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PROGETTARE SCUOLE TRA PEDAGOGIA E ARCHITETTURA Beate Weyland Sandy Attia


Autore Beate Weyland Sandy Attia Le due autrici condividono l’impostazione complessiva e i contenuti dell’intero testo; Beate Weyland ha realizzato i capitoli della parte I e III e il capitolo II.1, Sandy Attia ha realizzato i capitoli della parte II e il capitolo III.2. Il paragrafo III.1.3 è di Sonia Ziliotto. Il testo in appendice è di Mario Falanga. Foto Marco Pietracupa Layout e grafica Manuela Dasser © 2015 Edizioni Angelo Guerini e Associati SpA via Comelico 3 – 20135 Milano www.guerini.it e-mail: info@guerini.it Prima edizione gennaio 2015

Printed in Italy ISBN 978-88-8107-369-6 Pubblicato con il contributo della Libera Università di Bolzano Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/ fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633. Le fotocopie effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da CLEARedi, Centro Licenze e Autorizzazioni per le Riproduzioni Editoriali, Corso di Porta Romana 108, 20122 Milano, e-mail autorizzazioni@clearedi.org e sito web www.clearedi.org.


PROGETTARE SCUOLE TRA PEDAGOGIA E ARCHITETTURA Beate Weyland Sandy Attia

A Hans, padre e amico che ci ha mostrato l’eleganza e la dignità delle mille prospettive sul mondo


INDICE

INTRODUZIONE Storie da raccontare 8/ CONCLUSIONE Progettare scuole originali 238/

I

STORIA DI UN DIALOGO 13/

I.1

La nascita dell’idea: cosa c’è tra pedagogia e architettura 14/ Il fascino dell’intersezione 18/

I.2

MANIFESTO scuole da reinventare 240/ APPENDICE La normativa in materia di edilizia scolastica in Alto Adige. Ricognizione giuridica ed elementi di analisi 242/

Il percorso della ricerca 22/ L’Alto Adige: un contesto vivace 23/ Oggetto dello studio 25/ Itinerario e tappe 25/

I.3

Esperienze e incontri 32/ Memoria di scuola 34/ Gli oggetti che parlano 38/ Ipotesi di formazione 42/ Reti nazionali e internazionali 45/

BIBLIOGRAFIA 248/

I.4

La scuola è un tutto 52/


II

UN VOCABOLARIO IN COMUNE 55/

II.1

Sulle tracce delle parole 56/ Forma-azione 58/

III

COME NASCE UNA SCUOLA: PROCESSI PROGETTUALI 151/

III.1

Questioni di prospettiva 152/ Il dirigente e l’architetto: due teste a confronto 158/

Spazio 61/ Flessibilità 66/

Il committente: la borsa della scuola 164/

Bellezza 70/ Innovazione 73/ II.2

Le parole in azione 78/ Egna: la scuola appartiene a noi! 80/

I bambini: sensazioni ed emozioni 172/ III.2

L’aula 184/

Terento: il benessere condiviso 90/ Funes e Vipiteno: le due facce della bellezza 102/ Monguelfo: la scuola laboratorio 116/ San Leonardo: uno spazio continuo 124/ Silandro e Rosslauf: tra apertura e chiusura 132/ II.3

I tempi della scuola e i tempi dell’architettura 146/

I luoghi della contestazione 182/ Lo spazio di mezzo 198/

III.3

Progettare insieme 208/ Dalla progettazione partecipata alla progettazione condivisa 210/ Il concorso per la scuola di San Martino: nuovi nomi per nuove funzioni 216/ Partire dalla pedagogia: il mediatore e il piano pedagogico per l’Istituto Comprensivo di Merano I 228/


Introduzione

INTRODUZIONE STORIE DA RACCONTARE

Un edificio scolastico racconta una storia. È un testo che trasmette un patrimonio di cultura, l’immagine che una società intende tramandare di sé ai propri eredi. Come la scuola, l’edificio che la contiene educa. E come il maestro, l’architetto insegna. Scotto di Luzio 2013

Non è mai un caso che, quando un Paese esce da un conflitto, una delle prime azioni che si promuovono è la costruzione di una nuova scuola. In qualche modo la scuola significa riconciliazione: è il primo luogo in cui la pace, il benessere e la fiducia nel futuro trovano concreta espressione. Non solo, l’atto della costruzione in sé significa collaborazione, la fatica fisica di costruire smaltisce gli errori passati e allontana tutto ciò che occlude l’ottimismo nel domani. Infatti spesso il benessere della scuola è percepito come il barometro di una società: se la scuola funziona e gli alunni imparano allora la società è sana. Nel contesto italiano, come in quello di molti altri Paesi, una tra le prime azioni politiche dei nuovi Governi è spesso quella di occuparsi della valutazione del patrimonio scolastico. Lo stato degradato degli edifici scolastici è riconosciuto come il sintomo di un Paese ammalato e le prime risposte per uscire dalla regressione e dare una spinta al 8


rinnovamento si trovano nella scuola — “rammendare le scuole” vuole dire curare la società. Talvolta le soluzioni tecniche affrettate che si impongono dimostrano una lettura della scuola e dei suoi edifici come una somma dei suoi costituenti materiali, dimenticando invece che ogni edificio scolastico è anche un racconto. Spesso nei documentari che riguardano certi Paesi rurali in via di sviluppo o in piccole comunità indigene si celebra il racconto della nascita di una nuova scuola come un atto di collaborazione offrendo, sguardi ben oltre le sue mura. In generale invece, nei nostri contesti, questo racconto rimane per lo più intrappolato tra i soggetti che hanno contribuito alla progettazione di un edificio scolastico e va disperso pian piano nella memoria degli individui coinvolti, una volta che la scuola apre le sue porte. Eppure la storia già vissuta di un edificio scolastico prima della sua apertura offre una complessa cartografia di impulsi, relazioni e processi utili da studiare per poter affrontare la progettazione delle scuole. Questa cartografia è fatta di terreni contestati con confini labili e si compone di numerosi soggetti, enti e istituzioni che svolgono un arduo percorso per trovare un consenso sulla scuola che deve nascere. In Alto Adige, una provincia autonoma considerata come un’eccezione sul territorio italiano, per la capacità di convogliare risorse e per il gusto per l’architettura contemporanea, le scuole sono state sottoposte a un’accurata e costante riqualificazione fin dagli anni Settanta. Nel 1976, quando l’amministrazione provinciale inizia a visitare e raccogliere la documentazione delle strutture scolastiche tra fondovalle e alta montagna, i primi passi fatti lasciano traccia di un pensiero ben preciso. Il rinnovo degli edifici ha l’obiettivo di condurre la scuola da ambienti poco adatti, spesso improvvisati, a strutture a pari passo con l’architettura contemporanea. Lo strumento del concorso di architettura gioca un ruolo fondamentale nello sviluppo di questa strategia ed è affiancato da due edizioni di revisione e adattamento delle normative nazionali di edilizia scolastica. D’altro canto, lo sviluppo della scuola dal punto di vista pedagogico rivela un percorso meno lineare. Oscillando tra pressioni politiche e forti cambiamenti nell’organizzazione della società altoatesina, il sistema formativo consuma le sue energie sui dibattiti linguistici, ruotando intorno alla complessità delle culture plurali sul territorio, rallentando l’apertura verso nuovi impulsi già sperimentati altrove. Le tracce dell’innovazione non mancano anche grazie all’influsso della cultura d’oltralpe, che ha consentito l’affermazione anche presso alcune scuole pubbliche dell’approccio montessoriano e steineriano e la diffusione di metodologie ispirate all’attivismo nordeuropeo (Freinet, Kerchen9


