Dream Magazine

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Si stava meglio quando si stava peggio, non c’è più la mezza stagione, potrei continuare all’infinito, citando i famosi “luoghi comuni”. Stupidaggini, qualcuno dice. Stereotipi, qualcun altro afferma. Ma, come si dice? Vox populi vox dei. Un luogo comune ha sempre dentro di sé un briciolo di verità. Analizzando il periodo che stiamo vivendo, possiamo affermare, senza paura di smentita, che ormai il nostro clima è diventato tropicale (quindi “la mezza stagione non esiste più”) e che oggi non viviamo meglio o addirittura viviamo peggio di quanto facevano i nostri nonni (“si stava meglio… ecc. ecc.”). Quando si parla di vivere peggio non mi riferisco al tanto agognato benessere o pseudo tale, di cui oggi godiamo e che i nostri nonni potevano solo sognare. Non parlo del benessere del corpo, bensì di quello dello spirito. Non uso la parola anima per non suscitare emozioni troppo forti nel lettore in erba che si sta accingendo in questo preciso istante a cambiare pagina, in quanto resosi conto che la

Bolignano sta scrivendo una “cosa ca nun fa ridere”. Se hai un po’ di pazienza (mi riferisco sempre al famoso lettore in erba) può darsi, ma non posso assicurartelo, che un sorrisino ti scapperà. Torniamo a noi. Mi capita spesso, con il mio lavoro, di incontrare gente. Ed ancora più spesso, a causa sempre del mio lavoro, di fermarmi ad analizzarla, questa gente. A parlarci, a guardarla negli occhi. Gente, che mi ferma perché mi conosce da tanti anni e vuole salutarmi. Gente, che mi ferma perché mi ha visto in tv o a teatro o in una serata di cabaret. Gente, che mi ferma, per chiedermi semplicemente una sigaretta. “Spiacente non fumo”. La gente mi ferma e mi racconta anche solo con gli occhi, la voglia di ridere. La necessità di ridere, per affrontare meglio la

giornata, o un particolare stato d’animo. La risata fa bene al corpo ma soprattutto allo spirito (altro luogo comune). Ad un certo punto mi fermo da sola (diciamo che fermo me stessa) e mi dico: “Possibile che il mio lavoro sia così importante? Non pensavo di avere tutta questa responsabilità. Io ho scelto di fare l’attrice proprio per dover rispondere solo di me stessa. Altrimenti facevo il chirurgo.” Chi vuole prendersi il fardello di rendere felice una persona, anche se solo per pochi minuti? Nessuno. Intanto la risata non può esserci se non c’è felicità. Anche se solo per un attimo. Penso, ripenso… strapenso!!! Si stava meglio quando si stava peggio? Non c’è più la mezza stagione? E chi se ne frega? Ridiamoci su e pensammo a salute!!! Buona vita a tutti.


Non buttatevi a capofitto quando si tratta di prendere decisioni importanti ma cercate sempre e comunque di riflettere. Solo nella seconda metà del periodo i single potranno fare degli incontri interessanti. In ambito lavorativo, si prospetta un periodo più energico di quello trascorso.

In ambito professionale, settembre vi riserva grosse soddisfazioni: sarete aiutati dal vostro senso di responsabilità, di dovere e dal vostro invidiabile autocontrollo; chi vi circonda saprà riporre in voi la sua fiducia. Con il partner vi sentirete nervosi e si potranno generare incomprensioni.

L’amore vi accompagnerà nelle giornate di ottobre, sorprendendovi e regalandovi un periodo di pieno benessere, sia che voi abbiate già incontrato la vostra anima gemella, sia che, invece, siate ancora single. Vi sentirete appagati anche per quanto riguarda le vostre amicizie.

Godetevi ogni momento sereno con il vostro partner e se siete single, date spazio alla vostra creatività e siate sicuri di voi stessi: otterrete così ciò che desiderate. In ambito lavorativo, dovrete dare il massimo di voi stessi per raggiungere i vostri obiettivi: non scoraggiatevi.

Dal punto di vista affettivo, sarete come sempre spinti ad agire dal vostro istinto: ma ora è il momento di riflettere e di agire dopo aver meditato a fondo sul da farsi. Per questo, forse non è il caso di imbattersi in situazioni che apparentemente potrebbero sembrarvi allettanti.

Non vi resta che trarre beneficio per quello che i pianeti vi offrono in queste giornate, mentre se siete single, è il momento di partire alla conquista di nuove entusiasmanti storie! Il tempo è propizio anche per riflettere su alcune decisioni importanti che state rimandando da tempo.

Vi sentirete attraenti, pieni di gratitudine e pronti a stupire chi ha deciso di trascorrere la propria esistenza con voi. Anche il lavoro, sostenuto dalla vostra voglia di dare il meglio, vi darà soddisfazioni e potrete concedervi anche qualche giornata di eccessi nelle spese.

Così come nei mesi passati, per voi dello Scorpione arriva un periodo denso di elettrizzanti emozioni: è ora di mettere da parte le incertezze che vi hanno annebbiato. Si prevede serenità e passione con la persona amata e nuove conquiste per chi fino ad ora ha vissuto in solitudine.

Settembre ed ottobre si presenternno positivi per voi del Sagittario. In amore, vi sentirete amati e compresi: il vostro rapporto di coppia sarà pieno della complicità che avete sempre desiderato, grazie anche al vostro fascino. Non fatevi scappare le occasioni per stare bene.

Mentre settembre si è rivelato abbastanza difficile e pieno di ostacoli, ottobre vi farà ritornare ad essere alquanto sereni. Certo in amore avrete ancora qualche difficoltà dovuta ad incomprensioni con la persona amata: le stelle suggeriscono la massima chiarezza e disponibilità.

Il periodo sarà per voi abbastanza altalenante: nonostante questo, di certo non potrete ricordarlo come un periodo fortunato uguale a quello già passato, ma avrete così tanta buona volontà e forza d’animo che riuscirete certamente a far fronte a qualsiasi complicazione si presenterà.

Se siete single, siate avidi di incontri e cercate di crearvi le giuste occasioni: sappiate osare mostrandovi amabili in ogni occasione. In ambito lavorativo, la vostra immagine riacquista lustro e perspicacia: insistete con pazienza e vedrete che il futuro non potrà che accontentarvi.


Il 18 Settembre 2008 venivano brutalmente trucidati dalla camorra a Castel Volturno sei immigrati. Questa poverissima gente che scappa dal purgatorio dei loro paesi per trovare un po’ di pace, si trova all’inferno alle prese con persone senza scrupoli che li trattano come bestie arricchendosi forsennatamente alle loro spalle senza tener conto che sono esseri umani sfortunati che avrebbero bisogno di comprensione e di affetto… Le donne, quasi tutte, vengono obbligate a prostituirsi o quantomeno costrette a lavori tra i più umili, come domestiche oppure nei campi a raccogliere pomodori e cose del genere. Le più fortunate vengono impiegate come badanti. Gli uomini come spacciatori di droga, venditori di

cose taroccate come borse, vestiti, dvd, cd o nella migliore delle ipotesi come venditori di fazzolettini o lava vetri ai semafori. Il 90% di essi entra in Italia clandestini trasportati a bordo di barche fatiscenti che spesso affondano perché stracolme e quanti di essi muoiono in mare finendo in pasto ai pesci… Cresciuti come bestie, trattati come bestie, ammazzati come bestie, qual‘è la loro colpa? Quali peccati hanno commesso? Perchè queste sofferenze? Queste umiliazioni? La loro prima colpa e quella di essere nati in paesi molto poveri, dove mangiare non è un diritto ma un lusso. Migliaia di bambini muoiono ogni anno di fame senza aver mai assaporato una goccia di

latte, ma ormai ci siamo talmente abituati a questi stermini! E continuiamo a sprecare e sperperare imperterriti somme di denaro che potrebbero salvare la vita a milioni di questi sfortunati esseri umani. Ma come si fa a vivere senza lussuose ville per lussuriosi baccanali, auto di elevatissime cilindrate, cocaina, abiti firmati e migliaia e migliaia di telefonini per milioni di telefonate e messaggini inutili. Un’altra grave colpa di questa povera gente è il colore della loro pelle, che finalmente abbiamo imparato a non chiamarli più negri ma neri… ma continuiamo a trattarli come schiavi del terzo mondo e tutto ciò accade ancora nel terzo millennio. Che vergogna!!!

