo) delle lesioni non palpabili, presso l’Unità Operativa di Senologia diagnostica. 5. Possibilità di identificazione del linfonodo sentinella con tracciante radioattivo 6-24 ore prima dell’intervento oppure in sala operatoria con colorante vitale. 6. Ricovero presso l’Unità Operativa di Ginecologia Mini Invasiva, contenuto nel più breve tempo possibile, salvo l’insorgenza di complicanze o la presenza di comorbilità: Day Hospital o Day Surgery per gli interventi quali tumorectomie, quadrantectomie, linfonodo sentinella; Day Surgery per mastectomie e dissezioni ascellari; oppure Ricovero Ordinario
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QUI CURANO COSÌ con degenza massima di due giorni per le mastectomie con ricostruzione immediata. 7. Dimissione con materiale informativo (p.es. sui drenaggi, sulle complicanze derivanti da dissezione ascellare e sulle misure riabilitative suggerite in tali casi). 8. Pronta reperibilità 24 ore / 24 in caso di emergenza chirurgica. 9. Gestione ambulatoriale programmata del post operatorio da parte della Unità operativa di Ginecologia Mini Invasiva (per tutti i casi di sola chirurgia benigna od oncologica), oppure di Chirurgia Plastica (in caso di ricostruzione immediata). 10. Nuova discussione collegiale del caso clinico quando si rende disponibile l’esame istologico, 1-3 settimane dopo l’intervento. 11. Consegna dell’esame istologico alla paziente con comunicazione delle decisioni collegiali e delle date programmate per la visita oncologica e per quella radioterapica (se necessaria), che devono essere comunicate al MMG e/o allo specialista inviante. 12. Rinvio al curante delle donne operate per patologia mammaria benigna oppure programmazione dei controlli periodici presso le Unità Operative di Oncologia (in caso di carcinomi) e di Senologia Diagnostica (in caso di microcalcificazioni). La standardizzazione delle procedure, il controllo della qualità e delle complicanze, il gradimento dimostrato dalle donne afferenti e dai medici referenti hanno prodotto in questi anni un netto incremento della produttività (2359 interventi nel periodo 2003-2008), attualmente ben al di sopra degli standard suggeriti dagli indicatori di qualità elaborati in sede GISMA ed EUSOMA. E’ particolare la cura al contenimento della degenza nel tempo minimo necessario per coprire le emergenze medico-chirurgiche dell’immediato post operatorio e per ridurre le complicanze infiammatorie e trombo-emboliche tardive (a tal fine sono attivi protocolli di profilassi antibiotica, meccanica ed eparinica). Tale cura consente di ridurre la spesa sanitaria pro capite e di gestire un’ampia casistica operatoria ottimizzando l’utilizzo dei posti letto. La collaborazione multidisciplinare ha consentito la partecipazione a studi clinici multicentrici e l’effettuazione di ricerche originali in campo chirurgico, sebbene il nostro non sia un Istituto di Ricerca e quindi non abbia una programmazione d’indirizzo. Prossimamente la nostra unità diverrà sede di screening nella Città di Torino. Sono spiacente di non poter allegare una fotografia del ns Ospedale, per motivi tecnici, ma vi sono grato per averci dato la possibilità di pubblicizzare i risultati del ns lavoro. Franco Genta 72
ATTUALITÀ IN SENOLOGIA
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SERVIZI
ANATOMIA PATOLOGICA Ospedale Evangelico Valdese Via Pellico,19 - 10125 Torino Primario: dott.ssa Laura Viberti Telefono: 0116540308 Fax: 0116540365 E-mail: laura.viberti@aslto1.it
