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www.overview.com Š 2010 per i testi Vincenzo De Cunzolo Š 2010 overview editore Padova, via Cesarotti, 8 Progetto grafico: Julian Adda
ISBN 978-88-904960-0-4
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Vincenzo De Cunzolo
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SUONI ROVESCI raccolta di poesie a cura di Santa Costanzo
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Ombre a specchio: la scrittura poetica di Vincenzo De Cunzolo Echi di eventi e persone che lasciano significative tracce affioranti nella memoria di chi ne tenta il racconto per immagini improvvise, lacerti di paesaggio, minimi eventi che ne hanno condizionato il tempo futuro o talvolta ricompaiono come ombre di un passato che non è rimasto propriamente passato: questo ritroviamo innanzitutto nella poesia di De Cunzolo, un passato che opera ancora nel presente: tracce, immagini, persone, tutte in un unico, lento, trascorrere. E’ su questo racconto senza trama che ci si deve interrogare leggendo De Cunzolo, perché quel suo “dire per sé”, cioè far emergere ricordi irrelati che il lettore non può riconoscere, comporta uno sforzo di interpretazione che implica, per un lettore anche smaliziato, la possibilità di uno scacco, di un mancato riconoscimento. Il ritorno accentuato al mondo degli antenati: Percorro la via/ degli antenati,/ Mi dissolvo nudo/ nella casa dei miei avi è insieme un viaggio liberatorio, di individuazione delle proprie radici, ma è anche la scoperta di un latente reliquiario dove perfino la terra, la sua Lucania, è ferita e dolore: Terra antica,/ passionale,/ riservata./ Tracimante/ dolore..., in un ‘cupio dissolvi’ che compare come punto centrale di questa poesia: Dormiremo/ nel campo santo, Saremo concime/ per fiori e fondali marini. 5
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E’ qui ancora più evidente, rispetto alla prima raccolta poetica di De Cunzolo Versi lucani, quanto aveva con chiarezza evidenziato la poetessa Santa Costanzo nel tracciare un profilo del poeta: La sua terra di Lucania lo ha forgiato nella creta dolente e lo ha animato con l’alito della solitudine. Tutto appena accennato, come per una condivisione aprioristica e una complicità inespressa e mai compiutamente esplicitata: é l’emergere di sensazioni di un tempo quanto mai lontano, che non ha perduto ancora la sua forza di attrazione e di emozione, a specchio con gli spazi ed il tempo del vivere. Questa che si potrebbe definire “scrittura a specchio” si appoggia al passato per far emergere le emozioni del presente ed è il modo per superare le molte resistenze ad un raccontare aperto e liberatorio; un racconto, quindi, per suggestioni, per passaggi interni, per immagini o velate metafore, un percorso tutto in ombra. L’analisi di uno di questi testi (Saliscendi) può esplicitare quanto detto: Salgo la scala/ incantato/ ferito ogni giorno./ Per tutta la vita/ la salirò/ se voglio alla fine/ scendendo/ toccare la terra. E’ ben evidente questo percorso di andata e ritorno o, se si vuole, di salita e discesa, ma il gioco ossimorico è presente anche nel contrasto incantato/ferito, ed è uno dei tanti riferimenti assolutamente privati, di cui soltanto il poeta potrebbe dare conto, con quel richiamo finale alla terra che può essere un ritorno alla realtà, dopo una fase di 6
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incantamento, ma anche quella ossessione, larvata ma pur sempre presente, alla fine di tutto. Sono soprattutto da rilevare nella scrittura di De Cunzolo l’asciutezza del discorso e la prevalenza della parola suggerita sull’esteriorizzazione del sentimento (come costrizione interiore o come liberazione?) che sono riflessi ed emersione di emozioni profonde su temi spesso riconducibili a delle triadi, appena sfiorate o soltanto nominate, come: amicizia/amore/solitudine, ombra/dolore/morte, antenati/cenere/memoria, sorrisi/carezze/mani, inganni/collegio/paure, speranza/ delusione/disillusione, seme/vita/poesia. Temi esclusivamente privati, come il riferimento al collegio e agli inganni, alle false carezze, alle parole di sacrestia, alle tenerezze perdute, si alternano a temi di valenza universale come la memoria, il dolore, la vita, la morte, temi che però rinviano immancabilmente al vissuto del poeta. Poesia, in sintesi, come parola ungarettianamente significativa, anche simbolicamente pregnante, che rivela un universo ricco di umanità, con un passato emozionale che riaffiora; ma il modo sorprende per quel dire in ombra, suggerire a specchio, far riapparire del vissuto quel che forse si sarebbe perduto nell’indistinto presente. ALESSANDRO CABIANCA
