Pantheon 100 - Cento volte grazie

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PREZZO €3,50 COPIA GRATUITA

EDIZIONE MAGGIO 2019

ANNO 11 - NUMERO 04

NUMERO CENTO

PANTHEON

LINO BELLAMOLI

100 VOLTE GRAZIE La nostra testata taglia il traguardo delle cento edizioni. Un’avventura editoriale iniziata esattamente undici anni fa, nel maggio del 2008. Abbiamo scoperto che Lino Bellamoli, 93 anni, di Grezzana, ha raccolto ed archiviato da allora ad oggi ogni singolo numero di Pantheon. Non potevamo che dedicare a lui, nostro fedelissimo lettore, la centesima copertina del giornale


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MAGGIO 2019

DI MATTEO

SCOLARI

EDITORIALE

Fino a qualche anno fa, quand’ancora la redazione del nostro giornale aveva sede a Grezzana, era diventato un appuntamento irrinunciabile, e atteso da tutti i colleghi, quello di incorniciare e appendere sulle pareti dell’ufficio la copertina del numero di Pantheon appena chiuso e mandato in stampa. Era un gesto tanto semplice quanto importante per tutti noi che dedicavamo anima e cuore a un progetto editoriale che da allora ad oggi, grazie anche a quell’impegno, è cresciuto molto. Era un modo per fissare in maniera simbolica e anche fisica, un risultato ottenuto, mese dopo mese, con fatica, abnegazione, gioia e passione. Ricordo ancora quando un pomeriggio d’estate, mi pare fosse il 2013, io e il collega Matteo Bellamoli osservammo la parete del nostro ufficio e, vedendola ricoperta di circa un terzo dalle copertine del giornale, ci chiedemmo quando saremmo arrivati a vederla occupata per intero. Considerando la cadenza mensile di ogni edizione e gli spazi rimanenti sul muro, calcolammo che l’avremmo riempita più o meno attorno al numero cento, nel maggio del 2019. Sei anni dopo. Sessanta Pantheon dopo. Ci guardammo negli occhi qualche istante e ci facemmo una risata. Non perché ritenemmo impossibile raggiungere quell’obbiettivo, ma perché ci sembrava così distante nel tempo che, un po’ per scaramanzia, un po’ per non illuderci, preferimmo cambiare discorso. In realtà, dentro di noi, sapevamo che, nonostante i tempi particolari per l’editoria e per il giornalismo, ci saremmo riusciti. Ed eccoci qua, oggi, nel 2019, nel mese di maggio, con Pantheon numero cento tra le mani. Nel frattempo abbiamo cambiato sede, ci siamo spostati in ZAI a Verona, nel 2014, e anche se quella parete di copertine non c’è più, riusciamo bene ad immaginarcela, completa, ricca di colori e di volti che in questi undici anni sono stati consegnati alla storia del giornale.

Quasi come un gioco del destino, proprio a Grezzana abbiamo scoperto di recente un nostro affezionato lettore che ha collezionato tutti i numeri della rivista, dal primo all’ultimo, con una fedeltà e una costanza che ci hanno commosso. Il lettore si chiama Lino Bellamoli ed è a lui che abbiamo scelto di dedicare il centesimo tassello che completa questo primo grande puzzle iniziato nel maggio del 2008. «Se puoi sognarlo, puoi farlo» diceva Walt Disney, ed è l’aforisma che abbiamo fatto nostro fin dall’inizio. Potevamo sognare di donare gratuitamente al territorio cento edizioni del giornale, un milione e mezzo di copie, e lo abbiamo fatto; potevamo sognare di dare la possibilità a tanti giovani di iniziare un percorso nel mondo del giornalismo e di acquisire una professionalità, e lo abbiamo fatto; potevamo sognare di raccontare storie di persone straordinarie, di progetti innovativi, di giovani con talento, di luoghi meravigliosi, e lo abbiamo fatto; potevamo sognare di aggiungere tanti altri strumenti di comunicazione al giornale per rimanere al passo con i tempi e per servire ancora meglio il nostro pubblico, e lo abbiamo fatto. Quello che sogniamo ora è di poter proseguire guardando ad altre pareti vuote, auspicando di vederle tra qualche anno complete. È quello che ci auguriamo per ognuno di voi, che magari in questo momento state immaginando e pensando a un obiettivo personale, professionale, che riguarda la famiglia. Non importa se sembra distante, difficile da raggiungere, complicato. Tassello dopo tassello, giorno dopo giorno, mese dopo mese, con fatica, abnegazione, gioia e passione, lo raggiungerete.■

SFIDA TUTTO QUELLO CHE PUOI. ESPANDI IL TUO PENSIERO. RIMETTI A FUOCO I TUOI SFORZI. DEDICA DI NUOVO TE STESSO AL TUO FUTURO. PATRICIA FRIPP

matteo.scolari@veronanetwork.it @ScolariMatteo


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REGISTRAZIONE TRIBUNALE DI VERONA N.1792 DEL 5/4/2008 - NUMERO CHIUSO IN REDAZIONE IL 23/04/2019

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Indice 62

PILLOLE DI MAMMA

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LINO

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LA PAROLA

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RUBRICA PET

MELEGATTI

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STORIE DI STORIA

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IL LETTORE CHE TUTTI VORREBBERO

AL (NUOVO) PREFETTO DI VERONA

LA RINASCITA SULLE ALI DI UNA COLOMBA

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BELLEZZA AL NATURALE

IN CUCINA CON NICOLE

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L'ISLAM A VERONA

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26

ALESSANDRA

36

TEDX VERONA

78

38

A TU PER TU CON PIF

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LE REGOLE DI VOLO

44

ARTI E ARMONIE

58

UMBERTO SCANDOLA

SPIEGATO DALL'IMAM SCALIGERO

LA PARRUCCHIERA DEI SENZATETTO

L'OROSCOPO ALLA NOSTRA MANIERA

IL MESTIERE DELLO SPEAKER

A pa g. 72 il cal endar io del m ese secon do no i

E CON LE SUE (IN)FELICITÀ

SECONDO SIMONE CRISTICCHI

CON MARCO GOLDIN

INTERVISTA IN CORSA

ERRATA CORRIGE. A pagina 32 e 34 di Pantheon 99 (aprile 2019) è stato erroneamente scritto che il pasticciere Manuel Marzari ha lavorato per Cracco. Marzari ha, infatti, frequentato gli ambienti della Peck di Milano dove spesso ha avuto occasione di vedere ed entrare in contatto con lo chef, senza però essere mai sotto le sue dirette dipendenze. ERRORI O SEGNALAZIONI: WHATSAPP 320 9346052 - REDAZIONE@VERONANETWORK.IT

DIRETTORE RESPONSABILE MATTEO SCOLARI DIREZIONE EDITORIALE MIRYAM SCANDOLA

REDAZIONE E COLLABORATORI

REDAZIONE MATTEO SCOLARI, MIRYAM SCANDOLA, MARCO MENINI, GIORGIA PRETI, ALESSANDRO BONFANTE, MASSIMILIANO VENTURINI HANNO COLLABORATO AL NUMERO DI MAGGIO 2019 SARA AVESANI, CARLO BATTISTELLA, MATTEO BELLAMOLI, MARTA BICEGO, CHIARA BONI, MICHELA CANTERI, CLAUDIA BUCCOLA, GIORGIA CASTAGNA, DANIELA CAVALLO, EMILIANO GALATI, FEDERICA LAVARINI, FRANCESCA MAULI, ANDREA NALE, EMANUELE PEZZO, ERIKA PRANDI, NICOLE SCEVAROLI, ALESSANDRA SCOLARI, INGRID SOMMACAMPAGNA, PAOLA SPOLON, TOMMASO STANIZZI, GIOVANNA TONDINI, MANUELA TREVISANI, GIULIA ZAMPIERI, MARCO ZANONI. FOTO DI COPERTINA MARCO MENINI PROGETTO GRAFICO VINCENZO AMMIRATI - SIMONE ZAMPIERI SOCIETÀ EDITRICE INFOVAL S.R.L. REDAZIONE VIA TORRICELLI, 37 (ZAI-VERONA) - P.IVA: 03755460239 - TEL. 045.8650746 - FAX. 045.8762601 MAIL: REDAZIONE@VERONANETWORK.IT - WEB: WWW.VERONANETWORK.IT FACEBOOK: /PANTHEONVERONANETWORK - TWITTER: @PANTHEONVERONA - INSTAGRAM: PANTHEONMAGAZINE UFFICIO COMMERCIALE: 045 8650746 STAMPATO DA: ROTOPRESS INTERNATIONAL SRL - VIA BRECCE – 60025 LORETO (AN) - TEL. 071 974751 VIA E. MATTEI, 106 – 40138 BOLOGNA – TEL. 051 4592111

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Introduzione

LA SPERANZA E DEL PERCHÉ L’ABBIAMO PROVATA A DISSEMINARE Stavolta c’è del verde sparso tra le pagine, troverete paragrafi di testo circondati da recinti smeraldo. Per il numero 100 di Pantheon abbiamo sparpagliato auspici grandi e minimi. Perché sperare è un modo minuscolo per chiamare a sé le cose, per sconfiggere — e farlo a benedette armi pari — la rassegnazione e il suo modo di persistere.

T

ANTE VOCI DIVERSE di settori paralleli o complementari. La speranza come piccola briciola di pane, o di senso, dove ravvisare un sentiero per dire “futuro” senza sperticato ottimismo ma pure lontano dalle abituali descrizioni che corteggiano il disastro, additando ogni cambiamento come l’incipit di tutte le apocalissi. Interviste speranzose: così abbiamo voluto comporre il numero 100 della nostra rivista. Un piccolo traguardo che è una breve sosta per organizzare altre «trascurabili», come direbbe Pif, conquiste. Prime tra tutte, quelle che ci elenca Lino Bellamoli, lettore e collezionista di Pantheon «dal primo all’ultimo numero». Ci legge dall’inizio, dal maggio del 2008, e ora ci pone la domanda delle domande, la più imperativa e, a conti fatti, sensata: «Qual è il valore sociale di questo periodico?». Rispondiamo con pagine che sono un compendio di volti, di nomi sconosciuti e noti, di istituzioni come di cittadini “normali”. Le loro speranze private e pubbliche costituiscono il canovaccio dal quale dovrebbe ripartire ogni progetto che intende dirsi collettivo. Un giornale, dunque, in primis. Il nuovo Pre-

fetto di Verona, insediato da una manciata di settimane, confida di desiderare una cosa per il suo mandato «di riuscire a interpretare al meglio le esigenze della comunità e della gente, di mettermi al loro servizio rendendomi utile come raccordo tra le istituzioni e tra queste e i cittadini». Simone Cristicchi, poche pagine dopo, ci esorta a spiccare il volo, anche a prezzo di sfasciarci. Perché solo «le anatre domestiche non volano». Lo dice con una metafora, ma il significato è chiaro. Che senso ha vivere a mezzo servizio, in un mondo dove l’amore, l’idealismo, la speranza non hanno più rilevanza? E allora ecco l’auspicio da recintare di verde, da riempire di tentativi: che il nostro lavoro sia sempre invitare alla verità, ai suoi volti plurali, dando spazio più alla meritocrazia di chi compie azioni, piccole e immense, rispetto a chi le pretende, senza muoversi per ottenerle. Questo numero, e lo diciamo come premessa, cerca di lambire la speranza, pur non garantendo esiti e riuscite. Certi, come siamo, che nello sperare – e nella disciplina che richiede – si misuri, ancora e sempre, il peso di ogni coraggio.■

DI MIRYAM SCANDOLA


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ADERENTE AL


LA PAROLA A VOI

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Lino Bellamoli

LINO, IL LETTORE CHE TUTTI VORREBBERO

In occasione di questo importante traguardo per noi (i 100 numeri della rivista), abbiamo intervistato Lino Bellamoli che, con grande attenzione, ama osservare movimenti ed evoluzioni della società. Appassionato lettore di Pantheon — ha conservato tutti i 99 numeri — ne elogia il rinnovamento e ci offre alcuni suggerimenti.

L

INO BELLAMOLI, 93 ANNI, grezzanese doc, consigliere comunale negli anni '70, è da sempre attento osservatore dei cambiamenti socio-economici del territorio e non solo. Trasformazioni che nella sua vita ha brillantemente affrontato e superato, grazie alle convinzioni e alle consapevolezze maturate a contatto con la terra e il suo ciclo delle stagioni della vita. Si ritiene, infatti, con orgoglio, «un lavoratore della terra», che ha lasciato a 70 anni per raggiunti limiti di età. Lino ha una grande capacità di intrecciare relazioni con le persone, dono (mai perduto e sempre esercitato) che gli ha permesso di restare aggiornato e “sulla scena”. Lo conferma la moglie Mariangela Butturini da 55 anni al suo fianco e con la quale ha avuto tre figli maschi. «E sette nipoti», precisa compiaciuto Lino.

Lino ci risulta che ha sempre letto con grande interesse la rivista Pantheon, fin dal primo numero, uscito a maggio del 2008. Perché? Anzitutto perché mi piace leggere. Leggo anche altri periodici che conservo in apposite distinte scatole. Ritengo molto importante conoscere le realtà del territorio e la loro evoluzione. All’inizio il filo conduttore di Pantheon era raccontare la vita della Valpantena e della Lessinia e quindi era seguito da molti cittadini della vallata. Nel 2014 il giornale ha lasciato la sede di Grezzana (ora la redazione si trova a Verona) per evolvere e diventare il mensile della città. Una scelta efficace? Credo sia stata una scelta ragionata dalla proprietà e credo che per il giornale abbia rappresen-

DI ALESSANDRA SCOLARI


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tato una trasformazione positiva. Per la Valpantena, come sempre accade quando un’azienda se ne va, questo trasferimento è stato una piccola perdita: Pantheon infatti permetteva molti contatti, un rapporto diretto con la cittadinanza. In questi 11 anni Pantheon si è rinnovato. Come ha visto questa innovazione? Bene. Molto interessante è l’editoriale del direttore Matteo Scolari. L’impostazione ha allargato l’orizzonte su personaggi e argomenti spesso sconosciuti, gli articoli sono molto migliorati nel linguaggio e nel contenuto, mentre la copertina non sempre al primo impatto è comprensibile. Io sono sempre rimasto un fedele lettore. Ci risulta che Pantheon nella Valpantena, territorio di elezione perché ha dato i natali alla rivista, sia ancora molto apprezzato, che cosa suggerirebbe per attirare altri lettori? Il giornale è molto richiesto da una certa fascia di lettori, ma non sono tanti i giovani che lo prendono. A volte mi chiedo: “Qual è oggi il valore sociale di questo periodico?” La società cambia velocemente, forse, sarebbe utile l’approfondimento di alcune situazioni socio-economiche. Probabilmente non basta presentare le nuove iniziative attraverso i personaggi. La rivista Pantheon, che ha ormai ottenuto una sua collocazione tra gli affezionati lettori, potrebbe diventare a pagamento perché, da sempre, le cose acquistate sono le più apprezzate.

Lino assieme alla moglie Mariangela

Lino che speranze, aspettative ha sul futuro dell'Italia? Bella domanda. Può succedere di tutto! Potremmo cominciare dall’inizio del creato, o dalle due guerre mondiali del Novecento. Oggi c’è molta incertezza su parecchi fronti. Le persone, anche a causa della tecnologia in azienda e fuori diventano sempre più individualiste e poco inclini al bene comune e alle relazioni. Prevale un clima di paura che spinge ad allontanarsi (anche se non fisicamente) dalla società e dai suoi problemi, lasciando fare e questo non è positivo. Questo momento passerà, ma non sappiamo a quale prezzo. Auspico, per il bene delle giovani generazioni e dei miei nipoti, che questo prezzo sia modesto.■

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Enzo, il "postino" del nostro giornale Tra le persone da festeggiare e da ringraziare in questa centesima edizione del giornale c’è sicuramente Enzo Miglioranzi. Storico postino della Valpantena, per anni ha consegnato in tutte le famiglie del territorio le lettere e i pacchi diventando una figura di riferimento per molte persone grazie ai suoi modi gentili ed educati. In pensione dal 2001, Enzo si è proposto fin dai primi numeri di Pantheon a titolo gratuito, come volontario, di distribuire la nostra rivista nelle attività commerciali e nei punti di distribuzione consueti di Quinto, Marzana e Sezano. Dal 2008 ad oggi il suo impegno per la nostra testata è stato costante e impeccabile. Da parte di tutta la redazione un grande grazie ad Enzo e alla moglie Giovanna Rigo.

Pantheon sul vulcano più alto del mondo Giorgio, Romeo, Claudio e Lino sono alpinisti e lettori fedeli della nostra rivista. Lo scorso novembre hanno portato Pantheon sulla Cima Ojos del Salado, in Cile a ben 6.893 metri. La montagna è in altezza la seconda delle Ande (la più alta del Cile), la seconda dell’Emisfero occidentale e la seconda dell’Emisfero australe, sempre dopo l’Aconcagua, situato a 550 chilometri in direzione sud. Si tratta del vulcano attivo più alto del mondo. L’escursione per arrivare in vetta dura sette giorni. Che dire? Grazie ragazzi per averci fatto vedere, anche metaforicamente, queste splendide altezze.


L’INTERVISTA A DONATO GIOVANNI CAFAGNA

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«VORREI APRIRE LA PREFETTURA AL TERRITORIO» Il neo rappresentante del Governo, nominato Prefetto di Verona il 7 marzo scorso, si è insediato nel Palazzo Scaligero il 25 dello stesso mese. Tra le sue prime volontà, quella di avvicinare sempre di più la Prefettura al territorio, con incontri, approfondimenti, momenti di formazione che tendano a coinvolgere tutti gli attori del tessuto socio economico veronese, con l’obiettivo di assicurare ai cittadini il più ampio rispetto della legalità.

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I ACCOGLIE CON MOLTA CORDIALITÀ nel suo elegante ufficio di via Santa Maria Antica. È un giovedì mattina di inizio aprile e sono passate da poco le dieci. Donato Giovanni Cafagna, neo Prefetto di Verona, sembra essere perfettamente a suo agio nel ruolo che gli è stato assegnato dal Consiglio dei Ministri lo scorso 7 marzo. Solo poche settimane per ambientarsi nella nuova città, ma sufficienti, visti anche gli eventi legati alle manifestazioni pro e contro il Congresso mondiale delle Famiglie, per mettere alla prova tutta l’esperienza professionale del nuovo rappresentante del Governo sul territorio scaligero. Nato a Barletta il 24 giugno 1961, Cafagna, dopo la laurea in giurisprudenza è entrato nei ruoli dell’Amministrazione civile dell’Interno il 30 dicembre 1987. La sua prima sede di servizio è stata Bari, città dove ha lavorato per oltre tre lustri. Nel 2011 è stato trasferito a Milano, dove ha svolto le funzioni di capo di gabinetto sino al novembre dell’anno successivo, quando è stato incaricato di coordinare gli interventi per il contrasto degli incendi dei rifiuti in Campania.

