Dream Magazine

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Avendo un figlio di 4 anni, ormai di cartoni animati ho una certa cultura. La cosa che più mi colpisce è che, accanto ai nuovi cartoni, più o meno violenti, più o meno piagnucolosi, più o meno divertenti, mi ritrovo ancora a vedere trasmessi quelli di più di 20 anni fa, come Bell e Sebastien, Heidi, Hallo Spank. Ma la cosa che più mi sconcerta è che nonostante le Winx, le Bratz e via dicendo, sui canali tematici ritroviamo ancora LEI. La HIGHLANDER dell’animazione. La bambola che ha fatto sognare le bimbe della mia età: la Barbie. Certo, adesso è trasmessa in 3D, ma la sua faccia resta quella di 30 anni fa. Cavolo! Non ha neanche una ruga!!!. Quando ero piccola adoravo questa bambola. Ne avevo una collezione. Eppure, col senno di poi, mi rendo conto che se oggi in televisione impazzano donne nude e parolacce la colpa è anche un po’ sua: della BARBIE. Da piccoline siamo state ingannate. Tutte noi pensavamo che saremmo diventate come lei: alte, bionde, snelle, formose, ricche e con minimo 2 uomini (uno bruno e l’altro biondo) a disposizione. E invece… È vero che i capelli si possono tingere, che ti puoi mettere a dieta e che le tette puoi fartele come vuoi. Volendo puoi anche pagarli 2 uomini (uno biondo e l’altro moro) che ti facciano da schiavetti. Anzi, visto che ci sono e

pago io, avendo soldi da buttare, me ne scelgo anche uno rosso per par condicio. Ma l’altezza? Le cosce di 2

metri? Il naso a bottoncino? E così via con le PAROLACCE!!! Ma chi l’ha inventata ‘sta Barbie? Secondo me uno psicoanalista. Ha visto lungo. Ha pensato: “le illudo finchè posso dopodiché… da me verranno a POSARE I SOLDI.” Tanto è vero che tra i tantissimi accessori che vendono con la bambolina, io avevo suggerito di aggiungere il flaconcino di Lexotan da prendere all’occorrenza. Finchè, poi, si limitava ad essere un giocattolo, tanto quanto… Ma quando me l’hanno trasformata in PRINCIPESSA televisiva, ho dato i numeri. Prima era solo una ESIBIZIONISTA, adesso è un’esibizionista che parla con una vocina da demente dicendo cose DEMENTI. Tipo: “oh oh (leggetelo come farebbe una demente)… dov’è il mio principe? E il ballo? La scarpetta? E il vestito?” Bella, svegliati!!!! Siamo nel 2009!!!!! Il principe azzurro esiste (perché io l’ho trovato) ma, se continui a starnazzare come un’anatra zoppa, scappa via a gambe levate e ti resta qualche Signor Corona di turno che, tra uno scatto e l’altro, ti invita a presenziare con le tue belle gambotte a qualche inaugurazione di qualche salumeria a Frattamaggiore. Comunque sia, viva la Barbie! Perché nonostante tutto io sono la prova vivente che a LEI si può sopravvivere. Buona vita a tutti. 5


La seconda metà di luglio si rivelerà essere il periodo favorito per godersi una bella vacanza all'insegna dell'amore, della sessualità e della conquista amorosa in genere. Un positivo aspetto di Venere rende questo periodo pieno di benessere, gioia e divertimento.

Il mese più propizio per godere il benessere, la tranquillità, la pace è sicuramente agosto. Alcuni importanti transiti ed aspetti planetari garantiranno un periodo estremamente propizio in tutti i campi esistenziali, specie quello sentimentale. Momenti belli anche per chi resta in città.

Giugno e luglio saranno i momenti migliori della vostra estate. Se puntate a spopolare col vostro fascino o sperimentare una località nuova, scegliete giugno. Agosto sarà invece un mese formidabile per le vacanze in coppia, all'insegna del romanticismo e del sesso.

Relax, benessere e comodità saranno tutto ciò di cui avrete bisogno: serviranno allo scopo un agriturismo o un centro benessere che potranno sottrarvi al caos e ricaricarvi alla grande. Se poi cercate il top, prenotate le vacanze tra la seconda metà di giugno e la prima metà di luglio.

Col favore di Mercurio e Venere, in luglio avrete l'occasione di conoscere tanta gente simpatica con la quale passare allegre serate e programmare divertenti passatempi. Una Venere positiva accentuerà il vostro fascino, rendendovi irresistibili. Sole e amore andranno a braccetto.

Il mese per gustare appieno l'estate è indubbiamente agosto. Col favore di Venere e Mercurio nel segno, potrete scegliere qualsiasi destinazione desideriate Ottimo momento per sperimentare nuove mete, magari all'insegna dell'avventura, della scoperta o della cultura

In luglio avrete l'occasione di conoscere gente speciale e simpatica con cui passare il tempo libero. Tra loro, potreste trovare l'anima gemella, con cui trascorrere un meraviglioso settembre. Seguite un consiglio: è il momento favorevole per godervi una vacanza rigenerante.

Per voi, che siete tipi anticonformisti, è consigliata una vacanza nella prima parte dell'estate. Se volete far strage di cuori, dedicandovi al vostro sport preferito, scegliete la seconda metà di giugno o la prima di luglio: Venere, in posizione favorevole rende irresistibile il vostro sex appeal.

Viaggiatori instancabili come voi possono partire in qualsiasi momento ma, se davvero desiderate il top, scegliete la seconda metà di luglio. Venere positiva promette avventure indimenticabili, paesaggi da sogno e, perché no, nuovissimi amori che parlano altre lingue.

L'estate promette momenti davvero d'oro, soprattutto nei mesi di luglio e agosto. Per rigenerarvi dallo stress, un luogo tranquillo e appartato è l'ideale: la magnifica cornice di un convento, un rasserenante paesaggio montano o campestre sono da considerare. Amori felici.

Se giugno e luglio potrebbero portarvi un po' di ostacoli e noie, agosto sistemerà ogni cosa: farete nuove amicizie con le quali partire per piccole gite e divertenti weekend fuori città, avrete tanti flirt coi quali risollevarvi il morale e vivrete momenti di intensa passione.

Luglio è il mese favorito per tutti i nativi che vogliono godere di una vacanza semplice e rilassante, preferibilmente in una località di mare. Mercurio, in aspetto estremamente favorevole, porterà tante nuove conoscenze, molto divertimento, amore e se lo desiderate, flirt disimpegnati.


Il 20 aprile Il teatro S. Carlo di Napoli ospitava un grande evento cinematografico: la prima nazionale del film “Fortapàsch” di Marco Risi. Il film racconta una delle pagine più dolorose della cronaca nera campana, l’assassinio di Giancarlo Siani, giovane giornalista de Il Mattino di Napoli eliminato dalla camorra a soli 25 anni nel 1985. Siani, all’epoca, lavorava come precario nella sede provinciale de Il Mattino a Castellammare di Stabia, con l’incarico di occuparsi di cronaca nera, ovvero scippi, rapine, omicidi, ma Giancarlo andò oltre, incominciò ad interessarsi di fatti pericolosi che accadevano fra camorra e politica. Voleva far chiarezza, informare, pensando che fosse giusto che la gente sapesse. Voleva fare il “giornalista-giornalista”… cosa molto difficile, perché le verità fa male, ma non solo nel nostro Paese: basta

vedere quello che succede in Russia. Risi ha confezionato un bellissimo documento per i giovani, di ciò che accadeva negli anni ottanta e non sarebbe male se questo film venisse proiettato nelle scuole, perché i giovani devono essere messi a conoscenza di certe verità, per costruire un mondo migliore. Ma ritorniamo al nostro film, che racconta la storia di Siani con delle piccole licenze, per esempio, cambiando i nomi di alcuni personaggi, ambientazioni, aggiungendo qualche tenero momento di vita privata… Infatti, nel film la sede del giornale non si trova a Castellammare di Stabia, ma a Torre Annunziata, il capo redattore vero si chiama Mino Jouakim e nel film invece Sasà. Nel film, Sasà, cerca di dissuadere Giancarlo dall’ interessarsi ad argomenti e personaggi pericolosi, sostenendo che l’Italia non

è un Paese per giornalisti giornalisti, ma per giornalisti impiegati. Nella vita Giancarlo aveva un amico tossicodipendente che non lavorava al giornale e nel film è il suo reporter, come del resto un altro personaggio inventato è la segretaria di redazione, un po’ svogliata e molto sopra le righe. Proprio a causa di queste invenzioni, il vero caporedattore, Jouakim, è andato su tutte le furie, al punto da chiedere il sequestro del film in quanto si ritiene diffamato e offeso e addirittura ridicolizzato, aggiungendo che lui non avrebbe mai assunto un tossico nella sua redazione, nè una segretaria svampita e che mai avrebbe consigliato a Siani di non interessarsi di fatti e di gente pericolosa. A questo punto la domanda sorge spontanea: “Gentile signore, perché si sente RIDICOLIZZATO?... Perché l’attore che nel film interpreta la sua persona è un po’ bassino?... Egregio signore, con queste sue denunce lei si è ridicolizzato da solo e sinceramente faccio fatica a credere che come caporedattore, e presumo uomo di cultura, di un serio giornale come il suo, possa ritenersi offeso al punto da impedire la visione di un film così utile alla società per il risveglio di certe coscienze!... suvvia faccia il bravo, ci ripensi, non faccia il giornalista impiegato…”