steiner). Eppure la scuola fatica a scardinare il modello, fino a poco tempo fa indiscusso, dell’organizzazione gerarchica e direttiva della relazione tra insegnante-allievo e sapere. Raccontare la storia della nascita di alcune scuole in Alto Adige consente di ripercorrere i pensieri che hanno guidato l’amministrazione alla scelta di puntare sull’architettura di qualità per richiamare l’attenzione internazionale proprio sul patrimonio scolastico e offre la possibilità di rintracciare i pensieri che stanno conducendo le scuole a trasformare i loro modelli pedagogico-didattici. Soprattutto è un modo per avere memoria di un tracciato che è nato da una semplice richiesta: “abbiamo bisogno di una nuova scuola”, e che ha messo insieme diversi soggetti, con competenze e background culturali differenti. Il racconto è capace di creare simulazioni della realtà e della storia tali da poter formulare, discutere e condividere giudizi che non riguardano solo la sfera della ragione, e dell’oggettività, ma che comprendono anche le dimensioni emozionali, estetiche, etiche (Dallari 2004). Lo sforzo di comprensione reciproca e l’impegno per realizzare queste scuole sono l’oggetto privilegiato di questo studio. Questo libro descrive un percorso di ricerca condotto in Alto Adige sulla relazione tra pedagogia ed architettura nel processo che porta alla costruzione o ristrutturazione di una scuola. La ricerca “Tra pedagogia e architettura”, finanziata dalla Libera Università di Bolzano, Facoltà di Scienze della Formazione, è stata condotta dal 2010 al 2014 in collaborazione con Sandy Attia e Matteo Scagnol, dello studio ModusArchitects-Bressanone. La prima parte del volume indica le coordinate entro le quali si colloca lo studio. Offre una panoramica sulla nascita dell’idea di riflettere insieme sulla scuola dal punto di vista progettuale e didattico; definisce il contesto della ricerca, analizzando la particolare organizzazione scolastica bilingue del sistema altoatesino; i piani di intervento nel campo dell’edilizia scolastica e le relative normative sono elementi fondamentali per comprendere le tematiche della ricerca. Il percorso metodologico adottato, con il suo itinerario e le sue tappe danno la cornice di riferimento al lavoro, che in questi anni si è aperto sempre di più verso nuovi orizzonti di dialogo e di scambio, di riflessione e di azione. La seconda parte del volume intende trovare un vocabolario in comune tra pedagogia e architettura e presenta i casi di studio alla luce delle tematiche fondamentali individuate nel dialogo della ri10


cerca. È importante individuare un linguaggio che eviti il tecnicismo di procedure e appalti e l’inacessibilità del discorso pedagogico. Ragionare quindi sull’etimologia di parole semplici, sulla bocca di tutti, quando si parla di scuola e di progettazione, consente di individuare vocaboli con un respiro poroso, che amalgama i linguaggi specifici dell’architettura e della pedagogia, scardinando i preconcetti. Nell’universo dei concetti possibili emergono alcuni termini che possono fare da ponte tra i due mondi: forma-azione, spazio, flessibilità, bellezza, innovazione. Lo sforzo è quello di tracciare il fil rouge di un vocabolario in comune per descrivere i casi di studio evidenziando i diversi punti di vista, e lasciando emergere dalle parole degli intervistati alcuni argomenti da non sottovalutare nel momento progettuale. Chiudendo sulla problematica dello sfasamento del tempo come fonte di tensione e sfida tra pedagogia e architettura si ragiona sulle possibili modalità per reinventare il legame tra tecnica e arte di vivere e sugli elementi della coscienza e responsabilità come strumenti pedagogici per rivoluzionare il modo di fare scuola. La terza parte del volume è dedicata ai processi della progettazione, che vanno dal momento dell’individuazione del bisogno fino all’edificio abitato. Si evidenziano le diverse prospettive attraverso le quali pedagogia e architettura osservano uno stesso oggetto, la scuola, richiamando le sollecitazioni culturali offerte dal famoso video degli architetti Eams Power of Ten del 1967 e le illustrazioni di Zoom di Istvan Banjai, che hanno descritto bene come una stessa cosa può essere vista da punti di vista diversi, cambiando a volte di molto le qualità dello stesso oggetto di indagine. La polarità delle prospettive dal piccolo al grande e dal grande al piccolo, con le sue sfumature e i suoi infiniti dettagli, indicano come i pensieri di ciascuno siano momenti di un unico processo e di un’unica realtà. In particolare si presentano le voci dei diversi soggetti che partecipano al progetto di una scuola, rilevandone le caratteristiche e qualità specifiche e si indagano i due luoghi più contestati nella relazione tra utenza (scuole) e architetto: l’aula e lo spazio di mezzo. Infine si descrivono due buone pratiche di progettazione condivisa, per individuare gli elementi che possono attivare un buon processo. Progettare scuole è un processo di guarigione. È come dare risposta al bisogno di prendersi cura gli uni degli altri. È il terreno comune per dare forma a qualcosa di nuovo, il seme del futuro. Con questo libro apriamo il discorso su un atto creativo fiducioso e aperto al mondo che verrà. 11


PEDAGOGIA E ARCHITETTURA 14/ 18/ IL PERCORSO DELLA RICERCA 22/ 23/ OGGETTO DELLO STUDIO 235 ITINERARIO E TAPPE 25/ ESPERIENZE E INCONTRI 32/ MEMORIA DI SCUOLA 34/ GLI OGGETTI CHE PARLANO 38/ IPOTESI DI FORMAZIONE 42/ RETI NAZIONALI E INTERNAZIONALI 45/ 52/


STORIA DI UN DIALOGO


Storia di un dialogo ~ I. 1 ~

LA NASCITA COSA C’E TRA PEDAGOGIA E ARCHITETTURA

Intorno al mondo della scuola è in atto un processo che intende promuovere un generale rinnovamento degli spazi e delle didattiche. Si parla di nuova cultura dell’apprendimento e di qualità pedagogica dell’architettura scolastica, di competenze interdisciplinari e di benessere negli ambienti formativi. Alle riflessioni sul software della scuola s’iniziano ad affiancare indagini sull’hardware che la informa. Questa ricerca si basa sull’assunto che il processo di innovazione della scuola non è un fatto generalizzabile, bensì il frutto di pensieri ed azioni molto concrete in cui pedagogia e architettura hanno a pari merito un ruolo fondamentale. La scuola ha una struttura fisica all’interno della quale si realizzano i processi della trasmissione ed elaborazione di un patrimonio culturale. Come tale è un testo che scrivono insieme sia il dirigente e il corpo docente sia l’architetto, supportati dalle amministrazioni locali che ne definiscono la possibilità. I fattori che entrano in gioco in questo processo di scrittura corrispondono alle idee che hanno guidato la nascita del progetto di ricerca.

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Una questione di tempo La scuola è un edificio che permane nel tempo, all’interno del quale si succedono generazioni di ragazzi, insegnanti e dirigenti. La progettazione di questo edificio non può più essere né seriale né casuale. Quanto più è il frutto di un pensiero sia pedagogico che architettonico originale, contestualizzato e preciso, tanto più resiste nel tempo e si connota per la sua flessibilità, ovvero per la sua capacità di piegarsi alle naturali trasformazioni della società. Il tempo è anche la categoria del processo che conduce alla nascita di una scuola: decisioni da prendere entro certi termini, incontri da fare in determinati momenti, azioni da svolgere in specifiche situazioni. Ripercorrere quello specifico lasso di tempo, troppo spesso dimenticato una volta che la scuola ha il suo edificio e inizia ad essere abitata, offre uno squarcio sulle difficoltà e i bisogni di dirigenti e team insegnante, architetti e committenza, determinati dai diversi background culturali, di visione e di organizzazione funzionale dell’esperienza, e fa luce sulle condizioni entro le quali è possibile stabilire buoni rapporti di collaborazione.