Sposato e padre di due figli, Donato Cafagna è stato nominato prefetto il 10 agosto 2016. Prima di arrivare a Verona è stato due anni Prefetto di Taranto. Signor Prefetto, partiamo proprio dalle recenti manifestazioni in occasione del Congresso delle Famiglie. Subito un’occasione per mettere alla prova la macchina organizzativa… È evidente che quando su un territorio c’è una presenza così numerosa, oltre 50 mila persone, occorre organizzare un sistema di gestione della sicurezza che richiede uno sforzo particolare alle forze dell’ordine e un coinvolgimento da parte di tutta la città. Abbiamo lavorato cercando di porci un obiettivo, ovvero quello di consentire a tutti di manifestare liberamente, così come prevede la nostra Costituzione, e che tutti potessero farlo in serenità in un contesto, come quello di Verona, molto sensibile. Col senno di poi possiamo affermare che siete stati in grado di gestire al meglio una situazio-

DI MATTEO SCOLARI


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ne potenzialmente delicata dal punto di vista dell’ordine pubblico… Lo sforzo ha prodotto un risultato positivo, che assume ancor più rilevanza per il fatto che tutti i partecipanti alla manifestazione hanno percepito una disponibilità a consentire loro di manifestare liberamente e quindi che ci sia stato un grande rispetto nei loro confronti e della città. Due settimane sono poche per farsi un’idea di una città, ma magari abbastanza per avere un imprinting iniziale. È così? È vero, due settimane sono poche, tuttavia bisogna dire che in queste due settimane ci sono state tante situazioni, tanti eventi, tanti particolari momenti per cui davvero è emersa una caratteristica di Verona, quella di essere molto effervescente, ricca di iniziative, una città che davvero nel quadro nazionale, ma anche internazionale – e il Vinitaly ne è testimonianza – è in grado di avere un ruolo da protagonista. Per me è stato un impatto molto positivo. C’è stato un contatto con il suo predecessore, Salvatore Mulas, per uno scambio di informazioni sulla città, sulle sue dinamiche, sui suoi protagonisti? Mi sono sentito nell’immediatezza della nomina con il collega che ha voluto chiamarmi e farmi i suoi auguri. Mulas ha lavorato bene, ne ho la percezione, incontrando la gente, avendo un ritorno diretto di quanto è stato fatto. Un lavoro molto attento e profondo soprattutto su alcune dinamiche importanti come quelle legate alle infiltrazioni mafiose. Una strada segnata sulla quale bisogna continuare ad agire con determinazione. In che modo? Di sicuro tenendo conto che non è sufficiente l’attività di prevenzione che viene svolta con le interdittive, né il contrasto che viene svolto dall’autorità giudiziaria. Dobbiamo provare a fare qualcosa in più: lavorare insieme con le associazioni di categoria, con le organizzazioni sinIl Prefetto nel suo ufficio

dacali, con gli operatori economici, con le banche per cercare di rendere questo tessuto economico e sociale sempre più coeso e refrattario ai tentativi di infiltrazione. Quali sono i fattori che accelerano la metastasi mafiosa? La difficoltà di accesso al credito, ad esempio, un fattore che può spingere gli operatori economici verso l’usura o favorire l’ingresso di capitali non limpidi nelle società o nelle imprese. Le 17 interdittive antimafia emesse del suo predecessore pesano come un macigno su un territorio come quello veronese, poco abituato a questo tipo di provvedimenti. Aveva ragione Leonardo Sciascia quando parlava della linea della palma che sale al nord? Le organizzazioni criminali sono cambiate. È superata l’idea della “coppola storta”. Sempre di più abbiamo a che fare con professionisti in giacca e cravatta che non si propongono con l’intimidazione e la violenza, ma usando altri sistemi ancora più pericolosi perché tendono a riportare nella loro rete del malaffare gli operatori economici sani. È cambiato l’approccio con il territorio e con l’economia e noi dobbiamo essere pronti a cogliere questo cambiamento che da anni si è materializzato in molte parti del nord Italia. Lei ha lavorato anche in occasione di Expo Milano. Anche lì ha avuto modo di verificare situazioni non chiare? Ho lavorato per Expo nella fase di avvio delle attività e la scelta che è stata fatta è stata quella di operare con un protocollo di legalità e con la realizzazione di una banca dati in cui le forze dell’ordine avessero la possibilità di acquisire le informazioni su tutti i processi di appalto e sugli interventi che erano in programmai. Con la Prefettura di Brescia stiamo riproponendo la stessa strategia per i lavori dell’alta velocità Brescia-Verona. Infrastrutture e grandi opere sono da sempre attenzionate dalla criminalità organizzata. Ci sono altre frontiere su cui il malaffare sta intervenendo? L’ambiente, ad esempio? I gruppi criminali guardano con interesse al settore turistico alberghiero, a quello dell’autotrasporto. Ambiente? Certo. Ho lavorato quattro anni e mezzo nella cosiddetta “Terra dei fuochi” per contrastare i reati ambientali, non solo quelli della criminalità organizzata, ma anche quelli di inciviltà e delinquenza comune: dalla gestione dei rifiuti che provengono dalla raccolta urbana a quelli di provenienza industriale. Questo è un settore che va monitorato costantemente. Il territorio veronese, negli ultimi anni, ha lamentato, in particolare, un’escalation di furti in abitazione. Anche il tema dell’accoglienza ha diviso la popolazione… Aggiungerei un altro fenomeno, quello delle truf-


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fe, in particolare agli anziani. Ma anche attraverso la rete, attraverso internet, che è un altro fenomeno che ho visto abbastanza diffuso. Per quanto riguarda i furti, sembra esserci una differenza sostanziale tra quelli che sono i dati ufficiali e quella che è una percezione del cittadino. Come possiamo interpretare questa situazione? La percezione che il cittadino ha della sicurezza non va mai sottovalutata perché è l’indice della qualità della vita e di vivibilità di un territorio. Ho condiviso con i componenti del Comitato di sicurezza, una strategia che vogliamo portare sul territorio. La mia idea è quella di organizzare delle riunioni per ambiti territoriali omogenei che coinvolgano più comuni in modo da realizzare una fase di ascolto diretta presso i municipi dei diversi comuni per discutere con gli amministratori comunali in prima battuta, che sono poi i portavoce delle esigenze del territorio, ma anche con le associazioni di categoria o le organizzazioni sindacali, o con alcuni comitati cittadini che abbiano voce su questi temi. A una fase di ascolto devono seguire modelli di intervento elastici in relazione alle esigenze dei vari territori. Già si fa tanto, ma dobbiamo cercare di rendere la nostra attività sempre più corrispondente alle aspettative della gente. Accoglienza: l’emergenza è passata? I numeri dell’accoglienza si sono ridotti, però ancora siamo sulle 1800 presenze sul territorio veronese. In queste settimane è stato pubblicato il nuovo bando contenente le linee guida date dal ministro che sono state definite anche d’intesa con l’Autorità nazionale anticorruzione e che prevedono diverse modalità di accoglienza: gruppi piccoli o addirittura gruppi autonomi di tipo famigliare o centri che comunque non devono superare le 100/150 unità per evitare di fare dei grossi hub che poi sono di difficile gestione. In questa fase è possibile farlo. Ogni scelta verrà fatta in condivisione con le amministrazioni comunali. Si vigilerà molto sulle società o sulle realtà che offrono accoglienza? È indispensabile farlo. Affiderò alle forze dell’ordine un monitoraggio preventivo sulle ditte che partecipano alle gare e poi anche successivo con controlli costanti che faremo con il gruppo insediato presso la Prefettura o con gruppi specifici. Ci sono altri temi, purtroppo, di grande attualità: violenza domestica, femminicidi. Dobbiamo avere un’attenzione particolare verso quelle situazioni di fragilità che sono presenti nella società e che richiedono spesso la necessità di un raccordo istituzionale forte. Lei parlava del femminicidio: lavorare con i comuni, le regioni e mettere in relazione su questi temi le forze dell’ordine con il sistema socio-sanitario quando c’è una situazione patologica è indispensabile, perché spesso la repressione non è

sufficiente. Bisogna fare altro, bisogna tutelare le vittime che non sono solo le donne, ma sono spesso i bambini all’interno di una famiglia. In crescita anche i numeri legati allo spaccio di sostanze stupefacenti e all’abuso di alcol tra i giovani… Ho proposto all’Unità sanitaria di Verona un protocollo d’intesa proprio sul fenomeno dell’uso delle sostanze stupefacenti: l’obiettivo è quello di affiancare qui in Prefettura alla figura dell’assistente sociale anche un esperto, un medico, in modo che ci sia un quadro di intervento il più ampio possibile. E poi che ci sia la volontà di lavorare a fondo nelle scuole per la formazione, affinché i ragazzi, che sono in una condizione di grande fragilità rispetto a questa aggressione che avviene nei loro confronti da parte di chi vuole proporre le sostanze, siano in grado di avere le informazioni necessarie e le informazioni giuste, non quelle che trovano sulla rete che spesso sono una disinformazione. Pensa che i giovani siano ricettivi di fronte a questo tipo di messaggi? I ragazzi sono abbastanza sensibili quando capiscono che rischiano la vita consumando sostanze stupefacenti che non sono più quelle di una volta. Anche quelle considerate “naturali” sono addizionate con sostanze chimiche per elevare il grado di assuefazione e dipendenza. Vorrei aprire la Prefettura al territorio su questi temi, aprirla fisicamente attraverso una serie di incontri. Ci sto lavorando. Altrove ci sono riuscito, vorrei farlo anche qui. Il suo auspicio per questo percorso che sta iniziando qui a Verona? Di riuscire a interpretare al meglio le esigenze della comunità e della gente e di mettermi al loro servizio rendendomi utile come raccordo tra le istituzioni e tra queste e i cittadini.■



A TU PER TU CON IL PRESIDENTE DI MELEGATTI

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LA RINASCITA SULLE ALI DI UNA COLOMBA Due parole (di speranza) con Giacomo Spezzapria che alla fine del 2018 è diventato il nuovo presidente dell’azienda dolciaria Melegatti.

E

RA IL 14 OTTOBRE 1894 quando un pasticciere veronese di nome Domenico Melegatti ottenne un brevetto per aver inventato un dolce fino ad allora sconosciuto: il pandoro. In 125 anni di storia, la pioneristica impresa di Domenico Melegatti ha attraversato notevoli difficoltà: dalla cassa integrazione

dei dipendenti alla dichiarazione di fallimento al licenziamento di quasi tutto il personale. Ma qualcuno ha pensato che questa storia e questo sapere non dovessero essere persi. È, dunque, Giacomo Spezzapria, figlio d’arte (il padre Roberto è alle redini di Forgital Group, industria vicentina specializzata nella forgiatura dei metalli, ndr), poco più che trentenne formatosi alla Facoltà di Economia aziendale dell’Università “Luigi Bocconi”, il nuovo presidente della storica azienda dolciaria Melegatti.

DI FEDERICA LAVARINI

Avrebbe mai immaginato che a soli 33 anni sarebbe diventato il presidente di una società che dal 1894 produce dolci per le ricorrenze? Effettivamente immaginarlo era molto difficile. Abbiamo sempre desiderato il nostro coinvolgimento in un’azienda del settore dolciario perché ci è sempre piaciuto, ma l’opportunità di poter contribuire alla rinascita e alla crescita di un marchio come Melegatti credo che si presenti una volta nella vita. Che cosa l’ha spinta a investire in un’azienda così storica, piuttosto che in settori più legati all’innovazione? Credo che per avere un futuro di successo, soprattutto a livello industriale, sia importante capire quali sono le radici dell’impresa, che deve avere fondamenta forti e sane. Melegatti è un’azienda con una fortissima tradizione, radicata sul territorio da oltre 125 anni. Se c’è una base solida, credo che sia molto più facile costruire un futuro da cui trarre soddisfazioni. Che valore hanno i dipendenti di Melegatti 1894? Se abbiamo deciso di portare avanti l’acquisizione di Melegatti è perché conoscevamo la passione, l’esperienza e la competenza delle

A sinistra Giacomo Spezzapria, presidente Melegatti 1894 S.p.A.


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persone. Sono le persone che fanno le aziende: se si ha la pazienza, l’equilibrio e la giusta dose di ottimismo ci sono tutti i presupposti per proseguire nel modo migliore. L’attuale percorso di innovazione e di sviluppo parte proprio dal profondo rispetto per quello che l’azienda ha fatto fino ad oggi. La produzione è ripartita da pochi mesi, quali sono state le difficoltà che avete dovuto affrontare? Sicuramente rientrare nel mercato dopo un certo periodo di assenza presenta sempre delle notevoli difficoltà, la prima delle quali è che le nostre quote di mercato erano state prese da altri. Dall’altra parte c’è stata la grande sfida contro il tempo per riaprire lo stabilimento di San Giovanni Lupatoto. Dopo aver rilevato l’azienda a novembre del 2018, a febbraio siamo già riusciti a partire con l’intera produzione delle colombe pasquali, dopo uno stop dello stabilimento di circa un anno. Quella è stata la prima sfida che siamo riusciti a portare a termine con grande soddisfazione. Un grande lavoro di gruppo che, oltre ai 38 lavoratori a tempo indeterminato, ha visto coinvolti ben 117 lavoratori stagionali. Un lavoro che ha permesso non solo la produzione della tradizione come la colomba classica ma anche prodotti innovativi come la Colomba Cereali Antichi, prodotta con grani di antica discendenza, con lenta maturazione del chicco, che garantisce sapori genuini ed originari.

Riuscirebbe a dire quale speranza lei vede per Verona e per l'Italia? Credo che per Verona, ma questo vale anche per l’Italia, ci sia questo grande tesoro del “saper fare”, dell’impegno concreto e quotidiano, di cui spesso, purtroppo, ci dimentichiamo. Come Sistema Paese siamo svantaggiati oltre che per la presenza di diseconomie strutturali anche per congiunture economiche non favorevoli che rendono più pesante il lavoro delle imprese. Nonostante tutto la manifattura Made in Italy continua a riscuotere successo in tutto il mondo grazie proprio all’operosità di cui parlavo.■


DAGLI USA ROBERTO PADOVANI

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5G REVOLUTION Sta per arrivare in Italia la tecnologia di quinta generazione legata alla telefonia mobile cellulare. Sono iniziate anche nel nostro Paese le prime sperimentazioni, ma per il mercato bisognerà attendere almeno il 2020. Ma cos’è il 5G? Ne abbiamo parlato con Roberto Padovani, 65 anni, ingegnere veronese trapiantato negli USA a metà anni Ottanta, pioniere dei sistemi di comunicazione digitali e già direttore tecnico e vicepresidente esecutivo del colosso americano Qualcomm.

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I PARLA, SEMPRE PIÙ SPESSO, di 5G. Prima in Europa, la Svizzera ha “acceso” le prime reti commerciali a metà aprile. La nuova generazione di reti mobili permetterà, nel giro di qualche anno, un salto in avanti nel campo delle telecomunicazioni. Per capire meglio di cosa si tratta abbiamo contattato Roberto Padovani, ingegnere veronese, originario di Borgo Venezia, che da oltre 30 anni vive e lavora negli Stati Uniti. Padovani ha depositato decine di brevetti e nel 2016 è stato premiato con la prestigiosa medaglia “Alexander Graham Bell” per il suo contributo allo sviluppo delle telecomunicazioni. Dopo essere entrato in Qualcomm nel 1986, dal 2002 al 2011 ne è stato responsabile tecnico e dal 2011 al 2017 vice presidente esecutivo. Se in tasca abbiamo uno smartphone che si connette al resto del mondo, è grazie al colosso americano e al contributo fondamentale dell’ingegnere scaligero. Ingegner Padovani, cos'è il 5G? Cosa cambia rispetto ai precedenti sistemi? Il 5G è la quinta generazione di reti mobili. La prima generazione, 1G, rese possibile l’introduzione della telefonia mobile con servizi di voce analogici, il 2G i servizi di voce digitali, il 3G i servizi dati. Infine il 4G ha lanciato l’esplosione dell’internet mobile incrementando la velocità di trasmissione dei dati. Con il 5G aumenterà ancora di più la velocità massima, con un obiettivo di 5 Gigabit al secondo. Fondamentale sarà l’aumento di capacità delle reti, grazie all’introduzione di nuove frequen-

ze con bande larghe, rispetto ai sistemi attuali, che in genere sono sotto ai 3 GHz. L'Europa sembra essere un passo indietro rispetto all'Asia e al Nord America nello sviluppo del 5G. È così? Dal punto di vista dell’introduzione di reti commerciali 5G, il gap è trascurabile. L’impressione del ritardo è data dal diverso tipo di frequenze. Per esempio in Nord America saranno superiori ai 24 GHz, mentre in Europa verranno utilizzate inizialmente frequenze sotto i 6 GHz. In questo senso ci sarà un ritardo, ma in entrambi i casi le nuove bande saranno molto larghe, quindi la capacità delle reti aumenterà notevolmente rispetto a oggi. In termini di sviluppo, invece, chi dominerà il mercato? Il panorama sembra essere molto simile a quello oggi esistente, con Asia e Usa in prima fila: Apple e Samsung sono leader nei prodotti per consumatori, Qualcomm nello sviluppo dei chip 5G, Huawei ed Ericsson per le infrastrutture. Le cose possono cambiare, ma credo sia improbabile, visti gli investimenti necessari per essere competitivi in questo campo. Quale sarà l'impatto del 5G nelle nostre vite? Questa è una domanda difficile. È possibile che flessibilità, capacità e velocità delle nuove reti permetteranno l’introduzione di applicazioni e innovazioni non ancora inventate. Le caratteristiche del 5G hanno il potenziale di permettere lo sviluppo di sistemi di control-

DI ALESSANDRO BONFANTE


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lo remoto, per esempio di veicoli autonomi, infrastrutture critiche e procedure mediche. Studi preliminari stimano un impatto economico di 12 trilioni di dollari entro il 2035. In riferimento alle nuove frequenze, esistono rischi per la salute? Questo è un argomento per il quale non sono sufficientemente aggiornato. Le agenzie nel mondo incaricate di regolamentare le emissioni elettromagnetiche stanno lavorando intensamente per definire le nuove regole di emissione, in particolare per l’uso delle alte frequenze. Nel corso della sua carriera ha partecipato direttamente alla rivoluzione tecnologica degli ultimi anni. Quali sono state le maggiori soddisfazioni? Senza dubbio aver contribuito dall’inizio alla crescita di Qualcomm, che in tre decenni è diventata la numero uno nel campo dei semiconduttori per applicazioni mobili, passando da una dozzina di ingegneri a 30mila dipendenti. Contribuire allo sviluppo delle tecnologie 2G, 3G e 4G è stata una grande soddisfazione. Qual è la chiave per immaginare i cambiamenti futuri? Non credo ci sia una formula magica. È necessario essere pronti a risolvere i problemi. Questo richiede preparazione, esperienza, conti-

nuo aggiornamento e capacità di innovare. In tecnologia i cambiamenti, più che immaginati, sono stati creati, passo per passo. Quali sono le differenze fra l'ambiente italiano e quello americano? Gli Stati Uniti hanno attratto e continuano ad attrarre eccezionale talento da tutto il mondo. Abbiamo le migliori università, che preparano i talenti del futuro, spirito imprenditoriale e capacità di investimenti che non hanno paragoni. Non si può dire che in Italia tutto questo sia assente, ma la differenza di grandezza è sostanziale. Le manca Verona? Torno sempre volentieri, almeno due o tre volte all’anno. Sì, Verona mi manca. ■

Dopo la laurea all’Università di Padova, Roberto Padovani ha avuto accesso a un dottorato della University of Amherst, nel Massachusetts. Per non dimenticare i contributi economici che lo hanno aiutato a proseguire gli studi negli Usa, insieme alla moglie Colleen nel 2017 ha istituito una borsa di studio da 1 milione di dollari per il dipartimento di Ingegneria elettronica e informatica della University of California di San Diego. In passato Padovani aveva già contribuito ad altre due borse di studio intitolate a Jack Wolf, uno dei suoi mentori.

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CONVERSAZIONE BREVE CON L’IMAM DI VERONA

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DOBBIAMO (RI)PARTIRE DALL’ETICA Abbiamo incontrato l’Imam Mohamed Abdeslem Guerfi, portavoce del Consiglio islamico di Verona, per un’intervista con cui abbiamo cercato di capire come è cresciuta l’integrazione (o interazione?) islamica nella città dell’amore.

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el 2005 i musulmani a Verona erano oltre 20 mila, oggi la comunità si sarà ingrandita suppongo. Ci sono differenze tra i fedeli marocchini e di altre nazionalità all’interno della comunità veronese? Ci sono mai stati contrasti tra comunità islamica e residenti, istituzioni? Oggi siamo 35 mila musulmani tra Verona e provincia, con 25 nazionalità rappresentate dal Consiglio islamico di Verona. L’interazione quindi tra le diverse comunità è molto sentita. Sul rapporto con gli autoctoni possiamo dire che non c’è mai stato attrito, da anni collaboriamo con associazioni di volontariato, con il Comune di Verona, con la Prefettura. Siamo membri del Consiglio territoriale per l’immigrazione che ogni sei mesi si incontra con il Prefetto per parlare di progetti di integrazione. In una intervista del 2005 disse: «Abbiamo sempre lavorato per la conoscenza e l’integrazione». Alla manifestazione PassaPorti dello scorso marzo lo ha ribadito «non integrazione ma convivenza basata sulla conoscenza». Può spiegare cosa intende per conoscenza, convivenza e integrazione? Alla parola integrazione dobbiamo togliere la lettera G (ride, ndr). La conoscenza è lo strumento che ci dà il passo in più per interagire con la città e con gli abitanti mantenendo la nostra identità. Attraverso la conoscenza e il rispetto delle identità di tutti si può creare una società in cui c’è spazio per ciascuno. Quando si parla di sharia, che cosa si intende esattamente? Ho cercato di trovare indicazioni in rete, ma sembra che il termine abbia moltissime accezioni. (ride, ndr) Potremmo parlare per mesi. Sharia vuol dire legge. La nostra “sharia” è la Costituzione italiana, noi non ci poniamo al di fuori della legge italiana, perché siamo cittadini italiani di fede islamica.

Ramadan, di cosa si tratta? Ramadan è semplicemente il nome di un mese dell’anno, che cambia perché si basa sul calendario lunare che cade in anticipo di 10 giorni rispetto a quello solare. Per il 2019 il mese del Ramadan inizia in maggio e finisce in giugno. Durante il giorno i fedeli osservano un comportamento di devozione, con la preghiera e il digiuno. Ma alla sera si torna alla quotidianità. Il tema del numero 100 della nostra rivista è la speranza. Cosa rappresenta per lei? Che cosa spera? La fede è un fatto privato, ma è indispensabile tradurla nel concreto di ogni giorno, questo è davvero essere vicino alle creature di Dio. In tutto il Corano, dove si cita la fede subito dopo si cita anche il comportamento, perché attraverso di esso la fede si traduce nella speranza. Tutti parliamo di pace, ma non facciamo nulla contro la guerra. Parliamo di bene comune ma siamo egoisti. Parliamo di fame nel mondo, ma non facciamo nulla contro le diseguaglianze. Questa ipocrisia, questa incoerenza tra dire e fare, deve portare ad un risveglio della speranza. Io vedo la speranza ogni giorno quando vedo tradurre nella pratica quello che ciascuno di noi ha dentro. Ha detto che pregare è agire. Ma anche i terroristi dicono di agire nel nome di Allah. Se il comportamento è il modo di pregare, anche un terrorista potrebbe dire di essere nel nome di Dio. Dobbiamo partire dall’etica. Uccidere è sempre un male anche se lo faccio nel nome di Dio. Io giudico il singolo, non la religione o la comunità. Potrei dire “Tutti gli italiani sono mafiosi”, ma è sbagliato cercare di mostrare come normali cose che non lo sono. Se stai commettendo un omicidio, non puoi dire che sia Dio a comandarti di farlo. Si può donare la vita in nome di Dio, ma la fede non può e non deve essere strumentalizzata.■

DI MASSIMILIANO VENTURINI


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MICHELE ROMANO SI SVELA

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IL GENTILUOMO DELLA CROCE VERDE

Descrivere Michele Romano come un “uomo d’altri tempi” potrebbe forse stonare con la sua grande capacità di adeguarsi a tecnologia e cambiamenti, ma tale definizione, per i suoi modi gentili e attenti, gli calza a pennello.