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Ali e radici è il titolo del tuo nuovo lavoro discografico, un album che contiene undici brani e che affronta non solo le tematiche d’amore, ma anche quelle sociali, ne è un esempio il singolo apripista Parla con me, in cui evidenzi il problema dell’incomunicabilità tra gli individui… «In questo album ho voluto raccogliere le mie sensazioni, i miei stati d’animo, paure, angosce e preoccupazioni che credo siano comuni un po’ a tutti. In Parla con me, ho cercato, per l’appunto, di descrivere il fatto che il mondo sta correndo in maniera troppo veloce: computer e telefonini hanno congelato i rapporti tra le persone. La tec8

nologia, ci ha donato grande libertà, ma si sta rivelando un boomerang per la mia generazione, dobbiamo saperla gestire. Ci si chiude in se stessi, invece bisogna condividere le emozioni, cercare una via d’uscita, riscoprendo in noi le passioni, i sentimenti, la voglia di vivere.» I giovani del 2000 sono diversi da quelli della tua generazion, sembrano alla ricerca di una felicità illusoria. «Vorrei aprire un dialogo con la generazione più giovane che sembra aver smarrito l’orientamento e si sente sempre più a disagio in una realtà che appare senza futuro. È il tema di Terra promessa venticinque anni dopo: allora aveva-

mo ideali da raggiungere; mentre oggi è faticoso perfino riuscire ad individuare un ideale buono da sposare. Per non sprecare gli anni migliori della propria vita, bisogna trovare la forza di aprirsi agli altri e comunicare dubbi, inquietudini e malesseri. Perché “non si uccide un dolore anestetizzando il cuore”.» Tra le foto scattate in Florida da Bruce Weber c’è un tuo suggestivo primo piano con un’aquila reale su di uno sfon-


do che per l’appunto illustra il tema della title-track, Ali e radici. Perché l’hai scelta? «Credo che l’immagine dell’aquila rappresenti l’eterno dualismo fra il desiderio di libertà e la voglia di stabilità e sicurezza. Proprio per questo ho scelto questa canzone per descrivere in maniera più consona il mio stato d’animo. Ali e radici perché le radici del proprio passato sono indispensabili per volare.» “Ognuno di noi ha la sua stra9


da da fare prendi un respiro ma poi tu non smettere di camminare”. Questa frase estrapolata dalla canzone Il cammino, sembra essere un invito a non arrendersi mai, qualunque ostacolo si incontri nella vita. «L’aforisma di Pablo Neruda “potranno recidere i fiori, ma non potranno fermare la primavera”, è stato l’ispirazione per questo pezzo, una ballad anni 60/70 in sei ottavi sulle difficoltà che si possono incontrare nella vita. Qualunque sia l’avversità che dobbiamo affrontare, c’è sempre un raggio di sole a cui aggrapparsi. Mai cedere. Mai rassegnarsi. Anche quando si pensa di non poter procedere oltre, il nostro cammino è sempre davanti a noi. Si può proseguire… si deve proseguire.» In Appunti e note rifletti sulla tua professione, sul tuo essere artista, sull’essere autore. «Si. La ricerca continua da parte di ogni autore della frase che non è ancora stata scritta è una metafora sulla volontà di migliorarsi sempre. Solo in questo modo è possibile rimandare il più tardi possibile l’inevitabile declino.» Sono per la maggiore brani che aiutano a riflettere, a pensare a ciò che siamo diventati in questa società e a quello che diventeremo. Nella canzone L’orizzonte, ma sicuramente anche in Controvento e Bucaneve, ritroviamo l’anima romantica di Eros, inconfondibile ormai. «Sono tre storie che raccontano l’amore in modo diverso. Il brano L’orizzonte parla di un amore raggiante per il quale dopo tanti cieli burrascosi, finalmente l’orizzonte appare più limpido. In Bucaneve, invece, l’amore appare vitalizzante e struggente: un nuovo fiore spunta nel cuore di un uomo di una certa età, che spera di ritrovare la verginità della propria anima. Nonostante la disillusione per le esperienze passate, vuole riassa10

porare le sensazioni dei primi innamoramenti. È una canzone d’amore: il nuovo sentimento sembra davvero quello giusto. Per quanto riguarda Controvento racconta di un amore che si consuma nella reciproca indifferenza: un rapporto trascinato per troppo tempo fra incomprensioni ed incomunicabilità. Un amore che si spegne

giorno dopo giorno, fino all’epilogo amaro, e un po’ vile, di chi decide di andarsene. Così, senza dire niente.» Ma oltre all’amore e al sociale in un pezzo celebri anche l’amicizia, quella più autentica e profonda. «La canzone di cui parli è Affetti personali. Un pop-rock dall’incedere percussivo per celebrare


l’amicizia. Quella vera e così rara da trovare. L’amico che c’è sempre quando lo cerchi. L’amica con la quale puoi affrontare apertamente qualsiasi problema. Le amicizie autentiche sono avvolgenti, però mai soffocanti. E non ti fanno mai sentire solo. Una vita senza amici, come un mondo senza musica, non si può neanche immaginare.» L’album si chiude con una trilogia di canzoni che affronta tematiche sociali con delle riflessioni profonde, ma al tempo stesso anche un po’ inquiete… «Per quanto riguarda il brano Nessuno escluso, credo che quello che sta accadendo nel mondo sia sotto gli occhi di tutti e ognuno di noi dovrebbe fare un esame di coscienza. Non può essere sempre e soltanto colpa degli altri: probabilmente tutti noi abbiamo sbagliato qualcosa. Dobbiamo assolutamente provare ad invertire la rotta, altrimenti il naufragio dell’umanità coinvolgerà tutti, nessuno escluso. Non si può restare indifferenti davanti alla violenza dilagante. In Non possiamo chiudere gli occhi, infatti, denuncio le violenze contro i bambini, le donne e contro la natura. È come se dentro me ci fossero queste tre anime che urlano la loro disperata richiesta di soccorso. Non è mai troppo tardi per spalancare gli occhi. Prima o poi le coscienze si risveglieranno: è ironico e triste pensare che la notizia sconvolgente sarà proprio questo risveglio. A chiudere la trilogia sui temi sociali di questo disco c’è Come gioielli, un brano pop con venature classiche, in cui mi soffermo a descrivere quelli che per me sono i gioielli preziosi da proteggere ad ogni costo. Il sorriso di un bambino, il bacio di una madre, un gesto di fraternità, una perla d’acqua limpida, un granello d’oro di una terra non ancora inquinata, sono la garanzia di un futuro migliore, poiché è proprio su questi valori che dovremo ricostruire un mondo più umano» 11


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Con l’album Non solo live, festeggi i 30 anni di carriera. Cosa rappresenta l’album, una conferma o una rinascita? «Non solo live riassume i miei 30 anni di successi, ma rappresenta l’Umberto Tozzi di oggi, che fa musica in modo rilassato rispetto a qualche tempo fa, quando sentiva maggiormente la pressione del lavoro. Non solo live è un progetto che racchiude inediti e brani celebri del mio repertorio, alcuni registrati durante il mio tour dello scorso anno.» Il secondo cd contiene brani inediti come Anche se tu non vuoi e Cerco ancora te. L’amore è sempre protagonista nelle tue canzoni? «È sempre stato la mia musa ispiratrice, ma le mie canzoni non parlano solo d’amore. I brani Gli altri siamo noi, Gente di

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mare o Si può dare di più, ad esempio, affrontano il sociale, l’amore visto sotto l’aspetto umano.» Negli ultimi anni hai sperimentato il lounge. Perché ti sei avvicinato al genere? «Per una caso fortuito. Due anni fa frequentavo Parigi per lavoro e nell’hotel dove alloggiavo si ascoltava questo genere di musica. Il lounge mi ha affascinato e da lì è nata Oriental song.» Il brano Forse credo in Dio è nato da una ricerca interiore? «Da un dubbio sulla religione. Penso di essere un privilegiato rispetto ad altri essere umani che non lo sono e non lo saranno. Purtroppo nel mondo si verificano fatti di tutt’altra natura, lontani da quell’amore raccontato nella Bibbia.» Per la prima volta proponi Un corpo e un'anima, il brano con cui nel 1974 Dori Ghezzi e Wess vinsero Canzonissima. «È il primo brano che ho scritto. Wess e Dori lo hanno fatto diventare un successo. Quelli erano i tempi in cui suonavo ed iniziavo a scrivere. » L’album Non solo live esce su etichetta indipendente, la Momy Records fondata insieme a tuo figlio Gianluca… «Si, da un paio di anni ho lasciato la Warner, casa discografica

che mi ha gestito per anni. Non credo nelle multinazionali, sono gestite da soggetti non esperti di musica, che si occupano di un disco non come un prodotto artistico, ma come un prodotto da vendere. Nella mia piccola etichetta indipendente, c’è entusiasmo da parte di chi ci lavora. Preferisco alle spalle un giovane come mio figlio piuttosto che una multinazionale.» Parliamo del libro Non solo io, un’autobiografia attraverso cui ripercorri la tua vita, l’infanzia, i primi approcci musicali, i successi, le difficoltà e le crisi di ispirazione, la passione per la musica… «Ho voluto raccontare la mia storia nel bene e nel male, con aneddoti che conosco solo io. Strada facendo mi sono divertito a scriverlo. Il libro è un regalo per i miei fan che mi hanno seguito in questi 30 anni.» Nel libro denunci il mondo discografico regolato dal marketing e la stampa colpevole di mettere in rilievo personaggi privi di talento… «Sono sempre esistiti sia i personaggi privi di talento che certa stampa politicizzata. Durante i miei trascorsi ho costruito la mia carriera in modo totalmente diverso, non essendo mai politicizzato e non risultando mai simpatico ad un certo tipo di stampa. Col tempo e grazie alle mie canzoni si sono dovuti ricredere sul fatto che