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Nasci a Novi Ligure nel 1957, ma dopo poco tempo la tua famiglia decide di trasferirsi a Milano. Quanto è stata importante per il tuo cammino artistico questa città? «Vivere a Milano ha significato molto per me, questo perché ho conosciuto da ragazzino, per quanto riguarda la comicità, il Derby come spettatore, e poi ho fatto la scuola del Piccolo, insomma devo tutto a questa grande metropoli.» Nel periodo in cui frequentavi il Piccolo di Milano, quali erano le tue aspettative? «Erano gli anni ‘70, ed ero molto legato all’impegno politico, volevo fare teatro non pensando né alla televisione, né al cinema, poiché avevo l’esigenza di dire qualcosa, di trasmettere un messaggio. Poi, ho incontrato Salvatores, e da lì ho capito che

rato lo scorso luglio a Roma il premio Anima per il sociale nei valori d’impresa 2009. Ti aspettavi questo successo? «Devo dire che non mi aspettavo questo successo. Credo che per un comico come me, dopo Zelig e una lunga carriera alle spalle, sia difficile ottenere un ruolo drammatico; in effetti questa pellicola, secondo il mio punto di vista, non è comica anche se commedia è definita da molti, ma dato che si parla di un tema serissimo come la malattia mentale e chi l’ha visto sa che c’è un suicidio, sicuramente si può dire che il tema sia stato trattato con toni leggeri. Ad essere sinceri sia io che il regista Giulio Manfredonia, non ci aspettavamo alcun tipo di premio, anche perché il progetto è nato con un piccolo budget, quindi sono uscite poche copie.

Se avessi avuto la possibilità di lavorare con Massimo Troisi cosa avresti immaginato di fare insieme a lui? «Credo che il mio sogno sia sempre stato quello di collaborare insieme a Massimo per il film Non ci resta che piangere. Questo film l’ho visto decine di volte anche in compagnia dei miei figli. Ho avuto la fortuna di assistere alle riprese che si tenevano a Cinecittà ed è stato in quell’occasione che ho avuto modo di apprezzare il suo essere artista. La scena che ricordo particolarmente è quella con Amanda Sandrelli in cui Troisi indossava il vestito di scena in calzamaglia e faceva anche il regista, spiegando alla giovane attrice come fare una scena.» A breve ritornerà la serie televisiva Due imbroglioni e

anche con la comicità potevo trasmettere dei messaggi.» Per il premio Massimo Troisi 2009 hai ritirato due premi, uno come migliore attore italiano, l’altro come migliore commedia 2009 per il film Si può fare, che ha riscosso notevole successo, infatti, hai riti-

Ricordo ancora quando ci fu l’anteprima al Festival del cinema di Roma, la giuria non lo prese neanche in concorso, poi, molti dissero che meritava più di altri ed ecco i risvolti. Questo a testimonianza del fatto che le cose quando meno te le aspetti succedono.»

mezzo, in cui ti vediamo di nuovo al fianco di Sabrina Ferilli con lo stesso cast della prima serie. Puoi darci qualche anticipazione su quel che vedremo? «Questo è un film per la televisione ed io non ho mai partecipato a serie televisive. All’epoca ci 9


fu un lungo dibattito se realizzare una serie più lunga o semplicemente fare altri film e vinse l’ipotesi che io ho caldeggiato moltissimo e cioè di fare soltanto altri film. Nel cast, ovviamente riconfermato, ci saranno anche delle guest star come Conticini, Rodolfo Laganà, per non parlare di Carlo Buccirosso, personaggio storico rimasto con il ruolo di commissario, solo con delle variazioni, poiché in questa nuova serie il suo ruolo ha ottenuto un’importanza maggiore, questo perché ci siamo accorti che nel primo film era genial10

mente comico. In totale sono quattro episodi, quattro avventure una sulla nave, una in Tunisia, una a Roma e una a Salerno, quattro film ambientati in luoghi diversi con un finale giallo. Siamo sempre colpevoli ma anche no, e cosi per tutti gli episodi.» Per il terzo episodio de L’era glaciale doppierai Sid. Quanto è stata importante per te questa esperienza? «Ho preso questa decisione in particolar modo per i miei figli. Non sono un doppiatore, non l’ho mai fatto, anzi finita la scuola del Piccolo di Milano, ho fatto

un provino come doppiatore e mi hanno bocciato subito. Ormai siamo giunti al terzo episodio dell’Era glaciale e permettimi di dire, che questo è il più bello, girato in tre dimensioni. C’è Bradipo che adotta dei dinosauri, il Tyrannosaurus rex lo chiamano mamma, e poi, la cosa che mi rende fiero è che sono migliorato tantissimo, nel senso che per il primo film ci ho messo due settimane a doppiare il personaggio, nel secondo ho impiegato una settimana e in questo solo tre giorni. Oggi posso dire di essere diventato un doppiatore vero.»


Lei è un’attrice versatile, l’abbiamo vista recitare in film cupi come Il mistero di Sleepy Hollow e in commedie Disney, ma come attrice a quale genere sente fondamentalmente di appartenere? «Non vorrei definirmi come attrice in nessun genere circoscrivendomi in questo o quell’altro, ma avendo una personalità adattabile, soprattutto direi più “facciale”, mi metto al servizio del personaggio riuscendo così ad adattarmi a qualsiasi ruolo.» Con un viso così bello e misterioso e avendo partecipato a

diversi film horror, ci piacerebbe sapere se questa sua esteriorità va contro la sua carriera… «È una risposta piuttosto semplice, visto, però, che ognuno di noi ha una propria faccia e se questa faccia poi porta a determinati ruoli, piuttosto che ad altri, allora va bene così. Ognuno ha il viso che si ritrova.» Artisticamente ha fatto delle scelte giuste? Si rimprovera di qualcosa? «Ogni film è sempre un’esperienza nuova, anche se ho preso

parte a pellicole che forse non rimarranno mai nella storia del cinema. Ogni volta che si sceglie di prendere parte ad un film è sempre un rischio, poiché non si sa mai come verrà accettato dal pubblico e dalla critica.» Non hai mai pensato di ritornare indietro e avere una vita più semplice? «No, in verità questa è la mia vita e non ho mai pensato di tornare indietro e fare altre cose, questo perché mi piace ciò che ho fatto e chi sono.» Ha interpretato personaggi 11


molto forti, come si è avvicinata a questi ruoli? «Amo interpretare il ruolo di personaggi che fondamentalmente hanno una forte personalità, che si ritrovano ad avere dei requisiti particolari e che magari non ho mai interpretato prima.» Tra tutti i personaggi che ha interpretato, quale sente più vicino a lei? «Penso che Mercoledì de La Famiglia Addams rispecchi molto quello che era il mio modo di 12

essere da piccola, poiché ero una bambina abbastanza triste e un po’ difficile. Poi, per il resto, non so, a me piacciono molto i personaggi che sono diversi da me, che hanno poco in comune con la vita che faccio e con come sono ogni giorno nel quotidiano.» Cosa significa per una bambina lavorare nell’industria cinematografica? «Non ho mai sentito il peso dell’ambiente in cui ho lavorato e vissuto, soprattutto perché i miei

genitori non me l’hanno mai fatto pesare. Ho vissuto un’infanzia tranquilla e non ho mai avuto problemi. I miei genitori mi hanno solo ed esclusivamente appoggiato nelle mie scelte, non mi hanno mai imposto nulla.» Come è stato prendere parte al film del 2003 Monster? «Io e Charlize Theron ci siamo divertite tantissimo, ridevamo sempre fuori dal set, cosa strana in un film molto scuro come Monster, ma a volte scatta un meccanismo molto particolare più è oscuro il materiale del film, più si tende a difendersi ridendo molto e scherzando tantissimo, lo facevamo tutto il tempo, tanto è vero che il regista ci richiamava continuamente e doveva aspettare sempre che noi smettessimo di ridere.» Cosa ne pensa invece del film Il mistero di Sleepy Hollow e cosa ha provato nell’interpretare il suo ruolo? «È un film che ancora oggi mi piace tantissimo, penso sia stato bellissimo lavorare con Tim Burton come regista. È una delle cose migliori che mi potesse capitare. Anche lavorare al fianco di Johnny Depp è stata un’esperienza importante, infatti mi ha dato diversi consigli, come ad esempio, durante la scena della frusta mi disse: “se ti può essere d’aiuto, mordimi anche la gamba”. Grandioso.» Ci parli dei sui prossimi film. «Mi vedrete in Born to be a star di Tom Brady, che racconta la storia di un ragazzo figlio di registi di film hard che va a Hollywood per seguire la orme dei genitori, ma non è in grado di girare pellicole porno. E ancora nel film corale New York, I love you, in cui interpreto una ragazza dolce e innocente. In After Life di Agnieszka Wojtowicz-Vosloo con Liam Neeson, sarò invece una donna che crede di essere morta.» Una delle sue aspirazioni? «Sicuramente una delle mie più grandi aspirazioni è quella di diventare regista.»