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ROFESSIONISTA ILLUSTRE nel settore sanitario, l’avvocato Michele Romano vanta un curriculum di tutto rispetto con posizioni ai vertici; è stato direttore generale dell’Azienda sanitaria di Verona, nonché colui che permise la creazione di uno tra gli ospeda-

li, il “Polo Confortini” ad oggi tra i più noti in Italia; uomo di punta nei palazzi veneziani dove venne chiamato nel 2011 dal Governatore Luca Zaia per mettere mano nell’operazione, definita da alcuni titanica, di sistemare i conti della Sanità Veneta a fianco dell’amico sottosegretario Luca Coletto, di cui diviene consulente prima in assessorato in Regione Veneto e oggi presso il Ministero della Sanità. Ma non è tutto, l’avvocato gentiluomo, nel tempo libero ama dedicarsi al mondo del volontariato: già fondatore dell'associazione "Fondazione, Ricerca Fibrosi Cistica" a fianco di Matteo Marzotto, vice presidente di Fevoss e attivo in tante altre realtà cittadine. Da poco è poi stato scelto come papabile candidato per la Croce Verde di Verona da un folto e storico gruppo di volontari. Eletto ad inizio marzo, per acclamazione e all’unanimità nuovo Presidente della realtà con un nuovo consiglio di esperti al suo fianco: Daniela Malesani, Martino Corradi, Giovanni Motton e Patrizia Albertini. Un curriculum di grandi esperienze avvocato Romano, ma avrebbe mai pensato di aggiungere a queste la presidenza della Croce Verde? Mai, è un settore di attività a cui non avevo mai pensato… anche se, devo ammettere che con Croce Verde ho sempre avuto un rapporto di collaborazione fin dagli anni '70. Al tempo ero direttore dell’Ospedale di Soave e con l’allora Presidente della Croce, avvocato Angelo Sartori avevo contribuito alla realizzazione di un col-

DI GIORGIA CASTAGNA


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legamento più diretto ed efficiente tra ospedale e ambulanze per evitare il sovrapporsi delle ambulanze negli stessi punti.

strazione che portasse avanti la loro storia. Ci sono infatti temi particolarmente delicati come quello relativo all’organizzazione e la sfida sta proprio qui.

Che situazione ha trovato al suo arrivo in Croce Verde? Siamo in una fase di cambiamento in cui c’è la necessità di una revisione sia degli aspetti economici, riducendo in particolare i costi delle manutenzioni e rivedendo le attuale ambulanze troppo vecchie, sia di gestione per consentirci di affrontare un quasi certo cambiamento organizzativo nelle modalità di attuazione delle domande di emergenza. Per quanto riguarda l’aspetto umano ho trovato nel mondo del volontariato una dimensione straordinaria che mette a servizio della persona in difficoltà disponibilità e umanità con altrettanta dedizione. Questa Croce è nata nel 1909 ed è una storia di valori e vita lunga oltre 110 anni. Loro erano alla ricerca di un’ammini-

Una speranza per Verona? Per la Croce Verde è mantenere vivi i valori di cui è portatrice per questi 110 anni ma, soprattutto, di coniugare lo spirito del volontariato con qualità e competenza nell'erogazione dei servizi perché questo possa essere un modello a cui la città riesca a guardare superando così quell’ approccio di indifferenza che sta caratterizzando la nostra società in questo momento storico. Siamo sempre più distaccati perché disamorati. Siamo convinti, infatti, che sia quasi impossibile porre rimedio alla perdita di valori che hanno caratterizzato la storia di questa città mentre, invece, realtà come la Croce Verde e altre, che cercano di affrontare i bisogni delle persone in difficoltà, rappresentano esempi concreti di come si possa organizzare la nostra società attorno a valori quali la solidarietà e il rispetto delle persone dando però a questi impegno, qualità e professionalità.■

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L'ANIMA DEGLI ANGELI DEL BELLO

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L A B E L L E ZZ A SEM P R E I N P E R ICO LO S EMP RE DA SA L VAR E Abbiamo scambiato due parole con Stefano Dindo che dal 2016, assieme ad un gruppo sempre crescente di volontari, manda avanti la sua battaglia di devozione per la città, pulendone gli angoli minacciati dall’incuria, deturpati dalla maleducazione. Stefano, se lo ricorda il primo intervento? Il primo intervento risale all'estate del 2016, dopo la sottoscrizione della convenzione con Comune, Amia e Agsm. Abbiamo rimosso una scritta gigante su un muro del IV secolo, sulla Chiesa di Santo Stefano, vicino a Ponte Pietra. Ricordo un aneddoto di quel momento. Ci siamo presentati al parroco, Don Corrado, e gli abbiamo detto: «Buongiorno, siamo gli Angeli del Bello, e vorremmo rimuovere gratuitamente la scritta». Credo che all'inizio abbia pensato che lo prendessimo in giro, in realtà poi quell'area è diventata il nostro punto di riferimento e ogni domenica mattina passiamo con un gruppetto che da lì presidia il Ponte Pietra e la scalinata che porta a Castel San Pietro.

la volontà di partecipare in modo attivo alla vita della collettività.

Perché lo fate? Siamo convinti che la partecipazione possa creare coesione sociale. Vogliamo contribuire alla diffusione del senso civico dei cittadini, il che significa, essenzialmente, rispetto delle regole e

Avete avviato diverse collaborazioni.. La volontà di creare partecipazione e coesione evidenzia che nel DNA dell'associazione c'è il desiderio di collaborare. Siamo il contrario della gelosia. Abbiamo creato un legame con il Centro Tu-

Di cosa vi siete resi conto in questi due anni di attività? Oggi il nostro impegno gode di una certa notorietà. Quando siamo sulle strade in molti si fermano ed esprimono apprezzamenti per quello che facciamo. Ecco un'altra cosa importante, noi non facciamo attività dilettantistica. Se c'è bisogno dell'intervento di un professionista, interviene un restauratore, e abbiamo l'ok della Soprintendenza. Questo ce lo riconoscono. Ma ognuno può fare qualcosa per la propria città. Se ci prendiamo cura del posto in cui viviamo, si crea maggior fiducia e si vive meglio.

DI MARCO MENINI


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GUARDA IL VIDEO

Alcuni volontari

ristico Giovanile, svolgiamo attività nelle scuole dove coinvolgiamo nei lavori studenti e docenti; abbiamo poi una collaborazione continuativa con la cooperativa che si occupa dei richiedenti asilo di Costagrande. Una media di quattro o cinque ragazzi per due volte a settimana ci aiutano nelle attività di tutti i giorni. Ora qualcuno di loro ha trovato un lavoro e li vediamo un po' meno; per esempio un ragazzo si è inserito come apprendista in un'officina che sistema biciclette.

Giarina, vasconi e pergola di Piazza Isolo, la manutenzione delle targhe stradali di Borgo Trento, poi il proseguimento delle attività continuative quindi la rimozione dei lucchetti, il mantenimento del giardino di fronte a San Nicolò e del parco delle Colombare, la pulizia della fontana di Piazza Erbe, la verniciatura dei portoni della sede Fevoss di via Marconi, il mantenimento di Ponte Pietra, la pulizia delle Regaste San Zeno e di Ponte Castelvecchio.

Avete degli interventi in programma per quest'anno? Ho un elenco dei luoghi in cui saremo attivi nei prossimi mesi. Abbiamo gli argini di San Giorgio, dove abbiamo il permesso del Genio Civile per togliere tutte le scritte, poi le panchine della

In che cosa spera Stefano? In una diffusione del modello, perché la partecipazione attiva dei cittadini riesca a toccare anche gli altri quartieri. Perchè non c'è solo il centro storico. Per esempio Avesa, io amo definirla un gioiellino nel gioiello.■

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MEDICI SENZA FRONTIERE, I VOLTI VERONESI

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LA BONTÀ NON SI METTE A COSTRUIRE CONFINI Giovanni Di Cera ed Elda Baggio, due voci potenti che con il loro impegno quotidiano, uno alla guida della sezione veronese di Medici Senza Frontiere, l’altra medico chirurgo nelle zone più critiche del mondo, promuovono l’etica dell’agire per la cura degli altri.

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Giovanni Di Cera

RA IL 1971 QUANDO A PARIGI veniva fondata l’associazione Medici Senza Frontiere, diventata da allora riferimento primario negli interventi umanitari nei Paesi colpiti dalle calamità naturali o dalle guerre. Nel 1993 fu Roma ad aprire le porte a questa importante realtà, seguita poi da altre quindici città italiane. Una di queste è Verona, dal 2003 sede di coordinamento di Msf. A dirigerla è stato fin da subito Giovanni Di Cera. Poi nel 2011, un po’ per caso, sempre che il caso sia veramente casuale, Elda Baggio, medico chirurgo, conosce l’associazione e inizia una collaborazione, che ha portato a istituire il primo Master di secondo livello in Chirurgia tropicale e delle emergenze umanitarie presso l’Università di Verona in Europa. Tutto ciò contribuendo a fare della città un punto di riferimento fondamentale nell’ambito della cooperazione.

Giovanni Di Cera, cosa l’ha avvicinata a Medici Senza Frontiere? Nel 2003 lessi un articolo su La Repubblica dove si parlava della morte del medico Carlo Urbani, impegnato da anni nei paesi in via di sviluppo. E ne fui colpito. Scrissi subito a Roma, alla sede centrale di Msf per interessarmi di questa realtà, e da allora decisi di aprire una sede anche nella mia città. Una città che ha una lunga tradizione in ambito umanitario e una proiezione verso la cooperazione.

DI GIOVANNA TONDINI

Cosa le piace di Msf? I principi che ne stanno alla base. Prima di tutto l’imparzialità: non fare differenza per nessuno, quindi avere come unico riferimento l’essere umano. La neutralità: seguire unicamente i corridoi umanitari, senza prendere posizioni di alcun tipo. L’indipendenza: da mandati, da governi, seguendo solo l’etica medica. È per questo motivo che l’associazione è finanziata solamente dai privati, e non dai governi.


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Quindi qual è la mission di Msf? Msf mette al centro di tutto l’essere umano, con l’obiettivo primario di salvare vite umane, operando sul campo. A questo segue un altro scopo, come da statuto: testimoniare. Affinché la gente impari ad alzare lo sguardo e a riconoscere quello che accade nel mondo. Veniamo ora alla nostra realtà locale: qual è il ruolo di Verona? Insieme ad altre città italiane, Verona non compie attività sanitaria, ma solo di informazione e di sensibilizzazione su tematiche umanitarie e su quanto Msf realizza nell’ambito dei suoi progetti. Ciò significa portare gli operatori umanitari, una ventina nella zona veronese, a intervenire con le loro testimonianze durante conferenze, spettacoli e mostre, come la più recente esposta in Biblioteca Frinzi dell’Università dal titolo L’ospedale di tutte le guerre. Tutto ciò con l’obiettivo di avere cittadini più consapevoli, a partire dai giovani delle scuole, che nel prossimo futuro possano diventare operatori attivi nel mondo. Da anni mandate avanti iniziative di sensibilizzazione nelle scuole... Da alcuni anni abbiamo strutturato Scuole senza Frontiere, che agisce negli istituti secondari di primo e secondo grado con progetti di sensibilizzazione. In linea generale gli insegnanti sono messi nelle condizioni di seguire un percorso didattico su tematiche umanitarie, con una serie di materiali messi a disposizione dall’organizzazione stessa. Poi su richiesta possono intervenire direttamente anche gli operatori umanitari Cosa può fare un cittadino che volesse conoscere e seguire più da vicino Msf? Anzitutto legarsi all’associazione per informarsi. Che, come sostiene lo slogan di Nigrizia, è la prima forma di solidarietà. È possibile poi partecipare alle riunioni, una volta al mese. Mentre, per chi ha intenzione di impegnarsi attivamente, può diventare operatore umanitario, e farne una scelta di vita.

Elda Baggio

Proprio come Elda Baggio, che da anni opera sul campo come medico, occupando tutte le sue ferie. Dalla Somalia alla Palestina, ad Haiti fino allo Yemen. Tutte zone ad alto rischio. Elda Baggio, non è da tutti andare in missione. Cosa l’ha spinta e la spinge tuttora a compiere questi viaggi umanitari in zone belligeranti o colpite da calamità? Credo prima di tutto l’impressione di sentirsi utili, con l’obiettivo di fare qualcosa che permetta all’altro di vivere meglio. Ha mai avuto paura? Non ho paura: perché una volta che ho deciso una cosa, non ci penso più. Secondo lei l’apporto di Msf quanto vale? La situazione dei contesti in cui agiamo è molto disperante, tanto che diventiamo subito punto di riferimento della popolazione locale, che può usufruire delle cure gratuitamente. Noi operiamo negli ospedali, nell’immediato. Ma a contorno ci sono progetti di altro tipo, che agiscono nel tempo nel tessuto sociale locale.■

MEDICI SENZA FRONTIERE, DOVE E COME: La sede di Verona si trova in vicolo S. Marco ed è dedicata a Carlo Urbani. È aperta tre volte alla settimana: martedì dalle 10 alle 12, mercoledì e giovedì dalle 17:30 alle 19:30 www.medicisenzafrontiere.it Facebook.com/msf.verona

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ANTONELLA E IL PROGETTO DELLA RONDA DELLA CARITÀ

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L A PA R R UCC H I ER A D EI S E NZ AT E T TO

(E IL SUO AIUTANTE)

«Quando si hanno solo due centesimi, acquista una pagnotta di pane con uno, e un giglio con l’altro», recita il proverbio. Più di quanto si creda, l’aspetto esteriore, per le persone in difficoltà e affrante dalla vita, è fondamentale.

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A RONDA DELLA CARITÀ, amici di Bernardo Onlus, aiuta da oltre venti anni i senzatetto della città di Verona, garantendo loro i “bisogni primari” come cibo, vestiti, coperte. Dallo scorso ottobre esiste un nuovo servizio, “Il barbiere di strada”, nato dall’idea di una volontaria, Antonella Mezzani con la quale, abbiamo chiacchierato un po’. Antonella, cosa fa nella vita? Sono parrucchiera da tanto tempo e ho un salone a Peschiera. Da sette anni sono una volontaria della Ronda della Carità, ma solo dallo scorso anno ho avuto questa idea di aiutare gli altri mettendo a servizio la mia professionalità. Ci spieghi meglio… I ragazzi di adesso hanno sempre tagli perfetti, si specchiano nelle vetrine, ci tengono ad essere curati e allora mi sono chiesta, cosa posso fare per far sentire a posto anche i giovani meno fortunati di loro? Tanti non hanno la possibilità economica per tagliarsi i capelli e mettersi in ordine. Sono convinta che la bellezza, anche se non è ritenuta un bisogno primario, possa incidere moltissimo sulla persona.

Quando è attivo il servizio? Ogni prima e terza domenica del mese, nel pomeriggio, presso il Rifugio 2 della Ronda della Carità. Il Rifugio 2? Si trova dietro al Cimitero Monumentale. Qui si mangia tutte le sere, 365 giorni all’anno. La struttura può ospitare circa 80 persone. Ci sono anche un tavolo da ping pong e un biliardino. Quando arrivano i senzatetto si cerca di creare un momento di aggregazione. Per loro è molto importante ritrovarsi qui la domenica pomeriggio. Cosa fate insieme a loro? Noi cerchiamo di integrarli, di coinvolgerli, di farli comunicare fra loro: con la lingua spesso non è facile, i più parlano francese. Sono quasi tutti immigrati del Nord Africa (il 70%). Io personalmente viaggio molto appena posso e conosco bene l’Africa. Quando racconto loro dove sono stata e descrivo le mie esperienze nella loro terra, si aprono con me e iniziamo a parlare. Tuttavia è davvero difficile costruire legami di fiducia, ci vuole tempo, pazienza: devono capire che possono fidarsi di me. Qual è l’aiuto che vuole dare? Con il taglio di capelli non volevo solo dare un aiuto concreto ma anche iniziare a far intravedere ad alcuni di loro la possibilità di imparare un mestiere, con la speranza che si possa innescare una miccia verso l’emancipazione e l’indipendenza. Ha un esempio da raccontarci? Direi il caso di Oewi. È un ragazzo nigeriano che non è bravo in questo mestiere, è bravissimo (sorride Antonella, ndr). Oewi viene da un CAS (Centro di Accoglienza Straordinaria) di Sanguinetto e aiuta in maniera eccezionale me ed Anna, l’altra volontaria, anche lei parrucchiera. I ragazzi si fidano di lui. Sarà perché, soprattutto in Nord Africa, il barbiere è un uomo e quindi, già vederlo li fa sentire più a casa. Ciao Oewi, come si sente qui? (Ci parla in inglese, ndr) Sono molto felice. Sono un richiedente asilo, e vorrei solo avere tutti i do-

Antonella con Oewi

DI SARA AVESANI


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cumenti necessari per poter lavorare. Intanto mi fa piacere impegnarmi e aiutare Antonella, anche perché nel mio paese ero un barbiere. Torniamo a lei Antonella, qual è la cosa di cui è più soddisfatta? Sicuramente quando al mattino alcuni di questi ragazzi mi scrivono un messaggio di buongiorno, o quando mi sorridono. È lì che il mio aiuto di volontaria si concretizza. La fiducia e l’autostima sono valori fondamentali per le persone in condizioni di estrema povertà. Non sono in Ronda solo per dare un piatto di pasta ma per aiutarli a non abbandonarsi ad un mondo “ingiusto”. Come si può aiutare? La Ronda sta proponendo un’altra iniziativa molto importante: “Adotta un senzatetto”. Un contributo, per chi vuole, ci permetterà di assicurare anche nei periodi più critici un pasto caldo e qualche cosa da vestire. (www.rondadellacaritaverona.org/adotta/) Ha una speranza per Verona? Vorrei che non ci fossero più senzatetto. Vorrei che gli invisibili non fossero più invisibili e che le leggi migliorassero in tal senso. Tuttavia, devo dire che La Ronda della Carità sta crescendo e ciò significa che sono tante le persone che vogliono dare una mano.■

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VESTIFICIO, IL NEGOZIO VINTAGE CON RAGAZZI SPECIALI

DI VESTITI USATI E DI POSSIBILITÀ COSÌ NUOVE Inaugurato a inizio aprile, è negli spazi dell’Opificio dei Sensi che ha trovato casa Vestificio, il nuovo progetto che rimette in circolo abiti usati e dà nuove possibilità a ragazze e ragazzi con sindrome di Down.

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N POCHE PAROLE, QUESTO VESTIFICIO si potrebbe definire un circolo virtuoso: perché dà nuova vita a quegli abiti che non indossiamo più, ma soprattutto riconosce nuove possibilità a persone affette da sindrome di Down. A pochi giorni dall’inaugurazione di sabato 6 aprile abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Claudio Manzati, responsabile della cooperativa Opificio dei Sensi di San Martino Buon Albergo, in via Brolo Musella, e tra i promotori di questo ambizioso progetto. Claudio, partiamo dalle presentazioni: che cos’è Vestificio? Vestificio non è altro che un mercatino di abiti usati, differente però da tutti gli altri perché ha come protagonisti ragazzi con sindrome di Down. Questa nuova iniziativa si inserisce nell’ambito di Palestra Lavoro, un progetto che da tempo portiamo avanti assieme all’associazione AGBD di Quinto, per permettere a ragazze e ragazzi con sindrome di Down di sperimentare le proprie

competenze attraverso il fare. Tra i vari incarichi, c’è la cura del verde con varie mansioni di giardinaggio, la gestione della nostra biblioteca, l’aiuto in cucina e in sala. Ed ora, c’è anche Vestificio. Come tutte le buone idee, anche questa è nata da una sinergia: chi sono i protagonisti di Vestificio? Prima di tutto, i ragazzi di AGBD, l’Associazione Sindrome di Down Onlus: è per loro che è nato questo nuovo progetto. Al momento, Arianna, Davide e Francesco hanno aderito con entusiasmo a questa nuova iniziativa, che ci auguriamo possa coinvolgere ancora più ragazzi, grazie al prezioso sostegno delle loro famiglie e all’importante lavoro degli educatori. E poi Arianna Cosentino e Sofia Pigozzo, due giovani ragazze con la passione per la moda sostenibile. Grazie ai loro swap party (eventi di scambio d’abiti, ndr), poi cresciuti fino a diventare un marchio riconosciuto come Giroabito, ci aiutano nella gestione del mercatino.