non ero solo un cantante dell’estate, come mi definivano, ma qualcosa di più.» Hai detto: “una canzone può far sognare, ma prima ti sorprende, poi ti disturba, quindi ti fa pensare”. E’ questo il segreto dell’essere artista? «Ho scoperto di essere artista, perché facevo cose diverse dagli altri. Non esiste una scuola per diventare artisti, si nasce con un talento, con una voglia di fare qualcosa di diverso da quello che fanno gli altri. Ho avuto la fortuna di portare avanti le mie idee e ci sono riuscito, ho sempre cercato di essere libero di esprimermi, questo è stato il mio modo di essere artista.» Ripercorrendo la tua vita quali sono stati i tuoi momenti di gloria da uomo e artista? Come uomo ho scoperto di avere una grande serenità interiore. Come artista, quando Laura Branigann ha cantato un mio brano, in Nine negli Stati Uniti, rimanendo per mesi al primo posto in classifica.» Cosa pensa di queste nuove trasmissioni musicali XFactor, Amici… «Non credo sia il caso di ambire ad un concorso per diventare famosi, perché quello mi sembra un percorso adatto alle veline, ai tronisti. Questo genere di reality, sono dei palliativi, non hanno senso, l’arte non è lì, l’arte si incontra per strada.» 15


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Con questo nuovo progetto– spettacolo, torni a sorprendere il pubblico e la critica, questa volta accompagnato da 14 elementi del Coro dei Minatori. Un’altra grande sfida? «Sono attratto dalle sfide, mi piacciono i deragliamenti spontanei fuori dai canoni classici. A volte ho come la sensazione di mettermi in difficoltà da solo, pur di riuscire a materializzare una mia “visione”, un mio progetto! Ma questa è una sfida che sta ricompensando il coraggio di proporre progetti nuovi e soprattutto autentici, al di là dei tornaconti della discografia e della mannaia spietata del mondo dello spettacolo, che a volte ti pone davanti a dei compromessi che rischierebbero di penalizzare la “purezza” dei tuoi intenti. Così, dall’unione tra un cantautore e un coro di musica tradizionale toscana è nata spontaneamente una “combustione”, coinvolgente e contagiosa, che si trasforma in energia negli spettacoli dal vivo. La mia speranza è che il pubblico sappia cogliere la mia voglia di esplorare nuovi mondi, di avventurarsi in luoghi e tempi sconosciuti, accettando di viaggiare insieme.» Cosa ti affascina di più del mondo della musica popolare? «Quando mi sono avvicinato alla musica popolare, ho subito avvertito qualcosa di magico, che mi ha trasportato nel passato, che ha reso manifesto e nitido il legame profondo con un patrimonio che è dentro di noi, maga-

ri ben nascosto, occultato nella “miniera” dell' anima. È bastato poco per riuscire a sentire quel senso di appartenenza, lasciandosi trasportare nelle atmosfere che solo questo genere musicale sa creare. La cosa che più mi affascina è il suo essere attuale, ben oltre le sonorità. Per la scoperta di questo mondo ricco di suggestioni, devo molto al Maestro Ambrogio Sparagna e alla sua Orchestra Popolare Italiana di cui sono stato più volte ospite, e al recente lavoro di ricerca ed interpretazione che sta portando avanti Ginevra Di Marco con i suoi album.» Fra i temi affrontati in queste canzoni anche quello sul precariato e le morti bianche. In Italia il numero delle morti bianche, seppure in calo rispetto agli anni scorsi, è diminuito meno che nel resto d’Europa. Quanto una canzone può smuovere la coscienze?

«Nel mio secondo album ho affrontato il tema della malattia mentale, il precariato e la flessibilità, il menefreghismo imperante. Mi interessa portare in superficie delle cose sepolte dal tempo, dalla velocità e dalla smodata quantità di informazioni che subiamo ogni giorno. Ma non ho la pretesa di pensare che le canzoni possano smuovere le coscienze: ho solo imparato che la musica, quando è sincera e concepita con passione, può essere un ottimo veicolo per suscitare emozioni e magari dare spunti di riflessione. In questo, la “forma canzone” è un’arte molto singolare, che riesce a raggiungere il pubblico in modo veloce, laddove altre forme di comunicazione faticano ad arrivare. Dopo la vittoria del Festival di Sanremo con Ti regalerò una rosa, dopo tanto oblio fortunatamente si è ricominciato a parlare di matti e disagio psi17


chico, e un famoso psichiatra mi ha detto: “Con questa canzone sei riuscito a fare più tu in 3 giorni, che molti di noi, addetti ai lavori, in tanti anni lavoro...”.» Hai dato vita alla tua carriera parlando di luoghi e testimonianze legati all’istituzione manicomiale. A distanza di anni, ti rivediamo alle prese con questa “Miniera”, che diventa metafora della vita e delle condizioni dell’essere umano. La tua storia si potrebbe definire un romanzo a puntate, fatto di capitoli che aiutano a riflettere e conoscere realtà sconosciute. Cosa riserva il nuovo album che uscirà ad ottobre? «Il mio terzo album manterrà lo stile eclettico e variegato dal punto di vista dei testi. Per le musiche e gli arrangiamenti, ho preferito fare una scelta più acustica e meno elettronica rispetto 18

ai miei primi due lavori. Tutti gli strumenti saranno “suonati” dal vivo, senza nessuna riproduzione digitale; inoltre sarà presente lo Gnu Quartet, un formidabile quartetto d’archi di Genova con cui ho fatto diversi concerti negli ultimi due anni. Non ho voluto ricercare un solo stile musicale, ma ho dato più spazio alla mia necessità di esprimermi con generi musicali differenti, spesso lontani tra loro. Questa forse è la mia caratteristica e non credo sia un bene perderla.» Svariati sono i premi ed i riconoscimenti che hai ricevuto, considerando la tua breve carriera. Cosa rappresentano per te queste manifestazioni di apprezzamento e stima nei confronti tuoi e della tua musica? E, soprattutto, quanta carica danno al tuo lavoro? «I premi ed i riconoscimenti sono un grande stimolo a fare

sempre di più. Ma questo è solo un lato della medaglia: spesso ho sentito il peso di dover dimostrare a tutti i costi il mio valore artistico, e questo può portare fuori strada se non si ha una mappa precisa di dove si vuole arrivare. Aver vinto la Targa Tenco per l’opera prima, e tanti altri riconoscimenti meravigliosi e inaspettati, non significa automaticamente che resterò nella storia della musica italiana! Certo, dopo aver ricevuto l’amicizia e gli apprezzamenti da parte di venerabili maestri come De Gregori, Battiato, Baglioni, Dalla e Fossati, posso ritenermi un uomo e un cantautore felice! Ma so benissimo che questo sogno potrebbe svanire da un momento all’altro, come è successo a tanti. Quindi con pazienza e volontà, sto cercando di costruirmi una credibilità solida, al di là del “presenzialismo televisivo”, che a volte è deleterio. Penso di aver scritto belle canzoni, un bel documentario, e un libro interessante, ma una carriera solida si costruisce almeno in 20 anni!» In molti si chiedono chi è veramente Simone Cristicchi? Che tipo di uomo si celi dietro questa maschera da bravo ragazzo? Quanto di te c’è in questo ragazzo che sale su un palco e racconta storie di vita? «Simone Cristicchi è un “ricercautore”, la cui più grande fortuna è quella di essere una persona curiosa. Sono geloso della mia vita privata e orgoglioso di aver costruito da poco una famiglia, che ho capito essere il fine della mia vita. A volte, per chi fa il mio mestiere, è complicato mantenere un equilibrio mentale, ma ho sempre cercato di essere coerente con me stesso, portando avanti le mie idee e i miei strampalati e assurdi progetti. Quando sono sul palco porto molto di me stesso e della mia vera anima, ma mi diverte anche interpretare strani personaggi: questo mi da la grande opportunità di “essere” qualcun altro, di sperimentare un po’ di “sana schizofrenia”!»