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Come vive il confronto tra la sua generazione di attori e quella attuale dei giovani emergenti? «La grande generazione del cinema italiano è quella caratterizzata da grandi personaggi come Mario Monicelli, Ettore Scola, Vittorio Gassmann, Ugo Tognazzi e Alberto Sordi. Devo dire che mi ritengo molto fortunato ad appartenere ad una generazione di individualisti, una generazione che è riuscita ad esplodere in tante altre direzioni. Quando ho cominciato questo lavoro, il cinema italiano attraversava un periodo morto, stava per esplodere la grande ondata televisiva degli sceneggiati, delle fiction, i grandi maestri stavano entrando in una sorta di crisi. Fortunatamente ho avuto la fortuna di essere una cerniera, poiché ho avuto la possibilità di lavorare con i grandi Scola e 16

Monicelli, con Archibugi e Tornatore. Per quanto concerne il cinema di oggi ed i ragazzi che vogliono fare gli attori, posso dire che ogni generazione ha nei confronti della generazione che la segue, una forma di affettuoso disprezzo.» E come vive la scelta di aver fatto l’attore? «Penso che gli artisti si sentano dei miserabili. Un vero artista si sente un povero disgraziato, ma allo stesso tempo ha una grande considerazione di sé. In realtà sono combattuto tra queste due sensazioni. È l’elastico con il quale ho sempre vissuto, la mia natura, il mio carattere. La mia vita privata è l’unica cosa che ristabilisce la pienezza delle cose. Il rapporto con Margaret, i miei figli, sono l’unica cosa che riesce a riconsegnare autentica dignità e serenità a tutto quanto.»


Quando ha capito di possedere del talento per la recitazione? «Venticinque anni fa, prima di diventare attore, lavoravo in un’azienda che si occupava della distribuzione di giornali, un lavoro che non mi entusiasmava più di tanto. In quel periodo conobbi per caso dei ragazzi che frequentavano l’accademia ed un po’ per fascinazione, un po’ per frustrazione, mi sono infilato in quel mondo. Da lì ho scoperto, il valore del poter lavorare con l’immaginazione, con la fantasia ed ho capito che la mia vocazione sarebbe stata quella di diventare attore.» Se non avesse fatto l’attore? «Quando volevo fare l’originale, rispondevo nelle interviste che avrei fatto l’attrice. Dopo che ho deciso di fare l’attore non vi ho mai più pensato. Da ragazzino volevo fare quelle cose che dicono i ragazzini fessi, tipo il vigile del fuoco.» Quanto differisce lavorare nel teatro dal lavorare nel cinema? «Il lavoro nel teatro è meraviglioso, spesso è più bello di quello che accade nel cinema, sono molto diversi. Nel teatro c’è un momento, forse il momento per eccellenza, che è quello delle prove, per vedere se succede qualcosa, se scatta una scintilla. In questo senso il teatro rimane un luogo religioso per il lavoro di un attore, mentre il cinema è una fucina meccanica, dove anche la costruzione delle emozioni è una costruzione di altra natura. » A cosa sta lavorando adesso? «Due film la cui uscita è prevista per il 2010. Il primo è Venuto al mondo, scritto da Margaret Mazzantini e diretto da me, l’altro è La Bellezza del Somaro, una commedia che parla della vecchiaia, scritta anche questa da Margaret Mazzantini, con la mia collaborazione.»

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Da tuo padre hai ereditato serietà e professionalità. In suo ricordo hai istituito il Premio Vittorio Mezzogiorno, giunto alla IV edizione, ospitato tra l’altro quest’anno al Giffoni Film Festival. «Sono fiera che il Premio Vittorio Mezzogiorno sia stato ospitato al festival, poiché lo spirito del premio si sposa con quello di Giffoni. Il premio vuole riconoscere giovani attori e compagnie, che incarnano la tenacia e il talento di Vittorio. Mio padre ha avuto un carriera atipica per un attore. È partito dal nulla iniziando a fare teatro durante il periodo universitario, lavorando con Eduardo De Filippo, con l’umiltà di mettersi in gioco, senza dare nulla per scontato, affrontando la carriera e la propria missione di attore in modo sperimentale. Non dimentichiamo che ha collaborato con registi francesi come: Patrice Chéreau, Werner Herzog ed Amos Gitai. Quest’anno, abbiamo deciso di assegnare il Premio all’attore Arturo Cirillo e La Compagnia Civica, che si sono distinti per capacità interpretative, attraverso un teatro di ricerca, profondo e colto. A Raffaele La Capria, intellettuale, giornalista e scrittore napoletano, abbiamo assegnato il Premio Speciale Vittorio Mezzogiorno, realizzato dallo scultore napoletano Lello Esposito.» In Italia vengono realizzate opere prime che non vengono mai distribuite nelle sale cinematografiche, cosa ne pensi a tal proposito? «In Italia ci sono due importanti case di produzione e distribuzione, Medusa e 01 Distribution, e tante altre minori. I film esordienti, le opere prime, non rie18


scono ad essere distribuite perché difficilmente le grandi società fanno operazioni fuori dal loro target. Producono e distribuiscono commedie, film drammatici, ma raramente film d’autore, questo a discapito del genere e della cultura cinematografica.» Il mondo dello spettacolo attende una risoluzione della questione dei fondi governativi a favore dell’industria del cinema e del teatro... «È una situazione drammatica, chiediamo che venga salvaguardata l’arte cinematografica e teatrale attraverso fondi. Devo ammettere, comunque, che negli anni passati, sono stati fatti sprechi di denaro pubblico, attraverso finanziamenti per film alla fine mai usciti.» In questo periodo a quale progetto cinematografico stai lavorando? «Ho terminato le riprese del film diretto da Renato De Maria, La prima linea, di cui sono la protagonista insieme a Riccardo Scamarcio. La trama è ispirata al libro Miccia corta di Sergio Segio, l’ex comandante Sirio di Prima linea, una formazione terroristica italiana degli anni ’70. La sua realizzazione ha suscitato aspre polemiche, ricevendo duri attacchi da parte dalla stampa. Credo che prima di criticare un film sia doveroso da parte dei giornalisti attendere l’uscita nelle sale. Bisogna parlare di quello che è accaduto nel periodo tra il 1970 e il 1980, della situazione politica, degli anni della democrazia cristiana. Molti della mia generazione, non conoscono quel periodo storico d’Italia, la strage di Piazza Fontana, gli anni di piombo, il terrorismo. La prima linea è un film epico sul romanticismo del sogno rivoluzionario, che tratta la fine di un movimento. La pellicola uscirà nelle sale a novembre, mentre a settembre sarà presentata in anteprima mondiale, alla 34esima edizione del Festival del cinema di Toronto.»

Arrivi nuda sulle scene, riuscendo a vestire panni disparati. Come studi i ruoli che interpreti? C’è un personaggio che hai sentito tuo e non hai trovato difficoltà ad affrontare? «Non c’è un personaggio che mi somigli. È sempre complesso interpretare dei ruoli. In Vincere,

ad esempio, in cui interpretavo Ida Dalser, compagna di Benito Mussolini, è stato complicato, perché richiedeva una recitazione diversa, non naturalistica, ho cercato di non cadere nel patetico. Non adotto un metodo, ma mi adatto ogni volta a seconda del personaggio, del film, del copione e del regista.»