Il fattore pedagogico dell’architettura Quanto più ciascun istituto scolastico costruisce un profilo pedagogico e didattico originale, giustificato e condiviso, che riflette l’unicità del suo contesto, dei suoi utenti, dei bisogni specifici e che sta alla base dei progetti e delle proposte ad hoc, espressi compiutamente nel Piano dell’offerta Formativa, tanto più questo può trovare riscontro nell’architettura che lo informa. L’architetto ha un importante ruolo pedagogico nel processo di costruzione e ristrutturazione della scuola, perché oltre ad interpretare i desiderata, può offrire soluzioni non pensate e non richieste, quindi inaspettate, che spezzano gli schemi dei modi abituali di concepire e fare la scuola. Il dialogo tra gli intenti della pedagogia e gli impegni dell’architettura conferisce coerenza e qualità alla scuola perché definisce un sistema di interrogazioni e rimandi, interpretazioni e validazioni a sostegno dei reciproci sforzi progettuali.

Un quesito in comune: quale scuola progettare? Esplorare ciò che sta tra l’architettura e l’educazione e come entrambi si influenzano tra loro è già da tempo un campo di indagine aperto. Le esperienze di Herman Hertzberger (2008), dall’analisi della classe come dominio privato o come spazio condiviso nelle open schools, alla riflessione sulla scuola come micro città e allo stesso tempo sulla città come macro scuola, hanno promosso l’approfondimento della relazione tra spazio e apprendimento, che in questi anni è diventata un argomento importante. Non è un caso che note riviste di architettura nazionali e internazionali vi abbiano dedicato nei primi mesi del 2013 numeri specifici (Abitare Febbraio 2013, Detail Marzo 2013, Turris Babel Novembre 2013). Sotto l’aspetto pedagogico gli studi e le ricerche che affondano le radici anche nelle teorie dell’apprendimento, e che si sono accreditati nel corso 15


dell’ultimo secolo, convengono sulla proposta di mettere al centro della scuola i soggetti in apprendimento. Da Jerome Bruner a Lev Vygotskij, da Seymour Papert a David Jonassen per non scomodare sempre John Dewey, l’attenzione si concentra sulla conoscenza come processo di costruzione attiva, sociale, centrato sui problemi. Le fondamenta delle scuole future poggerebbero dunque sul rispetto dei più diversi bisogni e interessi di ciascuno e sulla dimensione plurale dell’intelligenza umana (Gardner 2002, Malaguzzi 1995). La relazione tra pensiero e azione e l’interscambio costruttivo tra conoscenza ed esperienza sembrano le parole d’ordine per la scuola oggi. E questo non solo per le scuole “innovative” o “di metodo”, ma per tutto l’universo scolastico. Peter Lippman nel 2010 argomenta sul fatto che il modello montessoriano, steineriano, quello delle open plan schools e i riferimenti alle scuole che seguono il Reggio Approach, non basterebbero più per descrivere le scuole del futuro. Tom Hille nel 2011 presenta in questo senso nuove concezioni di scuole centrate sul bambino, scuole del benessere e naturali, scuole associative, interattive, scuole situazionali, circostanziali, interstiziali, scuole salotto e scuole nel bosco, per citarne solo alcune. A fronte di una realtà molto meno variopinta, in cui le scuole faticano a darsi un profilo e a giustificare con continuità e coerenza le azioni didattiche e i valori perseguiti dal corpo docente, il contributo che può dare il dialogo tra pedagogia e architettura consiste nell’avere un quesito in comune a cui rispondere in un tempo determinato: quale scuola progettare? La qualità dell’intersezione tra progettualità educativa e architettonica è data dalla richiesta di individuare risposte molto concrete a questa domanda. In termini pedagogici è necessario lo sforzo di precisare le modalità con le quali si intende declinare in uno spazio specifico la missione formativa cercando di rispondere anche alle richieste che invocano alla scuola della comunità e per la comunità, la scuola accessibile, inclusiva e rispettosa dei linguaggi plurali, la scuola dell’apprendimento e non più dell’insegnamento. In termini architettonici si tratta di elaborare queste informazioni e di definire un piano progettuale che le interpreti al meglio.

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Un problema di metodo Progettare una scuola significa costruire innanzitutto un complesso sistema di relazioni tra utenti, architetti e committenza. Le ricerche internazionali dimostrano che il rispetto reciproco e la collaborazione incidono sulla qualità dei risultati. Per tale motivo gli studi si concentrano soprattutto sul percorso progettuale: Nair, Fielding e Lackney (2009) in contesto americano indicano in questo senso i 28 pattern che dovrebbero guidare la progettazione della scuola del 21° secolo; in contesto britannico Marc Dudek (2008) recensisce progetti di scuole a livello internazionale che danno espressione a una buona relazione tra pedagogia e architettura; Pamela Woolner nel 2010 descrive una serie di problematiche di estrema attualità tra cui il fattore economico, che condiziona le scelte, e le tempistiche della progettazione per i diversi soggetti che intervengono nel processo; in contesto germanico si qualifica l’impegno sostanzioso della Montag Stiftung che con il suo ultimo libro, Schulen planen und bauen, nel 2012, offre dieci tesi per descrivere le sfide centrali di un processo di costruzione/ristrutturazione di un edificio scolastico e presenta esempi di scuole innovative, modelli e procedure per la pianificazione condivisa. Questa nuova attenzione internazionale ha anche valorizzato l’esperienza italiana di Reggio Children che, a partire dalle riflessioni del pedagogista Loris Malaguzzi sullo spazio come terzo educatore, ha dato il via ad apprezzate ricerche interdisciplinari che offrono strumenti di analisi e indicazioni d’uso per la progettazione degli spazi per l’infanzia (Ceppi Zini 1998). Hans Georg Gadamer (1960) sostiene che l’esperienza di verità si dà solo nel dialogo. Questo serve per costruire orizzonti di senso, sapendo che nessuno possiede tutta la verità, ma che tutti offrono un contributo per cogliere nessi di azioni e ipotesi che possono risolversi in conferme e consensi o restare comunque a livello di intesa. I due universi della pedagogia e dell’architettura nella loro autoreferenzialità non trovano la chiave di volta per sciogliere il quesito: Cosa fa una buona scuola? Cosa accade se la pedagogia è parte del processo progettuale? Cosa accade se rimane fuori? La tesi che sottende il lavoro è che per costruire una buona scuola è necessario innanzitutto realizzare uno stabile terreno d’intersezione tra il campo pedagogico e quello dell’architettura in cui da una parte vi sono le azioni e le responsabilità del dirigente e degli insegnanti sul fronte educazionale e nella definizione del profilo pedagogico della scuola, dall’altra c’è l’architetto che opera sulla traduzione delle idee e dei bisogni in volumi e spazi. Essi sono considerati entrambi i potenziali motori dell’innovazione della scuola nel momento in cui stabiliscono un rapporto di consapevolezza e responsabilità che coinvolge anche le amministrazioni locali e il territorio, perché la scuola diventi un progetto di tutta la comunità.

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Pedagogia e architettura si sono incontrate a scuola nell’azione, con l’urgenza di costruire e al contempo con la necessità di offrire proposte pedagogico-didattiche adeguate. E l’azione comporta scelte, posizioni, intese. Prima di accompagnare il lettore nel viaggio sulla ricerca conviene soffermarsi sulle questioni che amici e colleghi spesso hanno posto proprio in relazione ai termini del discorso, pedagogia e architettura, al fine di offrire chiarezza sulle ragioni che hanno condotto a ravvisare proprio in questi due ambiti di ricerca e azione molto ampi la giusta correlazione. Perché parlare di pedagogia e non di didattica, se l’attenzione è rivolta soprattutto alla scuola e alla sua principale ragione d’essere, ovvero l’insegnamento e l’apprendimento? Perché sottolineare il ruolo dell’architettura, se il tema corrente riguarda un aspetto molto più specifico, ovvero quello dell’edilizia scolastica? Lungi dall’ardire di dare definizioni mai esaustive, l’intento qui è quello di delineare i personali orientamenti culturali che guidano le autrici all’interno dei rispettivi ambiti disciplinari così ricchi e complessi, offrendo delle giustificazioni ragionate sulla scelta dei termini.