Parliamo subito del nuovo disco: perchè Soubrette? «Perchè Soubrette è uno dei brani che preferisco dell'album e perchè l'Italia è diventata un paese di soubrettine che muoiono nell'arco di una stagione; un titolo quindi irriverente, spigoloso. L'album contiene dieci pezzi, alcuni autobiografici, altri no.» In Lezioni d'amore ironizzi sulle regole che la morale impone alla sfera amorosa. «Spesso non veniamo accettati per quello che siamo dal nostro partner, occorrerebbero lezioni d'amore per accontentare la nostra metà. Questo brano, un pò hard, fa capire come oggi siamo soggiogati da aspettative rispetto anche alla sessualità e ciò crea conflitti nelle persone.» Ti sei liberato dell'immagine appariscente con cui ti sei presentato qualche tempo fa al pubblico o questo è solo un periodo di transizione? «Una certa teatralità mi apparterrà sempre, ma ho cambiato il mio look, ridotto il trucco e sto indossando cose più congeniali alla mia personalità. In questo nuovo disco c'è molto degli anni ‘80 ed anche il mio look ora ha sicuramente qualcosa di bizzarro che ricorda quel periodo.» Hai scelto un genere pop ma la tua voce ha toni operistici, hai fatto studi del genere? «Ho studiato molto la lirica, ma ho cercato di discostarmi dal genere tradizionale puntando

all'avanguardia, e cercando una vocalità tutta mia.» Nel primo disco hai fatto il verso ad alcune dive della nostra canzone italiana: qual è la tua icona? «Ce ne sono tante, tutte quelle che ho cantato; Loretta Goggi, ad esempio, mi ha fatto i complimenti in diretta in uno special dedicato a me, per la mia versione di Maledetta primavera.» Ti sei imposto molto presso il pubblico omosessuale, non temi di rimanerci legato troppo? «Sono onorato di piacere agli omosessuali, sono straordinari e, a parte il fatto che piaccio anche agli eterosessuali, non ho preoccupazioni di questo genere.» Hai collaborato anche con Caparezza in La mia parte intollerante: ti piacciono i duetti tra generi così diversi? «Certo, io ammiro le persone che hanno coraggio. Caparezza è per me un genio assoluto e credo che la nostra sia stata la prima canzone di protesta sociale gay nell'ambiente rapper.» Che progetti hai per il futuro, musica o teatro? «Per ora solo concerti: sarò a maggio ai Magazzini Generali di Milano, poi farò un minitour estivo ed in autunno sarò nei teatri, dove farò musica pop elettronica. Fino a ieri facevo cose d'elite, ora ho voluto fare una cosa commerciale perchè ho intenzione di coinvolgere sempre più persone.» 19


A tre anni dall’ultima uscita discografica arriva Dolcenera nel paese delle meraviglie, un album, possiamo dire, diverso dagli altri. «Dal punto di vista musicale è un disco diverso, prima di tutto perché è stato registrato con tutta la band, un po’ come si faceva fino agli anni settanta, per cui si è recuperata anche un po’ l’atmosfera del live, il feeling con i musicisti, insomma quell’emozione tipica del live con la cura del suono che ovviamente c’è in un disco. Per quanto riguarda i testi, è un disco che affronta tanti argomenti diversi, dalle storie d’amore, all’impegno sociale e politico, ma tutto visto dal punto di vista dell’amore, il bene come chiave di lettura di tutto quello che si racconta.» Cos’è per te il paese delle

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meraviglie? «Il paese delle meraviglie è l’amore, è quello stato che si acquisisce quando sei in perfetta complicità con la persona alla quale vuoi bene, ma anche quando riesci a vivere in armonia con il mondo che ti circonda. Allo stesso tempo è anche il mondo della scoperta, proprio citando l’Alice della favola, lei è sempre alla ricerca. È un viaggio nel quale provi a conoscerti, a capirti, ma anche a scoprire come gira un po’ questo mondo.» Il successo è arrivato nel 2003 a Sanremo, ma prima ancora hai dovuto fare un bel po’ di gavetta, com’è stato vivere quel periodo? «È stato un periodo dominato da forti emozioni, spesso anche contrastanti. Da un lato c’era tutto l’entusiasmo di fare musica, mettere su una band, suonare per i locali, per cui grande entusiasmo e voglia di fare; dall’altro, invece, c’erano i tanti no, che arrivano dalle case discografiche. In definitiva è stato un periodo molto

forte nel bene e nel male, personalmente lo ricordo come uno di forte ricerca, soprattutto di un’identità personale, che ovviamente era tutta in fase di costruzione e di autostrutturazione.» Ti sei esibita in diversi paesi europei: noti una certa diffe-


renza nel modo in cui si lavora all’estero e come lo si fa in Italia, e relativamente anche al pubblico che ti sei trovata di fronte? «Sicuramente la differenza più evidente la trovo con la Germania, dove si concepisce il concerto in maniera differente. Ad esempio, lì non si suona nei palazzetti dello sport o quant’altro, ma in strutture create appositamente per la musica, quindi anche acusticamente pensate per quello. I tedeschi hanno una cultura del concerto diversa

dalla nostra, forse sono anche un po’ più curiosi da questo punto di vista, nel senso che vanno a seguire anche concerti di artisti non famosissimi e non ancora passati in tv. Noi sicuramente siamo più vicini alla Spagna da questo punto di vista, comunque sia, ogni tipo di cultura ha il suo fascino.» Nel 2006 sei stata testimonial Unicef per la campagna Uniti per i bambini, uniti contro l’Aids. Che tipo di esperienza è stata? «Quando si diventa famosi e la

tua voce risulta essere riconoscibile è quasi un dovere metterti a disposizione per sostenere tali progetti. È un modo semplice per dare una mano a chi ne ha bisogno.» Prima di salutarci, ricordiamo i tuoi prossimi progetti… «Sarò in giro quest’estate per circa 20 concerti, inoltre il prossimo autunno partiranno due progetti, uno nei teatri, più scenico diciamo, e l’altro invece in giro per club con la band, dove si ritroverà una dimensione più intima.» 21


Parliamo del tuo ultimo lavoro discografico L'Italia... e altre storie. Quando è maturata l’idea di scrivere queste canzoni e di rimetterti in gioco? «Questo è un album concepito e realizzato circa in un anno. Quando ho scritto L’Italia, ho subito pensato che avrebbe avuto bisogno di una certa presentazione, di un palcoscenico importante, un luogo dove le canzoni si ascoltano per davvero, ecco perché la scelta di Sanremo. L’album comprende altre nove storie che rispecchiano i nostri sentimenti, quello che viviamo nel quotidiano. Forse questo disco rispetta il 22

mio momento attuale, un momento di maturità, di cambiamento, di riflessione sulla vita, una trasformazione soprattutto mentale.» In questo disco, rispetto agli ultimi, si sente molto di più

quella grinta che da sempre ti contraddistingue… «Credo che nella vita ci siano momenti per arrabbiarci e momenti per sorridere. Penso che questo lavoro sia un po’ un

concentrato, se cosi possiamo dire, anche se poi gli argomenti sono diversi.» C’è una canzone nell’album che senti più vicina, che ti emoziona interpretare? «In realtà ce ne sono due: una è Come bella la vita, che racconta di quanto quest ultima sia importante, poiché parla di un uomo che si è svegliato dal coma grazie all’amore della sua ex moglie, una donna che lo aiuta a risvegliarsi e ricominciare a vivere. L’altra è Lontana dai tuoi angeli, dedicata a mia madre. Credo che ogni uomo abbia come punto di riferimento una grande donna. Io, che


ancora non ho incontrato la donna della mia vita, ho lei, mia madre, che ho perso nel 1984.» Rimpiangi di non aver ancora trovato al tua anima gemella? «Credo che la vita regali tante cose, a me è toccato il dono della musica, la soddisfazione di fare un lavoro che comunque mi affascina, mi fa anche arrabbiare, poiché è difficilissimo, devi lottare sempre contro tutti, contro certe ingiustizie, contro la mancanza di creatività, a volte con la paura di non sapere stare al passo con i tempi, di non riuscire a piacere sempre a tutti. In definitiva, però, è un lavoro bellissimo che mi permette di girare, di amare me stesso. Per adesso sopperisco a questa mancanza proprio con il mio lavoro.»

Durante questi anni, c’è stato mai un momento in cui hai avuto la crisi dello scrittore, quella di ritrovarsi davanti ad un foglio bianco? «Praticamente tutte le volte che comincio a scrivere. Credo che sia una caratteristica dell’essere artista la paura di non trovare più se stessi, fa parte della vita, non solo nella musica, ma anche nei sentimenti, nella propria autostima.» Quali sono le cose che ritieni fondamentali nella tua vita e a cosa non rinunceresti mai.. «Non rinuncerei mai alla musica, al poter scrivere, al poter comunicare agli altri. Per me la comunicazione è importantissima, come lo sono gli amici: è fondamentale circondarsi di persone

che ti vogliono bene, che ti conoscono da sempre e che ti aiutano ad affrontare la vita.» Gli anni che non hai è stata scritta da Giorgio Faletti: com’è nata la collaborazione? «Diciamo che è stata una sorpresa anche per me. Lui mi ha sempre stimato come artista e lo stesso vale per me. Mi ha proposto il testo ed io non ho esitato ad inserirlo nell’album. Gi anni che non hai è molto cantautorale, molto intimista, dedicato ad una ragazzina giovane, che si trova a vivere il passaggio dall’infanzia all’adolescenza, quando si conoscono i primi amori, i primi affetti, quando si pensa che fare i dispetti serve a crescere, quando si vive in maniera spensierata nell’incoscienza e nell’inconsapevolezza di quell’età.» “Nei tuoi sogni innocenti c’è ancora l’odore di un’Italia che aspetta la sua storia d’amore” . Ma questa storia d’amore arriverà? «Forse questo lo dicevano anche i nostri nonni, sperando fossimo noi a cambiare le sorti del Paese. Purtroppo non è colpa nostra se tutto va a rotoli, non è colpa dei giovani. L’Italia è divisa in due, da un lato c’è chi vive all’insegna del sacrificio, del lavoro, dell’impegno sociale, dall’altro c’è un’Italia che cura i propri interessi e che purtroppo non riesce ad autogestirsi. Si può parlare di politica, di istituzioni, si può parlare di quello che si vuole, il fatto è che non è certo un cantautore come me che può cambiare l’Italia.» Se dovessi ringraziare qualcuno chi sceglieresti? «Sicuramente mio padre, che mi ha sempre insegnato i valori della vita e che, nonostante abbia ormai 72 anni, per me rimane ancora il più grande maestro di vita che possa esistere su questa terra.» E per quanto riguarda il tour? «È partito il 17 aprile da Roma e proseguirà per tutta l’estate. Mi aspetto una tournée che possa essere seguita da tanta gente come finora è successo.» 23