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Quest'anno sei tornato sul set per girare Baciami ancora, il seguito de L'ultimo bacio, anche questa volta diretto da Gabriele Muccino. Cosa ne pensi di questi sequel del cinema italiano e come rivedremo questi trentenni che ci hanno lasciato dieci anni fa? «Vediamo questi personaggi che sono di dieci anni più vecchi, ognuno dei quali ha preso strade diverse e ha raggiunto una propria maturità. Credo che questa del sequel sia un'operazione interessante, anche se ad essere sincero, sia noi attori che lo stesso Gabriele, non sappiamo bene cosa abbiamo realizzato, se una commedia o un dramma. In realtà il film è una commedia anche se le storie sono abbastanza drammatiche. Per quanto riguarda il mio personaggio, penso che sia più drammatico di prima, nel senso che nonostante siano trascorsi dieci anni non è riuscito a trovare una tranquillità. In L'ultimo bacio era ancora positivo, speranzoso, in qualche modo sognatore, pensava che andare via e partire per un lungo viaggio dall'altra parte del mondo potesse dargli serenità. In Baciami ancora il mio personaggio non solo non ha la tranquil-

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lità, ma non ha neppure il sogno, quindi è ancora più chiuso in questa sua depressione, in questo essere un po' "fuori".» Cosa ha significato per te lavorare ancora una volta al fianco di Gabriele Muccino? «Mi ha riempito di gioia. Pensavo l'avessimo perso per sempre, visto che da un po' lavora in America. È sorprendente ed ammirevole vedere che nonostante il suo successo abbia accettato di riprendere il sequel di un suo vecchio film.» Quali sono i progetti che ti vedranno impegnato nel prossimo anno? «Uscirà nel 2010 su Raiuno il film Le cose che restano, diretto da Gianluca Maria Tavarelli e scritto dalla premiata coppia di sceneggiatori Stefano Rulli e Sandro Petraglia. Nel film ci sarà anche Paola Cortellesi. Le riprese inizieranno a Roma a fine novembre. È un film in quattro episodi che racconta la storia e le abitudini di una famiglia borghese dell'Italia contemporanea e si svilupperà in un arco di tempo di 10 anni. Inoltre, è in preparazione anche Seicento chili di oro puro, una produzione francese per la regia di Eric Besnard. È un film di avventura girato nella giungla


e racconta la storia di questo gruppo di persone che cercano di rubare questi seicento chili d'oro.» Nel 2010 dovrebbe uscire anche Derek Rocco Barnabey di Ago Panini, incentrato su di un vero e controverso caso giudiziario. «Questo film momentaneamente è bloccato, più precisamente rimandato all'anno prossimo. Purtroppo non è stato ancora girato, poiché non ce ne è stata proprio data la possibilità. L'unica cosa che siamo riusciti a fare è un provino. Per il momento siamo in attesa di notizie dal Ministero dei Beni Culturali e intanto reintegrano i fondi del FUS, ma non sono sufficienti. Staremo vedere.» Come avete pensato di muovervi voi attori in virtù di questa crisi che il cinema italiano sta vivendo? «La cosa grave è che il Ministero dei Beni Culturali non si rende conto di quante persone lavorano nel cinema e intorno ad un film. A tal proposito stiamo preparando una campagna che partirà proprio con una pubblicazione su Vanity Fair e speriamo anche sui quotidiani. Sono stati elaborati centinaia di scatti da Luca Babbini ad attori, produttori, costumisti, parrucchieri, macchinisti, attrezzisti ed elettricisti proprio per far capire quanto è complessa la macchina del cinema, nel senso che non ci sono soltanto gli attori e il regista, ma una vera e propria industria che fa vestiti, scarpe, automobili e che ha sovvenzioni statali. Oltre alle foto è stato realizzato anche un video a cui hanno preso parte un po' tutte le maestranze del cinema e che dovrebbe andare in proiezione nelle sale prima dei film.» C'è un personaggio che vorresti interpretare, ma che finora nessuno mai ti ha dato la possibilità di farlo? «Ad essere sincero uno dei personaggi che mi piacerebbe interpretare è proprio quello di Rocco Barnabei.» 21


In autunno su Raiuno ti vedremo in Le cose che restano... «Sì. È un film diretto da Gianluca Maria Tavarelli, ed io sono uno dei protagonisti della storia, che fa parte di una famiglia borghese di Roma composta, oltre che da me, da Claudio Santamaria, Paola Cortellesi, ed Ennio Fantastichini.» Parlaci del tuo ruolo… «Sono un ragazzo appena laureato in architettura, con un carattere ribelle, sempre in contrasto con suo padre. Prova un affetto profondo per sua madre, una donna che dopo la perdita del figlio minore comincia a distaccarsi da tutto e da tutti. Ed è proprio in virtù di questo atteggiamento di sua madre, che il mio personaggio decide andare via di casa per la sua strada.» Come ti sei trovato a lavorare con questi attori, e soprattutto con la Cortellesi che affronta un ruolo drammatico? «L’ho sempre adorata come personaggio, sono un suo fan da sempre. All’inizio ho avuto grosse difficoltà nel lavorare al suo fianco, ma fortunatamente lei ha saputo mettermi a mio agio. In questo film vedremo una Cortellesi lontana dai soliti schemi televisivi, visto che interpreta un ruolo drammatico. È stata un’esperienza fantastica 22

lavorare con lei.» A fine ottobre uscirà per il cinema Ce n’è per tutti… «È l’opera seconda di Luciano Melchionna. Nel film interpreto Gianluca, nipote di Stefania Sandrelli, un ragazzo che decide di salire in cima al Colosseo per guardare la città ed isolarsi da tutto il mondo. Questa cosa, però, va a creare scompiglio e panico tra le persone care che pensano che lui si voglia suicidare. La storia ruota intorno a questo gesto, con gli amici e i parenti di Gianluca che corrono verso il Colosseo per salvarlo, ma lui non vuole essere salvato, non vuole parlare con loro. Vuole restare da solo in cima al Colosseo, dove farà un incontro molto particolare.» L’opera prima di Melchionna è stato Gas, un ruolo da protagonista molto forte, veritiero e convincente. Come ti sei avvicinato all’omosessualità? «Mi è capitato di rivedere Gas e mi sono chiesto come sono riuscito ad interpretare e vivere la drammaticità di alcune scene, in cui un ragazzo decide di togliersi la vita e di vendicarsi perché gli hanno ucciso la persona che amava. Ero più giovane e ricordo che Melchionna mi chiedeva di interpretare il ruolo al limite delle forze umane. Il tema del

film mi sta molto a cuore, come anche quello de I testimoni, a cui ho preso parte, poiché credo che l’intolleranza e l’indifferenza vadano combattute. Nel 2009 certe cose dovrebbero essere considerate normalità.» Il tuo esordio al cinema è stato con Pupi Avati. «Facevo il figlio del re di Francia. Avevo diciassette anni ed interpretare quel ruolo è stato un piccolo trauma nel senso positivo del termine, faceva caldo e la presenza scenica di Pupi Avati sul set, non mi aiutava. Diciamo che è un regista che si fa sentire. Ero esterrefatto perché vedevo intorno a me una grande confusione, di persone che parlavano tutte insieme contemporaneamente.» Quando uscirà invece, Io, Don Giovanni per la regia di Carlos Saura? «Dovrebbe uscire a fine ottobre e partecipare al festival di Roma. È un film travagliato perché le riprese sono state suddivise in due parti, con un anno e mezzo di pausa. Il cast è quasi del tutto italiano con Tobias Moretti, Ennio Fantastichini, Francesca Einaudi e diversi esordienti. Interpreto Lorenzo da Ponte, librettista di Mozart, che resta vicino all’artista nel periodo della sua giovinezza.»