L’architettura della pedagogia Questo lavoro intende mettere in luce i rapporti dell’architettura con il grande campo della pedagogia intesa come scienza dell’educazione, ovvero quell’ambito di analisi e riflessione che anche storicamente ha connotato l’esercizio critico della ragione sulla realtà sotto il profilo dell’educazione (Scurati 1997). Chi, cosa, come e perché educare sono gli oggetti dell’impegno pedagogico. In questo ambito la scuola ha un posto privilegiato, è la protagonista della pedagogia dell’età moderna e le maggiori espressioni del pensiero educativo del nostro tempo vi si riferiscono come termine tipico e traente della loro attenzione (Ibid., p. 5). Nella terminologia scientifica, il grande contenitore della scienza dell’educazione è composto da quattro settori: Pedagogia Generale, che si occupa di sviluppare concetti e proposte; Storia della Pedagogia, che ci offre i riferimenti necessari per comprendere l’evoluzione del pensiero sull’educazione e le problematiche attuali; Didattica e Pedagogia speciale, che raccolgono, validano, sperimentano strumenti e modelli per l’azione educativa; e Pedagogia Sperimentale, che si concentra sui metodi di ricerca. Come indica Paolo Calidoni (2000), la pedagogia si occupa del perché e del dover essere della persona in formazione, mentre l’area della didattica si concentra sul come e sul possibile. L’area della pedagogia sperimentale e metodologica si occupa di valutare, sulla base di evidenze, gli effetti di quanto la pedagogia propone e la didattica indica come realizzare. Il rapporto tra pedagogia e architettura, pur investendo soprattutto il campo della di18


dattica, non può trascurare gli altri aspetti, che si evidenziano come fondamentali nei processi progettuali: la pedagogia offre la visione e il senso, definisce del profilo della scuola, la sua cornice di riferimento fatta di principi, valori, ideali, propositi. È la pedagogia il libro sul quale la scuola scrive il suo manifesto, tenendo conto degli esempi e modelli di riferimento storici. La didattica informa il pensiero pedagogico, lo conferma mettendolo in atto, lo realizza nei tempi, nei modi e con i mezzi che ritiene più consoni. La metodologia della ricerca ci aiuta a validare e generalizzare l’esperienza, perché possa diventare un nuovo tassello nell’evoluzione culturale del pensiero intorno alla scuola. Pedagogia e didattica hanno entrambe il compito di portare sempre a maggiore perfezione l’elaborazione sulla relazione educativa (Avanzini 2006) e, quando si tratta degli ambienti istituzionali in cui essa avviene, parlano all’architettura e si completano tra loro: se il sapere pedagogico offre indicazioni sulle ragioni per cui una scuola esiste e sul senso che vuole darsi, il sapere didattico crea la mediazione tra finalità e percorso, ovvero descrive il fare scuola quotidiano, le scelte contestualizzate, i metodi e gli strumenti di cui ha bisogno per portare a compimento il proposito pedagogico.

La pedagogia dell’architettura L’architettura, anche quando si applica alla scuola, progetta e costruisce ambienti in cui vive l’essere umano. John Ruskin ne sintetizza così le finalità e caratteristiche fondamentali: “L’Architettura è l’arte di disporre e di adornare gli edifici, innalzati dall’uomo per qualsivoglia scopo, in modo che la loro semplice vista possa contribuire alla sanità, alla forza, al godimento dello spirito” (1854). Come fatto umano primigenio, contemporaneo alla nascita — quando lo stesso Adamo fu cacciato dal paradiso terrestre, ebbe bisogno di coprirsi e ripararsi dalle intemperie — l’architettura offre innanzitutto risposta alle necessità biologiche dell’uomo quali la protezione e la sicurezza, risponde quindi alle domande che ogni epoca si pone e risente delle variazioni culturali, economiche e sociali che accompagnano l’uomo (Morris 1881). Anche l’architettura, come la pedagogia, è un particolare modo di leggere e intervenire sulla realtà e, in questo caso, risente dell’insieme dei pensieri, delle ricerche e delle azioni che storicamente hanno riguardato la concezione degli ambienti tradizionalmente deputati all’istruzione. Se l’architettura è comunicazione, quindi un testo scritto, un testo che le persone leggono e che discutono, criticano, apprezzano, spesso anche inconsapevolmente (Eco 1968), essa in quanto tale comunica i valori che l’architetto ha interpretato vivendo, ascoltando e capendo la società, la storia, i problemi dell’uomo. Nell’architettura scolastica troviamo quindi interessanti chiavi di lettura di come il nostro tempo ha ragionato sul rapporto insegnamento-apprendimento e di come si sta evolvendo il pensiero sui luoghi dell’educazione. L’architettura, come la pedagogia, non offre una semplice risoluzione dei problemi, perché altrimenti si tradurrebbe in edilizia. Propone una visione che supera i bisogni e le richieste specifiche e che interpreta il sentire di un certo tempo con un approccio rivolto al futuro. 19


Le qualità del binomio Il binomio pedagogia e architettura offre qualità all’investimento sul progetto della scuola e apre a interessanti prospettive per una serie di ragioni che qui descriviamo. Innanzitutto consente di ragionare più compiutamente sulla complessità sociale, storica e culturale odierna considerando con maggiore attenzione il ruolo della memoria e del passato. La scuola è tradizionalmente il luogo in cui si consegnano le chiavi della cultura, garantendo l’accesso a tutto ciò che gli uomini hanno capito, scoperto, inventato, trovato nel passato. Nella scuola si trovano gli elementi di tutto ciò che siamo stati, a partire dai quali si presuppone di costruire il tempo che verrà. In architettura il riferimento al passato è un atto dovuto, imprescindibile, tant’è vero che si sostiene sia “un atto di memoria proiettato nel futuro”(Frediani 2011). La sfida in questo ambito però è quella di elaborare il passato per fare proposte attuali, sostenibili, innovative. In secondo luogo il binomio consente di riflettere sulla concretezza e sulla materialità della scuola. In architettura costruire è usare ciò che si ha a disposizione, impiegando i molti linguaggi della materia. L’attenzione è molto concentrata sulla qualità dei materiali, sul loro significato intrinseco, su come questi vengono percepiti e vissuti. In ambito scolastico la materia ha invece una valenza astratta. Costruire pedagogie significa lavorare sulle materie prime della conoscenza, attuare didattiche significa parlare i linguaggi delle materie di studio, conoscerne le diverse qualità. La scuola come insieme di oggetti fisici, fatta di materiali concreti non è oggetto di specifica attenzione. La qualità del binomio si ravvisa nel dialogo sulla materia visibile e invisibile e sul provare a intendersi sulle ragioni che portano l’architetto ad impiegare con entusiasmo, per esempio, il cemento armato a vista, e l’insegnante a coprirlo con mille disegni dei bambini. In terzo luogo un aspetto fondamentale che si genera dall’intersezione è costituito dall’attenzione ai rapporti tra cose e persone. In architettura costruire significa costringere i materiali ad una relazione reciproca, tra distanze, vicinanze e lontananze, muovere materiali nello spazio per dare forma al vuoto tra gli elementi. In pedagogia, e soprattutto per quanto riguarda 20


