GUSTO
OSSOLA .it
anno II - numero 4 - 2009
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Valle Formazza Fondovalle Chioso
Devero Parco Nat. Veglia Devero
Esigo Osso
Croveo
Baceno Foppiano
Crego
Viceno Crodo Passo del Sempione
Briga
Varzo
Gomba
Locarno
Coimo
Re Druogno
DOMODOSSOLA Cheggio
Trontano
Montescheno
Calasca
Candoglia
Ornavasso
Mergozzo
Verbania
Baveno
Lago Maggiore
Stresa
Sommario Anno Ann nno o IIII - N. N. 4 - 2009 2009 9
Direttore Responsabile Massimo Parma
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A proposito di... Quattro passi nella storia
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Formazza I dolci tipici
Direttore Editoriale Riccardo Faggiana Redattori Claudio Zella Geddo, Riccardo Faggiana, Marilena Panziera, Massimo Parma, Michela Zucca Coordinamento grafico e impaginazione Eleonora Fiumara eleonora@ossola.com Collaboratori Rosella Favino, Alice Matli, Fabio Pizzicoli, Anna Proletti, Carlo Solfrini. Hanno collaborato in questo numero Comunità Montana Antigorio-Divedro-Formazza, Comune di Domodossola, Comune di Vogogna, Sergio Bartolucci, Massimo Fiumanò, Roberto Negrini, Gian Mauro Mottini, Giorgio Rava, Massimo Sartoretti, Matteo Sormani, Gianluca Tanzarella. Fotografia Archivio © Faggiana Riccardo. Comunità Montana Antigorio-Divedro-Formazza Traduzioni Chiara Cane, Federico Manera Easy English Editore Faggiana Riccardo Vogogna (VB) - Tel. 329 2259589 Stampa PRESS GRAFICA S.r.l. - Gravellona Toce (VB) Ossola.it è un periodico registrato presso il Tribunale di Verbania in data10/04/08 con il n. 3/08.
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Il Bettelmatt
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Valle Bognanco Antica Gastronomia
29
La Castagna Un tempo pane dei poveri
34
Trontano La latteria turnaria
44
La rinascita del Prünent Una storia ossolana
52
Domodossola Il borgo della cultura
57
Viceno La Casa Museo della montagna
60
La polenta nella cultura alpina
70
Le pentole di pietra
82
Pagine fragili
84
Mirtilli Il piccolo frutto blu
© 2009: É vietata la riproduzione anche parziale di foto, testi e cartine senza il consenso dell’editore. Tutti i diritti sono riservati.
Sed ede e e redazion ione e Sede redazione Via Ma Madon donna na di Lor Loreto eto, 7 Madonna Loreto, 28805 Vogogna (VB) Tel. 329 2259589 Fax 0324 88665 info@ossola.it
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a proposito di... di Marilena Panziera - ComunitĂ Montana Antigorio - Divedro - Formazza
Quattro passi nella storia
4
A
nche se l interpretazione moderna della parola gastronomia è legata alla relazione tra cibo e cultura, fondata su una lettura di matrice fortemente sociologica, in realtà la parola composta deriva dal greco gastèr cioè ventre e nomìa, ossia legge. Legge dello stomaco, appunto. Ed è questa la traduzione del termine che più piace a chi vuole dare un significato più primitivo al termine e solo successivamente avvicinarsi alle componenti cerebrali della gastronomia, cioè storia, cultura, filosofia ecc... La gastronomia, nasce con la cucina, che è nata inizialmente come esigenza di frammentazione delle particelle di cibo, attuata sin dall antichità più profonda, per renderlo maggiormente digeribile. Superata questa fase di semplice trasformazione fisica delle particelle, con la padronanza del fuoco è subentrata la cottura, che ha presentato subito innumerevoli vantaggi, infatti cibi dapprima indigesti sono diventati commestibili, digeribili e dulcis in fundo anche buoni. È qui in questa fase che con ogni probabilità è nata la gastronomia, proviamo a fantasticare su come può essere successo. Immaginiamo una classica famiglia del paleolitico, madre, padre, zii, cugini, nonni e qualche bambino. Ad alcuni di loro ben prima dei quarant anni sono caduti tutti i denti. In famiglia si mangiano le prede catturate in estenuanti battute di ccaccia, di a ciia, ac a ccercando erca er and ndo o d dii cuocerle cu uo occ err le
per renderle più masticabili, inoltre l eventuale eccedenza può essere conservata meno problematicamente se cotta. Siamo nel sud della Francia, il rosmarino sta invadendo la fascia costiera selvatico e rigoglioso, dalle pendici delle calanques fino alle pianure dell Aquitania. Gli uomini tornano all accampamento con la cacciagione, dove le donne sono riuscite a raccogliere legna sufficiente per creare la brace necessaria alla cottura. Purtroppo oggi hanno raccolto unicamente ceppi di rosmarino, poiché sul loro cammino non hanno trovato piante scheletriche uccise da fulmini o da altre avversità. Inizialmente la vista dei piccoli tronchi di rosmarino, ancora ricoperti dagli aghi, innervosisce gli uomini che vorrebbero un bel falò di ceppi poderosi, ma una volta bruciato da quel legno esala un odore assai inebriante, che si unisce magistralmente con l odore delle carni alla brace, stuzzicando il loro già robusto appetito. La successiva ricerca di rosmarino da aggiungere alla brace coincide con la nascita della gastronomia. Come già accennato la cucina invece è l arte della trasformazione fisica del cibo, che ne facilita il consumo. La cucina è paragonabile ad una scienza applicata, poiché si basa su pesi, misure e regole che vengono man mano arricchite dalla continua evoluzione, anche tecnologica, della disciplina d de lllla a di disc scip iplilliina cculinaria. ul ul delle praticata appunto La a ccottura otttu ura ad del ellle e e ccarni, a dall p paleolitico, ssin si in da d pa ale eo ollit itic ico ic o è stata perfezionata spostando sp po osstta and do la la ccarne a n dalla fiamma viva, ar che una buona parte, alla cch he ne he n ro rrovinava ovin ov vin nav a a u prossimità della brace, che non ne inpros pr ossi os ossi sm miità àd e la el ab tacca la struttura e non ne riduce eccessivamente il volume. Da qui si è poi passati ad avvolgere i cibi in foglie robuste poste in braci ove il calore 5
era fortemente attenuato e si è ottenuta così la cottura al cartoccio adatta e consigliata ancora oggi per molte tipologie di cibo. La cottura in paleo pentole è stata invece un invenzione più recente, risale infatti a circa 5000/5500 anni fa. Si è altamente evoluta durante tutta l antichità ed ha contribuito anche alla nascita di manufatti artistici ideati per tale utilizzo, ma dall innegabile pregio decorativo. Contemporanea alla cottura è la nascita del formaggio, realizzato casualmente durante il trasporto di latte caprino in otri ottenuti da stomaci di bestie uccise nelle battute di caccia e recanti tracce di enzimi gastrici, che sono ancor oggi tra i principali reagenti nella moderna caseificazione. Il formaggio però non fu adeguatamente apprezzato sino al medioevo, periodo in cui le tecniche si affinarono e si differenziarono, in quest epoca nacquero anche il Bettelmatt, che conserva ancora la lavorazione ancestrale dei casari del 300, e le altre varietà di formaggio ossolano. Dal paleolitico in avanti, la cucina si è evoluta chimicamente anche grazie all osservazione da parte dei nostri progenitori delle fermentazioni e dei prodotti che queste generavano. Tali osservazioni hanno consentito per esempio l applicazione della lievitazione delle farine, quindi la fabbricazione di pane lievitato e di bevande alcoliche come la birra o il sidro. Gli antichi gre6
ci hanno fritto i pesci per primi, anche grazie alla produzione dell olio impiantata dai Fenici ben 8000 anni fa, ed è stato grazie alla necessità di conservazione delle olive che è nata la salamoia, che tanto comodo ha fatto anche a carni e formaggi, conservati grazie all assorbimento del sale marino che ne prolunga la freschezza e ne esalta il sapore. Dall antica Grecia in avanti si definisce anche la figura del cuoco, vero e proprio alchimista del sapore, che incanta con le sue magie e per la prima volta diventa personaggio , sono giunti fino a noi i nomi di Nereo di Clio ed Egi di Rodi, specializzati in fritture di pesce e piatti a base di legumi. Dell epoca romana è invece la prima vera raccolta di ricette, attribuita ad Apicio, cuoco e gastronomo vissuto nel I secolo a.c., ripresa e pubblicata da Celio vissuto tra il 200 ed il 250 d.c. Nel rinascimento invece con l opera de honesta voluptate et valetudine, del filosofo e gastronomo, Bartolomeo Sacchi detto Platina si fa per la prima volta riferimento al compiacimento del mangiare sano, nonché all importanza del collegamento attualmente molto in voga, tra cibo e territorio, come espressione e valore locale, da esaltazione della freschezza dei cibi ad espressione culturale e sociale. Vi sono state epoche in cui i cuochi e le ricette, erano concentrati nella contraffazione degli alimenti, per cancellarne i segni del deperimento, ma ad un certo punto questa necessità divenne moda e la frollatura eterna delle carni largamente praticata dal rinascimento sino alla rivoluzione francese, ne è una testimonianza. Dalla fine del 700 in poi però, la cucina si è evoluta positivamente, proprio come il periodo storico culturale successivo all illuminismo, in un arte più equilibrata e sobria di cui ancora oggi siamo fautori.
Anche in Ossola si sono succedute epoche culinarie e gastronomiche diverse, dalle quali abbiamo ereditato alcune ricette, spesso inventate non per gusto e fantasia, ma piÚ concretamente dalla necessità di fabbricare sapori con le poche cose disponibili. A questo proposito nel libro La cucina d alpe di Enrico Rizzi edito da Fondazione Monti, è ben raccontata la relazione tra il lavoro dei campi e la trasformazione dei prodotti, in particolare nelle aree soggette alla colonizzazione Walser. Ma i meccanismi sociali e tecnici ai quali arriva l autore sono facilmente esportabili alle basse valli ossolane e spiegano con competenza e citazioni documentali il cammino della nostra cucina.
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Dolci tipici di Formazza a cura di Alice Matli e Silvana Valci
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BROTJÊ
KRUSCHLI
DOSI PER 4 / 6 PERSONE 250 grammi di farina bianca 250 grammi di fecola 4 uova intere 2 tuorli 1 cucchiaino di lievito 1 bustina di vanillina buccia grattugiata del limone 6 cucchiai di olio 6 cucchiai di zucchero
DOSI PER 4 PERSONE ¼ di l di latte 25 grammi di burro 1 uovo intero 2 cucchiai di grappa il succo di ½ limone 1 pizzico di sale farina bianca quanto basta
In un recipiente, sbattere le uova con la scorza del limone, zucchero, olio e la vanillina. Unire, la farina, il lievito e la fecola. Versare sulla spianatoia e lavorare l impasto. Formare delle palline e friggere in abbondante strutto bollente o in olio. Quando le palline risultano dorate, scolarle e spolverarle di zucchero a velo.
In un recipiente, sbattere l uovo con la forchetta, aggiungere il sale, il latte tiepido, nel quale si sarà sciolto il burro, la grappa, il succo di limone e per ultima, la farina a piccole dosi. L operazione dovrà essere effettuata sempre mescolando, fino ad aver un impasto morbido. Portare l impasto sulla spianatoia e lavorarlo per altri 10 minuti. Ridurre in una sfoglia sottile e tagliarlo con la rotella a pezzetti nella misura voluta. Friggere i pezzetti ottenuti in abbondante strutto, o olio, fino a che diverranno dorati. Spolverali di zucchero.
Formaggi caprini dell’Azienda Agricola
L
'Azienda Agricola Val Toppa di Pieve Vergonte produce tutto l'anno formaggi di capra freschi e stagionati. I nostri formaggi, sani e naturali, sono ottenuti da puro latte caprino e da capi selezionati per ottenere formaggi unici come il Cremino di capra, il Capreggio (un particolare formaggio simile al Taleggio), la Tometta vergontina stagionata, fresca e stravecchia e il Rosalbino "piccola toma", il Maccagnotto di capra e il formaggio a pasta cotta e ancora Ricotta fresca e stagionata. Inoltre produciamo le Delizie vergontine, formaggio fresco e tenero, (come primo sale) anche aromatizzato alla rucola e al peperoncino. Vendiamo animali da allevamento e riproduzione, sia vivi che macellati. Azienda con bollo cee IT01/907. NOVITĂ€ Mozzarella di capra su prenotazione, ottima anche sulla pizza!
Produzione e Vendita: Via Giulio Pastore, 9 - Pieve Vergonte (VB)
Tel. 0324.86783 - Cell. 347.9848398 - valtoppa@ossola.com
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BettelmattÂŽ di Marilena Panziera - ComunitĂ Montana Antigorio - Divedro - Formazza
Tecnologia e caratteristiche Il Bettelmatt® è un formaggio ottenuto dal latte crudo intero di un unica mungitura, prodotto esclusivamente tra la fine di giugno ed i primi di settembre. La stagionatura minima è di 60 giorni. Le forme sono cilindriche di circa 5 kg di peso, un altezza 6/7 cm., e un diametro di 30/35 cm. La pasta è compatta e morbida, di colore giallo oro o paglierino con occhiatura media e la crosta è liscia.
Localizzazione e denominazione Il Bettelmatt® si produce esclusivamente in sette alpeggi della Valle AntigorioFormazza nei Comuni di Formazza, Baceno e Premia denominati: Morasco, Kastel, Val Toggia, Vannino, Poiala, Forno, Sangiatto, l altitudine rispetto al livello del mare va da 1800 a 2400 mt. circa. Il Bettelmatt® originale porta sulla crosta la data di produzione, il bollo CEE del produttore ed è marchiato a fuoco. Bettelmatt® è un marchio registrato.
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L origine Con il nome Bettelmatt si identifica fin dal XIII°secolo, epoca della colonizzazione walser della fascia subalpina, un formaggio di eccellenza che veniva utilizzato come merce di scambio, per il pagamento di canoni d affitto o concessioni d alpeggio oppure tasse, ma non solo. Il nome Bettelmatt, infatti, pare derivi da Battel che significa questua, quindi era senz altro utilizzato per forme di beneficenza e l unione con il termine Matt , che in tedesco significa pascolo, rende chiaro il significato del nome in: pascolo della questua .
Technology and Characteristics Bettelmatt® is a cheese obtained from raw whole milk from one single milking. It is produced exclusively between the end of June and the beginning of September with the milk of cows grazing the mountain pasture. It is ripened for a minimum of 60 days. Forms are cylindershaped, 30/35 cms in diameter, and 6/7 centimeters high. Each form weighs approx. 5 kilos. The texture is soft and compact, of a golden-yellow or straw-yellow colour, with average size holes. The rind is smooth.
Origin and Denomination Bettelmatt® is made exclusively by seven producers - Morasco, Kastel, Val Toggia, Vannino, Poiala, Forno, Sangiatto - located in the mountain villages of Formazza, Baceno and Premia in the Alpine Antigorio - Formazza Valley in Piedmont. The producers' farms and pastures are at an altitude ranging between 1,800 and 2,400 meters a.s.l. Original Bettelmatt® cheese is fire branded, and production date and EEC certification mark are visible on the rind. Bettelmatt® is a registered trademark
History The word Bettelmatt has been used since the 13th century - the time of the Walser colonization of the Southern area of the Alps - to identify a very special cheese, often bartered for other goods or used for paying taxes and rents for homes or pastures. Moreover, it seems that the name 'Bettelmatt' derives from 'Battel' that means 'begging', to indicate that the cheese was used in some form of charity. The combination with the term 'Matt' that means 'pasture' further clarifies the meaning of the name: 'the pasture of begging'.
Fonduta di Bettelmatt
La ricetta...
Ingredienti per 4-6 persone: 500 g di Bettelmatt; 3 dl di latte; 5 tuorli d'uovo; 50 g di burro; 1 spicchio d'aglio; sale; pepe. Tagliare il formaggio a dadolini. In una terracotta sciogliere il burro ed unirvi lo spicchio d'aglio intero, da togliersi a fine cottura. Unire il formaggio e, a mano a mano che esso si scioglie, aggiungere ogni volta un poco di latte ed un tuorlo, amalgamando il composto con estrema cura tra un'aggiunta e l'altra. Salare e pepare a piacere. Quando il composto sarà cremoso ed omogeneo, servirlo caldissimo con bocconcini di pane.