Attività per patologia mammaria
Ore dedicate (settimana) Esami refertati nel 2008 istologici citologici microistologici La classificazione istologica codificata Esiste un archivio informatizzato Grading, recettori ormonali e indicatori di proliferazione vengono valutati I pezzi operatori sono orientati (fili, reperi metallici ecc.)? Viene effettuata la marcatura dei limiti di sezione chirurgica ? Disponibilità della radiografia di controllo del pezzo operatorio al momento dell’esame ? L’esame estemporaneo viene effettuato sulle microcalcificazioni sui tumori inferiori ad 1 cm sui margini di sezione chirurgica in caso di intervento conservativo
20 429 353 761 SI SI SI, in tutti i casi SI SI
NO NO NO NO
QUI CURANO COSÌ Giorni attesa (in media)
CHIRURGIA Ospedale Evangelico Valdese Via Pellico,19 - 10125 Torino Responsabili Ginecologia Mini Invasiva: Dott. Francesco Deltetto e Marco Camanni Riferimento Senologia Chirurgica: Dott. Franco Genta Telefono: 011.6540442 Fax: 011.6540449 E-mail: markgen@libero.it
180 per screening e follow-up, 0 per sintomatiche
Apparecchiatura in dotazione mammografi -
N° 2 Giotto IMS Digitale (18x24 e 24x30) Esaote My Lab 70 Acuson Sequoia con sonda da 15 SI
ecotomografi
Controlli di qualità periodici Radiografie del pezzo operatorio in tutti i reperimenti preoperatori SI
Attività per patologia mammaria
Ore dedicate (settimana) Numero totale di nuovi casi/anno 2007 Benigni In situ Carcinomi invasivi Attesa (gg) media per lesione maligna dalla indicazione all’intervento Giorni di degenza media Disponibilità di sessioni di sala operatoria alla patologia mammaria? Letti di degenza dedicati Disponibilità di ricostruzione immediata e/o collaborazione di un chirurgo plastico Si utilizza la tecnica del linfonodo sentinella Se occorre terapia adiuvante
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MEDICINA NUCLEARE
99 33 345
Ospedale di Moncalieri (TO) Piazza Amedeo Ferdinando 3 CAP 10024 Primario FF: dott Giacomo Canavese Telefono 011.6930479 Fax 011.6930481
30 1,2 SI SI, 7 SI SI la paziente viene inviata alle oncologie
Attività per patologia mammaria
Ore dedicate (settimana) N° annuo di linfonodi sentinella eseguiti Da quanti anni viene eseguito di routine la tecnica del linfonodo sentinella? N° annuo di ROLL eseguite N° annuo di scintigrafie ossee eseguite per patologia mammaria E’ disponibile PET o TAC/PET Si eseguono trattamenti radiometabolici loco-regionali o sistemici
12 400 8 40 1800 NO SI
DIAGNOSTICA RADIOLOGICA Ospedale Evangelico Valdese Via Ormea 21bis - 10125 Torino Primario: dott. Eugenio Zanon Telefono: 0116540392 E-mail: ezanon@libero.it
ONCOLOGIA
Attività per patologia mammaria
Ore/settimana dedicate Attività di screening
Mammografie eseguite nel 2007
44 SI, nel comune di Torino per la fascia d’età 50 -69 anni 11.000
Ospedale Evangelico Valdese Via Pellico,19 - 10125 Torino Primario: Dott. Gianni Fornari Telefono: 011.6540241 Fax 011.6540351 E-mail gianni.fornari@aslto1.it
Attività per patologia mammaria
Ore dedicate (settimana) N. 59 - 2010
55 ATTUALITÀ IN SENOLOGIA
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QUI CURANO COSÌ Numero totale di nuovi casi/anno (2007) Tipologia dei trattamenti eseguiti/anno chemioterapia neoadiuvante: chemioterapia adiuvante: chemioterapia per riprese di malattia Vengono effettuati incontri multidisciplinari (con presenza almeno del radiologo, patologo e chirurgo) per la discussione dei casi clinici?
Negli ultimi tre anni avete inserito pazienti di carcinoma mammario in studi clinici?