la scuola, la relazione consiste nei diversi accenti con i quali si combinano tra loro l’insegnante, l’allievo e il sapere. L’edificazione di una scuola consente di costruire un sistema di relazioni in cui dalla triade insegnante-allievo-sapere nasce il quadrato, con un insieme di discorsi e risonanze che conducono all’inclusione dello spazio nella definizione e organizzazione della relazione educativa. Un ulteriore elemento che qualifica il rapporto tra pedagogia e architettura è dato dal coraggio di scegliere. In architettura il compito è quello di tracciare i confini tra gli elementi, di stabilire limiti e conseguenze, di dividere uno spazio in un dentro e un fuori, in un ambiente che viene prima e uno che arriva dopo. Anche per quanto riguarda l’azione didattica il sapere viene accuratamente selezionato, analizzato, confezionato in unità di apprendimento specifiche e con appositi materiali di apprendimento, mentre si cerca di dare forma al modo di conoscere. Tutte queste azioni comportano una scelta e sono determinate da uno specifico orientamento progettuale sia in campo architettonico che in ambito didattico. Gianluca Frediani indica ai suoi studenti che “progettare è un faticoso atto di rinuncia, rinuncia a tutto il non necessario. La rinuncia è sempre un fatto doloroso. Ma è quel dolore che assegna valore alla scelta. Essere esclude” (2011, p. 16). Ebbene, il compito di questo tempo per la scuola è quello di scegliere il proprio profilo pedagogico e di saperlo giustificare e sostenere nell’azione educativa e didattica, che non può che rifrangersi inevitabilmente sugli spazi scolastici. Nel nostro dialogo escludere significa acquisire identità in ambienti da vedere, sentire e toccare. Progettare una scuola, e non solo costruirla, è una scommessa mai scontata. È una partita sempre aperta. Una successione infinita di atti. È un progetto per il tempo che verrà. In questo senso rimane infinitamente aperto e inconcluso, e si basa fondamentalmente sulla fiducia nelle potenzialità straordinarie della consapevolezza e responsabilità come espressione dell’impegno di dirigenti insegnanti, di architetti e amministratori per realizzare i nuovi luoghi della cultura per la comunità. Definire la relazione tra spazio e didattica, trovare soluzioni di ampio respiro culturale all’utilità del progetto scuola, cavalcare la sfida dell’illusione e della continua metamorfosi dei punti di vista sulle cose e puntare su scelte chiare, ben definite, che escludono tutto ciò che “non è”, proporsi di costruire ambienti illuminati e multiprospettici, moderni e sostenibili, che abbiano rispetto per la memoria delle cose e delle persone e si fondino sull’interrogazione silenziosa e aperta delle tracce, immaginando il tempo che verrà: tutti questi sono i propositi entro i quali si colloca il dibattito tra pedagogia e architettura. 21


SULLE TRACCE DELLE PAROLE 56/ FORMA-AZIONE 58/ SPAZIO 61/ FLESSIBILITÀ 66/ BELLEZZA 70/ INNOVAZIONE 73/ LE PAROLE IN AZIONE 78/ EGNA: LA SCUOLA APPARTIENE A NOI! 80/ TERENTO: IL BENESSERE CONDIVISO 90/ FUNES E VIPITENO: LE DUE FACCE DELLA BELLEZZA 102/ MONGUELFO: LA SCUOLA LABORATORIO 116/ SAN LEONARDO: UNO SPAZIO CONTINUO 124/ SILANDRO E ROSSLAUF: TRA APERTURA E CHIUSURA 132/ I TEMPI DELLA SCUOLA E I 146/


UN VOCABOLARIO IN COMUNE


TERENTO: IL BENESSERE CONDIVISO

Stare bene a scuola, chi non può volerlo? Creare una condizione di benessere per i bambini e i docenti della scuola dell’infanzia di Terento non è stato un obiettivo preannunciato, nessuno ha detto “vorrei una scuola dove sto bene”. Il benessere è un obiettivo troppo scontato e difficilmente traducibile in strategie di progettazione concrete. Nonostante ciò, è questa la sintesi della scuola dell’infanzia di Terento. Le parole con cui la coordinatrice Marta Unterhofer descrive la sua scuola lasciano emergere le sensazioni legate al benessere: “è una casa che… avvolge e… allo stesso tempo ci lascia molto liberi… quando sono qui dentro mi tranquillizzo…” Questa libertà e tranquillità sono il frutto di un lungo e arduo processo, cominciato ben tre anni prima della posa della prima pietra, intorno al quale si è creato un gruppo di lavoro coeso composto dalla coordinatrice insieme al sindaco, l’architetto, la direttrice, e il coordinatore comunale del progetto. Tre sono gli elementi che hanno favorito la sua buona riuscita: la rappresentanza di competenze diverse nel gruppo di lavoro, il fatto che siano rimaste nel tempo le stesse persone di riferimento fino al momento dell’apertura della nuova scuola e certamente il piccolo contesto di Terento di circa 1.720 abitanti. Da una semplice mancanza di spazi nella originaria scuola dell’infanzia è nata una riflessione ad ampio spettro sul ruolo di questa istituzione per il paese di Terento, connotando questo caso come il modo per pensare alla scuola come un tutto, sia pure sfaccettato e multidimensionale.

Il paese, la scuola, il bambino Dopo un lungo percorso di analisi di possibili soluzioni, e con il successivo incarico dell’architetto Peter Zoderer per uno studio di fattibilità, il progetto prevedeva un ampliamento degli spazi per l’infanzia nell’edificio scolastico in cui si trovava. Su consiglio dei “tre saggi,” figure esterne incaricate dalla Provincia di valutare la qualità dei progetti architettonici sul territorio, la collocazione della scuola dell’infanzia all’interno dello stesso edificio della scuola primaria viene respinta e si opta per la costruzio90


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Ballatoio tra le sezioni al piano superiore Esterno << Corridoio all’entrata

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ne di un edificio a sé stante. Questa autonomia fisica della scuola è chiamata in causa per dare risposta, con la sua posizione e la sua forma, al sentito problema del rapporto dell’universo scolastico con il paese. Una risposta riuscita, attraverso la capacità dell’edificio di comunicare su tre livelli di misura o – nel linguaggio architettonico – su tre scale: la scala urbana, la scala architettonica e la misura della persona stessa, sia adulta che bambina. L’intervento incisivo dell’architetto Josef March, allora direttore della Ripartizione Lavori Pubblici della Provincia di Bolzano, è stato quello di posizionare il nuovo edificio della scuola sul lotto del campetto del mini-golf, luogo centrale (e tra l’altro luogo anche molto amato) nel paese. In questa collocazione, lungo la strada principale, la scuola diventa una figura attiva nella vita quotidiana della comunità paesana. Il concetto “Kindergarten ins Dorf ”, cioè di scuola dell’infanzia in paese, per tutto il gruppo di lavoro, compreso il progettista, è stato decisivo per lo sviluppo del progetto. Chiedendosi “come si fa ad avere un concetto urbanistico a misura di bambino”, Zoderer trova risposta nell’elemento della strada e della casa: “Ci chiedevamo come raggiungere le singole case là in fondo, come potevamo renderle palpabili. Come posizionare l’edificio nel contesto del paese in modo che cambi il metro di misura, e come considerare la misura del bambino? Ci siamo chiesti come ci arrivano i bambini a scuola, come vengono accolti già da lontano, come vedono l’edificio, dove trovano gli elementi con cui identificarsi, contando che arrivano spesso da certi masi e case…”. La strada che connette le case tra di loro all’interno del paese è un percorso sul quale il bambino impara a misurarsi con lo spazio urbano, è l’elemento che conduce ad una destinazione, quindi un importante strumento per formulare la percezione degli edifici del paese. La metafora della strada insieme all’elemento dei ponti diventano importanti punti di riferimento per la progettazione, recepiti positivamente anche dal corpo docente. Come la strada in paese può essere un luogo di pericolo, dove stare attenti, anche una scuola dell’infanzia progettata ispirandosi a quel modello riesce a sortire all’inizio gli stessi timori. Così racconta la rappresentante dei genitori che ha accompagnato il processo progettuale: “All’inizio alcuni avevano paura delle scale, dei ponti e dei tanti percorsi che si proponevano ai bambini in questo edificio. Il giorno dell’apertura lo ricordo molto bene ed era proprio frustrante vedere con quante paure arrivavano alcuni genitori. Addirittura una mamma che doveva scendere le scale per andare nel gruppo al piano di sotto è inciampata. Sì, ma perché le scale sono più basse e fatte per i bambini. Beh, lei ha pensato – oh per carità, il mio bambino deve passare i ponti per andare da uno spazio all’altro, tutto questo su e giù per le scale, può cadere e forse anche morire! Per fortuna in tre settimane queste critiche sono finite e ora i genitori sono entusiasti”. Come per la strada, nel progetto si rintraccia anche il riferimento alle case del paese: la scuola è pensata come tre case affiancate con i loro tetti a falda. La figura dalla casa non è solo il frutto di un pensiero architettonico ma un punto di contatto vivamente percepito ed apprezzato da parte della scuola. La coordinatrice Martha Unterhofer ne parla quando descrive le qualità dell’edificio: “Quando sono qui dentro mi tranquillizzo, la forma della casa mi fa un effetto bellissimo. 93


In tutti gli ambienti si vede questa forma della casa, le grandi finestre, il contatto con il mondo fuori, con la natura e con quello che succede in paese… mi sembra che tutto quello che accade in paese entri in questa scuola”.