Risotto al Bettelmatt irrorato di Prünent
Ingredienti per 4 persone: 400 g di riso; 200 g di Bettelmatt; 60 g di burro; 2 bicchieri di vino Prünent (è un vino ossolano); brodo di carne; cipolla; sale e pepe. Tritate finemente la cipolla e metterla a rosolare in una casseruola con il burro; appena preso colore aggiungere il riso e lasciate tostare; bagnate poi con il vino, ed appena evapora continuare la cottura col brodo, insaporendo con sale. Aggiungete quindi il formaggio Bettelmatt, amalgamando bene ed infine servire ben caldo.
Albergo Ristorante
Rotenthal Ponte di Formazza (VB) Tel. +39.0324.63060 www.rotenthal.it rotenthal@rotenthal.it
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BAR - RISTORANTE TIPICO - CAMERE
gestione famiglia Sormani
A
i 1700 metri della Piana di Riale in alta Val Formazza, a corona della cascata della Toce, porta per escursioni in Val Toggia al Passo San Giacomo, a Bettelmatt, al Passo del Gries e nel vallone di Nefelgiu, si trova l’Hotel-Ristorante Walser Schtuba. Una struttura accogliente e recentemente ampliata nell’offerta dal soggiorno in camere tradizionali, alla degustazione di piatti tipici della cultura walser come: Crostoni di pane di segale al nostrano di Viceno con cipolle rosse in agrodolce, Carnaroli al Cà d'Matè e ossolano, Nocette di Cervo glassate al Prünent e ginepro con mele caramellate.
Località Riale - 28863 Formazza (VB) Tel. +39.0324.634352 Cell. +39.339.3663330 14
www.locandawalser.it - info@locandawalser.it
Le ricette del A
questo punto ingolositi, ci soffermiamo su tre piatti, di diverse portate, di sicuro successo nella cucina del locale ovvero: Zuppa di pane nero tostato composta da cipolle bianche, formaggio ossolano e brodo di carne, aromi e colori della più genuina tradizione; Guanciale di vitello brasato con Ca d'Matè e porzioni di polenta croccante; un piatto profumatissimo, dalla lunga lavorazione, impreziosito dalla
fragranza di polenta d antan e da ultimo le spettacolari Pere al Cà d'Matè con gelato alla vaniglia, un isola di sapore e natura, una delicata perla incastonata tra lembi di pera e bocconi di gelato. Gli chef del Walser Schtuba, Matteo e Gianluca, propongono qui tre ricette di sicuro successo, per dare la giusta importanza al piacere legato al cibo, e per godere della diversità dei sapori delle nostre valli.
ZUPPA WALSER Preparare un brodo di carne con verdure (sedano, carota, cipolla), tostare il pane nero in forno, a parte far brasare la cipolla bionda in forno con un noce di burro e mezzo bicchiere di vino bianco per circa due ore a fiamma bassa. prendere una pirofila adagiarvi il pane tostato, la cipolla brasata e finire con del formaggio ossolano cubettato, passare in forno a 200°fino a completa gratinatura.
GUANCIALE DI VITELLO Lasciare marinare nel Cà d Mate una notte intera due guanciali di vitello con tritata di sedano, cipolle ed aglio e due bacche di ginepro, asciugare il tutto e passarlo in padella da entrambi i lati su noce di burro chiarificato. A parte far soffriggere le verdure e aggiungere al guanciale che va coperto con Cà d Mate e un pizzico di sale. Cuocere 4 ore il piatto a fuoco bassissimo. Ora far addensare sugo a piacimento, servire insieme a formine di polenta.
PERE AL CÀ D’MATE Pulire i frutti e metterli in padella con due bicchieri di Cà d Mate e zucchero, una stecca di cannella e lasciare a fuoco bassissimo fino a quando le pere risultino morbide, accompagnare con gelato alla vaniglia.
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HOTEL RISTORANTE
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Un albergo di classe, dotato di moderne attrezzature e di un ristorante dalla cucina raffinata, in grado di soddisfare tutte le esigenze.
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La ricetta ... L
Albergo Edelweiss è a Viceno, un grazioso paesino ai piedi del Cistella a quota 900 metri. Lasciata la superstrada si raggiunge Crodo e si sale per 5 km sul versante sinistro della valle Antigorio. Aperto nel 1960 dalla famiglia Facciola l Albergo è il più completo di tutta l Ossola; negli anni è stato continuamente ampliato e rinnovato con cura ed ora è arricchito di ogni comfort: dal centro benessere con piscina coperta, sauna, bagno turco e massaggi alla nuova sala multimediale per riunioni e proiezioni. Le camere godono di un ottima vista
sulla vallata e verso il monte Cistella, hanno servizi igienici privati, cassaforte, telefono e accesso internet Wi-Fi gratuito. Il ristorante è curato direttamente dai proprietari, i piatti semplici ma succulenti sono ricchi di prodotti del territorio ed ampia è la proposta di carni e selvaggina rigorosamente selezionate. L Albergo Edelweiss è il posto ideale per un soggiorno rigenerante lontano dalle città, per festeggiare una ricorrenza, per un banchetto nuziale o per una semplice serata in compagnia.
Gnocchetti di ricotta vicenese 400 g di ricotta Vicenese 1 uovo intero 150 g di spinaci (o brucoi) lessati 6 cucchiai di farina bianca Sale, pepe e noce moscato Burro e salvia Versare la ricotta in una ciotola, unire gli spinaci ben strizzati e tritati finemente e l uovo; condire e impastare con un cucchiaio di legno aggiungendo uno alla volta i cucchiai di farina. Formare degli gnocchi con l aiuto di un cucchiaino, lessarli in acqua salata, condirli con abbondante burro e salvia e servire ben caldi.
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La Dolcricetta... e di castagne e nocciole Ingredienti: 450 gr. di castagne; 100 gr. di burro; 100 gr. di nocciole; 200 gr. di zucchero; 4 uova; 1 limone non trattato; un pizzico di sale; 30 gr. di zucchero a velo vanigliato.
S
bucciare le castagne e cuocerle coperte d’acqua per circa 1 ora. Spellarle ancora calde e ridurle a consistenza cremosa utilizzando il passaverdura. Fondere il burro e lasciarlo raffreddare. Tritare le nocciole e incorporarle alle castagne. Separare i tuorli e unirli allo zucchero, al burro freddo e alla scorza del limone grattuggiata. Montare gli albumi con una punta di sale e incorporarli al composto. Versare tutto il contenuto in una tortiera a bordi alti. Infornare a 180°C per circa 45 minuti. Lasciare raffreddare e coprire con lo zucchero a velo.
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Giorgio Rava - Bognanco
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Antica Gastronomia di Bognanco D
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ai ricordi della signora Teresa Giordana, classe 1888, nei racconti fattomi negli anni 70. Ogni tanto la signora Teresa veniva a farmi visita all'albergo Edelweiss, visto che abitava a sei metri di distanza e facevamo quattro chiacchiere da buoni vicini parlando del più e del meno. Era molto colpita dal menù in vista in sala ristorante; quella lettura era per lei meravigliosa perché la riportava al passato, quando era povera. Cercherò di illustrare il suo racconto in questa memoria: Quando eravamo ragazzini, non potevamo avere tutto questo ben di Dìo: antipasto, primo, secondo, verdure, dolci. Mangiavamo tanta polenta, patate, porri, castagne, tutti prodotti della nostra terra. La carne era un lusso, avevamo dei polli, conigli, qualcuno addirittura un maiale. Si viveva di pastorizia allevando pecore, capre e mucche, e non si buttava via niente. Con la lana si facevano calze, maglie, materassi, cuscini, coperte, con il latte i formaggi ed il burro. Per questo non si dovevano macellare, altrimenti come potevamo sopravvivere? Qualche volta una mucca moriva e, non essendoci il macellaio e neppure i frigoriferi, tutti gli abitanti di Bognanco comperavano dei pezzi della bestia in modo che non andasse sprecato nulla. Mio padre sapeva come trattare queste carni, i pezzi più belli venivano messi sotto sale con erbe aromatiche, pepe, cannella, chiodi di garofano ed altre spezie. Dopo una ventina dì giorni si mettevano ad asciugare al fresco in cantina e dopo un paio di mesi si potevano mangiare, con parsimonia. I pezzi più nervosi subivano lo stesso procedimento ma la durata della salagione era solo di cinque giorni, dopodiché si potevano cuocere. Noi
eravamo in tanti, la carne era poca cosi per nutrirci mia mamma aggiungeva castagne, patate, porri, verza e qualche cipolla." A questo punto del racconto le promisi che avrei sperimentato quello che aveva detto. Dopo una settimana le feci assaggiare questo piatto. Le sue parole furono che il piatto della domenica (decidemmo di chiamarlo in questo modo) era ancora più buono di quello che faceva la sua mamma! Un'altra volta mi illustrò un'altra ricetta: "Qualche coniglio lo avevamo perché l'erba non mancava, dovevamo andare a raccoglierla noi ragazzi, a mangiare sempre coniglio in umido ci stancavamo. Allora papà aveva comperato un coltellino speciale e, dopo aver macellato il conìglio e tirato vìa la pelle
lo lasciava sotto la neve per una notte per far andar via l'odore di selvatico. Con il cuore, il fegato, le animelle ed il cervello sì facevano dei piccoli pezzi, si aggiungevano delle uova, del pane avanzato e del parmigiano grattugiato. Con il temperino papà disossava il coniglio, lo riempiva con le frattaglie e lo coceva arrosto. Naturalmente non avevamo il forno ma mio papà, che aveva fantasia, lo metteva in una casseruola di rame bassa e la copriva di carbone. Cosi il coniglio diventava un piatto gustoso ed eccezionale." Naturalmente, visto che sono curioso, mi misi a sperimentare questo procedimento e tuttora questa è una ricetta che prepariamo ai nostri clienti dell'albergo Edelweiss di Bognanco.
D
ai ricordi della gente di Bognanco si rileva che dal macello della vacca si ricavavano i pezzi più belli per conservarli seccati. I pezzi meno pregiati si conservavano sotto sale con droghe (noce moscata, coriandolo, cannella, bacche di ginepro, ecc). La domenica e solo allora, perchè negli altri giorni la fame doveva essere controllata si cucinava questa
carne in umido con i poveri prodotti locali e se ne facevano delle vere scorpacciate in quanto si era consci che fino alla domenica successiva non vi era possibilità di mangiare altra carne. E così, sulla scorta di questi ricordi prepariamo ancora questo piatto, riveduto e corretto secondo una cucina più leggera e moderna.
La ricetta ...
Hotel Edelweiss***
Lino Tanzarella
Ristorante - Bar - Centro benessere
Piatto della Domenica
Ingredienti: carne di manzo, cannella, bacche di ginepro, chiodi di Garofano, foglie di alloro, coriandolo, cipolla, patate, verza, castagne, sale e pepe q.b. Tagliare la carne di manzo a bocconcini, come per uno spezzatino. Metterla in una terrina ed aggiungere tutte le spezie, l'alloro, il sale ed il pepe. Lasciare macerare in frigorifero coperta per 12/24 ore. Passato questo tempo, scolare la carne che avrà rilasciato dei liquidi, fare un fondo di cipolla ed aggiungere i bocconcini. Coprire la carne con un coperchio e lasciare cuocere a fuoco lento per qualche ora. La cottura a fuoco lento permette alle fibre di "sciogliersi", ci vorranno almeno tre ore. A metà cottura aggiungere le verze tagliate a striscioline. A parte preparare le castagne bollendole in abbondante acqua leggermente salata. A cottura ultimata pelarle e metterle nello spezzatino. Servire accompagnato da patate bollite.
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Il ri ristorante istorante tipico ossolano
28855 MASERA (VB) - Fraz. Cresta, 11 - Tel. 0324.35035 - Cell. 348.2202612 - lunedĂŹ chiuso
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no degli appuntamenti indimenticabili di un Grand Tour in terra ossolana è certamente quello con la tradizione e la raffinatezza della gastronomia ossolana, gastronomia che si può letteralmente scoprire nei rinnovati e ampliati locali dell Osteria del Divin Porcello. Posto tra le dolci ondulazioni del versante a ridosso di Masera, in frazione Cresta, il locale non deluderà l appassionato del buon cibo e del buon bere nonché chi apprezza le valorizzazioni architettoniche di antichi edifici rurali. L Osteria nata nel 90 come luogo ove poter gustare merende di salumi all insegna della più genuina tradizione familiare. Nel corso degli anni ha saputo conquistare, proponendo la cucina tipica ossolana, palato e cuore di un sempre maggior numero di frequentatori. Da ultimo, nell aprile del 2009, sono stati inaugurati la nuova cucina, ora ad induzione e senza gas, che garantisce una cottura più morbida e veloce nonchè tre camere doppie allestite secondo il gusto e la tradizione di questa terra. In tema d insaccati al Divin Porcello la ricca proposta comprende, nel probabile imbarazzo del commensale, prosciutto crudo, mortadella ossolana, pancetta, lardo, bresaola, nonché salumi di selvaggina di cervo, camoscio, cinghiale, capriolo, salame di testa e mocetta di capra. Tutti prodotti creati sulla base di antiche ricette dei Norcini ossolani e ormai diventati segno della tradizione gastronomica che si respira ed ammira all interno di questo locale. Ecco allora sontuosi menu che an-
noverano vere e proprie tentazioni: per quanto riguarda i primi troviamo i celeberrimi gnocchi all antica ossolana, i maccheroncini caserecci al radicchio, trippa, minestroni, ecc. Ancora più straordinaria la proposta per i secondi in cui - tra le specialità di carne - non si può non citare la Lausciera del Divin Porcello. Si tratta proprio di una prelibatezza da veri intenditori, un piatto composto da una pietra ollare calda sulla quale il cliente può cuocere filetto e lonza di maiale direttamente sul tavolo mantenendo nella cottura una morbidezza e gustosità d eccellenza. Non mancano comunque piatti dedicati alla selvaggina, al felice connubio tra Bettelmatt e filetto di manzo o costate di manzo razza Chianina o Piemontese. Altra scoperta che riserva il Divin Porcello risulta certamente la cantina che annovera oltre 800 etichette tra vini nazionali, ossolani e felici incursioni nella tradizione enologica d oltralpe. Certo definirla cantina è improprio poiché si tratta di un ambiente di gran classe adatto ad interminabili degustazioni tra luci soffuse, arredamento di pregio ed una sensazione di grande abitabilità.
Osteria del Divin Porcello una realtà di rilievo in Ossola in grado d attrarre gourmand da tutto il bacino del nord ovest e della vicina Svizzera, un occasione di festa per il palato, i sensi e tutto quanto fa ricerca e passione per il bon vivre! 27
la ricetta del
GNOCCHI ALL ANTICA OSSOLANA Dosi per 6/8 persone Farina di Frumento 300 gr., Farina di Castagne 150 gr., Patate 1 Kg., Zucca Gialla 60 gr., un ciuffetto di Salvia, Tuorli d uovo n. 2, Pane Grattugiato 150 gr., Formaggio di Malga, Burro, Sale, Pepe, Noce Moscata Lessate, separatemente, le patate e la zucca; sbucciatele e passatele al setaccio. Disponete la farina bianca e di castagne a fontana, aggiungete le patate, la zucca, i tuorli d uovo, sale, pepe e una spolverata di noce moscata. Impastate il tutto, aggiungendo un poco alla volta il pane grattugiato. Ricavate ora dei classici gnocchi e immergeteli in abbondante acqua salata. Non appena riaffiorano, scolateli e fateli saltare in una padella dove precedentemente avrete fatto soffriggere la salvia nel burro, aggiungendo alla fine dadini di formaggio nostrano.