DI GIULIA ZAMPIERI


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Di che cosa si occupano Arianna, Davide e Francesco? Di tutto quello che ruota attorno alla gestione di un vero e proprio negozio di abbigliamento: si inizia con la raccolta e la selezione dei capi che riceviamo, al momento prevalentemente capi donna e bambino, per passare poi alla catalogazione per stagione ed età, all’etichettatura, all’allestimento degli spazi, fino al rapporto con il pubblico e alla vendita nei giorni di apertura. Con i ricavi delle vendite puntiamo poi ad acquistare altri strumenti utili, come ferri da stiro, macchine da cucire, e magari un’asciugatrice, per ampliare ancora l’ambito di azione. Tutto il resto, andrà ai ragazzi. Al momento il mercatino rimarrà aperto solo in determinati giorni e in occasioni di eventi speciali, ma visto l’interesse suscitato ci auguriamo davvero che possa diventare un punto vendita fisso, coinvolgendo ancora più persone. E infine, qual è la speranza che ha generato tutto questo? E magari, sottovoce, anche la speranza per la nostra città? Prima di tutto, Vestificio nasce dalla volontà di coinvolgere ancora di più i ragazzi nelle attività e nella vita della cooperativa, riconoscendo loro un ruolo, non marginale, ma centrale. Visto il nostro campo d’azione, c’è poi anche l’aspetto del riuso: una filosofia oggi necessaria, che diventa scambio, e quindi relazione, confronto, dialogo tra persone. Ma desideriamo soprattutto che i nostri ragazzi trovino un luogo di accoglienza. E non solo tra

Claudio e Arianna

queste mura, ma anche tra quelle, più ampie, della nostra città. Perché siamo tutti diversi, e proprio per questo tutti con pari diritti e dignità.■

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ENTI DEL TERZO SETTORE, ADEGUAMENTI E AGEVOLAZIONI Con la riforma del Terzo Settore, gli adeguamenti statutari delle ONLUS, Organizzazioni di Volontariato (ODV) e Asso ciazioni di Promozione Sociale (A.P.S.) iscritte negli appositi elenchi, sono esenti da imposte. Per gli altri enti, tali agevolazioni si avranno solo dopo l’iscrizione al Registro Unico Nazionale degli enti del terzo settore (RUN), la cui istituzione probabilmente slitterà al 2020. Questo significa che per tali ultimi enti le modificazioni scontano l’imposta fissa di registro (euro 200) e l’imposta di bollo. Per le imprese sociali la scadenza dell’adeguamento era prevista per lo scorso 20 gennaio, mentre per le ONLUS, O.d.V. e A.P.S. il termine è stato prorogato al 3 agosto 2019. Gli enti sopracitati devono adeguarsi per potersi iscrivere al Registro Unico Nazionale e in mancanza non potranno continuare e mantenere le attuali qualifiche.

Le modifiche di “mero adeguamento” possono essere approvate con le maggioranze dell’assemblea ordinaria per facilitare gli enti con numerosi associati, i quali potrebbero avere difficoltà a raggiungere le maggioranze qualificate dell’assemblea straordinaria. In caso però di inosservanza del termine, cosa succede? Sembrerebbe possibile egualmente procedere agli adeguamenti anche in un secondo momento, ma con le maggioranze previste per l’assemblea straordinaria. La scadenza del termine non dovrebbe comportare la perdita automatica delle qualifiche in capo gli enti interessati e non dovrebbe impedire l’iscrizione al RUN. Specifiche sanzioni sono previste per le imprese sociali che non si adeguano, dal decreto legislativo 112/2017: in particolare è prevista la nomina di un commissario ad acta. Estendere tali sanzioni

agli altri enti sembra eccessivo anche perché è sempre possibile il “sollecito” di documentazione a sensi dell’articolo 54 decreto legislativo 117 /2017 e solo dopo il mancato adeguamento è prevista la cancellazione dell’ente dal RUN. Riflessi potrebbero esserci però sul piano delle agevolazioni fiscali e della tenuta del bilancio e della contabilità.

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TRA ECONOMIA SOLIDALE E VILLAGGI ECOLOGICI

TERRITORI CHE CAMBIANO, TERRITORI IN LIBERA TRANSIZIONE Un laboratorio interdisciplinare all’università di Verona indaga sulle nuove pratiche della cittadinanza (dagli orti collettivi fino ai villaggi ecologici). Abbiamo chiacchierato con la professoressa Antonia De Vita, tra le fondatrici del laboratorio, su questi temi, analizzando lo stato di salute dell’Italia (e della Verona) che cambia.

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RANSIZIONE, NUOVI STILI DI VITA, CO-HOUSING, gruppi di acquisto, reti di economia solidale, orti collettivi, villaggi ecologici, sostenibilità, decrescita; alzi la mano chi non ne ha sentito parlare almeno una volta, magari senza capirci molto. Che si guardi con interesse a questi fenomeni, o che li si bolli come mode stravaganti, è indubbia la loro esistenza e l’impatto che stanno avendo su molti settori della vita locale e globale. È attivo a Verona, presso l’università, un laboratorio interdisciplinare di ricerca sulle nuove pratiche di cittadinanza dal nome emblematico – TILT, che sta per Territori In Libera Transizione – che si occupa di analizzare questi fenomeni in tutte le loro sfaccettature, partendo dal lato pratico della analisi – e partecipazione – ai singoli movimenti, fino allo sviluppo di teorie e modelli. Un nome non casuale, perché è proprio un tilt, un cortocircuito nella quotidianità dei modelli finora imposti a livello globale, economico, ambientale, di pensiero, che questi movimenti vogliono provocare in chi li avvicina, nell’ottica di un cambiamento radicale sempre più urgente. Cos’è TILT? TILT è il frutto di un lavoro interdisciplinare e interuniversitario portato avanti da colleghi che, a vario titolo, si occupano di ana-

lizzare fenomeni quali la riorganizzazione degli stili di vita, le buone pratiche di cittadinanza, i nuovi modelli abitativi, lavorativi, relazionali tra i generi e le generazioni, in un momento di rottura legato alla crisi di un modello economico centrato sulla crescita economica e di ricerca di nuove teorie e nuove pratiche. Noi stessi siamo parte attiva di questi movimenti, perché queste sono sì tematiche interessanti ai fini della ricerca, ma sono soprattutto di grande attualità per il nostro vivere; portiamo avanti, quindi, una “ricerca impegnata”, che sente la responsabilità di una propria funzione pubblica che non può rimanere chiusa in un contesto ristretto di studiosi, ma che deve essere rimessa in circolo. Per questo, per diversi anni, abbiamo organizzato, presso l’università, un ciclo di incontri dal titolo Prove di futuro, un’occasione per incontrare gruppi, presentare libri, creare momenti di discussione con gli studenti. Perché se è vero che c’è una sofferenza diffusa, soprattutto tra le giovani generazioni, legata ai molti problemi che si trovano ad affrontare, soprattutto in ambito lavorativo e di qualità della vita, è anche vero che, in giro per il mondo, esistono già tanti movimenti partiti dal basso che cercano nuovi modi per vivere, per lavorare, che stanno già facendo delle “prove di futuro”.

DI FRANCESCA MAULI


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La “Verona che cambia” in quale stato di salute si trova? Verona è molto vivace in questo senso e ha storicamente una sensibilità nei confronti di tematiche quali la riflessione sull’ambiente, l’agricoltura biologica, il femminismo, il pacifismo, il cooperativismo, sin dalle loro origini. Sono molti i gruppi locali attivi in questo senso, che godono di buona salute e collaborano attivamente tra di loro. Ci sono, nella nostra città, tantissimi punti-luce, che non sono isolati, ma creano costellazioni. Come vedete il futuro di questo mondo in cambiamento? Il tema del futuro è per noi fondamentale. In

questo momento stiamo subendo una lettura del futuro come minaccia, piuttosto che come promessa, ed è terribile che le vecchie generazioni lascino in eredità ai giovani questo immaginario. Ed è proprio sull’immaginario che stiamo lavorando, sottolineando che un futuro diverso, non solo è possibile, ma esiste già in queste “prove di futuro” in atto. Le persone stanno già vivendo diversamente, i giovani stanno già trovando nuovi modi di lavorare, abitare, nuovi stili di vita, di convivenza, di relazioni tra i generi, tra le generazioni, con la natura… Siamo circondati da esempi in questo senso, anche a Verona. Ed è nostro compito narrare queste realtà, facendo sì che il futuro torni a essere promessa.■

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IL FOCUS DI VERONA NETWORK

I relatori del convegno sul turismo

TURISMO DEL FUTURO?

DI QUALITÀ E DI ESPERIENZE CONDIVISE Si è tenuto lo scorso 11 aprile a Villa Arvedi di Grezzana l’appuntamento annuale di Verona Network sull’andamento e le prospettive del sistema turistico veronese. Durante la serata anche la consegna degli attestati ai 90 giovani che hanno partecipato ai progetti di Alternalab e al Master di Storytelling digitale per la valorizzazione del territorio. DI GIORGIA PRETI

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otenzialità turistiche di Verona e della Lessinia tra storia, paesaggi ed enogastronomia. È questo il titolo della sesta edizione degli Stati Generali del Turismo, promossa dai 61 soci istituzionali dell’Associazione Verona Network, che si è tenuta giovedì 11 aprile nella suggestiva sala conferenze di Villa Arvedi a Grezzana. Al tavolo dei relatori si sono alternati i principali rappresentanti del turismo scaligero, i quali hanno aperto un confronto sui punti di forza, ma anche sulle insidie che possono, repentinamente, mutare l’attuale scenario che in questo momento storico risulta essere favorevole per Verona e per il nostro Paese.

Dopo il saluto di Arturo Alberti, sindaco di Grezzana, nella prima sessione di lavoro ha preso parola Francesca Briani, assessore alla Cultura del Comune di Verona, che ha ricordato il ruolo fondamentale della DMO e dei suoi 31 comuni, a cui si aggiungono quattro soci privati. Nadia Maschi, sindaco di Cerro e rappresentante proprio della DMO Verona ha ricordato la nascita del progetto Destinazione Lessinia e di come sul territorio montano si stia lavorando da tempo per trovare delle sinergie tra istituzioni e privati. Alessandro Torluccio di Assoturismo Confesercenti Veneto, ha insistito sul concetto di rete e sui legami che devono necessariamente intercorrere tra città, Lago di Garda e montagna veronese per poter offrire un turismo di qualità e con una visibilità internazionale all’altezza delle eccellenze che questo territorio è in grado di offrire. Mons. Martino Signoretto, vicario alla Cultura della Diocesi di Verona, ha ricordato i numeri straordinari di Verona Minor Hierusalem e ha illustrato il nuovo progetto di una messa in quattro lingue, compreso il latino, per accogliere anche dal punto di vista religioso i turisti.


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34 I partecipanti al Master di storytelling digitale

Alessandra Albarelli, presidente Federcongressi e Federalberghi, ha insistito sulla condivisione di esperienze territoriali, per evitare che tante piccole realtà, seppure eccellenti, non riescano ad emergere e a farsi conoscere in un contesto turistico molto competitivo. Interventi tecnici e dettagliati che hanno trovato un minimo comune denominatore sull’idea di trasformare il turismo di oggi, con connotati molto quantitativi, in un turismo qualitativo, fondato sul miglioramento della cultura dell’ospitalità, offerta turistica ed accoglienza. Con 19.563.348 di arrivi (+2,2%) e 69.229.092 di presenze nel 2018, la Regione Veneto si conferma ancora una volta destinazione leader in Italia, preferita dai tedeschi, oltre 15 milioni di presenze, austriaci, 3,8 milioni e inglesi, 2,6 milioni. A Verona l’anno scorso si sono registrate 17.663.215 di presenze con un +2,1% rispetto all’anno precedente. «Dati assolutamente favorevoli, ma che non ci devono far vivere sugli allori, perché il vento potrebbe cambiare» hanno commentato i relatori. La seconda parte del convegno è stata dedicata alle testimonianze di successo di chi vive ogni giorno sul campo e si ingegna per promuovere le eccellenze. Tra queste, quella di Francesca Capobianco, vicepresidente di Assoguide Verona, di Stefano Salvoro di UNAPLI, l’associazione che raduna le proloco Veronesi, di Stefano Santambrogio, di Tourist Storytelling, e Alessandro Bottamedi che ha condiviso l’innovativa esperienza degli albergatori di Andalo, territorio da cui proviene. Nel corso dell’evento sono stati premiati dalle autorità i 75 ragazzi, di età compresa tra i 16 e i 18 anni, che nel periodo tra novembre e mar-

zo hanno partecipato al progetto Alternalab promosso da Verona FabLab in collaborazione con Fondazione Cariverona per la valorizzazione delle competenze territoriali. Fondamentale poi, nell’evoluzione del mercato turistico, anche la presenza di nuove figure professionali, moderne e digitali, in grado di raccontare e condividere sui media e sui social le innumerevoli bellezze e iniziative dei territori veronese. Anche per questo Verona Network ha organizzato un Master di Storytelling digitale al quale hanno partecipato 16 persone provenienti da tutta Italia. Anche a loro, al termine della serata, sono stati consegnati attestati di partecipazione.■ Alcuni dei partecipanti al progetto Aternalab


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37a STRAVERONA DOMENICA 19 MAGGIO 2019 Manifestazione ludico-motoria su percorsi di 6-10-20 km Piazza Bra - ore 9:00

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Passeggiata culturale

8a STRAVERONA Junior

Sport, arte e cultura, un pomeriggio in visita guidata alla scoperta delle suggestive chiese della “Verona Minor Hierusalem”

Sabato 18 maggio 2019 Piazzetta SS. Apostoli - ore 14:00

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TEDX VERONA, I SEGRETI DEI TALK

IL MESTIERE (DURO) DI FARE LO SPEAKER Buio in sala. C’è solo un faro che ti mette in luce davanti a centinaia di persone, pronte ad ascoltare la tua idea. E si aspettano un’idea «che meriti di essere diffusa».

Ph Barbara Rigon

DI ALESSANDRO BONFANTE

Désirée Zucchi

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ER I DODICI SPEAKER del TEDx Verona 2019, il talk del 5 maggio sul palco della Gran Guardia è solo l’ultima tappa di un percorso. Prima di arrivare lì si sono preparati insieme a Désirée Zucchi, co-organizzatrice di TEDx Verona dalla prima edizione – siamo alla quinta – e “Speaker’s curator and coach”. Si occupa di selezionare gli speaker che salgono sul palco, insieme al team del TEDx, e li accompagna nelle fasi di definizione dell’idea, costruzione del testo e preparazione a quello che è un vero e proprio monologo teatrale. «Spesso lo speaker è tanto immerso nel suo lavoro da non accorgersi del valore di divulgazione delle sue idee» racconta Désirée. «Il mio compito è scavare, insieme a loro, per trovare un focus significativo anche a livello universale». Lo speaker deve condensare in 10-15 minuti – il massimo per un TED talk è 18 – il lavoro, le esperienze, le idee di una vita. «È forse questa la sfida più grande durante la preparazione. Gli speaker devono abbandonare l’idea di dire tutto, e usare termini e

concetti comprensibili a tutti. Nel momento del talk, poi, subentra la difficoltà emotiva di parlare davanti a mille persone. Questa si supera con la preparazione, non solo a livello di contenuti, ma anche di forma». Con oltre 20 anni di esperienza nell’organizzazione di eventi e avendo sviluppato una professionalità nel campo dello storytelling e del public speaking, Désirée conosce la chiave per il successo: «Creare empatia con il pubblico. Puoi sapere tutto, ma se risulti antipatico non porti a casa nulla». I leitmotiv dei talk sono cambiamento, coraggio, ricerca di ciò che fa stare bene e innovazione, trasversali a tutte le discipline. «Cerco sempre di far emergere la storia personale dello speaker e come si intreccia con il proprio lavoro». È uno scambio profondo, reciproco, fra gli speaker e la loro coach. «Il lavoro umano e di ricerca è uno degli aspetti più belli, che porta a una trasformazione mia e loro. Considero i talk un dono per gli altri, quindi mi chiedo: “Cosa offro alle persone?”. Agli speaker pongo la stessa domanda».■

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LORO, IN BREVE

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BRUNO BERTELLI Veronese, lavora nella pubblicità. È Ceo di Publicis Italia e Global chief creative officer di Publicis Worldwide.

ZENO PISANI

ALBERTO MATTIELLO Esperto di marketing, tecnologie digitali e temi legati all’innovazione.

ÅSMUND ÅSDAL Agronomo norvegese, si occupa dello “Svalbard global seed vault”, il deposito che conserva il patrimonio genetico delle sementi.

SILVIA FERRARI

GIUSEPPE BUNGARO

Veronese, è il riferimento a Hollywood per la presenza dei grandi dello spettacolo e dello sport in produzioni europee di ogni genere.

Pluripremiata negli Usa dove insegna e fa ricerca. Fra i suoi progetti insegna ai robot a interpretare le situazioni che li circondano.

Giovane tarantino, non è ancora diplomato, ma è considerato tra i più promettenti scienziati d'Europa.

FEDERICA FRAGAPANE

NICOLA RIZZOLI

SETTIMO BENEDUSI

Information e visual designer freelance. I suoi progetti di visualizzazione di dati sono stati pubblicati sui giornali di tutto il mondo.

Ex arbitro di calcio, nel 2014 e nel 2015 è stato premiato come miglior fischietto del mondo.

Fotografo di moda, pubblicità e ritratti. Unico italiano a realizzare per 7 anni l’edizione internazionale di Sports Illustrated.

EVELINA TACCONELLI

ELIANTO

È professore universitario e dirige la clinica delle Malattie infettive all’Università di Verona.

Elianto Morra è un artista di strada di Milano, maestro dell’improvvisazione in musica.

FRANCESCA ROSSI Dopo una carriera sportiva e nei beni culturali, oggi è direttrice dei Musei civici di Verona, la sua città.


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DIALOGO SPERANZOSO CON PIF

«CHIEDETEMI SE SONO (IN)FELICE» Regista, conduttore in radio e tv, scrittore, attore protagonista. Ne ha percorsa di strada Pierfrancesco Diliberto, in arte Pif. L’ex intervistatore dal completo scuro del programma Le Iene si racconta con l’inconfondibile verve, tra rimpianti e speranze per il futuro (anche dell’Italia).