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Cosa ricordi dei tuoi esordi e cosa credi sia cambiato oggi per le donne che cercano di seguire le tue orme? «Quando avevo vent'anni ho iniziato a girare film. Spesso ero stanca e triste, mi sentivo anche sola, è stata dura confrontarmi con i miei amici che invece avevano problemi per pagare l'affitto. Il mio problema era scegliere che film fare. A volte mi sono sentita in colpa per questo. Oggi a Hollywood per le donne mancano bei ruoli, è un momento in cui nessuno vuole assumersi rischi.» Hai iniziato a recitare a dodici anni, ma quali sono i lavori che hai fatto prima del successo? «Quando avevo nove anni ho consegnato per circa tre settimane i giornali a domicilio, però, visto che mi sono subito catapultata nel mondo del cinema, non ho avuto molto tempo per svolgere altri lavori, tranne che per un periodo in cui ho lavorato con mio padre in una piccola azienda editoriale.» Qual è il regista con il quale ti sei trovata meglio a lavorare e quale quello con cui ti piacerebbe farlo in futuro? «Mi sento fortunata ed orgogliosa ad aver lavorato con grandi registi come Scorsese, Barton, Coppola, Allen, interpretando sempre ruoli diversi. Queste esperienze sono state per me davvero entusiasmanti. In futuro mi piacerebbe lavorare con De Niro, Duvall, insomma ce ne sono tanti che in questo momento non riesco a ricordare tutti.» Quanto è importante essere coinvolta in progetti cinematografici che a livello culturale prendono le distanze dal filone principale hollywoodiano, quello più commerciale? «Anche in questo posso ritenermi fortunata poiché ho lavorato in due mondi a livello cinematografico, che possiamo definire paralleli. Ho lavorato sia in produzioni a più alto budget, sia in quelle indipendenti. In queste ultime è più facile essere liberi di

esprimersi, poiché si è meno concentrati su quante persone andranno a vedere il film e più attenti alla personale visione artistica. Mentre le produzioni con un budget maggiore sono invece più orientate al marketing, ad un'audience che si cerca di prevedere. Apprezzo entrambi i modi di lavorare.» Quanto è difficile calarsi in un personaggio? «Dipende sempre dai ruoli, di sicuro quelli in costume possono essere più impegnativi, poiché ti costringono a confrontarti con realtà differenti dalla nostra, per esempio per La seduzione del male, ho vissuto in casa senza il telefono, senza la televisione, per cercare di capire come era vivere senza tutte queste comodità che abbiamo oggi. Quello che mi attrae nell'interpretare un personaggio è la sfida che mi porta a crescere e migliorare come attrice. Comunque sia, dopo aver preso parte a tre film in costume, ho deciso di cambiare genere interpretando Giovani, carini e disoccupati, ambientato nella nostra epoca.» Quali sono i ruoli che più ami interpretare? «Tutti i ruoli finora interpretati mi hanno colpito in un modo o nell'altro. Il mio è un gioco d'istinto. Solitamente leggo il copione e se il personaggio riesce a darmi delle emozioni forti, allora accetto di interpretarlo.» Cosa si prova a vivere da personaggio celebre? «Cerco di non pensarci e di tenere a distanza i media e l'attenzione che questi pongono al gossip. Conoscendomi so bene che se mi soffermassi a pensare a tutto quello che scrivono e dicono sul mio conto, starei davvero male. Una cosa che mi aiuta tanto è il fatto di vivere a San Francisco, dove ho una splendida famiglia e tanti amici che mi aiutano a tenere i piedi per terra.» Quali saranno gli impegni previsti per il prossimo inverno? «Dopo avermi visto in una piccola parte in Star Trek sarò nel

film Alpha Numeric al fianco di Dennis Hopper, in The Private Lives of Pippa Lee, di Rebecca Miller con Robin Wright Penn, Monica Bellucci e Julianne Moore, un film in cui interpreta il ruolo di Sandra Dulles. Rebecca Miller è anche autrice del romanzo da cui è tratto il film. A novembre comincerò le riprese di un nuovo film, ma è ancora in stato embrionale.»




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Parliamo un po’ del film in uscita a Natale, Io e Marylin e del ruolo che interpreti. « È un film di Leonardo Pieraccioni e sarà il classico appuntamento natalizio. Il mio ruolo è quello di un domatore di leoni. Sono il nuovo compagno dell’ex-moglie di Gualtiero (Pieraccioni) e mi occupo anche della bambina nata dalla loro relazione. Gualtiero cerca di recuperare il rapporto con la moglie e la figlia e per farlo verrà spesso nel circo, dove si troverà ad avere dei faccia a faccia, divertenti ed ironici, con il mio personaggio. È un film molto divertente, che tratta un tema, quello delle famiglie allargate, molto attuale.» Com’è stato lavorare con dei “toscanacci” del calibro di Pieraccioni e Ceccherini? «Lavorare con Leonardo Pieraccioni è stato un onore. È una persona davvero straordinaria, sia dal punto di vista artistico che da quello umano. Mi ha messo subito a mio agio. Lavorare con lui ti fa rendere conto che il film che stai girando sarà senza dubbio un lavoro valido.» Durante l’estate hai girato anche La valigia sul letto. «Questo film è l’adattamento cinematografico dell’omonima commedia teatrale di Eduardo Tartaglia, una persona che io stimo moltissimo, un bravo attore, ma anche un ottimo autore.

Scrive film molto divertenti che, allo stesso tempo, offrono un serio spunto di riflessione sulla società moderna. Eduardo in questo film interpreta un “eterno precario” in una Napoli fatta di gente che vive di espedienti. E sarà proprio un espediente del protagonista che metterà “in gioco” il mio personaggio, Antimo Lo Ciummo, un boss della camorra che si è pentito dopo anni di latitanza. È un film ricco di comicità ma anche di profonde riflessioni sociali sul mondo di oggi.» Su quest’altro set invece trionfa la napoletanità. «Sì, questo film usa la sua trama per raccontare la città di Napoli, la nostra Napoli, fatta di gente che sopravvive, maestri nell’arte di arrangiarsi. Insomma, il film è una commedia divertente ma che ha come scopo quello di raccontare questi spicchi di una Napoli vera, che spesso viene trascurata dal cinema e dai media in generale.» Cinema, televisione, teatro. Secondo te quale di questi mezzi si adatta di più al comico e quale all’attore? «Ognuno sente qual è l’ambiente in cui riesce a dare il meglio di sé. Personalmente ho un tipo di comicità che si adatta meglio al teatro e al cinema piuttosto che alla televisione, ma non è detto che sia così per qualsiasi attore comico. Ad esempio, un cabarettista di Zelig, che ha la battuta

fulminea e il tormentone comico, è più adatto alla Tv. In definitiva, penso che questa sia una questione molto personale.» C’è qualche regista col quale non hai ancora lavorato ma con cui ti piacerebbe fare qualcosa? «Sicuramente. Posso citare Gabriele Muccino e Roberto Benigni, oppure, la sparo grossa, e ti dico Pedro Almodòvar. Fondamentalmente, però, sono molto contento dei registi con i quali ho lavorato finora come Neri Parenti, i fratelli Vanzina, lo stesso Leonardo Pieraccioni e Vincenzo Salemme. Quando mi chiedono se ho un sogno nel cassetto rispondo sempre che il mio sogno l’ho già realizzato. Ho avuto la fortuna di interpretare molti film e ho lavorato con i migliori artisti.» Molti attori comici, ad un certo punto della loro carriera, provano a cimentarsi anche in qualche ruolo drammatico. Tu hai mai pensato ad una simile eventualità? «No. È vero che nell’inconscio di ogni attore comico c’è la curiosità di confrontarsi con un ruolo diverso da quello che fai di solito. Un ruolo drammatico però, per un comico, può diventare un rischio. Perché se non sei convinto fino in fondo di quello che stai facendo rischi di non essere più drammatico, ma solamente patetico.» 29


Stai lavorando a due fiction per la televisione, Due imbroglioni e mezzo 2 e I delitti del Cuoco. Quale saranno i tuoi ruoli? «Nella prima fiction, Due imbroglioni e mezzo 2, che andrà in onda a fine ottobre, sono la professoressa napoletana un po’ isterica di Nino, il ragazzo protagonista della serie. Quello che interpreto è un personaggio brillante, divertente, davvero molto simpatico, professoressa comunque vera, mai troppo sopra le righe. Per I delitti del cuoco, invece, non posso realmente svelare il mio personaggio, perché vi direi automaticamente il finale dell’episodio.» Partecipi al programma televisivo sul satellite, Made in sud, che riprende la tradizione del cabaret partenopeo. Da cosa trai spunto per i tuoi siparietti comici? 30


