OSSOLA.it n9

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La rivista turistica delle Valli dell’Ossola anno IV - numero 9 - 2011

Ossola: cultura da vivere

periodico a distribuzione gratuita - freepress

I


Il ristorante tipico ossolano

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II

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Riale 1740 mt.

Sottofrua

Valle Formazza

Formazza 1300 mt.

Fondovalle Chioso

1720 mt. Passo

Alpe Devero 1630 mt.

Goglio

Parco Nat. Veglia Devero

Esigo Osso

Alpe Veglia 1750 mt.

Cadarese Ausone Croveo

Premia 750 mt.

Baceno

San Domenico Foppiano

Crego

700 mt.

1420 mt.

Verampio

Cravegna Viceno Mozzio

Trasquera 1100 mt.

Briga

Crodo

Iselle

Oira

Varzo

Passo del Sempione

800 mt.

550 mt.

San Bernardo 1600 mt.

Locarno

Montecrestese Altoggio

Crevoladossola

Gomba

830 mt. Masera

Coimo 880 mt.

Fonti

600 mt.

Domodossola

Alpe Lusentino 1060 mt.

Malesco

Cannobina

Trontano Cosasca

Calvario

1500 mt.

Craveggia Ville調e Re 750 mt.

Druogno Santa Maria M.

Monteossolano

Bognanco

Toceno

Tappia

Cheggio

Beura

Villadossola

Montescheno

Antrona 920 mt.

Seppiana

Cardezza

Viganella

Cuzzego

Pallanzeno Prata

Parco Nat. Valle Antrona

Cimamulera

Castiglione Calasca

San Carlo Vanzone Pecetto Macugnaga 1300 mt.

Staffa

Borca

Pestarena

Borgone

Ceppo Morelli 800 mt.

Pontegrande

Bannio

Anzino

Piedimulera Fomarco Vogogna Colloro Pieve Premosello Vergonte Cuzzago 250 mt.

Anzola

Candoglia

Migiandone

Ornavasso

Mergozzo

Boden

Verbania

Baveno

Lago Maggiore

Stresa

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Anno IV - N. 9 - 2011 Editore Faggiana Riccardo Tel. 329 2259589 Sede e redazione Via Madonna di Loreto, 7 28805 Vogogna (VB) Tel/Fax 0324 88665 info@ossola.it Direttore Responsabile Massimo Parma Capo Redattore Claudio Zella Geddo Coordinamento Paolo Lampugnani, Maurizio Cesprini (Grazie a Ester Bucchi De Giuli per l’idea del percorso a binari) Coordinamento grafico e impaginazione Eleonora Fiumara - eleonora@ossola.com Testi P. Lampugnani, M. Cesprini, P.A. Ragozza, A. Pirazzi, M. Zeda, I. De Negri, C.I.D.A., Ente Parco Val Grande. Segreteria Paola Rovelli Fotografia Archivio © R.Faggiana, Ferruccio Sbaffi, Ivano De Negri, Archivio Parco Veglia-Devero Stampa REGGIANI S.p.A. - Gavirate (VA) Ossola.it è un periodico registrato presso il Tribunale di Verbania in data 10/04/08 con il n. 3/08.

Terre di pietra e di passo Piano di Valorizzazione territoriale

PRESENTAZIONE ED ENTI FILETTO CHIESA TRONTANO BOTTONI MILIZIA MUSEO PARCO VAL GRANDE MARMITTE DI CROVEO TORBIERA DI CRAMPIOLO CREVOLADOSSOLA FRAZ. PINONE SAN GIORGIO E IL DRAGO AFFRESCHI DI CRAVEGGIA LE VILLE DI VARZO GLI SCHELETRI DI OIRA LARICETO ALPE VEGLIA LA SALITA AL CALVARIO CIBORIO DI S. MARIA MAGGIORE TERME DI BOGNANCO LINEA CADORNA A ORNAVASSO TEMPIETTO LEPONTICO DI ROLDO DOMODOSSOLA - ARREDO URBANO GRAFFITI D’ALTRI TEMPI CIMAMULERA UNA SEMPLICE CAPPELLA SCHESH (SCHEGGE) L’ORATORIO DI LUT PRATERIE DA FIENO - ALPE DEVERO SAN LUGUZZONE A PIZZANCO UNA FAMIGLIA DI LEGNAMARI CUGGINE MARONE PONTE DEL DIAVOLO CENTRALI PORTALUPPI COLLETTA LA VIA DEL MERCATO A MASERA ORATORIO S. ROCCO DI CRANA MUSEO DEI LATTICINI DI BEURA MULATTIERA DI S. LORENZO L’ACQUA SACRA DI DRESIO UNA FINESTRA PATRIARCHI SUBALPINI BORGNIS L’ARTISTA VIGEZZINO

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© 2011: É vietata la riproduzione anche parziale di foto, testi e cartine senza il consenso dell’editore. Tutti i diritti sono riservati.

Sommario

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Progetto Terre di Pietra e di Passo I

l progetto Terre di Pietra e di Passo nasce a seguito della formazione di un gruppo di lavoro finalizzato alla partecipazione al bando della Regione Piemonte per la realizzazione di un Piano di Valorizzazione Territoriale. Il gruppo di lavoro, che comprende la gran parte delle istituzioni che a carattere pubblico o privato operano per la valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici in Ossola, ha identificato nella pietra e nel passo, nel senso di transito, di passaggio, i due temi maggiormente caratterizzanti il territorio, costruendo su questi il progetto. Presupposto dei piani di valorizzazioni regionali e che anche la componente economica del territorio sia partecipe del progetto, secondo l’equazione cultura=possibilità di sviluppo. Per questo a far parte del tavolo di lavoro è da subito stato chiamato il Consorzio Ossola Laghi e Monti, ente fortemente rappresentativo delle realtà ricettive e produttive, in particolare ma non solo, del settore agroalimentare, e della ristorazione di qualità. Considerata poi l’importanza dei media, il coinvolgimento delle emittenti televisive è stato altrettanto immediato. Ma prima ancor di sviluppare un progetto unitario sul tema prescelto, il lavoro del tavolo ha preso avvio dalla considerazione che “nulla vale un risorsa se chi la detiene non la percepisce come tale”. Da qui l’idea di proporre l’iniziativa “Conosci la tua Terra?”.

L’iniziativa si compone di tre momenti distinti: 1 - distribuzione, con la collaborazione delle scuole, di un questionario, 2 - elaborazione dei dati raccolti e presentazione al pubblico degli stessi, 3 - realizzazione di strumenti utili all’ampliamento della conoscenza del territorio. Tra questi un numero speciale di OSSOLA.it, per l’occasione diverso nella grafica e nei contenuti e curato, grazie ad un accodo con l’Editore, direttamente dal tavolo di lavoro del progetto. La rivista raccoglie 40 brevi schede relative ad altrettanti beni culturali per così dire minori, anche se la definizione è ovviamente impropria. Sono quei beni meno appariscenti, più comuni forse, più nascosti ma che raccontano la cultura di tutti i giorni, che formano il paesaggio che ci circonda, e di cui spesso ci dimentichiamo, forse non li consideriamo neppure di valore culturale. Ma proprio per questo sono anche quelli più a rischio, non solo di mancata valorizzazione ma di vera e propria scomparsa. Per il prossimo autunno è poi prevista la realizzazione di un format televisivo che, richiamando il tema del questionario “Conosci la tua terra” e proporrà con una nuova formula, un viaggio alla scoperta del territorio. Il tutto nella speranza che sorga una nuova coscienza della ricchezza culturale dell’Ossola, premessa indispensabile per la sua valorizzazione turistica.

Create il vostro tour in Ossola(.it): nota d’uso: La struttura della rivista aggiunge a quella consueta una seconda modalità di lettura attraverso un semplice meccanismo a binario. Al lettore viene, infatti, offerta la possibilità di “navigare” all’interno delle pagine creando un proprio percorso di visita virtuale ai luoghi, non dimenticando le soste pranzo, lasciandosi guidare dai propri interessi o dal gusto della scoperta. In fondo ad ogni scheda vi sono, a questo scopo, dei cartelli indicatori che rimandano il lettore a punti diversi della rivista. All’interno dei vari percorsi possibili solo uno però, quello della Pietra vi riporterà, Passo dopo Passo, in otto mosse, al punto di partenza.

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Partecipano al progetto: C.I.D.A

istituzione, della storia e delle tradizioni della montagna sono alla base delle molteplici attività divulgative e didattiche dell’Ente.

Ente di gestione della Riserva Naturale Speciale Sacro Monte Calvario di Domodossola

Ente di Gestione delle Aree Protette dell’Ossola

B.ta S.M. Calvario, 5 - Domodossola www.sacromontedomodossola.it L’Ente gestisce la riserva naturale speciale del Sacro Monte Calvario di Domodossola (istituita nel 1991) che, dal 2003, fa parte dei siti Unesco quale patrimonio mondiale dell’Umanità, inserita in un gruppo di altri sei Sacri Monti piemontesi (Crea, Belmonte, Varallo, Orta, Ghiffa, Oropa) e due lombardi (Varese e Ossuccio). La via crucis attraverso le 15 cappelle con il racconto della Passione, dal centro abitato di Domodossola, raggiunge l’area sommitale del colle ove si trovano il Santuario del SS. Crocifisso e la Cappella della Resurrezione, sommità altresì ricca di testimonianze storiche e archeologiche (resti della mura del Castello di Mattarella). Tra le finalità istitutive dell’Ente la promozione della fruizione sociale dell’area a fini culturali, scientifici, ricreativi e didattici nel rispetto della spiritualità e della religiosità del luogo. Presso il Convento dei padri Rosminiani vengono organizzati iniziative culturali quali conferenze, mostre e seminari di studio. Il centro didattico e naturalistico offre un servizio di visite guidate e di attività educative.

Villa Gentinetta Viale Pieri, 27 - Varzo www.parcovegliadevero.it L’Ente gestisce il parco naturale dell’alpe Devero, quello dell’alpe Veglia ed il parco naturale dell’alta Valle Antrona (questi due primo ed ultimo parco istituiti dalla regione). I due Parchi sono inseriti nella rete Natura 2000, la rete europea di aree finalizzate a tutelare la biodiversità del continente europeo. Nelle due aree sono presenti un gran numero di habitat tutelati, come le torbiere o i nardeti (pascoli d’alta quota ancor oggi monticati con bovini da latte) e numerose specie animali e vegetali. Entrambe le aree racchiudono paesaggi alpini di grande bellezza e sono percorse da una rete sentieristica efficiente, con itinerari che rispondono alle esigenze del turista di ogni ordine e grado. Accanto a quelle naturalistiche le tematiche dell’archeologia, con il museo di preistoria alpina di recente

Consorzio per la formazione professionale delle attività di montagna Via Boldrini 38 - Villadossola www.formont.it Il consorzio -cui aderiscono enti pubblici e privati- comprende le sedi di Venaria Reale, Oulx, Peveragno, Varallo e Villadossola. Costituto nel 1984 con l’obiettivo di elevare le condizioni professionali dei residenti delle zone alpine promuove iniziative in ambito turistico, culturale, agricolo e artigianale attraverso attività di formazione, orientamento, studio e ricerca. Formont eroga corsi per occupati, disoccupati e per ragazzi così da formare figure lavorative rispondenti alle richieste di mercato. Uno specifico settore di attività del Formont è rappresentato dal Centro di Educazione Ambientale (CEA FOR-

Centro Internazionale di Documentazione Alpina “Terre Alte Oscellana” Vicolo Facini, 1 - Domodossola www.oscellana.it Il C.I.D.A. (Centro Internazionale di Documentazione Alpina “Terre Alte - Oscellana”) è un'associazione “no profit” di ricerca, documentazione, progettazione, consulenza, comunicazione, gestione integrata del patrimonio e delle risorse territoriali. L’attività del Centro è finalizzata all’elaborazione di progetti di valorizzazione del territorio, primo fra tutti l’archivio multimediale dei beni culturali e paesaggistici del territorio. La banca dati ha coinvolto più di 40 ricercatori e ad oggi consta di più di 5.000 schede corredate da immagini; la documentazione comprende abstract di approfondimento e dettaglio, documenti storici, immagini, video, cartografia digitalizzata, itinerari tematici, tabelle statistiche e analisi territoriali. Il C.I.D.A. edita la rivista "Oscellana" prima e più importante rivista culturale del territorio.

FORMONT

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MONT) con sede a Trontano costituito da un ambiente educativo dedicato alle attività didattiche a diretto contatto con la natura dove l’apprendimento predilige l’approccio ludico e il coinvolgimento emotivo.

UNPLI Unione Nazionale Pro Loco d’Italia Comitato Provinciale del V.C.O. P.zza Matteotti, 24 - Domodossola www.prolocovco.net Fondata nel 1962, l’Unione Nazionale Pro Loco d’Italia, è costituita da Comitati Regionali e Comitati Provinciali comprendendo più di 6000 Pro Loco; di queste, 1000 sono in territorio piemontese e 61 interessano il Comitato Provinciale del Verbano Cusio Ossola; il bacino ossolano conta 30 Pro Loco. La struttura crea di fatto una rete, gestendo gli uffici turistici di Domodossola, Macugnaga, Santa Maria Maggiore e Formazza. Le associazione pro loco rappresentano la parte operativa di buona parte delle iniziative sociali, culturali, sportive e turistiche dei comuni ossolani. Il motto dell’UNPLI, “mantenere i campanili abbattendoli”, esprime l’intento della valorizzazione delle particolarità custodite con parsimonia dai singoli comuni o dalle frazioni rendendole fruibili al pubblico: salvaguardare i luoghi e tradizioni potenziando attraverso di questi l’offerta turistica e culturale.