Capire vedendo: come costruire consenso Per lo sviluppo del progetto, la visita ad altre scuole dell’infanzia altoatesine e la possibilità di discutere su un edificio nella sua fisicità sono state una tappa importante. Per quanto Zoderer nell’intervista abbia affermato che non serviva vedere altro per avere buoni spunti progettuali, per i docenti è stato un passaggio da non sottovalutare, perché ha permesso loro di iniziare a condividere uno stesso punto di vista sulle cose: osservare gli spazi, comprendere le soluzioni architettoniche, valutare gli accorgimenti presi. Il fatto di commentare ad alta voce, condividendo pensieri, reazioni e idee su quello che gli stava intorno, ha permesso all’architetto e agli insegnanti di conoscersi meglio, perché le parole usate per descrivere cosa vedevano e cosa sentivano erano misurate sull’edificio stesso. A questi sopralluoghi partecipavano la dirigente, l’insegnante coordinatrice, l’architetto, il sindaco e un rappresentante del comune. Così ne parla la coordinatrice Unterhofer: “In fondo era un dialogo, era un ping pong […] l’architetto ha fatto molte foto durante le visite e quindi ne abbiamo discusso: cosa ci è piaciuto, di cosa non vogliamo, di cosa abbiamo bisogno, cosa manca. Questo lavoro ci ha dato molto, ci ha veramente portato a costruire un buon dialogo e quello che mi ha sempre sorpreso è come riusciva l’architetto a trasporsi nella vita dei bambini… Si chiedeva e ci chiedeva sempre cosa sarebbe piaciuto a loro e perché”.

Le qualità del benessere

Poter scegliere, poter stare in luoghi che offrono diverse possibilità significa anche progettare spazi che hanno caratteri forti, decisi. La vera flessibilità qui coincide con la varietà, la differenza. Nell’edificio ogni ambiente ha una sua specificità, ogni nicchia un suo carattere, ogni passaggio la sua prospettiva. La sostanziale diversità delle forme e dei materiali impiegati per qualificare in modo mirato le diverse aree di lavoro, di sosta, di passaggio e di raccoglimento invita all’esplorazione e guida i bambini in un percorso dinamico per tutto l’edificio. La dinamicità delle scelte architettoniche offre l’occasione di pensare a nuove scelte didattiche improntate sull’autonomia. La rappresentante dei genitori in questo senso afferma: “Questo edificio fa i bambini forti (macht starke Kinder), perché devono muoversi liberamente e decidere cosa vogliono fare. Superano barriere, salgono scendono scale, devono avere il coraggio di entrare in altre sezioni e questo rafforza molto la loro autonomia, perché imparino a fare da soli”. 94


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Saletta mulifunzionale al piano superorie con vista Aula gruppo al piano inferiore << Nicchia vetrata in palestra

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Il concetto di trasparenza e interconnessione (fisica e visiva) che ha guidato il progetto invita a costruire una particolare relazione con l’esterno: non solo per vederlo ma per viverlo, percepirlo. Il caldo, il freddo, la nuvola che passa, la neve che si accumula, la neve che si scoglie. Le condizioni meteorologiche non sono sigillate fuori e viste come un evento scollegato dall’interno. La relazione tra gli interni, offerta dalle interconnessioni ai piani rialzati delle sezioni poste al piano terra, con i ballatoi che consentono visuali verso il cielo e verso lo spazio dell’entrata, sulle sezioni e verso le nicchie di gioco predisposte, dinamizza continuamente la vita dei bambini. “Mi interessa dove vanno gli sguardi, in alto, in basso, sguardi che attraversano gli ambienti. Io sono curioso come un bambino, devo poter vedere, mi voglio lasciare animare dai giochi dagli altri”: queste erano alcune delle considerazioni dell’architetto.

La differenziazione degli spazi ha anche caratterizzato il progetto di insonorizzazione acustica nella scuola dell’infanzia di Terento. La dirigente, parlando della forza dell’edificio, dice: “Un elemento qualificante è soprattutto l’acustica nella scuola, non ci sono rimbombi e si ha subito una sensazione di benessere quando si entra qui dentro e non si sente il chiasso dei bambini. È così calmo. È vedo che tutto questo riduce molto la loro aggressività”. In realtà lo spazio all’entrata a doppia altezza, aperto sui ballatoi di passaggio tra le sezioni al piano terra e il soffitto in vetro, ha un grado di insonorizzazione più basso degli altri, ma questo aspetto è calcolato, perché i bambini conoscano, attraverso le qualità sonore dei diversi ambienti, la loro funzione e quindi l’atteggiamento richiesto: gli spazi della quiete e della concentrazione, in sezione; gli spazi della socialità non strutturata negli ampi corridoi al piano terra, che diventano anche le zone per il pranzo condiviso; i ponti e le zone raccolte di passaggio tra le sezioni, aperti sul cielo, come luoghi per l’ascolto della pioggia che batte sui vetri, piuttosto che del vento che soffia, e per il raccoglimento a piccoli gruppi. La disomogeneità dello spazio acustico diventa un modo per connotare nuovamente gli spazi.

Il benessere condiviso Comunemente il benessere viene percepito come una condizione di armonia tra uomo e ambiente, risultato di un processo di adattamento a molteplici fattori che incidono sullo stile di vita. Una buona scuola è un luogo in cui si sta bene e alla quale la comunità sociale riconosce un valore. Fino a poco tempo fa il valore di una buona scuola era attribuito alla qualità della formazione che offriva. Oggi questo dato non basta più. Le sperimentazioni in atto sul territorio italiano promosse dal forum scuole aperte del MIUR (http://www.forumscuoleaperte.it/) nel giugno 2014 ci indicano che la scuola non è più solo un luogo per apprendere, ma un luogo per vivere. Sta cambiando il suo assetto 97