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La Castagna... un tempo pane dei poveri di Carlo Solfrini
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redo che il castagno sia la pianta più nota ed amata che si conosca. Prima dell introduzione della patata la castagna era infatti una risorsa alimentare essenziale per i popoli delle nostre vallate, o addirittura unico cibo nei periodi di carestia. Oggi viviamo in un periodo di abbondanza e le caldarroste sono diventate uno spuntino che si acquista nelle feste per ingannare l attesa del prossimo pasto o per riscaldarsi le mani. Sino a non molto tempo fa invece, il castagno ed i suoi frutti erano associati ad attività economiche ed artigianali, tradizioni paesane e domestiche al punto che si può parlare, presso alcune comunità, di una vera e propria civiltà del castagno. Oltre alle piante coltivate per la raccolta dei frutti, i così detti arbul , i castagneti lasciati a bosco ceduo fornivano legname utile all economia locale: legna da ardere, travi per tetti e falegnameria varia, pali per la coltivazione della vite, fogliame (stram) per le stalle e per coprire i campi coltivati a patata al fine di impedire la crescita di erbe infestanti e mantenere l umidità del terreno nei periodi siccitosi. Utilizzi secondari furono: produzione di carbone di legna, tintura della lana e dei tessuti con la buccia delle castagne, la concia di pelli con il tannino estratto dalla pianta intera, intreccio dei getti giovani per la produzione di gerli, cesti... Attualmente in Ossola piante di marroni o altre varietà di castagne innestate sono diventate una rarità. Rimangono quelle piantate ancora dai nostri avi almeno un secolo fa. Inoltre malattie, imboschimento naturale e abbandono delle attività rurali hanno falcidiato questi alberi maestosi e i pochi rimasti si erigono tra la boscaglia come monumenti di un passato senza ritorno. La raccolta delle castagne avveniva bacchiando i ricci con lunghe pertiche prima delle completa maturazione; si ammucchiavano poi sotto l arbul coperti con foglie e felci e si attendeva che la riscera macerasse all umido per tre o
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quattro settimane. Quindi, scovate le castagne con il picc e la crocia e riposte in cantina in vecchie botti, si consumavano fresche sino ad inverno inoltrato. Quelle che invece venivano raccolte direttamente mature sotto le piante, i cruer , si seccavano al sole, nei solai o su graticci in legno collocati sopra ai focolari. La castagna è un alimento di primordine, molto nutriente e digeribile. A tal proposito riporto l azzeccata definizione di un certo Leclerc il quale ha scritto in merito al castagno: il suo seme può essere paragonato ad un piccolo pane o ad un dolce che la natura offre già impastato all uomo, non lasciandogli altra pena che di assicurarsi la cottura . La cucina casalinga non prevede ricette elaborate per consumare questo frutto se non sistemi di cottura semplici: castagne in brascariola, bollite, cotte nel forno, o direttamente sulla piastra della stufa, raramente dolci. Tuttavia in alcuni ristoranti locali la castagna viene valorizzata nella preparazione di piatti più ricercati come i tipici gnocchi all Ossolana. Ricordo volentieri un usanza dei miei cari che, come altre famiglie di Villadossola, si cuocevano delle castagne per la sera dei morti; portato un lumino ad olio sulla tomba del nonno al cimitero della Noga, al ritorno le mangiavano in compagnia lasciandone alcune sul tavolo per la notte, in dono ai defunti. Desidero concludere con una simpatica ricetta di una zuppa scovata sul libro degli alberi e degli arbusti del botanico Pierre Lieutaghi. Si fa così: una libbra di castagne sane e gustose, doppiamente sbucciate secondo tutte le regole; si cuociono in due litri di acqua con un pizzico di sedano e il sale necessario. Si passa nello schiacciapatate, si allunga con qualche cucchiaio di latte bollente, si versa nella zuppiera su fette di panenero, si annaffia il tutto con un buon burro fuso e si fa gratinare.
Buon appetito.
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Coimo La castagnata
gni anno a Coimo, la seconda domenica di Ottobre, si organizza una grande festa; la castagnata coimense. La festa ha inizio il venerdi e si conclude la domenica, tre giorni di festa, con tanta musica, castagne in brascàriola e le tradizionali “amiasc” (crèpes a base di farina di grano saraceno). Lungo le strade vengono allestiti vari punti di ristoro dove è possibile gustare i prodotti locali, (polenta, trippa, salamini e costine alla griglia, salumi e formaggi). La grande castagnata negli anni è diventata una vera tradizione autunnale, d’obbligo esserci!
Via Bonardi, 24 Coimo di Druogno Tel. 0324.93027 Abitaz. Tel./Fax 0324.93383
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ristorante
Ca' del vino Specialità pesce, piatti tipici, enoteca con ampia scelta di vini
Nato nell'ormai lontano 1991, grazie alla caparbietà di Valerio, la Ca' del Vino è diventata in pochissimo tempo un ritrovo per le persone della valle e tappa obbligata per i turisti che adorano passeggiare per lo splendido parco naturalistico dell'Alpe Veglia.
Via Domodossola, 2 - 28868 VARZO (VB) - Tel. 03247007 - valerioalberto@libero.it Chiuso il martedì
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el corso di ricerche, Antonio e Fabrizio due miei amici varzesi appassionati di antichi documenti locali, si sono imbattuti in un atto notarile redatto nel 1375 dal notaio Paratti di Varzo, avente per oggetto la compravendita di un bosco di castagni appartenente alla parrocchia. Imperante la peste che in quegli anni periodicamente faceva la sua comparsa in Italia e in Europa, l’Arcipretura di Varzo (la parrocchia), a causa della morte pressoché consecutiva di ben tre arcipreti, si trovava a corto di quattrini per assoldare un nuovo arciprete. Tali avvenimenti costrinsero la parrocchia a mettere in vendita alcune proprietà e, tra queste, anche i boschi di castagno. Ciò che è curioso osservare è che, l’amministrazione parrocchiale, pur vendendo i boschi si garantì l’usufrutto “de diricto e de facto” degli stessi castagneti al fine di poter preparare un dolce che veniva descritto nello stesso atto notarile. Nel manoscritto si legge, infatti, che la farina di castagne “con l’aggiunta di mele, noci, nocciole e castagne della Valle, per antica tradizione è destinata alla produzione, a favore e in nome della parrocchia, in piccola parte durante l’anno e in dosi massicce nella festa del santo patrono S. Giorgio, del Santo Natale e della Santa Pasqua, di un dolce destinato a finire i pasti riservati ai canonici e ai preti officianti le sacre funzioni. L’entusiasmante scoperta dell’antica ricetta non poteva che portare con sé la voglia di cimentarsi nella preparazione del dolce in modo da riscoprirne il sapore perduto. Da qui il mio intervento, dopo alcuni tentativi poco riusciti, dato che il dolce originale era troppo “pesante”, per i fini palati odierni, c’era da “modernizzare” l’antica ricetta nel pieno rispetto della tradizione. La soluzione è giunta dai racconti dello zio Benito che, ricordando i giorni passati nell’antico abitato della Casa grande narrava di una crema preparata con le castagne bollite, le mele cotte, noci, nocciole zucchero e le patate bollite e schiacciate che, a quel tempo, venivano conservate in una grossa buca scavata nel terreno: la “bòsa”. Il connubio tra la ricetta dell’antico manoscritto e i ricordi di gioventù dello zio Beni-
to, mi ha condotto alla preparazione di un dolce più soffice e accattivante sostituendo la farina di castagne presente nella ricetta originale con le patate bollite, rispettando la tradizionale umiltà dei suoi ingredienti, tutti presenti sul territorio locale: noci, nocciole, castagne, patate e mele che vanno ad unirsi allo zucchero ed al cioccolato, per poi essere guarniti con uva spina (“gruseglia” nel dialetto locale), ribes e panna fresca. L’ultima divertente questione da risolvere è stata quella di dare un nome al dolce. L’antico manoscritto, infatti, non riportava l’originario nome col quale le genti di Varzo nominavano il dolce, nei secoli passati. La soluzione è stata a tutti immediatamente chiara, se non scontata: “dolce dell’asino”! Quello di “asini”, infatti, è il tradizionale appellativo col quale gli ossolani, da sempre, soprannominano scherzosamente gli abitanti di Varzo. Ed è così che il “dolce dell’asino”, ripescato dal passato e modernizzato, è stato presentato nel corso del consueto “aprile varzese”, ossia i giorni che il paese dedica ai festeggiamenti del Santo Patrono: San Giorgio. Non poteva esservi momento migliore per un dolce che porta il nome del palio cittadino: il “palio degli asini”. Ma non fatevi trarre in inganno dal nome... nessun animale prende parte a questa competizione: sono gli “asini” varzesi, suddivisi per frazione, a sfidarsi in una esilarante corsa per le vie del paese! Gli abitanti delle diverse trazioni del paese, muniti di portantina, corrono portando il loro “asino” per aggiudicarsi la vittoria del palio. E agli abitanti delle frazioni sconfitte? Non resta che consolarsi con il dolce dell’asino!
La latteria turnaria di Trontano di Claudio Zella Geddo
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el descrivere, il mondo del primo settore dell economia ovvero il comparto agricolo ed in particolare Latteria Turnaria di Trontano non si può prescindere - in Ossola - d incontrare Roberto Negrini titolare dell omonima azienda sita in regione Badulerio alle porte di Domodossola.
Che cosa è una latteria turnaria e particolarmente come opera quella di Trontano? Si tratta di una struttura alla quale il socio conferisce quote di latte a rotazione. In certi casi, raggiunta una quota sufficiente, lo stesso socio dovrà svolgere la vera e propria funzione di casaro ovvero cagliare il latte e produrre formaggio. Per quanto concerne invece la Latteria Turnaria di Trontano è operativa a partire dagli anni 50 ed ha sempre coinvolto un numero amplissimo di soci, a tutt oggi 51. Lì si produce il nostrano ossolano , un formaggio semigrasso, mezza pasta, con stagionatura di 70-90 gg. per
una media complessiva di circa 1000 forme. Un prodotto di nicchia, un formaggio a latte crudo con una definita peculiarità di sapore e aroma. Recentemente è stata ristrutturata ed ampliata grazie ai fondi elargiti dal Parco Nazionale Val Grande che in questo caso svolge un ruolo essenziale e prezioso di valorizzazione delle risorse agricole che il territorio presenta. In Ossola oltre alla latteria di Trontano sono presenti quella di Premosello Chiovenda e Pieve Vergante autorizzate ed idonee. Strutture ancora in fase di sviluppo ed incremento. Da ciò si desume quanto la Latteria Turnaria di Trontano valga in termini di rilievo economico.
Come risulta composto l allevamento Negrini? Abbiamo delle vacche pezzate rosse italiane da latte circa venti (ceppo Simmenthal) le più rustiche e meglio adatte all ambiente. Le facciamo pascolare nella corta stagione (da luglio a set-
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tembre) a Formazza all Alpe Morasco ed a Bognanco. La loro alimentazione è costituita da tutta quella preziosa amalgama di erbe e fiori che identificano in termini anche botanici la Valle dell Ossola. Lazienda esiste dal 1923, una tradizione ininterrotta che dalla valle Antigorio (Cravegna) ha portato la tradizione dell alpeggio a Domodossola.
Quale la sua opinione in merito al futuro delle attività agricole? Oggi sono poche le possibilità d ottenere finanziamenti per il comparto agricolo stante anche il diradamento della stessa imprenditoria agricola. Esistono tuttavia linee di credito a favore dell imprenditoria giovanile i PSR (Piani Sviluppo Rurale) regionali. Opportunità che ho colto a favore di mia figlia Francesca e che permette d ottenere contributi ad esempio per l acquisto di macchinari. Insomma crediamo nel futuro del settore. La nostra è nata come attività a conduzione familiare e così rimane magari con aggiustamenti come un piccolo punto vendita qui in sede. Il lavoro agricolo comporta molta fatica ma arreca anche grandi soddisfazioni nello svolgere un attività importante per l economia e la tradizione del nostro territorio.
i nfo Azienda agricola Negrini Roberto Via Girola, 16 - 28845 DOMODOSSOLA (VB) Tel. +39.339.4405924 Fax +39.0324 44381 francescanegrini@alice.it
Come si fa...
Il formaggio
Il latte munto, a mano o a macchina, viene portato nelle latterie per essere trasformato. Nel grande paiolo il latte scremato viene unito ad una percentuale di latte intero. Il tutto si scalda con fuoco a legna fino a raggiungere una temperatura di circa 32 gradi. A questo punto si aggiunge il caglio (un estratto di pellette di vitello), un cucchiaio ogni cento litri di latte, è necessaria un ora e mezza affinché si solidifichi e si formi la cagliata. Quest ultima si può rompere e riportare il tutto sul fuoco mescolando comunque velocemente al fine di non creare depositi sul fondo. Il fuoco sarà spento alla temperatura di 40 gradi continuando comunque a mescolare per almeno altri dieci minuti. In questa fase si può estrarre il liquido di scarto dalla separazione della cagliata ovvero il siero. Al composto depositato verrà poi data una forma tondeggiante poi suddivisa in base alle forme previste. Ogni taglio va posto in uno stampo a mano schiacciando il formaggio per far fuoriuscire tutto il siero. Dopo aver fatto scolare le forme le si porta in cantina per essere pressate, per una notte, dal torchio. La salatura dura 24 ore nella salamoia (vasca con acqua e sale in percentuale). La stagionatura minima raggiunge i due mesi.
la ricotta
Prodotto che viene fatto con il siero, scaldato in fuoco a legna a 90 gradi. Quando è pronto si versano tre cucchiai d aceto mescolato con acqua tiepida e si attende che la ricotta giunga in superficie. In quel momento va presa con un mestolo e poi messa in uno stampo perché scoli al meglio. Affine alla ricotta e la mascarpa ovvero una ricotta stagionata. 38
Il burro
Il burro si ottiene dalla lavorazione della panna nella zangola: panna che può essere di affioramento del latte della sera o panna ottenuta dal processo di cremazione del latte del mattino. Dopo circa 1 ora e 45 si ottiene la formazione del burro, da cui si estrae il latte di burro, prodotto di scarto, a cui seguono fino a tre processi di lavaggio con acqua. Il burro, ora solidificato, viene estratto e poi lavorato manualmente per permettere la fuoriuscita di acqua in eccesso, di seguito posto, è in stampi ed incartato.
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albergo ristorante
Pizzo del Frate
Immerso nella verde tranquillità di Foppiano - CRODO
Tel. 0324.61233
www.pizzodelfrate.it Chiuso il martedì tranne il periodo estivo. È gradita la prenotazione. 42
L’albergo ristorante “Pizzo del Frate” è in posizione panoramica e gode di un’immensa quiete nel verde dei boschi e dei pascoli alpini. Le 13 camere con vista sono provviste di servizi igienici, riscaldamento, tv color satellitare e connessione internet di tipo wireless. La struttura tipicamente montana è provvista di una piccola sala fitness e sauna finlandese; l’ambiente è famigliare con un’ottima cucina del territorio per un assicurato relax totale. Costruito nel 1977 ai piedi del monte Cistella da Alfonso Facciola, l’Albergo Pizzo del Frate è una piccola struttura a gestione famigliare. Numerose sono le attività a cui ci si può avvicinare durante un soggiorno a Foppiano: escursionismo, trekking e mountain bike per tutti i livelli di difficoltà; raccolta di funghi in autunno; scialpinismo, ciaspolate e slittate sulla neve in inverno. Nel caso di nevicate abbondanti viene inoltre battuto un piccolo anello per lo sci di fondo. Da alcuni anni viene praticata sempre più frequentemente l’attività di bouldering sui massi dell’abetaia nei pressi della chiesetta. Siamo a breve distanza dal parco Veglia Devero, dalla cascata del Toce, dagli orridi di Uriezzo e dal piccolo villaggio walser di Salecchio. A pochi minuti d’auto è possibile visitare il museo della montagna di Viceno e delle acque minerali di Crodo oppure ammirare le bellezze naturalistiche della nostra valle ed architettoniche delle nostre chiese.
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oppiano ANDAR PER FUNGHI
boschi di Foppiano di Crodo (1217 mt.) sono da sempre ricchissimi di funghi e per questo frequentati ogni anno da cercatori appassionati che si addentrano alla ricerca di buoni e profumatissimi porcini. Partendo dal Pizzo del Frate ci si può sbizzarrire esplorando il sottobosco nei pressi del sentiero che porta al passo della Colmine (1605 mt.) oppure lungo il sentiero per il monte Cistella che sale attraversando il torrente Alfenza e prosegue nei pascoli di Voma, Prepiana e Gaiola. I cercatori più esperti che frequentano Foppiano, fin dal mese di luglio controllano minuziosamente l andamento climatico stagionale, le precipitazioni e le fasi lunari che pare influiscano sulla crescita dei funghi innescando le tanto attese Buttate ovvero quei brevi periodi di qualche giorno in cui i porcini nascono in gran quantità. Il bosco di Foppiano è l ideale per il fungiatt in quanto offre una vegetazione molto varia che si adatta perfettamente alla crescita delle più svariate specie fungine: abbiamo una vasta zona che scende verso l alpe Flecchio ricca di noccioli con sottobosco erboso; salendo invece verso la Colmine troviamo dei bei faggeti che oltre l alpe Camplero si trasformano in abetaie spezzate da brevi pascoli e ricche di mirtilli. Nei pressi della chiesetta di S. Bernardo a Foppiano vi è un ampia pineta che continua verso l alpe Scengo con un buon bosco di faggi.