CSV Centro di Servizio per il Volontariato Solidarietà e Sussidiarietà del VCO Vicolo Facini (P.zza Chiossi) Domodossola www.csvss.org Istituito nel 2003 e ispirato ai principi di solidarietà umana, il CSVSS si prefigge lo scopo di sostenere e qualificare l’attività di volontariato attraverso l’erogazione di prestazioni che, sotto forma di servizi, vengono calibrati sulla base dei bisogni emersi dalle organizzazioni di volontariato del territorio. Il Centro di Servizio per il Volontariato intercetta i bisogni della collettività, attingendo al bacino dei volontari attivi e dei cosiddetti portatori di bisogni; in particolare offre consulenza e assistenza qualificata, strumenti per l’avvio di specifiche attività, assume iniziative di formazione per le organizzazioni di volontariato e da ultimo diffonde informazioni, notizie, documentazione e dati sulle attività

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intraprese. Le associazioni sono articolate in cinque categorie, coincidenti ai destinatari delle loro attività (anziani, giovani, famiglia, malati e disabili) e agiscono in diversi ambiti: da quello ambientale a quello culturale, dalla protezione civile al primo soccorso.

Associazione Linea Cadorna Via A. Di Dio, 32 - Ornavasso www.associazionelineacadorna.it Costituitasi nel 2002, per iniziativa di un gruppo di appassionati, l’Associazione è impegnata nella valorizzazione, nello studio e nel recupero -a fini pacifici- della “Linea Cadorna”, complessa linea difensiva costruita a poca distanza dalla frontiera svizzera durante la Prima guerra mondiale per volontà del generale Luigi Cadorna di Pallanza, Capo di Stato Maggiore dell’Esercito. L’Associazione svolge inoltre attività di ricerca favorendo l’approfondimento sul campo, con incontri rivolti alle scuole; fornisce supporto per ricerche scolastiche e tesi universitarie, organizza serate divulgative sugli aspetti storici, sociali, culturali e naturalistici della linea Cadorna.

Associazione AccompagNatur www.accompagnatur.net AccompagNatur -guide escursionistiche ambientali della Val d’Ossola- è un’Associazione senza scopo di lucro impegnata nell’accompagnamento di gruppi o singole persone in zone di pregio naturalistico e ambientale. L’Associazione progetta itinerari di carattere ambientale, trekking escursionistici e visite guidate in luoghi di alta valenza culturale; promuove iniziative legate alla pratica dell’escursionismo e degli sport non estremi in stretto contatto con la natura favorendo il turismo sostenibile ed ambientale. L’Associazione si occupa altresì di valorizzazione del territorio attraverso la sua conoscenza diretta in stretta collaborazione con gli enti preposti.

Associazione Canova Via alla Pioda, 10 - Oira di Crevoladossola www.canovacanova.com Fondata nel 2001 deve il nome al piccolo borgo medioevale ove ha sede, in territorio di Crevoladossola. Scopo primario dell’Associazione è il recupero e la valorizzazione dell’architettura rurale in pietra attraverso


la sensibilizzazione, visite guidate, conferenze, consulenza e attività di insegnamento per il recupero delle tecniche costruttive tradizionali. L’Associazione Canova organizza, nel periodo estivo, campi scuola di restauro architettonico: sono coinvolti studenti italiani e stranieri che, seguiti da un capomastro, effettuano interventi di recupero architettonico su edifici tradizionali. Annualmente l’Associazione organizza un incontro di architettura, cui partecipano professionisti di fama internazionale, momento di scambio di idee attraverso la presentazione, da parte degli ospiti, delle esperienze maturate nelle più svariate parti del mondo.

le produzioni firmate VCOAzzurraTV a partire dalle diverse edizioni del telegiornale; lo sport (la messa in onda e/o in differita) degli eventi sportivi; le rubriche di approfondimento curate dalla redazione news e le trasmissioni realizzate in collaborazione con Enti locali ed associazioni di categoria (particolare attenzione è riservata al sociale e al volontariato). Il segnale di VCO Azzurra TV raggiunge 300.00 persone ed il bacino di interesse comprende le provincie di Verbania, Novara e, parzialmente, di Varese.

Ente Parco Nazionale Val Grande

c/o GAL Laghi e Monti del V.C.O. Via Canuto, 12 - Domodossola www.ossolalaghiemonti.it Il Consorzio Ossola Laghi e Monti nasce dall’associazione di imprese di diversi settori (agricoltura, commercio, turismo, artigianato) con l’obiettivo di promuovere e sostenere lo sviluppo delle imprese stesse e del territorio in maniera integrata. L’attività del Consorzio si esplica attraverso azioni di marketing e di comunicazione comuni quali la realizzazione di un portale telematico di vendita dei prodotti tipici e di prenotazione turistica, realizza materiale informativo e promozionale, organizza degustazioni e manifestazioni, partecipa a fiere e format tv, gestisce le schede prepagate Card Orienta (per accedere al pacchetto turistico) e Card Tipica (per ottenere sconti sui prodotti tipici dell’artigianato e dell’agroalimentare); si occupa anche di formazione professionale, dell’ottenimento di marchi e certificazioni oltre che della commercializzazione integrata di prodotti tipici. Attualmente conta 96 soci.

Villa Biraghi, P.zza Pretorio, 6 - Vogogna www.parcovalgrande.it Istituito nel 1992 si estende su una superficie complessiva di 14.952 ettari interessando 13 comuni della Provincia del Verbano Cusio Ossola. Il parco costituisce un’area seminaturale di grande suggestione e di grandi potenzialità “ecoturistiche”; in ragione della sua morfologia, delle sue caratteristiche fisiche e biologiche e della sua storia si presta pertanto ad essere un grande laboratorio per la ricerca e la didattica grazie anche al suo carattere di wilderness di ritorno, che permette di ricostruire qui, prima che in qualunque altra zona delle Alpi, il lungo processo di abbandono degli ambienti agricoli montani, anche a bassa quota. Questo carattere di laboratorio didattico non pregiudica, ed anzi facilita, la possibilità di sviluppare attività di turismo sostenibile a basso impatto che permettano di creare nei paesi di fondovalle, che cingono come una corona il territorio del Parco, una economia locale basata sulla presenza del Parco. Nel campo dell’educazione ambientale sono attivate numerose iniziative volte a incentivare la partecipazione dei giovani che trovano sviluppo anche nel Centro di Educazione Ambientale “Acquamondo” di Cossogno.

VCO Azzurra TV

Associazione Musei d’Ossola

Via Montorfano, 1 - Verbania Fondotoce www.vcoazzurranews.info Sorta nel 1980, per iniziativa di un imprenditore ossolano, VCO Azzurra TV si contraddistingue per un forte legame con il territorio attraverso gli oltre 1250.000 contatti al giorno. L’emittente è la prima televisione locale per penetrazione in Piemonte ed una delle prime in Italia. Merito di tanto credito sono

c/o GAL Laghi e Monti del V.C.O. Via Canuto, 12 DOMODOSSOLA www.amossola.it L’Associazione Musei d’Ossola -AMO-, nata a seguito di uno studio di fattibilità per la creazione di una rete museale promosso dal Gal Azione Ossola nell’ambito del Programma Comunitario Leader Plus 2000-2006, comprende 24 Comuni proprietari di realtà

Consorzio Ossola Laghi e Monti

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museali (14) o di rilevanti monumenti storici (10), 6 Associazioni/Fondazioni culturali (Associazione Walser Formazza, Associazione Walser Macugnaga, Associazione A.N.P.I. Villadossola, Fondazione Antonio Rosmini, Collegio Mellerio Rosmini, Consorzio Alpe Sogno) e la Comunità Montana delle Valli dell’Ossola. La rete museale, raggruppando i musei per tematiche affini, è strutturata in 5 aree: archeologia e storia, montagna e tradizione, memoria e libertà, pietra e ambiente, arte e fede; ciascun museo è a sua volta centro di percorsi tematici sul territorio. L’Associazione organizza un’offerta didattica articolata in atti vità differenziate per fasce d’età, realizza pubblicazioni divulgative, offre consulenza scientifica e supporto per interventi di restauro architettonico, allestimento e cura delle collezioni; coordina le modalità di apertura delle diverse realtà museali ed è impegnata nell’elaborazione di progetti internazionali, nell’ambito, per esempio, del Programma INTERREG Italia Svizzera.

GAL Laghi e Monti del V.C.O. Via Canuto, 12 - Domodossola www.gallaghiemonti.it Il Gal, fin dalla sua costituzione nel 1996, con la denominazione Azione Ossola, porta avanti progetti di promozione e valorizzazione del territorio rurale, agendo in particolare come stimolo per lo sviluppo del turismo locale. Fornisce sostegno alle piccole imprese dei settori agricolo, arti gianale e dell’ambito dei servizi di zona, promuove corsi di formazione per operatori dei vari settori; fornisce consulenze e predispone ricerche e studi in campo economico, socioeconomico e ambientale. L’attuale Gal Laghi e Monti è composto da Enti Pubblici (le 3 Comunità Montane del territorio, la Provincia di Verbania e la Camera di Commercio) oltre che dalle principali Associazioni di categoria di agricoltura, artigianato, settore lapideo, da due Istituti Bancari e da un’associazione culturale. Nell’attuale programmazione Leader il Gal agisce prioritariamente in 4 ambiti: commercializzazione turistica, sostegno alle imprese già costituite e in procinto di costituirsi, servizi alla popolazione disagiata, recupero del patrimonio architettonico locale.

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Filetto

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I

l filetto è stato scelto come logo del progetto terre di pietra e di passo. No, non nel senso di taglio di carne... Cosa è un filetto allora? Avete presente l’altro lato della scacchiera? Non è chiaro ancora? Eppure quasi tutti i lettori della rivista ne sono stati, negli anni della scuola, inconsapevoli campioni o quantomeno appassionati giocatori... Ci siamo? Certo… Il tris! E non fate finta di non ricordarlo! Ebbene il filetto o tris o mulino, versione un poco più complessa, è in realtà un gioco molto antico, una prima attestazione è incisa su un tempio egiziano ed è databile al 1400 a.C. Si giocava in Cina e nella antica Roma, anzi il poeta Ovidio nella sua Ars Amandi (l’arte di Amare) lo consiglia alle donne per avere fortuna in amore. Incisioni su pietra di filetto sono note in tutta l’Europa medioevale a testimoniare della popolarità del gioco. Domodossola ne conserva diversi. Difficile darne una datazione precisa, più facile immaginare, con un po’ di fantasia, l’occasione della loro incisione. Due soldati di guardia o due servi sfaccendati ne hanno inciso uno sulla scala a chiocciola di Palazzo Silva, qualche annoiato un secondo su una lastra del marciapiedi dinnanzi all’ingresso dell’edificio della Banca Popolare di Novara. Un terzo è su una pietra reimpiegata come testa di ringhiera di una scaletta in una piazzetta di Vicolo del Mulino. A proposito di questo bell’angolo del

borgo medioevale, recentemente recuperato, è un vero peccato che sia gia stato deturpato con scritte e graffiti.

Mulattiera di S. Lorenzo pag.84 Arredo urbano a Domodossola

pag.48

Ciborio a Santa Maria Maggiore pag.38

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Dai decori romanici al simbolo del Parco Val Grande La chiesa di S. Maria a Trontano e le incisioni di Sassoledo

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C

’è una chiesa che conserva alcune tra le più interessanti decorazioni romaniche dell’Ossola: la parrocchiale di Santa Maria a Trontano. Trontano è un piccolo paese posto all’imbocco della Val Vigezzo, affacciato sulla piana di Domodossola e circondato dalle sue frazioni, «piccoli capolavori di architettura spontanea in cui l’uso sapiente della beola e del serizzo rappresentano un modello di adattamento armonico all’ambiente» (Paolo Crosa Lenz). La chiesa di S. Maria è posta al margine del paese, vicino al verde di prati e vigneti. Poco distante, in posizione dominante, sorge il campanile, probabile trasformazione di una precedente torre di segnalazione, sulla cui base è scolpita la data A+MO (Anno Domini Millesimo). La facciata della chiesa è ricca di decori geometrici e simboli vari che appaiono solo osservando con occhio attento gli archetti pensili attorno il piccolo pronao: zoomorfi, testine mostriformi, alberiformi, spirali, croci, serpentiformi. Alcuni di questi simboli - in particolare serpente e albero - li si ritrova nella frazione Verigo, e sopratutto all’alpe Sassoledo, al confine con la Val Grande, dove le rocce circostanti i pascoli, ormai abbandonati, presentano sulla superficie decine di alberiformi, cruciformi, coppelle, date e lettere. Agli alberiformi presenti sulle rocce di Sassoledo s’ispira il simbolo del Parco Nazionale Val Grande. Molte le motivazioni che hanno portato a scegliere questa incisione rupestre

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come logo dell’area wilderness: il fatto che l’alberiforme può rappresentare anche, in forma stilizzata, l’uomo, grande protagonista della storia di questa valle; lo stesso albero ha sempre avuto un ruolo di primo piano nell’economia della Val Grande e lo ha tuttora a livello ambientale, con la natura tornata padrona incontrastata di questo dedalo di valli impervie.