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Nota critica …Il terzo dito scivola/ sul bicchiere lustro/ e il mio archetto doma/ suoni rovesci. (Musicista) In questi versi è racchiuso il nucleo della poesia di De Cunzolo, e, al contempo, l’origine della sua ispirazione. Il dito che, scivolando sul bicchiere, semplice oggetto di uso corrente, genera suoni come se facesse vibrare un nobile strumento a significare che la melodia della poesia può sorprenderci provenendo da un dove inusuale, da oggetti ed eventi apparentemente scontati. La zingara colta nel suo divinare non sempre scevro da secondi fini (Fattucchiera Lucana), la scatola di latta che in origine conteneva le sarde sotto sale poi nobilitata a vaso per i fiori (La mia casa), le foglie d’autunno immagine della nonna morente (Gratitudine), bambini sordomuti che applaudono nel loro linguaggio gestuale (Amici silenti), la visita a luoghi religiosi o di storica memoria (Iraq, Istria, Gerusalemme, Gaza, Venosa, Ulivo di San Giovanni in Venere, Manoppello, Passaggio del Re, Polvere senza elmo), sono esempi di occasioni per l’ispirazione di De Cunzolo. Ma il suo archetto, il suo censore interiore, nascosto nei recessi dell’anima, “doma suoni rovesci”. Non ammette la libera espressione del 9
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più profondo sentire del poeta, opera una sorta di filtro ricacciando indietro quei “suoni rovesci”, quelle pulsioni che potrebbero essere dirompenti tanto da turbarlo esponendo alla mercè di tutti emozioni, pensieri, aneliti troppo privati, violando una intimità custodita con cura. E tuttavia l’urgenza di affrontare temi scottanti, come l’abuso sui minori o l’omosessualità o l’arrivismo senza scrupoli di chi calpesta la dignità e i sentimenti degli altri per i suoi obbiettivi, si fa sentire così prepotente che nemmeno il suo “archetto censore” riesce a fermarla. Nascono così poesie come Cicatrici, Incontro e Carezze, Logorio e Estate a Palazzo nelle quali De Cunzolo vuole placare, attraverso la poesia, il dolore che gli provocano eventi legati a questi temi. E lo fa adottando una sorta di espressione obliqua, allusiva, ricorrendo a metafore qualche volta, ad una prima lettura, di difficile accostamento all’evento reale perché, in questo modo, egli riesce a mantenere quel pudore che permea tutta la sua poesia e che ne frena, però, la libera estrinsecazione. Con l’espressione “suoni rovesci” De Cunzolo, inoltre, connota - critico di se medesimo - la sua poesia che si presenta con una metrica disarmonica, amelodica, se per melos intendiamo il canto del poeta. Egli infatti non è cantore in versi, la sua poesia è piuttosto un pianto a volte accorato, a volte nostalgico, oppure amaro, mai comunque un pian10
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to di gioia o un pianto liberatorio. Anche quando un barlume di serenità sembra sul punto di scacciare le ombre, dura solo un minuto: “L’ombra nascosta/ difesa dal freddo/ per un minuto/ brillò.” La poesia di questo Autore è pianto testimone di una sofferenza rattenuta, compressa, vissuta profondamente. Ne è segno il suo riferirsi con una certa frequenza alla morte, ai defunti, agli avi, alle anime che vede snodarsi in processione ed entrare nelle case. Ricorrono infatti spesso le parole come morte, avi, antenati, insanguinato, ombre, reliquie, dolore, paura, quasi che il nominarle possa alleviarne il peso che grava sull’anima. Diversamente avviene quando parla della madre: il pensiero della madre perduta, una prima volta con l’entrata in un collegio vissuta come un crudele allontanamento, ed una seconda per la sua morte, è il solo in grado di suscitare nell’Autore un lirismo spontaneo, sincero, senza veli né censura (Festa della mamma, Tenerezze perdute, Fiore mio). Avere dedicato il primo libro - Versi Lucani - “A tutte le madri” conferma, del resto, questa particolare sensibilità al legame madre-figlio. E’ difficile accostare questo tipo di poesia a quella di qualche altro autore perché tutte le caratteristiche illustrate fin’ora e, inconsapevolmente, evidenziate dallo stesso De Cunzolo, come osservato più sopra, rendono assolutamente originale il poetare di questo Autore inimitabile. 11