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Seguendo invece le rive del torrente Alfenza troviamo un bosco ombreggiato umido ricco di felci e muschio. Oltre alla scelta della zona è importante individuare con attenzione il periodo migliore: a luglio solitamente si trovano i classici fioroni ottimi da essiccare e conservare per insaporire e profumare risotti, sughi o secondi piatti di carne; nel mese di agosto è facile trovare dei bei porcini nell erba o sotto i noccioli mentre a settembre fra i mirtilli e sotto i pini nascono funghi ottimi cucinati con le tagliatelle fatte in casa o per le classiche trifolate. A fine settembre, ottobre di solito troviamo sotto i faggi i porcini migliori: scuri, sanissimi ed ottimi conservati sottolio pronti da gustare fra gli antipasti del banchetto natalizio. Il porcino è il re del bosco ma non possiamo dimenticare che esistono centinaia di altre gustose varietà fra le quali i classici finferli o giallini buoni saltati in padella, le ottime mazze di tamburo impanate o ancora i noti chiodini conservati sottolio. E importante ricordare che il cercatore di funghi deve attrezzarsi con un coltellino per pulire i funghi sul posto, un cestino di vimini o una borsetta di rete per far si che le spore possano cadere a terra ed un bel bastone che aiuta nella ricerca. Inoltre la raccolta funghi è regolamentata dalla regione e consentita soltanto dopo aver effettuato apposito versamento. Per informazioni contattare la Comunità Montana.
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La rinascita del Pr端nent, una storia ossolana
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a storia del Prünent è una storia ossolana. Una storia che, per certi versi, è esemplare delle nostre terre montane e - in generale - di tutte quelle che, esaurito il periodo d oro della civiltà montanara, hanno smarrito la propria identità. Ciò accadeva, nel nostro territorio, poco meno d una ventina d anni fa. Gli anni 80 avevano portato alla ribalta il famigerato caso di cronaca del vino al metanolo. Gli effetti, deleteri sulla salute quanto sulla credibilità dell intero comparto vitivinicolo italiano, si fecero avvertire sul mercato. Ma, come spesso accade quando un simile sisma squassa il sistema, arrivarono anche risvolti positivi. Depurato da chi, fraudolentemente, aveva abusato del Made in Italy enologico, il mercato lasciava spazio a chi, osando, avrebbe elevato la qualità del vino in commercio. È in questa nicchia apertasi all improvviso, alimentata da altri fattori esterni quali l evoluzione delle abitudini del consumatore (complice anche un benessere più diffuso, unito alla cultura del prodotto di qualità), che si inserisce la storia del Prünent ossolano. Da tempo immemore le uve di Prünent venivano coltivate e selezionate sulle solatie colline di Trontano. I terrazzamenti, che un tempo occupavano gran parte del terreno digradante della montagna, negli anni s erano già diradati, e non tanto e non solo per il proliferare delle abitazioni, quanto per la migrazione della manodopera agricola, attratta a valle dalle vicine fabbriche di Domodossola e Villadossola. Un posto da operaio valeva più che quello da viticoltore e, così, nel corso di tutto
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il 900, s è assistito allo spopolamento dei terreni, con la conseguente riduzione delle pregiate viti di Prünent. È in questo contesto che, una quindicina d anni fa, un commerciante e produttore di vini domese, e un viticoltore di Trontano, s incontrano per dar vita a un progetto di rilancio, che evitasse l abbandono della vite - con tutto ciò che ne sarebbe derivato, a livello storico e sociale - e che valorizzasse anche quel vitigno, che qualcuno considerava acidulo e sgradevole, al punto da venir etichettato come utile solo per la produzione dell aceto. Grazie agli incentivi della Comunità Montana Valle Ossola e seguendo i consigli dell agronoma Maria Rosa Negri, alcuni piccoli agricoltori, dimostrando intuito e lungimiranza, costituirono l Associazione Produttori Agricoli Ossolani , il cui scopo era l assistenza tecnica utile agli agricoltori per migliorare la produzione dal punto di vista viticolo ed enologico. L approccio di coloro che si adoperarono per lanciare - ma sarebbe meglio dire rilanciare - il Prünent fu, sì scientifico, ma anche sociale. Ogni appuntamento mondano , dalla bevuta all osteria alla festa campestre di cui ricco è il calendario estivo 45 45
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ossolano, era l occasione per contattare viticoltori o proprietari di terreni e - spesso in chiacchierate farcite di dialetto e condite da merende rustiche annaffiate da vino (Prünentin, possibilmente) - per alimentare quel processo che oggi è sotto gli occhi di tutti. Il famoso e antico Prünent di cui oggi si parla, nel decennio scorso s era imbastardito con altri vitigni. Il com-
ne attestava la qualità, che è indicata anche attraverso la località di provenienza di quel vino: le viti di Forgnago di Masera. Gli sforzi dell Associazione Produttori Agricoli Ossolani portarono alla selezione delle barbatelle di Prünent dal quale nacquero nuovi vigneti. L allora presidente Oreste Margaroli effettuò le prime micro-vinificazioni e con poche decine di chilogrammi di uva,
pito primario fu, dunque, quello di selezionare la varietà che gli storici riconducono già al XIV secolo. Il documento storico che la cita è datato 1309 ed è il lascito alla chiesa di San Francesco di Domodossola voluto da un certo Dumino Fu Vicino di Pello di Trontano. Il lascito erano nove staia di vino, circa 219 litri, da usare per la celebrazione delle funzioni religiose in chiesa. Il fatto che fosse scelto per la messa,
unite a quelle fornite da Pino Negri e Elio Giudici in primis, e di Pierino De Gregori in seconda battuta, arrivò a etichettare - nella vendemmia dell anno 1997 - trecento bottiglie. Una lenta e inesorabile - ma non sempre in discesa - crescita ha portato la quindicina di viticoltori a ottenere l attribuzione della Denominazione d origine controllata (D.O.C.) da parte del ministero delle politiche agricole.
di Massimo Sartoretti
Torchio restaurato di Masera
Prünent
Il è un vino tipico ossolano. Ma no, non é vero! È un vino tipico di Masera. Campanilismo ossolano a parte, la paternità maserese non è idea peregrina. Ci sono documenti, ritrovati dallo storico don Tullio Bertamini e risalenti al 1309, che riportano il lascito di un nostro avo di Masera alla chiesa di Domodossola. Un lascito che, a suffragio della propria anima, donò circa 220 litri di questo nettare di nebbiolo, ricavato da un vigneto situato in frazione Forgnago. Chiedendo nuovamente scusa per questo moto d orgoglio - ma noi di Masera ci teniamo (scià che nuii) - il recupero di questo antico vigneto è sicuramente una delle iniziative meglio gestite dalla Comunità montana. E spiego perché. Una valle come la nostra, la cui esistenza si basava su pastorizia e agricoltura, con la diffusione della fillosera (malattia della vite e delle piante da frutta) e col blocco imposto dai vescovi svizzeri al commercio del vino, aveva subito un duro colpo. La coltivazione, che era stata conseguentemente abbandonata, se non per uso personale della famiglia, fu messa in ginocchio una seconda volta nel dopoguerra, con l avvento delle fabbriche e la discesa dagli alpeggi per il posto da operaio. Per fortuna, con l avvio del progetto della Comunità montana Valle Ossola e la nascita dell associazione Produttori agricoli ossolani, s è verificata un inversione di tendenza, coincisa col rifiorire delle topie ossolane sui terrazzamenti assolati di Masera, Trontano, Montecrestese, Calice e Villadossola. Ma ora parliamo un po di questo Prünent. Il nome potrebbe derivare da prunum (prugno), legato al sapore del vino o alla tradizione di piantare un prugno a margine del vigneto. Op47
pure da pruina (brina), in riferimento al periodo della vendemmia, essendo un vigneto tardivo, che matura verso la metà di ottobre, e oltre. Il vitigno del prünent è il nebbiolo. I nuovi vigneti sono barbatelle innestate, anche se esistono ancora gambe di vigna franche di piede - e ultracentenarie - che danno una produzione limitata, ma di altissima qualità. È opinione comune che la varietà più scontrosa , ma al contempo meravigliosa, è il nebbiolo. Sicuramente pochi al di fuori dei confini ossolani, non più di dieci anni fa conoscevano il prünent. Anzi, chi lo conosceva lo snobbava, chiamandolo bruschétt per la sua acidità. Ma ora, dopo le cure del caso e con l aiuto del produttore Garrone, che si è prodigato per il recupero di quest uva con una selezione, sia dei conferitori, sia della qualità in vigna, s è compiuto un passo fondamentale per avere un prodotto finale di qualità. E il risultato parla chiaro: è stata raggiunta la Doc! La qualità dell uva ora viene controllata prima e durante la vendemmia: solo le banje (grappoli) migliori diverranno prünent, con le altre destinate all ossolanum e al ca d Matè (sempre 48
di qualità, ma meno longevo). Il prünent viene prodotto in ridotte quantità, con 50 quintali per ettaro, si vinifica mediante la fermentazione in vasche d acciaio delle bucce per circa otto giorni. Il tutto viene quindi travasato in recipienti d acciaio, dove riposa e lavora per altri cinque mesi, per poi passare in piccole (da 220 litri) botti di rovere, dove avviene anche la seconda fermentazione malolattica. La pratica e l esperienza permettono all enologo di variare i tempi, del tutto o in parte, della maturazione nelle barrique. Questo per dare la giusta rotondità al vino, senza però che questo sappia di legno. Il vino si presenta di colore rosso rubino brillante con riflessi granati, ha un profumo intenso e complesso, che spazia dal floreale al vanigliato. Il sapore è tipico del nebbiolo: asciutto, sapido, potente, con una buona struttura e persistenza e tannini presenti in maniera adeguata. È un vino che ben si abbina a secondi piatti di carne (anche con salse di cotture importanti), da forno e brasati. È ottimo pure con la selvaggina e, perché no, con polenta e funghi. Ma va a nozze anche con formaggi bovini di lunga stagionatura.
l locale, ricco di atmosfera ed improntato sulla ricerca della cucina tradizionale, offre all'attento gourmet una competente selezione di vini Italiani, abbinabili alle caratteristiche delle specialitĂ della nostra cucina: salumi nostrani, formaggi d'alpe, paste della tradizione ossolana, carni selezionate e selvaggina.
Osteria Gallo Nero
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Frazione Pontetto, 102 - 28864 Montecrestese (VB) Valle Ossola - Tel/Fax. 0324.232870 - Chiuso il lunedĂŹ
www.osteriagallonero.it - info@osteriagallonero.it
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la ricetta Lumache alla Borgogna (Escargots à la Bourguignonne)
Montare a crema il burro dell'alpe Veglia, aggiungere il prezzemolo, l aglio e lo scalogno tritati finissimi, sale e pepe. Mescolare bene fino ad ottenere un composto omogeneo. Introdurre un poco del composto preparato nei gusci, mettere in ciascuno una lumaca e riempire con altro composto. Cospargere l imboccatura delle conchiglie di pangrattato e infornare per 10 minuti ca.
Tagliolini al ragù di Lumache Fare soffriggere nell olio la cipolla e l aglio tritati, tagliare le chiocciole e farle insaporire per qualche minuto, aggiungere il vino e farlo evaporare a fuoco vivace, tagliate i pomodori e versateli sulle chiocciole aggiungendo il prezzemolo tritato, il peperoncino e il sale. Tempo di cottura 30 minuti circa.
Lumache all'Ossolana Saltare in padella le lumache con acciughe e aglio a parte stufate le carote, il sedano e i funghi a cottura dello stufato aggiungere le lumache saltate in precedenza e del pomodoro. Ultimate la cottura e servite con polenta.
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CITTA’ di DOMODOSSOLA Provincia del Verbano Cusio Ossola
La nuova Piazza Rovereto: “a misura di cittadino”
Il borgo della cultura
l Comune di Domodossola ha ottenuto un consistente finanziamento dalla Fondazione CARIPLO (1.400.000€) nell ambito del Bando per le Opere Emblematiche per la realizzazione del progetto denominato il Borgo della Cultura . Il progetto ha la sostanziale finalità di cambiare volto al centro storico di Domodossola: non un semplice intervento di restauro o recupero funzionale di un opera o di una struttura, non la realizzazione di un nuovo edificio più o meno utile, ma il disegno di una nuova immagine dell intero centro storico attraverso la riqualificazione dei suoi più importanti Palazzi e delle vie di accesso, la definizione di un percorso turistico innovativo, l elaborazione di una immagine coordinata degli interventi, la creazione di un Borgo della Cultura attraverso la valorizzazione e la caratterizzazione dell esistente. Un intervento che contribuisca ad accrescere il senso di appartenenza alla comunità - afferma il Sindaco Marinello
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- e che stimoli l attaccamento alla propria terra . Un intervento che, possibilmente, diventi modello esportabile. La sfida è quella di cambiare il volto al cuore della città di Domodossola facendo diventare il suo centro storico un borgo da vendere nel mercato del turismo culturale nazionale ed internazionale. Domodossola al centro di un Distretto culturale in cui programmare attività di respiro sovra-comunale - confermano dall Amministrazione: il borgo inteso come una sorta di palcoscenico dell intera valle . Si vuole pertanto dare la sensazione a chi giungerà a Domodossola ed accederà al suo centro storico di entrare in una realtà diversa, dalla forte valenza storicoculturale. Ma perché puntare sul Borgo della Cultura ? Domodossola, naturale capoluogo della Valle Ossola, vive la difficile fase di riconversione della sua economia risponde il Sindaco Marinello: da capo-
luogo di un area fortemente industrializzata, in seguito alla crisi del settore, sta infatti cercando, da anni, di individuare nuovi elementi cardine sui quali rilanciare nuove forme di sviluppo. In un contesto assai complesso il commercio ed il turismo divengono elementi fondamentali sui quali lavorare . Sfruttando la posizione baricentrica e la sua storia, nonché la struttura marcata di città, Domodossola sta quindi cercando da anni di sviluppare e dare gambe ad una vocazione turistica che necessita, per poter divenire trainante, di interventi strutturali importanti. In quest ottica -sostengono l Assessore al Turismo Pizzicoli e quello alla Cultura Albini - lo sviluppo della nicchia del turismo culturale può essere la carta vincente con evidenti ricadute positive sulla qualità della vita e sulla promozione dello sviluppo culturale, economico e sociale della città e del territorio ad essa circostante . Uno dei tasselli fondamentali all interno del nascendo Borgo della Cultura sarà rappresentato da Palazzo San Francesco: il suo piano terra ospiterà un Museo di Arte Vigezzina e uno spazio destinato all allestimento di mostre di arte contemporanea. E un progetto sul quale si sta lavorando da tempo che vede coinvolta l associazione Ingremiomatris di Domodossola - dicono dall Amministrazione: il
cuore del Borgo sarà un tesoro colmo dei gioielli rappresentati dalle opere vigezzine di una importante collezione privata, dalle collezioni museali comunali e dai quadri della pinacoteca civica che verrà intitolata al compianto prof. Gnemmi . Il più importante museo di arte vigezzina del Mondo, lo amano definire così i promotori, sarà curato dallo Studio Rancati di Milano ed i ponteggi apparsi attorno allo stabile danno finalmente l idea della partenza di lavori che la città attendeva da anni. Il progetto complessivo prevede uno stanziamento importante di circa 2 milioni di euro - afferma il Sindaco - utile non solo all allestimento del museo, ma anche al recupero di tutti gli affreschi tuttora coperti al piano terra e la sistemazione definitiva dei piani superiori: ancora un po di attesa e finalmente Domodossola riavrà il suo palazzo e di questo ne andiamo orgogliosi .