Cimamulera pag.51 San Giorgio e il Drago pag.26 Marone pag.70

Faggiana Riccardo

AURORAVIDEO.it 14


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I bottoni della Milizia 16


G

iunti nella piazza della Cattedrale tra i Boschi, come i Calaschesi amano definire la seicentesca chiesa, di S. Antonio Abate, e presa la ripida salita che la costeggia a monte, si giunge nel centro storico dove, nei locali dell’antico forno, ha sede il Museo della Milizia Tradizionale di Calasca. Il museo consta di due sole piccole sale che racchiudono con una sintesi mirabile, sorretta da un allestimento essenziale ed efficace, una storia lunga 400 anni. La Milizia di Calasca, insieme a quella della vicina Bannio, ebbe origine infatti nel 1614 con la costituzione della Milizia delle Terre per volere del Governatore spagnolo dello Stato di Milano. Si trattava di una milizia territoriale - che reclutava cioè gli abitanti del territorio solo in caso di minaccia - da utilizzarsi a presidio di passi, luoghi fortificati e in appoggio alle truppe regolari. Alla funzione militare ben pre-

sto si affiancò quella di scorta d’onore nelle cerimonie religiose, prima fra tutte la processione alla Madonna della Gurva, in cui la milizia presta tutt ’ora servizio. Nel 1830 la Milizia cessò di esistere come corpo militare mantenendo le funzioni religiose. L’interesse maggiore nella collezione museale è nella varietà dei materiali presentati, provenienti da corpi militari diversi, nazionali e non, alcuni di estrema rarità. Non più supportati nel vestiario dall’esercito regolare i miliziani infatti si adoprarono per procurarsi copricapi, effetti di vestiario, equipaggiamenti non più in uso presenti nei magazzini dell’Esercito. Inoltre si fece a gara tra emigrati Calaschini, non solo in Piemonte e in Italia, ma anche all’estero, per fornire nuovo materiale. In questo modo giunsero alla Milizia oggetti della provenienza più diversa e del tipo, genere, forma, colore più svariati. Tra questi sicuramente i bottoni...

Museo dei latticini di Beura pag.82 Museo delParco Val Grande

pag.18

Affreschi di Craveggia pag.28

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Il salone dell’antica Pretura di Malesco, ora Museo del Parco Nazionale Val Grande L

’antica pretura della Valle Vigezzo in comune di Malesco, ora sede del Museo archeologico del Parco Nazionale Val Grande, conserva nel grande salone del palazzo una notevole decorazione parietale, di chiara impronta cinquecentesca, collegabile alle diverse trasformazioni che l’edificio ebbe a seguito dell’acquisto da parte di privati. La data 1543 incisa sulla porta dell’atrio potrebbe essere riferita anche alla decorazione del salone, che subì, nella seconda metà del secolo XVII°, un abbassamento del soffitto e la conseguente rottura degli intonaci cinquecenteschi, con perdita di gran parte della decorazione originaria, riapparsa, a brani e lacerti molto rovinati, a seguito

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dei recenti restauri. Il salone è dominato dall’imponente camino sormontato da cappa trapezoidale troncata in alto dall’abbassamento del soffitto originario. La struttura potrebbe appartenere alla fase cinquecentesca dell’edificio, mentre il grande architrave liscio ad epoca successiva. Esso presenta al centro, in rilievo, lo stemma “parlante” identificato come quello della famiglia maleschese Gambini dalla gamba intera rivolta a sinistra, sormontata dall’aquila imperiale ad ali spiegate, entro una cartella mistilinea a volute. Al secolo XVI° rimanda invece il grande stemma dipinto che decora la cappa. Esso è complesso e porta


le insegne della famiglia Borromeo, feudataria della Valle Vigezzo, insieme, secondo Giacomo Pollini, a quelle dei conti della Somaglia, famiglia con la quale si imparentò Camillo I Borromeo, morto nel 1549, data che si collegherebbe alla precedente del 1543 e alla decorazione delle pareti del salone. In origine le pareti erano decorate a fasce lungo tutto il perimetro, e le cornici erano sormontate da pannelli decorati con motivi a entreccio fitomorfo. Sopra l’ingresso vicino al camino si osserva un interessante esempio di decorazione “a grottesca” a significato allegorico, con una clessidra, due teste femminili, due mostriciattoli dal viso di satiro e due figurine bizzar-

re, incrocio tra umano, bestiale e diabolico. Il significato è chiaro: si tratta di una “Vanitas”, una spiritosa rappresentazione del tempo che fugge mentre la donna si diletta nel corteggiamento, nella fantasia amorosa, nell’esibizione della propria bellezza, ricchezza ed eleganza, inconsapevole che nulla allontanerà la vecchiaia e potrà ridarle la perduta giovinezza.

Museo dei latticini di Beura pag.82 I bottoni della Milizia pag.16 Cimamulera pag.52

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Area Geologica, marmitte di Croveo

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’idrografia di quest’area è principalmente rappresenta dal fiume Deverino che scende dalla valle del Devero e che, all’altezza di Verampio, s’immette nel fiume Toce proveniente dalla valle Formazza. L’ambiente dell’area circostante è caratterizzato da un’accentuata dicotomia tra il paesaggio squisitamente naturale e quello antropizzato. Da una parte troviamo gli orridi e la flora che li circonda; dall’altra troviamo un ambiente caratterizzato da terrazzamenti, antiche mulattiere, elementi dell’architettura religiosa e rurale e numerosi altri segni che l’uomo ha stratificato nel tempo. L’area di confluenza tra la valle del Devero e la Formazza può essere considerata un museo a cielo aperto, tanto che viene definita il “giardino glaciale dell’Ossola”. Molti elementi sono testimonianza della ricchezza geologica del luogo e delle immani forze naturali che l’hanno scolpito. Nel quaternario lo sviluppo del ghiacciaio ossolano doveva essere di circa 100 km e alla confluenza della valle Devero e della valle Formazza lo spessore probabilmente raggiungeva i 1.300 m. Quando gradualmente l’ultima glaciazione, per mutamenti climatici, invertì la tendenza, alla forza dei ghiacciai si unì un’altra immensa forza: quella delle acque. Fu in questa fase che ebbero origine le marmitte glaciali di Croveo. La fusione della neve e del ghiaccio, insieme alle piogge, gettandosi in profondità attraverso i crepacci, contribuirono ad alimentare numerosi ruscelli e torrenti subglaciali che scorrevano a contatto tra roccia e ghiaccio. La capacità erosiva di questi torrenti era elevatissima perché

l’acqua era ricca di detriti. In corrispondenza dei gradoni rocciosi l’acqua raggiungeva pressioni elevatissime che, insieme all’alta capacità erosiva di sabbia e ciottoli, hanno determinato una lenta ma continua opera di scavo, creando le profonde incisioni che oggi possiamo ammirare nella loro maestosità: forre, orridi, marmitte.

Filetto pag.10 Ponte del Diavolo pag.72 Una semplice cappella

pag.54

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Una piantina speciale nella Torbiera di Crampiolo

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ra le più interessanti aree umide del Parco è certamente la torbiera di Crampiolo. Situata in una zona defilata e rilevata rispetto all’abitato, la torbiera è raggiungibile con un percorso di circa 20 minuti che parte dall’abitato di Crampiolo nei pressi dell’agriturismo. Gli ambienti di torbiera sono habitat residuali caratterizzati da grande abbondanza d’acqua, in tale ambiente si

tipologie per una superficie totale di 16,8 ettari, che per l’arco alpino è assolutamente rilevante oltre a rappresentare un elemento di grande importanza conservazionistica. Tra le tante specie che trovano nelle torbiere il loro habitat naturale una attirerà di certo l’attenzione del visitatore: un piccolo fiore composto in grandi ceppi con ha un nome altisonante

sviluppa una vegetazione prevalentemente erbacea tipica di luoghi umidi, muschi ma anche graminacae ed altre. La loro sopravvivenza è però minacciata dalla tendenza all’interramento naturale con conseguente abbassamento della falda idrica, necessaria per il mantenimento dell’habitat paludoso. ed in passato dal prosciugamento artificiale attuato dall’uomo per recuperare superfici agricole. L’interesse botanico per le torbiere è particolarmente elevato perché in esse vengono ospitate specie vegetali artico-alpine al limite meridionale della loro distribuzione. Nell’Area protetta di Veglia e Devero sono presenti numerose aree umide e torbiere di varie

“Drosera rotunfifolia”e un cresta di un bel rosso vivo che contorna un cuore giallo. Sin qui niente di speciale ma provate ad osservarla per un po’ e se un malcapitato insetto si poserà su di essa scoprirete la sua vera natura. La nostra Drosera è nientemeno che una specie carnivora...

Colletta pag.76 Praterie da fieno Alpe devero

pag.60

Museo dei Latticini a Beura pag.82

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Un bambinello nudo 24


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a piccola borgata di Pinone, una delle frazioni a monte di Crevoladossola, vale una visita non solo per la piacevolezza della veduta sulla piana di Domodossola e per la discreta conservazione del suo centro storico ma per la presenza sulla facciata del piccolo oratorio di San Carlo, Rocco e Sebastiano di una pregevole formella marmorea della Vergine con il Bambino. La costruzione dell’oratorio nelle sue forme attuali risale agli inizi del XVII° secolo ma proprio la presenza della formella di cui si è detto pocanzi, attribuibile per stile al XV° sec, autorizza a credere che l’edificio seicentesco venisse a sostituirne uno più antico crollato o rifatto per maggior gloria della Chiesa e della comunità che fortemente lo aveva voluto, come testimoniano i documenti d’archivio, e soprattutto pagato. La scultura fa sicuramente parte di un gruppo, da attribuire a Francesco da Domodossola scultore, che comprende quelle dell’oratorio di Roledo di Montecrestese e del Santuario della Madonna della neve a Domodossola. A Francesco, capostipite di una famiglia di architetti, scultori e capomastri (spesso le tre professioni si ritrovavano in un’unica persona) sono anche attribuite le formelle con i santi poste sulla facciata della chiesa di San Pietro e Paolo a Crevoladossola. Della Madonna di Pinone, certo non un capolavoro ma il frutto dell’arte di bottega di un abile artigiano, è interessante notare lo sfondo a stelle o

fiori che riproduce, cosi come gli affreschi coevi, le tappezzerie o i tessuti posti ad adornare le pareti nelle case nobili del quattrocento. Ma ancor di più la raffigurazione del Bambino. Sarà un impressione di chi scrive, ma la piccolezza delle gambine magre e il ventre un pò gonfio non fanno tornare alla memoria l’immagine di un bambino poco o mal nutrito? E le mani robuste, più da contadina che da nobildonna, della Vergine? Particolari che per la critica dotta sono certo frutto di una certa ingenuità artistica dell’autore, ancora legato a schemi medioevali, ma che potrebbero suggerire alla fantasia di uno scrittore l’esistenza di modelli reali, scelti dallo sculture tra il popolo che lo circondava...

Una semplice cappella pag.54 Gli scheletri di Oira pag.32 L’acqua sacra di Dresio

pag.86

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San Giorgio e il Drago?

S

e le incisioni sui portali degli antichi edifici ossolani, siano essi litici o lignei, di date di costruzione e simboli cosiddetti apotropaici, cioè di buon augurio o di protezione contro il male, sono abbastanza frequenti e la loro importanza evidente per lo studio e la conservazione del patrimonio architettonico, meno frequente è la rappresentazione di figure più complesse. Una di queste è senza dubbio su un bel portale in Verigo frazione di Trontano. La lastra con l’incisione, di forma grossolanamente semisferica, è inserita al di sotto di un

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arco di pietra sorretto da stipiti laterali composti da due lastre ciascuno, in uno dei portali gemelli di ingresso al piano terra di un bel edificio in pietra a vista purtroppo in cattivo stato di conservazione (in quale esatto punto dell’abitato sarà un piacere del visitatore scoprire). La scena scolpita raffigura un uomo stilizzato assalito da due serpenti uno strisciante sulla sua sinistra l’altro eretto in atto di colpirlo. L’uomo ha alla sua destra un disco con inserito l’emblema di una croce, del tipo cosidetta ricrociata, forse un vero e proprio scudo, sulla sinistra un arco con una freccia incoccata è pronto a colpire. La scena, indubbiamente suggestiva, è di non facile interpretazione: la ricerca associa normalmente il serpe

al male e lo scudo potrebbe essere quello di San Maurizio, dunque verosimilmente una rappresentazione del potere del bene sul male, oppure, ma meno probabile, un inconsueta scena di caccia associata ad un simbolo cruciforme di protezione della casa. E se invece fosse una primitiva rappresentazione della leggenda di San Giorgio e il drago?

