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www.overvieweditore.com Progetto grafico: Julian Adda Fotografie: Alberto Andrian © 2007 per i testi Vincenzo De Cunzolo © 2007 per le immagini Alberto Andrian © 2010 overview editore Padova, via Cesarotti, 8 Progetto grafico: Julian Adda
ISBN 978-88-904960-1-1
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Vincenzo De Cunzolo
VERSI LUCANI
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Il respiro trattenuto delle cose
Quando i legami sono troppo forti, e anche il solo nominarli ripropone quel mondo di relazioni, di suggestioni e di soggezioni, di necessità si stabiliscono delle distanze, dei nascondimenti, per attenuarne l’ansia, e riconoscerli è compito assai arduo per il lettore, che a volte preferisce passare oltre senza soffermarsi sull’amore e sul dolore che vi si accompagnano. Indagare da questo angolo di visuale il legame di Vincenzo De Cunzolo con la sua terra, per come ci appare dai suoi versi, permette di leggere in trasparenza altri legami, che si lasciano appena percepire, per il senso di solitudine e d’inadeguatezza che li caratterizza. Questo primo libro di poesia di De Cunzolo (scelta felice da un vasto materiale magmatico, secondo i preziosi suggerimenti di una importante poetessa, Santa Costanzo) ci permette non tanto di aprire una finestra che dia luce sul suo mondo interiore, ma di intuire, indirettamente, molto indirettamente, un mondo ricco, profondo, che ancora non si sa pienamente disvelare. Versi che sono parole trattenute (esattamente il contrario del carattere estroverso, esuberante dell’autore), sussurrate, mai esibite, mai gridate, perfino intimiste: “Ogni giorno/ sussurro i miei pensieri/ al 5
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sole”. Occhi sorpresi che guardano le stelle, il sole, la luce come se mai li avessero visti, sguardo di fanciullo che enumera i propri passaggi per lenire gli strappi, le separazioni. La simbiosi uomo-natura è fuga dalle perdite: la distanza del padre: “Mio padre afferrato dalla terra/ s’allontana./ Io in mani estranee/ sento profumo di dolore”, la presenza dolorosa della madre: “... donna non stanca di soffrire” e, di seguito, la sua presenza-non presenza: “.. cerco/ e ritrovo una madre/ celata” e desolazione e dolore si ritrovano nel riandare al recente terremoto (1980) che ha colpito la sua terra. Dunque la natura è tutt’uno con la terra di Lucania, terra “solitaria”, “ingenua”, “sicuro nido”, “grano”, “sale”, “giardino”, “antico bosco” delle “radici familiari”, “... perenne/ malinconica giovinezza”, ma anche “... sale/ per uomini arsi”, terra spezzata e, cioè, terra di macerie: “La terra di crepe/ separò l’uomo dal bestiame/ e pianse”. C’è un testo che più di altri esemplifica il mondo interiore di De Cunzolo, è la poesia dal titolo “Le siepi lucane”, che ai temi già citati aggiunge il senso del lutto, lo smarrimento di fronte all’ignoto e l’autorassicurazione del rivedersi comunque fanciullo, e fanciullo innocente: “Sono stanco ulivo odoroso/ fiorito a valle/ ai piedi di Pietrapertosa/ e corro fanciullo/ inseguito dalle paure,/ innocente”. Anche più emblematico è l’inizio della stessa poesia: “Le siepi lucane/ si uguagliano/ a donne in lutto”. 6
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Dalla terra all’io e dall’io alla terra, con alcune importanti varianti, dai cenni a colpe, peccati, pene, tormenti, malattie, ferite, dolori sul versante dell’io ed anche al forte legame con le figure amiche, le sorelle innanzitutto e poi i luoghi, Acerenza, Trasano, Monticchio, ai temi legati alla terra come il lavoro del contadino: “Gli darà conforto il chicco?” o lo scaltro lavorio dell’usuraia: “Fra tutte/ a spigolare i fatti/ della gente/ Marietta l’usuraia”, alle distruzioni del citato terremoto, alle violenze e alle uccisioni delle recenti guerre, il tutto visto con attenzione dolente e partecipata o con sguardo dolce, rasserenante. In questa raccolta autoantologica si possono individuare due percorsi, due fasi, la prima, più lontana nel tempo, più intima e personale, quasi un diario di sensazioni: “Seducente fiore di pesco/ ferito nel cuore/ nell’ora più delicata/ del giorno”, la seconda, più detta e meno trattenuta, ed anche più pacificata: “Dall’alto di un antico castagno/ ammiro/ il monte ombreggiato di nuvole/ e la luce più luce”. E’ una poesia che si appresta ad osare, per superare il gioco del nascondimento, e che, sul piano stilistico, vive di accostamenti imprevisti di parole che, cozzando tra loro, esprimono uno stato d’animo o una interpretazione della realtà in modo indiretto, ellittico: “La terra di crepe ... pianse”, “... io resto con perdita/ vivo...”, “... nei luoghi crudi della memoria”, “Trascino,/ animo gitano,/ onde fino al mare/ e le 7
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disperdo” ma che non intende sfuggire al confronto con il reale ed è, nell’insieme, una poesia di dolcezza, di dolore, di amore e di malinconia. ALESSANDRO CABIANCA
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Versi lucani
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A tutte le madri
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La luce dell’innocente Bimbi dimenticati davanti alla mia porta. Come la pioggia e il gelo guardano sui rami le timide gemme così io la luce dell’innocente dal mio balcone. Difenderò l’amore e non permetterò il male. Ogni giorno sussurro i miei pensieri al sole.