370 15 200 30
Si, con frequenza bisettimanale
FOLLOW-UP SI Presso quale ambulatorio si svolge
Se si, specificare quali studi:
GIM 1-23-4-5-8; Studio Neoadiuvante (Prof.sa Sapino); Short Her (AIFA)
RADIOTERAPIA Ospedale San Giovanni Antica Sede Via Cavour, 31 Torino CAP 10123 Primario: Dott. Alessandro Boidi Trotti Riferimenti: Dott. Rovea Paolo Telefono 011.6333612 Fax 011.6333518 E-mail: aboiditrotti@molinette.piemonte.it
Attività per patologia mammaria
Ore dedicate (settimana) Numero totale di nuovi casi/anno N° sorgenti di cobalto in funzione N° acceleratori lineari in funzione Radioterapia Intraoperatoria (IORT) Procedure standardizzate di controllo di qualità in atto Tempo di attesa medio (n. giorni)
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ATTUALITÀ IN SENOLOGIA
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radioterapia e oncologia
Se più servizi sono coinvolti nel FU, la paziente si rivolge ad uno solo di questi per le visite e questo le gestisce in collegamento tra i Servizi interessati (cioè il follow up dei pazienti è svolto in modo coordinato tra i Servizi) SI Il follow -up è modulato in base a: tempo intercorso dal trattamento, esame clinico e tutti gli esami di routine Esiste un servizio per la riabilitazione funzionale di riferimento per le pazienti SI, ASL TO 1, vi vengono inviate tutte le pazienti con complicazioni post-trattamento. Disponibilità di trattamenti per il linfedema (pressoterapia, linfodrenaggio ecc.) e consulenza psicologica SI
NEWS
Reportage, fatti, avvenimenti, notizie
Congresso AIS2009
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al 18 al 20 novembre si è svolta a Firenze la V edizione del Congresso “Attualità in Senologia” che ha visto riuniti al Palazzo dei Congressi un migliaio di specialisti dedicati alla patologia della mammella. Il congresso rappresenta ormai per il mondo della senologia italiana un appuntamento fisso, un momento di incontro e di confronto, per discutere sulle problematiche più attuali. Filo conduttore dei temi trattati è stata la multidisciplinarità, elemento base ed indispensabile per garantire alla donna il trattamento più adeguato e per dimostrare come sia essenziale dedicarsi alla diagnosi e alla cura della patologia della mammella con spirito di squadra. Molti gli argomenti trattati nelle diverse sessioni: screening e rischio di overtreatment, mammografia digitale, senologia interventistica, tomosintesi, chirurgia oncoplastica, cellule staminali e chirurgia ricostruttiva, terapia medica,DCIS, LCIS, nipple sparing mastectomy. Una delle sessioni conclusive è stata dedicata ad “uno sguardo al futuro”, nella quale i relatori hanno presentato dati promettenti riguardo le cellule staminali, le cellule tumorali circolanti e i fattori prognostici e predittivi emergenti. Il congresso si è concluso con una tavola rotonda che ha affrontato due temi molto attuali e rilevanti per il domani della senologia: le breast unit e le specializzazioni degli esperti, che si è conclusa con la presentazione e votazione di uno statement al fine di sensibilizzare le istituzioni. Appuntamento a Firenze dal 16 al 18 novembre 2011.
Unità multidisciplinare di Senologia Raccomandazioni di Ais 2009
I
n occasione del congresso Attualità in Senologia 2009, durante la sessione “il domani della senologia: le Breast Unit e le specializzazioni” è stato presentato e votato dai presenti il seguente documento, simbolicamente consegnato alla Sen. Laura Bianconi, al fine di sensibilizzare le istituzioni alla implementazione delle unità multidisciplinari di senologia, in ottemperanza con quanto previsto dalle Risoluzioni (2003- 2006) del Parlamento Europeo. Premesso che: - Nell’ottobre 1998 si è tenuta a Firenze la Prima Conferenza Europea sul cancro della mammella, al termine della quale si è votato un documento “Florence Statement” che stabilisce che tutte le donne abbiano accesso ad un centro multidisciplinare dedicato alla patologia della mammella (EJC vol 35 – n. 1 pp 14-15, 1999) - Nel 2000 la European Society of Breast Cancer Specialists (EUSOMA) ha pubblicato i Requisiti che una Unità di Senologia deve avere.(EJC vol 36 pp 2288-2293, 2000). Tali lineeguida sono state aggiornate e pubblicate sulle European Guidelines for quality assurance in breast cancer screening and diagnosis (4th Edition Luxemburg office for Official publications of the European communities 2006). - Nel 2001 si è tenuta a Bruxelles la Seconda Conferenza Europea sul cancro della mammella al termine della quale si è votato un documento “Brussels Statement” che stabilisce che il cancro della mammella deve essere curato in centri multidisciplinari e che i governi nazionali costituiscano e accreditino le breast unit nei loro paesi secondo le linee guida Eusoma. N.. 59 N 59 - 2010 201 01 010 10 0