Museo Parco Val Grande

pag.18

Cuggine pag.66 Praterie da fieno Alpe Devero

pag.60

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Affreschi sui muri delle vie di Craveggia L

e strette vie di Craveggia, risultano particolarmente interessanti anche per gli affreschi murali che si possono ammirare sulle pareti esterne di alcune case, oltre alle decorazioni murarie e agli stemmi gentilizi (es. v. Roma 18, stemma dei Borromeo). Affreschi molto eterogenei per epoche e stili, che testimoniano la fede e il gusto artistico degli abitanti di questo paese così ricco di storia. Nella sola via Roma, già via dei Portici, si possono ammirare due affreschi del Borgnis: una “Beata Vergine Immacolata” e un’“Annunciazione” (1735), sotto la quale é effigiato lo stemma della famiglia dell’artista; dello stesso autore, nella piazzetta denominata Del Portico (più a monte), è ben conservata un’intensa “Crocifissione”. Sempre in via Roma, di fronte al Municipio, è raffigurata una “Madonna in Trono”, con il Bambino che regge il Globo del Mondo, affresco del sec. XV° opera di pittori Seregnesi; analogo affresco si trova in via Margarolo (più a monte, verso Vocogno) e un altro molto simile nel centro di Santa Maria. Una nota particolare merita la “Loggia dei Bandi” (v. Roma 8), antica casa comunale, un tempo ornata da pregevoli affreschi di Giovan Battista da

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Legnano fra i quali avevano un risalto particolare 4 stemmi, tutti accordati ai Borromeo dopo il 1450: quello “visconteo”, il “liocorno”, il “freno o morso” e “l’humilitas coronata”. L’edificio era usato per la pubblicazione e la promulgazione di ordini consolari, di bandi, gride, monitori di scomuniche, oggi è privo del balco-

ne esterno, ma conserva il finestrino quadrato che serviva all’affissione dei “Bandi”. Gli affreschi, ridotti in uno stato deprecabile, nonostante fossero stati inseriti nel Catalogo delle Opere d’Arte della Regione Piemonte, sono stati recentemente staccati ed esposti nell’attuale sala consigliare.

Borgnis l’artista vigezzino

pag.92

Oratorio S. Rocco Crana pag.80 Museo Parco Val Grande

pag.18

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CIDA

Terre Alte Oscellana Centro Internazionale di Documentazione Alpina

Una “piccola Parigi”

in terra d’Ossola V

arzo è, tra i centri dell’Ossola, un caso singolare: al nucleo storico medioevale, aggregato attorno alla chiesa parrocchiale, fanno riscontro importanti aree di ampliamento urbano e una corona di frazioni disseminate sul versante della montagna, le basse pendici del monte Cistella. Se nelle frazioni più distanti ed elevate si può ritrovare consistente presenza dell’architettura tradizionale la gran parte dell’abitato ha subito una decisa trasformazione in età tardo ottocentesca e di primo Novecento che ci ha restituito un centro improntato sui modelli costruttivi e decorativi francesi. Inoltre ad oggi così ben conservato da risultare addirittura più rappresentativo dei modelli originali Parigi e i suoi dintorni, Nantes, Lione ed in genere i piccoli e medi borghi della Francia centro - meridionale. Non a caso i luoghi privilegiati della tarda emigrazione varzese. Il passeggio porta il visitatore tra villini in puro stile liberty (case Fame, Maglia, Mattei, Caramello) ad altri che a questo mescolano motivi neobarocchi (la sede della BPN), o addirittura quattro-cinquescenteschi come villa Gentinetta, persino una revisione in chiave “modernista del tipico chalet Svizzero” (casa Fame). In frazione Casa Stanga va ricordata la splendida Villa Dondi - Farello, con l’originale, seppur sbiadita, decorazione esterna ed interna; in frazione Fontana la grandiosa Villa Comolo, dotata di un magnifico giardino terrazzato e la Villa dei Nante, industriali a Parigi. Gli esempi più straordinari si trovano tuttavia oltre il vecchio paese, verso la frazione di Cattagna. Dalla Villa di Pietro Bono che realizzò l’Ospedale, alla Villa Gilles, a La Valdine, ora San Michele, simile per volumetria a Villa Gilles, ma molto più “francese” di questa sino alla Valdo, scenograficamente impostata su un ripido declivio e caratteristica per l’abbondantissimo uso del ferro negli elementi decorativi.

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Terme di Bognanco pag.40 Domodossola Arredo urbano

pag.48

L’acqua sacra di Dresio

pag.86

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Gli Scheletri

di Oira L

a chiesa di San Mattia ad Oira, frazione di Crevoladossola, custodisce un esempio di quelle opere sconosciute ai più, forse minore per qualità artistica ma unica per la comprensione di un particolare sentire di chi ci ha preceduto nel cammino della storia. Fosse anche solo per questo vale la nostra attenzione. Ma c’è di più: siamo di fronte ad un opera particolarmente originale e suggestiva per la soluzione grafica ideata dall’anonimo autore del dipinto. Il tema? La morte. Ma non una morte qualunque, la morte improvvisa, inaspettata, quella che faceva dire ai fedeli “A subitanea et improvvisa morte libera nos Domine”. La morte più temuta poiché non dava modo al fedele di mettersi in pari con il Creatore dei peccati commessi, confessandosi ed assolvendo alla meritata penitenza. Ma torniamo al nostro dipinto, si tratta di una grande tela, posta nel presbiterio della chiesa, benché non presenti data di realizzazione è attribuibile, su basi stilistiche, alla prima metà del XVIII° secolo. La tela rappresenta in alto il Paradiso ove sono la SS Trinità, la Vergine non-

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ché il titolare della chiesa San Mattia riconoscibile per l’alabarda simbolo del suo martirio, al centro un angelo nell’atto di innalzare un anima dal purgatorio raffigurato nella parte bassa del dipinto. Ciò che però colpisce la nostra attenzione sono i riquadri laterali composti di tre scene ciascuno per un totale di sei. Qui sono raffigurati, con una stile che forse oggi definiremmo fumettistico, alcuni casi di morte improvvisa, casi presi dalla vita reale e dalle attività che dovevano impegnare la vita di tutti i giorni degli abitanti della piccola frazione. Un sacerdote accompagna a suo rischio e pericolo un malato di peste per le ultime esequie, un tizio muore nel domare un incendio, un altro nel governare un toro sfuggito, altri ancora per le esalazioni venefiche del mosto. Ognuno dei personaggi però, e qui sta l’unicità dell’opera, viene raffigurato, con grande efficacia, come uno scheletro, simbolicamente cioè dato per già morto. L’effetto di monito doveva essere notevole per

quanti avevano forse assistito agli eventi raffigurati o ad altri simili, tanto da indurli a pregare con maggior devozione e far officiare messe in suffragio per le anime di quanti in quelle morti erano incorsi.

Domodossola Arredo urbano

pag.48

Torbiera di Crampiolo pag.22 Praterie da fieno Alpe devero

pag.60

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Le storie di un “bosco antico” il lariceto del Croppo d’Argnai

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alite all’Alpe Veglia con l’intenzione di godere di un paio di ore di piacevole camminata, ogni stagione saprà stupire il vostro viaggio in modo diverso; prendete il sentiero che parte dal rifugio Cai verso “I larec” quindi il sentiero sino all’alpe “Pian dul Scric”, da qui sino al “Croppo D’Argnai”. Vi ritroverete nel bosco di larici più antico dell’intero Parco. L’azione diretta ed indiretta dell’uomo ha favorito nei secoli una ampia diffusione del larice, una delle specie più importanti del paesaggio piemontese per il grande valore tecnologico ed economico del suo legname, in popolamenti puri molto ben rappresentati nel parco Veglia-Devero, dove la struttura dei boschi di larice è fortemente condizionata dal passato utilizzo misto forestale - pastorale. Il larice, infatti, forma boschi radi che consentono la crescita del foraggio formando dei pascoli arborati utilizzati dalle mandrie nelle ore più calde della giornata. L’area, di particolare pregio, è oggi divenuta una sorta di riserva integrale istituita con lo scopo di proteggere e conser-

vare integralmente l’ambiente naturale lasciandolo evolvere indisturbato secondo le dinamiche naturali. Aggirandovi tra le piante secolari, tutte hanno almeno 200 anni di vita, ne potrete trovare alcune che hanno superato addirittura i 700. Fermatevi accanto ad una di loro e chiedete, con la dovuta cortesia, di ascoltare le sue storie, storie di piante che sono cresciute lente anno dopo anno, di uomini che le hanno piantate, tagliate e ripiantate e d’animali che hanno goduto della loro frescura. Forse però anche il larice, solitario al limitare del bosco che vedete dalla finestra di casa, ha un passato secolare e sa di quelle storie, prima di lasciarlo tagliare chiedeteglielo.

Praterie da fieno Alpe Devero

pag.60

Museo dei latticini di Beura pag.82 Torbiera di Crampiolo pag.22

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La salita al Calvario L

a salita al Calvario direttamente dal centro di Domodossola, attraverso l’arco trionfale d’accesso alla sacra via, e demolito nell’ottocento per questioni di “decoro urbano”, fu un tempo meta domenicale favorita dalle famiglie domesi. Incamminatevi perciò lungo quella via e potrete godere della visita ad una delle più belle vie Crucis monumentali del Piemonte. Iniziata nel 1650 ma terminata solo nel secolo scorso (vista diretta alla cappella realizzata con una semplice ma elegante scala frutto dell’opera di un architetto Ossolano contemporaneo, tal G. P. Prola) e strutturata in 15 cappelle, di cui le prime due ora purtroppo inserite tra più recenti edifici, il complesso è noto per la qualità dei gruppi statuari, opera di vari artisti, e dei fondali affrescati. Tuttavia questa volta, prima di entrare con lo sguardo nelle cappelle per ripercorrere la Passione, volgetelo al loro esterno. Soffermatevi sull’architettura e noterete che non ve n’è una simile all’altra, a partire dalla prima circondata da un

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portico circolare mai terminato. Tra tutte ci fermiamo, lasciando al visitatore il piacere di scoprire le peculiarità di ciascuna, sulla quinta. La sua costruzione, su progetto all’architetto G.L. Della Somaglia, fu finanziata interamente nel 1835 dal conte G. Mellerio, figura di spicco della storia dell’Ossola che patrocinò la venuta a Domodossola di Antonio Rosmini e il restauro del complesso sulla sommità del Calvario. La cappella si presenta come un piccolo tempio con pronao e copertura a cupola, secondo uno schema caro all’architettura neoclassica. Ma a dimostrazione di come l’architettura possa essere, per quanti ne sanno leggere il significato profondo al di là delle forme, non solo espressione di un’epoca o di uno stile, ma anche manifesto di un’idea, di un pensiero politico, il conte Mellerio, uomo profondamente religioso e antinapoleonico, volle che si adottassero colonne doriche ed uno stile, per così dire, ellenico a ribadire la sua antipatia al neoclassicismo di stampo romano preferito dai Francesi.


Centrali Portaluppi pag.74 Chiesa Trontano pag.12 Terme di Bognanco pag.40

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Ciborio di Santa Maria Maggiore

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ntrando nella parrocchiale di Santa Maria Maggiore, lasciate che lo sguardo, scivolando lungo la parete sinistra, si soffermi sullo stipite interno della seconda cappella. Incontrerà un piccolo gioiello di scultura: il ciborio marmoreo, da intendersi in questo caso nel significato di “tabernacolo”, capolavoro di Lorenzo degli Arrigoni. Il maestro pavese, come egli stesso si qualifica firmando la base del monumento, era con buona probabilità nipote di quel Francesco da Domodossola di cui abbiamo parlato altrove e lavorò in Ossola, nelle chiese parrocchiali di Crevola e di Vogogna in particolare, nei primi decenni del Cinquecento. Il monumento riproduce il fronte di un’edicola sacra dove l’artista da buona prova di stile nella decorazione, di composizione rinascimentale, con pregevoli intrecci vegetali e, al centro, il Cristo nell’atto della Resurrezione, ma è nella parte interna in cui raggiunge la vetta della propria arte. Qui infatti da vita allo spazio, destinato alla conservazione della pisside con le ostie consacrate, ricostruendo una cappella in miniatura con tanto di soffitto decorato a quattro vele al cui centro campeggia l’ostia raggiata con il monogramma di Cristo IHS. Completava l’opera la piccola porta il legno o bronzo, purtroppo scomparsa, ma sicuramente anch’essa scolpita. Il ciborio, realizzato in marmo di Crevoladossola, era verosimilmente posto alle spalle dell’altare maggiore dell’antica chiesa romanica, completamente ricostruita in forme

barocche nel Settecento, ma di cui si conserva il campanile ed alcuni elementi della decorazione litica inseriti in facciata. Al visitatore il piacere di trovarli.