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Adolescenza Io abete ferito senza madre verso il cielo saluto l’adolescenza. Nello stesso bosco di Francavilla mi ride dentro.
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Il conforto dei pellegrini Prego solitario sotto l’antico olmo di Taccone alto tre volte me stesso col vento e la luna. Vedo accostarsi ombre repentine e voci allegre trascinate dal turbine. Sono i pellegrini di S. Rocco, superato il Bradano in piena, prossimi a Tolve, infervorati alla vista della croce; dimenticano la fatica e scalzi iniziano a pregare: “S. Rocco è figlio di regnante era ancora fanciullo quando partì servo di Dio”.
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Lucania Petra Lucania, sei grano a tenaglia di serpe, sale per uomini arsi.
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Magica notte palazzese Sulle radici familiari dell’antico bosco con gesto garbato ho trattenuto nella notte le stelle. Un angelo fiero amico dell’infanzia si leva tra le querce, testimone della fede appena germogliata.
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Balvano* Il ruggito della terra sconvolge la fede. All’aurora cerco tra le macerie altri martiri. Scorre pianto e sangue sul grigiore di regole ataviche.
* Paese della Lucania sconvolto dal terremoto del 1980.
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Alla conquista di Padova Abito insieme alle rose di Raab la terra di Giosuè. Per sei giorni sotto il celeste cielo mi fermo a contemplare il sole. Sono al centro dell’universo? Che importa? Quando la luce splende mi apro con tutta la bellezza all’altro e il muro cade al suono dell’ariete favorisco gloria alla mia città.
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Madre Madre donna non stanca di soffrire sei quercia nel rigido giorno d’inverno. Ora non parli trainata da giganti dolori, viaggi. Solo fra tanti penso a te la tua vita è luce e sorrisi copiosi e il mio cuore addormentato sul tuo giura di stringerti ancora.
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Crepe Era un giardino quando caddero i castighi. La terra di crepe separò l’uomo dal bestiame e pianse. La triste canzone di fisarmonica rotta annuncia che è morte, io resto con perdita vivo contratto come mandorlo di fiore secco.
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Le siepi lucane Le siepi lucane si uguagliano a donne in lutto. Sono stanco ulivo odoroso fiorito a valle ai piedi di Pietrapertosa e corro fanciullo inseguito dalle paure, innocente.
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Pena di morte Pilato alla verità senza risposta cede all’applauso. L’innocente porta il sangue d’America sulla nobile croce. Martire insultato e sbeffeggiato nella cella dell’inimicizia solo rancore e sterile seme.
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Terra ingenua Lucania terra d’orzo ingenua vestita di sole, perenne malinconica giovinezza, io stesso sorpreso ti porto nel mio spazio nostalgico per l’esilio notturno. Magnifichi ovunque il mio cuore chiaro ospite di nuovi cieli accogliente la tua timorosa grazia.
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La vigna abbandonata Il contadino di Pietragalla zappando fra i solchi, il sole allo zenit, grondante sudore, bagna la vite. Gli darĂ conforto il chicco? Lascia il campo dissodato, in attesa di nuove mani.
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Sera d’agosto Si muove lenta in questo paese la calura. Fra tutte a spigolare i fatti della gente Marietta l’usuraia.
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Nozze di Sodoma Mi hai bendato e a poco a poco le mie pene ti ho confessato in singhiozzi; l’angoscia si è sciolta come il sale di Sodoma. E mi pesi e ripesi tenendo in poco conto il mio peccato.
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Sgarbo all’adolescenza Grandi e titubanti le cosce del forestiero si posarono su di lei. Dal suo vestito sgualcito uscì la verità, brutale desiderio! Vergogna trattenuta. La colpa come deserto rubò terra fertile e tu sempre verde urlasti come Dina, figlia di Giacobbe, portata a cavallo nei luoghi crudi della memoria.