Hai 22 anni e sei entrato ad Amici, con la canzone scritta da te, Mi manchi, pubblicata nel tuo album di esordio Vai. Quali emozioni provi nel cantare una canzone tua? «È la stessa emozione che ti dà il trovarla nel disco, cantarla forse è un po’ più facile, ma ascoltarla è più difficile. Comunque sia, pubblicare un disco vederlo nei negozi e soprattutto scoprire che ci sono delle persone interessate ad un tuo autografo è strepitoso, un sogno che diventa realtà.» Quali le canzoni dell’album che ti somigliano di più? «Mi somigliano un po’ tutte anche se non sono tutte scritte da me. Sono diventate parte della mia vita, le ho vissute intensamente anche perché il disco l’ho registrato quando 24

ancora ero nella casetta.» Ti è capitato di incontrare Gigi D’Alessio, l’autore di Da quando ti conosco? «Purtroppo non ho ancora incontrato Gigi D’Alessio. Ho saputo che aveva scritto una canzone per me da Maria. Una notizia che mi ha sorpreso tantissimo, inizialmente non ci credevo, anche perché mancavano pochissimi giorni alla chiusura del disco, quindi nemmeno ci speravo in un’ulteriore canzone. Poi, Maria mi ha detto: “Domani si chiude il disco e stamattina mi è arrivato un messaggio di D’Alessio, che non ha dormito tutta la notte per scrivere il brano che ci teneva a darti. Il pezzo si intitola Da quando ti conosco ”.» Come sei approdato alla Warner Music Italia?

«La Warner mi aveva già notato fin dai provini, poi, conoscendomi ed apprezzandomi meglio durante la messa in onda del programma, si sono convinti ancor di più. Spero che in futuro continueranno a credere in me.» Cosa si prova quindi ad essere circondato da persone che credono nel tuo talento? «Come spiegarti... è sicuramente bello, un’esperienza che ti gratifica, soprattutto vedere che ci sono delle persone che credono in te, in quello che fai, in quello che sei. Per me questo è fondamentale, anche perché non ho avuto una famiglia che appoggiasse le mie scelte. Non hanno mai creduto nei provini e nel mondo televisivo, erano del tutto contrari. Per me, raggiungere questo traguardo è stata senza ombra di dubbio una grande e bella soddisfazione.» Sei arrrivato terzo alla finale di Amici. Qualche rimpianto? «Nessun rimpianto.» Questa tua avventura musicale sul mercato avviene insieme alla tua compagna di classe Silvia Olari, con la quale


tuo minialbum ti assomigliano di più? «Sicuramente Fino all’Anima, il brano scritto da Nek, uno di quelli che mi rappresenta di più, sia musicalmente, sia per le tematiche del testo. Poi, mi piace molto Every Day, che è il pezzo scritto da Luca Jurmann e anche Che posso darti ancora, scritto da Fabio Roveroni, lo stesso autore di Ti rincontrerò di Marco Carta. Sono stata molto fortunata, tutti i pezzi di questo disco mi sono stati cuciti proprio addosso, scelti per me, mi piacciono tutti.» Per quanto riguarda Nek, hai avuto modo di incontrarlo? «Non l’ho incontrato di persona, ma ho avuto contatti telefonici con lui quando stavo registrando. Mi ha dato indicazioni per come fare uscire il pezzo, lasciandomi anche spazio per la mia vocalità. Per me è stata davvero una sorpresa sapere che Nek avesse scritto un pezzo per me, insomma mi ha lasciato Hai 20 anni e sei arrivata ad alquanto spiazzata.» Amici al secondo tentativo. Come sei approdata alla Come è nata questa tua forte Warner Music Italia ? «Mi hanno raccontato che la vocazione per il canto? «Ho iniziato a suonare il piano- Warner Music era interessata a forte per gioco. Avevo 8 anni, e produrmi già da quando ero dennon avevo hobby, andavo a scuo- tro la scuola di Amici, solo che la e basta. Ad un certo punto, finché siamo dentro il programcasualmente, si è aperta una ma, non possiamo sapere niente scuola nel mio paese e mi sono di quello che accade fuori, di iscritta al pianoforte classico e quello che si muove per noi. l’anno dopo ho cominciato con Maria lo fa, giustamente, per canto moderno. La mia inse- non farci condizionare in nessun gnante aveva notato che avevo modo da eventi esterni, che una predisposizione per il canto. potrebbero distrarci dall’impeNon mi sono mai più fermata. » gno con il programma.» Qual è il genere musicale in Cosa si prova ad essere circondati da persone che credono cui ti riconosci? «Quando avevo 14-15 anni, can- nel tuo talento? tavo le canzoni dei Matia Bazar, «Sono circondata da persone che Laura Pausini, Elisa. Negli ulti- non sono persone care, non sono mi anni ho cambiato un pochino, genitori, parenti o amici stretti. perché ho cominciato a studiare È però gratificante vedere che pianoforte moderno ed ho deci- dei professionisti, discografici so di accostare il pianoforte alla che sono sul mercato da anni, voce. Questo mi ha portato verso investono su di me.» un genere diverso, più interna- Il tuo debutto sul mercato zionale, come Alicia Keys, avviene assieme a quello, con Beyonce. Ora porto avanti tutte la stessa etichetta discografie due i generi anche se canto ca, del tuo “compagno di banco”, Luca Napolitano, con prevalentemente in inglese.» Quali canzoni contenute nel cui sarai anche in tour, ognuno

andrai in tour. Qual è il vostro rapporto oggi? «Il nostro rapporto, non dico che sia di amicizia, perché amicizia è un parolone, però al momento è una bella conoscenza, siamo stati compagni di classe, adesso siamo compagni di casa discografica, quindi spero che arrivi anche l’amicizia.» Ai fan che vi vedrebbero così bene insieme, cosa dici? «Dico che è impossibile, perché siamo due mondi diversi.»

con il suo album. Qual è il vostro rapporto oggi? «Assolutamente buono, andiamo d’accordissimo. Far parte della stessa casa discografica ed avere un ottimo rapporto, credo sia positivo anche per il tour.» Molti dei vostri fan vi vedrebbero come coppia, non solo lavorativamente parlando. Tu cosa rispondi? «So benissimo che ci sono tanti fan che tifano per questa cosa, ma il nostro legame è nato e si è fortificato per i duetti insieme, per aver condiviso un banco, una squadra e oggi una tournée. Fondamentalmente, credo che per loro vada bene vederci legati anche solo artisticamente. Siamo talmente abituati ad avere un rapporto amichevole che va assolutamente benissimo così.»




Avevi già fatto il provino per X Factor? «No è stata la prima volta ed avevo anche paura visto l’età.» Con quali paure hai affrontato le canzoni “importanti” della musica leggera italiana, come Ancora ancora ancora di Mina che tra l’altro hai inserito anche nel disco? «Con molta curiosità e voglia di dare il massimo. Per le canzoni italiane sono stato aiutato molto da Andrea Rodini, che è un mago nel cercare di trasmettere certe emozioni con i testi italiani.» Nessun timore nell’aver interpretato canzoni dei Queen o Mina, sei molto sicuro di te allora? «No, non è la sicurezza. Sono diciotto anni che provo a fare qualcosa con la musica, quindi, di canzoni e di stili musicali ne ho masticati un bel po’. Ad X Factor sei molto concentrato sulla musica ed hai tempo e spazio mentale per pensare solo a quello, questo aiuta molto anche ad affrontare canzoni più toste.» Se la vittoria non fosse stata la tua, chi avresti voluto raggiungesse il primo posto? «Secondo me i Bastard Sons of 28

Dioniso, nel loro genere sono molto forti, così come il timbro vocale di Noemi è molto particolare.» Credevi che un talent show ti avrebbe portato ad un così grande e immediato successo, soprattutto con l’uscita di questo singolo, Impossibile? «Si, ci credevo e ci speravo, però è chiaro che la certezza non c’è mai. Non appena ho sentito il brano Impossibile, mi sono messo a lavorare rifacendo il testo, insieme con Andrea Bonomo, l’autore, e Luca Chiaravalle che ha curato le musiche.» In famiglia come è stata presa questa vittoria, so che hai due bambine... «Molto bene, mi hanno sempre incoraggiato e senza il loro appoggio non avrei potuto affrontare questa avventura.» La critica più bella che hai ricevuto ad X Factor? «Il commento che Miguel Bosé ha fatto alla canzone Stay. Tutti quei complimenti mi hanno reso veramente felice.» Ci sarà un prossimo album con canzoni tue? «Si pensa di farlo uscire verso ottobre. Ho già una ventina di


canzoni che ho scritto in tutti questi anni, già registrate a livello di provini, quindi, metterò a confronto il mio lavoro con i miei produttori discografici ed altri autori con cui ho collaborato e farò una cernita.» Quali sono i temi che tratti nelle tue canzoni, cosa ti piace raccontare di più? «A me piace raccontare semplicemente storie di persone, di relazioni sociali e sentimentali. Mi piace immedesimarmi in queste situazioni e simulare le sensazioni che queste persone provano in quei momenti.» Cosa succederà ora ai Chek Back, la tua band? «In realtà i Chek Back sono un duo, formato da me e Franco Ceccanti. Spero di riuscire a coinvolgerlo nei miei progetti.» Perché in tanti anni non sei mai riuscito ad emergere? «Andrebbe chiesto a quelle persone che mi hanno sbattuto la porta in faccia ogni qualvolta portavo o inviavo una mia demo.» Sei stato testardo in questi 18 anni, cosa ti ha dato la forza per andare avanti? «Beh è stata la passione per musica, che mi ha permesso, attraverso la sua naturalezza, di non mollare.»