Via del mercato a Masera

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La salita al Calvario pag.36 Cimamulera pag.52

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Terme di Bognanco

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’evoluzione del turismo moderno prima e di quello di massa poi, trovò anche in Ossola i luoghi ideali dove svilupparsi e fiorire. Uno di questi è sicuramente rappresentato dal centro termale di Bognanco che

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vide il periodo di suo massimo splendore nei primi decenni del ‘900. La lungimiranza del rev. Fedele Tichelli, appassionato naturalista, diede origine nel 1863 alla commercializzazione delle acque minerali della Valle Bognanco. Fu però opera dell’avvocato pavese Emilio Cavallini la costruzione dell’industria di imbottigliamento e del primo centro termale che ospitò la miglior borghesia italiana dei primi del Novecento. Sorsero le prime strutture ricettive e negli anni Venti Bognanco era già in pieno sviluppo, sia come “stazione termale”, riconosciuta da un decreto ministeriale de 1924, sia per la produzione di acque minerali. In quegli anni la Società intraprese la realizzazione delle strutture termali ancora oggi in esercizio, con un parco di 20 mila mq, un edificio di servi-

zio di 250 mq, sala da ballo, cinemateatro, parcheggio, centro sanitario, piscina, salone di degustazione, bocciodromo ed una funivia che collegava le terme alle fonti di San Lorenzo ubicate in quota. Nel secondo dopoguerra l’acqua con il marchio Ausonia era esportata negli Stati Uniti e l’afflusso turistico registrò un grande incremento grazie alla frequentazione delle famiglie della grande borghesia di Milano e Torino e di numerosi senatori del Regno, la cui presenza richiamava un entourage numeroso ed abbiente. San Luguzzone a Pizzanco

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Una famiglia di legnamari

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La Linea “Cadorna” a Ornavasso (Migiandone) S

ul territorio di Ornavasso e della limitrofa frazione di Migiandone, sorgono numerose opere di quella che oggi è chiamata “Linea Cadorna”, complessa linea difensiva costruita a poca distanza dalla frontiera svizzera negli anni immediatamente precedenti e durante la Prima guerra mondiale, il cui nome richiama il generale Luigi Cadorna di Pallanza, Capo di Stato Maggiore dell’Esercito nella Grande guerra e che ne fu in parte il promotore. La linea difensiva, con inizio in Ossola e termine sulle Orobie in Lombardia, venne realizzata nel timore di una invasione tedesca che, violando la neutralità elvetica, prendesse alle spalle l'Italia settentrionale; la Svizzera infatti, nonostante la dichiarata neutralità, per una serie di ragioni non costituiva una sufficiente garanzia contro le possibili aggressioni austro-tedesche. La “Linea Cadorna” non era una linea fortificata continua, posta a ridosso della frontiera, ma una serie di opere composte da appostamenti per la fanteria e postazioni per l’artiglieria collocate

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in località arretrate, collocate però nei punti nevralgici - come la stretta di Bara a Migiandone - sui principali assi di penetrazione di un potenziale nemico che facesse ingresso dalla Svizzera. Proprio le opere di Ornavasso e di Migiandone, per la loro varietà di tipologia costruttiva e di impiego, forniscono interessanti esempi di architettura militare e danno una panoramica assai completa dell’assetto difensivo sia sulla montagna che nella pianura di fondovalle. E’ così possibile passare dal “forte Castello” sopra Ornavasso, appostamento blindato in calcestruzzo e pietra per mortai da 210 sorto sui ruderi di una costruzione viscontea del Seicento detta l’Ottagono per la sua forma, all’appostamento in barbetta per cannoni da 149 di quello che localmente è chiamato “forte di Bara”, dal nome della località di Migiandone dove sorge, passando per una strada militare costruita dagli Alpini, potendo poi scendere al fondovalle su di una caratteristica mulattiera a pendenza costante. Diverse anche le trincee, da quelle scavate nella roccia della “punta di Migiandone” - sperone roccioso che segna il tratto più stretto dell’Ossola, larga qui solo 800 metri - ad altre in calcestruzzo, riemerse di recente nel fondovalle dal limo portato dalle alluvioni grazie ad un paziente lavoro di scavo e pulizia condotto dal locale Gruppo A.N.A., insieme con i camminamenti che le collegavano ai ricoveri per la truppa ed ai depositi protetti. Numerose le opere in caverna, con le postazioni per le mitragliatrici puntate sulle direttrici di avanzata del potenziale invasore, dotate pure di gallerie di collegamento fra mulattiera e le trincee montane di prima linea, affacciate sul fondovalle. Ornavasso e di Migiandone rappresen-

tano un concentrato di storia - dalle necropoli celtico-romane, ai segni della battaglia dell’ottobre 1944 - ma anche di architettura militare, di ambiente e di natura, senza contare i segni del lavoro e della cultura materiale che si ritrovano anche nell’antica Cava di marmo, da poco recuperata e aperta al pubblico. Dalla punta di Migiandone, nei pressi dell’ampio piazzale che funge da parcheggio e dove spicca un grande cannone antiaereo e il tabellone illustrativo della Linea “Cadorna”, parte la carrareccia militare che conduce alla postazione localmente detta “forte di Bara”. Lungo i tornanti si incontrano le gallerie, che attraversando lo sperone roccioso, portano alle trincee e alle postazioni per mitragliatrici rivolte verso la pianura che si estende da Cuzzago a Vogogna. Dal “forte” di Bara, formato da tre gradoni con piazzole per batterie in barbetta e da un ampio piazzale interno, si gode una suggestiva vista panoramica su tutta la zona dei laghi e sulla bassa Ossola. Una strada militare parte dal Bara, lunga circa un chilometro e mezzo e tagliando la montagna a mezza costa conduce al forte Castello, postazione sotterranea arretrata di artiglieria pesante, costruita sui ruderi del preesistente edificio detto “l’ottagono” dei Visconti di Modrone; opera di proprietà privata ma a cui vi si può accedere con visite guidate.

L’Oratorio di Lut pag.58 Graffiti d’altri tempi pag.50 L’acqua sacra di Dresio

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Musica quota estate 2011

SABATO 18 GIUGNO ORE 10.00 MUSICA DEL GRAND TOUR t l MONTEOSSOLANO (750 m) Valle Bognanco - Circolo di Monteossolano SABATO 2 LUGLIO ORE 14.30 WALSER ALPHORN DI ORNAVASSO e CORNI DELLA VALLE DI SASS ALPE ANDOLLA (2052 m) Valle Antrona - Rifugio CAI Villadossola SABATO 9 LUGLIO ORE 20.30 FABALAIRAT GRUPPO MUSICALE TRANSFRONTALIERO PIAN D’ARLA (1300 m) Parco Nazionale Valgrande SABATO 16 LUGLIO ORE 16.00 INSUBRIA BRASS QUINTET PIANCAVALLONE (1530 m) Valle Intrasca - Parco Naz. Valgrande Rifugio CAI Verbano DOMENICA 24 LUGLIO ORE 11.30 I LAVERTIS ALPE SOI (993 m) Valle Anzasca - Rifugio Ristoro Alpe Soi DOMENICA 31 LUGLIO ORE 11.30 SOFFI IN QUOTA ALPE MONTEVECCHIO (1040 m) Valle Cannobina - Rifugio Pro Montevecchio SABATO 6 AGOSTO ORE 11.30 CALIPSO FOR CAMASCA CHRIS COLLINS e ATEM SAXOFONE QUARTET ALPE CAMASCA (1230 m) Rifugio Baita del Consorzio Quarna Sotto LUNEDÌ 8 AGOSTO ORE 11.30 TRIO CAMBINI LAGHETTI DI MOINO (1915 m) Valle Vigezzo - Bivacco Emilio Greppi CAI Vigezzo LUNEDÌ 15 AGOSTO ORE 11.30 ENSEMBLE DI FLAUTI “CONTROCANTO” GHIACCIAIO DEL SIDEL (2960 m) Valle Formazza - Rifugio 3A LUNEDÌ 20 AGOSTO ORE 11.30 MYRIAM AL MYRIAM ALPE LA BALMA (2050 m)Valle Formazza - Rifugio MIRYAM SABATO 27 AGOSTO ORE 11.30 FLORILEGIO BAROCCO ENSEMBLEBAZALESK ALPE CORTINO (1477 m)Valle Vigezzo - Rifugio Nigritella DOMENICA 4 SETTEMBRE ORE 11.30 SIGNORE DELLE CIME ALPE SOLCIO(1751 m) Valle Divedro - Rifugio Crosta CAI Gallarate SABATO 10 SETTEMBRE ORE 11.30 XXL REVERSIDE DIXIELAND BAND ALPE DEVERO (1690 m) Valle Antigorio - Rifugio Casa Fontana Parco Naturale Veglia Devero

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bbandonata la strada principale che attraversa le frazioni di Montecerestese, all’altezza di Roldo, addentrandosi per pochi passi nell centro storico si incontra uno tra gli edifici storici più importanti dell’Ossola: il tempietto lepontico di Roldo. Testimonianza rara ed antichissima è una costruzione sopravvissuta ai secoli, trasformando la sua funzione originaria ma mantenendo evidente l’impianto originario e la necessità per la quale fu costruita. Si tratta di un edificio che gli storici datano al I Sec. d.C. e identificabile quale tempio per il culto pagano. L’aspetto di torretta, che oggi assume, è dovuto alle sopraelevazioni che si sono susseguite negli anni, tuttavia il fabbricato originale è ancora facilmente riconoscibile dalla linea della copertura originaria che si nota l’ungo il muro perimetrale. Il tempietto ha una pianta rettangolare che all’esterno misura 3,60 m di larghezza e 5,50 m di lunghezza. L’accesso, nel lato nord, introduce in uno spazio composto da un atrio e un’aula perfettamente orientati lungo l’asse Nord-Sud. La cella è coperta da una volta a botte e ha una sola apertura rivolta a sud. Nel complesso l’analisi storica dell’edificio fa supporre ad un’edificazione di epoca romana adottata dagli abitanti locali, i quali volendo mantenere la loro tradizione culturale hanno realizzato l’edificio su disegno lepontico. Si vuole qui porre l’attenzione del visitatore a quanto resta dell’originaria copertura dell’edificio. Le pietre scavate a coppo, che ancora si possono riconoscere, rappresentano sicuramente una tipologia difficilmente ritrovabile nel territorio ossolano. Le robuste piode dovevano avere una lunghezza pari alla dimensione dello spiovente; esse erano scavate e affiancate le une alle altre

a formare lunghe tegole ulteriormente coperte lungo la linea di giunzione. In Ossola solamente un altro edificio presenta, ben visibile, la stessa tipologia di copertura, si tratta della sacrestia della chiesa di S. Giorgio a Varzo.

Centrali di Portaluppi pag.74 Chiesa Trontano pag.12 Terme di Bognanco pag.40

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Bocche di pietra

Elementi decorativi dei palazzi di Domodossola 48


A

ben vedere le belle bocche di lupo dell’edificio di via Rosmini 27 a Domodossola, ma altre ve ne sono in città, paiono sprecate per una posizione così modesta. Le guardo e mi piace pensarle in posizioni di ben altro prestigio: finestre, un tempo, di palazzi signorili o di munite torri di guardia. E i decori a motivi floreali si trasformano nella luce del crepuscolo in occhi di animali feroci. Difficile dare loro un’età, più facile immaginare l’abilità e la cura di chi le ha realizzate, lisciando con meticolosità la superficie della pietra sino ad addolcirla facendole perdere ogni asperità.

Ma le bocche di lupo sono solo una delle decine di piccoli particolari che arricchiscono case e palazzi della città, particolari che solo un occhio attento potrà scoprire. Giunti in piazza Mercato, dopo aver goduto della vista d’insieme dei bei palazzi medioevali che la contornano, provate ad avvicinarvi a ciascuno di essi e ad osservarli attentamente,

scoprirete qui uno stemma su una colonna, là un balconcino finemente lavorato, e ancora lo stipite d’una finestra, l’architrave di un portone, una semplice mensola … Più oltre, in Piazza Fontana, sotto ad un balcone v’è un mezzo busto femminile che pare sostenere il peso del balcone stesso. L’espressione quasi sofferente del suo viso, gli occhi leggermente socchiusi, rafforzano la sensazione. L’intera bella forma architettonica del Borgo prende avvio da quella dei suoi particolari. Lasciare che questo patrimonio minore si deteriori o venga distrutto è come incidere una ruga su un antico ritratto di dama.

Via del mercato a Masera

pag.78

La salita al Calvario pag.36 Cimamulera pag.52

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G

raffire un antico dipinto per lasciare la propria testimonianza di visita o l’amore per la propria donna o peggio inneggiare alla squadra del cuore, non è cosa lecita né tantomeno segno di civiltà e rispetto sia per l’aspetto artistico che per quello devozionale. Fortunatamente questa pratica, ancora viva sino agli ultimi decenni del secolo scorso, è oggi quasi totalmente scomparsa; occorre dire però che in alcuni casi ci ha lasciato genuine testimonianze della vita dei secoli passati. E’ il caso dei graffiti presenti sulla Cappella di Santa Marta in frazione Quarata di Cosasca. La cappella, posta sull’antica via di collegamento da Beura al passo della Mizzocola, si presenta ad unica navata rettangolare decorata all’interno con una serie gli affreschi databili tra la fine del secolo XV e l’inizio del successivo. Pregevole quello sopra l’altare con il Crocifisso in posizione centrale, la Vergine ed una teoria di Santi: S. Gio-

vanni, S. Giorgio, S. Marta e S. Antonio Abate, racchiusi in una cornice gotica a traforo. Sulla parete settentrionale, in vicinanza dell’altare, un secondo affresco mostra ancora S. Antonio abate e S. Gottardo. Proprio su questi affreschi, occasionali pellegrini, che nella cappella avevano trovato rifugio o conforto, hanno lasciato, in un latino popolare, testimonianza di sé e della propria vita. Il graffito più antico riporta l’invocazione per la protezione dagli incontri sgradevoli, tanto frequenti in tempo di brigantaggio: “1542-Eripe me Domine ab homine malo” (proteggimi Signore dalla cattiveria degli uomini). Altre scritte ci parlano delle lotte fra i partiti ed esaltano le fazioni locali: “1600 W Casa Ferera”, “W Casa Borromea - S. Burrus 1675”. Altre ancora raccontano di epidemie e di peste: “1663-die 4 iulii Jacobus Philippus Zoppus non valuit”, “1666-23 iulii obiit d. Eleonora Capis Mater mea” ecc. Oggi, avendo a disposizione facebook e altri ben più moderni mezzi per raccontare i fatti vostri, guardatevi dal pensiero di imitare questi “graffitari” d’altri tempi …

Ponte del Diavolo pag.72 Crevoladossola Fraz. Pinone

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Domodossola Arredo urbano

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Cimamulera

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gni singolo paese, ogni piccola frazione, non è mai un’isola separate dal resto, bensì parte integrante di una comunità. Cimamulera, un tempo comune oggi frazione di Piedimulera, ha avuto come principale elemento di coesione con il resto del territorio la vecchia “Mulera”, la mulattiera che dai piedi della valle Anzasca s’inerpicava sino a Cimamulera, per poi proseguire

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lungo la valle ed oltr’alpe. Essendo questo l’unico punto di comodo accesso alla valle, è presumibile che la Mulera risalga ai primordi della colonizzazione dell’Ossola e quindi che la sua storia possa radicarsi a partire dal I° o dal II° Millennio a.C. La Mulera per secoli, sino al soppravvento dei cambiamenti socioeconomici di oggi, è stata ricoperta dalla vite; lunghi pali di castagno e schegge in serizzo, poste ai lati della mulattiera, sorreggevano i tralci di vite che, oltre ad assicurare la frescura agli affaticati viandanti, sono oggi la testimonianza dello sfruttamento di ogni porzione di suolo. E, come è noto, laddove le vie di comunicazione si facevano trafficate di genti e beni di commercio, è facile che sorgessero costruzioni nobili e lussuose di proprietà delle famiglie che detene-

vano i diritti di passaggio. Su di una di queste case, in località Catarnal, si può osservare la prima iscrizione nota incisa in lingua italiana nell’Ossola: “Questa casa fece fare Bernardo di Bonbernardo nel anno corrente MCCCCLX”. A fianco dell’iscrizione si può notare inciso lo stemma dell’arma della Parte Ferraria. Esso raffigura un’incudine sormontato da un martello e da una tenaglia che stringe un chiodo, il tutto dominato dall’aquila imperiale.