«Il personaggio che interpreto in Made in sud, è quello di Morena, una manifestante per professione, una studentessa fuori corso perenne, come ce ne sono tante non solo a Napoli. In effetti ho copiato da una mia collega dell’università, che partecipava a tutte le manifestazioni, se però le andavi a parlare di politica, comprendevi che non ne capiva niente. Lei era di sinistra, perché tutti erano di sinistra.» Con Paolo Caiazzo hai una feconda collaborazione artistica lavorativa. Da dove nasce una tale intesa? «È un’amicizia nata al Tunnel. Un giorno gli ho chiesto di rivedere dei miei testi e di renderli un po’ più da cabaret, da quel momento è nata una bella collaborazione, nonché un rapporto di sincera amicizia e rispetto reciproco. Zitellandia, per l’appunto, è stato scritto a quattro mani con Paolo.» Dello spettacolo Zitellandia, quali sono i temi principali? «Zitellandia è la storia di una serie di zitelle che si trovano a vivere in un mondo di single, e quindi si sentono doppiamente discriminate. Già la zitella in sé per sé, è discriminata rispetto alla sposata, alla fidanzata, in più oggi si sente maggiormente discriminata per il fatto che esiste la figura della single. Attraverso una serie di personaggi e di monologhi, arriviamo alla conclusione che il problema non è tanto definirsi single o zitella, ma sentirsi sole o non.» Il cabaret rappresenta soltanto una parentesi nella tua vita artistica? «Sicuramente mi è servito moltissimo come attrice, perché mi ha dato la possibilità di sentirmi molto più a mio agio sul palco, di conoscere gente, di avere anche più fiducia in me stessa, però è ovvio che è solo una parte del mio percorso, non è quella fondamentale.» Liberi tutti, che hai portato in scena insieme a Paolo Caiazzo ed il trio Ardone, Peluso e Massa, finanzia l’acquisto di

una macchina a raggi x per un ospedale keniano attraverso la Onlus Trame Africane. Parlaci di questo progetto. «Abbiamo sposato inizialmente altre cause di beneficienza, poiché è una cosa che ci sta molto a cuore. Poi, siccome ci è capitato spesso di fare delle serate in cui la beneficienza andava a chi la organizzava, abbiamo cominciato a fare una selezione. Quando abbiamo conosciuto Pasquale Coppola, direttore di Trame Africane, ci siamo accertati prima della sua serietà e professionalità e solo dopo abbiamo approvato il progetto.» 31


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Ha avuto grande coraggio nel far uscire un triplo cd. «Credo sia il primo cd triplo senza successi. Solitamente sono dei best, mentre questo è frutto dell’ingegno, tre lavori distinti, il primo è una colonna sonora Volata Finalke, l’ennesimo mio debutto, il secondo è un album di cover, Incontri, ed il terzo è un album innovativo, fatto di duetti internazionali nati su myspace, World show, che riprende canzoni del precedente Rock Show.» L’anno scorso fece scalpore la sua canzone Il giorno del black out contro internet, e poi proprio grazie al web lei ha costruito questi duetti? «Non ho fatto una canzone contro internet, ho solo detto che bisognava stare attenti e riflettere sul fatto che passiamo intere notti a chattare con uno di San Pietroburgo, quando non sappiamo neppure come si chiama il nostro vicino di casa.» Com’è è nata l’idea di questi duetti con artisti pescati direttamente da myspace? 34

«Tutto è nato approfondendo la conoscenza di amici del myspace, o amici di amici di cui ho cominciato ad ascoltare i lavori. Tra questi ho trovato Ima, una cantante prima in classifica in Canada e con la quale ho cantato Attimi. La canzone uscirà in Canada, quindi sarà lanciata sul mercato americano.» In All in ci sono delle cover, come le ha scelte? «Registro tutto quello che faccio, per cui spesso accade che alle sette di sera facciamo un pezzo di David Bowie e lo registriamo. Ad esempio, abbiamo fatto un concerto con una grande orchestra in Veneto, dove ho cantato Aznavour, Bowie, con Life on Mars, che è in questo cd, l’ho registrato e mi sono trovato con una serie di cover suonate con musicisti diversi.» Mentre il terzo cd è una colonna sonora… «È la colonna di un film balcanico East West East – Volata Finale, che verrà presentato a Venezia e distribuito in Italia in poche

copie. Al progetto hanno collaborato anche Andrea Mirò, Luigi Schiavone e i ragazzi della band. Un lavoro interessante.» Invece cosa può dirci del suo rapporto con la televisione? «Tutti parlano male della tv, quindi mi sono detto perché non proviamo a fare qualcosa di diverso, facendo buoni ascolti, ma cercando di non fare idiozie, senza la bonazza di turno, nani e ballerine. Ogni volta mi dico sarà l’ultima, poi, mi viene un’idea, la propongo, piace, funziona e il risultato si vede.» Ha preso parte quest’estate ad un altro programma, le 7 vite del rock su History Channel… «Quello è stata una roba particolare, un programma della BBC inglese per il quale ho fatto da doppiatore, raccontando la storia del rock in un cappello di un paio di minuti per ogni puntata. La BBC voleva un musicista rock italiano dalla voce riconoscibile e per fortuna hanno scelto me. un programma decisamente meraviglioso.»


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Giovanni Allevi, oggi, è un artista famoso in tutto il mondo. Ma gli inizi della tua carriera non sono stati facili. Tu stesso hai raccontato che, tra le prime tue esperienze artistiche, c’è stata una collaborazione con la band di Jovanotti, una esperienza, non particolarmente esaltante. Cosa ricordi di quel periodo e dei tuoi esordi? «L’esperienza con Jovanotti è stata dura e traumatica, ma anche importante per il mio futuro professionale. Le mie attuali collaborazioni e i progetti con l’Orchestra sinfonica, traggono la loro origine proprio dalla frattura che si creò con il gruppo, da cui venni sostanzialmente licenziato. Il carattere non esaltante di questa “parentesi” professionale, non ha però intaccato il rapporto di amicizia e stima con Jovanotti, a cui

voglio molto bene.» Fino a poco fa nessuno sapeva di questa tua parentesi professionale. Ora hai avuto modo di rivelarla al pubblico ed alla stampa. Ti sei tolto qualche sassolino dalla scarpa? «Questa interpretazione, pur affascinante, non è corretta. La polemica non fa parte della mia natura. L’esperienza con Jovanotti è raccontata nei dettagli nel mio ultimo libro In viaggio con la strega. Leggendolo si può comprendere nei particolari, come è iniziata la collaborazione e soprattutto perché è terminata. Se fossi rimasto nella band come tastierista, il mio destino sarebbe stato quello di brillare di luce riflessa. Del mio passato comunque non rinnego nulla. È stata, un’esperienza che ha avuto importanti riscontri sul piano umano e professionale.» Siamo arrivati al punto, il pro-

Nasci ad Ascoli Piceno, hai studiato al Conservatorio di Perugia. Com’è il rapporto con la tua terra d’origine, patria di tanti grandi artisti? «Bellissimo, anche se vivo a Milano da 11 anni. Torno nelle Marche per trascorrere un po’ di tempo con i miei e stare lontano dal traffico e dallo smog di Milano. Purtroppo, però, la città di provincia non offre le strutture adeguate per potersi affermare nel campo musicale ed è stato quindi necessario partire.» 39


cesso creativo. Come nasce la tua musica, attraverso quali processi, incontri, esperienze di vita? «Prendo ispirazione dalla vita quotidiana, dalle persone comuni che incontro e da ogni aspetto dell’esistenza. Vivo in un monolocale al centro di Milano, e mi muovo unicamente con la metropolitana e con i mezzi pubblici. Odio la mondanità e tutto ciò che è finto e superficiale. Il mio segreto è vivere il più intensamente possibile ed è ciò che mi propongo di fare. Quando sono a contatto con le persone comuni divengo ricettivo alla musica, che “bussa” alla mia testa, già perfettamente strutturata. Il mio

composizioni dimostrino quest’aspetto.» Hai collaborato con alcuni dei più grandi artisti italiani ed internazionali. Quali tra queste esperienze è stata la più significativa ed esaltante? «Per ora preferisco esibirmi in autonomia, in quanto ritengo di avere ancora parecchio da dire a titolo personale. Mi ha commosso la scelta del regista Spike Lee di scegliere il mio brano Come sei veramente come colonna sonora di un celebre spot, che ha poi avuto successo in tutto il mondo. Tra gli impegni artistici più recenti mi ha particolarmente gratificato il piccolo tour del 2007 con l’ensemble da camera

compito è solo quello di riversarla sul pentagramma.» Ritieni che sia più fortunato e “dotato”, il musicista che vive un processo creativo “sofferto” oppure chi sostanzialmente scrive “sotto dettatura”? «Il risultato finale, anche nel mio caso, è quello di una musica senza correzioni. Dall’esperienza maturata in tanti anni devo sottolineare che lo sviluppo mentale delle mie composizioni è sofferto, anche se piacevole. Non un rapporto tormentato e oscuro ma un’ispirazione artistica, che si dispiega con gioiosità. Credo che diverse mie

dei Philharmonische Camerata Berlin, e la collaborazione con l’Orchestra Sinfonica dei Virtuosi Italiani, con cui ho registrato l’album Evolution.» Accanto ai successi che raccogli, non mancano critiche provenienti da certi settori musicali. Molti ritengono la tua musica poco impegnativa, e superficiale. Cosa rispondi alle critiche e cosa pensi del mondo musicale classico? «Il mondo della musica classica tradizionale e le altre forme di espressione artistica debbono rimanere separate. Ho il massimo rispetto per gli artisti classi-