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Angela Seducente fiore di pesco ferito nel cuore nell’ora piÚ delicata del giorno. Contemplo quieto il trapasso del vento.
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Spirito lucano Trascino, animo gitano, onde fino al mare e le disperdo. Sorrido a ogni passo. Sui fili del pensiero prosperano inebrianti fiori. Con un solo sguardo nascosto fra i rovi di Acerenza vedo villaggi e uomini in lotta.
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Gente lucana L’ho maritata la figlia mia e l’ho accompagnata pure all’altare. Crepino d’invidia tutti quelli che l’hanno schernita. La figlia mia è come la Madonna, ha solo pianto il mio peccato d’adultera.
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H.I.V. È malato il mio amico forte, felicità dolorante gioia trattenuta dall’insetto sull’acino dolce di moscato. Domani sangue scorrerà libero e sarà raccolto in sfere di cristallo.
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Crisi Se non ricostruisci il tuo tempio distrutto chi lo edificherĂ per te? Non darmi colpa ho detto solo una parola in piĂš.
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Volo pindarico Perdo me stesso nei tuoi ardenti baci. Volano nel cielo di rose Anime scambiate. Ti sei persa anche tu. Folle l’amore ci ha confusi senza memoria.
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Amore per un’amica Salve bellissimo fiore di Lucania, ninfa della notte, d’Eurialo amica. Mi cresce la passione e ti strappo folle al tuo uomo, ardo senza ragione, bacio le tue oneste labbra.
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Per un amico perduto Dalla ginestra atterrita gronda sangue. Io, vento turbato desideroso di gemme, porterò rugiada e luce. Risanerò la piaga.
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Monticchio Dall’alto di un antico castagno ammiro il monte ombreggiato di nuvole e la luce piÚ luce. Vedrò i miei giorni sulla strada del ritorno?
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Sogno Madre, nel sogno, come una bambina ti portavo sulla giostra. Avevi freddo e ti prendevo in braccio, ti accarezzavo e tu sempre piÚ piccola diventavi. Oggi sveglio so che sei l’essere che nutro e conosco.
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Solitudine Si cela la solitudine sotto un manto di perle. Ha occhi di buio e corpo di vento sulfureo. Passioni senza padrone svelano nell’erotismo delle tenebre i mostri gemellati dalle ombre. Sputerà il giorno i suoi prigionieri mentre in lotta con la prova cerco il volto dell’amore.
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Per legami interrotti Per legami interrotti pi첫 memorie sorridono. Nella mia strada acqua corrente nuvole di glicine tavole imbandite roveto ardente.
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Cedro altezzoso Sono cedro altezzoso caduto ai piedi della Trinità.* Dopo la clausura senza dote la castità mi cambierà in angelo.
* Chiesa della S.S. Trinità di Venosa che sorge sul Tempio di Venere.
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Un profilo di Vincenzo De Cunzolo
Nato a Palazzo San Gervasio nel 1959, sesto di otto tra fratelli e sorelle, Vincenzo De Cunzolo, medico, vive e lavora a Padova dove si è trasferito nel 1978. La sua vita è stata funestata dalla perdita prematura di un fratello e di una sorella e, in seguito, anche dei genitori, eventi questi che hanno lasciato nella sua anima ferite profonde quanto profondo era il suo affetto per i congiunti precocemente scomparsi. E queste ferite hanno influenzato intensamente la sua poesia: “versi che sono parole trattenute”, come acutamente osserva il prefatore Alessandro Cabianca, quasi a volere pudicamente velare la sofferenza, come è nel modo di essere della gente lucana che non grida e non drammatizza il dolore per ottenere l’attenzione e la solidarietà degli altri, certa che il suo problema sarà percepito da chi, spinto dall’amore e dallo spiccato senso di umanità che distingue quel popolo, si dedicherà, con spontanea empatia, al sofferente. Questo altruismo disinteressato ha caratterizzato tutta la vita dell’autore che fin da bambino, insieme alla sua famiglia, si dedicava ai piccoli degli orfanotrofi, ospitandoli, educandoli, nutrendoli di cibo e di attenzioni durante il giorno per poi riaccompagnarli in istituto per il riposo notturno. Da adulto, questo straordinario esercizio 59