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E CAPITASSE PER DAVVERO di avere una manciata di minuti per chiudere le parentesi lasciate aperte nella vita? «Se fossi a Palermo, mangerei tutti i dolci che mi piacciono, per la paura di non ritrovarmeli nell’Aldilà. Poi saluterei le persone più care», risponde candidamente Pierfrancesco Diliberto. Ripiegato nell’armadio il completo scuro, l’ex de Le Iene Pif ha saputo ritagliarsi altri spazi tra radio, tv e grande schermo: come sceneggiatore e regista, essendo figlio d’arte; come autore che nel 2018 ha pubblicato per Feltrinelli il primo romanzo ...che Dio perdona a tutti di cui ha parlato all’anteprima di Sorsi d’autore, evento promosso da Fondazione Aida tra gli eventi di Vinitaly and the City. Come attore protagonista di Momenti

di trascurabile felicità: è nel film di Daniele Lucchetti che nei panni di Paolo, dopo essere stato vittima di un incidente stradale, gli viene concessa l’opportunità di ritornare dal Paradiso per rimediare alle mancanze commesse. E in un certo senso per soffermarsi sul valore del tempo. «Questa è una cosa che ho acquisito, solo che è più facile da dire che da fare. Il fatto di avere 46 anni e andare verso i 50 faccio fatica ad accettarlo. Già penso alla pensione… – scherza, ma nemmeno troppo –. Mi sono addentrato nella seconda parte della vita e mi fa paura, quindi cerco veramente di godermi ogni momento». Con i rimpianti, invece, che rapporto ha? È un rapporto molto intimo perché un rim-

DI MARTA BICEGO


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Francesco Piccolo, il sovrano delle felicità trascurabili Il film Momenti di trascurabile felicità è tratto dal libro omonimo di Francesco Piccolo. Qui un estratto del romanzo: «C’è anche una piccola felicità malinconica, alla quale mi sono rassegnato. Succede quando scopro un libro, un film, delle canzoni. Cerco di comunicare il mio entusiasmo, ma succede sempre che l’ho scoperto troppo tardi. Quell’autore era meglio prima. I libri precedenti, i film precedenti, i dischi precedenti, quelli sí».

pianto se ne va solamente quando ne arriva un altro più grande... Oggi si definisce un adulto felice? Essendo il lavoro, che va bene, in questo momento al centro della mia vita… Posso dire di essere parecchio felice. Nella nostra quotidianità si inseriscono tanti momenti di trascurabile felicità e infelicità: forse sono proprio quelli a formare buona parte della nostra esistenza. Perciò devono essere goduti a pieno, intensamente. A proposito di professione: che effetto fa passare da intervistatore a intervistato, da regista a protagonista? Ormai sono abituato. In realtà la promozione di un film ti porta in studi e salotti televisivi che magari non avresti frequentato. Fa parte del mestiere vendere il prodotto, attirare il pubblico al cinema. All’inizio mi faceva imPierfrancesco Diliberto in arte Pif

pressione essere inseguito dai paparazzi, finché non ho capito che anche questo fa parte del gioco. Insomma, era più facile essere una iena? È stato strano trovarmi ad essere al centro dell’attenzione dei paparazzi. Mi capitò a sorpresa di essere il protagonista di un servizio de Le Iene e ne fui parecchio impressionato. Ovviamente, essendoci con loro un rapporto familiare, si è trattato quasi di un incontro tra parenti. Credo sia la normale evoluzione, che piaccia o meno. A proposito di cambiamenti: quale speranza ha per il futuro, sia personale che per l’Italia? La speranza personale è continuare a fare ciò che sto facendo, ad avere l’immensa fortuna di poter comunicare le mie idee attraverso i vari mezzi di comunicazione: il cinema, un libro, la radio. Se andasse avanti sempre così, sarei l’uomo più felice del mondo. L’auspicio per il Paese? Una volta vedere un gruppo di fascisti fare il saluto romano faceva scandalo. Adesso accade ogni giorno, senza creare indignazione. La mia speranza è che si ritorni a vivere questi gesti come fatti eccezionali, non come normalità. È un messaggio che deve raggiungere le giovani generazioni? Non credo tornerà il Fascismo, però il giochino del povero che se la prende col più povero in passato ha avuto successo, almeno inizialmente. È un meccanismo che drammaticamente pare funzionare ancora. Ma non bisogna dimenticare che la guerra tra poveri non ha mai portato a nulla di buono.■

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«Nella nostra quotidianità si inseriscono tanti momenti di trascurabile felicità e infelicità: forse sono proprio quelli a formare buona parte della nostra esistenza»


articolo pubbliredazionale

EOS, CILIEGINA SULLA TORTA

DEL NUOVO POLIAMBULATORIO MD CLINIC Il nuovo dispositivo, quarto in Italia e unico di nuova generazione, apre nuovi scenari nel campo della radiologia. Immagini a figura intera, ricostruzioni 3D e, soprattutto, abbattimento dell’esposizione ai raggi X. Assieme a un ecocardio pediatrico, EOS è la punta di diamante del nuovo poliambulatorio di San Martino Buon Albergo. Rivoluzionario. Potrebbe andare addirittura stretto l’aggettivo riferito a un nuovo dispositivo medico arrivato da poche settimane a Verona. Stiamo parlando di EOS, un’apparecchiatura radiologica di nuova concezione, progettata all’Ecole Nationale des Arts et Metiers di Parigi, che consente di studiare la colonna vertebrale e gli arti inferiori in posizione eretta, ma soprattutto – ed è qui la vera rivoluzione – di abbattere di oltre il 90 per cento l’esposizione ai raggi X rispetto a una radiografia tradizionale e di 800 volte rispetto ad una TAC. Una ventina di apparecchi in tutto il mondo, soltanto tre, oltre a questo, in Italia. L’unico, quello presente presso la MD Clinic di San Martino Buon Albergo, di nuovissima generazione, con l’opzione MicroDose che riduce l’esposizione radiologica fino a un centesimo rispetto

alle apparecchiature attualmente in uso negli ospedali e nelle cliniche private. «È uno strumento eccezionale, sviluppato in più di dieci anni grazie alle teorie sui detettori gassosi dello scienziato polacco George Charpak, Premio Nobel per la Fisica nel 1992. – spiegano Alberto Bonetti e Marco Gaule, titolari del Poliambulatorio MD Clinic, con sede in viale del Lavoro 33 a San Martino Buon Albergo – Il dispositivo fa uso di radiazioni ionizzanti per ottenere immagini apparentemente simili a quelle di un normale apparecchio radiologico, ma con una dose di esposizione nettamente ridotta, suscettibili di ricostruzioni tridimensionali molto precise». Una tecnologia che apre degli scenari fino ad oggi inediti sia per il personale medico, sia per il paziente. «Per la prima volta in assoluto un dispositivo permette a radiologi, neurochirurghi, ortopedici e fisiatri di ottenere un’immagine a grandezza naturale di gran parte dei segmenti scheletrici, in posizione eretta, in un unico scatto, con la possibilità di ricostruire in 3D alcuni settori – proseguono i titolari della clinica – L’esame avviene in meno di 60 secondi e, come dicevamo, con una notevole riduzione dell’esposizione ai raggi X. Questo rappresenta un vantaggio per i pazienti, in particolare quelli con problemi muscolo scheletrici e posturali, che richiedono un periodico controllo radiologico per cui è necessario limitare l’esposizione radiologica, come gli adolescenti affetti da scoliosi». EOS può fornire immagini di tutto il corpo, ma è nato per studiare, insieme o separatamente, la colonna vertebrale, il cingolo pelvico e gli arti inferiori. Immagini diagnostiche non ottenibili con la radiologia tradizionale, perché non sono sottoposte all'ingrandimento e alla distorsione fotografica, utili ai neurochirurghi e ai chirurghi ortopedici per poter intervenire in modo mirato e preventivo. «Pensiamo alla scoliosi, ai difetti di carico della colonna, delle anche, delle ginocchia, dei piedi ed infine alle posture non corrette. EOS fornisce un quadro generale e un insieme di dati “lavorabili” dai medici che fino a questo momento non erano disponibili – aggiungono Alberto e Marco – e che vengono forniti al paziente con un dossier finale che ne semplifica la comprensione». Alberto Bonetti e Marco Gaule davanti a EOS


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Alberto Bonetti e Marco Gaule sono due giovani imprenditori attivi nell’ambito sanitario dal 2004. Il loro sodalizio professionale nasce qualche anno dopo, nel 2010. La loro attività gli ha permesso di conoscere aziende primarie del settore e professionisti di rilievo in ambito medico. Una professione esercitata anche al di fuori dei confini nazionali che ha permesso ai due titolari di MD Clinic di osservare i moderni trend sul mercato e di valutare l’idea concreta di aprire una clinica privata nella loro città che avesse caratteristiche di grande innovazione. «È stato proprio questo il motivo che ci ha spinti ad inaugurare MD Clinic – spiegano – Grazie anche al nostro lavoro ci siamo accorti che non solo a Verona, ma in tutto il Triveneto, Emilia Romagna e Lombardia orientale, mancava un’offerta radiologica privata di questo tipo. Pensando ad EOS, ci sono attualmente due apparecchi nel milanese e uno nel Sud Italia. Quello che abbiamo qui è l’unico di nuova generazione e abbiamo scelto di metterlo a disposizione in un luogo, il Centro direzionale E33, vicino all’uscita dell’autostrada A4, a Verona Est, accessibile e facilmente individuabile». EOS non è la sola ciliegina sulla torta di una struttura sanitaria, diretta

dal dottor Andrea Cazzola, che può contare su uno staff composto ad oggi da una fisiatra, tre ortopedici, tre neurochirurghi, due radiologi, una cardiologa, una fisioterapista, tutti professionisti di primo livello. «Siamo felici di poter offrire professionalità e apparecchiature particolari. – Aggiungono Alberto e Marco – Oltre a EOS disponiamo di un ecocardiografo adeguato anche all’ uso pediatrico utilizzato da una cardiologa specializzata sulle patologie cardiache che interessano i bambini e gli adolescenti. Per noi è un motivo d’orgoglio poter offrire alle famiglie, nella nostra struttura,

un servizio di grande responsabilità, tenendo conto dell’età dei pazienti. È forse questo il nostro sogno: fornire a tutta la famiglia, dal bambino al nonno, un punto di riferimento sanitario sul territorio contraddistinto da qualità, velocità di erogazione del servizio, sensibilità nei confronti del paziente e forte spinta innovativa». MD Clinic offre servizi di radiologia 3D con sistema EOS, ECG – elettrocardiogramma ed ecografia cardiologica per bambini e adulti, ossigeno ozono terapia, ecografie ambulatoriali, visite specialistiche e trattamenti di fisiokinesiterapia.

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INTERVISTA IN VOLO A SIMONE CRISTICCHI

VIVO DI INNAMORAMENTI ARTISTICI

Abbiamo raggiunto telefonicamente Simone Cristicchi sabato 6 aprile, il giorno dopo lo spettacolo Manuale di Volo per Uomo al teatro Camploy. Una chiacchierata piacevolissima tra Sanremo, il teatro e i progetti futuri, fotografando l’immensa carriera di questo artista a 360 gradi.

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ossiamo immaginare Abbi cura di me come una sua "personale" nella quale trovare opere meno conosciute, ma non per questo meno belle della sua carriera. Questa raccolta è un modo per solidificare il rapporto con il suo pubblico o per farsi riscoprire? Un po’ tutte e due. Molti giovani che sto vedendo stanno acquistando il cd scoprendomi solo adesso. È stato sicuramente anche merito della partecipazione a Sanremo che ha permesso di ampliare il mio pubblico arrivando a chi non conosceva ancora il mio repertorio. Molti ragazzi anche sulle piattaforme digitali si stanno avvicinando alla mia musica, dandomi numeri e views importanti. Notizie che apprendo con piacere perché mi consentono di farmi conoscere sia come musicista che come attore e narratore. Uomo di musica, ma anche uomo di teatro. Consiglierebbe a tanti suoi colleghi di approfondire conoscere o scoprire l'arte teatrale? Non lo so, credo che dipenda dalla persona, non tutti hanno la propensione al teatro tra i

miei colleghi. Ci sono dei cantautori che sono molto teatrali, come Brunori Sas, Enrico Ruggeri e altri, per citarne alcuni. Sicuramente ci sono anche altri cantautori più propensi all’arte del teatro ma credo in questo di essere un unicum. Da oltre dieci anni ho abbracciato a pieno l’arte teatrale e da maggio con il mio nuovo tour musicale tornerò: sarà una nuova occasione per far conoscere questo aspetto al mio pubblico. La musica è stato il suo punto di partenza, anche se fin dalle prime apparizioni ha sempre aggiunto un pizzico di teatro. Crede che la musica possa diventare anche un punto di arrivo per la sua carriera oppure no? In realtà la musica non è mai mancata nei miei lavori teatrali. Basti pensare alle canzoni che scrivo per i miei spettacoli tutt’ora. Non faccio nessun progetto per il futuro, potrei anche decidere di cambiare mestiere e dedicarmi “all’agricoltura di agrumi”. La mia carriera è sempre stata così: poco attenta al marketing e molto attenta alla passione ed all’istinto ver-

DI TOMMASO STANIZZI


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so questi miei innamoramenti artistici. Sono un artista camaleontico e questo mi permette di muovervi sempre liberamente. Con Magazzino18 ha dato prova che la cultura è il miglior modo per comunicare e dare conoscenza a tutti dei problemi. Crede sia ancora possibile farci affidamento per migliorare il nostro mondo? Sicuramente il teatro è uno spazio che ancora oggi sopravvive ed è forse l’unico luogo, oltre al cinema, dove una comunità si può ritrovare fisicamente. Ma il teatro a differenza del cinema, per certi aspetti scuote ancora di più le coscienze. È uno strumento molto potente da preservare vista l’immensa tradizione e storia che si porta dietro. Avremo occasione di vederla nuovamente in concerto a Verona? Lo spero tanto. Ne parlavo giusto al Camploy, andato sold out da tempo. Molta gente è restata fuori non potendo acquistare i biglietti. Mi piacerebbe tanto esibirmi nuovamente a Verona, magari al Teatro Romano, location che apprezzo moltissimo. Spero quindi di tornare a Verona il prima possibile.■

Le parole di speranza, cantate e recitate da Cristicchi Se sperare è un modo di decollare verso un futuro segreto, immaginato e comunque in qualche sua forma vero, nel Manuale di Volo per Uomo ci sono storie e indicazioni pratiche per tutti noi. «Dentro al reparto era pieno di gente sfasciata. C’era uno con le braccia spezzate perché le ali non avevano retto, un altro sulla sedia a rotelle perché il decollo non era andato a buon fine, una ragazza con i polsi fasciati: atterraggio di fortuna. […] Tutta gente come me ci stava, tutta gente che non era riuscita a volare. Te lo sapevi che le anatre domestiche non volano?»

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MARCO GOLDIN, LE SUE MOSTRE E LE SUE SPERANZE

L’ARTE SERVE A RITROVARE ARMONIA Il 16 novembre tornerà a Verona dopo cinque anni con una mostra intitolata Il tempo di Giacometti da Chagall a Kandinsky. Capolavori dalla Fondazione Maeght. Marco Goldin ha scelto le sale della Gran Guardia per riprendere la sua attività curatoriale dopo la pausa di un anno. E noi lo abbiamo intervistato per voi. Goldin, come mai Verona? Perché le sale della Gran Guardia mi sono sembrate subito adatte per quel tipo di sculture e i quadri di grande formato. Verona è una città molto bella che ha avuto un suo lato culturale molto importante. Come Linea d’Ombra ci abbiamo lavorato molto bene riscuotendo un grande successo di pubblico. Poi la Gran Guardia è uno dei miei luoghi preferiti dal punto di vista espositivo quindi ci torno sempre molto volentieri. Le sue mostre hanno avuto sempre un grande successo. Qual è il segreto? La cosa fondamentale è riuscire a portare sempre opere di qualità. Questo è il primo aspetto, poi realizziamo progetti che piacciono alla gente e che hanno una loro dose di conoscibilità. Ci sono tante mostre che, al di là del titolo eclatante, non offrono nella realtà quadri importanti. Il nostro visitatore non è mai stato deluso e il passaparola

è sempre stato positivo. Dal punto di vista comunicativo, non ci siamo mai fermati ai manifesti sui muri. Per noi la comunicazione è informazione, curiosità, approfondimento, sia andando nei teatri che utilizzando i social per diffondere contenuti, bellezza ed emozione. Il primo appuntamento sarà il 6 maggio con gli insegnanti... Le presentazioni rivolte agli insegnanti fatte molto tempo prima dell’apertura della mostra sono sempre state un nodo centrale. Nella prossima mostra su Giacometti gli studenti avranno la possibilità di disegnare davanti alle opere esposte. Sarà un’esposizione particolarmente adatta per il mondo della scuola sia per le sculture che per i quadri legati in qualche modo ad una rappresentazione “infantile”. Quando realizzo una mostra penso prima di tutto che deve piacere a me perché faccio un lavoro bello, ma anche molto

DI ERIKA PRANDI


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complesso. La parte meno “divertente” è legata alla costruzione di relazioni, ai prestiti, ai problemi da risolvere, alle assicurazioni. Insomma, c’è tutto un mondo dietro ad una mostra che non si considera, ma che è fondamentale. Poi ci sono le attività collaterali Ne abbiamo fatte tantissime e questa mostra ne avrà altrettante. Vorrei fare dei corsi di disegno a mostra chiusa e progetti che coinvolgono le opere esposte per viverle in modo diverso. Ci sto lavorando e presenteremo tutto questo a partire dal 9 di settembre quando apriremo le prenotazioni. Sicuramente una mostra non può essere messa lì e basta. Deve essere vissuta e rinnovata ogni giorno. Deve essere tutto molto dinamico e bisogna inventarsi progetti continuamente. Ma tutto questo va preparato molto prima. Noi stiamo già lavorando ad iniziative collaterali per mostre che faremo nel 2022. Alla fine degli anni Novanta decisi di occuparmi della comunicazione di una mostra sei mesi prima. Non l’aveva fatto nessuno. Tutti mi davano del pazzo, ma nel tempo ci siamo costruiti un database che ora conta su centinaia di migliaia di indirizzi unici. Alla fine si è rivelata una decisione vincente perché bisogna costruire un percorso per arrivare alla mostra, non posso fare pubblicità quando apre altrimenti il primo mese è perduto. Domanda di rito, in questo numero 100 della nostra rivista Pantheon: ha una speranza per Verona? L’augurio che si può fare è di riuscire ad ottenere un equilibrio maggiore. La cultura fa parte della soSPAZIO PUBBLICITARIO

Alberto Giacometti, Busto di Diego, 1954

cietà, non l’ho mai dissociata. Spesso sono stato criticato dagli accademici per questa mia volontà di coinvolgere un pubblico ampio, ma la settorialità non mi piace. Penso che le cose belle nascano sempre da un rapporto di equilibrio, di armonia. È l’augurio che si può fare parlando semplicemente di umanità recuperando le nozioni di umanesimo: la centralità dell’uomo e l’equilibrio. Penso che l’arte possa servire a questo. Non so se ci riuscirà, però perché non provarci?■


LE DONNE NELLA STORIA DI VERONA, RACCONTATE (PER UNA VOLTA)

GIULIETTA E LE ALTRE Lei è morta bambina «aveva poco più che 12 anni», a stravolgerla e a renderla eterna ci ha pensato la letteratura, ma più che amante sublime forse era solo una preadolescente timida. Molto tempo prima, nella Verona romana, per le stesse strade di Giulietta, aveva camminato, decisa, Claudia Marcellina, imprenditrice di mattoni nel II secolo d.C. Una “Grotta Magica” sorgeva, invece, in piazza Bra. Si chiamava così il salotto letterario della ottocentesca Silvia Curtoni Verza che si era scelta il compito di riassumere le tensioni poetiche altrui, di Foscolo come di Pindemonte. Semisconosciute, taciute per secoli, donne dai nomi sempre legati agli altri, quelli con desinenze maschili, ora trovano spazio in un nuovo portale nato per restituire a queste insenature femminili un volto moderno. Una piccola giustizia storica che ha i tratti di una rivalsa anche narrativa «per ripensare la storia non più come una galleria di graziose immagini mute». DI MIRYAM SCANDOLA

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IN TROPPO FACILE iniziare con Virginia Woolf, ma «cos'altro posso fare per incoraggiarvi a far fronte alla vita? Ragazze, dovrei dirvi – e per favore ascoltatemi, perché comincia la perorazione – che non avete mai fatto scoperte di alcuna importanza. Non avete mai fatto tremare un impero, né condotto in battaglia un esercito. Non avete scritto i drammi di Shakespeare». Tocca sconfessare la scrittrice britannica, in parte ovviamente, le donne che fecero la storia a Verona (come ovunque, basta rovistare) ci sono e trovano perimetro di racconto nel nuovo sito www.donnenellastoriadiverona.it. Un portale realizzato interamente da 16 ragazze e ragazzi che hanno preso parte al percorso formativo omonimo promosso da Agorà – Associazione per lo Sviluppo della Formazione e dall’Istituto Sorelle della Sacra Famiglia in collaborazione con la Biblioteca Naudet e la Fondazione Cariverona, con il patrocinio della Provincia di Verona. Giovani in cerca di opportunità lavorative, con alle spalle studi, lingue imparate, scelte da fare e da disfare, per quattro mesi hanno risposto al richiamo. Due blocchi didattici (Tecnico di marketing dei beni culturali e Specialista di applicazioni web e multimediali) da 180 ore ciascuno. Lezioni gratuite con do-

centi universitari e ricercatori sulle discipline più variegate. Un approdo certo e pratico: «la realizzazione tecnica e contenutistica di un sito multilingue dedicato ad alcune donne scaligere protagoniste di diverse epoche» sintetizza Davide Contri, coordinatore del progetto per Agorà che sottolinea il valore dell’iniziativa e delle sue possibili prospettive future nell’ambito, magari, di itinerari turistici costruiti ad hoc, e di un marketing territoriale ridisegnato nella sua proposta. Dalla progettazione web alla scrittura creativa, con tante intense mattinate trascorse negli archivi veronesi, alla ricerca di una citazione, di una menzione minima per dare spazio di legittimazione a queste storie così poco raccontate. Il portale, che sarà presentato il prossimo 25 maggio durante un convegno, all’Istituto Sorelle della Sacra Famiglia, per ora antologizza cinque donne emblematiche, divise per epoche. «Intraprendente» così Isabella descrive la “sua” donna, Claudia Marcellina. Ormai, lei e gli altri del piccolo team di lavoro la conoscono; l’imprenditrice di mattoni del II secolo d.C. è un’amica. Per andarla a trovare è sufficiente farsi strada con lo sguardo tra le vetrine in Corso Porta Borsari: al numero 49 c’è un blocco di pietra che riporta

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un’iscrizione. È quello che rimane della statua dedicata a lei, figlia di Tiberio e moglie del console Bellicio Solerte. Di certo era un personaggio: aveva una rilevanza incommensurabile se sono arrivati a plasmarla persino in monumento. «Nelle piazze di Verona non esistono statue che rappresentino donne importanti del passato, questa pietra vecchia di quasi duemila anni ci tramanda il nome e l’importanza della sua storia» si legge, infatti, sul sito. Lei, dopo la morte del marito, prese le redini delle aziende di famiglia, tra cui alcune fabbriche di mattoni e seminò il suo nome sui bolli laterizi impressi ovunque (una specie di etichetta dell’antichità sui mattoni, ndr). Ricerca serrata, documenti impolverati e volumi guida (Donne a Verona. Una storia della città dal medioevo ad oggi, unico libro sul tema che tralascia però l’epoca romana): questi gli strumenti che hanno permesso di intrecciare, con una voce moderna ma sempre accuratamente storiografica, il resoconto inedito della città che è stata. La Verona attraversata dal Medioevo di Santa Toscana, dalla sua indole caritatevole, «dopo essere rimasta vedova si è dedicata interamente ai poveri» spiega Alice che si è occupata della donna trecentesca, originaria di Zevio e votata alla santità «per quella sua capacità di dare tutta se stessa». Per vicinanze cronologiche, come non dire di Giulietta, figlia unica del ricco Bartolomeo Della Scala, morta suicida poco più che dodicenne. Stretta nei suoi anni di ragazzina, neanche immaginava di venire eternata nell’eroina di tutti, dopo la prima riscrittura della sua storia, firmata dal vicentino Luigi Da Porto che inserì pure, tra le righe della leggenda veronese, un debito per il suo di amore, «la leggiadra Lucina». In

epoca moderna, troviamo Leopoldina Naudet. Toccò gli sfarzi della corte imperiale, viaggiò a Parigi, Praga, Vienna ma scelse per sé un altro destino di ricchezza, quello spirituale. Nel 1816 fondò a Verona un istituto religioso, le Sorelle della Sacra Famiglia. In prima linea, sempre, per l’educazione delle ragazze abbienti come di quelle più povere. «Poi c’è Silvia» dicono in coro Ilaria e Veronica. Un’influencer letteraria, prima dell’avvento di Instagram. Ogni venerdì, nelle sale del palazzo Honorij, questa coltissima donna che ha saputo scortare con dolcezza i versi di tanti, accoglieva gli intellettuali più in vista dell’epoca. Giuseppe Parini, dopo aver conosciuto Silvia Curtoni Verza, le dedicò un sonetto incantato («Viva e presente nel mio cor tu sei»). Ma tante e altre sono le donne celate nelle increspature della storia scaligera in attesa di essere estratte dalla cura. I giovani del progetto auspicano di poter ampliare presto il raggio d’indagine. La loro speranza? «In una città che vede solo il 4% della toponomastica declinata al femminile, parlare delle donne del passato può fornire qualche spunto importante», anche solo per guardare con occhi diversi la fisionomia cittadina che il femminile ha contribuito a delineare. Perché le donne che furono (e non solo le nostrane) possano finalmente smettere di essere solo riempitivi, per quanto eccelsi, della letteratura e diventino presenze anche storiche. Non più concluse in qualche ode d’amore, non più solo l’eco delle perifrasi che le hanno salvate dall’indifferenza dell’essere state senza mai venire, per questo, ricordate.■

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CRONACHE EUROPEE DIRETTAMENTE DAL CUORE DELL'UE

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SE VOTIAMO TUTTI, VINCIAMO TUTTI Si basa sul passaparola, sul senso di comunità, sulle speranze verso il futuro di tutti i giovani europei. Stavolta voto è la campagna con cui il Parlamento europeo spera di coinvolgere la popolazione nelle prossime elezioni europee, in Italia il 26 maggio. Con un successo che qualcuno ha già definito senza precedenti.