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ci che si fanno portatori di messaggi e valori immortali. Ritengo, tuttavia, che sia necessario che il linguaggio musicale si adatti ai tempi e si renda più facilmente comprensibile, anche per le nuove generazioni. La mia “colpa”, probabilmente, è stata quella di aver creato una musica di grande impatto emotivo, che parla diritto al cuore, una caratteristica, questa, che talvolta il linguaggio musicale classico e sinfonico, non possiedono. Il pubblico ha decretato il mio successo, ascoltatori non solo giovani anagraficamente ma anche giovani dentro, aperti cioè al nuovo e alla sperimentazione. Da quanto mi hai detto, non ami la vita patinata e l’apparenza. Come gestisci il tuo successo? «Un ruolo fondamentale nella mia vicenda è dato dal pubblico. Mi segue con un tale affetto, e gioia, che non ho bisogno di trovare altrove lo stimolo e la carica per svolgere, al meglio, il mio lavoro. Tuttavia, non posso non ricordare che il successo è arrivato gradualmente, dopo anni di sacrificio e sudore. Proprio perché l’ho costruito, giorno per giorno, ho imparato a gestirlo e a non farmi travolgere.» Nel corso dei tuoi numerosi tour hai potuto incontrare tantissimi giovani, incantati dalle tue note. Con quale tipologia di ascoltatori riesci ad avere più feeling quando sei di fronte al pianoforte? «Il pubblico italiano, è forse quello più travolgente. Ma ho anche avuto delle esperienze indimenticabili tenendo concerti in Giappone. Ho visto giovani piangere, ascoltando le mie note.» Dopo questo tour italiano, culminato l’ 1 settembre all’Arena di Verona, quali saranno i tuoi prossimi impegni? «Inizierò il 9 ottobre una tournée americana, con un concerto alla Carnegie Hall. Suonerò anche in altre città degli Stati Uniti, come Los Angeles e San Francisco.»


Come è iniziato il sodalizio con i GuitArt Quartet? «Qualche anno fa mi hanno chiamato per propormi una collaborazione e dopo averli ascoltati, sono rimasta incantata per la loro bravura. Ho realizzato una serie di brani che raccontano dei nostri emigranti in Sudamerica che hanno vissuto, sofferto, gioito, costruito e sognato su molte canzoni, un po’ un viaggio all’indietro in quello che siamo stati. Tutti hanno usato questo repertorio, ma ognuno lo arrangia, lo interpreta come vuole e questo è il mio più grande divertimento.» Sei sempre alla ricerca di diversi generi… «Seguo la mia natura e non mi è difficile. Collaboro con musicisti di valore, ci imbarchiamo insieme nelle varie avventure ed io mi inserisco di volta in volta, nel senso che una sera canto sudamericano, un'altra canto con una banda multietnica, sono abituata e mi piace.» Cosa facevi prima di entrare a far parte dei Matia Bazar? «Disegnavo, venivo dall’accademia e la mia idea era di occuparmi di arte, ma in altro modo.» La stai ancora coltivando? «Si, anche se c’è bisogno di

tempo per farlo seriamente, altrimenti è solo un hobby.» Cjantâ Vilotis è il tuo ultimo lavoro, un cd e un dvd. «Una delle ultime cose strane e belle che ho fatto con i gruppi in lingua ladina, friulana e trentina. Il mondo offre musica bellissima, basta solo la voglia di prendere e cantare senza soffermarsi su quello che può dare il successo immediato. Questo cd/dvd riprende dei concerti che ho fatto in Friuli e nel nordest d’Italia. L’idea è nata da una mia collaborazione con due cori di montagna dalle voci meravigliose e da lì è iniziata la mia ricerca musicale a nord del Trentino.» L’anno scorso, invece, con

Pomodoro genetico quanto ti sei divertita? «Tantissimo perché non c’erano limiti e schemi. Il disco è nato come colonna sonora del film Broken blossoms, di David D. Griffith insieme a dei musicisti del maggio musicale fiorentino, musica classica unita all’elettronica dove la voce senza testo viaggia come un rabdomante.» Hai mai pensato di fare un disco su Napoli? «Napoli è preziosa e la ricerca diventerebbe minuziosa. Non vorrei interpretare le solite cose, c’è ancora molto da scoprire nel passato. Non è detto che non lo faccia, avvicinandomi però con attenzione e rispetto.» 41


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Attualmente sei impegnato con il tour di Non riesco a farti innamorare, ma artisticamente ti sei fatto apprezzare dal pubblico, con il musical Scugnizzi a cui è seguito Anime Napoletane e Canto per Amore. Cosa rappresenta per te il teatro? «Il teatro rappresenta la mia nascita artistica. Sono nato come attore, non come cantante. Da bambino, nel ‘76, ho debuttato in Città Canora, una manifestazione teatrale tenutasi ad Ercolano dove mio padre ed io vincemmo la rassegna con la canzone Miracolo ‘e Natale che poi divenne una sceneggiata. Diciamo che quello fu un gioco istintivo, poi, negli anni a seguire, ho sentito l’esigenza di voler comunicare attraverso la musica. Verso i vent’anni, ho scoperto di avere una bella voce ed ho iniziato a scrivere canzoni, sia per me che per altri artisti, ma non abbandonando mai quella grande famiglia, in cui sono cresciuto, che è, appunto, il teatro.» Il tuo tour inizia con una carrellata di foto di famiglia, omaggio ai tuoi genitori… «Sì, è una mia riflessione su una filosofia di vita. Quando nasciamo, troviamo i nostri genitori. Poi, la vita ci dà la possibilità di scegliere gli amici, la nostra compagna, i conoscenti. I fratelli e i genitori, invece, non li scegli e impari a viverli, come se fossero i tuoi giocattoli, le cose con cui divertirti e crescere. Mi piaceva inserire nello spettacolo

una parte di me, attraverso le loro foto, per ripercorrere quella camera di giocattoli che vivevo con loro. E, attraverso questi ricordi, riesci a sentirti un po’ Peter Pan e questa sensazione mi rende felice.» Questo per te è un anno ricco di soddisfazioni ed impegni. «Un anno molto interessante nel quale sto cercando di concentrare insieme tanti impegni e lavori lasciati in sospeso precedentemente.» Tra le canzoni d’amore presenti nell’album, quale senti particolarmente tua? «Un po’ tutte, da quella di Sanremo a In due. È il mio modo di raccontare la musica e l’amore. Tra le ultime, forse, sento di più Aria di dolore, che ho dedicato a mio figlio. Ho deciso di scriverla mentre lui viveva la sua prima delusione d’amore e ho avvertito quanto soffrisse. E mi è tornata in mente qualche mia sofferenza adolescenziale. È fantastico poter ripercorrere la nostra vita attraverso i figli.» Interpreti ogni canzone in maniera magistrale, sembrano cucite su di te. È questa la vera magia di essere artisti? «Scelgo sempre di cantare canzoni che sento mie. Anche quelle che non scrivo, se decido di inserirle nel repertorio è perché contengono un linguaggio che sento mio. Credo nei testi che interpreto e credo che alla gente questa sensazione arrivi.» Progetti futuri? Un nuovo disco?