ATTUALITÀ ATT A TTUALIITÀ TTU À IN SENOLOGIA SE SE SEN ENOLO OLOGIA OL OGIA
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NEWS istituito le unità di senologia – Breast Unit. - La regione Toscana con delibera n° 927 del 10-12-2007 ha deliberato di approvare il documento “Unità multidisciplinare di Senologia in Toscana” per la organizzazione e la disciplina delle UMS e di impegnare ogni area vasta, a costituire in fase iniziale almeno una unità multidisciplinare senologica e a prevederne l’ulteriore futura programmazione. I partecipanti alla V edizione del congresso Attualità in Senologia formulano le seguenti raccomandazioni: - Nel giugno 2003 il Parlamento Europeo ha votato all’unanimità una Risoluzione elaborata dalla Commissione per i Diritti della Donna e le Pari Opportunità che propone di fare della lotta al cancro al seno una priorità della politica sanitaria degli Stati membri. - La Risoluzione Europea raccomanda che tutte le pazienti con carcinoma della mammella siano curate da una equipe multidisciplinare e chiede che gli stati membri stabiliscano una rete di centri dedicati multidisciplinari per tutta la popolazione in base ai requisiti di Eusoma. - Nell’ottobre 2006 il Parlamento Europeo ha votato la nuova Risoluzione che ribadisce quanto affermato in quella del 2003, invitando inoltre gli Stati membri a garantire entro il 2016 la creazione a livello nazionale di Unità di Senologia, poiché è dimostrato che il trattamento del tumore della mammella in centri multidisciplinari, aumenta le possibilità di sopravvivenza e migliora la qualità di vita. A questo proposito, la Commissione richiede agli Stati membri di riferire ogni due anni sui progressi a tale riguardo. - In Italia, il Senato della Repubblica (15 ottobre 2003) e la Camera dei Deputati (3 marzo 2004) hanno approvato all’unanimità – sulla base della Risoluzione europea – delle Mozioni sulla lotta al tumore del seno. Il documento italiano impegna il Governo ad una serie di iniziative concrete tra cui il garantire a tutte le donne affette da tumore al seno il diritto ad essere curate da una equipe multidisciplinare e sviluppare una rete capillare di centri di senologia certificati ed interdisciplinari che debbano soddisfare criteri di qualità. - La Regione Campania con legge regionale n°20 del 0911-2005 (BU regione Campania n°59 del 14-11-2005) ha 76
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1. Che in Italia vengano presi ed attuati opportuni provvedimenti legislativi a livello del piano sanitario nazionale e dei piani sanitari regionali per garantire che vengano create delle Unità di Senologia, a carattere multidisciplinare, secondo i requisiti della European Society of Breast Cancer Specialists (EUSOMA). 2. Che queste Unità di Senologia vengano certificate secondo gli standard raccomandati dall’Eusoma. 3. Che vengano definiti protocolli diagnostico terapeutici assistenziali (PDTA) che garantiscono l’approccio multidisciplinare, la continuità delle cure a tutte le donne affette da carcinoma della mammella, ivi comprese la riabilitazione e le cure palliative, secondo criteri di appropriatezza, di efficacia ed efficienza ,garantendo altresì pari opportunità di accesso alle risorse tecnologiche e alle necessarie competenze professionali. 4. Che ogni Unità di Senologia raccolga i dati del percorso diagnostico - terapeutico che devono essere disponibili per gli incontri periodici di auditing che l’unità deve svolgere regolarmente in base ad obiettivi di qualità e di risultato. 5. Che gli specialisti che lavorano in queste Unità siano dedicati ed abbiano una formazione adeguata in base ai requisiti indicati da Eusoma. 6. Che la formazione degli specialisti si svolga nelle Unità di Senologia secondo un programma formativo sviluppato di concerto con l’Università e con la rete formativa delle singole Scuole di Specializzazione. 7. Che il servizio sanitario nazionale garantisca agli specialisti dedicati alla cura del tumore della mammella una progressione di carriera.