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Una analogia evidente mi pare possa essere invece trovata con un artista contemporaneo di fama internazionale Christian Boltanski, che, in campi diversi dalla poesia, come la pittura la scultura la cinematografia, si affida ad una poetica molto simile a quella di De Cunzolo: egli è interessato alla morte, alle memorie perdute, alle persone scomparse, cerca di riportare alla memoria i dimenticati, i derelitti impiegando forme artistiche diverse con tecniche varie e miste in un costrutto che interpreta, con una modernità perspicace, l’inquietudine dei nostri tempi. Nel 1990 in una intervista ebbe a dire: ”Noi tutti odiamo la morte ma nel contempo l’amiamo e l’apprezziamo. E’ Umano.” Ed ecco infine di nuovo De Cunzolo in Compleanno 2008: “Un fiore in più/ sull’albero disadorno”: un fiore germogliato su un albero d’inverno, spogliato dal gelo della sofferenza. Un albero che sembra l’emblema della solitudine e della tristezza, solitudine e tristezza che, tuttavia, sono linfa per qualcosa di vivo che promette un futuro di frutti. SANTA COSTANZO
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Suoni Rovesci
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Ai sofferenti incompresi
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La mia casa Sulla casa illuminata deboli ombre di mani di bimbi dopo il gioco. Ho appeso basilico riccio, spunta timido dal rame di sarde forato. Sulla facciata della mia antica casa ricordo calce viva tinta di celeste e l’ombra di quand’eravamo tutti uniti.
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Gratitudine Foglie caduche finite, morenti come mia nonna a baciare la terra.
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Venosa Cortine lucenti di spighe, sentinelle alla tomba del console.* In dono al passante cocci d’anfore e antichi pesi. Chi conosce la storia sa dove l’ombra sulle colline giace.
* Marco Claudio Marcello nel 208 a.C. fu attaccato nei pressi di Venusia rimanendo ucciso.
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Saliscendi Salgo la scala incantato ferito ogni giorno. Per tutta la vita la salirò se voglio alla fine scendendo toccare la terra.
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Passaggio del re L’estate tardiva vede per un solo giorno Crecchio alla finestra del castello.* Ribolle la guerra, nel bacile copto si specchia la luna insanguinata.
* Il Castello Ducale di Crecchio (CH) fu testimone della fuga del re Vittorio Emanuele III che vi si rifugiò l'ultima notte prima dell'imbarco dal porto di Ortona il 9 settembre 1943.
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Compleanno 2008 Un fiore in più sull’albero disadorno.
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Riservata terra Terra antica, passionale, riservata. Tracimante dolore, senza perderti d’animo, arrossisci, per l’incanto del creato.
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Ulivo venosino Il tuo grido interiore raggela le radici della primavera. Tenero ulivo incurvato dal vento trattenuto in esilio col nido dei cardellini. Quieto ti vedo e mutilato. Ti accarezzo, passando per caso con le mani ricche di sole. Prometto di scriverti storie di luce e tu, glauco, brilli tremulo. Ritornerai nelle argille lucane, dopo la solitudine un dolce richiamo di fratelli, abbellirà l’Incompiuta Abbazia.
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Sera imperatrice Nel grembo della sera lampi come antichi lumi sull’acqua. Il vino bagna desideri caduti, fiori di pesco. Dopo la pioggia mi specchio.
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Fattucchiera lucana Incide croci sul ventre del giorno. S’aggroviglia nelle tasche dell’esule morte. Monili di diamanti annoda, litanie bisbiglia e svela segreti. Zingara di notte sulle case disegna angoscia.
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Amici silenti Carosello di mani sorde dopo un’orchestrale colpo di scena, anche le foglie staccandosi dai rami applaudono vibranti.
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Farfalle Maggio, forte mese capace di incantare sentimenti in corteo come farfalle.
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Musicista Scarpe gialle ferme sulla sabbia. Scorre l’acqua come pensieri. La musica plaude alle onde che migrano. Il terzo dito scivola sul bicchiere lustro e il mio archetto doma suoni rovesci.
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Fiore mio Vorrei riavere mia madre per un istante offrirle un fiore vestito di solitudine, stretto al suo cammino mi illumino ogni giorno.
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Illusione Volevo donare a qualcuno un fiore per non soffrire e nessuno c’era. Appoggio su steli di lino, il mio dolore senza senso.
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Istria Sempre aperte le ferite degli esuli sulla nave senza ritorno. L’anima forestiera di mio padre porta speroni sui sentieri perduti. Nel nuovo paese ombre salate bruciano nella notte fuori dal bagaglio.
