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EDIZIONE SETTEMBRE 2019
ANNO 11 - NUMERO 08
NUMERO CENTOTRE
PANTHEON
RONNIE QUINTARELLI
IL VERONESE IDOLO IN GIAPPONE Dalla Lessinia al Paese del Sol Levante - dove ora è osannato - per inseguire una sua passione: i motori. Quattro Titoli nella competizione di motorsport più prestigiosa del Continente asiatico, il Super GT, ed è un record assoluto. Il pilota ufficiale Nissan Nismo, che ha da poco spento le 40 candeline, ha sempre chiaro il suo obiettivo: il quinto sigillo.
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SETTEMBRE 2019
DI MATTEO
SCOLARI
EDITORIALE
Siamo sicuri che quello che serva al nostro Paese, in questo momento, sia il taglio delle “poltrone”? Mi capita raramente di scrivere dei meandri intricati della politica italiana su questo spazio del giornale, di solito riservato a temi di carattere locale. Tuttavia l’aria pesante del mese di agosto appena concluso l’abbiamo respirata più o meno tutti. Anche coloro che hanno scarso interesse nei confronti delle vicende di Palazzo, in cui si gioca – ed è bene ricordarlo - il futuro di noi cittadini e della nostra Italia.
Il cosiddetto Rosatellum disincentiva la rappresentanza diretta: dai collegi uninominali, con le liste bloccate, scelte da logiche di partito e non di criterio meritevole per le attività svolte sul territorio, escono quasi il 65 per cento dei nostri parlamentari. Certo, li sentiamo molto vicini grazie ai social, sono una presenza mediatica quotidiana, costante, famigliare, ma siamo a tutti gli effetti un pubblico passivo, che al limite clicca, condivide, scrive post su Facebook o su Twitter, orfano però della possibilità di tradurre istanze concrete e urgenti in politica.
La proposta di legge del Movimento 5 Stelle relativa al taglio del numero di parlamentari, il cosiddetto “tagliapoltrone”, mainstream degli ultimi mesi, condiviso in lungo e in largo da diverse forze politiche (Dem e Lega in primis), è uno dei temi centrali dell’ultima crisi di governo che ha portato al ribaltone che tutti conosciamo. Secondo i promotori della riforma, che prevede un iter lungo e articolato - ora in sospeso per il cambio dell’Esecutivo -, il taglio farebbe scendere il numero di deputati da 630 a 400 e di senatori da 315 a 200, con un risparmio di 100 milioni di Euro l’anno, mezzo miliardo a Legislatura.
Dovremmo chiederci piuttosto se chi è seduto su quelle sedie - che siano 200, 600, 1000 non importa – abbia realmente a cuore il destino di una nazione che sta arrancando, soffrendo incredibilmente sotto ogni punto di vista, che non ha un orizzonte sufficientemente lungo per sperare in una crescita economica, morale, civile. Le ultime indicazioni fornite dall’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, ci dicono che nel secondo trimestre del 2019 l’Italia è ferma al palo, a quota zero, per quanto riguarda l’incremento del Pil (Prodotto interno loro): siamo maglia nera in Europa.
Nessuno di noi butta via soldi, per carità, ma pensando ai tagli ben più consistenti che hanno riguardato negli ultimi anni la scuola, la sanità pubblica, la sicurezza, la giustizia…la questione delle poltrone sembra il male minore di cui discutere.
Quanto possiamo e quanto vogliamo continuare ancora ad essere spettatori inermi di fronte a quello che di fatto è diventato uno spettacolo degno di una soap opera di basso rango?
Quello che ci dovrebbe far pensare non è quanti rappresentanti abbiamo a Montecitorio o a Palazzo Madama, ma quali rappresentanti abbiamo. Ci illudiamo di poter intervenire su questo punto, sulla rappresentatività istituzionale, ma se diamo uno sguardo all’attuale legge elettorale, ci accorgiamo che è solo un’illusione.
La politica ci ha sempre abituati al teatrino, ma almeno una volta c’erano tracce di coerenza, ardore e dignità.
IL POLITICO DIVENTA UOMO DI STATO QUANDO INIZIA A PENSARE ALLE PROSSIME GENERAZIONI INVECE CHE ALLE PROSSIME ELEZIONI. matteo.scolari@veronanetwork.it @ScolariMatteo
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REGISTRAZIONE TRIBUNALE DI VERONA N.1792 DEL 5/4/2008 - NUMERO CHIUSO IN REDAZIONE IL 28/05/2019
Indice
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IL FIORE DELL’ARTE
58
IN CUCUNA
6
IN COPERTINA
IN COPERTINA/2
59
BELLEZZA
12
A TU PER TU
60
FORZA
64
PILLOLE
20
GIOVANI E MONTAGNA
68
STORIE
24
FILM FESTIVAL DELLA LESSINIA
32
PROGETTO WELFCARE
70
ANGOLO PET
78
L’OROSCOPO
34
TELEVISIONE
38
TOCATì
40
TRADIZIONE
46
SUL TETTO DEL MONDO
RONNIE QUINTARELLI, IDOLO IN GIAPPONE AL NATURALE
LA STORIA DI VITA, E SPORTIVA, DI SIBI SHEIK BELLEZZA
CON FRANCO ARMINIO DI MAMMA
LETIZIA FILIPPINI, UNA BRESCIANA IN LESSINIA DI STORIA
L'OMAGGIO A FRANCO PIAVOLI
L'INIZIATIVA RACCONTATA DAGLI AMICI DI SALMON
DUE CHIACCHERE CON IL VINCITORE DI "QUATTRO HOTEL" M
...E IL GRANDE GIOCO DELLA MUSICA
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16
CON NICOLE
MAURIZIO GIOCO E I SUOI BURATTINI
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DIRETTORE RESPONSABILE MATTEO SCOLARI DIREZIONE EDITORIALE MIRYAM SCANDOLA
REDAZIONE E COLLABORATORI
REDAZIONE MATTEO SCOLARI, MIRYAM SCANDOLA, MARCO MENINI, GIORGIA PRETI, ALESSANDRO BONFANTE, CAMILLA FACCINI HANNO COLLABORATO AL NUMERO DI SETTEMBRE 2019 SARA AVESANI, CARLO BATTISTELLA, MARTA BICEGO, MICHELA CANTERI, CLAUDIA BUCCOLA, DANIELA CAVALLO, EMILIANO GALATI, FEDERICA LAVARINI, FRANCESCA MAULI, ANDREA NALE, EMANUELE PEZZO, ERIKA PRANDI, NICOLE SCEVAROLI, ALESSANDRA SCOLARI, INGRID SOMMACAMPAGNA, PAOLA SPOLON, GIULIA ZAMPIERI, MARCO ZANONI. FOTO DI COPERTINA MASAKATSU SATO PROGETTO GRAFICO SIMONE ZAMPIERI SOCIETÀ EDITRICE INFOVAL S.R.L. REDAZIONE VIA TORRICELLI, 37 (ZAI-VERONA) - P.IVA: 03755460239 - TEL. 045.8650746 - FAX. 045.8762601 MAIL: REDAZIONE@VERONANETWORK.IT - WEB: WWW.GIORNALEPANTHEON.IT FACEBOOK: /PANTHEONVERONANETWORK - TWITTER: @PANTHEONVERONA - INSTAGRAM: PANTHEONMAGAZINE UFFICIO COMMERCIALE: 045 8650746 STAMPATO DA: ROTOPRESS INTERNATIONAL SRL - VIA BRECCE – 60025 LORETO (AN) - TEL. 071 974751 VIA E. MATTEI, 106 – 40138 BOLOGNA – TEL. 051 4592111
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IN COPERTINA – RONNIE QUINTARELLI
Quintarelli impegnato a firmare autografi. (©Masakatsu Sato)
«CERCO SEMPRE LA VITTORIA, CHE SIA UNA PARTITA A CARTE O UNA GARA DI SUPER GT» Ha conquistato quattro Campionati di Super GT (record in solitario) ed è salito 14 volte sul podio più alto della competizione regina del settore motorsport. A quarant’anni appena compiuti, il pilota veronese, originario di Sant’Anna d’Alfaedo, è più carico che mai, determinato a raggiungere il quinto sigillo, che lo consegnerebbe definitivamente alla storia di questo sport.
L DI MATTEO SCOLARI
o incontriamo un pomeriggio di metà luglio all’ombra del campanile del suo paese natale, Sant’Anna d’Alfaedo, alla vigilia di un evento che gli amici d’infanzia gli dedicano da sei anni a questa parte: Motori in Piazza. Tra una gara e l’altra del Super GT, il campionato automobilistico di riferimento per il settore motorsport a livello internazionale, Ronnie Quintarelli trova il tempo, almeno una volta all’anno, di tornare a casa, in Italia, in famiglia, su quelle montagne della Lessinia che l’hanno visto partire con un biglietto di sola andata verso il Giappone nel lontano 2003. Della sua terra, dei suoi affetti e della sua “gente” il pilota ufficiale della Nissan Nismo non si è mai dimenticato. Nemmeno quando i suc-
cessi in gara e i titoli conquistati – quattro, ed è un primato assoluto – gli hanno consegnato nel Paese del Sol Levante una popolarità a dir poco stellare. Classe 1979 (40 anni lo scorso 9 agosto), cresciuto con il mito di Ayrton Senna, suo idolo, di cui porta una collanina al collo, Quintarel-
Ronnie assieme agli amici d'infanzia
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(©Masakatsu Sato)
li ha sempre mantenuto i piedi per terra e un atteggiamento di rara umiltà. Ad uno sguardo mite e ai suoi modi sempre gentili, il pilota veronese abbina una determinazione e una capacità di concentrazione tipiche dei grandi campioni dello sport. Dagli inizi con il kart nei primi anni Novanta, ai successi in Formula 3 e in Super GT, il suo karma sportivo è sempre stato lo stesso: dare il massimo per vincere. Quintarelli, è ritornato ancora una volta, nonostante i tanti impegni professionali, per ricevere un nuovo abbraccio dalla comunità di Sant’Anna e veronese. Ci tiene molto, vero? Sono quasi 17 anni che vivo in Giappone, ma qui ci sono le mie radici. Non mi sono mai dimenticato della mia gente e, cosa più importante, la mia gente non si è mai dimenticata di me. C’è un gruppo di amici storici, capitanati dal presidente del Fan Club, Denis Marconi, che sono speciali, ci mettono sempre tanta passione nell’organizzare questo appuntamento per grandi e piccini. Un gesto che apprezzo tantissimo. Tornare per me è un dovere. Com’è il passaggio da una metropoli da quasi 10 milioni di abitanti, Tokyo, a un paesino di 2500 in Lessinia? Due contesti in cui le differenze culturali e gli stili di vita non sono paragonabili, tuttavia già dal primo giorno, quando atterro e rivedo i miei amici d’infanzia, riesco a “switchare” (cambiare, ndr) in fretta. In entrambi i casi riesco ad essere me stesso e a sentirmi felice, e per me questo è quello che conta. Perché il Giappone? Avevo 15 anni, correvo per un team di kart italiano e ho preso al balzo l’occasione di andare a Suzuka per una gara di Coppa del Mondo. Sono rimasto là qualche giorno ed è lì che è scattato qualcosa. Poi ci sono ritornato anni dopo con la Formula 3, senza più tornare indietro.
Ronnie Quintarelli con il compagno di squadra Tsugio Matsuda.
Differenze? Lo spazio quotidiano che i giapponesi dedicano al lavoro. C’è una parola, “shigoto” (impiego, ndr). Quando viene pronunciata, passa tutto in secondo piano. È al primo posto delle priorità. Pregi? Il rispetto per le persone, per le regole, per il bene comune. La parola. Quanto vale una parola. Quando non la si rispetta ci si trova davanti a un grave affronto. Anche la gentilezza, ad esempio nei confronti dei turisti, la puntualità, la precisione. Nel Paese del Sol Levante lei è un idolo sportivo. Cosa le ha dato la popolarità? Quali responsabilità? Mi ha dato una consapevolezza: quello che costruiamo con fatica in tanti anni, può essere vanificato in pochi secondi. La rigidità delle regole in Giappone impone una certa formalità, e lo trovo corretto. In questo momento rappresento una casa automobilistica importante, uno staff di professionisti seri, un brand conosciuto a livello mondiale. È giusto avere tatto e attenzione. Nello sport esiste la riconoscenza? Nello sport è facile essere osannati quando si vince, quanto dimenticati o messi in disparte quando non arrivano le prestazioni. I risultati acquisiti sul campo, tuttavia, rimangono, ma mai pensare di essere arrivati, mai adagiarsi. Almeno questa è la mia filosofia.
Cosa piace di noi ai giapponesi? Il Made in Italy, ne sono i primi estimatori a livello mondiale. Devo dire che anche gli italiani, da dieci anni a questa parte, hanno intensificato le visite e i viaggi nel Paese asiatico, e questo mi fa molto piacere.
Quattro titoli di Super GT in cinque anni, dal 2011 a 2015, poi un terzo, un secondo e un ottavo posto, nella stagione scorsa. È diventato più difficile vincere? Il livello generale si è alzato. Nismo rimane il riferimento per il motorsport in Giappone. Il reparto corse della Nissan è storico ed è quello che ha più tifosi in questo Paese. Qui si lavora 8
A sinistra: Quintarelli e la monoposto del Team INGING, vincitori in Giappone del Campioanto 2004 di Formula 3. Per l'Italia è stato il primo Titolo conquistato in questa categoria.
(©Masakatsu Sato)
La Nissan GT-R Nismo numero 23 in pista. Sullo sfondo il Monte Fuji, simbolo del Giappone.
con il cuore, senza sofisticazioni politiche. In questi anni è stato proprio il cuore, nel caso dei successi, ma anche dei piazzamenti, a fare la differenza per ridurre il gap contro i colossi Honda o Lexus. Cosa intende? Dalla fine degli anni Novanta, Nissan condivide a metà con Renault l’azione commerciale sul mercato globale. Nel settore sport ci sono fondi destinati alla Formula 1, alla Formula E, al Super GT. Equilibri finanziari diversi rispetto alle case interamente giapponesi che ho citato prima e che possono concentrare le loro risorse in un’unica direzione, o quasi.
un risultato straordinario. Per me un po’ meno: dopo aver vinto quattro Titoli, parto sempre per agguantare il quinto. Anche quest’anno avevate iniziato bene… Due secondi posti, a Okayama e sul circuito di Fuji. Poi il ritiro per guai tecnici a Suzuka nella terza gara, un undicesimo posto in Thailandia su una pista a noi tradizionalmente ostica e di nuovo sul podio, terzi, ancora a Fuji. Mancano tre gare, la prossima, 7 e 8 settembre all’autodromo di Autopolis. Ce la metteremo tutta. Al Fuji, con la conquista della Pole, ha spento le 40 candeline con una torta a sorpresa. Sta ini-
Vi sentite inferiori tecnicamente a Honda e Lexus? In questo momento sono davanti, ma siamo comunque competitivi. Il 2018 è stato il primo anno dal 2009 in cui non sono stato in lotta all’ultima gara per il Titolo finale. Per me è stata una grossa delusione. Anche perché avevamo iniziato molto bene, con una vittoria, e poi il declino. Siamo arrivati scarichi, senza forze. Tra l’altro siete scesi in pista all’ultima gara sapendo che era inutile ai fini della classifica… Per alcuni piloti vincere anche solo una gara è (©NISMO)
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In basso: Ronnie festeggia il compleanno nel paddock della Nissan assieme al team.
(©Masakatsu Sato)
ziando a fare i conti anche con l’età? Non ci sto pensando. Il 9 agosto ho compiuto gli “anta”, e per me questo è un ulteriore stimolo per fare meglio. Grazie anche all’aiuto di un coach personale, ogni anno cerco di limare il più possibile e di curare sempre di più i dettagli con un costante lavoro quotidiano. Per me è una sfida, lo faccio con piacere. Lo sforzo alla guida della monoposto è faticoso? Le macchine del Super GT sono le gran turismo più veloci al mondo. A Okayama abbiamo registrato tempi con i quali nel 1995 saremmo arrivati a metà classifica nel GP di Formula 1. Portare la Nissan Nismo al limite non è facile, soprattutto controllare la velocità in curva: i tempi di reazione rappresentano il tallone d’Achille per molti piloti della mia età. Come si prepara? Tanto allenamento fisico, dal mattino presto alla sera ho un programma dettagliato da seguire. E devo fare attenzione a molte cose, dal peso corporeo allo stretching per la vista, che non deve mai mancare. Cosa significa per lei migliorare, oltre alle prestazioni fisiche? Innanzitutto vincere il quinto Titolo, sarebbe difficile eguagliare poi questo eventuale altro primato. Poi migliorare la classifica delle Pole, attualmente sono secondo, anche se distante dalla prima posizione, e sono quarto nella graduatoria dei successi personali, 14 contro i 20 del mio collega Matsuda, che si trova in testa. Che sia giocare a carte o una gara di super GT, cerco sempre la vittoria. Sappiamo che ha provato in pista la Ferrari di Nigel Mansell, anche se il suo mito è Senna. Sono nato con il mito di Ayrton, con la sua McLaren Honda bianca e arancione con lo sponsor Marlboro. La Ferrari, tra gli anni Ottanta e Novanta, era la macchina che faceva fatica, con Mansell, Prost, Berger. Tuttavia sono salito su una F1 che nel 1989, nel GP d’Ungheria, ha lottato con il mio mito. Già questo pensiero mi ha dato un’adrenalina incredibile.
Il 23 giugno 2016 Quintarelli ha ricevuto l'Onorificenza di Cavaliere Ufficiale della Stella d'Italia per il suo impegno nella raccolta fondi per i terremotati giapponesi. Nella foto Ronnie insieme ai figli Leo e Luna, la moglie Emi e l'Ambasciatore italiano a Tokyo di allora, Domenico Giorgi.
Com’era la “rossa” alla guida? Tanti cavalli, 12 cilindri, un urlo del motore da paura. Macchina di per sé rivoluzionaria perché aveva introdotto il cambio semiautomatico al volante. In molti l’avrebbero vista bene anche in F1 e c’era andato vicino. Ha qualche rimpianto? No. La Formula 1 è il campionato di riferimento in Europa. Ci sono 20 posti per piloti che vengono da tutto il mondo. Io sono partito da zero, grazie all’impegno e allo sforzo della mia famiglia, in primis dei miei genitori che ringrazio, cosi come le mie sorelle. Se avessi iniziato con una strategia e con qualcuno alle spalle, probabilmente, avrei potuto giocarmela, e, senza falsa modestia, competere per il Titolo. Ma sono contento del percorso che ho fatto qui in Giappone. Il kart? Grande palestra. Quelli che vanno forte con questo mezzo, vanno forte anche in macchina. Mi confronto tuttora in pista con ragazzi di 13 o 14 anni, mi serve per capire quanto gap fisico mi distanzia da loro. Cercare di spingere con il kart, che è massacrante, mi permette di migliorare. Lei ha due bimbi. La seguono nel suo lavoro? Luna e Leo vengono sempre alle gare assieme a mia moglie Emi. Sono molto severi ed esigenti con me. Mi sono di grande aiuto. A proposito di Emi, vi siete conosciuti in un talk show televisivo, giusto? Sì, era spettatrice tra il pubblico. È stata la mia vittoria più grande. ■ 10
A sinistra: gli esordi sul kart, qui nel 1991. Quintarelli nel 1999 è stato Campione europeo e nel 2002 Vicecampione del Mondo.
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IN COPERTINA/2 - SIBI SHEIK
DALL’INFERNO DEL MEDITERRANEO AL PARADISO DELLA NAZIONALE (©Foto Liborio)
Il giovane portiere della Virtus Verona, arrivato in Italia nel 2015 su un barcone “della speranza”, è stato convocato per la seconda volta con la sua Nazionale, il Gambia. A differenza della prima, avvenuta lo scorso giugno in occasione di due amichevoli, il 6 e il 10 settembre prossimi sarà sfida ufficiale, contro l’Angola, per le qualificazioni mondiali in Qatar.