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L’amor carnale è la canzone The Zwang song di un vostro precedente album… «Prima di essere scelti a X Factor stavamo ultimando un album. L’amor carnale è una canzone che suonavamo da un paio d’anni nei nostri live, ma il testo era in inglese. Purtroppo abbiamo avuto poco tempo per scrivere qualcosa di decente in italiano. Il nostro primo album risale al 2005, Great Tits Heat, elettrico con chitarra, basso e batteria e nel 2007, invece, abbiamo pubblicato Even Lemmy sometimes sleeps. Tutti e due autoprodotti con testi ironici e scanzonati.» Molti anche legati al sesso… come l’Amor carnale… «Il sesso c’è sempre un po’ dappertutto, in due giorni che dovevamo preparare il testo è stata la prima idea che ci è venuta in mente. Fare una traduzione dall’inglese non era possibile, abbiamo provato ma non ci stava metricamente con le rime. Così l’abbiamo un po’ modificata rispetto all’originale.» L’altro inedito dell’EP è Wednesday was? «È nata dall’idea un po’ malata di Jacopo. Abbiamo deciso di inserirla nell’EP, per far capire che abbiamo un lato acustico e non siamo solo dei casinisti.» Chi tra di voi scrive i testi e chi la musica? «In verità tutti e tre. Lo spunto parte o da me o da Jacopo, ed appena nasce un’idea andiamo in sala prove, la confrontiamo insieme ed ognuno mette il suo anche nei testi.» A quando risale la vostra prima esibizione? «Praticamente suonavamo in tre gruppi diversi e visto che eravamo nella stessa classe alle superiori, una sera Jacopo c’invitò

nella sua sala prove in una baita in montagna. Ricordo che siamo rimasti tutta la notte a suonare, decidendo così di fondare il gruppo e di lasciare gli altri.» Come nasce il nome? «Era uno dei nomi proposti da Jacopo al precedente gruppo in cui suonava, ma dopo averlo proposto lo scartarono, così l’ha suggerito a noi e l’abbiamo subito adottato. Non attribuiamo al nome nessun senso particolare, ci suonava bene e ci piaceva.» …e la vostra prima canzone? «È nata sempre quella sera a casa di Jacopo. Il titolo era

nulla con quello che facciamo.» Naturalmente si sperava di vincere, ma quali tra i ragazzi in gara avreste preferito che vincesse? «La vittoria la meritavano un po’ tutti, anche se Matteo se l’è meritata alla stragrande, vista la sua gavetta. Era comunque la voce più bella, ma ci piaceva anche Enrico, Noemi, Daniele, Yuri, insomma un po’ tutti e non sapremmo dire chi avremmo preferito che vincesse.» Come gestite questo successo, questo essere catapultati così di botto in mezzo alla gente?

Ventidue, un numero che in quel periodo ci perseguitava, comunque non la suoniamo più da circa tre anni.» Parliamo di X Factor, qual è stato il complimento più interessante che avete ricevuto? «Quello di Elio e le storie tese, quando ha detto: “Noi siamo i bastardi vecchi. Lasciamo il posto ai bastardi giovani”.» Quale delle vostre esibizioni vi è piaciuta di più? «Probabilmente la più bella anche da imparare è stata Walk this way, anche se non c’entra

«È tutto molto strano, dobbiamo ancora abituarci, però abbiamo la fortuna di essere in tre, quindi bene o male ce la caviamo e ci dividiamo tra la folla.» Seguirà un tour? «Non ci sono ancora date precise, solo varie ospitate in programmi televisivi. Ma stiamo già decidendo per la scaletta, proporremo oltre all’inedito anche i nostri vecchi brani.» Il nuovo album per quando è previsto? «Probabilmente per l’ autunno e sarà un album tutto in italiano.» 31


Come sei arrivato al programma Ti lascio una canzone? «Semplicemente facendo una richiesta via e-mail alla quale mi hanno risposto ed invitato a partecipare ai provini. Sono stato ascoltato direttamente da Roberto Cenci, anche regista della trasmissione, il quale da subito mi ha scelto per partecipare al programma, ed è stato il primo provino serio che affrontavo a questi livelli.» Come hai vissuto la vittoria? «Chiaramente, mi ha reso molto felice, l’ho vissuta nel modo più naturale e semplice possibile. Tra noi ragazzi non c’era competizione, ma una perfetta armonia e serenità. Non mi aspettavo di vincere, per me è stato come un gioco.» Roberto Cenci sarà stato impressionato dalla tua voce quasi da adulto, a volte si stenta a credere che canti dal vivo. Quanto studio c’è dietro? «In realtà, da qualche tempo sto studiando pianoforte e solfeggio da un maestro privato, ma un vero e proprio studio per il canto, una formazione canora non c’è stata. Nessuno mi ha mai detto, si 32

canta seguendo questa impostazione o un’altra. Comunque, tra qualche anno mi iscriverò anche al conservatorio.» So che hai partecipato anche a dei festival? «L’anno scorso ho partecipato e vinto al Festival dell’Adriatico, premio Alex Baroni, di S. Benedetto del Tronto, con la canzone Schiavo d’Amore di Piero Mazzocchetti, ma questo è stato l’unico festival a cui ho partecipato.» Quali sono i tuoi artisti preferiti? «Seguo molto Bocelli, ma amo anche Alex Baroni, Tiziano Ferro, Baglioni, Zero, ma il faro in assoluto è Bocelli, prediligo questo genere di musicalità, pop lirico, ma riesco a variare tra diversi generi musicali.» La critica o il giudizio che più ti ha colpito? «Quando hanno decretato la mia vittoria, sono stato contento delle parole che mi ha dedicato Claudio Cecchetto: «Aspettavamo tutti la vittoria del gruppo ed il fatto che abbia vinto Gianluca significa che Ti lascio una canzone sta diventando un progetto musicale molto credibile, quindi al di là del cuore si guarda anche alla qualità.»


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Sei un’attrice versatile: riesci a passare da un genere all’altro con facilità. Se dovessi descriverti come ti definiresti? «Spesso non seguo una strada unica, l’essere versatile potrebbe sembrare una mancanza di perseveranza. Sono dei Gemelli, per cui mi piace cambiare, anche se fare tante cose diverse ti fa perdere tempo e riesce difficile identificarti in un solo ruolo. Amo molto la contaminazione dei diversi generi. Purtroppo, nell’ambiente dello spettacolo si vengono a creare dei gruppi chiusi che fra di loro non riescono a comunicare. Ad esempio, c’è il teatro colto che non riesce a comunicare con quello commerciale. Se si riuscisse ad unire qualità e quantità probabilmente si potrebbe presentare uno spettacolo di ottimo livello.» Ultimamente hai dichiarato di essere un po’ stanca della comicità… «Questo genere mi ha stancato fisicamente. Credo che il cabaret sia basato principalmente su serate in giro per i locali ed io non mi sento più di farlo. Mi è più vicino il teatro o meglio ancora il cinema e la fiction. In Giuseppe Moscati, ad esempio, ho finalmente ottenuto un ruolo drammatico, e per me è stata una bellissima esperienza, anche se la fiction che mi ha resa popolare è Capri. Inoltre, sento l’esigenza di voler entrare in un circuito ufficiale per quanto riguarda il teatro, come per lo spettacolo che ho portato in scena questo inverno, Non è per cattiveria,

prodotto dalla Diano Osiris con Ciro Villani e Michele Caputo. Uno spettacolo che mi ha dato tanto e probabilmente verrà riproposto.» Oltre ad essere attrice, sei anche autrice. Stai scrivendo qualcosa in questo periodo? «I miei testi li ho scritti sempre in collaborazione con Domenico Ciruzzi, che tra l’altro è il mio compagno. Devo dire che, avendo dedicato 15 anni della mia vita alla scrittura, credo che anche questa fase si sia un po’ esaurita. Nonostante tutto, nel mese di maggio, ho partecipato all’evento Raccontami, in cui 100 attori dovevano raccontare siti storicoculturali, per valorizzare le bellezze della nostra Regione. A me è toccato scrivere la storia di Villa delle Ginestre a Torre del Greco, una delle dimore di Leopardi. Ho accettato senza esitare.» E sempre in tema di versatilità, parliamo del ballo e di quel passo d’addio mancato. «Purtroppo la carriera da ballerina non è stata fortunata. Ho studiato danza, cominciando proprio dal Teatro San Carlo. Il mio obiettivo era quello di diplomarmi in danza classica, ma ad un mese dal passo d’addio il mio compagno disse all’insegnante: “Maestro ma chi aiz a chesta”. Fu allora che decisi di mollare tutto, continuando con la danza contemporanea e facendo per un periodo anche l’insegnante. Se un giorno dovessi decidere di non fare più l’attrice, mi piacerebbe fare la coreografa o la sce-

nografa o meglio ancora la regista.» Tra i diversi registi con i quali hai avuto modo di lavorare, chi è riuscito a cogliere il tuo lato migliore? «Ho incontrato veramente tanti registi, ma quella con Salvatores, anche se non ho interpretato un grande ruolo, è stata un’esperienza che mi è servita molto e chissà se in futuro, Salvatores non mi proporrà una parte importante. Altro regista che mi ha ridato il sorriso, dopo un periodo negativo, è Enrico Oldoini, regista di Capri. Porto nel cuore anche Giacomo Campiotti, un grande poeta e regista anche se sottovalutato. Per non parlare di Domenico Ciruzzi, che è diventato mio marito e padre di mio figlio.» Cosa puoi dirci di Capri? «Molto probabilmente cominceranno le riprese della terza serie, ma non posso dare ancora una risposta positiva. Mi ha fatto molto piacere lavorare al fianco di Isa Danieli poiché, come me, anche lei è un’attrice versatile. È sicuramente un modello da seguire perché non è facile restare a galla fino alla sua età.» Hai dei rimpianti? «Di non essere riuscita ad entrare bene nel cinema, ma credo di essere stata penalizzata dal fatto che non mi sono mai allontanata dalla Campania. Riuscire a realizzare una bella pellicola resta sempre uno dei miei sogni. Teatralmente, invece, mi piacerebbe interpretare Anna dei miracoli. Staremo a vedere.» 37