proprio in virtù del nuovo bisogno di individuare centri urbani in cui fare cultura, una cultura da vivere e da sperimentare, una cultura che include, ovvero che si costruisce tra il formale e l’informale, le attività istruttive e laboratoriali, gli atelier d’arte, di tecnologia e dei lavori manuali. Stare bene significa tendere verso le proprie migliori possibilità e Abraham Maslow ci ricorda come questo sia un bisogno umano fondamentale: “Siccome l’autorealizzazione e la salute devono essere descritte come un evento comune a tutta l’umanità senza eccezioni, o come l’‘esistenza’ dell’individuo, potremmo affermare che la sana attività dell’autorealizzazione è quasi un sinonimo, o una condizione sine qua non, o una caratteristica distintiva dell’essere uomo”. (Maslow 1972, p. 123) La scuola dell’infanzia di Terento si caratterizza come un caso molto particolare che in cui il concetto di “scuola come un tutto e per tutti i sensi” ha permesso di realizzare una condizione di benessere condivisa. Il linguaggio acquisito da tutto il gruppo di lavoro durante la progettazione è davvero sorprendente. Talvolta sembra che i soggetti della scuola parlino come architetti, e che l’architetto parli come un pedagogista quando si mette in sintonia con gli insegnanti e i bambini valutando le conseguenze e le ripercussioni possibili dei luoghi fisici, tattili, visibili. Il linguaggio della dirigente ha preso confidenza con il significato delle parole piuttosto sentite dall’architetto: Hilde Kofler indica come elemento distintivo dell’edificio la tridimensionalità degli spazi, che in linguaggio architettonico vuole dire la complessità. L’architetto dal canto suo legge i bisogni e le esperienze del bambino all’interno del tessuto del paese, e trova un modo per dare struttura agli spazi della scuola senza cadere in metafore facili di corridoi come strade. Anzi, tutt’altro, il benessere diventa la misura delle cose, il che ancora una volta non vuole dire tutto piccolo, “a misura del bambino”, ma significa piuttosto capire anche come i bambini misurano gli ambienti. Misurare equivale a definire, quindi descrivere come i bambini misurano se stessi all’interno degli ambienti. Il tutto a 360 gradi, con una varietà di alto, basso, stretto, ampio, lungo, corto ecc. La coordinatrice Unterhofer in chiusura delle interviste ci tiene a sottolineare come la progettazione della scuola di Terento sia stata il frutto di un pensiero condiviso, una sorta di storia d’amore: “È stato un arricchimento reciproco. Noi abbiamo detto qualcosa all’architetto e lui l’ha accolta e ne ha fatto sempre qualcosa. Era questo che ci faceva sentire bene. Così per noi l’edificio quando siamo entrati non era nuovo. Siamo cresciuti insieme a lui. E per noi è stata un’esperienza davvero importante”.

> Zona guardaroba con vista sul ballatoio

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QUESTIONI DI PROSPETTIVA 152/ DUE TESTE A CONFRONTO 158/ IL COMMITTENTE: LA BORSA DELLA SCUOLA 164/ I BAMBINI: SENSAZIONI ED EMOZIONI 172/ I LUOGHI DELLA CONTESTAZIONE 182/ 184/ LO SPAZIO DI MEZZO 198/ PROGETTARE INSIEME 208/ DALLA PROGETTAZIONE PARTECIPATA ALLA PROGETTAZIONE CONDIVISA 210/ IL CONCORSO PER LA SCUOLA DI SAN MARTINO: NUOVI NOMI E NUOVE FUNZIONI 216/ PARTIRE DALLA PEDAGOGIA: IL MEDIATORE E IL PIANO PEDAGOGICO PER 228/


COME NASCE UNA SCUOLA: PROCESSI PROGETTUALI


Come nasce una scuola ~ III. 1 ~ Questioni di prospettiva

QUESTIONI DI PROSPETTIVA

“È sempre soprendente, quando ci si mette a meditare un po’, scoprire la differenza tra pensare alle cose e pensare alla relazione tra le cose.”

G. Bateson

La scuola può essere vista secondo prospettive molto diverse: dal piccolo al grande ovvero dai dettagli degli arredi agli spazi scolastici, all’edificio, al volume della scuola, alla sua collocazione nel tessuto urbano, alla sua posizione nella città, alle sue relazioni con la regione e così via (e questa è soprattutto la prospettiva dell’architetto); oppure dal grande al piccolo, in genere partendo dalla scuola in rapporto al quartiere, agli ambienti scolastici, alla classe, agli arredi, agli oggetti tecnici e didattici, di cui si avvalgono le figure che operano all’interno della scuola (e questa è la prospettiva del dirigente, degli insegnanti e dei pedagogisti). Architetto e figure pedagogiche operano partendo quindi da due aspetti apparentemente molto distanti tra loro: la relazione con il tutto da una parte, l’attenzione per il dettaglio dall’altra, e queste prospettive diverse affaticano la comunicazione generando una serie di tensioni e malintesi durante il percorso progettuale. A ciò si aggiungono i committenti, che hanno ancora un altro punto di vista, e collocano la scuola tra i propri 152


oggetti di investimento e spesa. Infine non dimentichiamo i bambini, che leggono l’esperienza scolastica in una prospettiva molto personale ed emotiva. Eppure tutti questi soggetti sono accomunati da una stessa propensione: fare scuola. La tesi di questo lavoro è che attraverso la consapevolizzazione delle diverse prospettive con le quali si osservano le cose nasce la comprensione e l’accettazione reciproca, che sono il terreno più fertile per la collaborazione. Hans Georg Gadamer (1960) legge nella capacità di porsi da orizzonti diversi, senza l’intima o palese volontà di imporre a ciascuno il proprio punto di vista, ma piuttosto con la disponibilità a mettersi in gioco, la possibilità per meglio focalizzare l’oggetto di ricerca e per meglio comprendere quanto di quell’oggetto è stato detto o stiamo dicendo. Con Gadamer, dunque, mettiamo a fuoco l’importanza del dialogo per costruire orizzonti di senso, sapendo che nessuno possiede tutta la verità, ma che tutti contribuiscono per cogliere nessi di azioni e ipotesi che possono risolversi in conferme e consensi o restare comunque a livello di intesa. Intendersi. È questo un concetto molto interessante per il nostro percorso di ricerca: l’intesa è per Gadamer il riconoscimento reciproco di differenze che permangono, un conflitto che non deve necessariamente pervenire a una composizione. Il vero dialogo non sopporta adeguamenti acritici, promuove bensì trasparenza autoriflessività, capacità di giudizio, gusto interpretativo. Entrare in dialogo comporta la coscienza della propria storicità e della tradizione da cui veniamo. Così facendo ci interpretiamo e comprendiamo le ragioni dei nostri pensieri e delle nostre azioni. Il dialogo consente quindi di capire le possibilità di un terreno comune. L’intersezione costruttiva tra pedagogia e architettura si offre nel momento in cui le diverse parti “si accorgono” che esistono anche altre prospettive e quindi altri mondi e altre cornici rispetto alle quali osservare uno stesso oggetto. Ciò non vuol dire che si cambiano i punti di vista sulle cose, significa solamente prenderne consapevolezza e includere le diverse “zoommate” nell’ordine dei pensieri complessivi. Nei prossimi capitoli si descrivono approfonditamente le posizioni dell’architetto e del dirigente, così come sono emerse dalle interviste svolte durante i sopralluoghi alle scuole, perchè rap153


presentano al meglio i due estremi della prospettiva, le diverse competenze e visioni. Importante è stato anche rilevare, tra questi due punti di vista, quello della committenza e dei piccoli utenti, i bambini: i primi contribuiscono alla riuscita del progetto sia in termini economici sia svolgendo una importante opera di mediazione sul territorio, perché la struttura sia accolta dalla comunità sociale. Durante il percorso progettuale i committenti si interfacciano in continuazione sia con gli architetti sia con i dirigenti e svolgono un grande lavoro di raccolta, elaborazione e selezione dei rispettivi desiderata. Anche la committenza incide sulla qualità della progettazione: se riesce ad instaurare un rapporto di fiducia e di collaborazione con l’architetto e con la scuola ha modo di supportare meglio tutto il progetto e di farlo diventare una risorsa per la comunità. I bambini sono i destinatari ultimi di tutti gli sforzi progettuali, sia da parte della componente pedagogica sia da parte di quella architettonica. Costruire una buona scuola è l’obiettivo di tutti e, per essere tale, un luogo dove gli allievi si trovano bene deve rivelarsi a proprio agio, e dove imparano con gusto. È utile quindi indagare come essi percepiscono le strutture, il rapporto che hanno con gli ambienti, le emozioni che suscitano in loro. Conoscere il punto di vista dei bambini ha anche un intento profondamente educativo: promuove consapevolezza sulla percezione di sé in uno spazio e la capacità di cogliere quanto l’ambiente ha influenza sull’azione di ciascuno, quindi in questo caso sull’attività didattica, sull’apprendimento, sulle relazioni e il benessere complessivo.