I bottoni della Milizia pag.16 Una finestra pag.88 Linea Cadorna a Ornavasso

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Una semplice cappella

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I

n frazione Fondovalle di Formazza, lungo la strada che portava ai valichi alpini, nel 1750 Carlo Antonio Matli volle, per sua devozione, che venisse affrescata una piccola cappella, momento di sosta per il viandante dopo la dura salita delle casse. Si tratta di una semplice cappella del tipo cosiddetto a pilone e i suoi affreschi non presentano nessuna qualità particolare, una cappella di montagna come innumerevoli ne esistono in Ossola e in tutto l’arco alpino, quindi vi chiederete la sua ragione d’essere in questa raccolta. Non avete che da alzare lo sguardo e sotto il timpano, in posizione centrale troverete una strana figura con tre volti. Confrontandola con l’immagine del Cristo raffigurata all’interno della cappella non si fatica a riconoscere il personaggio. L’interpretazione dello strano dipinto è, a questo punto, chiara: si tratta di una raffigurazione della Trinità. La rappresentazione della Trinità si avvale nel Medioevo di più forme, tra queste sicuramente le più atipiche e rare sono quelle che propongono o tre immagini del Cristo, assiso nell’atto eucaristico, assolutamente identiche (e in Ossola ve n’è un bell’esempio nella parrocchiale di Varzo) o appunto il tricefalo nella tipologia di vero e proprio essere con tre teste o in quella più mitigata, come nel caso di Formazza, di una sola testa con tre volti. L’origine di questa seconda immagine è sicuramente da ricercarsi nella mitologia greco-romana (la prudenza veniva raffigurata, ad esempio, con tre volti) e proprio questa sospetta contaminazione con il paganesimo fece sì che tali immagini della Trinità venissero guardate con sospetto dalla Chiesa, specie dopo il concilio di Trento, ed esplicitamente condannate da

Papa Urbano VIII° nel 1628. Poiché le pene inflitte dall’Inquisizione a quanti fossero anche solo sospettati di eresia, o peggio di stregoneria, erano severe e portavano spesso alla morte del malcapitato, appare strano che ancora in pieno Settecento sulla nostra edicola ci sia un simile dipinto. Semplice e pericolosamente ingenuo rifacimento di un immagine più antica che già appariva sulla cappella o …

Centrali di Portaluppi pag.74 Chiesa Trontano pag.12 Terme di Bognanco pag.40

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Schesh (schegge)

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uti filari di pietra ci accompagnano lungo i sentieri della campagna di Beura. Schegge (questa la traduzione dl termine dialettale che li definisce) di tempi perduti quando si soleva delimitare in questo modo le aree di proprietà o destinate al coltivo da quelle comuni per il pascolo del bestiame. Sono lastre di beola, pietra per sua natura facilmente lavorabile in lastre, infisse verticalmente nel terreno, di modo da ottenere delle recinzioni più economiche, facilmente trasformabili e riparabili rispetto a muretti. Un’altra testimonianza dell’uso sistematico della pietra, quasi una compagna nella vita degli ossolani: di pietra le case, dal tetto ai pavimenti, ma anche i lavandini le stufe persino le pentole con cui cucinare. Pietra che si è trasformata in risorsa economica inizialmente per la capacità acquisita dai maestri scalpellini di lavorarla, poi come materiale di commercio. Il paesaggio che quest’uso della pietra ha costruito nel volgere degli anni costituisce un patrimonio inestimabile per tutto il territorio. E le schesh, protagoniste di questo breve scritto, sono l’elemento più caratterizzante delle campagne, specie di quelle lungo il corso del Toce. Ogni qual volta che, per ragioni di apparente necessità, l’allargamento di una strada per consentire il più agevole passaggio delle autovetture ad esempio, o di semplice trascuratezza, come la non sostituzione o ripristino di una lastra incidentalmente abbattuta, un filare sparisce,

si infligge una ferita al paesaggio che ferita dopo ferita rischia di trasformarsi irreparabilmente, perdendo quelle caratteristiche che lo rendono unico. E’ facile ammirare e farsi difensori di una splendida chiesa o un’imponete castello, meno facile accorgersi e proteggere questi piccoli segni di cultura contadina. Entrambi a modo loro costituiscono la nostra eredità, eredità di fatica, impegno, dedizione alla propria terra di quanti ci hanno preceduto, eredità che siamo moralmente impegnati a trasmettere a quanti ci seguiranno.

Lariceto Alpe Veglia pag.34 Ponte del Diavolo pag.72 Marmitte di Croveo pag.20

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L’oratorio di Lüt

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a ricorrenza del 150° dell’Unità nazionale, ha portato in molti luoghi alla riscoperta dei segni tangibili della memoria del Risorgimento esistenti sul territorio e non soltanto nei libri di storia o nei musei. Uno di questi luoghi è la chiesetta dei reduci a Lüt è un piccolo alpeggio che sorge a circa 800 metri di quota poco sopra Colloro di Premosello Chiovenda, all’imbocco della vallata del rio Crot, attraversato dalla mulattiera che conduce in Val Grande, mediante i valichi della Colma e dell’Usciolo. L’origine del piccolo santuario mariano risale al 1848 e al voto di alcuni giovani del paese che, chiamati alle armi e fermatisi per una sosta nei pressi di una antica cappelletta che sorgeva sul pianoro a lato della mulattiera, promisero di restaurarla qualora fossero tornati sani e salvi dal conflitto. E così fu, come testimonia l'immagine dipinta dal pittore Andrea Monti di Anzola nel 1859, per voto di alcuni reduci delle campagne della I° Guerra d'Indipendenza. Il portichetto antistante venne invece realizzato dai familiari di Pio Bionda, come voto per auspicare il ritorno del congiunto dato per disperso nella battaglia di Adua in Africa nel 1896 e mai più tornato. Durante la Grande guerra, le campagne coloniali e nel Secondo conflitto mondiale la cappelletta fu meta di devoti pellegrinaggi, provenienti da tutta la bassa Ossola, di soldati e familiari che invocavano la protezione mariana per i combattenti al fronte. Dopo la Prima guerra mondiale l’edificio venne ampliato e nel 1924 si ebbe la solenne benedizione della cappelletta da parte del parroco don Giovanni Del Boca, già cappellano militare al fronte e decorato al Valor Militare. Al termine della Seconda guerra mondiale, che dal settembre 1943 all’aprile 1945 fu combattuta anche qui, l’architetto Paul Vietti Violi - di Vogogna e autore di progetti di opere importanti in tutto il mondo - progettò il grande mausoleo-ossario, una sorta di “Redipuglia della Resistenza ossolana” da edificare

proprio a Lüt, luogo di memorie e devozione per i combattenti e reduci di tutte le guerre, dove dopo l’armistizio dell’8 settembre ‘43 si riunirono intorno al magg. Dionigi Superti militari sbandati e vecchi antifascisti, ma anche accesso alla Val Grande insanguinata dal tragico rastrellamento del giugno 1944. Il progetto di Vietti Violi non si realizzò mai, ma nel 1952 la cappelletta fu finalmente ampliata e trasformata in un vero e proprio oratorio, mentre in tempi più recenti un lavoro di restauro generale dell’edificio e di sistemazione del tetto si è avuto nel 1982. L’area circostante è poi stata fatta oggetto negli anni di interventi di miglioramento e riqualificazione, dalla messa a dimora di alberi sino alla collocazione di una grande croce metallica a ricordo di tutti i partigiani della Divisione “Valdossola”, di un altare in pietra con la vicina fontana-monumento ed ancora, nella ricorrenza del 70° della fine della Grande guerra, la posa di un’asta alzabandiera, fino alla più recente illuminazione notturna, grazie ad alcuni pannelli fotovoltaici. Lüt è raggiungibile a piedi da Colloro, risalendo la strada montana che di diparte dal bacino idroelettrico - per il transito in auto occorre apposita autorizzazione presso il Municipio - e una volta raggiunta la località, autentico balcone sulla bassa Ossola, è possibile con lo sguardo ammirare un paesaggio che va dal Lago Maggiore ai ghiacciai alpini, passando per le aspre cime che fanno corona alla selvaggia Val Grande; il cui Parco comprende pure il piccolo alpeggio nei pressi del quale sorge la chiesetta dei reduci.

Linea Cadorna a Ornavasso

pag.34

Cuggine pag.66 Colletta pag.76

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Un tuffo diverso...

Praterie montane da fieno all’Alpe Devero

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T

ra i piaceri impagabili nella vita dei bambini di montagna, e di qualche fortunato “villeggiante” ammesso al rito, c’era certamente il tuffo nei covoni di fieno, che ben valeva la successiva sgridata di qualche adulto. Fieno profumato, soffice, nutrimento ricco per le bestie durante l’inverno. Purtroppo il lento decadimento dell’allevamento, che solo in questi ultimi anni sta riprendendo, con vigore inaspettato, ha portato alla drastica riduzione dei prati

Oggi, il foraggio è inviato a valle per l’utilizzo invernale. Per salvaguardare la sopravvivenza di questo habitat, minacciato dall’abbandono delle pratiche colturali tradizionali quali lo sfalcio e la concimazione naturale, e la sua lenta trasformazione in gerbido o bosco, a partire dal 2003 il Parco ha incentivato la ripresa delle cure colturali di buona parte di queste aree reintroducendo le tradizionali attività d’alpeggio. Un sentiero attrez-

montani che quel fieno producevano. La conca dell’alpe Devero è uno dei rari luoghi dove si possono ancora ammirare ampie superfici foraggiere coltivate d’alta quota: sono le “Praterie montane da fieno”. Un habitat non naturale ma frutto del lungo e duro lavoro di generazioni di alpigiani che scavando estese canalizzazioni di drenaggio, ancora presenti e ben visibili, hanno trasformato ampie superfici di aree umide, create dal progressivo interramento della conca glaciale, in praterie coltivate. Questi prati permettono un solo taglio annuale ed il foraggio veniva utilizzato, fino agli anni 50’, direttamente in loco. Le scorte di foraggio consentivano, infatti, di superare i periodi di maltempo e prolungare il periodo di alpeggio.

zato, corredato da audioguide in distribuzione in sito presso alcune strutture ricettive, consente, con un comodo percorso circolare di circa un’ora, di apprezzare questo ed altri habitat presenti nella piana del Devero. E forse, col tempo, tornerà anche il piacere di un bel tuffo... (riservato agli under 12)

Mulattiera di S. Lorenzo

pag.84

Centrali di Portaluppi pag.74 Una semplice cappella pag.54

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Il Santo, l’assassino e il formaggio. San Luguzzone a Pizzanco

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n piccolo oratorio settecentesco in frazione Pizzanco di Bognanco è dedicato a Luguzzone di Cavargna, protettore dei casari. Il Santo vi compare in una tela di Luigi Reali (prima metà del XVII° sec.) e sulla facciata in un affresco, verosimilmente ripreso dalla tela stessa. Raffigurato con coltello e forma di formaggio in mano, o in alternativa nell’atto di offrirne ai poveri, (la sua più antica rappresentazione si trova su un pilastro della cattedrale di San Lorenzo a Lugano risalente al 1280) Luguzzone è particolarmente venerato in un area compresa tra le vallate alpine lombarde e ticinesi. Non stupisce che proprio in un ambiente montano sorretto da un economia sostanzialmente basata sull’allevamento e la produzione casearia, si manifesti una figura di santo protettore proprio di tali attività. Narra la tradizione che il pastore Luguzzone curasse il bestiame ottenendo per paga parte del formaggio che con il latte produceva. Buono di cuore egli soleva distribuire ai poveri gran parte del prodotto. Finì così

per essere ucciso da un sicario inviato dal suo padrone, convinto di essere derubato. Luguzzone non rubava però il formaggio ma con il siero rimasto dalla casata, produceva della ricotta da offrire ai poveri. Un’altra versione vuole che il Santo, licenziato dal primo padrone, fosse passato ad un secondo e ne avesse incrementato i guadagni grazie a latte e formaggio che si moltiplicavano miracolosamente tanto da poterne distribuire in gran copia ai poveri, causando l’invidia del primo che, come apprendiamo da una narrazione ottocentesca dei fatti, “si rodeva per la buona sorte del rivale e armato il fianco di coltello omicida, andava in giro per tutti quei luoghi, dove era abitudine del Santo di portarsi”. Sorpreso il giovane nei pressi di uno stagno, lo uccise accoltellandolo. Ancora oggi il 12 di luglio, tradizionale data del martirio e festa del Santo, le acque dello stagno divengono rosse e sono meta di pellegrinaggio.