A
gile, reattivo, sempre pronto all’intervento, a una parata. Alle parole Sibi Sheik, portiere della Virtus Verona, preferisce il gesto atletico eseguito sul campo. Lo incontriamo un venerdì pomeriggio, appena terminato un allenamento. Ci capiamo, un po’ in inglese, un po’ in italiano. È emozionato, lo intuiamo da come agita le mani. Nei suoi occhi la grande felicità per una seconda chiamata, questa volta più importante perché valida per le qualificazioni al Mondiale del 2022, con la Nazionale del suo Paese, il Gambia. Una notizia già bella per un giovane calciatore di 21 anni, che diventa speciale se pensiamo che Sibi è arrivato in Italia quattro anni fa a bordo di un barcone. Raggiunta Lampedusa, Sibi viene
assegnato al Centro di accoglienza Costagrande di Verona. Siamo nel 2015. È da lì Sibi si fa notare per le sue doti sportive e viene segnalato a Luigi Fresco, presidente e allenatore della Virtus Verona. “Gigi” decide di dargli una possibilità, il resto, ora, lo conosciamo. Sibi, partiamo dalle novità. Lei è stato convocato dalla Nazionale del Gambia, in palio ci sono le qualificazioni ai Mondiali 2022. È felice? Sì, sono molto felice. È il sogno di ogni calciatore quello di rappresentare il proprio Paese. In realtà è la seconda volta in Nazionale, sono stato convocato circa tre mesi fa in occasione di due amichevoli contro Guinea e Marocco. Questa volta giocheremo due partite ufficiali con 12
DI CAMILLA FACCINI
l’Angola (il 6 e il 10 settembre, ndr). Non sarà facile, se guardiamo il ranking FIFA la squadra avversaria occupa una posizione molto buona. Qual è la sua relazione con il Gambia? Come vive il rapporto con la sua terra dopo averla lasciata? Amo la mia terra, amo la squadra nazionale. Ci sono alcuni compagni con cui giocavo da piccolo e ritrovarli adesso è una sensazione fantastica. L’ho lasciata, certo, ma tornare indietro e rappresentarla significa davvero molto anche perché là c’è la mia famiglia. Quando li ho rivisti, dopo tre anni dalla mia partenza, ho pensato che finalmente tutto andava bene. Sfatiamo falsi miti e chiacchiere facili. Perché una persona decide di abbandonare la propria casa, la propria terra, i propri affetti? Lo si fa per ragioni molto diverse. Personalmente, quando ero in Gambia, pensavo a quanto fosse grande il mondo, a quante possibilità mi stavo perdendo restando dov’ero. Volevo vedere, conoscere, imparare. Alcuni poi lasciano la loro terra a causa delle loro origini o per problemi familiari, altri ancora per ragioni politiche o religiose. Io ho lasciato il Gambia perché là non potevo fare molto, adesso lo rappresento con la maglia della Nazionale e so di poter fare qualcosa per il mio Paese. Ha mai avuto il timore di non poter più rivedere i suoi cari? Si, l’ho avuta quando stavo attraversando il deserto. La gente intorno a te muore, alcune persone non ce la fanno. Lì ho avuto dei rimpianti. Quando sono sbarcato in Italia, invece, ero felicissimo: ero vivo, ce l’avevo fatta. È stato come passare dalle fiamme dell’Inferno al Paradiso. (©Foto Liborio)
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cresciuto come persona, sono maturato, sono diventato parte di un gruppo. Il primo anno mi allenavo e basta, ero ancora un immigrato irregolare e senza documenti. Non potevo giocare. Grazie al contratto da calciatore professionista ora posso rimanere in Italia: ho un permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, ma presto lo cambierò in un permesso per motivi di lavoro. Questo anche in vista delle prossime novità, perché tra pochi mesi diventerò papà! ■ (©Foto Liborio)
Quanto ha aspettato prima di imbarcarsi? Ho dovuto passare 8 mesi in Libia, e lì avevo sempre paura. Ero senza documenti, senza niente, e ovunque andassi dovevo sempre stare attento alla polizia o a malintenzionati. Ho lavorato come imbianchino, avevo fatto un patto con un uomo: due mesi di lavoro gratis e poi lui mi avrebbe pagato la traversata. Alla fine ho lavorato per lui più di 5 mesi, non voleva più lasciarmi andare perché ero diventato il suo braccio destro, ho dovuto fare grandi pressioni su di lui. Ricorda il momento della partenza? Ricordo solo che una notte l’uomo bussò alla mia porta e mi disse “parti stanotte”. Ha guidato quasi due ore per portarmi al porto e lì sono stato caricato sulla barca. Quando poi, io e le altre persone, siamo stati soccorsi, quando ho lasciato vivo quella barca, ho provato la sensazione più bella di tutta la mia vita. Ho pregato Dio (Sibi è musulmano, ndr) e l’ho ringraziato. Ora sono qui, sto seguendo i miei sogni e tutto va nel verso giusto. Cosa rappresenta per lei la Virtus? La Virtus è tutto per me. È stata la mia prima squadra una volta arrivato in Italia, qui ho imparato tutto. È qualcosa che non potevo neanche immaginare. Grazie alla società sono
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A TU PER TU CON IL PAESOLOGO FRANCO ARMINIO
IN OGNI POETICA C’È UN RISCHIO Sarebbe stato un poeta lo stesso, anche se non fosse nato a Bisaccia, piccolo paesino della Campania dove vive ancora, in una casa con il balcone che non lascerà mai. «Ma avrei avuto una postura diversa, il paesaggio mi ha lavorato l’indole». Ora che i suoi libri vendono migliaia di copie, non lo preoccupa finire cambiato dalla notorietà, perché a salvarlo c’è una sotterranea ortodossia, «c’è il mio spavento», lo scandalo di sapere che possiamo morire in ogni istante.
I
ncidono le sue frasi, che siano estratte dai libri o dono immediato sui social, sono soste interne, «pause dentro», innegabile poesia. Franco Arminio è diventato famoso negli ultimi anni. Vendono, e anche tanto, i suoi libri che sono liriche sulla morte, l’amore, i paesi. Lì, in quell’Italia «che chiamano minore ma che è maggiore», porta i suoi festival, rivoluzioni poetiche inammissibili da concepire perché c’è poca abitudine alle necessità interiori: letture di Giorgio Caproni in ginocchio per le strade, musiche inventate e suonate nelle piazze più strette, piccole liturgie laiche di bellezza. Sono gli ingredienti di una medicina provvisoria, l’unica possibile, per «quell’autismo corale» che sembra il destino contemporaneo di tanti, se non di tutti. La chiama festa della paesologia, e l’ultima in ordine di tempo si è tenuta ad Aliano, vicino a Matera, a fine agosto, in un mucchietto di case baciate dalla natura dei calanchi. «Gli stupidi di questo tempo non credono ai paesi, ci vogliono spiriti grandi per farsi rigare l'anima dal vento e dal silenzio».
I luoghi per lei hanno una forza antica, rendono possibili gli incontri. Ma come ricorda Pavese, non è certo attendendo nella piazza deserta che si incontra qualcuno. Davanti a market trentennali che chiudono e ai letti freddi della spopolazione, la domanda è una: chi resta sa custodire i paesi? I paesani sono colpevoli deboli. Sono paesanologi non paesologi, vivono del passato del loro paese, non ne parlano al presente. Per guarire i paesi, bisogna guardarli da vicino e da lontano: ci vuole un rapporto di intimità e distanza. Facciamo degli esempi. L’Umanesimo delle montagne, teorizzato anche in uno dei suoi ultimi lavori, L’Italia Profonda, da cosa muove? I governi devono capire che c’è un'Italia che rischia l’estinzione. Serve cambiare il pensiero; fare le politiche prima nei paesi e poi nelle città. Portare la fibra ottica prima in Lessinia e poi a Verona, prima a Bisaccia e poi ad Avellino. Altrimenti è il suicidio della nazione, del suo patrimonio edilizio che muore senza che venga 16
DI MIRYAM SCANDOLA
PENSA CHE SI MUORE E CHE PRIMA DI MORIRE TUTTI HANNO DIRITTO AD UN ATTIMO DI BENE. fatto niente per riattivarlo. Si parla di Italia minore in confronto a Roma e a Milano, quando è nei paesi che c’è l’Italia maggiore, quella del silenzio, dell’aria migliore, della luce. «Cominciate la grande migrazione al contrario: qui avete una cosa vuota che vi aspetta, la casa che vostro nonno ha costruito coi soldi dell’emigrazione: voi qui potete accendere la vita». Lei esorta spesso i ragazzi a non lasciare il Sud, a non abbandonare la dimensione paesana. Come si può dire a un giovane, a un figlio che l’orizzonte di un paese può bastargli? Dipende dal giovane, dal tipo di progetto di vita che ha un ragazzo. Non esistono solo Londra e Berlino come non si può solo lavorare di chiacchiere, qualcuno deve abitare la terra. Il problema è che si è svalutato il ruolo di chi sta nei campi. Serve una diceria che sottolinei il contrario, che ne dica il prestigio. Non ha paura di scadere nella retorica bucolica e di essere scambiato per una sorta di guru alla moda? In ogni poetica c’è un rischio. Mi rendo conto che nella paesologia ci sia una componente equivocabile. Qualcuno ci crede meglio di quel-
lo che siamo, altri ci scambiano per il peggio. C’è, come in ogni cosa, una messa a fuoco parziale. Io non mi sento un leader, ci ho provato con la politica ma non ci sono tagliato. Sono affannato, malinconico, scomposto, non ho certezze, dico cose disperse. Il mio pensiero cuneiforme, che è sempre attraversato dalla morte, dal suo scandalo, mi salva dal pericolo di diventare un feticcio.
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Il pensiero della morte è anche la sua spinta per cercare il sacro in ciò che è più semplice. Spesso ha definito la sua scrittura come una scrittura religiosa... Io sono intimamente perplesso e la mia scrittura è la mistica che affina questi dubbi. Io ho questo spavento, la consapevolezza che si può morire anche lì, mangiando un gelato, e se riesco a darci una forma bella, amata, che arriva alla gente, allora va bene. Non ho risolto la faccenda, però qualcosa è successo. Condivide i suoi versi su Facebook e Instagram, dove possono essere immediatamente fraintesi, condivisi ma non meditati. L’ha detto lei che i social proliferano sulla suggestione. Come possono ospitare la profondità? Le mie parole sono spesso equivocate perché lo strumento è quello che è, banale, esitante. Sono come un contadino che vende direttamente le sue verdure in piazza. In rete metto i miei prodotti di giornata e corro il rischio di essere onesto.
Franco Arminio, in breve Nato nel 1960 a Bisaccia, in Irpinia, Arminio è prima di tutto un poeta, un cantore della fragilità e del silenzio. Si fa chiamare “paesologo” e in questa veste gira l’Italia con incontri e reading. Collabora di frequente con le maggiori testate italiane (Corriere della Sera, Il Fatto Quotidiano ecc). Nel 2015 ha fondato a Trevico la Casa della Paesologia, uno spazio anche fisico dove mandare avanti la sua riflessione sui paesi. Una riflessione che è soprattutto provocazione lirica. «Mettere al centro la poesia cambia molte cose, significa mettere al centro della vita la morte, la morte non è una faccenda di un giorno solo, è la faccenda di ogni giorno, la morte muove l’anima».
Cosa dice l’Arminio di oggi a quello di ieri, poeta amato ma meno famoso? Sono sempre la stessa creta, anche se molti mi hanno lasciato. Oggi prendo tre lettori e ne perdo due che avevo. C’è questa cosa del “volevo amarlo solo io e ora che lo amate anche voi a me non piace più.” Ha ideato il 15 settembre dell’anno scorso l’Assalto alla Poesia, una giornata dedicata all’acquisto di libri di poesia, perché «senza la passione metafisica, l’uomo si ammala»... Quest’anno si farà più avanti, non so ancora bene quando. Ma serve, come serve un fervore collettivo. Oggi c’è una grande depressione che tocca tutti, una miseria spirituale. La poesia comunitaria può diventare una vitamina. A livello provvisorio, si può sentirsi un po’ guariti. Sarebbe stato un poeta anche se non fosse nato in un paese? Io scrivo poesie da quando avevo 16 anni. Mia madre e mio padre mi hanno consegnato un assetto. L’avrei avuto anche in una grande città, ma l’indole me l’ha lavorata il paesaggio, mi ha dato un’altra postura. Ma non mi piace fare la gara delle identità, dei territori. Si può essere poeti ovunque, non è una faccenda di spazi ma di luce e di silenzio. Perché allora continua ad abitare a Bisaccia? Si può stare anche dove si soffre. ■ A Verona il 14 Settembre Franco Arminio sarà a Bovolone sabato 14 settembre, ore 17.30, nel Parco Naturale Valle del Menago. Parlerà del suo libro Cedi la strada agli alberi e della sacralità di luoghi all’interno del cartellone composito di Dentro il Parco Festival. L’ingresso è libero.
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LETIZIA E LA SUA INDAGINE TRA GLI ALTI PASCOLI
(©Marco Malvezzi)
UNA BRESCIANA CON LA MONTAGNA (E LA LESSINIA) NEL CUORE
Da Brescia alla Valle Camonica e poi dritta fino a Verona, mossa da un amore sconfinato per la natura. È questo l’inizio dell’avventura di Letizia Filippini, laureata in Valorizzazione e tutela dell'ambiente e del territorio montano all’Università della Montagna di Edolo e laureanda in Scienze Ambientali e forestali all’Università di Torino, che da fine marzo si è trasferita nel territorio veronese, per portare a termine una ricerca sulla Lessinia e la (complicata) convivenza tra allevatori e lupi.
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e è vero che non è la destinazione, ma il viaggio che conta, quello di Letizia - bresciana doc, classe ’93 - è partito piuttosto da lontano. In principio, infatti, ci fu la scelta universitaria, tutt’altro che convenzionale: l’Università della Montagna di Edolo, un piccolo paese dell’alta Valle Camonica. «Ho frequentato a Brescia il liceo Socio-psico pedagogico. – ci racconta Letizia - Ma la passione per la montagna l’ho sempre avuta, sono anche capo scout. Finita la quinta superiore ero più indirizzata verso l’ambito matematico, finché mia mamma su internet ha trovato l’Università della Montagna: sono andata all’open day e mi è piaciuta subito». Dopo la laurea triennale Letizia ha intrapreso la specializzazione in Scienze Ambientali e Forestali a Torino, che sta portando a termine. Ora i sogni nel cassetto sono tanti: dal diventare una guida escursionistica naturalistica a collaborare con le scuole, fino ad aprire un agriturismo. Ed
è da qui che parte il viaggio di Letizia verso Verona, in particolare a Sant’Ambrogio di Valpolicella, dove insieme a qualche compagno di corso ha scelto di “mettere una spunta” sulla lista dei desideri: «Siamo riusciti a fondare quest’anno una società agricola, la “Balinot”, che è un vento del lago di Garda. Per ora abbiamo un castagneto a Serle e aggiungeremo nell’anno che verrà un vigneto e un terreno a Sant’Ambrogio. Il lago è il nostro punto di riferimento». Da Sant’Ambrogio, il passo successivo è stata la montagna, stavolta quella veronese, dove presto Letizia inizierà un tirocinio all’interno del progetto Alti Pascoli della Lessinia: «Un mio professore di Torino mi ha consigliato di scrivere una relazione intervistando gli allevatori, per capire quali sono le razze allevate in Lessinia e riallacciandomi anche alla questione dei predatori». La ricerca di Letizia, i cui risultati sono arrivati agli inizi di settembre, ha scattato una foto20
DI GIORGIA PRETI
grafia realistica delle razze di animali allevate sul territorio veronese: a farla da padrone, per quanto riguarda i bovini, è la frisona, mentre per gli ovini e i caprini la situazione è più complicata: «Sto facendo fatica a ritrovarli, soprattutto per il problema dei predatori: le capre sono più suscettibili a predazioni perché sono animali piccoli. Mi piace molto, invece, il lavoro che alcuni allevatori stanno facendo con gli ovini e, in particolare, con la pecora Brogna, per valorizzare questa razza autoctona». A rappresentare l’ostacolo principale, tuttavia, sembra essere il lupo, la cui presenza in Lessinia è fortemente sentita. Secondo Letizia, che è riuscita a intervistare circa venti allevatori sul tema, la criticità più importante non è la presenza del predatore: «Certo, non dico che a tutti vada bene la presenza del lupo in Lessinia. Ciò che però mi ha stupito di più è come la criticità e le procedure di rimborso per i capi di bestiame predati previste dalla legge vengano gestite. Quando l’attacco è certificato, i soldi arrivano, però ci sono anche predazioni che non vengono certificate per negligenza o per altri motivi: se una vacca muore d’infarto durante un attacco, ma non ci sono segni di morsi sulla carcassa, l’allevatore non viene rimborsato». Il clima tra gli allevatori si fa quindi sempre più teso, anche in virtù di un “intoppo” nella comunicazione degli spostamenti dei preda-
tori agli interessati: «C’è apparentemente poca trasparenza sui dati utili per conoscere gli spostamenti del lupo, o di quanti lupi si parla. Dal canto loro gli allevatori, per poter far fronte alla situazione, lasciano magari dei vitelli a casa, ma ciò va a compromettere la loro condizione fisica e in età adulta non saranno abituati a salire sui pascoli: non avranno la forza fisica necessaria o andranno incontro a stress compromettendo anche la qualità e la produzione del latte». Una delle soluzioni agli attacchi, come proposto dalla Regione Veneto, è l’installazione di recinti o dissuasori elettrici, finanziati da fondi regionali, che però non sembrano essere utilizzati da tutti gli allevatori: «Su una ventina di intervistati ho trovato solo due o tre persone che utilizzano i recinti elettrici e un altro paio che usano dissuasori. C’è una buona parte che non utilizza sistemi di sicurezza: perché non ne hanno fatto richiesta o perché non sono vicino al bosco o perché il terreno è talmente ampio che è difficile recintarlo per intero. Inoltre, non sempre i recinti elettrici funzionano: il lupo è un animale dotato di grande adattabilità e se capisce come superare l’ostacolo, niente lo può fermare». Per il momento però manca ancora una vera conciliazione tra uomo e lupo, ma chissà che prima o poi questa convivenza non possa diventare pacifica. ■
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Letizia Filippini
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1969 - 2019 21
PAESAGGI EMOTIVI LUOGHI CHE CI RICORDANO CHI ERAVAMO
LA TRANSUMANZA, QUEL "DESCARGAR" MONTAGNA
(©Marco Malvezzi)
Una pratica antica, oggi realizzata quasi interamente con gli autocarri, conserva, negli sparuti esempi di migrazione del bestiame dall’alpeggio alle stalle che avvengono ancora a piedi, il sapore di una conclusione stagionale. La fine dell’estate e l’inizio di tutto il resto.