Il museo che verrà
PALAZZO SAN FRANSCESCO
Spazio Museo all’aperto P.zza Convenzione e P.zza Volontari della Libertà La futura riqualificazione di Palazzo San Francesco e delle aree adiacenti
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Arte contemporanea in volo ella Stazione Ferroviaria Vigezzina di Domodossola, che collega due culture, due confini, tra la Svizzera e l Italia, passano ogni anno due milioni di persone. L associazione Ingremiomatris ha scelto una postazione nel cuore di questa stazione, per aprire una galleria fuori dal comune. Una storica carrozza degli inizi del '900, dagli elegantissimi e spartani interni in ciliegio, recentemente restaurata e tenuta come un'opera d'arte in sé, ferma sul Binario 1, diventa spazio d arte dove per 17 mesi sfileranno artisti e opere. Osserveranno la gente e proveranno a dialogare, a far fermare qualcuno, a raccontare comunque le loro storie. Useranno il linguaggio visivo, quello del colore, delle emozioni, delle forme, del movimento. Se le gallerie di tutto il mondo lamentano che ormai, dopo la serata dell inaugurazione, nessuno passa più, quale migliore possibilità di avere un pubblico continuo, ricco, quotidiano, affezionato? La carrozza, ferma sul suo binario, diventerà una galleria a statuto speciale, un esemplare unico. Dai sei grandi finestrini illuminati e orientati verso il marciapiede, le opere saranno visibili dall'esterno, osservabili solo da fuori, da chi passa lì vicino.
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Per il resto il corpo del vagone sarà chiuso, un luogo a sé un po magico. Una galleria come una vetrina, che si protende per cercare il contatto. Un susseguirsi di mostre che dureranno circa un mese e mezzo, con personali e collettive, spaziando dalla pittura alla fotografia, dalla scultura alla videoinstallazione, etc. Tutta la rassegna è idealmente ispirata alll idea stessa di volo, di partenza, di nomadismo concettuale. Il volo è una perfetta metafora dell esperienza artistica. Voli che si compiono in ogni opera, sperimentazioni che partono da terreni conosciuti per esplorare altri mondi e altri cieli. Ogni tensione artistica è così, un volo, che porta l artista stesso ma anche il pubblico, nel momento del contatto. L arte è un insieme di tentativi, esperienze, approcci a tentare il salto, comunque, verso qualcosa. Nelle mostre che si susseguiranno la figura di Geo Chavez è un eco, una texture che tiene insieme e su cui si sviluppa, come un orizzonte, la struttura del progetto. Chavez sarà una sorta di compagno di volo. Geo Chàvez, aviatore di origini peruviane che per primo trasvolò le Alpi nel 1910 perdendo la vita, a soli 27 anni, morì in un tragico incidente proprio a Domodossola.
Il 27 settembre 2010, la città celebrerà infatti il centenario della morte di questo personaggio che incantò e commosse il mondo sacrificandosi per il suo sogno. I sei lavori presentati declinano ai visitatori-viaggiatori un'idea della creatività multiforme che abiterà la stazione di Domodossola fino a settembre 2010. Al centro l incontro tra opera e spettatore, lo scambio e il contatto tra arte e pubblico.. Nelle opere in mostra il tono evocativo e poetico segna una comune armonia, in un passaggio da finestrino in finestrino che amplia fino a spezzare il significato della parola volo . La carrozza sarà insomma un piccolo laboratorio in ebollizione, che andrà a cercarsi il suo pubblico sottoterra, partendo dal sottopasso di una stazione per uscire nel mondo.
Un operazione dal sapore avanguardistico e situazionista che connota da sempre lo spirito dell Ingremiomatris. Alla fine tutta l operazione sarà documentata da un catalogo Allemandi editore, una sorta di diario di bordo di un lungo viaggio d arte compiuto a bordo di un treno.
i nfo Titolo: Sottopasso. Arte in volo a cura di Olga Gambari e Massimo Fiumanò Sede: Binario 1 Stazione Ferroviaria Vigezzina, piazza Matteotti, Domodossola Date: maggio 2009 - settembre 2010 Orari: tutti i giorni dalle 5:00 alle 21:00 www.ingremiomatris.com info@ingremiomatris.com Tel. 335.7357840
Bontà d’Autunno “Bontà d’autunno” è la mostra mercato di prodotti tipici organizzata in Novembre dall’Assessorato al Commercio del Comune di Domodossola con il contributo della Regione Piemonte. Nella centralissima piazza Mercato, una trentina di produttori locali propongono il meglio dell’enogastronomia ossolana: protagonisti indiscussi sono: pane nero, miele, formaggi di tutti i tipi, ortaggi, erbe officinali, mele, conserve, noci e vino. “Bontà d’autunno” è animata con canti e balli dei gruppi folkloristici locali, con i laboratori creativi per i bambini, con il laboratorio del casaro e improvvisazioni musicali con strumenti della tradizione celtica. Sarà possibile anche degustare l’“amiasc” della Val Vigezzo, un’antica focaccia la cui ricetta rimane rigorosamente segreta, cotta sulla griglia e aromatizzata con il burro fuso. Per tutti poi cioccolata calda, vin brulé e le immancabili caldarroste.
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Viceno e la Casa Museo della Montagna di Marilena Panziera - Comunità Montana Antigorio - Divedro - Formazza
a Comunità Montana Antigorio Divedro Formazza, negli anni 70 acquistò una casa rurale nel centro di Viceno, bella frazione panoramica del Comune di Crodo, avendo ricevuto da parte di numerosi cittadini segnalazione del possesso di suppellettili ed attrezzi d epoca dei quali erano disposti a privarsi se fossero stati fatti confluire in un apposito spazio espositivo. Nacque così uno dei tanti musei etnografici, che proprio in quegli anni fecero qua e là la loro apparizione. Apparizione significativa, perché avvenuta dopo la rapida industrializzazione e lo sviluppo socio-economico del dopoguerra e nata dall esigenza di salvare dall inevitabile oblio tutta quella serie di attrezzi ed oggetti il cui uso era partito nella notte dei tempi e, specie nelle aree rurali, si era trascinato sino a pochi anni prima. La produzione industriale ed un benessere diffuso avevano completamente trasformato il concetto dell abitazione e delle sue dotazioni, non solo il frigorifero prese il posto della ghiacciaia, prima nelle case signorili per poi diffondersi anche tra i ceti meno abbienti, ma anche nella realizzazione di attrezzi banali quali
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mestolame, stoviglie e contenitori per usi vari, sino ad allora rigorosamente in legno, rimasti uguali per forma ed utilizzo, ma realizzati nell innovativo materiale, che specie negli anni 60 insidiò il primato del legno persino nella realizzazione dei mobili: la plastica. La casa Museo della Montagna di Viceno, nacque quindi come sacrario della manifattura contadina, affinché si conservasse memoria del modo di vivere semplice e rigoroso dei nostri padri. Non si spaventano né stupiscono gli anziani della valle di fronte alle fredde scale in granito che salgono verso i piani superiori dove in una scarna cucina madie e panche in legno grezzo fanno da corollario alla stufa ed al camino in pietra, che all epoca erano le uniche fonti di riscaldamento della casa nei freddissimi inverni alpini. Né il ruvido contatto con la biancheria in lino o canapa è loro sconosciuto, né la funzione dei vari attrezzi dal tagliapanesecco alla zangola per il burro, senza dimenticare i telai per tessitura e le commoventi culle scolpite nel legno o intrecciate con le fronde dei salici, dove alcuni di loro hanno emesso i loro primi vagiti. Per il visitatore tutto ciò è irresistibilmente bello ed istruttivo, esotico e toccante, perciò la Comunità Montana Antigorio Divedro Formazza, prosegue anno dopo anno nella ristrutturazione e tutela di questo bene, parte fondamentale del patrimonio culturale del territorio che rappresenta.
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i nfo Casa Museo della Montagna Fraz.Viceno - 28862 CRODO Comunità Montana Tel. 0324 618431; Alb. Edelweiss Tel. 0324 618791; info.cmadf@ruparpiemonte.it Orari: Martedì e Sabato 10.00-12.00 Giovedì e Domenica 16.00-19.00
Gambrinus Ristorante - Pizzeria
Il ristorante pizzeria Gambrinus vi aspetta per cene e bachetti classici della cucina italiana, carni e pesce selezionati, accompagnati da vini di qualità. Curato nei minimi particolari e nella bella stagione, potrai cenare all'aperto, nel nostro dehore coperto. Abbiamo un sala per cerimonie e banchetti tra amici. potrai gustare anche fantastiche pizze cotte nel forno a legna.
Ristorante Pizzeria Gambrinus Via Mazzorini, 6 28865 Crevoladossola (VB) Tel. +39 032445192 Chiuso il martedi Aperto la sera dalle h 18 alle h 24
PIZZA FUNGHI PORCINI E BETTELMATT Alla Pizzeria Gambrinus è possibile gustare la pizza ai funghi porcini e Bettelmatt. I funghi trifolati vengono messi a fine cottura. Appena sfornata viene aggiunto il Bettelmatt e servita. Un altra ottima proposta è la pizza al Bettelmatt con prosciutto crudo della Val Vigezzo. Una pizza unica, la pizza della Val d Ossola.
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La polenta nella cultura alpina (e nei miei ricordi...) di Michela Zucca
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arà à capita capitato tat a tutti di notare, otare e, incasin ncas sata nel muro ro di qualche antica tica casa c di pietra, strano, buco in a, un sasso sass str tra ano con un bu mezzo,, e di chiedersi che cosa diavolo chied si a ch poteva una curiosa... eva a servire se u a ccosa a tanto a La risposta tratta rispossta è facile: facile si tr a di una macina a mano, simile quelle mi a q e cche, ancora oggi, usano le do donne africane u don an ane n per frantumare per farne farina. mare i semi dei d cereali de c f Farina che servirà poi per farci il pane ma che, h in arco alpino, serviva a confezionare il piatto più famoso del Nord Italia, associato a o a o agli abitanti delle montagne: la polenta. polent Polentoni chi la mangiava, sinonimo m di poco furbo, ingenuo, rozzo: soprannome che hanno conservato (asha sieme s em ai pregiudizi) fino ad a oggi. og La polenta è forse uno po dei cibi più antichi delc la storia sto oria dell del umanità. Il pane venne m molto, molto tempo dopo: non tutt ti potevano cuocere il pane. Perché c era bisopa gno di un forno, che doveva essere scaldato a dovere che vere prima pri ch si potesse e usare, usare e la legna è sempre pre e stata stat ata ta dura du da raccogliere, risorsa preziosa eziosa da non n sprecare, specialmente in montagna dove gli inverni erano lunmont ghissimi (non si parlava ancora hissimi e gelidi e di effetto serra). C era bisogno di metterer si d accordo cord fra vicini, perché il forno era della frazione accendeva soltanto e e si acce quando tutti accordo e avevano tti erano erano d ac qualcosa da poche volte q qu a cuocere: cuoce ocere re: quindi qui all anno, nelle grandi ann an a rand occasioni (mia madre, originaria della orrig ll provincia di Sondrio, mi raccontava che per loro mangiare r c on pane pa bianco b nc era come mangiar biscotto ...). .). Il forno r doveva essere sorvegliato perché non perc o si spegnesse, quindi bisoon gnava fissare ssa sa a dei turni tur urr e non era facile
organizzarsi quando c era qualcos altro da fare... Al contrario la polenta cucinava senza sprecare un grammo di legna: mentre si scaldava casa, si metteva su acqua e farina e dopo un po era pronta. Era calda, molle, riempiva la pancia in fretta, intiepidiva le mani gelate dopo ore trascorse fuori al freddo (la polenta si teneva in mano, non nel piatto), potevano maneggiarla anche i vecchi senza denti e i bambini piccoli, non doveva essere spezzata o morsicata come il pane. Poteva essere
accompagnata a qualsiasi cibo, dolce o salato, e se avanzava si scaldava o si friggeva nel burro ed era ancora più buona. Queste le ragioni della sua straordinaria persistenza sulle nostre tavole. Ma, come si diceva prima, lo polenta è antichissima. I nostri antenati scoprirono subito che semi e cereali si potevano macinare, e poi mescolare all acqua calda fino a farne una pasta che poteva essere consumata immediatamente o conservata. Malgrado si pensi che i preistorici fossero coraggiosi cacciatori e grandi mangiatori di carne, l esame chimico dei resti delle loro feci fossilizzate (!) dimostra che l'uomo delle caverne si 61
alimentava con cereali eal che usava macieali nare grossolanamente tra due ue pietre e cuocere in acqua bollente. Così Cos fecero ero i babilonesi, gli assiri e gli egizi.i Nell'epoell ca romana la polenta era chiamata amat con un nome molto simile al termine n odierdierno: "pultem". Era fatta ta di d farro, un cerec ale simile al grano, soltanto più duro. solta ro. o. Si o S può dire, però, che la polenta p polen si faceva a con quello che si aveva: grano ave eva: va: segale, seg saraceno, miglio, sorgo, sorg , panico..... Perché Perch P non era un piatto gastronomico, omico, mico ma un modo di cucinare i cerali. Quando ua do arrivò il mais, dopo la conquista d dell America, le pannocchie soppiantarono le spighe o e da un paio di secoli si fa dii granoturco: granoturc sempre nello stesso modo, però. do, p erò. ò Nel giro di relativamente ente poco ttempo (qualche secolo, qualche millennio, ua millenn chissà...!), gli alpini scoprirono anche nc uno degli abbinamenti tipici della storia oria dell alimentazione nostrana: l accoppiaata polenta-latticini, in tutte le salse e in tutte le stagioni. Perché la polenta non la si mangi mangiava va mai liscia : la polenta senza niente, iente, senza s nza neanche un poco di burro (un poco n poc co o di burro rasentava quasi sempre i due e etti, e talvolta li superava...) era il mangiare gi e dei veri miserabili, ed era chiamata po po-lenta santa : forse in ricordo dei tempi dii penitenza e di quaresima. In cui era obbligatorio digiunare e mangiar di magro,, oltre che astenersi dai rapporti sessuali: essuali: secondo i preti, bisognava star così quasi un terzo dell anno. Bisogna dire che latte, burro e formaggio costituiscono la base dell alimentazione one montanara. A differenza che in pianura, ianura, dove la grande proprietà an rietà età terriera era la regola, e i cco contadini senza terra eran erano in se talmente poveri o cche i braccianti spesso vivevano in accampamenti a a pamenti o in baracbarac b che spostandosi os a seconda ec nda degli ingaggi in e conducendo u un esistenza nomade e n es tenza nom raminga erano comung ( Ci credo do o cche eran nisti!i! Pe Per come li trattavano co ttava avano male!!!!! ), 62
sulle Alpi raramente ente nte c era chi non aveva niente v e . Una mucca, qualche capra, un p paio di pecore, il maiale e le galline ce le avevano quasi tutti; oltre naturala va mente, me e aii cappi di granoturco per farci la polenta. po ent Ognuno Ogn nu uno portava al mulino il suo grano, e farina macinata la fa ffar ta di fresco saltava , era come farina bianca, chialleggerissima,, com m farin me Mia non voleva ra e profumata. mata. M Mi nonna no saperne farina gialla che aperne ne della fa na troppo tr nelle confezioni del supersi vendeva eva ne mercato: Gl Gli macinano dentro soltanto mercato lo scarto dell chicco, per questo è così gialla, sembra gialla r arancione! . Si cominciava mangiarla da neonati: perché la ava a man ng g pappetta svezzamento dei bambietta tt d da sve ni, la a polentina pole tina appunto, era fatta col latte, liquida, morbida morbida, a cui si te liq o aggiungeva, con l età, il formaggio. Forgiu maggio che era un alimento ubiquitario: mag per farsi i denti ai bambini veniva dato, p al posto del ciuccio, la crosta del formaggio sstagionato: anch io mi sono sentita dalla pediatra di mia figlia, che la dire, d alla pe bambina sapeva di formaggio ... bam bamb bina sa era vero, visto che l atEd er rra assolutamente asso trezzo zo di gomma lo sputava con gusto e crosta del grana le piaceva tanto... lla cro poi si continuava fino alla fine delE p lla vita. I popoli venivano catalogati a seconda della maniera di far polenta. C erano quelli come noi , ovvero montanari duri e crudi, che la facevano dura mangiavano tenendosela in mano e la mang così scaldava anche. E c erano quelli che la mangiavano molle (orrore!), che cadeva da tutte le parti e che non stava cade asse, e che poi non si poteva portare sull ass dietro fredda. Ma ssi sa, quelli llil la facevano anche con la farina o an farin bianca, ca e la manca, giavano anche col pesce... Per non dire sc P Pe facevano d di patate... di quando quando do la faceva at Si nota a nelle tradizioni tra zi ni gastronomiche ga l antichissima divisione dell arhissima div one culturale cu co alpino, che non non n passa pa p pas per lo spartiacpar que, versante mediterqu ante e sud meridionale nale med