La via del mercato di Masera pag.78 Crevoladossola Fraz. Pinone

pag.24

Borgnis l’artista vigezzino

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Una famiglia di “Legnamari� CIDA

Terre Alte Oscellana Centro Internazionale di Documentazione Alpina

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e opere lignee che impreziosivano chiese e dimore private nell’Ossola del Cinquecento sono per lo più frutto del lavoro di anonime maestranze che si tramandavano il mestiere di “legnamaro” da padre in figlio. Dalle ombre del tempo esce però un nome quello dei Merzagora, facoltosa famiglia proveniente da Arona e stabilitasi a Craveggia, in Valle Vigezzo, a partire dalla fine del Trecento e che nel cinquecento diede avvio ad una rinomata bottega d’arte. Se del fondatore, Domenico, non si conosce alcuna opera, conservate sono invece quelle dei nipoti Giovanni Domenico e Giovanni Andrea. Tra i lavori di quest’ultimo la formella, unica superstite della cantoria del convento dei frati minori di San Francesco a Domodossola. Conservata presso il museo di Palazza Silva, raffigura S. Francesco nell’atto di ricevere le stigmate alla presenza di un fraticello. La scena si svolge all’interno di una cornice quadrangolare decorata con elementi floreali e una testa d’angelo nella parte superiore. Nel 1592 G. Andrea scolpì l’ancona d’altare delle chiesa romanica di S. Bartolomeo a Villadossola. Sempre a Villadossola, ma attribuite al lavoro di entrambi i fratelli, possiamo anche ammirare, il grande Crocifisso nella chiesa di Cristo Risorto e la statua della Madonna nella Chiesa del Piaggio, di cui si ha prima menzione nel 1618. In quest’opera se la l’impostazione della statica figura, con una mano portata al cuore e l’altra protesa verso i fedeli, e lo sguardo fisso rivela una tecnica ancora legata agli schemi tardomedioevali, l’abito dorato e ricca-

mente inciso con motivi floreali che ricopre morbidamente il corpo, è a sua volta avvolto da un mantello azzurro stellato, sembra sospinto da un soffio di vento testimoniando la capacità dei maestri Merzagora di evolvere la propria arte verso i modi del nascente stile Barocco.

Graffiti d’altri tempi pag.50 L’acqua sacra di Dresio

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San Luguzzone a Pizzanco

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Cuggine I

n passato Baceno era composto da un grande numero di frazioni, sparse nella conca all’imbocco della valle del Devero, in una posizione strategica lungo la via che, attraverso il passo dell’Arbola, consentiva di salire le Alpi verso la Svizzera e l’Europa settentrionale. Era una via importantissima, praticata sin dall’antichità e sicuramente dai Romani, fra le più battute nel Medioevo, almeno fino a quando, nel XIII° secolo, non venne resa più comoda la strada del Sempione. Lungo l’antico tracciato incontriamo il borgo di Cuggine, nascosto e disabitato, sulla riva sinistra del torrente Deverino, tra Croveo e Baceno. Cuggine non era un vero e proprio villaggio, dato che non aveva un oratorio, ma piuttosto un gruppo di case distribuite lungo la strada, sorto probabilmente proprio a servizio dei traffici. Tra le abitazioni che si possono osservare ve ne sono alcune molto antiche; in una di queste si trovano un eccezionale portale in pie-

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tra e una finestrina dotati di una decorazione scolpita a rilievo unica in Ossola, a fiori e figure umane di straordinaria importanza e bellezza, che risale sicuramente agli anni a cavallo del mille: segno dell’esistenza di una dimora assai

pretenziosa, legata forse proprio al fiorire del traďŹƒco mercantile, e che non sembra appartenere alla importante famiglia dei De Rodis, i quali, per tutto il Medioevo, furono i signori incontrastati della Valle Antigorio.

Marone pag.70 Linea Cadorna a Ornavasso

pag.42

San Giorgio e il Drago pag.26

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Marone

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arone è una frazione del comune di Trontano, alle porte della Valle Vigezzo, sprovvista a tutt ’oggi di collegamento stradale e raggiungibile solo a piedi o con il trenino della Vigezzina. La mancanza di collegamenti può essere una della cause che hanno portato al progressivo abbandono di questo borgo, totalmente disabitato da ormai 30 anni. Il solitario villaggio si trova sul versante sinistro della Valle, adagiato su di un pianoro sopra il torrente Melezzo, che in questo tratto, ha modellato e scavato in maniera particolarmente aggressiva la valle. Il bosco che circonda l’abitato è un rigoglioso castagneto, un tempo risorsa fondamentale per gli abitanti, oggi meta di qualche raccoglitore di castagne durante i mesi autunnali. Appena si arriva a Marone si è su-

bito colpiti dal silenzio che avvolge l’intero paesino. Passeggiando fra i numerosi edifici rurali s’immagina la vita dei tempi passati, di quegli abitanti che, chissà se a malincuore, hanno lasciato il paese natio. La Chiesa dedicata a Sant’Antonio Abate, sconsacrata, è ancora in buono stato di conservazione e al suo fianco sorge il piccolo Cimitero. Entrate nel Campo Santo e lasciatevi trasportare dal silenzio: un’emozione tra la nostalgia e la serenità vi avvolgerà interamente e sarà un modo per ricordare quelle genti che nei secoli, con grande dignità e fatica, hanno vissuto a Marone. Ciborio di Santa Maria Maggiore pag.38 Mulattiera di San Lorenzo

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Domodossola Arredo urbano

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Ponte del Diavolo (Bugliaga)

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ungo la strada carrozzabile che da Trasquera sale a Bugliaga, si giunge al ponte del Diavolo. Spesso, incontrando opere tanto ardite, le leggende popolari tramandano racconti riferiti ad una diabolica origine. Anche se non possiamo con certezza affermare la veridicità di tali leggende, sicuramente quest’opera costò notevoli sacrifici alla popolazione locale, nel peggiore dei casi pagati con vite umane. Il geometra De Antonis, nel 1874, fu incaricato di redigere il progetto della strada e individuò nel luogo detto alle Saglie del Rì il punto ove sarebbe sorta la nuova costruzione. Soffermatevi un attimo, prima di attraversare il ponte, e immaginate cosa potesse essere stato il cantiere per la sua realizzazione: un’imponente armatura composta da oltre 100 tronchi di larice poggiava sui fianchi del dirupo e saliva sino a sorreggere

la centina, base d’appoggio per l’arco di pietra; lunghe carovane di muli carichi di conci debitamente lavorati salivano lungo il nuovo tracciato e decine di operai procedevano alla realizzazione dell’unica campata. Alla fine dell’opera, tutta l’armatura fu cosparsa di petrolio e successivamente incendiata: i cento metri che separano il ponte dal rio si trasformarono in un rogo; allora forse, la vista del ponte eretto nell’impervia vallata, circondato da tenebrosi paesaggi ed avvolto dalle fiamme, fu davvero un infernale spettacolo.

Cimamulera pag.52 Colletta pag.76 Patriarchi subalpini pag.90

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Centrali Portaluppi A

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gli occhi dell’occasionale frequentatore dell’Ossola difficilmente sfugge, risalendo la Valle Antigorio-Formazza, la presenza di maestose e fiabesche costruzioni di straordinaria ricchezza decorativa, poste lungo il fondovalle. Sono questi gli edifici costruiti, per buona parte, nella prima metà del Novecento e destinati alla produzione dell’energia idroelettrica. Opera dell’architetto Piero Portaluppi, le centrali di Crevoladossola, Verampio e Crego, Cadarese e per finire Formazza sono tra le più importanti espressioni di quello stile architettonico che qualcuno definì “elettrico”. Vale allora la pena soffermarsi e posare lo sguardo sugli elementi che costituiscono questi edifici e sull’infinità di dettagli progettati e costruiti con straordinaria cura e maestria. Uno stile eclettico con un costante dialogo tra tradizione architettonica e guizzi di modernità, sapiente impiego di materiali locali che a seconda delle lavorazioni prendono forma nelle strutture portanti o nei dettagli decorativi. Un mirabile esempio sono le due torri della centrale di Verampio. Esse appaiono mastodontiche ad incorniciare la facciata, aggraziate dalle logge che si aprono nella parte superiore e dalle mensole dentellate che sembrano sostenerle. Il tutto arricchito dalla decorazione litica, dall’aspetto rigido dei cubetti di pietra posti agli angoli, o morbido, come le arcate dal profilo ondulato e i capitelli delle colonnette esagonali in cui le tradizionali foglie d’acanto si trasformano in curiose sfere di pietra.


Gli scheletri di Oira pag.32 Marone pag.70 Ponte del Diavolo pag.72

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Colletta

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partire dal secondo dopoguerra sino ad oggi la capacità attrattiva dei centri maggiori del fondovalle non ha cessato di esaurirsi e ha avuto come conseguenza il totale abbandono di alcuni borghi montani. E’ questa la sorte toccata a Colletta, piccola frazione a pochi Km da Villadossola. La natura, nel suo ciclo, di tutto si cura tranne che di preservare ciò che l’uomo, con immensa fatica, ha costruito ed oggi il paese ci appare invaso di rovi e piante di latifoglie che vi crescono nel mezzo. Visitare Colletta non è consiglio da dare a tutti ma solamente a coloro i quali sanno vedere nei ruderi la bellezza, a coloro i quali si emozionano di fronte alla moltitudine di elementi

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dell’architettura tradizionale che, nei secoli, gli uomini hanno saputo fondere tra le mura di questi edifici. Tra i tanti dettagli sicuramente non sfuggirà la presenza di imponenti architravi monolitici posti sopra le porte d’ingresso, risalenti al XV° secolo o antecedenti. Qui, come in altri borghi della Valle Antrona, assumono il caratteristico aspetto semicircolare e si può notarli collocati sopra portali singoli o affiancati: il portale binato è una tipologia ampiamente diffusa in tutta l’Ossola, benché presente con tipologie costruttive differenti a seconda della zona e del periodo. Gli architravi, la cui profondità non raggiunge mai lo spessore dell’intera muratura, poggiano su elementi verticali monolitici, talvolta intervallati da pietre orizzontali che si legano alla muratura; archi ribassati o travetti in

legno aiutano all’interno a scaricare il peso sovrastante. Osservando attentamente potete talvolta trovare date e simboli religiosi sulla faccia esterna dell’architrave; incidere le pietre poste all’ingresso delle abitazioni ha assunto nel passato significati profondi ed ancestrali, da sempre sinonimo di un rapporto tra l’uomo e il cielo e di una religiosità primitiva.

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Via del Mercato Masera

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asera, come molti altri centri dell’Ossola è composta da numerose frazioni. Alcune di esse sorgono lungo il tracciato dell’antica via del Mercato, che da Domodossola portava alla valle Vigezzo e quindi in Svizzera. Lungo questo tracciato, molto suggestivo per il panorama che a mano a mano si svela salendo, restano numerose tracce della storia, dell’arte e della civiltà di questo importante centro, che faceva parte del territo-

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rio speciale delle Quattro Terre, di cui Masera era la capitale effettiva. Dalla piazza della Chiesa di S.Maurizio a Masera, sale alla frazione di S. Antonio la vecchia mulattiera (carale) che coincide con il primo tratto della Via del Mercato. Un’escursione facile, ricca di storia e avvolta in un magnifico paesaggio. La Via del Mercato ha origini molto antiche e i dati archeologici indicano la presenza di insediamenti umani lungo il suo intero tracciato sin dall’età del bronzo. Ritrovamenti tombali a Masera risalenti al I° sec d.C. confermano tale teoria e la loro ricchezza indica un benessere economico e sociale notevole, nonché l’attività di importazione di oggetti dall’estero.

Il territorio di Masera infatti, ben esposto al sole, ricco di pascoli, boschi e acque, deve avere attratto i primi abitatori dell’Ossola, così come per secoli ha attratto anche nobili e ricchi signori che in questo territorio, chiamato non a caso insieme ad Oira e a Montecrestese la “riviera dell’Ossola”, hanno da sempre costruito abitazioni pregevoli e lussuose.