NEWS
Carcinoma della mammella in età avanzata PROGRAMMA
GIOVEDI 28 OTTOBRE
Rozzano (MI)
14.30
Apertura lavori. U. Veronesi (Milano) e A. Santoro (Milano)
14.50
Quando l’età influenza la scelta terapeutica. L Repetto (Roma) I Sessione: Prevenzione e screening Moderatore M. Rosselli Del Turco (Firenze)
28 e 29 ottobre 2010 Istituto Clinico Humanitas
15.10
I tumori della mammella in età avanzata: le dimensioni del problema A. Micheli (Milano)
N
15.25
Screening: fasce d’età e problematiche specifiche della popolazione anziana G. M. Giuseppetti (Ancona)
15.35
Ruolo delle metodiche diagnostiche nella paziente anziana P. Panizza (Milano)
elle donne sopra i 65 anni il tumore della mammella è la più frequente patologia neoplastica e la mortalità per causa specifica è nettamente più elevata rispetto alle donne più giovani. L’ulteriore crescita demografica attesa nei prossimi anni fa si che si debba guardare con grande attenzione a questa fascia di popolazione per giungere alla definizione di linee guida condivise sia per quanto riguarda gli aspetti relativi alla diagnosi precoce sia la pianificazione terapeutica. Obiettivo di questa conferenza, che si aprirà a conclusione della seconda riunione plenaria semestrale della FONCaM, è quello di cercare di introdurre una omogeneizzazione delle pratiche cliniche e promuovere progetti di ricerca specifici per le pazienti di questa fascia di età.
www.senologia.it
II Sessione: Trattamento loco-regionale, la chirurgia Moderatore L. Cataliotti (Firenze) 15.50
Valutazioni geriatriche e comorbilità nella scelta dell’intervento: SORRY SCORE R. Monzani (Milano)
16.10
Chirurgica senologica: come cambia in funzione dell’età A. Luini (Milano)
16.30
La chirurgia ricostruttiva in età avanzata: strategie e possibilità VENERDI 29 OTTOBRE III Sessione: Trattamento loco-regionale, la radioterapia Moderatore G. Ausili Cefaro (Chieti)
09.30
Trattamento conservativo senza radioterapia: studi clinici in corso C. Tinterri (Milano)
09.50
Trattamento radiante complementare: Rapidarc come alternativa? M. Scorsetti (Milano)
10.10
La radioterapia intraoperatoria nell’anziana R.
10.30
IART G. Paganelli (Milano)
10.50
Pausa caffè IV sessione: Terapia sistemica Moderatore: A. Goldhirsch (Milano)
11.15
Criteri per la pianificazione del trattamento adjuvante nella paziente anziana S. Monfardini (Padova)
11.35
La pianificazione del trattamento nella malattia metastatica D. Crivellari (Aviano)
11.55
Target Therapy e nuovi farmaci R. Torrisi (Milano)
12.15
Ruolo della terapia di supporto L. Biganzoli (Prato)
12.30
Discussione
13.00
Colazione di lavoro
14.30
L’immagine corporea in eta’ avanzata M. Graziottin (Milano)
15.00
Tavola rotonda: L’approccio interdisciplinare nella paziente anziana : proposta di statement. moderatori : A. Costa (Lugano) e U. Tirelli (Aviano) G. Ausili Cefaro, L. Cataliotti, G. Masci (Milano), R. Orecchia, A. Santoro, C. Tinterri,
16.00
Conclusioni
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ATTUALITÀ IN SENOLOGIA
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NEWS
Back from San Antonio
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al 9 al 13 dicembre 2009 si è tenuta la trentaduesima edizione del San Antonio Breast Cancer Symposium, un appuntamento tradizionale per tutti i ricercatori e i clinici che si occupano di neoplasia mammaria. Il meeting, organizzato dal Baylor College of Medicine e dalla American Association of Cancer Research (AACR) si propone annualmente di offrire una ribalta internazionale per la presentazione delle più importanti ricerche cliniche e di base ed è ormai l’appuntamento tradizionale di fine anno. L’attenzione per quanto a San Antonio viene presentato e discusso è così aumentata da produrre nei mesi successivi materiali ed eventi che ne riprendano i contenuti. Così, le presentazioni orali delle sessioni generali possono essere riviste e molto materiale può essere scaricato, accedendo al sito del congresso www.sabcs. org; riflessioni e autorevoli commenti possono essere raccolti sul sito di Clinical Care Options (www.cco.org) e per gli Oncologi italiani sono a disposizione una review elettronica gratuita (San Antonio Scanner, per cui ci si può rivolgere a oncoscanner@ gruppocomunica.it ) e un meeting dedicato giunto nel 2010 alla terza edizione (Back from San Antonio), che si tiene a Genova nel secondo o terzo fine settimana di ogni gennaio). Anche quest’anno le aspettative di chi ha affrontato il lungo viaggio sino in Texas non sono andate deluse e molti interessanti risultati sono stati presentati; la partecipazione all’organizzazione dell’AACR ha finito con l’arricchire il programma di molte ricerche di base o comunque ancora lontane dalle applicazioni cliniche (basti pensare alla grande attenzione dedicata ai siRNA), ma in questo breve report ci limiteremo agli studi che possono avere sin d’ora un impatto sulla pratica clinica. • Per quanto riguarda la terapia ormonale adiuvante delle donne postmenopausali, gli Inibitori dell’Aromatasi si sono affermati negli anni scorsi grazie al risultato positivo di alcuni importanti studi clinici randomizzati (ATAC, BIG1-98, IES): rimane aper-
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to tuttavia il problema se sia opportuno un impiego upfront (sin dall’inziio dell’ormonoterapia) o dopo un periodo di 2-3 anni di Tamoxifen, in quanto entrambe le modalità hanno dato risultati favorevoli quanto meno in Disease Free Survival(DFS). Sia nel 2008 che quest’anno sono stati presentati i risultati di un nuovo studio (TEAM) sostanzialmente mirato a confrontare 5 anni dell’Inibitore Steroideo dell’Aromatasi, l’Exemestane, con la sequenza Tamoxifen-Exemestane. Per il TEAM inizialmente si era pensato ad un confronto "testa a testa" tra Exemestane e Tamoxifen per 5 anni; ma, nel 2004 dopo la pubblicazione dei risultati dello studio IES, non è stata più considerata accettabile la somministrazione per 5 anni del solo Tamoxifen e conseguentemente le pazienti del braccio Tamoxifen sono state passate all'Exemestane. Lo studio -quindi- finisce per confrontare in un campione molto esteso di pazienti (circa 10000) la strategia upfront con la strategia sequenziale. Conl’analisi presentata quest’anno a San Antonio non è stata rilevata alcuna differenza in termini di Disease Free Survival o Overall Survival e per quanto riguarda i profili di tossicità l’analisi permette di verificare come l’uso sequenziale non mette al riparo dalla tossicità specifica dei due singoli agenti, nonostante il periodo più breve di somministrazione per ciascuno di essi. Conseguentemente, le due opzioni terapeutiche rimangono egualmente da considerare e solo ulteriori studi potranno identificare pazienti più adatte per l’una o per l’altra. • Un problema aperto (tanto da essere stato oggetto di uno specifico dibattito tra R. Gelber e E.Winer) rimane quello della opportunità o meno di aggiungere la chemioterapia alla ormonoterapia nelle pazienti con tumore endocrino-sensibile. Anche a questo proposito sia J.Cuzick, che Giuseppe Viale, rispettivamente per lo studio ATAC e lo studio BIG1-98, hanno messo a punto dei sistemi di definizione della prognosi a partire dai comuni dati immunoistochimici, assegnando un differente peso prognostico a ciascuno di essi. Il prof Viale ha mostrato come i singoli parametri considerati (ER, PgR, Ki67 e HER-2) non permettono di discriminare le pazienti che beneficiano dalla so-
NEWS stituzione del Tamoxifen con il Letrozolo; viceversa mettendo insieme a questi parametri anche T, N, Grading e PVI si può ottenere (e dando un peso differente a ciascuno) un “Composite Risk” e lo score così calcolato si traduce in un rischio differente di recidiva utilizzabile in prospettiva per avere indicazioni sul tipo di ormonoterapia (tamoxifen, inibitore dell’aromatasi in sequenza o upfront) e sulla opportunità di aggiungere la chemioterapia. • L’aggiornamento di due dei più importanti studi sull’applicazione del Trastuzumab in fase adiuvante permette di fare il punto sull’impiego ottimale. Edith Perez ha presentato i risultati del trial NCCTG N9831, l’unico a comparare la modalità concomitante di somministrazione del Trastuzumab con quella sequenziale. In questo studio sono state arruolate oltre 2400 pazienti per il confronto tra chemioterapia da sola (una sequenza di antracicline e taxani) e la sequenza di chemioterapia e Trastuzumab; ad un follow-up mediano che è ora di 5.5 anni la DFS è aumentata significativamente dal 72 all’80%. Con il confronto su 1900 donne randomizzate a ricevere combinazione e sequenza emerge un vantaggio a favore