A
rriva settembre anche in Lessinia e calano sopra le montagne le tinte della nostalgia. Si svuotano strade e piazze, si smorzano i canti, si fermano le danze. Tacciono le voci e si spengono le luci della ribalta per questo territorio che sembra dare il meglio di sé nei mesi estivi, specie se in pianura le grinfie del caldo non lasciano la presa nemmeno per un attimo. E mentre l'estate finisce, ci si prepara a tornare a casa. I turisti rientrano in città e i montanari riavvolgono il filo della quotidianità intorno al loro focolare, chiudendo fuori dagli usci i primi latrati del freddo che incombe. I camini iniziano a soffiare plumbei presagi, scricchiolano le legnaie, le coperte spalancano gli armadi mostrando un ghigno assai soddisfatto. E quando tutto è pronto a salutare settembre e gli
afflati della luce sfrontata, ecco che in Lessinia torna a casa anche il bestiame, pronto a rioccupare le stalle rimaste vuote mentre in giro tutti festeggiavano tutto. Per ogni popolo che fonda la propria economia in buona parte sull'allevamento, soprattutto bovino, la transumanza non solo celebra il susseguirsi delle stagioni, ma, poiché il mantenimento del bestiame d'alpeggio viene a costare assai meno di quello in stalla, essa segna soprattutto l'inizio e la fine di un momento molto importante nel ciclo produttivo di questa attività. In alto, per cento giorni In Lessinia la transumanza, ossia la migrazione stagionale del bestiame dalle stalle più a sud verso gli alti pascoli, ricchi di vegetazione per il 22
DI MICHELA CANTERI
nutrimento delle vacche, viene definita “cargar” e “descargar” montagna, dove per montagna si intende una determinata malga e il territorio di sua pertinenza. Qui, il bestiame viene lasciato pascolare per circa quattro mesi, poco più di cento giorni l'anno, nel periodo che va dalla fine di maggio fino alla fine di settembre. Attualmente si conta che in Lessinia le malghe per l'alpeggio siano circa un centinaio. Il terreno pascolivo ad esse riservato varia a seconda del numero di capi di bestiame (chiamati “paghe”, una paga equivale quindi ad una vacca da latte), a seconda del numero di giorni effettivi in cui i capi di bestiame occuperanno la “montagna” e alla loro altitudine. Il termine “paga” identifica infatti il metro di portata di una montagna. Pur essendoci in Lessinia “montagne” che vanno dalle 100 alle 150 “paghe”, le più numerose vanno dalle 50 alle 75. Nonostante oggi il trasporto degli animali avvenga, soprattutto nel caso di lunghe distanze, con gli autocarri, non è tramontato il rito della transumanza a piedi. Piero Piazzola, nel suo testo su “Campofontana”, ci dona una deliziosa descrizione di quella che era una volta la partenza del bestiame per l'alpeggio, destinato ad un viaggio che poteva durare anche per giorni: «carri e car-
retti traboccanti di masserizie, d'arnesi e di utensili, in testa, seguiti dai mandriani conducenti el s-ciapo delle bestie, dei cani e di altri familiari, (...) la colonna prendeva la via più breve per la “montagna”. Davanti al s-ciapo le vacche più esperte del cammino e della zona cui erano indirizzate (...), grossi collari di cuoio lucido e cioche di gala al collo, grida, latrati e... bastonate fino alla meta». Le vacche venivano quindi accompagnate in montagna seguendo sentieri e trattori, sino a giungere alla malga che avrebbe accolto i pastori. Qui essi avrebbero munto e lavorato il latte, fatto formaggio e burro, affrontando lunghi mesi di duro lavoro, lontano da tutto e da tutti, concentrati a far fruttare al meglio la loro fatica e la loro solitudine. Isolamento e lavoro che continuavano fino alla fine di settembre, tradizionalmente il 29, giorno di San Michele, quando scadevano i contratti d'affitto. Forse l'inverno farà tanto freddo, forse nevicherà fino a sbarrare porte e finestre, forse il ghiaccio trafiggerà l'aria. Forse il vento del nord porterà musica di tempesta, e il sole sarà avvolto da cieli minacciosi. Ma gli animali saranno nelle loro stalle, e i pastori saranno al sicuro, nei loro letti, nelle loro cucine, nelle loro stanze. Nelle loro case. ■
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Scena tratta dal lungometraggio Pianeta Azzurro (1982).
«LA MIA È UN’ISTINTIVA CONDIVISIONE DELLA NATURA» Il XXV Film Festival della Lessinia ha dedicato al regista un omaggio e gli ha consegnato il Premio “Protagonisti del tempo”, dedicato ai personaggi della cinematografia che si sono particolarmente distinti per la promozione dei valori della sostenibilità e della responsabilità sociale.
A
cclamato regista e cinematografo. Ma anche appassionato di botanica, etologia, storia dell’arte. Franco Piavoli, dagli anni ‘60 ad oggi, ha dato vita ad opere innovative e sperimentali mettendo al centro il rapporto, al tempo stesso conflittuale e armonioso, tra uomo e natura. Pianeta Azzurro, il suo più grande successo, uscì negli anni ‘80. Quest’anno il Film Festival della Lessinia le dedica un omaggio e un premio. Si immaginava un interesse così duraturo nei confronti dell’opera? In realtà questo rinnovato e diffuso interesse per Pianeta Azzurro è abbastanza sorprendente e, ultimamente, con il ritorno al tema della
DI CAMILLA FACCINI natura, mi viene richiesto sempre di più. Sono molto felice di ricevere questo premio, ma soprattutto mi fa piacere che venga riscoperta l’importanza di un cinema che prescinde dalle regole commerciali che impongono ritmi incalzanti e successioni drammatiche e violente. Un cinema che lascia il tempo allo spettatore di tornare nei ritmi naturali, che possono trascorrere veloci, ma anche molto lenti. Cosa l’ha guidato nella realizzazione di quel lungometraggio entrato nella storia del cinema italiano? Perché portare sul grande schermo il ritmo lento della natura? La mia è stata un’istintiva condivisione. Io sono nato sulle colline moreniche del Garda e fin da 24
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bambino ho sentito l’attrazione per gli elementi naturali, minerali, animali, e naturalmente anche per l’uomo, per i vegetali. Ho voluto sviluppare questo tema per rendere meglio i flussi temporali in cui siamo immersi, per dare una scansione ritmica molto aperta e molto larga. Qualcosa di diverso da ciò che normalmente viene presentato al cinematografo. Certo, ho rischiato con questo cinema che al tempo era completamente anomalo. La scena è affidata esclusivamente alle immagini, al susseguirsi e al movimento di esse. Fondamentali, poi, i suoni. Spesso non ci rendiamo conto dei suoni della natura, dei messaggi sonori degli animali, degli elementi naturali, compresa la parola
FILM FESTIVAL DELLA LESSINIA 2019 PREMI UFFICIALI LESSINIA D’ORO LE TEMPS DES FORÊTS François-Xavier Drouet LESSINIA D’ARGENTO HONEYLAND Ljubomir Stefanov, Tamara Kotevska PREMIO PER IL MIGLIOR DOCUMENTARIO HOMO BOTANICUS Guillermo Quintero PREMIO PER IL MIGLIOR LUNGOMETRAGGIO JINPA Pema Tseden
umana. Dobbiamo riscoprire tutti questi elementi nel contesto ambientale in cui viviamo. Lei è già stato ospite del Festival, lo conosce bene. Che sensazioni prova quando torna in Lessinia? Torno sempre volentieri in Lessinia, ha un fascino straordinario per me. Mi piace il modo in cui è organizzato, mi piacciono gli autori che vengono presentati e fatti conoscere, autori che altrimenti non avrebbero circolazione commerciale e resterebbero sconosciuti. Il direttore artistico del Festival, Alessandro Anderloni, ha dichiarato che nei prossimi 25 anni ci giocheremo la sopravvivenza come specie e come pianeta. Lei è stato una sorta di iniziatore di un filone narrativo sulla natura che oggi è al centro non solo delle produzioni artistiche ma anche dell’attualità. Pensiamo ai Fridays for future, a Greta Thunberg… Sono assolutamente d’accordo con Anderloni. Ed è bello vedere che anche i giovani cominciano a rendersi conto che la natura è la casa in cui abitano. Se noi la lasciamo distruggere e disfarsi anche la loro vita e il loro futuro andrà distrutto. Cominciano a rendersi conto dell’importanza degli elementi naturali in cui si muovono. Anche se vivono in città, si rendono conto che l’aria, l’acqua, gli elementi primari della vita sono fondamentali per vivere e svolgere qualsiasi attività. Quest’anno al Festival partecipano molti giovani registi, come vede il futuro della manifestazione e del cinema italiano in generale? Questa è senz’altro la via da percorrere. Mi auguro che il Festival possa avere un buon futuro, crescendo in importanza. Certo serve fatica e anche un impegno non indifferente. ■
PREMIO PER IL MIGLIOR CORTOMETRAGGIO CHIENNE DE VIE Jules Carrin MENZIONE SPECIALE ORO BLANCO Gisela Carbajal RodrÍguez MENZIONE SPECIALE KANARÍ Erlendur Sveinsson
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ORIZZONTI SOSTENIBILI IN VALPANTENA
LA CURA DEL TERRITORIO È L’AGRICOLTURA DI DOMANI Verona è stata protagonista, nel giugno scorso, della quarta tappa del roadshow Agrievolution, promosso da Bayer: una serie di incontri sull’agricoltura di oggi e di domani, un’importante occasione per parlare dell’agricoltura di prossima generazione, alla scoperta delle opportunità che questo settore ha davanti a sé.
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DI FEDERICA LAVARINI
Giovanni Capurso nella sua Cantina a Nesente
erona, grazie alla collaborazione con l’azienda agricola Moranda, situata a Nesente nel cuore della Valpantena, è anche l’unica città protagonista in Italia di Bayer Forward Farming (BFF), uno dei progetti Bayer più all’avanguardia nell’ambito dell’agricoltura sostenibile. Nel mondo ci sono dodici Bayer Forward Farm: Olanda, USA, Argentina, Belgio, Brasile, Cile, tre in Francia, due in Germania e l’italiana Moranda guidata dalla famiglia Capurso. L’azienda vitivinicola appartiene a questa famiglia dal lontano 1896 ed è passata di generazione in generazione fino all’attuale guida di Nunzio Giovanni Capurso con le sue due figlie, quarta e quinta generazione, che ci hanno illustrato l’organizzazione dell’azienda. Laureato in Scienze Agrarie a Padova, per molti anni dirigente di azienda in importanti gruppi internazionali del settore, ci racconta di «aver visto ‘la crisi’ di molti vini d’Italia. Fino ad ora, abbiamo avuto la fortuna che tutti volevano l’Amarone, ma le difficoltà stanno purtroppo arrivando anche per noi e dobbiamo essere pronti ad affrontarle, producendo meno e meglio e trasmettendo la vera tipicità del nostro terroir: vitigni autoctoni, tecniche di vinificazione innovative, valorizzando la nostra denominazione e la Valpantena, una piccola zona con tutte le caratteristiche per poter diventare almeno “Premier Cru”, così come fanno in Francia. Dobbiamo puntare sempre più sulla qualità e una produzione di eccellenza». Come si concretizza la collaborazione con Bayer? Nella messa in pratica della lotta integrata per una viticoltura sostenibile. Le piante hanno moltissime problematiche e dobbiamo intervenire con i prodotti più adatti ed efficaci. Noi lo facciamo nel modo meno invasivo possibile e questo lo testimoniano le analisi sui residui dei pesticidi che vengono effettuate da un ente no profit ester-
no. Inoltre, con i tecnici di Bayer e gli altri partner del progetto BFF, abbiamo raggiunto un livello di sostenibilità elevato, grazie anche all’evoluzione digitale che ci consente di fare meno trattamenti. È stata introdotta una capannina agrometeorologica dotata di tutti i sensori per la misurazione della piovosità, dell’umidità e della bagnatura fogliare, equipaggiata con una videocamera che riprende tutte le fasi fenologiche della vite. Abbiamo adottato la cosiddetta confusione sessuale per il controllo della tignoletta, installando anche iMetos iScout, una trappola che cattura gli insetti e invia tramite fotocamere le immagini di eventuali catture ad un portale on-line. Negli ultimi quattro anni non abbiamo mai usato un insetticida, lo testimoniano tutte le analisi effettuate dalla World Biodiversity Association, una onlus che ha analizzato l'aria, l'acqua, il terreno, i residui fogliari e i mosti e si è dimostrata l'assenza totale di insetticidi. Un’altra tecnologia adottata è Phytobac, un sistema di smaltimento delle acque di lavaggio delle attrezzature e dei residui di miscela fitoiatrica presenti negli atomizzatori che ha lo scopo importantissimo di salvaguardare l’operatore, l’ambiente e le falde acquifere. Che cosa significa per lei sostenibilità? Vi sono infinite interpretazioni, per noi la più importante è collegare la crescita economica con la responsabilità sociale ed ambientale. È la capacità di dare un reddito non assistito a chi lavora in campagna: la cura del territorio infatti, sarà garantita soltanto da un agricoltore soddisfatto dalla remunerazione del proprio impegno nel rispetto della natura che è la base fondamentale del nostro lavoro. Sostenibilità significa anche sfruttare l’esperienza senza tradire la tradizione, ma con il buon senso di fare le cose secondo natura, tracciando tutto ciò che viene fatto nel vigneto, rispettando operatori, consumatori e ambiente. ■
«BISOGNA PUNTARE SUL TERRITORIO E SULLE NOSTRE TRADIZIONI: LE NOSTRE UVE AUTOCTONE HANNO CERTAMENTE UNA PREROGATIVA DI ECCELLENZA SOLO SE ALLEVATE NEI NOSTRI TERRENI E QUESTO CI CONSENTE DI GUARDARE AL FUTURO CON UNA CERTA TRANQUILLITÀ E LA CERTEZZA CHE I NOSTRI VINI E LA LORO TIPICITÀ NON POTRANNO ESSERE PRODOTTI IN NESSUN’ALTRA PARTE DEL MONDO» 28
Energia agricola a km 0 ForGreen e Coldiretti Veneto hanno creato la prima comunitĂ agroenergetica 100% rinnovabile e a chilometro zero: insieme coltiviamo la cura per la Terra e condividiamo una filiera di energia sostenibile. Dalla produzione consapevole al consumo responsabile.
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L'INIZIATIVA CHE FUNZIONA
SPORTELLO LAVORO: CRESCE L’INTERAZIONE TRA CANDIDATI E IMPRESE Da 178 utenti a quasi trecento nel primo semestre 2019. Aumento significativo del numero di persone che accedono all’iniziativa nata nel 2017 nel Comune di Grezzana e volta ad aumentare le possibilità di incrocio tra domanda e offerta di lavoro. Dal febbraio 2018 è estesa anche ai Comuni di Bosco Chiesanuova, Cerro Veronese, Erbezzo e Roverè Veronese, per il primo Sportello Unico del Lavoro della Provincia di Verona. DI GIORGIA PRETI
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Federica Maria Veronesi
ituato fisicamente in via Roma 1, all’interno degli spazi del Municipio di Grezzana, il cosiddetto “Sportello Lavoro” ha l’obiettivo di generare opportunità in particolare per persone che, per diversi motivi, hanno perso il lavoro e, grazie anche a percorsi di formazione, desiderano o sentono la necessità di trovare un nuovo collocamento. Nato come progetto sperimentale due anni fa, lo Sportello sta diventando una solida certezza e un osservatorio interessante del tessuto socio-economico del territorio. Tra le criticità rilevate dal servizio, gratuito e rivolto ai soli residenti (o almeno domiciliati) in uno dei cinque comuni, c’è, paradossalmente, il fatto che le persone non hanno ben chiaro il tipo di lavoro che stanno cercando o si candidano per offerte senza averne i requisiti minimi. Anche per questo motivo il Comune di Grezzana ha deciso di attivare, grazie ad un bando della Fondazione Cariverona, la seconda edizione di Job Club, un corso di orientamento che partirà a settembre (iscrizioni entro domenica 15) per tutti coloro che hanno bisogno di un supporto più approfondito nella ricerca di un lavoro. «L’utenza media è per il 70% italiana, con una leggera prevalenza femminile, spesso si tratta di donne che hanno esigenza di rientrare nel mondo del lavoro dopo un periodo dedicato alla crescita dei figli. – spiega Alessandra Nico-
lis, responsabile dello Sportello, coordinato da Lavoro&Società - Le figure più ricercate sono tornitori CNC, camerieri e lavapiatti stagionali per malghe e ristoranti della zona. Ma ci sono anche aziende che si rivolgono allo sportello per cercare operai generici o magazzinieri». L’incrocio domanda offerta non viene fatto solo inviando curricula alle aziende che ne fanno richiesta, ma anche cercando offerte di lavoro on line e attraverso una rete con gli altri sportelli della provincia di Verona gestiti da Lavoro&Società e Energie sociali. Ogni offerta di lavoro viene pubblicata sulla pagina FB e sulla App del Comune di Grezzana, nell’apposita sezione, ed è esposta nella bacheca esterna in Municipio oltre che inviata agli altri Comuni con l’obiettivo di renderla il più visibile possibile. Anche le imprese stanno prendendo l’abitudine di rivolgersi al servizio intercomunale: «Arrivano richieste anche da aziende di paesi limitrofi, questo è un bene perché aumenta la possibilità di trovare occupazione per gli utenti iscritti – conclude Alessandra- I curricula inviati dallo Sportello ad aziende, enti, associazioni e cooperative negli ultimi sei mesi sono circa 200. Le assunzioni circa una decina, alcune a tempo indeterminato». «Sempre più imprenditori chiedono un supporto allo Sportello, negli ultimi mesi ci sono arrivate una trentina di offerte di lavoro, ci stiamo guadagnando la loro fiducia e questo significa che il servizio sta diventando punto di riferimento per la ricerca di lavoro, obiettivo primario che ci eravamo dati con la sua apertura» sottolinea l’assessore alle Politiche Attive per il Lavoro Federica Maria, anima e ideatrice del progetto. Ci sono anche testimonianze di imprenditori che hanno usufruito dello Sportello, come Cristina del Rifugio Dardo: «Grazie allo sportello lavoro ho avuto modo di incontrare tre valide persone che sono state impiegate per la stagione estiva come lavapiatti/cameriere: due assunte e una in tirocinio». ■ Info: sportello.lavoro@comune.grezzana.vr.it
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CENTRA L’OBIETTIVO: DIVENTA TECNICO EDILE Lavorare in edilizia...PERCHE’? Perché mi piacciono i fatti concreti, più delle parole e delle teorie... Perché, per come sono fatto, lavorare all’aria aperta mi piace di più che lavorare al chiuso in fabbrica... Perché costruire mi è sempre piaciuto, fin da piccolo... Perché mi piace vedere il risultato del mio lavoro e poter dire “l’ho fatto io!”... Perché il lavoro nel cantiere di costruzione non è monotono né ripetitivo... Perché, in edilizia, ogni giornata di lavoro è diversa dalla precedente e dalla successiva... Perché è un lavoro dove la manualità conta molto, ma conta ancora di più essere svegli e ragionare... Perché chi è bravo e sa il fatto suo è molto ricercato, guadagna bene e si organizza da sè il proprio lavoro, e questo significa sentirsi liberi... Perché in cantiere nessuno è un “numero” e tutti sono persone che collaborano.
ESEV-CPT, gestito pariteticamente da Collegio Costruttori Edili e Sindacato dei Lavoratori Edili della provincia di Verona, è un ente senza scopo di lucro che ha quale unico scopo la formazione dei lavoratori, giovani e adulti, per il settore delle costruzioni. I corsi ESEV-CPT non prevedono costi per gli allievi per materiali didattici e di consumo, indumenti da lavoro. I corsi sono riconosciuti e cofinanziati dalla Regione del Veneto che, in base alla legge, rilascia l’Attestato di Qualifica per OPERATORE EDILE (III° LIVELLO EQF) a coloro che superano l’esame finale. ESEV-CPT è accreditato presso la Regione del Veneto e il suo Sistema Qualità è certificato UNI EN ISO 9001.
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IL PROGETTO WELFCARE RACCONTATO DAGLI AMICI DI SALMON
Progetto Groove, una serata alla Biblioteca comunale di Sona "Pietro Maggi"
CITTADINI UMANI E INFLUENCER ANALOGICI Anche ai salmoni può capitare di leggere d’estate, sotto l’ombrellone. Ci siamo imbattuti in un libro di Mauro Magatti che parla di cambi di paradigmi e di economia generativa, in cui tutti siamo protagonisti attivi della società in cui viviamo. Ecco, qua di seguito, degli esempi reali del nostro ricco territorio.