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MANIFESTO SCUOLE DA REINVENTARE Osserviamo la scuola con il binocolo rovesciato! Si allunga la prospettiva e si allontana l’orizzonte. Spogliamola della retorica che le gira intorno e diamole indicazioni concrete. Passiamo da un approccio prescrittivo a un modello prestazionale e culturale. Diamo concretezza alle pedagogie del dire, per una scuola del fare e dell’essere. Per trasformarsi, la scuola ha bisogno di un nuovo vocabolario, di soggetti consapevoli e di un processo condiviso. UN NUOVO VOCABOLARIO Largo alla semplicità e alla chiarezza!

Anziché di edilizia scolastica parliamo di Non ristrutturazione, ma Da sostenibilità a Non sicurezza ma Da emergenza ad Non più barriere architettoniche ma Non più semplicemente a norma, ma SOGGETTI CONSAPEVOLI Prendiamoci l’impegno oggi!

I dirigenti scolastici, corpo docente, enti locali, architetti, progettisti, tecnici e designer: siete voi i soggetti coinvolti per primi nel processo di trasformazione della scuola! È necessario mettere in relazione competenze, know how, esperienze, punti di vista diversi per creare occasioni di alta professionalità progettuale.

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devono assumere il loro potere decisionale e sapersi destreggiare tra le maglie della burocrazia per gestire le risorse con maestria e competenza. Il loro compito è quello di: superare le logiche di corto raggio a vantaggio della qualità nella progettazione, governare i processi e fare da garanti per la scuola come progetto culturale nella comunità. sotto la guida del dirigente scolastico deve essere chiamato in causa quando si parla della fisicità della scuola: ambienti, scale, arredi, ordine, pulizie sono anche di sua competenza. Con quali pedagogie volete abitarla? Una nuova responsabilità sulla scuola come corpo genera

un virtuoso connubio tra l’universo dei progettisti e quello pedagogico. devono collocarsi nella rete di relazioni che insieme fanno una scuola, interpretare i bisogni e guidare le richieste con le risorse necessarie per formulare soluzioni architettoniche e di prodotto di imprescindibile qualità. con una specifica preparazione tra le istanze dell’architettura e della pedagogia, devono essere investiti di un ruolo strategico centrale e ben definito all’interno del processo progettuale, in modo da valorizzare e coordinare al meglio l’apporto condiviso da tutti i soggetti in gioco.

PROCESSO CONDIVISO Metodi, non regole!

È necessario stabilire un fil rouge che guidi il processo progettuale: dall’esigenza di una nuova scuola, alla creazione condivisa e partecipata di un concetto pedagogico, alla stesura del progetto di fattibilità, al concorso di progettazione, alle fasi del progetto, alla realizzazione, all’appropriazione dell’edificio da parte dell’utenza. Sono tutti processi in cui si legge la scuola come un tutto. Fatto di persone e di azioni, fatto di materialità e di tecnologia. Elementi indivisibili di un unico corpo e di un continuo rimandarsi tra modus facendi e modus educandi: Ripartire dalla scuola significa acquisire gli strumenti organizzativi per governare la trasformazione di un edificio scolastico iniziare con un piano pedagogico e finire con un progetto architettonico, non viceversa

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usare il concorso di progettazione come garanzia di qualità, rigore e di dialogo tra le parti passare dalla progettazione partecipata alla progettazione condivisa con chiare responsabilità e competenze diversificate confrontarsi con esperienze e progetti realizzati per affrontare i problemi concreti


RINGRAZIAMENTI

Diverse persone ci hanno sostenuto nello svolgimento della ricerca. Senza il loro prezioso contributo questo libro non avrebbe potuto essere. Ringraziamo innanzitutto tutti gli intervistati, gli architetti, i dirigenti, gli insegnanti, i genitori e gli alunni per la disponibilità che ci hanno offerto raccontando il percorso progettuale, accompagnandoci nella visita alle scuole e condividendo con noi le loro sensazioni e percezioni.

Un ringraziamento particolare va a tutte le persone che in modi diversi hanno collaborato allo studio: Matteo Scagnol, per averci stimolato nell’approfondimento delle tematiche e per tutti i suggerimenti procedurali, necessari a maturare una visione d’insieme sulla complessità della relazione tra pedagogia e architettura; Marco Pietracupa, per la documentazione fotografica delle scuole e l’elaborazione grafica delle immagini; Sonia Ziliotto, per la sua collaborazione alla ricerca nella fase della raccolta dati e per l’elaborazione dei dati sui workshop svolti con i bambini; Mario Falanga, per l’inquadramento normativo e legislativo della tematica;


Josef March, Maurizio Patat e Carlo Pomaro per tutti i suggerimenti ricevuti relativi alle Normative, per i necessari chiarimenti sui processi e sulle procedure concorsuali e per il supporto offerto nell’organizzazione del focus group con la committenza; gli Intendenti scolastici Peter Höllrigl, Roland Verra e Nicoletta Minnei, per aver patrocinato la ricerca e offerto il supporto necessario allo svolgimento dei sopralluoghi; Filippo Ceretti, per il continuo scambio di pareri sulla stesura del lavoro e per la revisione critica dei testi; Lisa Rizzoli e Jenny Francato, per la sbobinatura delle numerose interviste; Birgit Michaeler per la prima raccolta dei dati tecnici sulle scuole; Manuela Dasser per l’impaginazione grafica e le immagini che accompagnano i testi. Un ringraziamento alla Libera Università di Bolzano, per aver finanziato il progetto e a Roberto Farnè, che ha creduto in questa ricerca fin dall’inizio e ha reso possibile questa pubblicazione.

Grazie per averci accompagnato in questo straordinario viaggio nelle scuole, tra pedagogia e architettura.


Le parole semplici e quotidiane che si usano quando si parla di scuola e di progettazione rivelano significati inaspettati che amalgamano i linguaggi specifici dell’architettura e della pedagogia: formazione, spazio, flessibilità, bellezza, innovazione si scardinano dai preconcetti e fanno da ponte tra i due mondi. A partire dalle parole impiegate dagli architetti, dagli insegnanti, dai genitori e dai testimoni privilegiati, intervistati durante la ricerca che questo volume presenta, si traccia il fil rouge di un vocabolario comune che descrive i diversi punti di vista, lasciando emergere argomenti di rilievo per il momento progettuale. La problematica dello sfasamento del tempo come fonte di tensione e sfida tra pedagogia e architettura nel percorso di trasformazione di una scuola, il tema del benessere legato alla bellezza della scuola come modalità per reinventare il legame tra tecnica e arte di vivere, infine gli elementi della coscienza e responsabilità, come strumenti pedagogici per rivoluzionare il modo di fare scuola, sono tutti fattori che influiscono sui processi decisionali. Progettare scuole è un processo di guarigione. È come dare risposta al bisogno di prendersi cura gli uni degli altri. Un terreno comune per dare forma a qualcosa di nuovo, il seme del futuro. Con questo libro apriamo il discorso su un atto creativo fiducioso e aperto al mondo che verrà.

Beate Weyland è docente di Didattica presso la facoltà di Scienze della formazione della Libera Università di Bolzano. Dal 2010 le sue ricerche si incentrano sul rapporto tra pedagogia e architettura e sull’innovazione della didattica in ambito scolastico. Tra le pubblicazioni inerenti il tema compaiono: Media e spazi della scuola (Brescia 2013); Costruire pedagogie (con Sandy Attia, a cura di), Turris Babel nr.97 (Bolzano 2013). Per le nostre edizioni ha pubblicato Fare scuola. Un corpo da reinventare (2014). Sandy Attia, architetto, dopo il conseguimento del master alla Harvard University fonda con Matteo Scagnol lo studio MoDus Architects a Bressanone. Lo studio ha ottenuto importanti riconoscimenti tra i quali il Premio speciale della giuria del premio Architetti Italiani 2013, il primo premio all’International 2013 Piranesi Award, il German Design Award 2014, e il Best architects 14. Tra i progetti più significativi di edifici scolastici ricordiamo il Polo scolastico Firmian a Bolzano (asilo nido, scuola materna, centro famiglia, scuola elementare e biblioteca di quartiere).

Euro 24,00 (i.i.) www.guerini.it


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