«Un disco non è in programma, ma sta per uscire il singolo Da lontano, a cui seguirà un video. Poi, sto scrivendo con Gino Landi uno spettacolo che debutterà a marzo 2010 al Teatro Augusteo di Napoli dal titolo provvisorio Io con Voi, dedicato al pubblico che mi segue.» Sei della gente e per la gente. Ti vediamo spesso impegnato in progetti di solidarietà. Altri eventi in programma a riguardo? «Sto cercando di realizzare un progetto a favore delle case famiglia di Napoli a cui sono stati tagliati i fondi comunali e versano in condizioni di grande disagio. Mi piacerebbe mettere una tassa sul mio spettacolo da donare a questi istituti in difficoltà. Se si riuscisse a realizzare questa iniziativa, sarei davvero molto felice.» Ti abbiamo visto lavorare in Scugnizzi e in Volami nel cuore con ragazzi molto giovani con i quali sei sembrato essere in perfetta sinergia. «I ragazzi sono uno specchio, attraverso loro vedi quello che vorresti essere, ma purtroppo non ne hai più l’età. Ho vissuto un’infanzia particolare, sono entrato giovanissimo nel mondo dello spettacolo, tralasciando tante esperienze che si fanno da ragazzino, perciò rivedo tramite loro un pezzo che mi manca. Posso solo consigliare ai ragazzi di vivere la loro età serenamente senza essere morbosi nella voglia di crescere in fretta.» 43


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Più di quindici anni di carriera musicale alle spalle. In cosa ti senti diverso e uguale a quel Massimo Di Cataldo che debuttava con successo al festival di Castrocaro del ‘93? «Ancora mi sento piuttosto incosciente da proporre la mia musica. Credo ci voglia una sorta di forza, tra l’incoscienza ed il coraggio per cercare di non restare sempre sullo stesso punto e muoversi, perché comunque si cambia nella vita, si fanno esperienze che in qualche modo ci fanno crescere, ci fanno imparare e disimparare.» Alterni periodi di forte esposizione mediatica a periodi in cui ti esponi meno. Come vivi questi due differenti momenti? «Mi espongo di più quando ho qualcosa da dire o da dare soprattutto parlando di un album che posso rappresentare e che mi rappresenta. Altrimenti sono schivo e distante dal mondo dello spettacolo, dal jet set. Mi piace vivere la vita quotidiana con le persone di sempre.» Sempre parlando di esposizione mediatica, ti abbiamo visto in passato anche nelle vesti di conduttore di un talent show. Quale è, secondo te, il valore artistico di questi programmi e torneresti a partecipare ad una di queste trasmissioni? «Mi piacerebbe trasmettere le mie esperienze ai ragazzi, cercare di farli crescere e non illuderli. Una trasmissione può sicuramente cambiarti la vita, ma non è detto che te la cambi in meglio. Partecipare a tali programmi va

mi sono interessato al teatro, ho fatto pubblicità, cominciando così a metter da parte i soldi per le prime produzioni e appena c’è stato qualcosa di valido sono andato a Castrocaro. Credo nella forza dell’indipendenza, nel poter fare le cose con i propri mezzi.» Diciamo che puoi dirti prevalentemente cantante piuttosto che attore? «Sono un musicista cantautore. Mi è capitato di fare l’attore, di proposte ne ho avute, ma non ho mai trovato qualcosa che mi facesse sentire a mio agio. Voglio continuare a fare musica, comunicare attraverso questa forma d’arte è la cosa più importante.» È definitivamente tramontata l’etichetta che ti era stata appiccicata di teen idol, idolo delle teenager? «Ho fatto di tutto per evitare di restare in quella etichetta perché secondo me era limitante e non del tutto giusta. E poi c’è da dire che quel pubblico di teenager è cresciuto con me. Poi se ci sono ancora delle ragazzine che mi corrono dietro, io non ci posso fare niente!» Il tuo progetto discografico, Chissenefrega, è il frutto di tre anni di silenzio. Cosa sono stati per te questi ultimi anni? «Più che di silenzio, parlerei di metabolizzazione di tutto ciò che è stato il mio percorso artistico e di vita. Ho speso molto tempo nella ricerca musicale, investendo personalmente. Qualcuno ci insegna che la musica è l’arte dello scorrimento del tempo e ci vuole sicuramente molto tempo per

re me stesso, fare quello che voglio, piuttosto che essere una sorta di pupazzo, un manichino.» L’album è stato preceduto da un singolo, Gente per bene, in cui denunci, per l’appunto, una società superficiale. Da dove nasce l’esigenza di dover sottolineare il falso perbenismo che permea la nostra società? «Nasce da certe esperienze fatte. Vent’anni di mondo dello spettacolo sono tosti, o ti cresce un metro di pelo sullo stomaco oppure fai come me e ti butti da un’altra parte. Mi piace avere a che fare con persone vere, non con personaggi costruiti. Per questa ragione mi distacco dal mondo del jet set. Ho scattato una fotografia in questa canzone con la quale intendo provocare in modo ironico.» E cos’altro proporrai in quest’album? «L’album è intimista ma a tratti diretto, con canzoni diverse tra loro, ma imbastite insieme in maniera tale da comunicare un unico concetto, alla stregua dei concept album degli anni ‘70. L’idea è quella di guardare oltre la superficie e di raccontare le mie impressioni sulla decade in cui ancora ci troviamo. Ci sono anche canzoni d’amore, un amore visto come soluzione all’indifferenza, non come qualcosa per il quale soffrire, ma inteso come forte aggregativo, come speranza.» Come vedi attualmente lo stato della musica italiana? «Ho l’impressione che la musica italiana sia in una fase di stallo.

considerato un passaggio, perché non si arriva da nessuna parte senza fare esperienza.». Nella tua carriera hai fatto anche teatro, partecipato a spot e fiction. Quando ti rivedremo in veste di attore? «Ho iniziato facendo musica. Suonavo già ai tempi del liceo con un band underground. Poi

ottenere un prodotto di qualità.» Il titolo dell’album, da cosa prende ispirazione? «Il titolo si ispira ad un mondo preconcetto che ci viene riproposto ogni giorno attraverso la pubblicità, schematico e di facciata, molto falso rispetto a quello che è la vita reale. Chi se ne frega veramente, preferisco esse-

Non c’è nessuno che cerca di fare qualcosa di diverso. Forse c’è la paura di uscire dal seminato, di sparare fuori dal proprio target. Le case discografiche si omologano sempre di più e questo fa sì che la musica diventi un susseguirsi di cover e di allegri duetti che alla fine non aggiungono niente a ciò che è già stato fatto.» 45


È un libro dalla struttura particolare, voi stessi lo avete definito scritto a 4 “guantoni”. «Sì, la struttura del libro è quella di un incontro di box, ci sono i round al posto dei capitoli e ad ogni colpo dell’uno, risponde l’altro nel round successivo. È Mr Mall a cominciare. In questo 46


libro ci ho messo un pezzo della mia vita e con la struttura della prosa ho raccontato avvenimenti e fatti che seguono una linea cronologica abbastanza precisa. Raccontano due anni circa, fino ad arrivare all’ultimo round, che s’intitola All’angolo, per altro proprio questo momento della mia vita descritto nel capitolo è quello da cui nasce e parte Non si muore tutte le mattine. Per quanto riguarda la mia controparte, Mr Pall risponde invece con la poesia, quindi qui non c’è una vera linea temporale, piuttosto, quello sicuramente che ne viene fuori è una struttura che è proprio un botta e risposta; i round che si susseguono non sono casuali, ma sempre legati da un filo conduttore, anche se non palese e specifico, che ne rende la forma scorrevole.» Non avendo una struttura romanzesca da evincere, cosa racconta Clandestinità? «In realtà racconta tantissime cose insieme perché sono esperienze di vita, dall’influenza letteraria di entrambi, anche se espressa magari in maniera diversa, passando per i nostri primi incontri reali fino a rievocare pezzi della nostra vita magari anche molto passata. Parla anche di clandestinità e ovviamente di libertà; in qualche modo è anche un po’ il nostro percorso dalla clandestinità alla libertà, e se poi ci pensi un attimo la clandestinità cos’è? È la libertà, ma con le gambe corte, poi adesso è anche un reato per cui diciamo che siamo anche dei coraggiosi.» Com’è nato il libro? «In realtà le due parti del libro sono state scritte separatamente e anche non tutte recentemente. Il pugilato è sempre stata una mia fissa come metafora della vita dell’uomo che combatte contro l’altro, ma anche contro un avversario non umano che sono i dubbi, le problematiche e le angosce del singolo. Una sera ci trovavamo in un piccolo locale di Milano, che tira un po’ più tardi degli altri, e questo

locale molto freddo, le luci al neon e i camerieri vestiti proprio come arbitri di pugilato, hanno scatenato in me questa voglia, non tanto di scrivere un libro, quanto di far vivere una serata in un club fatta di esperienze e ricordi condivisi da noi due.» Continuando a parlare di box, è stato semplice poi dare questo tipo di struttura al testo del libro?

«Assolutamente no. Nonostante la differenza che esiste tra noi due, tra poesia e prosa e tutto quello che ne viene, dai cambi di registro alle strutture completamente diverse, in definitiva credo che il libro abbia sostanzialmente una sua leggibilità, un suo motivo d’essere così com’è, anche passando dalla poesia alla prosa e viceversa non crea un reale distacco di chi legge.» 47


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