I
DI SALMON LEBON DELLA REDAZIONE DI SALMON MAGAZINE
l Salmone come tutti gli altri pesci nuota nell’acqua, ma differentemente dai suoi colleghi, va controcorrente per depositare le uova. Questa è anche la vita di noi Salmoni veronesi: scoprire le chicche più nascoste, le bellezze meno esibite e portarle alla luce è la nostra missione. È così, che nel nostro peregrinare dal Lago di Garda a Monteforte d’Alpone, da Passo Malera alla Valle del Menago, ci imbattiamo tutti i giorni in persone e progetti “daffogo”! Andiamo a scovarli, senza una tecnica precisa o particolarmente innovativa. Sono le persone, spesso, a indicarci la strada: basta incoraggiarle, dar loro fiducia e in un attimo “i taca” a raccontare. A quel punto, sta tutto nell’ascoltarle e scoprire che anche il veneto più duro è in realtà un po’ “teròn”, o un po’ “moro” oppure un po’ “sengalo” dentro. Rispetto a qualche anno fa, le famiglie e le loro condizioni economiche sono parecchio cambiate; non è più il mondo dei nostri nonni e dei nostri padri. Proprio sull’onda ( ;-) ) di questi cambiamenti strutturali, che non sempre le istituzioni sono in grado di cogliere e di reagire, 32
è partito a gennaio dell’anno scorso un progetto tanto ambizioso quanto attuale. Si chiama WelfCare e si rivolge a cinque poli del Comune di Verona e della provincia: Saval, Borgo Roma, Parona, Villafranca e San Bonifacio. Proprio come loro stessi dichiarano, l’obiettivo generale del progetto è quello di innescare dinamiche spontanee di “welfare di comunità” che siano in grado di creare soluzioni alle problematiche delle famiglie di oggi, famiglie nell’accezione più ampia del termine. Assistenza agli anziani, aiuto alle famiglie monogenitoriali o con entrambe i genitori lavoratori, supporto sanitario di base…insomma, esempi di interventi che anche i normali cittadini possono facilmente attivare; un aiuto reciproco che nasce dal “semplice” conoscersi e dall’apertura verso gli altri. Nel caso del Saval, anche lo staff di Salmon Magazine è entrato in piena collaborazione con il WelfCare. Infatti, un aspetto molto importante per poter attivare processi di cittadinanza attiva, è il concetto di identità e appartenenza ad un luogo, ad una comunità e, come in questo caso, ad un quartiere. Per questo motivo le gui-
de/mappe che realizziamo possono essere molto molto utili. Se poi le indicazioni delle attività e delle iniziative più interessanti del quartiere vengono direttamente da residenti, si innescano processi tanto virtuosi quanto “normali” che portano ad abbattere i muri dei propri appartamenti, a condividere le risorse per risolvere insieme le difficoltà delle quotidianità e condividerne le gioie. È così che è stata realizzata la guida/mappa di Salmon, presentata alla sagra del Saval il primo settembre: siamo stati a cena da residenti del quartiere, con persone che non necessariamente si conoscevano ma che quando hanno dovuto dire la loro sulle realtà più interessanti e autentiche del borgo, si sono scatenati diventando presto molto più che semplici concittadini. A proposito, tenete sott’occhio il sito (www.welfcare.it) o e la pagina Fb. Lo staff di Welfcare al Saval sta organizzando un calendario di iniziative molto molto interessanti che si svolgeranno proprio alla fine di questo mese: laboratori, corsi, eventi, concerti… ■ www.salmonmagazine.com
PROGETTI INNOVATIVI DI CITTADINANZA ATTIVA: C’È ANCHE GROOVE Trentadue comuni della provincia, dall’alto Lago alla Valdadige, passando per la Valpolicella fino a Vigasio, che hanno condiviso un percorso di co-progettazione finalizzato al coinvolgimento dei giovani. L'obiettivo è vedere non più i ragazzi come un problema, ma come protagonisti dei territori di appartenenza e chiamarli a giocare un ruolo di primo piano su tematiche urgenti: cultura, biblioteca, educazione ambientale, promozione del territorio, associazionismo… un totale di dieci progetti che vedranno il coinvolgimento di 90 ragazzi selezionati tramite una call pubblica promossa sia sui canali ufficiali di Carta Giovani (http://www.giovanivr.it/groove o pagina Fb ed Instagram), ma anche su tutti i media locali, naturalmente Salmon Magazine in primis ;-) . I ragazzi, tra i 18 e i 30 anni, saranno seguiti da educatori professionali che, insieme ad un tutor progettuale, coordineranno le azioni co-progettate con il team di giovani. I percorsi proposti sono della durata di 100 ore di servizio durante le quali i giovani riceveranno un contributo economico pari al 50% del tempo impiegato. Questo progetto è un esempio unico, speriamo non l’ultimo, nella provincia veronese ed è il frutto della collaborazione tra istituzioni pubbliche e private, quali Ulss n.9, Hermete, Coop. I Piosi, Fondazione Edulife e il finanziamento di Fondazione Cariverona che, tra l’altro, sostiene economicamente anche tutto il progetto WelfCare. Quindi, per concludere, che dire? Non solo Romeo&Giulietta, non solo la meravigliosa Arena di Verona non solo Hellas e Ceo, ma anche tante energie nuove e fresche con i giovani al centro del palcoscenico!
Cena con i residenti di San Zeno SPAZIO PUBBLICITARIO
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A TU PER TU CON IL VINCITORE DI “QUATTRO HOTEL”
LA BELLEZZA È LA MIA FILOSOFIA (ALBERGHIERA)
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Il giudice Bruno Barbieri, il noto chef emiliano di Masterchef Italia, lo ha definito semplicemente «il miglior hotel», assicurandogli il punteggio più alto. L’Hotel Trieste di Corso Porta Nuova, incoronato dalla trasmissione di Sky, ha un’anima che amalgama la filosofia platonica al design contemporaneo, con sale e stanze che sono opere d’arte.
L
a trasmissione di Sky, chiude la sua seconda stagione nella nostra città. Quattro hotel della stessa categoria e della stessa zona geografica, si sfidano valutando: la location, i servizi, le camere e il prezzo con voti da uno a 10, dopo aver soggiornato un giorno e una notte nelle strutture “rivali”. A ricevere il premio di 5mila euro è stato l’Hotel Trieste, di proprietà della famiglia Quiriconi da 70 anni, nella sua sede storica di Corso Porta Nuova 57, a pochi passi dall’Arena di Verona. L’Hotel Trieste è riuscito a superare i suoi concorrenti: la Locanda al Vescovo, Villa Malaspina di Castel d’Azzano e l’agriturismo I Tamasotti di Mezzane di Sotto. Complice lo stile inconfondibile degli spazi comuni, ricchi di oggetti di design, legati da un filo armonioso di bellezza che fa sentire il cliente immerso in un’atmosfera unica. Siamo andati a trovare Andrea Quriconi, per scoprire il segreto della sua vittoria.
Qual è la storia di questo hotel? Noi siamo in Corso Porta Nuova dal 1953 e negli ultimi anni la struttura è stata completamente rinnovata. Da 35 stanze siamo passati a 21. Con una particolare, oserei dire maniacale, attenzione al design, sono stati riprogettati tutti gli spazi comuni e il modo di concepirli. Cosa intende per spazi comuni? Sono gli spazi che distinguono un hotel da un semplice B&B. In un mondo in continuo movimento, gli hotel, come gli aeroporti, le stazioni, sono diventati il vero centro della vita. Ci si trova per fare business ma si ha bisogno di relazioni, di atmosfere rilassanti e anche di divertimento. Questo è quello che vogliamo offrire ai nostri clienti. Questa è la filosofia dell’Hotel Trieste. Ci spieghi meglio: la hall dell’hotel è come l’Agorà ai tempi di Platone? 34
DI SARA AVESANI
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Anni fa, con degli amici ho iniziato ad appassionarmi di studi di filosofia e sono rimasto colpito dalle teorie sull’inconscio. Il mio obiettivo è che il cliente sia accolto in uno spazio in cui il suo “profondo io” trovi appagamento. Il design è l’elemento attraverso il quale gli ambienti parlano alla persona. Per avere la giusta atmosfera bisogna che ci sia un dialogo continuo fra gli ospiti e ciò che li circonda. Il cliente dimentica di essere solo di passaggio e vive un’esperienza autentica Anche nelle stanze è così? Sì, assolutamente. Se sei un businessman e hai bisogno di staccare la spina, in ogni camera c’è un gioco, un oggetto di design, che ti permetterà di farlo. Dunque, lei ama il design per ragioni filosofiche? Direi che questa è stata la mia intuizione. Negli anni, la mia passione, unita alla mia ostinata ricerca di oggetti di nicchia, mi hanno permesso di realizzare una singolare collezione di oggetti d’arte creati da designer di fama mondiale tra gli anni ’50 e gli anni’90. Sono vere e proprie opere d’arte, pezzi ospitati nelle collezioni permanenti dei musei più prestigiosi, dal MOMA, Museum of Modern Art, al “The Met”, il Metropolitan Museum of Art, entrambi a New York, dal Design Museum di High Street Kensington a Londra, al Museum für Gestaltung di Zurigo. Tuttavia ha voluto anche opere di artisti del territorio veronese nel suo albergo, perché? Il nostro territorio può vantare una bellezza ar-
tistica inestimabile, basta guardare oltre e alzare lo sguardo. In particolare mi hanno stupito le opere razionali, colorate e vintage di Roberto Bravi e le stravaganze iconiche di Giovanni Motta. Noto delle luci particolarissime, cosa rappresentano? La luce per me è fondamentale. La luce crea un microcosmo, è come una bolla. Le lampade sono le sculture dell’era moderna, non sono solo decorative ma ci trasmettono calore e sensazioni. Che significato ha avuto l’esperienza con Barbieri? Indipendentemente dalla vittoria, devo dire che è stata fantastica perché lui è una persona molto simpatica e un gran professionista. Si ha la percezione di lavorare con un uomo preparato e dal quale si può imparare moltissimo. La cosa più importante per un albergo? Per me resta l’atmosfera, il primo impatto, quando si entra negli spazi comuni, si ha bisogno di respirare un’aria particolare. Il tutto però è sempre fatto dalle persone. Il nostro staff, che lavora in maniera compatta e costruttiva, è stata sicuramente una delle nostre carte vincenti. Progetti futuri? Stiamo lavorando ad uno spazio molto originale nel sottotetto, una sorta di cocktail bar e ad una terrazza mozzafiato. Vedremo (sorride, ndr)… ■
«IN UN MONDO IN CONTINUO MOVIMENTO, GLI HOTEL, COME GLI AEROPORTI, LE STAZIONI, SONO DIVENTATI IL VERO CENTRO DELLA VITA. CI SI TROVA PER FARE BUSINESS MA SI HA BISOGNO DI RELAZIONI, DI ATMOSFERE RILASSANTI E ANCHE DI DIVERTIMENTO»
Andrea Quiriconi
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ASPETTANDO IL FESTIVAL INTERNAZIONALE DEI GIOCHI IN STRADA
IL GRANDE GIOCO DELLA MUSICA
Ambrogio Sparagna e l'Orchestra popolare italiana
Giochi tradizionali bretoni e da tutta Italia trapiantati a Verona per un fine settimana. E anche cinema e conferenze, artigianato e sapori. Tocatì è tutto questo, ma c’è un legante, un sottofondo armonico che accompagna giocatori e visitatori del festival. Musica e ritmi popolari, bretoni e italiani, faranno da colonna sonora a un festival che offre esperienze per tutti i gusti (musicali e non).
P
DI ALESSANDRO BONFANTE
er un giocatore di lippa, è musica il manego che colpisce in pieno lo s-cianco e lo spedisce proprio là, dove aveva mirato. Per chi lancia una boccia, è musica il tonfo sordo della propria che mette fuori competizione quella dell’avversario. Per un giocatore di scacchi sono musica i suoni gentili dei pezzi, che danzando sulla scacchiera mettono in scena una spietata guerra d’intelletti. Al Tocatì, il Festival Internazionale dei Giochi in Strada, nel cuore di Verona dal 12 al 15 settembre, ci sarà però anche tanta musica nel senso comune del termine. Ospite d’onore al festival di quest’anno è la Bretagna, che porterà nella città scaligera il “Festnoz”, la tradizionale nottata di festeggiamenti con danze tradizionali. Una pratica sociale dal valore riconosciuto dall’Unesco, che nel 2012 l’ha inserita nella lista dei patrimoni immate38
riali dell’umanità. Una trentina di danzatori e danzatrici dell’Associazione Kendalc’h (che in Bretagna conta quasi 15mila membri), ac-
compagnati da musicisti e cantanti, trasformeranno piazza dei Signori in “Piazza Bretagna”, in particolare nelle serate di venerdì e sabato con la “Notte Bretone”. Fra le caratteristiche del Fest-noz ci sono l’integrazione sociale e fra generazioni, oltre a uno spirito di apertura verso l’altro, tanto che nei villaggi della Bretagna è spesso l’occasione per coinvolgere nella comunità i nuovi arrivati. Sarà difficile passare sotto lo sguardo della statua di Dante senza lasciarsi toccare dai ritmi bretoni. Anche il Sommo poeta, forse, accennerà un passo di danza. I “Suoni lungo l’Adige” sono l’altro fulcro musicale del festival, in lungadige San Giorgio tutte le serate da mercoledì a sabato. Dall’inaugurazione del palco con gli autoctoni Contrada Lorì, ai ritmi salentini, a cantastorie mantovani e siciliani, al gran finale sabato sera con Ambrogio Sparagna e l’Orchestra popolare italiana. Una vera orchestra caratterizzata da strumenti tipici della tradizione dello Stivale: organetti, tamburelli, zampogne, ciaramelle, chitarre battenti, ma anche violini, contrabbassi e fiati. Un’orchestra fatta di tante voci che attraverso le varie lingue locali, mettono in scena la ricchezza del folklore regionale italiano. Fra gighe, ballarelle, pizziche, tammurriate e tarantelle, Ambrogio Sparagna e la sua orchestra accompagneranno il pubblico in un giro d’Italia, pur senza allontanarsi dal lungadige. ■
LA MUSICA AL TOCATÌ INAUGURAZIONE E SFILATA DI MUSICHE E DANZE DELLA BRETAGNA • Da piazza Erbe a piazza Sant’Anastasia. Venerdì 13/09 dalle 18.1,5 chilometri di nuoto, 40 chilometri di bici e 10 chilometri di corsa. I SUONI BRETONI (piazza dei Signori) • Piazza Bretagna: riti, tradizioni, musiche, danze con Les Pirates e Colletif Kendalc’h. Venerdì 13/09 dalle 21, sabato 14/09 dalle 10 alle 24, domenica 15/09 dalle 10 alle 19. • Fest-noz – Notte Bretone. Venerdì 13/09 e sabato 14/09 dalle 21. SUONI LUNGO L’ADIGE (lungadige San Giorgio) • Contrada Lorì. Mercoledì 11/09 dalle 21. • Il ritmo del Salento in Riva all’Adige. Giovedì 12/09 dalle 21.30. • Munt da Furt, Peritoperaia e FolkBanda trip a trad con il Gruppo ricerca danza popolare. Venerdì 13/09 dalle 21. • Majje Dde le Defenze e Ambrogio Sparagna e l’Orchestra popolare italiana. Sabato 14/09 dalle 21. FESTA A BALLO (Porta Borsari) • A cura di Tamzarà. Venerdì 13/09 dalle 21.30. CONFERENZA (Conservatorio dall’Abaco, auditorium Montemezzi) • Song – Da Abreu all’Italia. Giocare – insieme – con la musica. Domenica 15/09, ore 11.
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IL BURATTINO È ANARCHICO NON PAGA LE TASSE C’è una bottega, al numero 40 di via Mazza, che è una soglia verso un mondo fiabesco e incantato, che sfugge allo scorrere del tempo. È qui che trovano casa Maurizio Gioco e i suoi burattini.
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ulle mensole dell’atelier, Arlecchino, nella sua tradizionale variopinta livrea, diventa il dirimpettaio del generale Cadorna. Qualche mensola più in là, non ti ha mai tolto gli occhi di dosso un vecchio diavolo, ma grazie al cielo, un po’ più su, c’è quella Santa Margherita, protettrice dei Cimbri e delle partorienti, a vegliare su di te. Qui, il sacro e il profano condividono lo stesso tetto, assieme a Maurizio, che di mestiere fa il burattinaio. E quando al momento delle presentazioni ci svela il suo cognome, Gioco, viene da pensare che questo mestiere fosse proprio un destino. In questo scrigno di meraviglie, Maurizio tesse storie e scolpisce personaggi, e a vedere le delicate carezze di tempera che riserva all’ultimo burattino creato è chiaro perché lo faccia. Lungo le pareti dell’atelier, riposano tutti i personaggi della commedia dell’arte, assieme a re e regine, soldati, streghe e maghi. Conservati in grandi valigioni poi, ci sono tutti gli al-
tri burattini che aspettano solo una storia per uscire allo scoperto. «In una valigia piena di burattini, si racchiude un anno intero di lavoro: dai disegni preparatori e tutto il lavoro di ricerca e progettazione del burattino, fino al momento in cui ci si dedica alla scultura e alla pittura. Infine, la creazione degli abiti, un tempo affidata alla cara zia Lina, e ora alle mie sarte di fiducia. Un singolo burattino nasce da tante mani diverse. Ed è proprio questo l’aspetto che mi ha portato a questo mestiere: fare il burattinaio è fare un lavoro di sintesi, tra materiali, linguaggi e tecniche diverse». Nati i personaggi, con loro nasce anche la storia giusta, che molto spesso germoglia già al momento della creazione del burattino, quando un viso diventa più scavato di un altro, e lo sguardo più cupo. «Per mettere in scena uno spettacolo, gli anni di lavoro diventano due: dopo il tempo della ricerca e della contaminazione, in cui tutto può diventare storia, 40
DI GIULIA ZAMPIERI
quando l’intreccio inizia a prendere forma, c’è la stesura del copione, la progettazione delle scene, e poi la composizione della musica, che sottolinea l’azione e dà continuità. Da 15 anni a questa parte sono le note di Francesco Pagani ad accompagnarmi». Come spesso accade, il primo spettacolo è nato tra le mura domestiche: La favola della Terra, una produzione nata a cena, per trasmettere a Sofia, con l’aiuto di burattini in cartapesta, l’amore…per le verdure! «Dico sempre che i burattini sono una grande risorsa pedagogica: ecco, nel caso di mia figlia Sofia, hanno iniziato a funzionare solo dopo 25 anni». Da quella prima, domestica, produzione, sono tantissimi gli spettacoli nati in più di 30 anni di lavoro: solo tra le più recenti, Burattini streghe e briganti, copione ispiratosi alla storia del brigante di Falasco che lo scorso maggio è valso il “Premio Nazionale Ribalte di Fantasia” e Arlecchino torna dalla guerra, spettacolo approdato anche in Belgio, tra le quinte del teatro Royal Peruchet di Bruxelles. Dopo un’estate ricca di laboratori, spettacoli e, non per ultimo, una mostra personale a Roma, a Villa Pamphilj, al momento, tra i progetti futuri c’è l’idea per uno spettacolo più sperimentale, e il progetto, più grande, per un burattino…sociale: burattini per le strade della città, magari pure al bar, a prendersi un caffè. Burattini liberi tra la gente, a scombinare le nostre strambe regole, perché, meno male, come sancito nel Manifesto del Burattino, almeno lui, signori e signore, è, ancora, anarchico. ■ mauriziogioco@libero.it teatrogiochetto.wordpress.com Facebook/ Maurizio Gioco Maurizio Gioco e i suoi burattini
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Prossimo evento: sabato 28/9
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IL FIORE DELL’ARTE ASSAGGI DI SPERANZA PRATICA
GIORGIO FASOL E DEL PERCHÉ HA PRESTATO LA SUA COLLEZIONE ALL’UNIVERSITÀ È collezionista di opere d’arte contemporanea di artisti emergenti da quasi sessant’anni e in tutta la sua vita ha acquistato e venduto centinaia di lavori. Quest’anno, allo scadere del mandato del Rettore Nicola Sartor, 80 delle sue opere sono state prestate all’Università di Verona con il fine di creare una maggior sensibilizzazione all’arte contemporanea tra gli studenti, i protagonisti di questo processo di valorizzazione. Intervistiamo Giorgio Fasol direttamente a casa sua, tra le opere d’arte forse più significative della collezione. Ci fa accomodare in sala e inizia a parlarci di arte, di Verona e della sua iniziativa con l’Università. Per lui la motivazione è semplice: «Mi interessa che le opere girino e che si coinvolgano i ragazzi». Sono circa 80 i pezzi prestati all’ateneo scaligero che li può esporre nelle varie sedi per cinque anni. A questa operazione si è aggiunta la creazione di un comitato scientifico di cui fanno parte anche Francesca Rossi, direttrice dei musei civici di Verona, Denis Isaia, critico d’arte, Valerio Terraroli, docente di critica d’arte, Tommaso Cinti e Pier
Francesco Bettini. La prima mostra sarà a settembre negli spazi del complesso di Santa Marta. Un’opportunità per gli studenti, soprattutto di Beni Culturali, di poter far seguire alla teoria anche la pratica. Perché, per lui, l’arte contemporanea «è il campo più difficile che esista, più del cardiochirurgo». Non è importante solo conoscere ma anche avere fiuto perché «anche se si va sugli artisti noti, bisogna individuare quello giusto in quanto ci possono essere due zeri di differenza». E, si sa, pure il lato economico è importante nel momento della scelta. Va ad influire sull’acquisto che, se sbagliato, potrebbe rivelarsi fallimentare. Per Fasol il ri42
DI ERIKA PRANDI
schio è doppio in quanto investe soprattutto su artisti emergenti: «Io ho sempre avuto la passione. Con mia moglie prendevo il treno dell’una al sabato e tornavamo con quello delle 19 visitando sei o sette gallerie a Milano. Questo dalla fine degli anni Sessanta. Dove c’è ciò che mi interessa, vado». Non solo gallerie ma anche fiere «Importanti per due motivi: per le relazioni che si instaurano e per le molte gallerie presenti. La mia fiera di riferimento è a Basilea, ma visito anche quella di Torino, Milano, Bologna e, naturalmente, Verona. Ma la ritengo indietro di secoli. Per uscire da questo letargo c’è bisogno che i veronesi vedano e se non vogliono farlo peggio per loro». Un giudizio senza maschera nato dalla convinzione che «in Italia abbiamo un grande patrimonio culturale ma costa tanto per mantenerlo. E proprio perché ne abbiamo tanto crediamo di sapere tutto, ma il piacere deve essere preceduto dalla conoscenza». Da amante dell’arte contemporanea, ma rispettoso dell’arte antica e moderna, crede che per comprenderla servano gli strumenti, solo così si può avvicinare il grande pubblico. Dopotutto, anche ciò che adesso è contemporaneo poi diventerà storia. Appese alle pareti o appoggiate a ripiani, ci sono le sue opere. Le altre, sono custodite in un deposito. Alcune non sono nemmeno state scartate dal momento dell’acquisto. Sorprendente, però, il piccolo studio dove centinaia di libri rivestono le pareti. Sono le pubblicazioni in cui sono presenti le opere ora in suo possesso. In ogni spazio vi è una fotografia, un’installazione. Ci mostra lavori di Christian Zanon, Cristian Chironi, Hiroshi Sugimoto, Cabrita Reis, Uta
Contemporanee / contemporanei Questo il titolo della mostra che sarà inaugurata il 10 settembre e vedrà esposte oltre 80 opere di arte contemporanea in varie sedi dell’ateneo veronese.