raneo e versante nord mitteleuropeo ( I grigionesi fanno la polenta come noi, ma sai, parlano anche lo stesso dialetto, i ticinesi poi non parliamone, sono la stessa gente, e anche i piemontesi e francesi la fanno dura... Ma i tedeschi no, mangiano solo patate e cavoli, e ai veneti gli piace molla! ). L arcaica cesura dell arco alpino attraversa la catena in senso trasversale, da nord a sud, verticalmente, e divide i popoli di retaggio franco-romancio-latino da quelli tedeschi-slavi-veneti, che hanno usanze alimentari totalmente diverse, accostano polenta e pesce e usano anche l olio. La polenta variava a seconda della stagione e della tipologia di cibo da accompagnare; ma una cosa era assolutamente certa: si faceva tutti i giorni, con qualunque condizione metrologica e dovunque ci si trovasse: nella casa di valle, sul maggengo o in alpeggio. Anzi: la polenta, mentre donne e bambini mungevano le vacche prima di andare a scuola, era la prima cosa che si faceva dopo aver acceso il fuoco. Di solito era la nonna, esentata per via dell età dal lavoro esterno, che metteva su polenta . Dopo aver munto e preparato per fare burro e formaggio, prima di andare a scuola, si faceva colazione: con polenta, carne e vino per gli adulti. Alle otto del mattino, dopo un paio di ore di lavoro buone. Problemi di digestione, nessuno, a parte una fame che spesso non si saziava. Si faceva a gara a grattare il paiolo della crosta croccante e abbrustolita che veniva anche messa nel latte: adesso li chiamano corn flakes e si comprano in scatola al supermercato. La polenta della mattina veniva fatta su in uno strofinaccio pulito per essere portata dietro al lavoro, con un po di salame e di formaggio. La sera, o si rifaceva, o, se ce n era ancora (cosa poco probabile perché le bocche da sfamare 63
erano tante e non era l appetito certo quello che mancava) si tagliava a fette e si metteva sulla stufa per farla rosolare e mangiarla con la minestra. Oppure col latte caldo appena munto: si mangiava subito dopo la mungitura della sera e poi si andava a letto, perché la mattina bisognava alzarsi prima del sorgere del sole altrimenti le mucche piangevano perché nessuno le mungeva e sentivano male... E poi, c era la polenta dei giorni di festa: la taragna, gli sciatt, frittelle di polenta ripiene, la polenta dolce, polenta e vino, polenta e zucchero... La taragna veniva fatta col burro e col formaggio: ma non come si fa adesso, il burro deve colare fuori, e il formaggio pure, bisogna METTERCENE!!!! . La farina non ha importanza: ancora una volta, taragna è la modalità di preparazione, si fa con la farina che c è, chi ha quella di grano saraceno, se gli piace, usa quella nera, altrimenti quella gialla va benissimo... l importante è il condimento, che sia abbondante... Deve grondare e chi mangia deve lasciare i problemi di colesterolo a casa sua. Che il colesterolo ce l hanno solo i milanesi, qui da noi non se ne è mai sentito parlare. La polenta oncia (unta) viene tagliata a pezzi, pasticciata e condita col formaggio fuso, e poi arrangiata d burro: ma il burro che gli si mette sopra (ovviamente sempre in quantità industriali) viene fatto friggere con l aglio, e anche in questo caso si deve VEDERE. Non c è da preoccuparsi, perché tanto si mangia solo quella, accompagnata da un bel bicchiere di rosso che ti aiuta a mandarla giù, se hai paura di ingrassare salti la cena. 64
Gli sciatt (rospi) sono un piatto tipico della cucina valtellinese: polpette di polenta ripiene di formaggio, poi fritte nel burro fumante... Adattissimo a diete dimagranti e a fitness di vario tipo. Oggi la polenta è stata sostituita dal pane, che si mette anche in freezer (anche la polenta si può congelare, poi si scalda alla piastra ed è buonissima). Ma il pane non ha odore, mica scalda le mani d inverno. Certo che la polenta non si può fare se sei in due, non vale la pena, e poi sporchi il paiolo, ci metti tanto, sul gas... La mia vicina di sotto, una signora bergamasca che ogni giorno cucinava per otto (aveva a tavola figli e nipoti che tornavano da suola) la faceva spesso, e io già dalla tromba delle scale sentivo il profumo e pregavo mia mamma di conservarmene un pezzetto se avanzava...
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Ristorante
Lago delle Rose
SpecialitĂ ossolane e di pesce Ampia sala ristorante per cerimonie Pesca sportiva Via Pietro Iorio Ornavasso (VB) Cell. 333.982 9810 Chiuso il LunedĂŹ
www.lagodellerose.it 66lagodellerose@ossola.com
La vita tra Leponti e Walser "La vita tra Leponti e Walser" è la giornata della memoria in programma il primo maggio a Ornavasso. Memoria del passato rivisitata negli antichi mestieri e nella vita quotidiana della civiltà contadina ornavassese e rappresentata in oltre trenta cortili di antiche case di pietra. I due vocaboli che danno titolo alla manifestazione (Leponti e Walser) richiamano i due momenti di civiltà che hanno segnato la storia del paese: quello dell'età antica documentato dalle necropoli di San Bernardo e In Persona e quello della civiltà walser dal Medioevo alla fine dell'Ottocento. L'iniziativa è frutto della partecipazione 67
corale di tutto il paese che collabora aprendo per un giorno le "corti chiuse" tipiche dell'architettura rurale e dove per un giorno vengono riproposti antichi mestieri dimenticati (l'artigianato del legno, l'arrotino e lo stagnino, il picasass e i diversi momenti dei lavori agricoli); vengono proposte antiche usanze dalle donne che indossano i costumi tradizionali, mentre in angoli del paese vengono recitate poesie che ripropongono suoni e sentimenti della lingua dei padri. La manifestazione è organizzata dal Comune di Ornavasso, dal Gruppo Alpini, dal Gruppo Walser Urnafasch e dall'Associazione Linea Cadorna con la partecipazione di tutti gli enti e associazioni del paese. Un viaggio, lungo un giorno, in un passato lungo secoli.
Passeggiata nella storia: la Linea Cadorna Dal piazzale della Punta di Migiandone dove un cannone, posto all'inizio della strada militare, testimonia la presenza di 68
strutture fortiďŹ cate.si segue la strada militare, che sale con pendenza costante. Si incontreranno presto le prime trincee e le gallerie d'accesso alle trincee e alle postazioni per mitragliatrici, ďŹ no ad arrivare al "Forte di Bara", postazione fortiďŹ cata che doveva ospitare cannoni a lunga gittata. Dopo un giro sulla piazzola
dove è posizionato un cannone e nelle postazioni di mortaio si passa davanti al luogo dell'alzabandiera imboccando la strada sterrata d'accesso. Si oltrepassa il bivio della mulattiera A21 che prosegue verso il Monte Massone, si attraversano due ponti e si raggiunge quindi la strada asfaltata per il Boden. Si percorre la strada asfaltata fino al piazzale del Santuario del Boden. Dopo la visita alla chiesa ci si può fermare alla locale trattoria per uno spuntino. Poco sotto al piazzale ha inizio la mulattiera delle Cappelle, si scende alla zona detta "La Quiete", si oltrepassano diverse cappelle, lasciandosi sulla sinistra il sentiero per il forte di Bara e Migiandone, indicato come "la via delle Vie Crucis", si prosegue fino ad incrociare la mulattiera che scende ad Ornavasso, quindi diritti fino alla Chiesa Parrocchiale. Poco sopra si possono vedere la Torre, la Chiesa della Guardia e alcuni resti del
Castello. Si scende un tratto di strada per raggiungere l'area del vecchio cimitero, che si lascia sulla destra, e si percorre la strada che passa sotto la chiesa. Si oltrepassa la scalinata che porta alla Chiesa e in Via Conciliazione si oltrepassa la Cappella della "Madonna delle Grazie", quindi si prosegue tenendosi a monte fino ad arrivare nell'area del "Laghetto delle Rose". Un sentiero prosegue costeggiando le pareti rocciose della palestra di arrampicata di Ornavasso e da qui si raggiunge il piazzale di partenza. Il tema principale di questo itinerario è il sistema difensivo della "Linea Cadorna", risalente alla prima guerra mondiale, con una complessa rete di strade, trincee, camminamenti, gallerie, ripulite e rese fruibili grazie all'impegno del Gruppo Alpini di Ornavasso. La seconda parte del percorso è invece caratterizzato da importanti testimonianze di religiosità popolare. 69
Le pentole di pietra di Michela Zucca
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"Già da molto tempo Piuro è ritenuta famosa soprattutto per la lavorazione dei recipienti torniti (laveggi) che ivi si fa quasi di continuo, ricavati da uno speciale tipo di pietra. Infatti questa si scava in un monte sulla sinistra (del fiume) un po' in alto, da caverne di profondità quasi incredibile, entro cui singoli uomini strisciano con le mani e coi piedi o piuttosto con le ginocchia, a causa delle loro strette aperture e degli angusti cunicoli; penetrano assai profondamente mediante gradini ricavati e incisi nel monte e nella roccia, perché‚ scavando continuamente ed estraendo quel materiale, nel corso ormai di tanti secoli si sono abbassate sempre più. Qui i pezzi di pietra o blocchi compatti, grezzi come sono o appena un po' sgrossati con martelli e speciali picconi, dopo essere stati staccati dalla roccia e ridotti in forma tondeggiante, come devono essere i laveggi, sono portati all'aperto sul dorso o meglio legati alle gambe da singoli uomini (perché‚ lì dentro un maggior numero per la ristrettezza dello spazio, non potrebbe dare alcun aiuto), i quali allo stesso modo strisciando con cautela lungo quei gradini e muovendosi pian piano risalgono in superficie. Questi blocchi poi sono trasportati dal monte a Piuro mediante appositi congegni da quattro, sei e talvolta otto uomini secondo la mole di ciascun blocco, fino alle officine che si trovano lungo il fiume. Qui finalmente i laveggi vengono torniti come si deve e sono ridotti ad una incredibile sottigliezza mediante torni azionati dall'acqua del fiume e mediante scalpelli di ferro di vario tipo, corti e via via più lunghi, diritti o ricurvi e adatti a compiere l'opera come si richiede. Si ricavano davvero in modo straordinario dallo stesso blocco recipienti in numero variabile, ora più ora meno, talvolta venti e più sino a ventotto, in proporzione appunto alla grossezza dei blocchi, di dimensioni via via decrescen-
ti e così entrano gli uni degli altri e tra loro si contengono. Questi laveggi, stretti presso l'orlo da fasce di ferro o di rame, sono forniti di appigli o di manici per cui si sospendono sopra il focolare. Siffatte pentole o paioli, propriamente in origine chiamati "lebetes", sono detti sia dai Reti, che un tempo parlavano latino, sia dagli Italici propriamente e unicamente "lavets", sebbene Ovidio, per catacresi o abusivamente, scriva: "Venti fulvi lebeti fatti di bronzo lavorato". Quantunque queste nostre pentole o laveggi, che costano tanta fatica, siano di metallo alquanto vile e di materiale assai fragile, facile a fondersi, tuttavia nella vicina Italia sono dappertutto molto apprezzati e sono esportati in gran quantità perché‚ è stato sperimentato ed è ritenuto come cosa certa che essi, quando, riempiti di qualsiasi cosa e posti sul fuoco bollono, non tollerano in sé‚ alcun veleno, ma qualunque sostanza tossiva vi si trovi immediatamente evapora e viene eliminata. Di conseguenza per la proprietà di siffatta pietra, anche se si produce in essa qualche crepa, cosa che può facilmente capitare, essi non vengono buttati via, ma la fessura viene serrata e stretta con uno o due legamenti fatti di filo di ferro o di rame, come altrove si sogliono cucire dai più poveri le scodelle di legno che si siano rotte." Ulrich Campell, Raetiae alpestris topographica descriptio, 1573
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a cultura alpina è civiltà della pietra: coi sassi su queste montagne si faceva davvero di tutto. In certi casi, simboleggiavano anche Dio e portavano fortuna e bambini... E evidente che, fra le tante cose che si facevano con le pietre, ci si fabbricassero anche le pentole. Anzi: i tegami di pietra ollare dagli archeologi sono considerati un tratto distintivo degli insediamenti di 71
matrice celtica, rispetto a quelli romani. Perché per cuocere o conservare le vivande, i popoli mediterranei utilizzavano la ceramica e, quando si scava, si trovano i frammenti di terracotta. Gli alpini invece, usavano la pietra. Una volta, i lavaggi (termine italiano poco conosciuto che sta a significare, appunto, la olle di pietra) erano diffusi ovunque in arco alpino, ma si usavano anche in pianura: alcuni pezzi preistorici stanno al Museo del Castello di Milano. In tempi di penuria di metalli, e di difficoltà ad organizzare la fusione, ferro e bronzo venivano destinati principalmente alle armi e agli attrezzi da lavoro: per quel che si poteva, si impiegavano i due ingredienti-base del territorio alpino: il legno e la pietra. Così piatti scodelle e posate erano in legno; e le pentole, di pietra. Anche le piastre utilizzate al posto della griglia erano di pietra: di ardesia che si tagliava bene e si riusciva a ridurre su spessori sottilissimi, per cuocere la carne ma anche la verdura senza bisogno di condimento. Si pensa che la forma più arcaica di forno, fosse costituita dalla piastra di sasso su cui ancora adesso viene cotta la piadina... I lavaggi venivano usati per cucinare la carne in umido e, spesso, per conservarla con il suo grasso e il sugo di cottura, coperta, sottoterra: si manteneva per anni, e quando veniva disseppellita, si poteva scaldar-
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la e mangiarla subito. Si riuscivano a fare lavaggi grandissimi, di diverse decine di centimetri di diametro, che dovevano essere maneggiati con grande cura, perché potevano rompersi, o creparsi. E anche allora, la manodopera specializzata costava cara: il laveggio non era una pentola qualsiasi; era un oggetto prezioso, spesso un regalo di nozze, che passava di generazione in generazione. Ogni pezzo di pietra veniva scavato varie e varie volte: da un cilindro venivano ricavate diverse pentole. Poi rimaneva un rosolo di una decina di centimetri di diametro e di venti-trenta di altezzza, inutilizzabile: ma, dato che in montagna non si buttava via niente, veniva piantato per terra per pavimentare strade e piazze, in verticale: un acciottolato eterno, che resiste ai secoli e non si riesce a tirar su. Oggi in Italia la produzione dei lavaggi è principalmente localizzata in Valtellina e in Valchiavenna, località che sono riuscite a non perdere una lunghissima tradizione artigianale. In Valchiavenna, proprio a Piuro, sono state riaperte le miniere di pietra ollare da Roberto Lucchinetti, che, dopo più di cent anni che nessuno la chiedeva più, si è presentato in Camera di Commercio per chiedere la licenza mineraria di estrazione. Caratteristica della pietra ollare è la capacità di distribuire il calore in maniera uniforme e di mantenerlo per diverso tempo an-
che una volta che viene allontanata dal fuoco. E' possibile inoltre mantenere la temperao tura con pochissimo ò calore, occorre però e fare molta attenzione a non scottarsi. età Grazie alle proprietà della materia prima,, la lare pentola in pietra ollare apaha una naturale capacità antiaderente: si può cucinare anche senza condimento. E' inoltre immune a molti tipi di acidi, il che significa che non assorbe e non cede odori e sapori. Il cibo mantiene perciò il suo aroma e la sua fragranza. E' eccezionale per le cotture lunghe a fiamma moderata, come le zuppe, i brasati, gli stracotti, la polenta, i sughi (specialmente il ragù), e può essere utilizzata anche per condirvi dentro la pasta, che resterà calda molto a lungo. Ottima anche per le verdure stufate, la carne o il pesce in umido. Insomma va bene quasi per tutto! Occorre però fare molta attenzione quando la si sposta: sarebbe bene tenerla in un luogo in cui è facile muoverla e metterla sul fuoco. Al di là del peso (anche i contenitori più piccoli sono piuttosto pesanti) che la rende difficile da maneggiare, gli utensili in pietra ollare sono piuttosto fragili ed è possibile che si rompano se ricevono un forte colpo. Allo stesso modo occorre stare attenti ai forti sbalzi termici. Importantissimo, infine, prenderla in mano con pesanti guanti da forno: la temperatura che la pietra ollare è in grado di raggiungere è piuttosto elevata, e ci si può scottare facilmente, anche quando non è sul fuoco, perché mantiene il calore a lungo, a differenza delle pentole normali , e noi non siamo più abituati a ricordarcene. Quando si compra un lavaggio, biso-
gna sapere s che prima dell'u dell'utilizzo, è necessario ttrattarlo . Generalmen mente sono presenti app apposite istruzioni nel libr librettino che viene dat dato con la pentola. In caso contrario si può procedere in questo modo: sspalmare bene la pentola all'interno e all'esterno con l'albume d'uovo. Quando si asc asciuga ungerla con li oppure con grasso d olio di maiale e lasciare che si impregni bene per due o tre giorni. Per evitare incrinature dovute ad una irregolare dilatazione, si consiglia di cucinare, per la prima volta, minestroni e bolliti con fuoco di legna oppure sistemando la pentola in un forno elettrico. Questo per consentire una regolare dilatazione. Dopo di che potrete usare il laveggio anche col gas o altra fonte di calore fissa,usando la retina spargifiamma. Non bisogna mai versare mai acqua fredda nella pentola calda.. Terminata la preparazione la pentola può essere lavata ed è pronta per essere utilizzata. La pulizia della pietra ollare deve sempre avvenire quando si è completamente raffreddata. Generalmente occorrono 30 minuti circa, ma se il recipiente è molto grande potrebbe occorrere anche di più. Lavarla quindi con acqua e sapone e una normale spugna per piatti non troppo abrasiva. Con l'utilizzo è normale che nella pietra si formino piccole crepe, naturale conseguenza del suo utilizzo, che non ne impediscono il corretto uso. Diverso discorso è se la pietra si dovesse spaccare a causa di un forte shock termico. In questo caso non sarebbe infatti più utilizzabile. La pentola in pietra ollare, oltre che funzionale alla preparazione di piatti prelibati, è bellissima: se la porterete direttamente in tavola farete un figurone con chiunque!