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ALÉRIE THATCHER non è mai stata particolarmente appassionata di politica, né si è mai definita una persona sportiva. Quando, lo scorso 10 marzo, si è messa in marcia da Lione, dove vive con la famiglia, decisa ad arrivare a Bruxelles, l’ha fatto «per l’Europa», come ha spiegato poi sul profilo Instagram dedicato a quest’avventura, Walk for Europe. 700 chilometri a piedi, in solitaria, per dire a tutti che il futuro di questa Unione Europea di cui a breve si decideranno le sorti ne vale la fatica. D’altra parte, Dylan Ahern, Jochem Jordaan e Floris Rijssenbeek, in arte The Kiesmannen (che tradotto dall’olandese suona un po’ come seggi elettorali) con il futuro, il passato, e il presente dell’Europa ci riempiono i teatri: dal 2017 il loro show teatrale sta facendo il tutto esaurito in Olanda. Un modo, dicono loro, per avvicinare i più giovani al mondo della politica, per farli sorridere di cose come sondaggi e campagne elettorali, ma soprattutto per ispirarli a recarsi ai seggi, quelli veri questa volta, che dal 23 al 26 maggio saranno aperti per le prossime elezioni europee. E per assicurarsi che tutti, ma proprio tutti,

abbiano la possibilità di esercitare il diritto di voto, a Cologna un gruppo di volontari, fondato e animato dal giovanissimo Luca Hannich, si sta prodigando perché nelle case di riposo e nei luoghi di ritrovo delle persone anziane circolino le informazioni necessarie sul voto postale. Senza dimenticarsi della popolazione più giovane, però, quella di solito più latitante ai seggi: Luca e il gruppo di volontari da lui creato — arrivato a contare più di quaranta persone nella sola Cologna — stanno organizzando eventi nelle università, spargendo la voce via social, con tanto di gif animate create ad hoc per le prossime elezioni europee. È partita da qui, dal basso, dalle persone, da gesti piccoli, dal quotidiano: la campagna Stavolta voto (This time I’m voting è il nome ufficiale, poi declinato in tutte le 24 lingue ufficiali dell’Unione, con un sito dedicato per ciascuna) è nata a giugno dello scorso anno con l’urgenza di convincere sempre più persone a prendere la strada delle urne. I dati del 2014 ci dicono che solo il 42,61% dei cittadini europei aventi diritto ha votato alle ultime elezioni europee (in Italia abbiamo fatto meglio, con il

DALLA NOSTRA INVIATA A BRUXELLES CHIARA BONI


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Quanta Europa c'è nella nostra vita ■ Cosa fa per me l’Europa è il sito internet che il Parlamento Europeo ha

implementato per accorciare le distanze tra il “palazzo” e l’Europa reale. Navigandolo si può scoprire l’impatto dell’UE nelle nostre vite, cercando per regione geografica o temi d’interesse. Anche questo strumento è pensato per tutti gli Stati dell’Unione ed esiste in 24 lingue. ■ In un mondo dinamico e digitale non poteva mancare un’applica-

zione per smartphone: la Citizens’ App. Scaricabile gratuitamente da App Store e Google Play in tutte le lingue ufficiali dell’Unione Europea, l’applicazione dà accesso a informazioni su iniziative organizzate per argomento e per località.

57,22%), ma la percentuale cala ulteriormente se si guarda alla popolazione più giovane, con una partecipazione solo del 27,8%. Sono dati che raccontano un’assenza importante: significa che una parte ancora troppo estesa della popolazione europea non partecipa a quell’enorme esercizio di democrazia che protegge, garantisce, regola la nostra vita quotidiana. Il cambiamento climatico, la disoccupazione, la sicurezza, i diritti e la solidarietà: questo e molto altro viene deciso a livello europeo, e a dare forma a queste decisioni è il nostro voto. «Stavolta non basta sperare in un futuro migliore: dobbiamo assumerci la responsabilità delle nostre scelte». Questa è la premessa di Stavolta voto, che si definisce orgogliosamente apartitica, perché non si tratta solo di poli-

tica, ma piuttosto di garantire che tutti possano far sentire la propria voce. La campagna si basa sull’infallibile sistema del passaparola: registrandosi al sito stavoltavoto.eu si riceve, oltre a informazioni su attività ed eventi vicini, un link personale da condividere tra amici e parenti. Quando la campagna ha preso il via solo qualche mese fa i responsabili facevano conto di reclutare circa 5000 persone in tutta Europa, disposte a dedicare il proprio tempo gratuitamente alle attività di This time I’m voting. A fine aprile, se ne contavano più di 250.000, con un aumento medio del 17% ogni mese, provenienti da tutti gli Stati dell’Unione, di tutte le età e schieramenti politici E con un numero così, forse l’Europa ha già vinto.■

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CONFIDENZE DA UNA CONTRADA DISABITATA

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L’INTERVISTA IMPOSSIBILE Ci sono silenzi che ti avvolgono e ti stringono forte, ti sussurrano, ma piano, tutte le parole del mondo, anche quelle che avevi dimenticato. E ci sono silenzi freddi, distanti e risentiti, che non si riesce a sciogliere nemmeno con la più intensa delle preghiere. Abbiamo ipotizzato un dialogo impossibile, un’intervista surreale — ma non disonesta — tra una stalla disabitata e una fontana zittita dal tempo trascorso.

Contrada Tinazzo

È

UNA GIORNATA FREDDA di primavera e anche la natura resta muta. Ci troviamo in una vecchia contrada della Lessinia, disabitata da diversi decenni ormai, e il silenzio che ci colpisce è simile a quello della morte. Case mute, persiane chiuse, porte sbarrate, tutto abbandonato all'incuria del tempo che ha trascinato detriti, scavato fossi, coperto orti e frutteti, cancellato tutto ciò che una volta era vita. Persino la natura è ammutolita di fronte all'invasione dei rovi, alle sterpaglie che si avvinghiano ai muri come fossero serpenti. Non si sente il pulsare delle fronde che si stiracchiano, non si ode il frusciare degli insetti, il vociare degli uccelli; il fremito delle foglie è muto e immobile, l'aria gelida e grigia. Ad un tratto un piccolo rumore, breve ed impercettibile. In un angolo della contrada, in mezzo ad una fitta vegetazione disordinata, si scorgono due lunghe ciglia che battono piano e una boccuccia assetata da cui ogni tanto esce una piccola goccia di acqua, quasi che nemmeno il pianto volesse far rumore. Ci si accorge appena che lì, in un tempo sepolto sotto terra e spine,

c'era una fontana, adibita in parte a raccogliere l'acqua per usi più o meno commestibili, e in parte a lavatoio. «Scusami — mi dice — non ho fatto in tempo a mettermi un po' di rossetto. Non sono abituata ad avere visite». (Mi guardo intorno un po' perplessa). Ma non abita più nessuno qui? Fontana: No, e non aspettarti nemmeno che qualcuno passi per caso. Qui non viene più nessuno da... Da quanto stalletta? (la fontana si rivolge alla piccola stalla che si intravede lì a fianco, ndr). Stalla: Da quando è andata via l'ultima famiglia, negli anni '70. Dal giorno in cui sono partiti non è stata più la stessa cosa per noi. Fontana: Beh, per me le cose erano già cambiate parecchio. Diciamo che la gente della contrada non mi guardava più con gli stessi occhi da tempo. Da quando avevano fatto l'acquedotto ed era arrivata l'acqua corrente nelle case. Da quanto siete qui? Fontana: Dai tempi de Matio Copo (lei e la stal-

DI MICHELA CANTERI


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letta ridono di gusto). In pratica sono nata prima io della contrada. Il fatto che l'acqua sgorgasse qui ha fatto sì che gli uomini del luogo si insediassero vicino a me, e costruissero poi le mie vasche. Saranno stati i primi del '900. Ti ricordi Stalletta quando sono nata? (lo dice con soddisfazione, la fontana è un bel po' vanitosa...) Stalla: Sì, sì, mi ricordo bene. Mi ricordo quando hanno finito di costruirti, sembrava fosse arrivata la regina. Gli occhi erano tutti per te. Fontana: Ah sì. Mi guardavano con amore e ammirazione. Poi, in realtà ci sono stati anche momenti difficili, periodi di lunga suta... Allora attiravo su di me solo sguardi spaventati e imploranti... Una volta il rapporto della gente con l'acqua era diverso rispetto ad oggi? Fontana: Eccome! Perché erano consapevoli che era una fonte esauribile. Oggi, quando si apre il rubinetto non si teme che l'acqua non scorra più. Una volta, invece, poteva succedere che non fosse sufficiente per assolvere a tutti gli usi necessari. E quindi, quando c'era, si utilizzava solo quella strettamente necessaria per dare da bere al bestiame, per gli usi domestici e per fare il bucato. Stalla: E ti ricordi quando i buteleti si facevano il bagno in una stessa vaschetta d'acqua, uno dopo l'altro? Fontana: Eh certo, già l'acqua veniva utilizzata con parsimonia, e poi per avere l'acqua calda non era sufficiente aprire il rubinetto come oggi. Si doveva-

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no scaldare sul fuoco diverse ramine (pentole, ndr) per riuscire a riempire una tinozza. Una volta fatto, si cercava di sfruttare al massimo quel momento. Che cosa vi manca di quei tempi? Fontana: Ah, sicuramente le voci. Le chiacchiere delle donne che venivano a fare il bucato, le loro storie, i loro lamenti e le loro piccole risate. Venivano anche d'inverno con i loro panni, l'acqua era gelata e così cercavano di fare il loro lavoro più in fretta possibile. Le sentivo tremare di freddo e di dolore mentre le loro mani si facevano sempre più paonazze. Mentre il ghiaccio si infilava nelle loro vene, loro ricacciavano indietro le lacrime e i sacramenti con un canto, oppure raccontando alle compagne una storia, a volte ancor più dolorosa. E poi c'erano i giovanotti che arrivavano a flotte quando le donne venivano a fare il bucato. Il lavatoio era un luogo di incontro per le giovani da marito. Come il bar e la stalla erano il luogo di socializzazione per eccellenza per gli uomini, il lavatoio lo era per le donne... Stalla: Il lavatorio, l'ostaria... e la stalla! Fontana: L'importante era ritrovarsi e far 'na ciacola... Stalla: Contarse 'na storia. Fontana: Intonar un canto. Stalla: Parlar del tempo. Fontana: Del tempo che passa. Stalla: Che passa e no' torna... Fontana: Come l'acqua... Che scorre e non torna. No' torna mai più.■


FORZA BELLEZZA

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ASSAGGI DI SPERANZA PRATICA

I GIARDINI SEGRETI E IL LATO INTIMO DELL’ABITARE L’Associazione Giardini Aperti, con il patrocinio Aiapp Triveneto e sostenuta dal Comune di Verona Assessorato alla Cultura e al Turismo, ha organizzato l’evento che si svolgerà sabato 25 e domenica 26 maggio, durante il quale verranno aperti ai visitatori alcuni giardini, cortili e spazi verdi pubblici e privati del quartiere di Veronetta. Non sarà il festival “dei giardini belli”, ma degli spazi aperti. Nulla di più congeniale a Veronetta, dove l’apertura diventa una filosofia per valorizzare e riqualificare questo ventricolo destro (o sinistro, a seconda di chi guarda) della nostra città.

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ICIOTTO GIARDINI, IN UNA PARTE del cuore della città al di là del fiume che va dalla funicolare a via XX Settembre, quasi venti. C’è da chiedersi di primo acchito dove siano tutti questi giardini e giriamo la domanda alla Presidente dell’Associazione Giardini Aperti Maria Giulia Da Sacco, Architetto Paesaggista: «Saranno visitabili non solo giardini, ma anche luoghi che raccontano semplicemente la storia del quartiere e che possono sviluppare nel visitatore una maggiore consapevolezza rispetto alla ricchezza del proprio territorio». «Sarà l’occasione per visitare luoghi poco conosciuti — incalza la vice presidente Anna Pasti — scoprire angoli e scorci nuovi, vedere cosa c’è dietro un portone sempre rimasto chiuso». In effetti molti sono i portoni, a Veronetta, di Palazzi già da fuori assai belli e imponenti, ma anche di veri e propri agglomerati storici che molta curiosità suscitano nel lasciare intravedere rami o arbusti fioriti lungo le strade, in particolare nella zona di San Giovanni in Valle: «Sì, sì assolutamente, uno dei giardini aperti, forse il più grande dopo Giardino Giusti che è anche il più noto, è quello delle Suore proprio verso la Fontana del Ferro, prende la collina, un vero orto con frutteto». La conformazione di questi giardini è per lo più quella di cortili fioriti o di orti e broli, ai piedi della collina o lungo le strade che si snodano nel quartiere, quell’idea di Hortus conclusus (giardino chiuso), che ritroviamo

all’origine del giardino come luogo del silenzio per meditare e riflettere in noi la bellezza della natura, cuore intimo dell’abitare, ma anche quel concetto di città murata, quale Verona è: viene in mente l’affresco custodito nella lunetta della piccola chiesa di San Giorgetto vicino a Santa Anastasia, realizzato da Giovanni Maria Falconetto tra il 1509 e il 1517, uno tra due soli affreschi al mondo con un unicorno, simbolo di saggezza. Una mappa realizzata ad hoc aiuterà a trovare i giardini da visitare e una piccola guida, redatta per l’occasione, ne racconterà la storia, ogni giardino sarà aperto e custodito da volontari, riconoscibili dalla maglietta, che avranno il compito di regolare gli accessi e per i due giorni si potrà accedere con unico biglietto quante volte si vorrà ai giardini nell’orario stabilito (per info e prenotazioni: giardiniapertiverona.org, facebook.com/giardiniapertiverona). È un evento che apre anche al futuro, non solo ai visitatori, ci rivolgiamo alla presidente Da Sacco: «Un futuro per la nostra città e non solo — risponde — che deve guardare principalmente ai giovanissimi, educarli all’ambiente perché saranno loro a respirare l’aria di domani e dovrà essere migliore della nostra, più verde». «Dovremmo imparare anche ad essere più solidali e a condividere non dividere il territorio», chiude la vice presidente di Giardini Aperti, dottoressa Pasti. Questa manifestazione si presenta dunque come un inizio, per cominciare a togliere gli ostacoli di questa parte di cuore della nostra città, ostacoli visibili o non visibili, portoni o pregiudizi che siano. ■

A CURA DI DANIELA CAVALLO


LE BRUSCHETTE DI REDORO CONQUISTANO IL CUORE DI VERONA

NUOVA APERTURA VI ASPETTIAMO

in Corso Porta Nuova, 5 – Verona


EDOARDO RIALTI, LE PAROLE E COME SI TROVANO

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IL TRADUTTORE DEL TRONO DI SPADE Critico e saggista per Il Foglio e L’Indiscreto, amante del fantasy «da Tolkien in poi» e dei cattivi «perché nessuno conosce la solitudine dei malvagi». Così si è presentato Edoardo Rialti, scrittore ma soprattutto neo-traduttore per Mondadori della saga de Il Trono di Spade di George R. R. Martin. Classe ’82, Rialti ha presentato lo scorso 8 aprile presso la libreria QuiEdit di Verona l’ultimo nato in casa Martin, Fuoco e Sangue. Un lavoro di traduzione non semplice, ma che promette grandi soddisfazioni. Come si fa a tradurre un intero libro? Trovare l’esatto corrispettivo italiano di termini che in una specifica lingua sembrano essere tutt’uno con un concetto non è un lavoro per molti. Occorre un’ottima conoscenza delle lingue (quella straniera e italiana), un vasto dizionario mentale, una buona capacità di comprensione

e, infine, molta pazienza. Sì, perché in accordo con il detto “tradurre, tradire”, qualche lettore che storce il naso alla versione tradotta si trova sempre. E così, cimentarsi nella trasposizione italiana di una saga che ha riscritto una buona pagina della letteratura fantasy come quella de Il Trono di Spade di George R.R. Martin, può essere un’arma a doppio taglio (in tutti i sensi). Lo sa bene Edoardo Rialti, scrittore e traduttore fiorentino che, dopo la prematura scomparsa di Sergio Altieri, traduttore ufficiale delle opere di Martin, su quel “trono” ci si è dovuto sedere.

DI GIORGIA PRETI

Come si è avvicinato al mondo delle traduzioni? Ho studiato letteratura medievale e umanistica e poi letteratura del rinascimento italiana e inglese: ho sempre tenuto i piedi in due scarpe diverse perché la mia è una formazione filologica e letteraria, ma sempre con uno sguardo comparativista. L’inglese è sempre stata una lingua di cui avevo l’impressione di essermi riappropriato, che già sapevo e che mi ha sempre fatto sentire a casa mia. Se dovesse spiegare in cosa consiste il lavoro del traduttore? La traduzione è tante cose, è un lavoro molto

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concreto e artigianale, come la scrittura: devi riprodurre il più fedelmente possibile nella tua lingua le sfumature con cui lo scrittore si è espresso in origine. È come lavorare ogni giorno al fianco di un grande pittore e tu in piccolo lo guardi lavorare e cerchi di aiutare come puoi sulla stessa opera. Inoltre la traduzione è anche un primo fondamentale atto critico: la testimonianza di come hai letto, ascoltato e accolto un testo. Lei ha “ereditato” la saga de Il Trono di Spade da Sergio Altieri: una grande responsabilità In realtà è stata una doppia responsabilità, perché già Martin di per sé è un pezzo da novanta dell’immaginario contemporaneo e la sua opera è uno spartiacque importante che ha segnato un’epoca: quindi c’era il peso di Martin a cui andava aggiunto quello di un traduttore come Sergio Altieri. È come essere un nano che deve riempire le orme di un gigante. Io ho comprato le scarpe più grandi che potevo e spero che abbia funzionato. Questo ultimo libro della saga è particolare perché è un prequel che racconta la storia di una delle famiglie più potenti dell’immaginario martiniano, i Targaryen… Sì, la specificità di questo testo è che è diverso dagli altri romanzi di Martin, che hanno un certo tipo di stile molto sporco, brutale. Questo è un ipotetico manoscritto ritrovato e vuole riproporre una finta cronaca medievale, quindi usa uno stile alto, solenne, ma ha comunque un ritmo potente ed è percorso da tanti correnti stilistiche: ci sono le voci dei buffoni di corte, tracce di manoscritti erotici, atti di processi e tanto altro. Non è semplice, ma, come diceva Platone, «il bello è difficile». Lei è più affezionato alla saga letteraria o alla serie tv? Sono più legato alla saga letteraria. Credo che per quanto la serie tv sia ammirevole in tante cose, si percepisce nelle ultime stagioni l’assenza

della scrittura di Martin come supporto principale e i personaggi stanno rimanendo un po’ troppo fedeli a loro stessi, a ciò che abbiamo imparato ad amare e a detestare di loro. Ora quindi si attende il prossimo volume che, in effetti, i lettori stanno aspettando da parecchio. È come la morte, è certa ma non sappiamo quando ci piomberà addosso. È un’attesa condivisa da tanti e sono sicuro che arriverà quando ci saranno già tante altre commissioni di lavoro (ride, ndr) quindi, come i “guardiani della notte” mi attenderanno delle lunghe notti, ma questo è perché gli dei sanno ridere di un uomo felice. Ma parliamo di speranze, in particolare quelle narrative. A breve terminerà anche la serie tv de Il Trono di Spade. Come spera che finisca? Non ho delle immagini previe. Le grandi storie hanno la caratteristica di essere, al tempo stesso, nei loro finali inaspettate ma inesorabili. Io spero davvero che la serie tv ci regali un finale da “Chi se lo sarebbe immaginato?”, magari anche dolce amaro, ma che in fondo dentro di noi ci faccia dire «eh però effettivamente la vita va così».■

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INTERVISTA IN CORSA A UMBERTO SCANDOLA

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L’ANNO DEL CAMBIAMENTO Il pilota veronese dopo sette anni nel Campionato Italiano Rally cambia prospettiva, con una nuova avventura sportiva in fase di conferma proprio mentre questo numero di Pantheon andava in stampa. Lo abbiamo incontrato per un’intervista a tutto tondo a quasi dieci anni dall’ultima volta.