Barth, Giovanni Morbin, Candida Hofer, Thomas Struth, e tanti altri. Poi, ci rivela un segreto: «Sapete come faccio a permettermi di acquistarne di nuove? Ne vendo alcune». Circa una ventina, però, sono nella collezione permanente al Mart di Rovereto. Nel 90 per cento dei casi, la data di creazione coincide con la data di acquisto. «Per me, è una scommessa contro il tempo». ■
Giorgio Fasol
PER LUI LA MOTIVAZIONE È SEMPLICE: «MI INTERESSA CHE LE OPERE GIRINO E CHE SI COINVOLGANO I RAGAZZI» SPAZIO PUBBLICITARIO
Corso base di impaginazione editoriale Percorso di preparazione pratica alla grafica editoriale Il corso, concepito in maniera molto pratica e laboratoriale, è studiato appositamente per fornire una formazione di base sull’utilizzo di Adobe InDesign in ambito editoriale. Al termine, il partecipante possiederà gli strumenti per gestire in autonomia l’impaginazione di un volume in maniera veloce e professionale, unendo la conoscenza dello strumento tecnico a rudimenti di grafica editoriale. Il corso si sviluppa in cinque incontri pomeridiani di quattro ore (20 ore totali), mercoledì e giovedì a partire dal 9 ottobre 2019. Gli incontri si tengono nella sede dello Studio editoriale Oltrepagina, nel quartiere di Veronetta (zona Università). Non è richiesta alcuna conoscenza pregressa. Per maggiori informazioni consultate la pagina www.oltrepagina.it/formazione/ via gaetano trezza 28-30a | 37129 verona t. 045 8673055 | info@oltrepagina.it
CRONACHE EUROPEE DIRETTAMENTE DAL CUORE DELL’UE
BRUXELLES OLTRE BRUXELLES La Bruxelles delle istituzioni vs. la Bruxelles capitale del Belgio: una città dentro la città, che fatica a far pace con le proprie radici.
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DALLA NOSTRA INVIATA A BRUXELLES CHIARA BONI
erra di burocrati e rifugio per creativi ed artisti, eterno scrigno dei più alti affari europei e sfortunato sinonimo delle critiche alle politiche unitarie, la città di Bruxelles è, quasi senza pari nel mondo, un incredibile connubio di ossimori. Innanzitutto, perchè è, quasi letteralmente, il centro dell’Europa: complice la geografia e un’innegabile anima cosmopolita, da Bruxelles è incredibilmente facile raggiungere ogni angolo del continente, e non solo. E anche perché questa relativamente piccola città si è costruita un’impalcatura internazionale che non ha eguali in tutto il mondo. Fin dal 1958, infatti, quando è stata scelta come sede temporanea della Comunità Economica Europea, Bruxelles si è conquistata il ruolo di punta come rappresentante del potere internazionale, diventando di fatto il quartier generale delle istituzioni dell’Unione europea nel 1992 (la NATO si è trasferita in città già nel 1967). Nel frattempo, Bruxelles ha accolto con successo 6 istituzioni europee, 42 organizzazioni intergovernative e 5.400 diplomatici: più di qualsiasi altra città al mondo, secondo un rapporto dell'amministrazione comunale di Bruxelles. Questa sua presenza internazionale crea circa 121.000 posti di lavoro (16,7% dell'occupazione totale) e la sola Commissione europea impiega direttamente oltre 5.000 cittadini belgi. 44
I belgi, l’UE e il Quartier Leopold Ma non è un mistero che i rapporti tra gli abitanti della città e le istituzioni che questa ospita non siano tra i più rosei. A chiedere ai veri Bruxellois cosa ne pensino del Quartier Leopold, dove risiedono Parlamento, Commissione e Consiglio tra gli altri, le risposte più in voga sembrano essere alzate di spalle e sospiri. «Non ci vado mai. Perché dovrei? Nessuno vive più lì, ormai è un torrente di automobili e uffici», ha spiegato ai microfoni di Politico.eu Denys Ryelandt, il vicepresidente di un'associazione che difende i diritti dei residenti in Uccle, un quartiere residenziale nella regione di Bruxelles-Capitale. Ovviamente le frustrazioni viaggiano anche in senso contrario, con i dipendenti dell’UE in continuo subbuglio per l’impossibile burocrazia belga, e un servizio clienti non esattamente cortese - tanto per citare due tra i più noti stereotipi locali. I più critici diranno che la nascita e la crescita delle istituzioni europee e dell’universo che gravita attorno a loro nel cuore della capitale belga ha reso Bruxelles una città grigia e senz’anima. Ma i più accorti sapranno che Bruxelles è Bruxelles anche grazie a una storia lunghissima fatta di espatriati e tradizioni importate, che qui riescono a vivere una seconda vita. E grazie alla quale Bruxelles è riuscita a diventare casa per tantissime persone, provenienti da ogni parte del mondo.■
«È IL CENTRO DELL’EUROPA: COMPLICE LA GEOGRAFIA E UN’INNEGABILE ANIMA COSMOPOLITA, DA BRUXELLES È INCREDIBILMENTE FACILE RAGGIUNGERE OGNI ANGOLO DEL CONTINENTE, E NON SOLO»
Cosa da fare a Bruxelles che difficilmente troverete sulle guide turistiche Tutte le fontane che non sono il Manneken Pis. I belgi vanno incredibilmente fieri della statuetta del bimbo che fa la pipì, assurto a simbolo della città e affollata meta turistica nel cuore della città. Ma passeggiando per Bruxelles si possono trovare tantissime altre fontanelle con acqua potabile (abreuvoir) sormontate da statue molto particolari: sono quelle realizzate da Jos de Decker e Jean Roig e ispirate dai dipinti di Pieter Bruegel il Vecchio, celebre pittore olandese morto a Bruxelles nel 1569 e oggi sepolto nella Chiesa di Notre-Dame de la Chapelle, nel quartiere di Marolles. Buone notizie per i nostalgici del vinile. La tanto attesa ondata di successo per i dischi in vinile in cui speravano tutti gli hipster del mondo sembra esserci davvero stata a Bruxelles: il centro della città è pieno di negozi piccoli e grandi in cui trovare vinili per ogni gusto. Il Musée Rene Magritte, che non è il Musée Magritte. Per i veri appassionati dell’artista belga il Museo dedicato a Ma-
gritte e situato nella Place Royale (il Musée Magritte), per quanto raffinato, potrebbe non bastare. Per loro c’è anche il Musée Rene Magritte, nato all’interno della casa in cui l’artista ha vissuto e realizzato la maggior parte delle sue opere. Proprio di fronte si può vedere lo stesso lampione che Magritte ha raffigurato in tantissimi quadri. Il Museo degli strumenti musicali e la sua terrazza. Il Museo di per sé vale certamente una visita, per tutti gli appassionati di musica e non solo. Ma la vera chicca è lo stesso edificio in cui il museo è ospitato: un elegante esempio di art nouveau, il cui ultimo piano è dedicato a ristorante con una delle più belle viste sulle città. C’è un tempio aperto solo un’ora al giorno. Si chiama Tempio delle Passioni Umane e si trova all’interno del Parco del Cinquantenario. Al suo interno si può ammirare la statua Le Passioni Umane, composta da 17 blocchi di marmo di Carrara, e realizzata da Jef Lambeaux.
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DIVISIONE: QUALE FISCO? In presenza di uno scioglimento della comunione dei beni mediante assegnazione di quelli in natura a un condividente e il versamento delle somme pari al valore della quota ad altri, qual è la tassazione da applicare? Quella della divisione (1%) o quella della vendita (9%)? L’atto è una divisione o una cessione onerosa? Domande a cui potrebbe rispondere una sentenza del Tribunale di Velletri che ha assegnato a un condividente un immobile di Roma «previa corresponsione di euro…alla controparte e il conseguente scioglimento della comunione». L’Agenzia delle Entrate ha quindi inviato avviso di liquidazione dell’imposta di registro, ipotecaria e catastale, e sanzioni con imposta proporzionale, tassando l’atto come un trasferimento della quota di una metà dell’immobile. La controversia, dopo alterne vicende, è approdata in Cassazione: l’atto in questione è una divisione o un trasferimento della quota di un mezzo da un soggetto all’altro? Gli studiosi del diritto ritengono che si tratti comunque di una divisione, cosiddetta
“divisione civile”. Sul piano civilistico è divisione anche l’attribuzione a un condividente di tutti i beni e la corresponsione all’altro condividente di denaro pari alla metà del valore degli stessi beni. L’articolo 34 del T.U. Registro dispone che «la divisione, con la quale ad un condividente sono assegnati beni per un valore complessivo eccedente quello a lui spettante sulla massa comune, è considerata vendita limitatamente alla parte eccedente». La Corte di Cassazione con sentenza del 1° agosto 2019 n.20736 ha ribadito, invece, che nel caso di scioglimento della comunione mediante assegnazione del bene in natura ad un condividente e versamento agli altri condividenti di somma di danaro corrispondente al valore delle quote, si applica l’aliquota della divisione e non quella della vendita. Ne deriva che se due figli ereditano un appartamento e in sede di divisione l’immobile viene assegnato al primo figlio il quale corrisponderà al fratello denaro in misura pari alla metà del valore del bene,
l’atto dovrebbe scontare l’imposta di registro dell’1% come divisione e non l’imposta del 9% come vendita. Solo nel caso in cui la quota assegnata ai condividenti (quota di fatto) risulti di valore superiore alla quota di diritto spettante, la differenza scontrerebbe l’imposta come vendita perché è come se costui avesse acquistato la porzione eccedente (conguaglio) dagli altri. Questa apertura della Cassazione è importante per far modificare l’interpretazione del fisco in materia di divisione, contratto che presenta molte sfaccettature non sempre facilmente definibili sotto il profilo tributario.
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SUL TETTO DEL MONDO
IL PAKISTAN VISTO E VISSUTO SU DUE RUOTE Non per tutti le vacanze estive coincidono con il sole, il mare o le passeggiate in montagna. Per alcuni significano avventura. A confermarcelo è Ferdinando Erbisti, 52 anni, veronese: da buon avventuriero ha raggiunto il Pakistan in moto, percorrendo poi la strada più alta del mondo, la Karakorum Highway. DI GIORGIA PRETI
I
n Italia, a 4.800 metri d’altezza, c’è solo il Monte Bianco, la montagna più alta d’Europa. In Pakistan, a 4.693 metri, si percorre l’autostrada. È la Karakorum Highway, la strada asfaltata più alta del mondo, che collega il Pakistan con la Cina attraverso il passo del Khunjerab. E a farle da contorno, con il fascino naturale che è concesso solo alle montagne, alcune delle vette più famose e meravigliose del mondo, dal K2 al Nanga Parbat arrivando fino al Gasherbrum. Ed è in questa cornice che il veronese Fernando Erbisti, insieme ad altri tre amici, Paolo Cracco, Marco Zanetti e Stefano Mirandola, ha intrapreso un viaggio di due settimane, in sella ad una moto, alla scoperta di un mondo così diverso da quello occidentale, eppure unico nella sua bellezza. Fernando, perché questo viaggio insolito? L’anno scorso, con un gruppo di amici motociclisti, sono andato in Vietnam: avevamo un amico comune che lavorava là. Durante il viaggio, alla sera, saltavano fuori proposte per i viaggi successivi. Una di queste era stata: «Per46
ché non facciamo la Karakorum Highway, che è la strada asfaltata più alta del mondo?». La cosa mi ha incuriosito, ho cominciato a documentarmi e ho deciso di portare avanti l’idea con alcuni amici. Qual è stata la difficoltà più grande nell’organizzare il viaggio? Il problema più grosso è stato quello del mezzo: abbiamo dovuto noleggiare le moto in Pakistan, perché era troppo complicato portarle dall’Italia. Quindi ho cominciato a scrivere e contattare agenzie viaggi pachistane che le noleggiavano e facevano questo tipo di percorso. È stata dura, ma alla fine siamo riusciti. Quanti chilometri avete macinato in tutto? Tremila chilometri circa. Abbiamo percorso strade incredibili, la cosa bella è che di asfalto ce n’è poco. Nei giorni in cui andavamo su strade sterrate percorrevamo 200 chilometri, quando c’era più asfalto anche 300-400. Abbiamo attraversato una strada incredibile, la S1, che da Gilgit va a Skardu e sono 160 chilometri
solo di sterrato: lì la guida è a sinistra e da quel lato avevamo uno strapiombo incredibile che finiva in un fiume e non ci sono sistemi di protezione. Durante il viaggio siamo caduti quasi tutti (ride, ndr) con poche conseguenze: d’altronde è facile cadere sullo sterrato. Avete fatto incontri particolari sul vostro cammino? Non ci sono occidentali, appena le persone locali ti vedono, chiedono di farsi una foto con te. Poi abbiamo conosciuto un australiano che era in viaggio con la moglie, stavano girando da mesi per l’Oriente. Con loro ci siamo trovati prima di entrare nella Karakorum e gli ho chiesto se fosse bella come si dice. Mi hanno risposto che ad ogni curva avremmo esclamato “wow”. Ed è stato così. Rifarebbe questa esperienza? Sì assolutamente. È stata impegnativa, ma abbiamo visto cose uniche al mondo. Poi quando siamo arrivati a Skardu, da dove partono tutte le spedizioni degli alpinisti che vanno sul K2 o sul Nanga Parbat o sul Gasherbrum, in albergo abbiamo conosciuto due italiani: Francesco Cassardo, un ragazzo che era caduto qualche mese fa dal Gasherbrum VII, e Carlalberto Cala Cimenti. Stavano per partire per la spedizione e Cimenti tre giorni prima era sceso dal Nanga Parbat sciando di notte. Abbiamo passato assieme qualche ora dopo cena. Ho letto dell’incidente qualche giorno dopo su internet. E ora a quando il prossimo viaggio? Per adesso ci prendiamo un po’ di pausa, ma quel ragazzo australiano incontrato sulla strada ci ha dato delle dritte: secondo lui il posto più bello è il Laos. Poi ci sarebbe sempre l’idea di andare in Sud America: Bolivia, Colombia… vedremo. ■ Immagini di Fernando Erbisti nel suo viaggio in Pakistan
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LA PASSIONE “TEMPORALESCA” DI NICOLA BRUNELLI
IL CACCIATORE DI TORNADO Alzino la mano tutti quelli che, nei giorni precedenti la partenza per le ferie, guardano in maniera ossessiva il meteo, improvvisando la danza del sole davanti a ogni ipotesi di pioggia. Nicola Brunelli, montoriese con il pallino della meteorologia, è forse l’unico veronese a gioire se il meteo indica, invece, temporale. Perché il brutto tempo, soprattutto se violento, è la sua passione. E a questo ha deciso di dedicare le sue vacanze, tutte a base di tornado.
L
DI FRANCESCA MAULI
o scorso maggio, in compagnia di Mauro Greco, torinese esperto di tempeste, e di due compagni di viaggio romani, Nicola si è recato nel Midwest statunitense a caccia di tornado. Ben venga quindi la pioggia durante le ferie, meglio se abbondante. «Quando sfortunatamente c’era il sole, ne abbiamo approfittato per visitare la provincia americana» racconta, ridendo dell’apparente controsenso. 5000 chilometri percorsi in auto tra Oklahoma, Kansas, Nebraska e Texas, nella cosiddetta “Tornado Alley”, in cui, tra aprile e giugno, è facile imbattersi in fenomeni temporaleschi di estrema violenza. «La passione per la meteorologia è nata una ventina d’anni fa quando, praticando il parapendio, ho avuto l’occasione di apprenderne alcune nozioni di base, che ho approfondito poi in autonomia, entrando anche a far parte dell’associazione Meteo4, eredità dell’osservatorio meteorologico di Bellavite, appassionandomi via via maggiormente alla meteorologia estiva» racconta Nicola, che è anche amministratore del sito meteo.montorioveronese.it. Da tempo coltivava il sogno di recarsi nella terra 48
dei tornado, finché la scorsa primavera il sogno si è realizzato. Le tecniche di caccia «Mi sono messo in contatto con Mauro Greco, torinese esperto di “caccia al tornado”, che organizza viaggi di gruppo negli USA lungo la “Tornado Alley”, caratterizzata da una situazione metereologica particolare, dovuta allo scontro tra la corrente calda e umida della Golfo del Messico e l'aria fredda delle Montagne Rocciose. Ogni sera, Mauro studiava le carte meteo della zona e, in base a quelle, interpretava una “zona di Target”. Il mattino seguente partivamo verso la zona in cui la probabilità di fenomeni era più alta. Quando poi iniziavano i primi temporali si affinava il tiro. Attorno ad ogni temporale vi è infatti un’ampia zona in cui si osservano solo precipitazioni, e una piccola area in cui le precipitazioni sono assenti e vi è maggiore probabilità che si creino dei tornado. La strategia di “caccia” prevede quindi di posizionarsi in quest’area, sperando che il tornado si sviluppi poi effettivamente, ma restando sempre ad una
certa distanza, pronti ad allontanarsi in caso di pericolo». Più facile a dirsi che a farsi, al punto che la loro caccia stava per concludersi in un nulla di fatto. Fino al penultimo giorno, quando finalmente gli appostamenti hanno dato i frutti sperati. «Trovarsi davanti al tornado, dopo averlo aspettato così a lungo, è stato molto emozionante: moltissima adrenalina, mescolata a una discreta tensione. Contemporaneamente, si resta affascinati davanti alla manifestazione della natura in tutta la sua potenza». Di recente abbiamo avuto a che fare con fenomeni molto violenti anche in Italia: la tempesta Vaia, lo scorso autunno, ma anche le più recenti trombe d’aria in località marittime. «Si sta consolidando anche qui una tendenza allo sviluppo di fenomeni temporaleschi sempre più violenti. E a dirlo non è solo la nostra percezione, ma i dati delle stazioni metereologiche» conclude Brunelli. «La questione alla base è piuttosto semplice: maggiore temperatura e maggiore umidità significano maggiore energia nell'aria,
quindi maggior carburante per i fenomeni temporaleschi, che tendono a essere più distruttivi. Qualcosa sta cambiando e questo cambiamento è ormai ben visibile a tutti». ■
Nicola Brunelli
«ATTORNO AD OGNI TEMPORALE VI È INFATTI UN’AMPIA ZONA IN CUI SI OSSERVANO SOLO PRECIPITAZIONI, E UNA PICCOLA AREA IN CUI LE PRECIPITAZIONI SONO ASSENTI E VI È MAGGIORE PROBABILITÀ CHE SI CREINO DEI TORNADO. LA STRATEGIA DI “CACCIA” PREVEDE QUINDI DI POSIZIONARSI IN QUEST’AREA, SPERANDO CHE IL TORNADO SI SVILUPPI POI EFFETTIVAMENTE» SPAZIO PUBBLICITARIO
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L’IMPRESA DI FABIO E DI SÉBASTIEN
ALLA CONQUISTA DEL LAGO DI GARDA A NUOTO Fabio Lotti e Sébastien Atienzar hanno realizzato un’altra impresa, attraversare a nuoto il Lago di Garda in poco più di tre ore. Il trentaduenne non vedente di Arcugnano e il francese trapiantato in Italia hanno portato un messaggio di sport e possibilità, tra gli applausi.