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Quando hai compreso la tua vocazione a fare l’attrice? «Diciamo che non c’è stato un momento in cui mi sono resa conto di questo. Quando sono entrata all’età di 15 anni in teatro, iniziando a recitare in una piccola compagnia di Frosinone, ho iniziato un viaggio nel mondo della recitazione che non mi ha lasciato proprio il tempo per pensare. È stato ed è un flusso continuo, un viaggio che continua e spero non finirà mai.» C’ è un criterio che ti guida nella scelta dei personaggi e

delle storie da interpretare? «L’importante è che siano delle belle storie con una loro forza, scritte bene, con la necessità di essere raccontate. Fino ad ora ho avuto la fortuna di avere sempre a disposizione dei personaggi complessi, molto interessanti che mi hanno arricchito interiormente. Ogni tema che ho trattato è stato tanto forte da dover essere raccontato. Sono stata felice di tutti i personaggi e dei ruoli che ho avuto finora.» Qualcuno ti ha soprannominato “Giannini in gonnella”, per l’attenta preparazione che fai prima di ogni interpretazione, studiando i dialetti, le nevrosi, le abitudini dei tuoi personaggi. Da dove nasce questa tua esigenza, di rendere così fedelmente il personaggio? «Sono onorata dell’associazione ad un mostro sacro della recitazione come Giancarlo Giannini, che ho avuto la fortuna di incontrare al centro sperimentale di cinematografia ad uno stage. Alla base c’è l’insegnamento della meticolosità che viene direttamente da lui. Penso che sia fondamentale entrare nella storia

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dei personaggi di ogni film in maniera completa, iniziando dalla provenienza geografica e continuando quindi con lo studio approfondito del dialetto. Ogni personaggio deve essere diverso dall’altro, esteticamente ed interiormente» Un bravo attore, una brava attrice, secondo te può vestire qualsiasi identità? «Perché no? Sarebbe la massima aspirazione per un attore fare qualunque tipo di personaggio. È vero che ci sono ruoli più vicini alle proprie corde, però è necessario avventurarsi, avere la

possibilità di fare sempre personaggi nuovi.» Quale è il segreto per calarsi così bene nei panni di un personaggio anche molto diverso da te? «Ho interpretato dei personaggi abbastanza complessi, ad esempio parlando della fiction tv Il capo dei capi, sono stata Ninetta Bagarella, moglie del boss Totò Riina, al cinema in Galantuomini ho interpretato un magistrato antimafia che lottava contro la sacra corona unita. Di ogni personaggio cerco di cogliere il cuore, la motivazione principale

che lo sospinge, cosa mi fa vibrare a livello personale. C’è una chiave di lettura che deve avere sempre a che fare con qualcosa che mi tocca da vicino anche quando non mi riconosco nel vissuto di quel personaggio.» I tuoi progetti per il futuro? «Diciamo che c’è la possibilità che il film per la tv Al di là del lago che ho interpretato da coprotagonista con Kaspar Kapparoni, trasmesso di recente da Mediaset, diventi una miniserie. Se ciò accadrà, sarò sicuramente molto impegnata con questo progetto.» 41


Da alcuni anni siete i conduttori di Orizzonti, la rubrica di Linea Verde. Cosa vi ha dato questa esperienza? «Orizzonti ci ha permesso di conoscere tutte le meraviglie d’Italia, riuscire a scovare le tradizioni culinarie diverse in ogni regione, in ogni paese, scoprendo i piatti tipici e i vini doc. Attraverso un piatto è stato possibile capire le varie sfaccettature di un paese. Ogni servizio ci ha lasciato dentro qualcosa, soprattutto il contatto con gli abitanti. L’Italia è bella e va conosciuta. Ogni paesino ha una storia a sé. Si spendono soldi per andare alle Maldive o in Messico, quando ci sono posti meravigliosi a portata di mano.» La vita frenetica, il lavoro, non permettono di mangiare in modo sano, portandoci a scegliere il fast food. Sarebbe meglio cambiare stile di vita alimentare... «Si, certamente. A tale scopo abbiamo ideato l’evento Orgoglio mediterraneo, sul nostro sito www.fedetinto.com, una puntata 42

speciale di Orizzonti a Napoli, ricca di prodotti tipici, l’olio, il vino, il pomodoro, la mozzarella, prodotti che si sposano con la dieta mediterranea. Per battere la concorrenza del fast food bisogna essere orgogliosi della filosofia alimentare mediterranea.» Non sempre i prodotti sono in regola con le normative. Qual è il consiglio da dare ai consumatori per riconoscere i prodotti tipici… «Sicuramente leggere l’etichetta, che identifica il prodotto, per riuscire a capire se sono stati

rispettati i disciplinari di produzione.» Continua l’impegno con Radio due e Rai Sat… «Si, condurremo Decanter su Radio Due fino a metà giugno e Decanter, i diari del gusto su Rai Sat. Stiamo ripensando ad una nuova edizione di Linea Verde, con un approccio allegro e divertente, attraverso un linguaggio semplice ed immediato, per arrivare anche ai giovani, permettendo loro di accrescere la cultura enogastronomica.»


Malafemmena, una storia d’amore, quella tra Totò e Diana, i suoi genitori. Cosa prova da figlia nel ripercorrere la storia dei suoi genitori? «Mi è costato molto scavare nei sentimenti dei mie cari. Con Malafemmena, un libro che è stato voluto molto anche da mia figlia Diana, ho reso omaggio a mamma. Nel 1990 quando ho conosciuto Matilde Amorosi, la biografa di Totò per antonomasia, mia madre era ancora viva, mentre noi due scrivevamo, lei raccontava cose intime e personali, ricordava con gioia i momenti stupendi vissuti accanto all’uomo più importante della sua vita, Totò. La storia è finita perché papà aveva le sue avventure, le sue storie, e nonostante tutto erano uniti, complici. Mia madre Diana è stata un’amica, un’amante, una sorella, una madre, lei sopportava con grande serenità tutto quello che lui le imponeva in un certo senso. Poi, si sono separati. Papà ha sofferto tantissimo per quella separazione, non avrebbe mai immaginato

di perderla un giorno. Proprio a causa del dispiacere che provava per la sua mancanza, scrisse Malafemmena, la canzone d’amore, divenuta famosa in tutto il mondo.» Cosa provò sua mamma quando ascoltò Malafemmena la prima volta? «Ricordo che pianse tantissimo. Ma anche papà ogni volta che qualche interprete la cantava faceva fatica a trattenere le lacrime, il loro è stato un amore d’altri tempi.» Per lei è stato difficile accettare la loro separazione?

«Si molto. Soprattutto quando sono diventata madre anch’io, ho capito i valori importanti come la famiglia. Adesso, comunque, mi consola il fatto che siano finalmente insieme. Sono felici in un altro mondo.» Dopo la morte di Totò, Diana scriveva lettere, gli parlava… «Si, negli ultimi anni mia madre parlava sempre di lui e prima di morire pronunciò queste parole: “Grazie Totò, sei venuto a prendermi, adesso saremo insieme per sempre”. Totò per mia madre è stato il primo e unico amore, quello indimenticabile.» 43


Sia nei tuoi film, sia nel libro Ad occhi aperti in cui ti racconti a tutto tondo, traspare la tua grande umanità e il piacere che provi a stare con gli altri. Ad esempio nel libro si parla dei raduni con gli amici nella cucina di casa tua, che poi è la cucina usata per le riprese di Saturno contro. Nel mondo di oggi è diffusissimo il rapporto virtuale tramite internet e il telefono cellulare. Tu cosa ne pensi? «Molte persone mi descrivono come un uomo di grande umanità, anche se personalmente non riesco a vedermi così come mi descrivono gli altri. In realtà, devo dire che frequento molto le persone che mi piacciono. Le persone che proprio non mi piacciono le tengo fuori dalla mia vita. Per quanto riguarda il discorso di internet e del telefonino, credo che ci abbiano rovinato totalmente. Internet ha finito praticamente per annullare la conoscenza diretta della persona e il telefonino ci fa avere dei comportamenti assurdi. Ad esempio, appena scesi da un aereo, vedi che tutti sono con il cellulare in mano poichè tutti hanno qualcuno da chiamare e qualcosa da dire. A questo punto mi chiedo, ma prima dei cellulari come facevamo? Purtroppo però anch’io mi comporto in questo modo. Quando la sera spengo il cellula44

re, ho l’impressione di interrompere il mio rapporto con il mondo, una cosa assurda. Queste nuove tecnologie hanno finito per rendere il tutto più veloce: con gli sms ogni concetto che vogliamo esprimere, dal più semplice al più complicato, viene espresso in modo rapido e conciso. Internet, poi, è un bombardamento continuo e velocizzato di informazioni. Credo, comunque, che tutta questa velocità sia dovuta un po’ alla paura della morte. Non ho mai avvertito nelle persone una paura della morte così grande come c’è oggi e sembra quasi che il velocizzare tutti questi processi di conoscenza sia un modo per esorcizzare il tempo che passa e quindi esorcizzare la morte che si avvicina. Mi piacerebbe vedere cosa succederebbe se s’interrompessero le connessioni internet e dei telefonini per una sola settimana. Penso che ci guarderemmo molto più intensamente intorno, almeno credo.» Cosa ne pensi del momento difficile che sta attraversando il cinema italiano a livello internazionale? «Sinceramente credo che il cinema italiano non sia in un momento di vera difficoltà. Non dimentichiamo che film come Gomorra o Il Divo sono usciti non troppo tempo fa, e


sono due ottimi film che rappresentano l’Italia nel panorama cinematografico mondiale. Detto questo, sostengo che il cinema italiano debba essere aiutato andando al cinema. Personalmente, cerco di andare a vedere tutti i film italiani che escono in sala e, in questo, potrei definirmi “razzista”. Penso che c’è bisogno di sostenere il cinema italiano per far sì che possa diventare sempre migliore, sempre più bello.»