della prima, anche se la complessità di alcuni aspetti metodologici rimandano obbligatoriamente ad un approfondimento in fase di lettura del lavoro in forma estesa. Dennis Slamon, invece, ha presentato la terza analisi pianificata dello studio BCIRG 006, che ha il merito -tra gli altri- di confrontare con la chemioterapia da sola sia un braccio di chemioterapia più trastuzumab impostato in maniera tradizionale (antracicline prima e poi docetaxel e trastuzumab assieme), sia un braccio innovativo senza antracicline e con la concomitanza di docetaxel, carboplatino e trastuzumab sin dall’inizio (TCH). La DFS a 5 anni e la Sopravvivenza sono risultate significativamente migliore con entrambi gli schemi includenti il Trastuzumab (Sopravvivenza del 92% e 91% rispettivamente contro l’87% e DFS del’84% e 81% rispettivamente contro il 75%). Il TCH è considerato da molti preferibile in relazione al migliore profilo di tossicità (essendo escluse le antracicline e risultando quindi inferiori cardiotossicità e leucemie secondarie), ma altri ritengono più consistenti (anche perché derivanti anche dagli altri studi) i risultati ottenibili con i regimi di sequenza con antracicline e taxano associato all’anticorpo monoclonale. • Sempre per le pazienti con tumore HER2 positivo, molti sono gli studi presentati anche come poster riguardanti lo sviluppo di nuovi farmaci nei casi resistenti al Trastuzumab e/o al Lapatinib. La buona conoscenza della pathway di HER2 ha permesso in effetti di sviluppare inibitori specifici di singole tappe a valle del recettore ed eventualmente “upregulated” o sfruttare ancora il recettore HER-2 per nuovi anticorpi monoclonali con siti di le-
game diverso (Pertuzumab) o per farmaci in cui l’anticorpo monoclonale funge da veicolo di un citotossicio (TDM1). Di particolare rilievo la presentazione di Blackwell concernente pazienti metastatiche pretrattate e randomizzate a ricevere il Lapatinib da solo oppure con la prosecuzione del Trastuzumab. In questo studio di fase III è stata rilevata una differenza molto grande in termini di sopravvivenza globale a favore della combinazione (14 mesi versus 9.5 mesi). Al di là della ovvia considerazione che il gruppo di pazienti randomizzate probabilmente comprendeva soprattutto casi estremamente sensibili ai farmaci anti-HER-2, è ben chiaro che risulta confermata anche da questa osservazione l’importanza del blocco di HER-2 in tutte le fasi della malattia. • Per quanto riguarda l’associazione di chemioterapia e inibitori dell’angiogenesi nelle fasi metastatiche, si sono registrati nuovi risultati favorevoli, anche se rimane aperto il problema dell’esatta collocazione nella strategia terapeutica complessiva. D. Miles ha presentato un aggiornamento dello studio AVADO (confronto randomizzato tra Docetaxel e Docetaxel + Bevacizumab), riportando un HR di 0.77 altamente significativo per un vantaggio mediano in Progression Free Survival (PFS) di circa due mesi; l’associazione di Bevacizumab (alla dose di 15 mg/kg) e Docetaxel produce anche una ragguardevole percentuale di risposte obiettive del 64% e la tossicità sembra accettabile rispetto alla chemioterapia da sola. Brufsky ha presentato, invece, i risultati di uno studio condotto in seconda linea (RIBBON 2) con l’aggiunta di Bevacizumab o placebo ad un chemioterapico a scelta dell’investigatore (taxano, Gemcitabina, Capecitabina, Vinorelbina): anche in questo contesto l’aggiunta dell’inibitore dell’angiogenesi determina un prolungamento significativo della PFS (da 5.1 a 7.2 mesi; HR 0.78) e delle risposte obiettive. Interessanti anche le combinazioni di chemioterapia e Sorafenib: in particolare J. Baselga ha presentato i risultati di uno studio randomizzato di fase II sulla valutazione di efficacia e safety di Sorafenib in aggiunta alla capecitabina. Con la combinazione la PFS è stata di 6.4 mesi contro i 4.1 mesi della chemioterapia da sola. • L’ormonoterapia tradizionale non smette di offrire risultati interessanti. Il Fulvestrant -in considerazione del suo meccanismo d’azione- potrebbe rivelarsi più attivo di altri agenti ormonali; con la distruzione del recettore vengono infatti a mancare quelle azioni del recettore stesso (anche in assenza di ligando) a livello citoplasmatico (azioni non impedite completamente né dagli antiestrogeni del tipo del tamoxifen, né dagli inibitori dell’aromatasi). Angelo Di Leo ha presentato i risultati di uno studio internazionale (CONFIRM) in cui le pazienti con carcinoma mammario metastatico sono state randomizzate a ricevere due dosi di FulN. 59 - 2010