S
ulle pagine di Pantheon avete già letto di Fabio Lotti, ideatore e promotore insieme a Marco Andreoli di Progetto Yeah, un ramo aziendale di Cooperativa Sociale Quid, specializzato nella fornitura di servizi per l’accessibilità e l’inclusione di persone con disabilità, soprattutto visiva. Ma Fabio, non vedente, non è solamente un Educatore esperto in disabilità sensoriali e multifunzionali, è anche uno sportivo di talento. Lo scorso 13 luglio, accompagnato dalla sua guida Sébastien Atienzar, è riuscito nell’impresa di completare la 10^ Traversata del Lago di Garda, organizzata da ASC Sport Management. 7 chilometri da Torri del Benaco a Maderno, mossi da onde e un po’ di vento, in tre ore e due minuti, conquistando il secondo posto di categoria. Non è la prima impresa che compiono insieme. Fabio e Séb hanno pedalato in tandem, hanno corso, hanno nuotato e nel 2015 hanno completato il Triathlon di Bardolino, unica tappa italiana del Circuito Internazionale, con Fabio primo non vedente a affrontarlo. [F: Fabio | S: Sébastien] Ragazzi, innanzitutto complimenti, ma come è nata questa idea? F+S: Da quando facciamo sport insieme il nostro obiettivo è sempre stato quello di confrontarci con noi stessi, cercando di spostare più in là l’asticella del nostro limite. Dopo il Triathlon volevamo confrontarci con una traversata importante, ed eccoci qui. Come funziona il nuoto in due? F: Siamo legati da una corda alla caviglia, lun-
ga circa un metro e mezzo. Questo permette una bracciata libera, ma deve esserci grande affiatamento. S: Non si nuota in linea retta, specie in acque libere, occorre continuamente aggiustare la traiettoria per puntare alla boa successiva.
Fabio Lotti insieme alla sua guida Sébastien Atienzar
Quanto è stato difficile l’allenamento? F: Ci siamo dati anche qualche botta nuotando vicini (ride, ndr). Abbiamo fatto allenamento nel lago, perché nuotare in piscina è troppo facile rispetto alle condizioni che poi abbiamo trovato in gara. Stupendo un allenamento in cui da Garda abbiamo raggiunto la Baia delle Sirene, siamo usciti dall’acqua, abbiamo ordinato una Coca-Cola e poi siamo ripartiti. Séb mi ha raccontato che il barista ci guardava come due extraterrestri. S: Sicuramente impegnativo. Avevo già partecipato alla traversata nel 2015, da solo, ma nuotare in due è molto diverso. Non è come andare in bici o correre. Dal mio punto di vista devo controllare molti parametri, miei e di di Fabio. Ci sono stati dei momenti nel corso della traversata che vi hanno scoraggiato? F: Stavamo nuotando secondo me da molto tempo, e Séb mi ha detto che eravamo solo ad un quarto del percorso. In quel momento ho pensato di non farcela. Non potendo vedere non ho assolutamente la concezione della distanza, Séb mi segnala a che punto siamo, ma è difficile concentrare lo sforzo non avendo chiaro un punto di riferimento S: All’inizio è stato frustrante, le onde ci hanno reso tutto più difficile, ci siamo scontrati più volte. Poi abbiamo preso il ritmo. 50
DI MATTEO BELLAMOLI
Cosa è passato per la testa quando avete toccato riva? S: Ho potuto prepararmi, ma non ho detto a Fabio che eravamo quasi arrivati. Quando lui ha sentito i sassi sotto alle mani ha realizzato che ce l’avevamo fatta. F: Quando ho sentito la riva sotto di me mi sono alzato e ho gridato con tutto il fiato che avevo, mentre intorno i tanti amici applaudivano. Ci siamo abbracciati. È stato un momento molto intenso.
Iron Man L'Ironman è la definizione per indicare una delle distanze standard del triathlon, la più dura, faticosa e lunga. Si definisce anche Triathlon Super Lungo e si compone di tre frazioni in quest’ordine: 3,86 chilometri di nuoto, 180,260 chilometri di bicicletta e 42,192km chilometri di corsa, ovvero una maratona. Raffrontati al Triathlon Olimpico, come quello affrontato da Fabio e Sébastien a Bardolino, si capisce subito l’enorme differenza. A Bardolino infatti le distanze sono state 1,5 chilometri di nuoto, 40 chilometri di bici e 10 chilometri di corsa.
Sembra che niente vi possa fermare, obbligatorio chiedervi della prossima impresa. Avete già un programma? [ridono, ndr] F+S: Ci sono tante cose. Vorremmo attraversare lo stretto di Messina, che pur più corto del Garda è attraversato da una corrente fortissima. E poi c’è il sogno: l’Iron Man. Chissà... ■
“Il mio Bardolino” Atleta, Educatore e…. scrittore. Al termine dell’esperienza al Triathlon Olimpico di Bardolino 2015, Fabio ha anche messo nero su bianco le sue impressioni di quella storica impresa. Un breve racconto che abbiamo avuto il piacere di leggere per scoprire cosa passa nella testa nell’affrontare un’impresa così dura e complessa. Che sia un preludio ad un libro?
«NON POTENDO VEDERE NON HO ASSOLUTAMENTE LA CONCEZIONE DELLA DISTANZA, SÉB MI SEGNALA A CHE PUNTO SIAMO, MA È DIFFICILE CONCENTRARE LO SFORZO NON AVENDO CHIARO UN PUNTO DI RIFERIMENTO»
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UNFORNAIO IL RIFLESSIONE “SUPEREROE” SUL NOSTRO DI LUGAGNANO ORO VERDE
IRONMAN IN TUTTO E PER TUTTO La nuova sfida del veronese Giampaolo Bendinelli. 40 chilometri a nuoto, 1.800 in bici e 420 a piedi: il tutto in soli 10 giorni.
L
a sua storia si potrebbe paragonare a quella di qualche eroe dai super poteri, uno fra tutti Clark Kent: di giorno semplice giornalista per poi trasformarsi, all'occorrenza, in uomo invincibile. Così Giampaolo Bendinelli, che smette il grembiule da fornaio quando indossa le vesti di "Papo". Chi lo conosce, sa bene che quando vuole sa trasformarsi in supereroe! Classe 1964, tre figli, è sposato con Paola. Insieme a lei gestisce a Lugagnano di Verona il panificio di famiglia, arrivato alla quarta generazione. Da 15 anni a questa parte, nel tempo libero, Papo gareggia in competizioni Ultra Ironman. Dopo aver disputato le sue prime venti gare su distanza Single Ironman con tutte le condizioni climatiche e altimetriche possibili, dal 2012 ha iniziato a gareggiare nelle distanze Double Ironman a Zurigo in Svizzera, Bad Blumau in Austria, a Dubai, a Herry Hagg State Park in Oregon USA, e a Lake Luoisa Orlando Florida USA. Ma non bastava: voleva vedere oltre, così nel 2014 ha deciso di gareggiare in Messico, a Leon, percorrendo la distanza Triplo Ironman. Nel 2015, 2016 e 2017 le tre gare su distanza 5 iIronman nelle due versioni 1xday e NO STOP. Al traguardo, il podio mondiale e il nuovo record nazionale assoluto, ma soprattutto la consapevolezza di poter spingersi oltre. L’ultima prova L’oltre arriva a luglio dove, dalla sala stampa della Camera dei Deputati ufficializza con l’onorevole Paolo Paternoster la sua presenza alla gara di Coppa del Mondo di Ultratriathlon Deca Ironman che si è tenuta dal 22 al 31 agosto presso le Alpi svizzere di Sangallo. Unico veneto presente e soli due italiani, lui e l'emiliano Luca Zanetti, a cimentarsi in questa "passeggiata" che si è completata necessariamente entro 10 giorni, dopo aver percorso 40 chilometri a nuoto, 1.800 in bici e 420 a piedi. ■
DI GIORGIA CASTAGNA
DA 15 ANNI A QUESTA PARTE, NEL TEMPO LIBERO, GIAMPAOLO, DETTO PAPO, GAREGGIA IN COMPETIZIONI ULTRA IRONMAN Giampaolo Bendinelli
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TRA CAMPIONATI E ALLENAMENTI COSTANTI
IL TIRO ALLA FUNE È UNA COSA SERIA Molti non ne sono a conoscenza, ma esiste un campionato italiano di tiro alla fune. Marcantonio Grizzi, mantovano con radici veronesi, l'ha scoperto nel 2002. Tuttora fa parte della squadra del proprio comune e partecipa alle competizioni nazionali indoor e outdoor.
C
i sono mille maniere di svolgere la medesima azione. C'è chi sente l'esigenza di sentirsi libero da vincoli, con l'unico scopo di potersi divertire. C'è anche chi, invece, ha necessità di vedere una meta in fondo al sentiero intrapreso, tanto da corredarlo di obiettivi e test di verifica. Quest'ultima via può portare un gioco popolare a diventare una disciplina sportiva. Marcantonio Grizzi, mantovano ma con origini in Lessinia da parte della madre, è un praticante agonistico di tiro alla fune. «Ma sul serio ci sono campionati?» si domanderanno i più. Ebbene sì, perché la Fistf (Federazione italiana sport del tiro alla fune) organizza ogni anno i campionati indoor e quelli outdoor, nei quali si sfidano le compagini italiane con maggior blasone. Marcantonio fa parte dell'Ad Tiro alla Fune Gazoldo degli Ippoliti – Ponti sul Mincio e ci racconta i suoi esordi: «Nel 2002 il mio vicino di casa mi propose di andare a provare. Sono sempre stato agonista, anche nei "giochetti" da bambini».
ra. Marcantonio, un passato da ciclista tramontato fra servizio di leva e seguente disaffezione per i pedali, ha deciso di continuare. Il suo club, che vanta una storia iniziata negli anni Ottanta, gli ha permesso poi di ritrovare quella sistematicità che c'è in tutte le discipline sportive: «La gente pensa che il tiro alla fune sia solo un gioco da sagra. La nostra squadra si allena anche tre volte alla settimana e noi sappiamo bene che per migliorare dovremmo trovarci anche una volta in più». Nessun giochetto, insomma: «Iniziamo la preparazione ad ottobre – prosegue Grizzi – in vista dell'inizio dei campionati in primavera. Partiamo con la corsa, ma senza lasciare mai veramente l'allenamento delle braccia. Puoi essere preparatissimo, ma se molli le braccia è finita. È difficile riprendere». Nessun professionismo, ovviamente, ma una speranza: «Cerchiamo costantemente di allargare la nostra passione ai più giovani: il nostro è un ambiente sano e pulito».■ DI EMANUELE PEZZO
La prima gara disputata L'inizio non è stato dei migliori: la prima gara disputata, pur dopo una buona preparazione, è terminata in un penultimo posto. «Prendemmo una bella "paga": personalmente ero distrutto sia dal punto di vista fisico che mentale, tanto da non essere così tanto convinto di proseguire con la cosa». Quello che l'ha tenuto stretto è stata l'atmosfe-
Marcantonio Grizzi (secondo in piedi da sinistra) assieme ai suoi compagni di squadra
NELLE GARE DI TIRO ALLA FUNE SI GAREGGIA IN OTTO PER SQUADRA , CON DIVERSE CATEGORIE IN BASE AL PESO COMPLESSIVO DEGLI ATLETI 54
articolo pubbliredazionale
IL SOFFIO INNOCENTE doscopio (lo strumento medico che il cardiologo utilizza durante la visita). Tale reperto non è sinonimo di malattia ed è un riscontro molto frequente nei bambini. neonatale o pediatrica ed è proprio il
vita fetale.Esistono delle caratteristi-
pediatra che per primo riscontra tale reperto (magari quando il bambino è
clinico verso una genesi “patologica”
agitato e piange durante la visita). Il
-
-
-
do il reperto auscultatorio presenta
ratori e con la posizione del paziente.
-
Allora come può orientarsi il pediatra
festa perché il cuore dei piccoli pa-
o il medico che riscontra per primo
zienti mostra una contrattilità molto vivace. L’assenza quindi di patologie
In caso di paziente in età pediatrica è
organiche sottostanti consente per-
necessario far valutare il paziente da
-
un cardiologico pediatrico (ovvero un cardiologo specializzato nelle cardio-
Dott.ssa Albrigi Lucia
Specialista in cardiologia e cardiologia pediatrica
patie congenite), che eseguirà contesituazione descritta in precedenza
stualmente un elettrocardiogramma,
anche quando sussistono particola-
ri condizioni cliniche che portano il
ecocardiogramma colordoppler. Fon-
sangue ad accelerare il suo percor-
damentale è l’esecuzione di quest’ul-
un rumore generato dal passaggio del
so, come ad esempio l’iperpiressia
timo esame poiché consente (se effet-
-
(la “febbre”). In tali situazioni non
tuato da mani esperte) una diagnosi
ture del cuore (valvole, arterie, vene). Il
sono presenti alterazioni anatomi-
pressoché certa sul motivo-causa del
-
che cardiache ma solo un aumento
co?
adulta è possibile eseguire dapprima
zioso, può essere avvertito come un fruscio quando è particolarmente tur-
seppur le condizioni che portano a
un elettrocardiogramma ed un eco-
-
tale accelerazione siano patologiche.
cardiogramma e successivamente,
scontrato in tutte le età: neonatale, pe-
-
in caso di reperti patologici, eseguire
diatrica, nell’adolescenza ma anche in
to “organico” ovvero patologico sia
una visita cardiologica presso un car-
nell’adulto che nel bambino? Quando
diologo dell’adulto. Esistono poi ulte-
esistono caratteristiche precise che li
riori test complementari, indicati però
contraddistinguono. Tali caratteristi-
cardiaca vera e propria della struttura
in situazioni particolari, ad esempio la
che possono già indirizzare il cardio-
del cuore. Può essere una valvola più
risonanza magnetica cardiaca o l’Hol-
logo sui possibili tipi di meccanismo sua eventuale patologicità e gravità.
ter cardiaco (la registrazione del tracnon chiude correttamente o un foro
delle 24 ore per i disturbi del ritmo) ed
anomalo. Nel bambino si parla quin-
il cicloergometro (test da sforzo). Sarà
di di “cardiopatie congenite”, ovvero
lo specialista cardiologo che valuterà
Qual
difetti cardiaci che sono presenti sin
la necessità di completare l’iter dia-
-
dalla nascita dovuti ad una alterazio-
gnostico con questi ulteriori esami.
cente viene spesso riscontrato in età
ne nello sviluppo del cuore durante la
è la differenza tra i due?
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LA POLE DANCE, SPIEGATA SENZA STEREOTIPI
QUELLA DANZA SOSPESA La pole dance si sta diffondendo sempre più anche nel Veronese. Sono numerose le donne che scelgono questa pratica sportiva perché vogliono riscoprire loro stesse e la loro forza interiore. Al contrario di come la maggior parte delle persone pensa, non si tratta di un'attività legata ad ambienti come gli strip club: la pole dance è uno sport riconosciuto.