L’estrazione di pietra ollare nell’Ossola di Carlo Solfrini
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n diverse località ossolane si possono ancora ritrovare segni di antiche escavazioni di un tipo di pietra grigio-verdastra, atta ad essere lavorata per ricavarne pentole, ciotole, tubi, stufe e piastre di cottura. È la laugera , termine locale con cui si indicano alcune roccie serpentizzanti, a prevalente talco e steatite, adatte per essere lavorate al tornio e particolarmente resistenti al calore. Chi fosse interessato a visitare un antica cava di laveggi può raggiungere l Alpe Mondei, località a circa 1250 m di altitudine, sul versante sud-ovest del Moncucco, percorrendo per circa un ora e trenta, partendo da Montescheno in Valle Antrona, e passando per la frazione di Valle-
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miola e l alpeggio di Aulamia. La roccia interessata agli scavi è una peridotite ad olivina predominante e in più punti delle pareti rocciose di Mondei sono visibili le impronte di decine di bozzi lavorati e staccati e di altri non completamente lavorati. L escursione, consiglita nella mezza stagione o in inverno in assenza di neve, permette inoltre di vedere sul luogo i resti di un villaggio minerario accanto alla vecchia cava di pegmatite, lavorata dal 1922 al 1960, per l estrazione di feldspati e mica, e attualmente ancora nota agli appassionati di mineralogia per i numerosi e interessanti minerali da collezione, come berilli di grosse dimensioni, granati, zirconi, apatite e uraninite.
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Alla riscoperta e valorizzazione del patrimonio gastronomico ossolano di Claudio Zella Geddo
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on Gian Mauro Mottini agronomo e anima della riscoperta e valorizzazione del patrimonio gastronomico ossolano parliamo appunto delle peculiarità di questo territorio alpino. L Ossola è una terra di grande tradizione legata all agricoltura in cui l allevamento ovo-caprino ha sempre mantenuto un ruolo di primo piano unitamente alla scoperta del formaggio e del suo valore alimentare che ben si protrae nel tempo, a differenza del latte. La conquista dell alpe è storia di affinità, d adattamento all ambiente tra uomo e animale. Conquista che a partire dal secolo XVII°ha permesso il mantenersi di un economia e di una conseguente gestione della montagna. In quel periodo parte la produzione casearia, già comunque presente, ricca di aromi, profumi e sapori. Insomma il formaggio diventa perno di un alimentazione naturale che ha in sé la presenza di diverse qualità d erbe e fieno. Il formaggio diventa dunque cibo del popolo e segno d opulenza per i ricchi che consumano carne. Il celebre Bettelmatt è appunto il risultato di questa dinamica.
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Quali sono i valori della produzione casearia in Ossola? A tutt oggi osserviamo una produzione -con 150-200 operatori- di circa 5000 quintali di cui solo il 10% è Bettelmatt! Evidente il ruolo giocato dal nostrano ossolano. Nulla a che vedere dunque con la produzione industriale. A tale proposito non si dimentichi cosa c è dietro ad un forma di formaggio; un enorme sforzo fisico, l alzarsi all alba e dalle 14 alle 16 ore di lavoro. Quali le opportunità, i progetti per il futuro? La zootecnia vive grazie a queste peculiarità, il Bettelmatt è certamente un traino straordinario a livello di conoscenza del territorio. Abbiamo di fronte grandi opportunità ma per afferrarle dobbiamo essere riconosciuti dal pubblico poiché il consumatore vuole e cerca soprattutto qualità. Possediamo delle eccellenze: la Scuola Agraria di Crodo presidio per la tipicità dei prodotti, i composti flogistici e dobbiamo dunque cercare d ottenere il DOP, che ben qualifica provenienza e pregio di un prodotto. Parlando di prospettive non si possono dimenticare i giovani che sono - ad esempio - la maggior parte dei produttori di Bettelmatt? Certamente poiché se da un lato è necessario
valorizzare la produzione bisogna stare attenti a non perderla. Mi spiego meglio: è bene aumentare la produzione, ma va migliorata, resa omogenea (in termini di pesi, forme ecc.) con standard qualitativi anche e soprattutto grazie all inserimento di forze giovani. Non tralasciamo poi l esigenza di curare la filiera ovvero applicare da parte di produttori, ristoratori ecc. un azione tesa a valorizzare e proporre il nostro formaggio, è un piatto a tutto tondo con mille preparazioni possibili per una cucina leggera e sana.
In conclusione un accenno alla ricca e variegata produzione di salumi. Si tratta di una produzione, di trasformazione che raggiunge vere e proprie eccellenze con la pancetta tesa, la mortadella di fegato, il violino della Val Vigezzo ed il norcino. Salumi tradizionali che con l aggiunta di erbe locali, una su tutte il timo, vengono ad acquisire sapori prelibati. Formaggi, salumi, vino: l Ossola offre molto agli appassionati della buona tavola. E vero il gustare prodotti della nostra terra lascerà al turista il ricordo, il sapore di una trazione vitale ed ancora in grado di suscitare passioni e maestria in chi ancora la tramanda.
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Vogogna MONTAGNE DI FRONTIERA, FRONTIERE DI MONTAGNA Il Castello visconteo da molti anni ospita la rassegna Montagne e Dintorni, due settimane tra cinematograďŹ a, alpinismo, avventura e cultura delle Terre Alte. Ricco, come di consueto, il cartellone degli appuntanenti. La manifestazione prevede anche presentazioni librarie, serate organizzate dal Parco Nazionale Val Grande, momenti dedicati ai piĂš piccoli, la tradizionale festa della frazione Genestredo e l adrenalinica arrampicata della torre del maniero.
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Sapori vigezzini
PAGINE FRAGILI di Rosella Favino
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accontare la storia di una valle può essere un impresa esaltante e titanica allo stesso tempo; se poi la storia va decifrata attraverso l oggettività dei numeri di un annuario statistico, l impresa diventa difficile anche per il lettore più ambizioso. Questo ci propone Carlo Cavalli, medico chirurgo vigezzino e deputato al Parlamento Subalpino nella Torino del XIX secolo, con i suoi Cenni Statistico-Storici della Val Vigezzo, edito a Torino nel 1845. Non è ancora un pezzo di storia d Italia, perché l Italia era ancora da fare, ma un tributo alla terra che ci vide nascere e che ci servì da culla, e per la quale sostenemmo un lavoro di molti anni e di paziente studio. E uno scienziato, Cavalli, e con pazienza certosina raccoglie dati e notizie per imbastire un ritratto della Valle, dei suoi abitanti e della storia di queste terre, e anche di cosa bolliva in pentola. Scorriamo insieme le pagine e leggiamo cosa racconta a proposito di, SuoloProdotti-Agricoltura... I PRODOTTI DELLA VALLE... ... sono tali, quali si possono avere in un paese montuoso, ed assai elevato. Questi prodotti consistono in sega-
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le, formentone o grano saraceno, pomi di terra, fieno, castagne, noci, canapa, lana, ortaglie e legumi, non che piccole quantità di miele, cera e vino. IL FORMENTONE... ... si semina alla fine di luglio, appena tagliata la segala, e si raccoglie al principio di ottobre. Ben seccato nel forno, si riduce in farina, e con questa si fa una polenta non meno salubre che gradita ai Vigezzini. I POMI DI TERRA... ... ossieno patate forniscono il principale alimento agli agricoltori. Essi sono di una squisita qualità, di un colore giallo citrino, sommamente farinacei ed asciutti, cosicchè anche bolliti semplicemente nell acqua non solo riescono un cibo gradito a tutti; ma pure grandemente nutriente e salubre.[...] Ella è cosa notabile, che la specie dei pomi di terra di Vigezzo trasportata fuori del suolo della Valle degenera presto in una specie inferiore.[...] Il raccolto di questa radice tube-
rosa [ammonta] a gerli n°9533 ossiano libbre 476650 da oncie trentadue. LA FRUTTA Gli altri prodotti della Valle [...] oltre alle ortaglie d ogni genere che sono abbondanti, e saporitissime, e oltre alla frutta, quali pera, pomi, prugna, ciriegge, ecc. Straniero però al suolo di Vigezzo è il persico, e scarsissima la vite. [...] La ricolta delle castagne, e delle noci non è mai rilevante, e spesso nulla, sia perché viene essa distrutta per tempo dalle brine, sia perché non perviene ad una perfetta maturazione.
so. Eppure è in questo mondo lontano ma non tanto che hanno radici i gustosi manicaretti che troviamo nei ristoranti tipici oggi. E se ancora riusciamo a trovarla, proviamo almeno un dolce tanto semplice quanto sorprendente: la torta di pane e latte.
E LA POLENTA? La meliga, ci si dice tutto giorno, non fa bene in Valle Vigezzo, ma non si bada che gli esperimenti fatti non furono condotti come richiede la coltura di questo grano. Come può egli produrre, se si semina folto come il miglio; se s ingombra il suolo con altre seminagioni; se si trascura di smuovere, e raccogliere a suo tempo la terra intorno al gambo? [...] Seminate o donne questo grano in maggio, e per maggior sicurezza il così detto quarantino; fate che una pianta sia distante dall altra, per lo meno otto oncie; lasciate vuoto il suolo da altri legumi, affinchè il sole possa dardeggiare sulla terra; finalmente smuovete questa terra ogni tanto tempo, e raccoglietela intorno al gambo [...] e vedrete che la meliga forse farà bene anche in Vigezzo. La polenta era di grano saraceno! A questi prodotti si aggiungevano quelli dell allevamento di ovini, capre e bovini, e nella cucina nobile anche la selvaggina: lepri, fagiani e camozzi. Ma soprattutto erano la fantasia e l instancabile lavoro delle donne vigezzine, l ingrediente principale dei piatti che giorno per giorno arrivavano sulle tavole dei contadini. Il tempo è passato, e oggi l enogastronomia è una moda gustosa e di succes-
Tabella: Valle Vigezzo, produzione agricola nella prima metà dell’Ottocento
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Il piccolo frutto blu o mirtillo nero (Vaccinium myrtillus) di Anna Proletti
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a bocca, la lingua e le mani blu accomunano allegramente grandi e bambini in certi periodi dell'anno sulle nostre montagne come in tutte le Alpi. Che sia forse un rituale d'estate o di fine estate a cui partecipano soprattutto donne e bambini e pochi uomini? Un gioco? Una malattia? Nooo, lo sappiamo tutti, da luglio a settembre, a seconda delle altitudini, le nostre montagne sono cosparse dei gustosi piccoli frutti blu, i mirtilli e quasi nessuno sa resistere al loro richiamo. E allora una gran quantità di persone si ritrova accovacciata nei Vaccinieti (così si chiamano le distese di mirtilli) a cogliere mirtilli, chi casualmente durante un'escursione, chi volutamente, armati di "pettine" o "raspino" e contenitori di ogni tipo. Il mirtillo NERO, che si chiama così sebbene sia blu, è da distinguere dal Mirtillo blu o Mirtillo Uliginoso (Vaccinium uliginosum), il falso mirtillo, che cresce nel medesimo habitat ed ha frutti insapori, tondeggianti o leggermente ovoidali, di colore bluastro all'esterno e biancastri all'interno. Le foglie di quest'ultimo hanno una tonalità più grigio-verde e opaca. Il mirtillo blu non è commestibile. Il mirtillo nero, arbusto nano di altezza dai 10 ai 50 cm, della famiglia delle Ericacee, è il primo piccolo arbusto ad associarsi al larice in stato di abbandono dei pascoli, crescendo abbastanza velocemente (pochi decenni) e dando luogo al Vaccinieto la cui presenza denota l'abbandono più recente delle zone a pascolo. In Ossola è diffusissimo, come in tutto il continente Euroasiatico, in misura maggiore a partire dai 1000 m fino al limite della vegetazione arborea, sempre su terreni silicei o comunque acidi, acidificati per esempio dagli aghi di larice caduti, ricchi di humus e sostanze organiche e piuttosto freschi. Ha piccoli fiori rossi ermafroditi da cui si
sviluppano i suoi frutti, le note bacche blu, di 4-5 mm di diametro quasi tondeggianti o appena schiacciati all'apice, dove è presente una caratteristica cicatrice a forma di anello. Il mirtillo è una pianta pioniera che si propaga nei pascoli abbandonati e da pianta infestante si trasforma a suo modo in una ricchezza e piccolo tesoro dell'estate alpina. Il mirtillo nero oltre ad essere prelibato ed usato per fini alimentari, ha anche moltissime e varie proprietà terapeutiche. Le foglie contengono tannini, glicosidi ipotensivi e principi attivi dotati di attività astringente e antidiarroica e la neomirtillina che ha invece un effetto ipoglicemizzante. I frutti contengono numerosi principi attivi, fra cui le vitamine A e C, l'acido citrico e quello malico, la mirtillina, fosforo, calcio, manganese; contengono sostanze che rinforzano il tessuto connettivo dei vasi sanguigni, migliorandone l'elasticità, con una azione antiemorragica. Proteggono inoltre dai radicali liberi e prevengono le micro emorragie spesso particolarmente dannose a livello della retina, sono utili anche nella dilatazione dei capillari degli arti inferiori e hanno proprietà rinfrescanti, astringenti, toniche, diuretiche. Il mirtillo è conosciuto per le sue proprietà benefiche a carico della vista, migliora la circolazione sanguigna oculare, favorisce un maggior adattamento dell'occhio alla visione notturna, ha una buona azione nei disturbi vascolari retinici, dovuti al diabete o alla ipertensione. Per le couperose possono essere d'aiuto le creme a base di mirtillo. L'azione astringente si esplica invece attraverso l'eliminazione dei liquidi in eccesso a livello degli spazi interstiziali dei tessuti, con conseguente riduzione dell'edema. Si impiega come astringente nel caso di diarrea, enterocoliti e dissenteria, le bacche hanno una
azione antibiotica, sul bacterium coli. Per l'industria farmaceutica moderna, le bacche di mirtillo si sono rivelate utili in preparati contro le forme diarroiche e come componenti di antibiotici. In cucina gli usi sono molteplici, sia dolci che salati. Con i mirtilli si possono fare succhi di frutta, marmellate, crostate con la marmellata, crostate e torte coi frutti sia freschi che conservati. Possono guarnire le insalate o essere l'ingrediente speciale di un gustoso risotto, il risotto ai mirtilli appunto. I metodi di conservazione sono fondamentamente due: si possono conservare surgelati oppure in vasi di vetro a chiusura ermetica, ben riempiti e sterilizzati. La sterilizzazione si compie facendo bollire i vasi a bagno maria per 5 minuti. E' importante isolare i vasi tra loro con degli stracci durante la bollitura in modo che non si rompano battendo tra loro. E' poi utile avere l'accortezza di far raffreddare i vasi capovolti quando si tolgono dal bagno maria. In questo modo gli ultimi eventuali batteri rimasti nella parte vuota del vaso vengono eliminati, oltre a rivelare se qualche vaso non fosse chiuso ermeticamente e non fosse idoneo ad essere conservato. In previsione di un utilizzo "dolce" si consiglia di zuccherare leggermente i mirtilli sia nel caso del surgelo che della sterilizzazione. Rimarranno più gustosi. Ovviamente non vanno zuccherati per il loro utilizzo nel risotto. La marmellata di mirtilli è una delle più buone marmellate che si conosca. Profumata e gustosa è anche facile da preparare in quanto non necessita di filtraggi 85
e passaverdura. Il procedimento per fare la marmellata è molto semplice. Si mettono frutti e zucchero in una casseruola con coperchio e si fanno cuocere a fuoco lento per almeno un'ora e mezza, mescolando periodicamente e stando bene attenti a non farla attaccare sul fondo. In un primo momento il composto si presenterà molto liquido ma, mantenendo il coperchio semi aperto, il liquido in eccesso si asciugherà lentamente. Consiglio di mantenere le dosi dello zucchero piuttosto basse in proporzione alla quantità dei frutti, nella misura di 2 etti di zucchero per 1 kg di mirtilli. In questo modo la marmellata non risulterà eccessivamente dolce e manterrà meglio il sapore e l'aroma del frutto. Si procederà mettendo la marmellata bollente in vasetti di vetro a chiusura ermetica che verranno sterilizzati col metodo sopra descritto.