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all’altruismo si è manifestato attraverso l’assistenza agli immigrati, agli studenti stranieri, a chiunque manifesti uno stato di bisogno. Questa propensione verso gli altri però è vissuta in sordina, senza clamore essendo per De Cunzolo un suo modo di essere e di vivere. Ci sono dei versi di un affermato poeta lucano, Antonio Avenoso, che sembrano pensati proprio per descrivere la poesia del nostro autore che rispecchia la sua modalità interiore: Trasmigra sempre la gente di Lucania Continui andirivieni Tornanti ortodossi Verso stanche mete. Non traspira la parola Ribollente di brina, arida la terra nell’anima e paura di parlare. Il fioco respiro che non avverto. Rattenuta, pudica, gelosa dei suoi significati fino al punto di lasciarli baluginare con molta parsimonia, la poesia di Vincenzo De Cunzolo sceglie temi quali il dolore, la morte, la solitudine, in coerenza con il vissuto personale, con gli eventi che hanno colpito la sua terra e con fatti sociali che egli puntualmente registra e descrive nei suoi versi: la madre sconsolata per la morte del figlio fra le onde che, bevendo 60
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l’acqua marina, ristabilisce un legame con il figlio; la donna di facili costumi che, avendo sposato con un uomo per bene la figlia, si sente per questo riabilitata; l’usuraia che tiene in gran conto le informazioni che le vengono dai pettegolezzi del paese. Per chi conosce e frequenta il poeta, questa è una vera sorpresa, un inaspettato coup de thèatre. De Cunzolo infatti appare assolutamente estroverso, sempre circondato da innumerevoli amici, la sua casa costantemente aperta a visitatori dell’ultim’ora, la sua tavola sempre imbandita per chi vuole favorire, il suo telefono in continua fibrillazione trillante. Tutti lo cercano, lo invitano e lo ammirano. Lo ammirano per quella generosa levità del suo fare, del suo dire senza confini, senza limiti e per quel suo stile da “signore del castello” che nella società odierna è raro e perciò prezioso. Poi, capita di leggere i suoi versi e il personaggio (perché De Cunzolo è un personaggio) cambia completamente. La sua terra di Lucania lo ha forgiato nella creta dolente e lo ha animato con l’alito della solitudine. Lo dice lui stesso: “Si cela la solitudine/ sotto un manto di perle”. Si cela sotto il suo apparire spensierato e lieto, e pervade tutta la sua poesia (o tutta la sua vita?). Così, ancora una volta in contrasto con ciò che appare, egli parla spesso della morte in relazione alla perdita dei suoi cari, in relazione agli eventi catastrofici che negli anni ottanta colpirono la sua 61
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terra e si chiede “A chi serve la morte?”, “Vedrò i miei giorni/ sulla strada del ritorno?” e, quasi a volere esorcizzare un senso del finire che lo pervade, “Mi rimargino al sole”, e ancora “Lascia il campo dissodato,/ in attesa di nuove mani”, “L’arcangelo,/ baciata l’aria,/ mi darà fiducia”. Certamente, se crediamo che la poesia è verità, dobbiamo allora dire che questo è il vero, autentico De Cunzolo al di là della sua apparenza sfavillante. E, a riprova del fatto che questa osservazione è centrata, lo stesso autore fa di tutto per non svelarsi completamente, per non mettere a nudo le profondità del suo sentire che sicuramente nasconde ricchi giacimenti di poesia e poesie che verranno alla luce dopo che sarà arrivato a compimento questo tardivo ma, appunto per questo, coraggioso atto di donare finalmente agli altri pubblicamente il suo sentire poetico. SANTA COSTANZO
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Un mondo interiore
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Fotografie di Alberto Andrian
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Il ritratto di Vincenzo De Cunzolo è della pittrice Beatrice Bandarin.
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Il respiro trattenuto delle cose di ALESSANDRO CABIANCA Versi lucani La luce dell’innocente Distacco Adolescenza Il conforto dei pellegrini Lucania Magica notte palazzese Balvano Terremoto Alla conquista di Padova Madre Crepe Infanzia perduta Le siepi lucane Primavera dopo il terremoto Ai piedi del Vulture Per un bambino annegato Pena di morte Terra ingenua La vigna abbandonata Sera d’agosto Più dolce del miele Nozze di Sodoma Sgarbo all’adolescenza Sorella Angela Spirito lucano Gente lucana 79
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Maggio H.I.V. Chantal Crisi Violenza Volo pindarico Amore per un’amica Per un amico perduto Monticchio Resurrezione Sogno Esorcismo Solitudine Riflessioni Ricerca Per legami interrotti Vento di Oppido Cedro altezzoso
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Un profilo di Vincenzo De Cunzolo di SANTA COSTANZO
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Un mondo interiore di ALBERTO ANDRIAN
finito di stampare nel mese di aprile 2010 da Peruzzo Industrie Grafiche - Mestrino, PD per conto di overview editore
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