L
a pole dance è un’arte con tre capisaldi: forza, preparazione e perseveranza. Alcune fonti storiche collocano le sue origini nel mondo del circo, precisamente nel Nord America degli anni Venti, dove i pali dei tendoni venivano utilizzati per realizzare performance. Altri la collegano alla Mallakhamb, una pratica dell'India del dodicesimo secolo che vedeva gli uomini esibirsi in equilibrio su una pertica di legno. La pole dance è uno sport in continua evoluzione, adatto a tutti, sbarcato dieci anni fa a Roma, sede del primo Campionato italiano, promosso dalla Federazione Italiana di Pole Dance, e poi diffusosi nelle altre città. «Ho iniziato a praticarla sette anni fa a Verona, nella prima scuola della città, ma nonostante venissi dal mondo del fitness, ho dovuto ricominciare dall’inizio, innamorandomene. La pole è una disciplina alternativa ai corsi, che unisce le arti circensi e la danza, utilizzando tessuti, cerchio e pertica», spiega Roberta Lonardi, istruttrice. È uno sport che interseca, in un vortice di sensualità, il verticalismo, la danza e la ginnastica (dall’artistica alla ritmica finendo con l’acrobatica). Forza nel corpo, forza nella mente È una disciplina intensa e completa che permette di tonificare il corpo, perché le figure acrobatiche
da realizzare sulla pertica richiedono molta forza, coordinazione, resistenza e flessibilità. Tutte capacità che si acquisiscono solo dopo una specifica preparazione. «Ho cominciato pole dance nel 2016 in Svizzera per gioco e dopo tre mesi il mio corpo è cambiato: ho perso 8 kg grazie alla forza di volontà che questa attività ti spinge ad avere», spiega Veronica Tromba, che con Roberta insegna la Pole Sport alla School of Art. Infatti, già dopo pochi mesi, il corpo si modella e diventa forte, come forte è la consapevolezza di sentirsi più belle, sensuali e sicure di se stesse, doti che tutte hanno ma che tante non sanno di avere. «Insegnare mi ha dato tante emozioni e soddisfazioni dalle mie ragazze: a settembre si vergognavano a togliersi i leggins, per paura dei giudizi; ma dopo mesi di fatica, con due allenamenti a settimana, la pole le ha scolpite, cambiandole nella mente e nell'anima, e il loro saggio fatto a fine anno davanti a quasi cento persone mi ha commossa», conclude Veronica Tromba. «Ho cominciato pole dance un anno fa per caso e me ne sono innamorata. Il percorso non è stato facile, ma dopo avermi rivista in video nel saggio di fine anno ho riconosciuto i cambiamenti del mio corpo e la bellezza nello svolgere le figure acrobatiche imparate grazie alle mie istruttrici che mi stimolano a non mollare», spiega Arianna Legnaghi, allieva di Veronica e Roberta.■
DI INGRID SOMMACAMPAGNA
UN VORTICE DI SENSUALITÀ CHE INTERSECA LA DANZA E LA GINNASTICA ACROBATICA 56
CONSIGLI AL RIENTRO DALLE FERIE
PRIMA REGOLA: RIPARTIRE DA SÉ Nella stagione dei buoni propositi, un appunto riguarda lo stile di vita. Scegliere una corretta alimentazione significa investire su futuro e salute. Il biologo molecolare e blogger in ambito nutrizionale Gianfranco Di Gennaro conferma, suggerendo qualche stratagemma per ricominciare con il piede (e il peso) giusto
S
ettembre, tempo di buoni propositi. E insieme l’occasione per ricominciare, prima di tutto da se stessi. «Dipende dall’importanza dei propri obiettivi», premette Gianfranco Di Gennaro, biologo molecolare specializzato in Dietetica e Statistica medica. C’è chi deve perdere quel chiletto in più che fa stringere gli abiti in cintura, per cui potrebbero bastare una dieta leggermente ipocalorica e un modesto taglio della percentuale di calorie provenienti dai carboidrati. E c’è chi, invece, deve alleggerirsi parecchio nel peso: «Allora è necessario un lavoro profondo e a lungo termine. In questo caso la ristrutturazione della propria dieta va seguita da un professionista, da un personal trainer, e in molti casi da uno psicologo. La fisiologia umana non concede scorciatoie: servono impegno e pazienza per dimagrire stabilmente e in modo salutare», precisa il blogger in ambito nutrizionale, che dispensa consigli dal sito StudioDarwin.com. Come passo iniziale ognuno dovrebbe sperimentare diverse strategie e individuare le abitudini che facilmente può integrare nella quotidianità. «Alcune persone legate particolarmente alla gratificazione alimentare dovrebbero progettare un’alimentazione costituita da tanti piccoli pasti durante il giorno. Altre, che hanno un approccio più distaccato con il cibo, possono fare pasti distanziati nell’arco della giornata. L’ideale sarebbe capire cosa funziona e cosa non funziona su se stessi», chiarisce. Questione anche di buone abitudini, a partire dal carrello della spesa, per introdurre nella dispensa solo cibo salutare e allontanare le tentazioni. «L’errore principale che commette la stragrande maggioranza delle persone è pensare che per dimagrire, o comunque per mangiare correttamente, si debba usare la propria forza di
volontà. Non funziona così», aggiunge. Di mezzo ci sono gli antenati, fa notare: «Non facevano colazione al bar, pranzo in mensa, aperitivo e cena. Non sapevano se il giorno successivo sarebbero riusciti a procurarsi altro cibo. Per questo motivo il nostro genoma è evoluto per mangiare quante più calorie possibile. Alcune comunità indigene sono state osservate in un contesto alimentare occidentale: questi individui estremamente magri e muscolosi mangiavano interi vasetti di miele a cucchiaiate. La nostra genetica è più forte della nostra forza di volontà». Non si deve trascurare nemmeno la gratificazione. «Un’alimentazione non gratificante, che non procura piacere, è scorretta. D’altra parte, il piacere alimentare non deve essere fine a se stesso. L’alimentazione è uno strumento prima di tutto necessario a realizzare a pieno la propria vita, permettendoci di lavorare al meglio e di vivere una vita personale serena. In termini pratici il piacere è bere uno o due bicchieri di vino buono; la felicità è dire di no al terzo...». Perché, alla fine dei conti, la salute ringrazia. Le corrette abitudini alimentari sono associate infatti alla riduzione del rischio di una serie di patologie sia oncologiche che cardiovascolari oltre e di altre condizioni cronico-degenerative. Ma rimane un equivoco da chiarire, chiosa: «Nutrirsi in modo salutare serve a ridurre i rischi, ma soprattutto a migliorare la qualità della propria vita non soltanto nell’immediato, ma in prospettiva futura. Ad esempio, a pranzo, limitarsi a mangiare un solo piatto di pasta invece di fare il bis non garantirà di non sviluppare nessuna malattia, ma di sicuro eviterà di rimettersi al lavoro boccheggiando e comporterà maggiore chiarezza mentale e produttività sul lavoro, oltre ad aiutare a gestire meglio la propria forma fisica».■ 57
DI MARTA BICEGO
in cucina con Nicole Qualche idea sana (e golosa) per le vostre giornate www.nicolescevaroli.com a cura di NICOLE SCEVAROLI
PORRIDGE DI AVENA, LAMPONI E CIOCCOLATO Una colazione equilibrata e golosa Ingredienti • 40g fiocchi di avena • 75ml di latte (anche vegetale) • 75ml di acqua • 20g cioccolato • Lamponi, banane • 30g nocciole APPUNTI NUTRIZIONALI L’avena è un cereale ricchissimo di proprietà, fibre, vitamine e sali minerali. È saziante e nutriente, per questo
Mescolate fiocchi e latte in un pentolino. Mette sul fuoco, fate addensare, spegnete il fuoco, aggiungere il cioccolato, mescolate. Arricchite con nocciole lamponi e banana.
risulta perfetto per cominciare la giornata facendo il pieno di energie.
OVERNIGHT DI AVENA, PESCA E CANNELLA Una colazione fresca e croccante Ingredienti • 40g fiocchi di avena • 100ml di latte (anche vegetale) • 1 pesca bianca • 30g mandorle • Un pizzico di cannella
Mescolate fiocchi e latte in una tazza, coprire con la pellicola, fate riposare tutta la notte in frigorifero. Il mattino seguente arricchire con mandorle tritate, cannella e pezzetti di pesca, mela o pera. 58
BELLEZZA AL NATURALE SÌ, QUESTA RUBRICA NON CONTIENE PARABENI
IL BAGNO A VAPORE, TOCCASANA PER LA PELLE Con l’avvicinarsi del cambio stagione la pelle manifesta esigenze diverse. Per affrontarle al meglio si può prendere ispirazione da un rituale noto da secoli per purificarla in profondità e stimolare la circolazione sanguigna. Si tratta del bagno di vapore, semplicissimo da fare a casa, arricchendo l’acqua con oli essenziali.
VEDIAMO IL PROCEDIMENTO PASSO DOPO PASSO. 1. Struccarsi e detergere il viso è il primo passo necessario per massimizzare i benefici del bagno di vapore. La pelle è pronta quando non c’è più traccia di trucco e dopo averla lavata con il consueto detergente. 2. Scaldare un litro e mezzo d’acqua e, quando è “fumante”, trasferirla in una ciotola capiente di legno o plastica. 3. Aggiungere all’acqua qualche goccia di olio essenziale, magari di lavanda o di limone. In alternativa, se non si hanno oli essenziali in casa, si può mettere nell’acqua anche del tè verde in foglie. 4. Mettere il viso sull’acqua in modo da ricevere il vapore senza scottarsi (una buona distanza è di circa 20 centimetri, ma può aumentare se la pelle è delicata), con un asciugamano sopra la testa in modo da concentrare il più possibile il vapore. Restare in posizione per 10 o 15 minuti. 5. Una volta terminato lavare il viso e applicare un buon idratante. 59
A CURA DI
CLAUDIA BUCCOLA
FORZA BELLEZZA ASSAGGI DI SPERANZA PRATICA
CULTURA VUOL DIRE ATTENDERE CON CURA Una riflessione sul senso profondo che sta dietro alla nomina di Capitale della Cultura Europea. Un titolo da riempire di significato perché non si riduca ad un innamoramento effimero ma prenda le fattezze di una storia d’amore. Per Matera, per Verona e per qualsiasi altra città italiana.
F A CURA DI DANIELA CAVALLO
orse sono arrivati i Marziani e non lo sappiamo. L’Artico in fiamme, gli Oceani pieni di plastica, gli animali selvaggi di tutte le specie chiedono aiuto, e più vicino a noi gli alberi, al Nord come al Sud, abbattuti, dal vento o dalla Xylella. Eppure parliamo di Paesaggio, di Capitali della Cultura, dello Sport, dell’Architettura, capitali di qualsiasi cosa, ci scanniamo per valorizzare il territorio, ci affanniamo di turismo, mille progetti, brutte architetture pur di rigenerare: mi sembra di stare su un altro pianeta, o che il mio sia popolato da extraterrestri decisi a eliminarlo, anche sviando l’attenzione di volta in volta come se il territorio non fosse uno. Capitale e Cultura, un po’ di etimologia Forse l’extraterrestre sono io; così mi sono sentita a Matera Capitale della Cultura Europea 2019. Così cerco il bandolo della matassa, mi attirano Come prendersi cura È nell’accordo tra Governo ed Associazioni stipulato a maggio sul Paesaggio agricolo come paesaggio di cui avere cura (Convegno Verso una nuova agricoltura, sintesi di culture identitarie e turismo) che Matera 2019 si è dimostrata Capitale della Cultura: lanciare il messaggio che bisogna prendersi cura del territorio, coltivarlo se vogliamo un futuro, insomma Agri-Cultura.
le parole “Capitale” e “Cultura”, forse mi sfugge il significato, oppure utilizzo le parole in maniera impropria. Ho sempre molto da imparare. \ultura” dal verbo latino “colere", coltivare, ovvero attendere con cura: tutti questi eventi, dei quali a turno è Capitale qualche città o territorio, appaiono innamoramenti con l’entusiasmo e la forza che l’inizio di un amore porta, poi perdono di “cura” nel tempo più lungo e non arrivano a diventare amori veri. Come l’innamoramento che ogni tanto abbiamo per la terra. Così per il territorio: metti una mostra, metti una serie di mostre più piccole, degli eventi sparsi, una serie di concerti, alcuni incontri per parlare e altri per promuovere prodotti, un pacchetto che va bene ovunque, l’unico valore aggiunto e che resta è il territorio, la sua unicità: tanto marketing poco territorio. ■
E avere cura vuol dire fare formazione a imprenditori, commercianti, abitanti che siano, educarli al futuro, per sapere andare avanti. In questo, forse, potrebbero essere investiti i finanziamenti, perché seminare vuol dire: «avere la cura assidua e necessaria pari a quella dell’agricoltore per far sì che le piante e le erbe fioriscano e fruttifichino». Ogni territorio sia così Capitale di se stesso, testa pensante, modello, perché se l’innamoramento passa, la cura resta.
TUTTI QUESTI EVENTI, DEI QUALI A TURNO È CAPITALE QUALCHE CITTÀ O TERRITORIO, APPAIONO INNAMORAMENTI CON L’ENTUSIASMO E LA FORZA CHE L’INIZIO DI UN AMORE PORTA , POI PERDONO DI “CURA” NEL TEMPO PIÙ LUNGO E NON ARRIVANO A DIVENTARE AMORI VERI
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articolo pubbliredazionale
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Thru-hike, alla scoperta della natura selvaggia hike può regalare, accompagnandoli in sicurezza attraverso percorsi a volte impegnativi, ma sempre suggestivi e lontani dalla civiltà.
Camminare per giorni attraverso una natura ancora selvaggia. Dormire in una tenda sotto un cielo che appare luminoso per l’incredibile numero di stelle che contiene. Chiacchierare attorno ad un fuoco che sa di resina, sorseggiando un thè fumante. Imparare ad essere autonomi e autosufficienti. Ritrovare il tempo per se stessi e i propri pensieri. Queste sono solo alcune delle emozioni che un thru-hike può regalare.
The Walking Robin nasce con lo scopo di avvicinare le persone a questa tipologia di viaggio e, in collaborazione con Move Travel, propone trekking di vari livelli, tipologia e durata, tutti accomunati dalla volontà di far riscoprire il piacere dell’esplorazione del “Grande Wild”! Per rendere più piacevole e sicura una simile esperienza, The Walking Robin fornisce tutto l’equipaggiamento necessario, comprensivo di zaino, tenda e sacco a pelo!
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Il 9 dicembre si parte con il Fishermen’s Trail, un percorso stupendo di una settimana che permette un’intima conoscenza con uno dei luoghi più suggestivi e selvaggi del Portogallo: la Costa Vicentina dell’Alentejo.
Dopo aver attraversato alcune delle aree più selvagge e remote d’Europa in solitaria, la guida escursionistica Robin Targon ha deciso di mostrare agli altri le meraviglie e le sensazioni che solo un thru-
Questo trekking è una vera e propria introduzione al thru-hiking. Percorreremo integralmente il Fishermen’s Trail, in totale autonomia per quanto riguarda i viveri. Il pernottamento avverrà principalmente in campeggi attrezzati, un buon modo per abituarsi a dormire in tenda. Una costa plasmata dalla forza dell’oceano, in cui specie animali e vegetali africane si mescolano alla macchia mediterranea. Un luogo magico, in cui dune di sabbia rossa sovrastano imponenti scogliere a picco sul mare.
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Il Muro di Giulietta Ti guardo, ti osservo. Penso. Se quella sera avessi aperto le
Ci siamo conosciuti da bambini, siamo ancora qua. Insieme. Felici.
porte del cuore...
Ti amo.
Non era il momento. Forse.
(Ginevra)
Ora sei felice, innamorata. E quella notte non tornerà. (Mirko)
Saremo noi due. Non so quando o dove. Forse non su questa Terra. (Letizia)
Sono ancora ferita. Con te ho assaporato l'amore.
Quando ormai sembrava troppo tardi, sei arrivata tu, gioia infinita. Ti abbiamo sempre aspettata.
(Angela)
(Alessia e Gianluca)
Come te, nessuna. (per Marta)
Non passava giorno che non ci scrivessimo. Ci capivamo, nel profondo. Niente più. Cosa c'era tra noi? Ora rimane il ricordo. Dolceamaro.
L'amore è una grande luce e tu sei la luce di Arzerè. Questo è per il tuo 70esimo compleanno, che indossi molto bene. Ringrazia per il dono della vita e per la nuova possibilità che hai di amare, fare del bene, donare un sorriso e una speranza. Augurissimi.
(per Serena)
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Considerazioni in ordine sparso sui bambini di ieri e di oggi
L’estate è finita. È stata ricca di confronti, di chiacchiere con altri genitori. La domanda più ricorrente? Eravamo anche noi così da piccoli? Per questo, io nata negli anni ‘80, con grande nostalgia vorrei condividere con voi qualche ricordo e fare una piccola riflessione.
U
na volta l’estate era il periodo in cui i bambini si rilassavano davvero perché imparavano ad annoiarsi. Erano liberi di correre, di farsi male (nel limite), persino di sporcarsi (!), senza che scoppiassero tragedie. Non c’erano tante attività extra da fare: i più fortunati andavano dai nonni, altri frequentavano il CER, il Centro Estivo Ricreativo, che suona tanto da istituzione fascista, o il Grest della Parrocchia, che però si svolgeva solo al pomeriggio. Adesso non è più così, i bambini sono impegnatissimi con tennis, calcio, nuoto, a studiare inglese, cinese e guai a lasciarli senza far niente. Chi disegna è un’artista, chi corre un’atleta. Agli occhi dei genitori sono tutti già predestinati, come il Piccolo Buddha del compianto Bertolucci. Ricordo, invece, che se mi annoiavo mia mamma mi diceva “aiutami a pulire le tegoline” e tanti altri amici veronesi mi hanno confessato di aver ricevuto lo stesso arduo compito. Se la sera stavo fuori un’oretta al campo giochi e le zanzare mi divoravano, con tranquillità, il giorno dopo, a casa mi passavano un bello strato di Polaramin e tutto era a posto. Ora, se non hai la pennetta post-puntura senza ammoniaca, con l’estratto di calendula e il colostro della mucca della Val di Non, ti chiedi: Sopravvivrà? Avrà uno shock anafilattico? O la fobia delle zanzare per tutta la vita? E le cadute con la bici? Un grande classico, ne porto ancora le cicatrici. A turno, un genitore arrivava in giardino e ti disinfettava con l’alcool… un bruciore incredibile: piangevi più per quello che per la caduta. E l’unica frase di conforto era “porta pazienza che fa guarire”. Vogliamo parlare del cibo che cade a terra per una frazione di secondo? Alcune mamme di oggi non vogliono sentire ragioni, urlano: non raccoglierlo! Una volta, e, per fortuna succede ancora adesso per alcuni, ce la si cavava con un bel soffio e una spolveratina con le dita. Dai, nessuno avrebbe mai lasciato lì una Big Babol, anche se piena di sabbia. Io andavo perfino in colonia. Una delle esperienze più belle e divertenti della mia vita e
quella in cui ho pregato di più, il direttore era un prete severo. Adesso sarebbe impensabile. Davvero vuoi abbandonare tuo figlio lì da solo? Hai pensato alle conseguenze sulla sua autostima, mi domanderebbe più di qualche genitore. In montagna, se facevo fatica a camminare, mi bastava lo sguardo di mio padre e correvo come una lepre. Adesso i bambini: non devi spingerli a fare ciò che non vogliono, bisogna rispettare il loro “io” … siamo alla follia (o almeno credo). Ricordo che quando potevo, scendevo in cortile con una schiera di amici che ancora saluto con piacere. Ci si suonava il campanello: vuoi venire giù? E si trascorrevano le giornate a giocare a guardia e ladri, a nasconderci nei garage, ricevendo i rimproveri di mezzo condominio, a palla prigioniera, a sdraiarci sfiniti sull’erba a straparlare, a giocare a “Occhi di Gatto”, litigando per fare “Sheila”. Adesso, se potessimo, gli infileremmo un microchip per localizzarli sempre e ovunque, alla faccia della fiducia che dobbiamo trasmettere. I genitori di oggi e mi ci metto anch’io, sono troppo informati, sanno troppe cose sul come bisogna allevare i figli, hanno letto manuali e libri di psicologia di ogni sorte ma spesso quel che manca è il buon senso. Capire che, per crescere bimbi sereni e autonomi, le esperienze belle e brutte servono, in ugual misura. Si stava meglio quando si stava peggio? ■ 64
DI SARA AVESANI
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IL LIBRO. Il titolo è un indirizzo, un’indicazione d’uso quasi banale nella sua millimetrica evidenza. Dopo averla udita dall’I Ching, il libro oracolare cinese, lo scrittore francese Carrère vi ha aderito in ogni sua forma e conseguenza. In questo libro che è un po’ il riassunto di Emmanuel, uomo e scrittore inscindibili sempre, non si trova una riposante trama ma più un resoconto letterario, come fosse un viaggio attorno agli ultimi 25 anni della sua scrittura. Ci sono interviste riuscite male, appunti per un libro che non sarà mai, un riassunto della Romania spartita tra Ceaușescu e Dracula e poi, come è sempre peculiare alla sua prosa modellata dalle «intromissioni», storie personali che si fondono con l’esigenza spietata di descrivere quanto si vive, per scomporlo, per organizzarlo e, in parte, per fuggirlo nella sua interezza.
Titolo: Propizio è avere ove recarsi Autore: Emmanuel Carrère Casa Editrice: Adelphi Pagine: 429
L'AUTORE. . Conosciuto per Limonov, per l’Avversario, per Il Regno, per il meraviglioso Un Romanzo Russo, Carrère è anche penna sublime sulla carta stampata, Le Monde in primis, con esiti che sanno toccare l’eccelso, mentre sfiorano la provocazione nella sua forma più ragionevole (leggere la genesi di Facciamo un gioco, per credere). Il suo libro più commovente che non si può davvero evitare di leggere è, e rimane, Vite che non sono la mia. Nelle ultime pagine, cita Céline per rendere indelebile a noi e a se stesso quello che è arrivato a concepire. «Forse è questo che cerchiamo nella vita, nient'altro, il più grande dolore possibile per diventare noi stessi prima di morire». NOTE A MARGINE. Questo libro è come se fosse l’archivio dello scrittore, un’anamnesi di quanto messo sulla carta negli anni, tra le cronache durissime dei processi penali che ha seguito come giornalista, ai potenti e alle loro frasi che li fanno sembrare così perduti. E poi c’è la vita di Emmanuel Carrère che irrompe e si rende letteraria, dunque universale, quando descrive nel dettaglio il gioco disperato che hanno allestito, una notte, nella stanza di un piccolo hotel, lui e la sua Hélne per non pensare alla telefonata che dovevano ricevere dall’ospedale: quella notte Juliette, la sorella di Helene, sarebbe morta di cancro. Come mitigare l’attesa di un dolore che si sa inevitabile? Si sono messi a scrivere su un pezzo di carta come erano buffe le lampadine di quella stanzetta opaca, con le pareti gialle. Hanno descritto il luogo della sofferenza, per dire dell’indicibile solo nei suoi contorni. «Perché io so che per essere abitabile, l’infelicità deve andare per gradi».