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’ULTIMA VOLTA CHE Pantheon aveva intervistato Umberto Scandola lui era all’inizio dell’esperienza in Škoda nel Campionato Italiano Rally e il giornale, a sua volta, era più giovane. Sono passate sette stagioni sportive complete, e il pilota di Erbezzo si appresta ad iniziare un 2019 pieno di novità: nuova vettura, nuovo campionato, nuove prospettive. Un ritorno sulla terra, il suo primo amore, un accordo internazionale che parla tedesco, nasce dalle parti di Alzenau e si è concretizzato nelle ore in cui questo numero della rivista andava in stampa, a poche ore dal primo appuntamento del Campionato Italiano Rally Terra che in questi giorni parte con il 26° Rally Adriatico. Umberto, dieci anni fa parlavamo di sogni, sei soddisfatto di quello che è successo in questo tempo? Sì, sono soddisfatto, abbiamo ottenuto belle soddisfazioni, non solo per merito mio che mi siedo dietro al volante, ma per merito di tutta la squadra. Dai meccanici, ai ragazzi del team e a tutta la mia famiglia che è sempre stata un supporto importante. Poteva andare meglio? Sì, ma poteva andare anche peggio. Se guardo le singole gare ce ne sono tante che avrei voluto andassero in modo diverso, ma fa parte della storia di ogni pilota. Le scelte della mia carrie-

ra non generano rimpianti, sono sempre state buone per il momento in cui sono state prese. Quanto tempo è passato dalla tua prima gara? Avevo 16 anni, era la Romagnano-Azzago su una Peugeot 106 1.3. Problemi al cambio ma traguardo raggiunto. Avevo vissuto con entusiasmo e passione quel momento, del resto ho respirato auto da rally fin da piccolissimo. Appena potevo seguivo mio papà e mio zio quando correvano, passavo i pomeriggi a guardare le VHS di rally, sognavo di potercela fare e di provarci. Diciamoci la verità, sei ancora un ragazzino. C’è ancora quella passione? Sì, anche se quando l’impegno sportivo diventa quasi un lavoro cambia la visione, diventa chiaramente un obiettivo e non solo un hobby, e questo fa una grande differenza. Poi c’è l’aspetto che questa specialità un tempo arrivava nelle case della gente, oggi per alcune ragioni anche condivisibili, come la sicurezza, si sta un po’ allontanando dagli appassionati, ma è un errore che non dobbiamo correre. Una domanda che già ti abbiamo fatto: se fossi nato in Finlandia, avresti avuto opportunità diverse? Molto probabilmente sì, ma da quelle parti sono tanti quelli che sanno andare forte, quindi emergere sarebbe stato altrettanto difficile.

DI MATTEO BELLAMOLI


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Umberto Scandola: il pilota Classe 1984 (è nato il 5 dicembre) si è laureato Campione italiano nel 2013. Dal 2012 al 2018 ha disputato il Campionato Italiano Rally come pilota ufficiale di Škoda Italia Motorsport, e ha all’attivo partecipazioni a gare del Campionato del Mondo Rally WRC e nel Campionato Europeo. Nel suo palmarès 141 partenze, con 18 vittorie assolute. Il 2019 lo vedrà tornare in Una Hyundai i20 R5 durante gli shakedown ufficiali sulla terra. Avrà questi contorni il 2019 del pilota di Erbezzo

Cosa ne pensi dei giovanissimi. In Italia c’è questa possibilità di emergere? Come sono nati Biasion, Galli, Liatti i piloti forti nascono ancora, si tratta solo di opportunità. La differenza, a livello internazionale, è che in altri Paesi si trovano condizioni più propedeutiche al mondiale. In Italia il livello è molto alto, ma più fine a se stesso. Manca una preparazione a 360°. Lo scorso anno ti sei esposto con la Federazione su questo aspetto, sei ancora dell’opinione? Sì. Il Campionato Italiano Rally è sicuramente una serie valida, ma è un campionato falsato se più della metà delle gare si corrono su asfalto e non lo dico solo perché so di essere più performante sulla terra, ma perché se vuoi formare i giovani devi dargli un pacchetto completo. Manca un cambio generazionale? Forse, ma

pianta stabile sulla terra, fondo dove ha da sempre ottenuto i maggiori risultati.

mettiamo parità di fondo su cui correre e poi vediamo se, magari, cambia qualcosa. A proposito di cambiamenti, il tuo 2019 sembra piuttosto interessante… Siamo in fase di chiusura. L’obiettivo è il Campionato Italiano Rally Terra che quest’anno comprende anche il Rally Italia Sardegna, concomitante con il WRC, con una nuova vettura. Sarà un po’ come ripartire da zero. Gettiamo il cuore oltre l’ostacolo: parliamo di speranze e obiettivi. Tuo zio Graziano è appena tornato dall’Africa Eco Race, sul vecchio percorso della Dakar, tu dove ti vedi tra venti o trent’anni? Mah, chi lo sa, sono tanti. Forse seguirò i miei nipoti o i miei figli. Al momento non ho intenzione di avere figli nè di smettere, quindi…■ Umberto Scandola e Skoda, un binomio che in otto anni ha regalato emozioni e successi

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PIETRO POMARI, LA NUOVA STELLA

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LUI, LA LESSINIA, GLI SCI

Ai campionati italiani Pomari ha conquistato anche il bronzo nella staffetta, con il quartetto Veneto A. Identico piazzamento degli Allievi femminile per l'altra veronese Maria Sole Cona.

Lo Sci Club Bosco ha scoperto un nuovo atleta che ha i numeri giusti: è Pietro Pomari, classe 2001 originario di Roverè Veronese. Negli ultimi campionati italiani ha conquistato il titolo nazionale di categoria. Una vittoria per lui inattesa, visto il calo di forma avuto nella seconda parte di stagione.

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AMPO CARLO MAGNO (Trento) ha da poco una nuova bandiera piantata nella neve, accanto al tricolore. È quella dello Sci Club Bosco, che ai campionati italiani assoluti ha piazzato l'acuto con la vittoria del titolo nazionale da parte di Pietro Pomari nella 15 km tecnica classica, categoria Aspiranti. Pietro, ti aspettavi questa vittoria? No, per nulla. La stagione era partita bene, ma poi ho avuto un calo di forma dopo gli Eyof (European youth olympic festival, svoltisi in febbraio a Sarajevo, ndr) e non riuscivo più ad esprimermi come volevo. Ero demoralizzato e l'unica cosa che mi importava era di finire la stagione. Come ti sei avvicinato ai campionati? Ho cercato di prepararmi al meglio. Nella staffetta ho sentito subito qualcosa di diverso e non mi capitava da qualche mese. La notte ho dormito poche ore a causa dell'agitazione e la mattina dell'individuale ero veramente stanco. All'inizio il ritmo gara era forte, pensavo che avrei salutato presto le mie speranze. Poi ci sono stati un rallentamento e qualche intoppo. Alla terzultima salita ho aumentato il passo, vedendo che gli altri non prendevano l'iniziativa. Alla penultima mi sono messo in

scia ad un avversario, affiancandolo e dando tutto quello che avevo. Qual è stato il tuo primo pensiero, una volta tagliato il traguardo? Ricordo di essere stato molto confuso. Mi sono messo come al solito di peso sulle racchette e fissavo la neve. Mi hanno intervistato e sono riuscito a dire solo tre parole che non ricordo, chiudendo con la frase: «... e sono felice». E i giorni dopo? Anche la notte seguente non ho dormito, avevo continuamente il ricordo della gara in mente. Ho un video della mia salita finale: penso di averlo riguardato 100 volte, anche al rallentatore. Dopo questo acuto cambia qualcosa in te? Sicuramente la motivazione è aumentata ancora di più. Prima, ogni tanto, pensavo di non avere i mezzi per competere con i miei coetanei. Adesso credo di più nelle mie capacità. Quanto conta la fortuna nello sport? Tantissimo. Nello sci, ad esempio, è importante avere i materiali giusti, sentirsi in un buon periodo di forma, non cadere e anche trovare il treno giusto.

DI EMANUELE PEZZO


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Con lo studio come va? Frequento l'Iis Stefani-Bentegodi a Buttapietra. Non è facile conciliare, ma ormai ci ho fatto l'abitudine e non riuscirei a rimanere a casa pensando solo allo studio. Devo anche ammettere però che gli insegnanti, se sanno che ho la gara alla domenica, evitano di interrogarmi al lunedì. In questo mi sento aiutato. Chi ringrazieresti per questo successo? Il mio allenatore Carlo Vito Scandola, col quale mi sentivo quasi tutti i giorni. Ma il merito è di tantissime persone, dagli allenatori degli anni passati Silvano Dal Ben, Mirco e Giovanni Pezzo, agli autisti che mi aspettano nei miei molti ritardi. E poi Gianni Segala, che quest'anno ci ha permesso di allenarci quando mancava la neve: grazie a lui e allo Ski Team Lessinia abbiamo avuto 1 km di pista di neve artificiale a Conca dei Parpari per allenarci senza dover andare in un'altra regione. Ringrazio i miei compagni di squadra e di comitato, con cui mi sono allenato quotidianamente. E, non per ultimi, i miei genitori, ma pure mio zio Lino. Speri in una chiamata di un corpo sportivo? A dire il vero ne ho ricevuta una. Ma non ho avuto ancora conferme in tal senso e finché non è sicuro preferisco non parlarne. Cos'è per te la speranza? È un sogno che speri si possa realizzare, anche se non sono sicuro che siano le parole giuste per esprimere quello che intendo. Per me è poter

sciare ad alti livelli e un giorno farlo diventare un lavoro. Facile dire Mondiali e Olimpiadi: alla fine si punta sempre in alto, ma vanno tenuti i piedi per terra, continuando a lavorare. In molti hanno vinto un titolo come me, ma poi non sono arrivati.■

Pietro Pomari, in breve Pomari ha iniziato a sciare con il papà a 3 anni. A 6 invece è entrato nello Sci Club Roverè, che da alcune stagioni si è unito agli altri club veronesi per formare lo Ski Team Lessinia.

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CERIMONIA DI INAUGURAZIONE

Sabato 4 MAGGIO, ORE 11:00 Via degli Alpini 5, Erbezzo

RESIDENZA BARTOLOMEO DELLA SCALA

con la partecipazione di Mons. Giuseppe Zenti

La Residenza ospita un Centro Servizi per anziani e una comunità Alloggio per persone con disabilità

Comune di Erbezzo


CONSIGLI E RIFLESSIONI

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TARGATI ADICONSUM

CONSUMOSOFIA

Associazione Consumatori non può significare solo rincorrere la legalità nella frenesia della società dei consumi, dovrebbe significare anche promuovere la sopravvivenza o la rinascita di una filosofia del consumo. In parole semplici, fermare la giostra e porsi delle domande su ciò che influenzi le nostre azioni e su dove finisca (o possa iniziare) la nostra libertà.

È

DIFFICILE TROVARE IL TEMPO per mettere in pausa il flusso di informazioni da cui siamo investiti e interrompere la ruota degli impegni che ci fa correre come criceti. La vita scorre mentre la nostra mente è focalizzata sull’assolvere uno dopo l’altro i doveri che la società ci impone per risultare validi lavoratori, bravi genitori, buoni figli, utili consumatori...Alt! È il momento di scendere. E domandarsi quale percorso stiamo seguendo nella nostra ricerca della felicità. Ci hanno insegnato a chiamarla così, nelle campagne di marketing, ma si tratta semplicemente dell’esca con cui mirano a convincerci a spendere il nostro denaro. Una felicità che si raggiunge comprando e consumando beni. Una felicità effimera cagionata da un bisogno impellente ma immediatamente sostituibile. È una società dello spreco in cui si incoraggia un rinnovamento sempre più accelerato dei prodotti al punto che la loro produzione è in funzione della loro morte — ci ricorda Jean Baudrillard (La società dei consumi) — in cui si ostentano i consumi effimeri poiché la società dei consumi ha bisogno di distruggere i suoi oggetti, ancora più che consumarli. Anche Zygmunt Bauman (Consumo, dunque sono) era arrivato ad una simile conclusione assumendo che «l’economia consumistica prospera sul ricambio delle merci e si pensa che quanto più denaro passa di mano, tanto essa vada a gonfie vele; e ogni volta che il denaro passa di mano alcuni beni sono inviati alla discarica». Dunque accade nella realtà ciò che Calvino (Le città invisibili) raccontava sull’invisibile città di Leonia: «più che dalle cose che ogni giorno vengono fabbricate, vendute, comprate, l’opulenza di Leo-

nia si misura dalle cose che ogni giorno vengono buttate via per far posto alle nuove». Sul perché ciò avvenga e su come si compia il processo di scelta si sono interrogati generazioni di economisti, psicologi, sociologi e filosofi. Ma ben poche domande si pone solitamente il normale cittadino. Eppure gli sarebbe utile sapere, ad esempio, qual è la funzione dei beni che sceglie (Pierre Bourdieu, La distinzione: critica sociale del gusto) o quale visione del sé riflettano (Mary Douglas, Il mondo delle cose). Ma più di tutto sarebbe utile chiedersi sino a che punto sussista un libero arbitrio, prima ancora che nell’esercizio della scelta di un prodotto, nella nostra stessa esistenza. Perché tra varie classificazioni a cui ci sottopongono — consumatore consapevole, consumatore emozionale, consumatore atipico, consumatore difettoso, turboconsumatore — ne spicca una che pare più opprimente delle altre, citata dal filosofo francese Gilles Lipovetsky, il quale sostiene che siamo tutti «essenzialmente consumatori». L’essenza di una cosa, secondo la metafisica aristotelica, è ciò che definisce la cosa stessa. L’essere umano, dunque, viene ridotto a identificarsi con l’atto del consumo o, peggio, a trasformarsi egli stesso in merce. È questo ciò che vogliamo? C’è solo un modo di rispondere. Farsi delle domande. «Consumiamo ogni giorno senza pensare, senza accorgerci che il consumo sta consumando noi e la sostanza del nostro desiderio. È una guerra silenziosa e la stiamo perdendo». Zygmunt Bauman, Consumo, dunque sono.■

A CURA DI CARLO BATTISTELLA DI ADICONSUM VERONA


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PILLOLE DI MAMMA CON UN PO’ DI AMOREVOLE IRONIA

Family Travel Blogger

ovvero come rapportarsi con l’invidia Si avvisano i gentili lettori che, parlando questo mese di Family Travel Blogger, ogni mia considerazione sarà, per lo più, frutto d’invidia che, si sa, è una brutta bestia. A CURA DI SARA AVESANI chiesto come avevo fatto a trasformare la nostra HI SONO LE FAMILY TRAVEL BLOGGERS di tovaglia in formato 3D, tante erano le pieghe. Loro cui sentiamo tanto parlare? Sono mamme o fainvece sono in viaggio, in un camper magari o in miglie che vivono viaggiando insieme ai propri una tenda, a dimostrare la loro grandissima capacifigli, documentando sul web, sui social in particolare, tà di adattamento e sono perfetti… mai un’occhiaia, le loro avventure ed esperienze. Fanno del loro visuna malattia? Ma è realmente cosi? L’ultimo viagsuto un lavoro vero e proprio, guadagnando di fatto, gio che abbiamo fatto, con la storia delle partenze attraverso le sponsorizzazioni. intelligenti, ci siamo alzati alle 4. Secondo voi avevo Se si è viaggiatori è difficile non esserlo anche quando voglia di truccarmi e di farmi una foto? In aereo ne si diventa genitori. Noi ancora ci proviamo ma talvolho fatte alcune ma le mie figlie avevano i capelli talta è difficile ed una buona organizzazione è indispenmente elettrici, a causa dei sedili ultra-sintetici di sabile. Ancora quando indossavo i miei “occhiali da Ryanair, che mi sembrava di essere al liceo quando gravidanza”, credevo che girare il mondo con i bimbi la prof. ci spiegava l’elettrostatica con la pelle di gatfosse una passeggiata, tanto che siamo partiti presto to. Ad una mamma professionista queste cose non con la nostra figlioletta per un tour, rigorosamente succedono. fai da te, delle capitali europee. Vi dico solo che la mia Mi piace tantissimo l’idea dei bambini alla scoperta bimba, a maggio, ha preso un’influenza terribile con del mondo, ma tutto ciò che si vede spesso non è reannessa otite che ci ha tenuto bloccati all’Ibis di Amalistico. Sono sicura avranno anche loro problemi sterdam (l’albergo più vicino all’aeroporto) per ben e disagi, che si guardano bene dal pubblicare sui sotre giorni perché non poteva volare. cial. Lasciatemi dire (le mie amiche Travel Blogger Facendo un’analisi razionale, ritengo che per decidemi perdoneranno) che un po’di egoismo genitoriale re di vivere così, ci vogliano una certa disponibilità c’è: i bambini hanno bisogno di lentezza, di routine economica, tanto tempo o un lavoro estremamente almeno in alcune fasi della loro vita.■ flessibile da gestire da remoto, una “piccola dose di follia” ed una elevatissima sopportazione dello stress. Dimenticavo una cosa basilare: la costanza. Quella di scrivere sul blog, postare, fotografare, realizzare video significativi, divertenti, ogni sacrosanto giorno. Per esempio, ditemi con franchezza quante foto belle siete mai riuscite a fare ai vostri figli? È complicatissimo dai. Per uno scatto decente spesso si deve arrivare a trattare: un lecca lecca, le gommose, una gita a Gardaland. Immaginate di doverne fare più di uno, consecutivamente, con l’autoscatto…no comment! Gli abiti poi, sempre alla moda e stirati: io faccio l’asciugatrice modalità “ripiegare” e le magliette escono stile carta geografica. L’ultima volta mio marito mi ha

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articolo pubbliredazionale

NUOVA PROPOSTA MOVE TRAVEL

SANTIAGO, LA VIA PER LA FELICITÀ 8 – 15 settembre 2019

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ra i sentieri di peregrinazione più famosi al mondo, il Cammino di Santiago è forse il più antico, conosciuto e battuto sin dal medioevo. È lungo 800 km e raggiunge il Santuario di Santiago di Compostela dove si trova la tomba dell'Apostolo Giacomo il Maggiore. Per percorrere a piedi tutto il cammino, o meglio la rotta più famosa che dai Pirenei giunge alla Galizia, occorre un mese. Ma è anche possibile percorrere tratte più brevi, adatte ad ogni gamba. Da quest’anno, Move Travel ha deciso di proporre ai propri amici viaggiatori di percorrere gli ultimi 100 km del Cammino e di farlo con l’aiuto di un esperto, Armando Stevanoni che, negli anni, ha percorso varie volte questo e altri 15 cammini sempre con meta finale Santiago de Compostela. Armando, cosa ci racconti del Cammino? Si parla sempre del mal d’Africa. Io credo di aver preso il mal dei cammini di Santiago. Appena posso, una o due volte l’anno vado e mi cimento in uno di questi, perché

MOVE TRAVEL ORGANIZZA IL VIAGGIO DI GRUPPO DI UNA SETTIMANA CAMMINO DI SANTIAGO 08/09/19 – 15/09/19 13/10/19 – 20/10/19

le vie per Santiago sono molte, una più bella dell’altra e tutte segnate dalla compostela, la conchiglia simbolo del Cammino. Ci sono centinaia di motivazioni differenti che spingono ogni anno migliaia di persone su queste vie: chi lo fa per motivi religiosi, spirituali, chi lo fa per visitare la Spagna settentrionale, chi per motivi culturali e chi, invece, per mettersi alla prova e ritrovare sé stesso. Qualunque sia il motivo, di certo percorrere il Cammino di Santiago è un'esperienza unica: è fatica e meraviglia, partecipazione e solitudine.. A chi può essere rivolta questa proposta di cammino? Si tratta di percorrere solo gli ultimi 100 km, che non sono particolarmente impegnativi e, ciononostante, ti immergono comunque completamente nell’esperienza. L’arrivo a Santiago de Compostela è come un miraggio, ti lascia senza parole. È però necessario un po’ di allenamento, scarpe buone e il piacere di camminare in compagnia, a contatto con la natura: tutti possono affrontarlo. Anche chi l’ha già fatto.