RISOTTO AI MIRTILLI Ingredienti per 4 persone: 2 tazze da caffelatte di riso, ½ tazza di mirtilli, 1 cipolla, ½ bicchiere di vino bianco, brodo, mezza tazza di formaggio grana grattuggiato, olio q.b. Scaldate l olio in una casseruola e aggiungetevi il riso; fatelo tostare e aggiungete il vino, che farete evaporare a fuoco alto. Aggiungete quindi il brodo bollente, poco alla volta, mescolando frequentemente. Mentre il riso è sul fuoco lavate i mirtilli, asciugateli e frullateli, avendo cura di lasciarne qualcuno da parte per la guarnizione. Controllate spesso la cottura del riso: non appena mancano pochi minuti 86
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aggiungete la purea di mirtilli, termi...una magia per ogni stagione nate la cottura, poi togliete il riso dal residence fuoco e lasciatelo riposare per qualche minuto. Servite guarnendo con i mirtilli rimasti.
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Da una ricetta scritta su una piccola pergamena e ritrovata fra le pagine di un vecchio libro, a base di farina, uova, burro, farina di castagne e farina di segale, noci tritate, scaglie di cioccolato, miele e grappa.
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BIGNÈ AI MIRTILLI Ingredienti Pasta à choux per bignè (dosi per 6-8 persone): 200 ml acqua, 120 g burro, 1 pizzico di sale 150 g farina, 8 uova Fate bollire l’acqua con il burro e il sale. Una volta raggiunto il bollore, togliete dal fuoco ed aggiungete in una sola volta tutta la farina. Mescolate energicamente e poi rimettete sul fuoco fino a quando il composto comincerà a sfrigolare e si staccherà dalle pareti della casseruola. Lasciate intiepidire e poi unite le uova: utilizzando una frusta elettrica per impastare, unite le uova una ad una, aspettando che la precedente sia stata completamente assorbita prima di aggiungere la successiva. Questo passaggio è delicato e richiede un po’di pazienza, ma è fondamentale per la buona riuscita dei bignè. Quando il composto è pronto, trasferitelo in una tasca da pasticciere a bocca larga e create dei mucchietti di impasto più o meno grandi secondo i gusti e abbastanza distanziati. Tenete presente però che le quantità iù piccole si gonfiano con più facilità. spennellatene l’estremità con un pennello intinto nel tuorlo sbattuto. Cuocete nel forno per 20 minuti a 190° fino a che i bignè risultano dorati. Poi lasciateli nel forno spento e socchiuso per 5 minuti ad asciugare. Infine sfornateli, farciteli con la crema ai mirtilli servendovi di una tasca da pasticcere con bocchetta lunga e sottile, in modo da praticare un foro non troppo evidente, che potrete coprire eventualmente con la glassa.
Crema ai mirtilli per i bignè 1 l latte, 7 tuorli, 1 uovo intero, 150 g zucchero, 100 g farina, bustina di vanillina, 200 gr di mirtilli passati al setaccio Unite lo zucchero ai tuorli fino al formarsi di un composto omogeneo e morbido. Aggiungete la farina setacciandola con l’apposito strumento e mescolando in continuazione con un mestolo di legno per evitare grumi (nel caso si formino, tenete a portata di mano una forchetta e mescolate un poco con questa). Quando la miscela risulterà liscia e morbida, versate lentamente nel latte bollente contenente la vanillina ed i mirtilli passati al setaccio, mescolando sempre. Riportate il tutto ad ebollizione, su fuoco basso e mescolando sempre. Al raggiungimento del bollore, abbassate la fiamma e lasciate cuocere: potete regolare la densità della crema aumentando il tempo di permanenza in ebollizione da un minimo di 2 minuti ad un massimo di 4-5 minuti.
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ccanto alla Chiesa Parrocchiale, Morena Grossi, propietaria della panetteria e pasticceria “Il Forno Shop” in un giorno di settembre del 1998, intenta ad osservare il lento cadere delle foglie dell’Olmo trasportate dal primo vento autunnale, maturò subito in lei l’idea di creare un biscotto con quella stessa forma. Nascevano così “Le Foglie dell’Olmo”, biscotti di pasta frolla con un cuore di marmellata di albicocche, cioccolato, crema caffè, mirtillo e miele nella forma caratteristica a foglia ricordano le foglie di quell’olmo che ormai da decenni è il simbolo di Mergozzo. Accanto alle foglie dell’olmo la caratteristica “fugascia” (focaccia dolce), il “nocciolato di Bracchio” (piccolo amaretto), “l’amaretto di Mergozzo” e il “biscotto del nonno” e tante altre specialità, locali e non, completano la vasta gamma di golosità tra le quali è possibile scegliere. Novità del 2008 “Il Grappolo d’uva”: un biscotto di pasta frolla a forma di grappolo con un ripieno di gelatina di vino Bracchetto d’Acqui e vino Bacan delle nostre valli.
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SAGRE E FESTE APRILE
Aprile varzese
Balli, musica e buona cucina
MAGGIO
La vita tra i Leponzi e i Walser Mercatini Enogastronomici
1° Maggio a Ornavasso, festa degli antichi mestieri con passeggiata enogatronomica Nel borgo medievale di Vogogna
Festa delle ciliege Festa all’alpe Coipo Santa Vittoria Cravegna
Anzola d’Ossola Montecrestese Festa Patronale a Baceno Festa del paese
GIUGNO
da LUGLIO/ a SETTEMBRE Feste campestri
In tutta l’Ossola
LUGLIO
Fiera di San Bernardo
Macugnaga
AGOSTO
Sagra del mirtillo Torteria Sagra della patata Festa dell’Alpe Salecchio Alpe Devero
Bognanco Bognanco Montecrestese Montecrestese - Alpe Mottogno Ferragosto nel villaggio Walser Ferragosto: Festa degli Alpini
SETTEMBRE
Festa dell’uva Sagra del fungo Festa dul Scarghè Val Buscagna As mangia ‘n piazza
Masera Trontano, esposizione micologica e piatti tipici e carri allegorici Crampiolo - Alpe Devero Alpe Devero Ornavasso
OTTOBRE
Sagra delle castagne
Castagnate in tutta l’Ossola
NOVEMBRE
Sagra Mele e Miele Bontà d’Autunno San Martino
Baceno Domodossola Vogogna
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Ristoranti Consigliati Una selezione di ristoranti ossolani provati per voi, dove gustare i piatti e i prodotti locali. Vecchio Scarpone
Baceno
Via Roma, 48
0324 62023
Magenta
Bognanco
Via Cavallini, 40
0324 46595
Da Sciolla
Domodossola
P.zza Convenzione, 4 0324 242633
La Meridiana
Domodossola
Via Rosmini,11
0324 240858
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Domodossola
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0324 248470
Moncalvese
Domodossola
Corso Dissegna, 32
0324 243691
Gambrinus
Crevoladossola
Via Mazzorini, 6
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Buongusto
Crodo
Fraz. Mozzio
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Del Parco
Crodo
Via Vegno, 3
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Edelweiss
Crodo
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Pizzo del Frate
Crodo
Fraz. Foppiano
0324 61233
Cistella
Croveo
Loc. Croveo
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Walser Schtuba
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Loc. Riale
0324 634352
Aalts Dorf
Formazza
Loc. Riale
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Rotenthal
Formazza
Loc. Ponte
0324 63060
z Makanà Stubu
Macugnaga
Via Monte Rosa, 114
0324 65847
La Peschiera
Malesco
Via Peschiera, 23
0324 94458
Divin Porcello
Masera
Fraz. Cresta, 11
0324 35035
Gallo Nero
Montecrestese
Fraz. Pontetto, 102
0324 232870
C era una volta
Oira
Via Valle Formazza, 15 0324 33294
Lago delle Rose
Ornavasso
Via Pietro Iorio
333 982 9810
Ca del vino
Varzo
Via Domodossola, 2
0324 7007
La Tavernetta
Villadossola
C.so Italia, 4
0324 54303
Vecchio Borgo
Vogogna
P.zza Chiesa, 7
0324 87504
Pizzeria Roxy
Vogogna
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0324 87095
La rivista delle Valli dell’Ossola la puoi trovare qui...
BACENO: Comune e Uffico Informazioni - Meublè Isotta - Albergo Vecchio Scarpone - Ristorante Pizzeria Cistella - Albergo Ristorante Villa Gina • Alpe Devero: Rifugio CAI Capanna Castiglioni - Ristorante Casa Fontana - Bar Pensione Fattorini - Bar Pensione Funivia - Albergo Ristorante La Lanca - Casa Vacanze La Rossa - Agriturismo Alpe Crampiolo - Albergo Ristorante La Baita - Ristorante Bar Punta Fizzi, Alpe Crampiolo • BOGNANCO: Comune - Pro Loco - Albergo Edelweiss - Albergo Rossi - Hotel Panorama - Rifugio Alpe Laghetto - Yolki Palki Camping Village - Albergo Ristorante Da Cecilia - Rifugio San Bernardo • DOMODOSSOLA: Comune - Pro Loco Domodossola co. Stazione Ferroviaria - Edicola Via Binda - Bar Roma - Bar Mignon - Bar Milano - Bar Caffè Regina - Bar Moderno - Caffè del Borgo - Acosta Caffè - Caffè Vecchia Domo - Caffè Istriano - Caffè Bistrot - GVM sport - Edicola sul Corso - Edicola Ultime Notizie Via Binda - Lolli collezioni - Centro Commerciale Sempione - Ristorante La Meridiana - Bar Caffè Il Girasole - Edicola Via Galletti - Lucchini Foto Video - Residence Fiordaliso - Rifugio Lusentino - Edicola della Stazione - Buffet della stazione - Edicola Alagia Patrizia V. Giovanni XXIII - Simplon Caffè - Snack Bar Le Dune • DRUOGNO: Comune - Albergo Ristorante Stella Alpina - Bar Gelateria - Bar Tabacchi • CREVOLADOSSOLA: Alimentari Tomà - Ristorante Gambrinus - Ristorante C’era una volta - Circolo Oira - Bistrot S. Germain - Bar Vecchio Mulino • CRAVEGGIA: Comune - Bar Tabacchi Lo Spuntino • CRODO: Centro Visite Parco - Albergo Ristorante Buongusto - Comunità Montana Valle Antigorio Divedro Formazza - Albergo Ristorante Edelweiss - Albergo Ristorante Pizzo del Frate - Ristorante Bar del Parco • FONDOTOCE: Ristorante La Gallina che fuma • FORMAZZA: Comune e uff. Turistico - Albergo Edelweiss - Albergo Ristorante Pernice Bianca - Albergo Corno Brunni - Albergo Ristorante Rotenthal - Edicola Zarini - B&B Schtêbli - Bar Barulussa - Ristorante Walser Schtuba - Agriturismo Ross Wald - Ristorante Cascata del Toce - Rifugio Maria Luisa - Rifugio Città di Busto - Ristorante Igli • GRAVELLONA TOCE: Sportway Megastore e Sportway Kids • MACUGNAGA: Uff. Turistico - Hotel Cima Jazzi - Centro Sportivo - Funivie Monterosa - Bar Mignon • MALESCO: Comune - Pro Loco - Bar Orso Bianco - Ristorante La Peschiera - Bar La Sosta • MASERA: Alimentari e Bed & Breakfast Tomà - Ristorante Del Divin Porcello - Edicola tabacchi • MERGOZZO: Comune - Ufficio Turistico - Il Forno Shop - Gelateria Bar Aurora - Bar Calumet, Candoglia • MILANO: Monti in Città, Viale Monte Nero 15 • MONTECRESTESE: Osteria Gallo Nero - Bar Gufo’s • MONTESCHENO: Comune e Ufficio Turistico • NOVARA: Sportway • OMEGNA: Pro Loco - ArcaStudio Via F.lli di Dio • ORNAVASSO: Comune - Bar Beba - Bar Baraonda - Angel’s Caffè - Lago delle Rose - Edicola Tabacchi PALLANZENO: Edicola PREMIA: Comune e Uff. Turistico - Albergo del Ponte - Albergo Minoli Miravalle - Ristorante Pizzeria Giglio Azzurro - Albergo Monte Giove • PREMOSELLO: Comune - B&B Cà dal Preu - Bar Pasticceria - Supermercato Conad • PIEVE VERGONTE: Comune - Bar Hg • PIEDIMULERA: Comune - Supermercato Sisa - Bar Aurora - Bar Monterosa - Caffè Piemonte • S. MARIA MAGGIORE: Comune - Ufficio Turistico - Immobiliare Vigezzo - Centro Fondo • STRESA: Funivia Stresa Mottarone - Bar Idrovolante - Libreria Leone • VARZO: Sede Parco Naturale Veglia Devero - Hotel Sempione - Cartolibreria Borghi Wilmo - Ca’ del vino - Ristorante Edelweiss • VERBANIA: Tecnobar co. Palazzo della Provincia - Comune - Ufficio Turismo - Pro Loco - Bar gelateria Milano - Gelateria Isola del Gelato - Monika Incoming Service • VIGANELLA: Comune e Comunità Montana Valle Antrona • VILLADOSSOLA: Edicola Rinaldi G. - Comune - Bar Plaza - Bar Gelateria Settimo Cielo - Formont, Via Boldrini - Tabaccheria Pergrossi R. Via Sempione - Ristorante La Tavernetta - Ristorante Serenella - Supermercato Coop - Erica Arioli Fotografo - Bandidas Bar - Perez’s Pub • VOGOGNA: Comune - Bar Jolly - Tabaccheria Edicola - Easy English - Pizzeria Roxy - Motel Bar Ristorante Monterosa - Centro Calzaturiero - B&B Del Viandante - Supermercato Issimo. Per i nuovi punti di distribuzione: www.ossola.it
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anno II - numero 4 - 2009
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La rivista delle Valli dell’Ossola The magazine of Ossola’s Valleys
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