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NEWS
I Delitti della Royal Society. vestrant (quella convenzionale di 150 mg la dose doppia). Lo studio è positivo con significativo prolungamento della PFS alla dose più elevata. Dal punto di vista della prevenzione e della diagnosi un trial ha riguardato lo screening in donne di età compresa tra 40 e 49 anni condotto a Taiwan. La randomizzazione è stata tra un braccio di controllo (40 000 donne) e due bracci (ciascuno di 20 000 donne) in cui era offerto un programma di screening con alternanza annuale di mammografia ed ecografia (con uno dei due esami al primo anno nei due bracci sperimentali). La detection rate è stata superiore allo 0.5% nei due bracci sperimentali al termine del secondo round e quindi (per lo meno in questa osservazione piuttosto preliminare) superiore alla detection rate del braccio di controllo (0.17%). Al primo round la mammografia sembra superiore all’ecografia nella individuazione dei casi prevalenti (0.34% versus0.22%). Uno studio non randomizzato ha riguardato un confronto non randomizzato in donne portatrici di mutazione BRCA1 o BRCA2 seguite o no con la Risonanza Magnetica Nucleare (oltre che con visita clinica e Mammografia): effettivamente -pur con i limiti di uno studio di confronto non randomizzato- le donne sottoposte allo screening anche con RMN hanno mostrato una maggiore incidenza di carcinomi in situ e carcinomi invasivi in stadio I e una minore incidenza di carcinomi invasivi in stadio più avanzato. Sempre per quanto riguarda la diagnosi è apparsa straordinaria –anche se proiettata nel futuro-la presentazione di Henegan riguardante la possibilità di utilizzare i microRNA circolanti. I microRNA sono regolatori post-trascrizionali dell’espressione genica e regolano in tal modo proliferazione, differenziazione e apoptosi, nonché i processi di cancerogenesi; la individuazione di microRNA specifici per il sottotipo tumorale e la rilevazione di quote misurabili nel sangue circolante di pazienti con carcinoma (anche in situ) ne propone fortemente lo studio per tutte le fasi diagnostiche (dallo screening al follow-up). 80
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Episodio I: il Demone Rosso
Come mai AIS dedica uno spazio alla presentazione di un romanzo che, con la senologia, non ha nulla a che fare?
L
a ragione è semplice: l’autore è Stefano Ciatto che abbiamo in tanti anni apprezzato come appassionato cultore della patologia mammaria e che ora, con il figlio Daniele, si cimenta in questa prima fatica letteraria. Un giallo ad ambientazione storica che con uno stile quasi giornalistico e capitoli brevi presenta i fatti con una suspence che invoglia il lettore a proseguire fino a dipanare le diverse storie parallele che si intrecciano nella trama e che verso la fine, tra continui colpi di scena ed apparenti epiloghi, confluiscono poi in unica storia comune. Il cuore della vicenda è Londra, già grande capitale affollata e putrescente, quasi soccombe alla grande epidemia di peste, con cui la popolazione incredibilmente riesce a convivere in qualche modo. Quasi come una catarsi il più grande incendio della storia inglese distrugge la gran parte della città. Due strane morti, pur poca cosa nel contesto globale di morìa, suscitano i sospetti dei decani della Royal Society, la prima società scientifica al mondo, che incaricano di indagare Ulysses Unt, un giovane scienziato in visita dalle colonie americane. Unt svolge l’indagine con l’aiuto di alcuni amici nella Londra straziata dalla peste. Le piste sono dapprima poche, poi tante, molteplici, contraddittorie, molte si riveleranno false. L’indagine è scientifica e gode dell’aiuto di grandi scienziati del momento, come Robert Hooke. Il volume è disponibile in una biblioteca web, su ordinazione I riferimenti sono ilmiolibro.kataweb.it/schedalibro.asp?id=360464 o, nella homepage ilmiolibro.kataweb.it digitando “royal” o “Leon Dacoste” nella casella “cerca”.
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