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ANGOLO PET

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CANI, MICI&CO

CRONACHE GATTOFILE

Sono tante le colonie feline di Verona e provincia. Grazie a volontari instancabili come Jonita, e al supporto anche del Comune di Verona, si cerca di fare il possibile per aiutare i mici abbandonati. Da poco si è deciso di creare persino un albo per i gattofili.

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MPAURITO, BUONO O INSELVATICHITO. È il gatto di colonia, animale che ha subìto un destino diverso da quello domestico, a causa, spesso, della crudeltà umana. Le colonie feline sono fondamentali per evitare il randagismo, per controllare i gatti presenti sul territorio e per arrivare a ridurre il numero dei gatti “senza casa” attraverso le adozioni e la sterilizzazione. Gli animali abbandonati, spesso, non sono sterilizzati e portano alla crescita della colonia, (con non poche problematiche di relazione tra i componenti, che comprendono anche suddivisioni gerarchiche rigide spesso atte a decretare o meno la possibilità di sopravvivenza, ndr). Nella provincia, si scorge quasi sempre una donna in sella alla sua bicicletta che macina ogni giorno chilometri di strada, partendo da Verona, per raggiungere i felini della colonia

di Illasi. Si chiama Jonita Dudoriusa, da 10 anni volontaria della colonia illasiana, registrata a suo nome, che ospita più di 50 gatti, su un terreno privato di un concittadino che ha acconsentito. «Nel mio paese, in Lettonia, mio nonno non mi lasciava tenerli in casa, ma quando ne portai uno si sorprese della sua intelligenza, perché chi non li ama è solo perché non li conosce. Nel 2010 sono arrivata a Illasi e proprio davanti casa, i gatti hanno cominciato ad arrivare, formando velocemente una colonia. Una volta che ho cominciato a prendermene cura ho continuato, anche ora che abito in città, e i piccoli, i malati o i più litigiosi, me li portavo a casa. È stato davvero difficile, soprattutto perché avevo un paese contro, e nel 2012, venti esemplari, sono stati anche avvelenati», racconta Jonita, che nonostante le difficoltà ammette «ci sono

A CURA DI INGRID SOMMACAMPAGNA


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Jonita

tanti lati positivi: ho stretto nuove amicizie con persone che mi danno aiuto, perché da sola è davvero dura. Soffrivo anche di depressione e se non avessi avuto questi pelosetti non so dove sarei, perché, per prendermene cura, ho dovuto reinventarmi ogni giorno, scoprendo nel riciclo di materiali la possibilità di creare nuove cose». Non si occupa solo di nutrire gli amici a quattrozampe ma anche degli aspetti legati alle cure sanitarie e alle vaccinazioni. «I gatti li faccio sterilizzare e a coloro che dicono che è contronatura chiedo sempre: “Oggi cos'è rimasto della natura?”», spiega Jonita. A VERONA SONO 150 LE COLONIE FELINE registrate a nome del sindaco Federico Sboarina con settanta coadiuvanti alla loro gestione, iscritti all'albo istituito l'anno scorso dal Comune (progetto Co.Ge.Co.F – Coadiuvanti Gestione Colonie Feline, ndr), che ha così reso possibile una rete di gattofili riconosciuti, per meglio intervenire sul territorio, che partecipano a corsi e ad incontri informativi per restare aggiornati sulle normative (hanno un vero e proprio patentino). Spesso, infatti, il privato cittadino non sa che i gatti liberi e le colonie feline sono tutelati dal Comune ai sensi della Legge n. 281 del 14 agosto 1991 e dalla Legge Regionale n. 60 del 28 dicembre 1993, e vessano i volontari ora supportati istituzionalmente. «Il gatto ha una funzione sociale importantissima, dal punto di vista affettivo e medico, perché il suo amore è adatto sia ad anziani che a bambini con difficoltà di interazione; inoltre, ha una

Simone

funzione importante per il territorio, perché dove ci sono colonie feline non ci sono topi, costituendo così un ambiente salubre e mantenendo in equilibrio il bio-sistema cittadino. Inoltre, un gatto controllato con microchip, sterilizzato e in salute, non dà fastidio, non porta malattie e mantiene una comunità tutelata dalla legge nel suo habitat», spiega Laura Bocchi, consigliere di Verona con delega alla Tutela e benessere degli animali. Il Comune di Verona, inoltre, ha quasi ultimato la procedura di modifica del regolamento del 2010, per la tutela e il benessere degli animali, grazie al confronto, tra tutte le forze che si impegnano con progetti comuni. Prendersi cura del territorio e degli animali è un dovere come lo è segnalare maltrattamenti o animali abbandonati. «Si deve creare una sinergia tra Comune, volontari, associazioni, veterinari, concittadini e tra le amministrazioni della provincia, con eventi per sensibilizzare i giovani a conoscere questo mondo, perché più si aspetta più si rischia di non avere una generazione 2.0 di “gattari”», spiega Simone Pasetto, trentaseienne cat sitter professionista, che tramite Laura Bocchi e alcuni sponsor, vuole realizzare a Parona un centro per mici per supportare le volontarie del luogo.■ Da inizio aprile sul sito del Comune si trova una pagina dedicata alla tutela degli animali www.animali.comune.verona.it

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STORIE DI STORIA 66

LIBERAMENTE ROMANZATE

IL FANCIULLO CON DISEGNO TRA DELUSIONI E SPERANZE

A

MMETTO CHE C’È STATO un momento in cui ho perso la speranza. Per la precisione il diciannove novembre del duemila quindici. È stato come ricevere una coltellata, lì appena sopra il fegato, dove la morte arriva lenta e crudele, lasciandoti tutto il tempo per pensare a quanto di buono (si spera) tu abbia fatto nella vita. Io ho pensato ad un quadro che proprio quel giorno è stato trafugato dal Museo di Castelvecchio insieme ad altre sedici opere di artisti a me cari. Quel quadro, a cui ho dato nome Il fanciullo con disegno, l’ho dipinto nel 1523 e per certi versi, permettetemi di fregiarmi di tal merito, rappresenta un pezzo unico di cui vado molto fiero. «Giovan Francesco — mi dicevano — che ti sei messo in mente?». Non capivano che la mia non era un’eccentricità d’artista ma un progetto ben definito: volevo rappresentare un bambino che soddisfatto, mostrava la sua opera. L’ho dipinto così, girato appena di profilo, come se fosse stato colto di sorpresa e poi felice e trionfante ci mostrasse la sua opera: un pupazzo, un disegno di bambino con le cancellature e tutto il resto. Una tela

molto originale per l’epoca lo ammetto, visto che era assai raro rappresentare un fanciullo come figura autonoma e poi, lo schizzo del protagonista, sembra sia il più antico disegno di un bambino giunto fino ai vostri giorni. Scusate se è poco. Poi però, lo ammetto, la speranza è ritornata. Quel quadro è stato ritrovato nei boschi ucraini ed è stato riportato là dove merita di essere, nel museo della mia città, il Museo di Castelvecchio. Ora fa bella mostra di sé, il mio fanciullo con disegno. È tornato insieme agli altri suoi cugini trafugati quella notte infausta di qualche anno fa. La ferita quindi si è rimarginata. E allora fateci un giro al Museo: ne vale davvero la pena.■ Giovan Francesco Caroto

A CURA DI

MARCO ZANONI


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BELLEZZA AL NATURALE

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SÌ, QUESTA RUBRICA NON CONTIENE PARABENI

L’AVOCADO Da qualche anno l’avocado — originario dei paesi tropicali — ha conquistato con successo le nostre tavole, ma forse non tutti sanno che è un ottimo ingrediente anche per preparare ricette di bellezza.

L’OLIO Un prodotto imprescindibile nella beauty routine infatti è l’olio di avocado, ottenuto dalla spremitura a freddo dei frutti. Poche gocce possono essere usate al posto della crema da notte, specialmente per le pelli spente e mature. La sua funzione, infatti, è quella di ristabilire l’equilibrio idrolipidico della pelle, con effetto elasticizzante e rimpolpante.

LA MASCHERA IDRATANTE L’avocado può essere utilizzato anche per preparare una maschera idratante e rassodante per il viso. Basta mescolare la polpa di mezzo frutto maturo a due cucchiai di miele, aggiungendo anche un uovo per un trattamento più intensivo. Dopo aver applicato sulla pelle del viso pulita e asciutta e aver lasciato riposare 10 minuti, risciacquare abbondantemente.

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IL GLOSSARIO PER CAPIRE COME SI CAMBIA 70

UNA PAROLA PER VOLTA

L'ASSEGNO PER IL LAVORO, SPIEGATO PER TUTTI

La Regione Veneto promuove la realizzazione dell’intervento Assegno per il lavoro che prevede azioni di politica attiva volte ad incrementare l’occupazione di lavoratori attualmente disoccupati.

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’assegno per il lavoro è un titolo di spesa che dà al cittadino disoccupato il diritto di ricevere determinati servizi di assistenza alla collocazione/ricollocazione al lavoro. QUALI SERVIZI ■ Servizi di Informazione, Orientamento e Counseling. ■Servizi di Formazione, per adeguare e rafforzare le competenze professionali esistenti. ■Servizi di supporto all’inserimento/reinserimento lavorativo. COME RICHIEDERE L’ASSEGNO PER IL LAVORO: 1. Per richiedere l'assegno per il lavoro bisogna andare presso il Centro per l’Impiego più vicino. 2. Segue la verifica da parte del Centro per l’Impiego della validità dei requisiti: è richiesta la DID (Dichiarazione di Immediata Disponibilità) 3. Avviene poi il rilascio dell’assegno dal CPI, il cui importo verrà calcolato in base al profilo di occupabilità del singolo destinatario. 4. Il valore dell’assegno per il lavoro varia sulla base della fascia di occupabilità del destinatario e ai tipi di servizi scelti in fase

di adesione al programma e concordato con il CPI. I BENEFICIARI, CHI SONO? L’assegno può essere richiesto da lavoratori di età superiore ai 30 anni, disoccupati beneficiari e non di prestazioni di sostegno al reddito. Nel dettaglio, l’interessato deve presentare almeno una delle seguenti condizioni: ■ Età inferiore ai 50 anni con una disoccupazione o impiego non regolarmente retribuito da almeno 6 mesi ■ Età superiore ai 50 anni, indipendentemente dalla durata della disoccupazione ■ Adulti che, indipendentemente dalla durata della disoccupazione, vivono soli con una o più persone a carico ■ Adulti che, pur non vivendo da soli, sono parte di un nucleo famigliare monoreddito con una o più persone a carico ■ Svantaggiati ai sensi dell’art. 4 comma 1 della legge 381/1991 e s.m.i. ■ Iscrizione alle liste del collocamento mirato (L. 68/99) ■ Non essere in possesso di un diploma di scuola media superiore o di una qualifica professionale.

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CALENDARIO DEL MESE gli eventi di Maggio 2019, secondo noi

01

PIAZZA DEI SAPORI Luogo: Verona Ora: tutto il giorno

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DELITTI, MISTERI E LEGGENDE Luogo: Verona Ora: 10.00

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THE AVIATOR Luogo: Modus Verona Ora: 18.00

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BON MARIAGE Luogo: Modus Verona Ora: 21.15

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a cura di Paola Spolon

NE LA CITTÀ DOLENTE DA L’INFERNO DI DANTE Luogo: Carcere di Montorio Ora: 19.00

SMARTART SANTA MARTA Luogo: Polo Universitario Santa Marta Ora: 11.00

BOLLICINE IN TORRE Luogo: Verona Ora: 17.00

03

SACRA Luogo: Teatro Camploy Ora: 20.45

06

VOCI FUORI Luogo: Piazzetta Carbonai VR Ora: 17.30

09

BEN OTTEWELL Luogo: Cohen Verona Ora: 21.30

12

DANCE OF YOUTH Luogo: Colorificio Kroen Ora: 22.30

legenda MOSTRE/ARTE

CINEMA

LIBRI

MUSEO

SPORT

INCONTRI


73

13

LEZIONI DI VINO Luogo: Signorvino Ora: 19.00

16

100° numero di

Pantheon

14

SCENOGRAFIE D’ESTATE Luogo: Office Store Giustacchini Ora: 18.30

17

5.30 Luogo: Verona Ora: 05.30

20

SPETTRI DEL ROMANTICISMO Luogo: Accademia Filarmonica Ora: 21.00

22

CALLIGRAFIA con Anna Schettin Luogo: Istituto Don Mazza Ora: 14.00

23

TOUR CULTURA & SAPORI Luogo: Verona Ora: 17.30

25

MARCO MENGONI Luogo: Arena di Verona Ora: 21.00

26

19

ETIOPIA. LA BELLEZZA RIVELATA Luogo: Museo di Storia Naturale Verona Ora: 16.00

15

MICHEAL MCDERMOTT feat. ALEX KID GARIAZZO Luogo: Cohen Verona Ora: 21.30

18

WHITE PROJECT BAND Luogo: Teatro Romano Ora: 21.00

21

ROOM Luogo: Modus Verona Ora: 20.30

24

THE BURNING WHISKERS Luogo: Modus Verona Ora: 21.00

27

FRANCESCO RENGA Luogo: Arena di Verona Ora: 21.00

31

non ce lo siamo dimenticati: non ci stava

28

29

DALLA FOTOGRAFIA TRADIZIONALE ALL’IPHONEOGRAPHY Luogo: Biblioteca Civica Ora: 17.00

FIERA

DANZA

MUSICA

FESTIVAL DELLA BELLEZZA Massimo Cacciari e Giancarlo Giannini Luogo: Teatro Romano Ora: 21.30

AMORE

30 CARNEVALE

FESTIVAL DELLA BELLEZZA Michael Nyman Luogo: Teatro Romano Ora: 21.30

TEATRO


in cucina con Nicole

74

Qualche idea sana, golosa (e indolore) per le vostre giornate senzalattesenzauova.ifood.it a cura di NICOLE SCEVAROLI

POLPETTE DI MERLUZZO E MAIONESE Vi lascio un'idea per evitare i “cibi pronti” e preparare a casa polpette e maionese. Ingredienti • 350g merluzzo fresco o scongelato • 1 patata lessa, aglio, prezzemolo, pangrattato • 1 tuorlo d'uovo, sale fino olio di arachide, un cucchiaino di senape Tritate in un frullatore pesce, aglio, prezzemolo e sale. Amalgamate una patata lessa schiacciata. Create delle In questa maionese la senape è indispensabile perché agisce da surfattante permettendo una migliore emulsione. L'olio di arachide va aggiunto a filo, molto lentamente, così da evitare di far impazzire la salsa.

palline, passatele nel pangrattato poi cuocetele in padella. Nel frattempo con un frullatore ad immersione emulsionate il tuorlo con senape e sale, aggiungendo olio di arachide a filo, fino ad ottenere una salsa soda.

Il colore rosa si ottiene aggiungendo un cucchiaio di barbabietola centrifugata o del colorante per alimenti in polvere.

LA SBRICIOLATA ALLE FRAGOLE Una ricetta della mamma che custodisco in un quaderno speciale assieme a tutti quei piatti che scaldano il cuore. Ingredienti • 400g di farina semi integrale (tipo 2) • 150g di zucchero • 100g di burro, a temperatura ambiente • 50ml di acqua • mezza bustina di lievito per dolci Tagliate le fragole. Fatele cuocere per 10 minuti con 100g

Alternativa senza glutine: sostituite la farina semi integrale con 300g di farina di riso e 100g di grano saraceno. Alternativa senza burro: sostituitelo con 70g olio di girasole ed un goccio d'acqua.

di zucchero. Mescolate farina, burro, 50g di zucchero, lievito e acqua. Otterrete un impasto sbricioloso. Sistematene 2/3 sul fondo di una teglia, versate le fragole e poi l'impasto rimasto. In forno a 180 gradi per 40 minuti.


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Godetevi tutto il sapore della freschezza di primavera.

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A CURA DI

ANDREA NALE

78

L'OROSCOPO ALLA NOSTRA MANIERA

21 MARZO - 20 APRILE

ARIETE

Sono state rese pubbliche le prime immagini di un buco nero. Ma non vi hanno deluso? Immagini così banali per una così potente e immensa forza dell’universo. La vostra felicità è stata un buco nero, ultimamente, lontana, irraggiungibile e visibile solo tramite frammenti estremamente deludenti. Dovete imparare a viaggiare nello spazio, non accontentatevi più delle immagini.

23 LUGLIO - 23 AGOSTO

LEONE

Stanno tornando le giornate di sole di maggio, le giornate in cui i raggi pian piano vengono a prendersi il loro spazio per poi conquistare ogni cosa con l’arrivo dell’estate. Siate il vostro sole, vedrete, l’ombra sta per finire, vivrete piccole conquiste quotidiane che ben presto diventeranno il vostro nuovo, immenso splendore.

23 NOVEMBRE - 21 DICEMBRE

SAGITTARIO

Quando state bene il tempo scorre verso di voi lineare, ogni aspetto del futuro è solo lì, da afferrare, attendendone lo scorrere. Quando state male, invece, il tempo sembra un groviglio insormontabile senza via d’uscita e ogni cosa che vi si avvicina sembra un ostacolo di un difficilissimo percorso. Badate a queste definizioni, per scoprire come incasellare il prossimo periodo della vostra vita. Potrà esservi utile per capirne qualcosa in più.

21 APRILE - 20 MAGGIO

TORO

21 MAGGIO - 21 GIUGNO

22 GIUGNO - 22 LUGLIO

Ci sono azioni della vostra vita che sembrano completamente inutili e invece cambiano il mondo. D’altra parte, ci sono sforzi immensi che vi vedo fare senza ottenere nulla, o almeno nulla di sostanzioso. Dovete Imparare, prestissimo, a riconoscere il vostro vero valore e a non sprecare più nessuna energia inutilmente: questa dovrà essere la vostra forza.

Avrete visto le sconcertanti immagini di Notre Dame in fiamme. I simboli come la cattedrale si costruiranno di nuovo, ma quanti simboli della vostra vita sono andati distrutti e mai recuperati? Ci sarà occasione, a breve, di far risorgere dalla cenere questi pezzi di voi andati in fiamme nel corso della vostra storia, siate pronti a riconoscerli.

GEMELLI

Che cos’è per voi l’orgoglio? Secondo me è quella cosa che non vi permetterà mai di abbracciare il mondo nella sua complessità. L’ostacolo finto, pesantissimo e inutile che interferirà in ogni vostra relazione. Nel prossimo periodo dovete prendere le distanze da questo mostro che vi paralizza, in amore soprattutto.

CANCRO

24 AGOSTO - 22 SETTEMBRE

23 SETTEMBRE - 22 OTTOBRE

23 OTTOBRE - 22 NOVEMBRE

Le forze più importanti del mondo, si dice, sono quelle invisibili, quelle capaci di sconvolgere uomini e donne più di qualsiasi cosa palpabile e visibile. Dovete diventare un prisma di rifrazione: visto che queste forze vi stanno sconvolgendo è arrivato il momento di renderle visibili, in ogni sfumatura, agli altri. Siate la testimonianza dell’invisibile.

Nell’ultimo periodo siete stati una raggiera di mondi ed emozioni che non riescono a trovare una sintesi tra loro e diventare semplicemente “voi stessi”. Dovete capire come tenere assieme gli infiniti universi che siete, e che per ora sembrano essere solo un grande susseguirsi di compartimenti stagni. Abbracciate la complessità che vi caratterizza.

Avete visto in tv o sui giornali la giovane Greta Thunberg provare a cambiare il mondo di fronte a platee mediatiche di milioni di persone? Anche voi state per spostare montagne, piccole montagne per l’umanità, immensi macigni per voi e i vostri cari.

VERGINE

BILANCIA

22 DICEMBRE - 20 GENNAIO

CAPRICORNO Di fronte a due case, una con la facciata brutta e una con la facciata bellissima, preferireste abitare in quella bella e far invidia a tutti o abitare in quella brutta ma avere una vista stupenda? Vivete troppo “dentro” alla vostra esistenza, provate a fare lo sforzo mentale di allontanarvi e guardare da fuori quale scelta tra le due avete fatto nella vostra vita. Questa scelta, ancora, si riproporrà a breve.

21 GENNAIO - 19 FEBBRAIO

ACQUARIO

Mi sono sempre chiesto a cosa serva suonare il clacson in coda, quando tutti sono fermi: è solo frustrazione? Ci sono situazioni in cui tutti noi facciamo un gran baccano senza alcun risultato. E voi, Acquario, più di altri ultimamente… riappacificatevi con le vostre forze e l’energia del mondo tornerà a sorridervi.

SCORPIONE

20 FEBBRAIO - 20 MARZO

PESCI

Ormai il famoso motto può essere cambiato in «casa è dove si connette automaticamente il WiFi», e, Pesci, sento che è arrivato un momento in cui gli aspetti più remoti della vostra vita stanno diventando tanto familiari da divenire essenziali. A breve chiamerete casa realtà che neanche immaginate.


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