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Incontro Vestito di bisso sul calesse, fulgide le ali, con lo sguardo alla luna, trovò l’amato, un lillà tra i capelli. S’accostò la notte e rubò ogni cosa.
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Sull’amore Sul finire della notte in silenzio lievita il destino, pane dormiente nel ventre di donna. Nell’impasto una rosa amante cuoce ombrosa su legno di ulivo.
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Mio padre M’abbandono al silenzio della terra vinto dalle paure di giugno. Sulla trebbia intravidi un’ombra corsi a guardare, non c’era più. Il destino inciampò senza resistenza, nessuno lo trattenne.
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Famiglia di ieri Percorro la via degli antenati, mi dissolvo nudo nella casa dei miei avi. Amando guarisco. Vedo nelle anime il mio volto.
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Carezze Timide mani posate sul volto leggono emozioni sincere. Dipingono sorrisi.
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Mietitura Stringendo il nulla, tutto chiedo. Nel campo biondo di frumento la solitudine dissemina erbe parassite. Aspetterò giugno, non mi sfuggiranno: le separerò, le brucerò, ceneri nell’urna dei miei avi.
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Festa della mamma Ti specchi fiore reciso sul marmo e nella curva del sole profumi le mie visioni. Sempre ti cerco fortunata anima non sei sola. Ho nelle mani il tuo seme di speranza.
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Tenerezze perdute Sogno nella mia casa affetti in cerca di me. Dove sono andato ingenuo? Briganti mi hanno rinchiuso tra muri antichi sussurrando a mia madre parole di sacrestia per lunghi anni.
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Ulivo di S. Giovanni in Venere Cavo, rugoso, compagno dell’abbazia figlio di terra incontaminata, antico coscienza sul pendio ulivo le cui impronte il vento non cancella.
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Estate a Palazzo D’estate a sera, si dondola il gufo, sospende sulle tremule foglie di pioppo le gioie degli empi. Nelle terre abbandonate, alcova di serpi e mandorli maturi, storditi ricercano lumache.
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Perdere Falene volano nell’ombra emaciata. Celebrano nozze al buio. Si dibattono sulla rete della morte.
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Afflato Bocche sorprese a baciare un’unica rosa librata. L’amore abbandonandosi ai sensi illumina l’aritmetico giorno.
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Iraq Nella notte vedo intrighi, stormi d’ira inseguire ombre e migrare a oriente. La luna, cerimoniere dal viso rosso, si avvicina alla terra.
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Gaza Orme nuove di bimbi e tortore nel piccolo paniere.* Offrono al tempio un grazie alla vita. Guerra ruga dell’anima sull’orlo di tutta la terra.
* I genitori, secondo la Legge di Mosè, portavano al Tempio i primogeniti offrendo in sacrificio una coppia di tortore o di colombi. (v. Luca 2, 22-24).
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Gerusalemme Schegge di guerra riempiono l’animo di paura. Gemiti di volti sfioriti pendono dalle medaglie al collo delle madri. Accendo lumini su urne senza nome.
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Anime Salgono scale incantate le anime in silenzio. Viaggiano come lucerne con rami d’ulivo, entrano nelle case senza menzogna, raccolgono grano e vino di fichi per l’eterno riposo. Il gregge nel sentiero tortuoso veste il silenzio di lana.
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Logorio L’Angelus a mezzogiorno sveglia cicale, sereno il canto accarezza messi e vecchi pensieri distesi sulla sabbia. Cicatrici antiche sul volto, egoismi nascosti. Non corrodano le tarme del dolore il corredo pregiato della vita.
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Ombre a specchio: la scrittura poetica di Vincenzo De Cunzolo di ALESSANDRO CABIANCA
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Nota critica di SANTA COSTANZO
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Suoni rovesci La mia casa Poesia Gratitudine Venosa Saliscendi Paesaggio innevato Passaggio del re Polvere senza elmo Compleanno 2008 Riservata terra Da te Ulivo venosino Sera imperatrice Fattucchiera lucana Amici silenti Farfalle Musicista Luna rossa Manoppello Fiore mio Illusione La civetta Istria 69
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Incontro Cicatrici Sull'amore Mio padre Famiglia di ieri Novembre lucano Carezze Senza titolo Mietitura Novembre Festa della mamma Tenerezze perdute Ulivo di S.Giovanni in Venere Fanciullo Estate a palazzo Perdere Afflato Iraq Ascoltando Vivaldi Gaza Rughe Gerusalemme Anime Logorio
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finito di stampare nel mese di aprile 2010 da Peruzzo Industrie Grafiche - Mestrino, PD per conto di overview editore
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