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Una vita in quadri Oratorio San Rocco di Crana

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ella piazzetta di Crana, frazione di Santa Maria Maggiore, due edifici sacri s’intersecano l’uno nell’altro: la chiesetta dedicata a San Giovanni Evangelista, del XVIII° secolo con affreschi di Giuseppe Mattia Borgnis, e il piccolo Oratorio di San Rocco, edifi-

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cato nel 1534 come ex-voto della popolazione per lo scampato pericolo dalla peste del 1529-1530. La dedica dell’oratorio testimonia che “gli abitanti profondamente memori dei benefici ricevuti correndo il quinto anno da quando infierì una terribile peste, questo


tempietto eressero per voto e consacrarono al Dio Ottimo Massimo e a S. Rocco alle idi di agosto 1534. Battista da Legnano, varesino, dipinse questa opera”. Notevoli affreschi, coprono interamente le due pareti del corpo dell’edificio narrando la storia di San Rocco, suddivisa in dodici riquadri, ciascuno fornito di cartiglio con titolo dell’episodio raffigurato. I sei quadri di sinistra presentano l’adolescenza e la giovinezza del santo: nascita, dono dei beni ai poveri, primi miracoli. I sei di destra ne illustrano la scelta eremitica nel deserto, la cura degli ap-

pestati, la malattia e la prigionia del santo e, infine, la morte. L’utilizzo delle immagini negli edifici sacri svolgeva un duplice ruolo: quello di abbellire l’edificio testimoniando la devozione del popolo al santo patrono e quello, non meno importante, di facilitare il sacerdote nell’istruzione dei fedeli, che per lo più erano analfabeti.

Museo Parco Val Grande

pag.18

Cuggine pag.66 Domodossola Arredo urbano

pag.48

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Museo dei latticini a Beura

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a lavorazione dei latticini ha rappresentato per secoli un elemento fondamentale sul quale ha poggiato l’economia agricola alpina. La cura e lo sfruttamento del territorio, evidente nelle quantità di terrazzamenti -“rive”ancora visibili e realizzati anche nelle zone meno accessibili, erano in funzione di un modello agricolo che sapeva ottenere il necessario da un terreno difficile e aspro come quello delle vallate Ossolane. Profonde trasformazioni hanno portato ad una nuova dimensione dell’utilizzo del suolo e quegli edifici che un tempo erano funzionali all’economia agricola

oggi ben si prestano a divenire luoghi deputati alla conservazione della cultura materiale. Il museo dei latticini di Beura è un edificio che per anni ha svolto la funzione di latteria turnaria. Come per i forni, torchi e mulini, anche le latterie erano comuni alla popolazione di un intero paese. Il casaro era la figura che gestiva le quote di latte e si occupa-

va della lavorazione dei latticini. Il museo di Beura, oltre a raccogliere una collezione di strumenti tradizionali per la caseificazione, offre al visitatore un allestimento che permette di interagire con gli oggetti che in esso sono presenti. L’apprendimento avviene attraverso il ripetersi delle operazioni che da sempre sono state svolte all’interno della latteria. Un esempio fra tutti è il semplice gesto con il quale giornalmente si voltavano le forme di formaggio per farle asciugare. Troverete una finta forma, con domande sul fronte e risposte sul retro: ecco, il movimento di “vutè il furmacc” è fatto.

I bottoni della Milizia pag.16 San Luguzzone a Pizzanco

pag.62

Museo Parco Val Grande

pag.18

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Mulattiera di S. Lorenzo

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e vie di comunicazione rappresentano da sempre un tassello importante su cui, alle diverse scale, hanno poggiato sia grandi imperi che piccole comunità. L’Ossola è percorsa da centinaia di mulattiere, e quella che collega l’abitato di Cosasca a quello di S. Lorenzo, anche se non può essere annoverata tra le principali vie commerciali, è indubbiamente una testimonianza meravigliosa di quanto la storia ha saputo consegnarci alle porte del XXI° Secolo. Il termine mulattiera ci riporta immediatamente alla funzione che assolveva; i muli, infatti, erano ampiamente utilizzati per il trasporto delle merci e dei materiali tra le montagne dell’Ossola e queste, anche se sanno offrire morbidi pianori, sono per lo più contraddistinte da ripidi pendii. L’economia montana dei secoli passati ha dunque richiesto la costruzione di vie di comunicazione che potessero collegare centri abitati e alpeggi. La mulattiera di S. Lorenzo, come molte altre, presenta ancora oggi quel solido acciottolato che un tempo fu appositamente pensato per resistere agli animali da soma, e rigidamente regolato da norme che ne disciplinavano la manutenzione ed il transito. Le pietre, ovviamente quelle

più facilmente reperibili lungo il tracciato, erano posate con perizia, di coltello, l’una vicina all’altra, e intervallate alla distanza di circa un metro da una lastra lunga quanto l’intera mulattiera. Questa diposizione garantiva il regolare flusso delle acque di scolo e permetteva la realizzazione di gradoni facili da percorrere. Tuttavia questa disposizione delle pietre non era sempre costante, dovendosi adattare alla morfologia del suolo ed è facile incontrare affioramenti di roccia lavorati a forma gradini. Spesso nelle mulattiere che collegano due centri abitati, s’incontra quella che viene chiamata la “posa di mort” (il riposo dei morti): un muretto spazioso o una panca di sasso lungo la mulattiera che veniva utilizzato per posare la cassa del defunto trasportato per la sacra funzione.

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L’acqua sacra di Dresio D

a qualche tempo, sull’onda del rinnovato interesse per il mondo celtico, vero o presunto, Dresio, piccola frazione di Vogogna, è salita alla ribalta per la presenza del cosidetto mascherone celtico (ora presente solo in copia poiché l’originale è stato collocato nel palazzo pretorio del capoluogo). L’altorilievo è infatti rifinito solo sul lato del volto e quindi non destinato ad essere visibile tuttotondo anche nella sua collocazione originale, rappresenta una divinità o un eroe dai baffi pronunciati, e fu collocato verosimilmente nel XVII° secolo, come mascherone di una fontana. Probabilmente, poiché è nota l’importanza del culto delle acque nella religione celtica, la collocazione antica del mascherone potrebbe essere cercata non tanto distante da quella successiva, dimostrando così una continuità di culto nell’area del successivo oratorio. Sul piccolo giardino della fontana si

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affaccia infatti l’antico oratorio di San Pietro. La sua costruzione è fatta risalire ad età preromanica (X°- XI° sec d.C.) connotandosi così come uno dei più antichi edifici cristiani dell’intera Ossola. L’oratorio conserva al suo interno pregevoli affreschi quattrocenteschi attribuiti a Giovanni da Campo e alla “Bottega” dei Sereniesi. Tra i santi raffigurati ve n è uno poco noto si tratta di un monaco dell’ Ordine dei Servi di Maria forse identificabile con Pellegrino Laziosi, protettore degli ammalati di cancro poiché egli stesso guarito miracolosamente da una cancrena mortale alla gamba. La rappresentazione del sacro di due mondi, quello celtico e quello cattolico-medioevale, lontani nel tempo e nelle concezioni religiose si ritrova così idealmente unita in un solo luogo, alla presenza di un elemento naturale caro, e venerato pur con differenti modi, ad entrambi: l’acqua.

Museo dei latticini di Beura pag.82 Museo Parco Val Grande

pag.18

Affreschi di Craveggia pag.28

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Una finestra

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V

i chiederete perché tra i tanti motivi, naturalistici ed artistici, per i quali valga una visita, meglio un soggiorno, a Macugnaga abbiamo scelto di parlarvi di una finestra. Una delle finestre dalle belle forme della chiesa di Santa Maria “quella definita vecchia”. La chiesa, costruita nei decenni a cavallo tra il XV° e il XVI° secolo, conserva parte dell’apparato decorativo originale, che la caratterizza come “tardogotica”, costituito, oltre che dalle due finestre superstiti dal soffitto ligneo intagliato del presbiterio, che peraltro reca su un trave la firma del maestro che realizzò l’opera, Peter Mory da Friburgo. Dell’antica chiesa si conserva anche un antello, (vetro istoriato da finestra) con l’immagine di Santa Caterina d’Alessandria - accompagnata come di consueto con i simboli del martirio, la ruota e la spada, su sfondo damascato. Stile, provenienza del maestro vetraio, degli intagliatori e probabilmente dell’architetto stesso dell’edificio ci dicono molto sui committenti delle opere: quei coloni Walser che poco più di un secolo prima erano migrati dal vicino Vallese di cultura tedesca, stabilendosi con coraggio tra queste belle ma povere terre di montagna. Ma non scordando i legami che li tenevano strettamente uniti alle terre d’origine, legami testimoniata in particolar modo nella lingua parlata, il Tich, tenacemente conservata nei secoli e ora destinata purtroppo a lenta ma inesorabile scomparsa. Forse. Ma la finestra e il suo antello hanno almeno un’altra storia da raccontare, quella che spiega il perché quest’ultimo è ora conservato nella chiesa di Santa Maria cosiddetta nuova, lontano dalla sua sede originale. Ed è la storia

di un evento sventurato, purtroppo non occasionale nelle terre d’Ossola: la terribile alluvione che nel 1640 colpì il paese e in particolare la chiesa vecchia, invasa da acqua, terra e sassi che ne distrussero quasi completamente le suppellettili e gran parte dell’apparato decorativo. Probabilmente in quell’occasione le belle vetrate andarono distrutte e si salvò dalla rovina, anche se mutilata, la sola Santa Caterina.

Mulattiera di San Lorenzo

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Centrali Portaluppi pag.74 Una semplice cappella pag.54

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Patriarchi subalpini N

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el territorio della provincia di Verbania si contano 6 alberi tutelati come monumentali, di questi 4 in Ossola. Alcuni di questi come il castano o il tiglio sono tipici della flora alpina altri come il Cedro sono piante importate per arricchire giardini a loro volta monumentali. Andiamo a conoscerli uno ad uno: Il Cedro dell’Himalaya (Cedrus deodora) di Stresa 40 metri di altezza per 7 di circonferenza. Il Tasso (Taxus baccata) di Cavandone plurisecolare 15 m di altezza per 3,5 di circonferenza. L’Olmo (Ulmus campestris o Ulmus minor) di Mergozzo 400 anni per un altezza di 15 metri e una circonferenza di 5,5 metri. L’Ippocastano (Aesculus hippocastanum) di Cimamulera (Piedimulera) 140 anni circa per 25 di altezza e 4,5 di circonferenza. Il Tiglio (Tilia platyphillos) di Macugnaga 500 anni minimo per 12 di altezza e 8 di circonferenza. Il Castagno (Castanea sativa) di Maglioggio (Crodo) 350 anni 15 metri di altezza per 9 di circonferenza.


Secondo la legge regionale sono ritenuti monumentali quegli alberi che per età, dimensioni, particolarità della specie possono essere considerati come rari esempi di maestosità o longevità nonché quelli che hanno un preciso riferimento ad eventi o memorie rilevanti dal punto di vista storico o culturale. Noi possiamo considerare questi monumenti verdi come patriarchi, muti testimoni dello scorrere del tempo, che sembrano ricordarci quanto la nostra idea di razza dominante sia erronea e infantile presunzione al confronto della grandezza e magnificenza della natura. Eppure anche questi giganti soffrono per la nostra presenza, soffrono del mutare innaturale delle stagioni climatiche, delle piogge acide, dell’inquinamento del terreno e qualche volta di vergognosi atti di vandalismo. Nell’ammirare e difendere questi pochi esemplari non dimentichiamoci delle centinaia di loro confratelli minori, meno belli ed imponenti, meno carichi d’anni e di storia, ma parte importante del paesaggio e fondamentali per qualità dell’ambiente in cui viviamo.

Lariceto Alpe Veglia pag.34 Cuggine pag.66 Linea Cadorna a Ornavasso

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Giuseppe Mattia Borgnis: il grande artista delle chiese vigezzine G

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rande pittore vigezzino, nato il 23 febbraio del 1701 a Craveggia, nel 1713 si recò a Bologna dove si perfezionò nelle tecniche della pittura ad olio e dell’affresco, lì fece propri i principi del classicismo e imparò dai Carracci il rifiuto di ogni concettosità barocca e l’amore per il recupero del naturalismo. Successivamente, Giuseppe Mattia Borgnis raggiunse Venezia, dove apprese il cromatismo di Tiziano, di Veronese, e di Tiepolo (1696-1770), a lui contemporaneo. Alla lezione di sobrietà e rigore ereditata dagli emiliani, seppe aggiungere levità tonale e armonia ai colori, eloquenza e grandiosità sce-

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nografica alle composizioni. L’apprendistato continuò probabilmente a Roma, dove la tradizione classicista si era trasmessa ai giovani pittori ad opera di Guido Reni, Francesco Albani e Domenichino. Tornato in patria, la prima importante commissione arrivò nel 1727, quando gli si affidò la realizzazione degli undici quadroni per la parrocchiale di Craveggia con un’“Ultima Cena” e le “Vite dei Santi Giacomo e Cristoforo”, titolari della parrocchia. A partire da quell’anno fu impegnato nella chiesa della Madonna del Piaggio (frazione di Craveggia), ancora nella parrocchiale di Craveggia, a Santa Maria, Crana, Coimo, Prestinone e Druogno, oltre che a Domodossola e in altre chiese dell’Ossola e della Svizzera. La sua notorietà lo portò addirittura in Inghilterra, dove morì nel 1770.

Oratorio San Rocco Crana pag.80 Gli scheletri di Oira pag.32 L’acqua sacra di Dresio

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