Sei uno dei migliori esponenti del nostro cinema nel mondo. Secondo te come mai i tuoi film hanno questo grande successo? «Non saprei come rispondere anche perché sono uno di quelli che non è mai contento di quello che gira e che vorrebbe sempre migliorare qualcosa. Ricordo quando facevo l’assistente alla regia, la prima volta lavorai con il grande Massimo Troisi che non posso non citare, ma ho lavorato con tanti registi e la maggior parte di loro era perfezionista come me. C’era anche qualcuno che amava i suoi film, quello è normale, ma a me ha fatto sempre una certa impressione sentire qualcuno che dice: “Che bel film che hai fatto”, proprio perché nei miei trovo sempre mille difetti. Dunque non so il perché del successo dei miei film, ma ciò non toglie che ne sia molto felice.» Curi molto i dettagli nei tuoi film. Gli attori che lavorano con te, quanta libertà di espressione hanno? «Partiamo dal presupposto che sono un maniaco dei dettagli. Si potrebbe pensare che sono uno che lascia poco spazio all’attore e che invece punta sull’idea che ha in mente per ogni scena. La verità è che in ogni scena che giro nulla è lasciato al caso. Quando mi accingo a preparare un film, dopo la stesura della sceneggiatura, riunisco gli attori a casa mia ed insieme cominciamo a leggere la sceneggiatura e ognuno esprime i propri pareri e sceglie i dettagli della scena. Molte scene possono nascere sul set: ad esempio la scena di violenza in Il giorno perfetto non c’era sulla sceneggiatura ed è nata al momento.» Nei tuoi film a volte sono presenti personaggi televisivi prestati al cinema, è una scelta precisa o casuale? «Nei miei film potrei far recitare

anche una ballerina di lap dance, dipende dalle sensazioni che l’aspirante attore mi da. Secondo me non c’è un percorso preciso che un attore deve seguire per diventare attore, e da qui deriva che anche i personaggi televisivi presenti nei miei film li ho scelti per quello che mi riuscivano a dare a livello emotivo. Faccio sempre la distinzione tra il personaggio e l’attore. In genere l’attore cerca di entrare nel personaggio, io, invece, cerco sempre di avvicinare il personaggio al modo di fare e di esprimersi dell’attore, cercando di amalgamare le due cose. Questo è molto importante per la scelta degli attori nei miei film, com’è importante che l’attore sia capace di lasciarsi andare.» 45


Il tuo ultimo lavoro editoriale è un vero e proprio reportage che racconta di come le quattro mafie (Cosa Nostra, Camorra, ‘Ndrangheta, Sacra Corona Unita) sono cresciute, stendendo i tentacoli sull’intera Penisola. Quanto è stato difficoltoso portare a termine l’inchiesta, sia per quanto riguarda l’accesso, sia per l’autorizzazione alla pubblicazione del materiale. E in questa ricerca, in cui ha utilizzato le armi del giornalismo investigativo, ha trovato limitazioni? «Parecchio difficoltoso perché per raccogliere un’enorme mole di informazioni ho dovuto leggere migliaia di pagine di atti giudiziari, relazioni, dossier, decreti di scioglimento, inchieste giornalistiche. Senza contare le centinaia di pagine di appunti presi durante i numerosi colloqui con magistrati e forze dell’ordine. Ho pubblicato solo ciò che è consentito dalla legge. Le norme 46

impongono molte limitazioni: ci sono informazioni che meriterebbero di essere divulgate, ma le leggi sono molto restrittive. E anche quelle che stanno per arri-

vare vanno in questa direzione: ridurre la circolazione di informazioni che la collettività dovrebbe conoscere.» Napoli criminale, I boss della


camorra ed ora La Penisola dei mafiosi. Non temi che lo smuovere troppo certe acque possa ritorcertisi contro, attirare l’attenzione di chi ha il potere di fare effettivamente qualcosa, ma anche di chi detiene il potere in senso negativo. Non hai mai avuto paura delle minacce, come già è successo per Saviano? «Oggi va molto di moda l’immagine del giornalista o dello scrittore minacciato. Si guarda molto di più a questo aspetto che non alle cose che il giornalista o lo scrittore hanno divulgato. Penso che quando si affrontano certi argomenti è inevitabile diventare impopolari ed essere oggetto di manifestazioni di intolleranza, quindi le minacce sono quasi inevitabili. E sarebbe una contraddizione affermare di aver paura: se uno ha paura, non scrive punto e basta. E poi un giornalista che ha paura non è un giornalista, è solo un pavido.» Saviano con il suo Gomorra è stato il portavoce di una realtà che ha lasciato esterrefatti coloro che per anni hanno finto che tutto fosse normale e vivibile. Un realtà, come dici nel libro, che: «Secondo la Commissione (la Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della criminalità organizzata mafiosa o similare n.d.r.) anche la scarsa attenzione dell’opinione pubblica ai fenomeni mafiosi ha indirettamente contribuito a far sì che il potere dei clan venisse sottovalutato… puntando l’attenzione su furti, rapine e violenze, soprattutto se commesse da albanesi o rumeni»… «Una delle cause che ha consentito alle mafie di prosperare è la disattenzione dell’opinione pubblica. In genere c’è una reazione collettiva solo di fronte ad episodi particolarmente efferati. Però siamo di fronte ad un fenomeno comprensibile: la gente deve già

difendersi da furti, rapine e scippi, e non possiamo pretendere che segua con attenzione pure le evoluzioni delle mafie. È evidente che sottovalutare un fenomeno così grave per il nostro Paese finisce col fare il gioco dei mafiosi e di chi li sostiene.» Il tuo libro a differenza di Gomorra, va ad ampliare gli aspetti della criminalità organizzata, evidenziandoli in maniera “secca, chiara e dura” (come ha affermato lo stesso Saviano). Metter in luce simili verità, rimane un dato fine a se stesso, o può servire a cambiare qualcosa e se sì, che cosa? «Mi dispiace dirlo, ma temo che serva a ben poco. Fino a quando i governi non metteranno in cima alle priorità la lotta alle mafie, i libri non serviranno a granché. Penso sia il caso di ricordare che la criminalità organizzata si vince solo se c’è una forte e netta volontà politica.» Nel capitolo sulle mafie straniere si legge: “quella delle mafie straniere è ormai un’altra piaga con la quale siamo costretti a confrontarci sempre più spesso, nella consapevolezza che si tratta di un fenomeno non sempre facile da contrastare perché il più delle volte non esistono di cooperazione giudiziaria tra il nostro e gli altri Paesi…”. Dobbiamo rassegnarci al fatto che l’Italia diventi il “paradiso” della criminalità organizzata mondiale, ed assistere impotenti ed in silenzio di fronte connivenza dello Stato? «Negli ultimi anni in Italia sono arrivati mafiosi da ogni parte del pianeta. E se vengono tutti da noi è perché abbiamo leggi non sempre severe e i cavilli per farla franca sono tantissimi. Le mafie rappresentano una emergenza nazionale, ma la reazione dello Stato non è adeguata.» Ultimo libro in uscita La casta

della monnezza. Come nasce l’idea di un secondo libro, a così breve distanza dall’altro e perché? «L’idea di scrivere La casta della monnezza è venuta a me e a Vincenzo Iurillo durante le feste di Natale, mentre al ristorante discutevamo di quanto la classe politica campana, fosse caduta così in basso, travolta da arresti, scandali e inchieste. Ci siamo resi conto che avevamo una classe dirigente oramai delegittimata e che in circolazione non c’era ancora un libro che raccontasse chi sono e cos’hanno fatto gli uomini che occupano i palazzi del potere. In meno di quattro mesi abbiamo scritto un volume nel quale il lettore troverà le storie politiche e giudiziarie di circa cinquanta personaggi che governano e hanno governato alla Regione, alle Province, nei comuni grandi, medi e piccoli. E’ stato un lavoro fatto con grande passione, anche se con grande fatica, visto che avevo finito di scrivere La penisola dei mafiosi appena due mesi prima. Il libro lo presenteremo il 14 giugno a Positano, nell’ambito della rassegna letteraria Domina all’Hotel Domina Royal.»

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