PAGINE PER I PIÙ PICCOLI
A CURA DI
ALESSANDRA SCOLARI
IL LIBRO. Definito «un fenomeno internazionale», questo libro rivela dove finiscono i calzini quando scompaiono, cioè quando si spaiano. Li mangia la lavatrice? Certo che no. L’autrice ne è certa: vogliono la libertà! Questa storia di dieci calzini (4 destri e 6 sinistri), che, come bambini, coraggiosi decidono di scegliere il proprio destino: salutano i loro fratelli gemelli, lasciano la cesta della biancheria o la lavatrice e affrontano il mondo in cerca di avventure. Nessuno di loro sa cosa aspettarsi. Alla fine tutti trovano la loro strada, a volte buffa, e a volte imprevedibile. L’AUTORE. Justyna Bednarek è una giornalista e scrittrice nata a Varsavia (Polonia), nel 1970, dopo il liceo ha frequentato l’università, sempre a Varsavia. Non si conosce molto della sua carriera di scrittrice. Con questo libro ha ottenuto il premio letterario di Varsavia, il riconoscimento del miglior libro per bambini della catena di librerie Empik. Inoltre il libro è stato selezionato all’Ibby Award, come il più bello dall’Associazione editori della Polonia.
Titolo:
L'incredibile avventura dei 10 calzini fuggiti: (4 destri e 6 sinistri)
Autore:
CURIOSITÀ. Non si può rimanere indifferenti alle storie di questo libro che si fondono con le illustrazioni: ne esce un buon connubio tra fantasia e realtà. I calzini che si ribellano alla pigrizia, scoperto il buco sotto il cesto della lavatrice, vi entrano solo convinti che qualcosa di nuovo succederà. Dieci racconti fantastici che possono ispirare i ragazzi che non sanno mai cosa scrivere nei temi di scuola. Ogni calzino (non c’è bambino o ragazzo che non abbia a che fare con la biancheria perduta) può raccontare una storia, quella che ci sta più a cuore. Dopo aver letto questo libro, ragazzi e adulti guarderanno con occhi diversi i calzini.
Justyna Bednarek
Illustrazioni:
Daniel de Latour
Casa Editrice: Salani
Pagine: 158
SE VI SERVE UN PO’ DI POESIA È difficile dire con parole di figlio ciò a cui nel cuore ben poco assomiglio. Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore, ciò che è stato sempre, prima d’ogni altro amore. Per questo devo dirti ciò ch’è orrendo conoscere: è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia.
(Pier Paolo Pasolini, Supplica alla madre) 66
Non limitarti a sognare i grandi palcoscenici. Vivili!
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Dal 2000 avviciniamo bambini, ragazzi e giovani alla Bellezza, all’arte di far musica e teatro con alti standard qualitativi che permettono ai giovani allievi di partecipare a importanti eventi in Italia e all’estero. Dal 1 settembre riaprono le iscrizioni per l’anno accademico 2019/2020. Potrai scegliere tra le attività di Canto corale, Canto solistico lirico e moderno, Strumentale, Teatrale, Arti figurative e Masterclass strumentali. Dal 2018 A.LI.VE. organizza il Festival Inchiostro Vivo nel Chiostro di Sant’Eufemia, dedicato a giovani e promettenti artisti. Le realtà associative che gravitano nel Chiostro si sono consorziate su un’idea di A.LI.VE. e offrono alla città un panorama di eventi che vanno dal teatro alla musica, dall’arte figurativa alle tematiche sociali.
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STORIE DI STORIA LIBERAMENTE ROMANZATE
PER UN GOTO DE VIN Genesi della morra, il «clamoroso giuoco» messo all’indice dalle amministrazioni per il suo carattere turbolento, tra scommesse, risse e trance agonistica.
DEVI ESSERE SCALTRO, LA POSTA IN GIOCO È ENORME: UN GOTO DE VIN O ADDIRITTURA UN FIASCO INTERO DI ROSSO
«U
no! Tre! Cinque!» Le dita si muovono frenetiche. Tutto il corpo è teso nello sforzo e segue una danza ritmata fatta di urla e qualche intimidazione. Devi ingannare il tuo avversario, non deve prevedere il numero che le tue dita e la tua voce stanno per indicare. Contemporaneamente devi indovinare il suo di numero, non cadere nelle sue trappole. Devi essere scaltro, la posta in gioco è enorme: un goto de vin o addirittura un fiasco intero di rosso. È così che si diventa vincitori, tra un rachetàr e uno smocolàr tuo, suo e degli spettatori che stanno intorno al tavolo. La morra ha origini antiche, la si giocava nelle osterie e nelle trincee della Prima Guerra Mondiale. La inventarono (forse) gli egizi, la tramandarono i romani e oggi rivive, parzialmente, anche grazie alle manifestazioni come il Tocatì. Parzialmente perché, visto il suo carattere di gioco esuberante, è stata da tempo bandita uffi-
cialmente: «I gravissimi e continui disordini che succedono in causa del clamoroso giuoco così detto della Mora determinano questa Regia Delegazione a prescriverne assolutamente la proibizioni». Questo si legge in una circolare, datata 15 marzo 1836 e indirizzata alle amministrazioni comunali di Verona. La morra è tuttora considerata un gioco d’azzardo in ragione del fatto che, al di là delle scommesse per qualche lira, la foga del gioco induceva spesso i giocatori, presi dalla trance agonistica, a darsele di santa ragione. Ne andava di mezzo anche il proprietario del locale e quindi da allora (ma soprattutto dopo un’ordinanza simile, durante il periodo fascista), anche i titolari delle osterie vietarono questo gioco nei loro spazi. In questi tempi moderni e nell’immaginario collettivo, la morra rimane comunque uno dei giochi popolari più affascinanti e ricchi di aneddoti da raccontare. Un patrimonio da tutelare, nel rispetto della legge, s’intende. ■ 68
DI MARCO
ZANONI
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ANGOLO PET CANI, MICI&CO
VIPERE, COSA SAPERE In Italia esistono 15 specie di serpenti, 11 sono della famiglia dei “colubridi o colubri” e sono innocui, gli altri appartengono ai “viperidi o vipere” che possono invece essere pericolosi. In Lessinia, durante l'estate, sono state numerose le testimonianze di esemplari trovati lungo i sentieri e nei campi.
M
edusa, dai capelli di serpi, affascinava, ma allo stesso tempo chi la guardava pagava il prezzo con la vita. Come alla famosa Gorgone anche ai serpenti bisogna stare attenti, ma basta saper riconoscerli per non correre pericoli. Le vipere, divise in quattro specie (Aspis, Berus, Ammodytes, Ursinii), sono gli unici serpenti velenosi presenti in Italia. In Lessinia la vipera comune o aspide è la più frequente. Il suo aspetto si riconosce da queste caratteristiche: il capo triangolare, il muso squadrato con l'apice rivolto in alto, le pupille verticali, le squame del capo piccole, il corpo massiccio e la coda corta. Gli adulti sono lunghi 80 cm mentre i giovani misurano alla nascita circa 20 cm. Ma il vero elemento distintivo che permette di riconoscere una vipera a distanza è la postura e la movenza. Questa tipologia di animale tiene spesso il corpo ripiegato a S e si muove lentamente. Ama le zone assolate ed è più attivo al mattino e alla sera, il resto del tempo sta nascosto. Gli escursionisti devono stare attenti, perché, in quelle fasce orarie, l’animale è più lento e indifeso, quindi attacca più facilmente. Se si viene morsi Il morso lascia due punti rossi grandi, causati dai denti veleniferi, distanziati tra loro di 6-8 mm. I primi sintomi sono: arrossamento, gonfiore, formicolio, dolore e cianosi attorno al morso. Se non si interviene subito, in un'ora possono manifestarsi vari sintomi come nausea, vomito, dolori muscolari, diarrea e, nei casi più gravi, si può arrivare al collasso cardiocircolatorio, allo shock e alla perdita di coscienza. L'infortunato non va mosso così come l’arto colpito che deve essere subito immobilizzato come se fosse fratturato per evitare la diffusione del veleno. Mentre si aspetta l’arrivo dei soccorsi, prontamente allertati, non si deve incidere la pelle né succhiare il sangue. Non va, neanche somministrato il siero antivipera perché essendo di origine animale può provocare uno choc anafilattico. All'infortunato va dato del tè o del caffè per evitare un calo pressorio, evitando assolutamente la somministrazione di alcolici. ■
A CURA DI INGRID SOMMACAMPAGNA Incontri ravvicinati a Giazza «Vado spesso in bici in Lessinia e proprio a Giazza ho avuto un incontro ravvicinato. Le ho scattato delle foto e poi se n'è andata nell'erba. Non saprei cosa fare nel caso mi mordesse ma è un motivo in più ora per informarmi», ci racconta Giuliano Battisti, un nostro lettore di Tregnago.
ALCUNI ACCORGIMENTI UTILI? INDOSSARE SCARPE ALTE E CALZETTONI DI LANA PESANTE, PROCURARSI UN BASTONE E CAMMINARE CON UN PASSO CADENZATO, ISPEZIONANDO SEMPRE IL LUOGO DOVE CI SI VUOLE SEDERE. OVVIAMENTE: NON METTERE LE MANI SOTTO LE ROCCE O DENTRO LE FESSURE.
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CONSIGLI E RIFLESSIONI TARGATI ADICONSUM
ANSIA DA PRESTAZIONE (DI AUTONOLEGGIO) Molto spesso, passate le ferie, rimane qualcosa oltre ai bei ricordi dell'estate. Purtroppo, però, si tratta di uno sgradevole souvenir registrato sull'estratto conto della carta di credito. Un timore che, chiunque abbia noleggiato un'auto, almeno una volta, conosce.
S
i firma il contratto, si registra la carta di credito e comincia il viaggio. Una procedura di per sé semplice, quella dell'autonoleggio, se non fosse per il vivo rischio di addebiti occulti o ingiustificati. Qual è la franchigia per i danni? E la policy carburante? Quanto costa la consegna fuori orario? Cosa succede nei casi di vandalismo, furto, pneumatico forato? Sono tante le domande che andrebbero poste al banco accettazione prima di ritirare la vettura e dare inizio all'itinerario programmato. Piccole accortezze che possono evitare grandi dispiaceri. Secondo il Centro Europeo Consumatori l’autonoleggio rappresenta, dopo quello del trasporto aereo, il settore in cui si registra il maggior numero di reclami. Due i consigli che scaturiscono dall'esperienza del CEC a) leggere attentamente il contratto prima di firmarlo in modo da verificare che non siano stati inseriti, a nostra insaputa, servizi supplementari non richiesti, come le coperture assicurative opzionali; b) controllare bene il veicolo ed insistere perché l’operatore segnali tutti i danni, anche lievi, sul report di ispezione del veicolo ed evitare di riconsegnare il mezzo senza che venga effettuato nuovamente il controllo dello stato del veicolo. Ciò nonostante, a volte, a prescindere da tutte
le precauzioni messe in atto, si rilevano addebiti ingiustificati sull'estratto conto. Non è raro, infatti, che le compagnie di autonoleggio pongano in essere vere e proprie pratiche commerciali scorrette che finiscono per affliggere anche il cliente più scafato. Lo dimostra il fatto che, in più di un'occasione e per vari motivi, l'Antitrust ha sanzionato diverse società del settore. L'ultima ad essere incorsa in un provvedimento dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato è stata la B Rent s.r.l. in merito alle procedure di riconsegna del veicolo e all’addebito di danni. Dal procedimento è emerso «che il professionista abbia addebitato, in modo ingiustificato, a taluni clienti, importi a titolo di rimborso per danni riscontrati sulle autovetture noleggiate – in alcuni casi addebitando l’intera franchigia, in altri addebitando importi per danni preesistenti e in altri addebitando danni senza documentazione giustificativa – e spese amministrative». È stata data evidenza, inoltre, del riconoscimento di incentivi economici per gli addetti alla riconsegna del veicolo (si leggeva in una email interna che «per tutti gli operatori che effettuano attività di rientro sarà riconosciuta una commissione di 8 euro per danno recuperato»). Al prossimo noleggio, dunque, basta souvenir indesiderati. Abbassate l'ansia e alzate l'attenzione. ■ 72
A CURA DI CARLO BATTISTELLA DI ADICONSUM VERONA
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IL GLOSSARIO DEL LAVORO UNA PAROLA PER VOLTA
ANF, OVVERO L’ASSEGNO PER IL NUCLEO FAMILIARE SPIEGATO
Si tratta di uno strumento volto a sostenere economicamente le famiglie dei lavoratori dipendenti. Il suo ammontare varia in base al numero e alle particolari condizioni di salute (se sono presenti soggetti inabili l’importo è maggiore) di coloro che formano il nucleo.
A
marzo l’Inps ha comunicato la nuova procedura che i lavoratori dipendenti di aziende del settore privato dovranno seguire per richiedere gli assegni familiari, validi dal 1° luglio 2019 al 30 giugno 2020. Procedura che da cartacea diventa esclusivamente telematica utilizzando il modulo ANF/DIP SR 16 online. Il calcolo dell’importo spettante sarà effettuato direttamente dall’Inps e non più dal datore di lavoro. Cos’è e come funziona L’Assegno per il Nucleo Familiare (ANF) è una prestazione economica erogata dall'INPS ai nuclei familiari di alcune categorie di lavoratori, dei titolari delle pensioni e delle prestazioni economiche previdenziali da lavoro dipendente. Il riconoscimento e la determinazione dell’importo dell’assegno avvengono tenendo conto della tipologia del nucleo familiare, del numero dei componenti e del reddito complessivo del nucleo stesso. La prestazione è prevista
in importi decrescenti per scaglioni crescenti di reddito e cessa in corrispondenza di soglie di esclusione diverse a seconda della tipologia familiare. Sono previsti importi e fasce reddituali più favorevoli per alcune tipologie di nuclei. Tempi e termini Il diritto decorre dal primo giorno del periodo di paga o di pagamento della prestazione previdenziale, nel corso del quale si verificano le condizioni prescritte per il riconoscimento del diritto (ad esempio, celebrazione del matrimonio, nascita di figli). La cessazione avviene alla fine del periodo in corso o alla data in cui le condizioni stesse vengono a mancare (ad esempio conseguimento della maggiore età da parte del figlio). Concludendo le lavoratrici e i lavoratori dipendenti privati (esclusi i lavoratori agricoli) devono presentare la domanda degli assegni per il nucleo familiare direttamente all’INPS tramite la procedura telematica con PIN Personale o direttamente al PATRONATO INAS CISL. ■ 74
DI EMILIANO GALATI, SEGRETARIO FELSA CISL VENETO
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CALENDARIO DEL MESE gli eventi di Settembre 2019, secondo noi
a cura di Paola Spolon
02
EVANESCENCE Luogo: Arena di Verona Ora: 21.00
03
CIPÌ Luogo: Teatro Camploy Ora: 20.30
04
MA PERCHÉ TUTTI MI CHIAMANO FRANKENSTEIN? Luogo: Teatro Camploy Ora: 20.30
05
CANYON DEL TORRENTE SORNA Luogo: Monte Baldo Ora: tutto il giorno
06
KARAMEA Luogo: Teatro Nuovo San Michele Ora: 21.00
07
VALPOLICELLA E-BIKE TOUR Luogo: Valpolicella Ora: tutto il giorno
08
LUNA IN PIAZZA BRA Luogo: Piazza Bra Ora: 20.00
09
POWER HITS ESTATE Luogo: Arena di Verona Ora: 20.30
10
IL SERPENTE - Luigi Malerba Luogo: Teatro Camploy Ora: 21.00
11
ROMEO & GIULIETTA ITINERANTE Luogo: Verona Ora: 21.00
01
PASSEGGIATA TRA STORIA E CAMBIAMENTI CLIMATICI Luogo: Bosco Chiesanuova Ora: 09.00
12
TOCATÌ Luogo: Verona Ora: tutto il giorno
legenda MOSTRE/
CINEMA
LIBRI
MUSEO
SPORT
INCONTRI
13
TOCATÌ Luogo: Verona
14
16
UN’ESTATE IN CAPITOLARE Luogo: Biblioteca Capitolare di Verona
19
15
TOCATÌ Luogo: Verona
TOCATÌ Luogo: Verona Ora: tutto il giorno
17
FREE SOLO Luogo: Cinema Kappadue Ora: 19.00
18
LA TERRA DEI LOMBRICHI Luogo: Teatro Nuovo Ora: 18.00
20
TORRE DEI LAMBERTI WINE EXPERIENCE Luogo: Torre dei Lamberti Ora: 18.30
21
22
ROYAL FAMILY Luogo: Teatro Nuovo Ora: 12.00
23
PIO & AMEDEO Luogo: Arena di Verona Ora: 21.00
24
LEZIONI DI VINO Luogo: Signorvino Ora: 19.00
25
MARMOMAC Luogo: Veronafiere Ora: tutto il giorno
26
Fate le cose che dite di voler fare da una vita.
27
DISCOVERY TOUR Luogo: Parco Natura Viva di Pastrengo Ora: 11.30
28
FESTIVAL DELLA CERAMICA Luogo: San Zeno Ora: tutto il giorno
29
LESSINIA YOGA FESTIVAL Luogo: Valle delle Sfingi Ora: 10.30
30
FRANCESCO DE GREGORI Luogo: Arena di Verona Ora: 20.00
FIERA
DANZA
MUSICA
AMORE
CARNEVALE
Lasciate che siano gli altri ad affaticars nel criticare, voi siate quelli luminosi, che argomentano proposte.
SKARROZZIAMO SULL’ADIGE Luogo: Centro Sportivo Bottagisio Ora: 09.30
TEATRO
A CURA DI
ANDREA NALE
L'OROSCOPO ALLA NOSTRA MANIERA
21 MARZO - 20 APRILE
21 APRILE - 20 MAGGIO
Ci sono indizi, nell’aria, che indicano come presto troverete qualcosa che vi sconvolgerà la vita e la strada monodirezionale che avete preso e pensate di aver scelto. Arriverà quindi molto presto il momento di capire se ha senso seguirli o lasciarli da parte e non badarci, ma su questo non posso fare niente io e nessuna previsione, gli astri da interrogare li troverete ad occhi chiusi.
Sta per arrivare un periodo di burrasca in cui l’unico modo per esser tranquilli e trovare uno scoglio sicuro sarà fare per bene le piccole cose quotidiane, una dopo l'altra, trovando dei micro-momenti di orgoglio per voi stessi. Solo in questo modo ho trovato riposo e pace in tutti quei f rammenti di tempo in cui mi sono sentito in alto mare, senza pace.
ARIETE
23 LUGLIO - 23 AGOSTO
LEONE
Perché avete bisogno di fermarvi? Pensatevi sull'acqua, passate la vita a planare sulla superficie solcando le onde ma ora avete bisogno di iniziare ad affondare per scovare i tesori delle vostre vite deposti sul fondale. Quindi fermi, immergetevi e poi ripartite con qualche ottimo pensiero raccolto dall’interno, lì, dentro di voi.
23 NOVEMBRE - 21 DICEMBRE
SAGITTARIO
Se aveste un super potere, quale vorreste avere? Avete mai fantasticato su che cosa ci fareste? Beh, ora non usate troppa immaginazione, avete una prova più complessa: fate finta di non possedere una vostra dote preponderante e affermata. Fatto? Ora chiedetevi se state vivendo al massimo. Sono i super poteri che vi mancano o una sana e generalizzata fiducia in voi stessi?
21 MAGGIO - 21 GIUGNO
TORO
GEMELLI
Immagino che spesso vi sentiate pigri, o vi siate definiti pigri nella vita, di fronte agli altri. Niente di più sbagliato, Gemelli! Avete mai pensato a tutto quello che fate e costruite? La pigrizia comprende solo il 10 per cento delle vostre giornate, il resto del tempo è pura attività. Vi è proibito usare la parola "pigro" riferito a voi stessi fino a fine anno.
24 AGOSTO - 22 SETTEMBRE
23 SETTEMBRE - 22 OTTOBRE
VERGINE
Si dice che quando si cresce ci siano una serie di illusioni che spariscono e vengono meno, l'illusione dell'amore, del bene nel mondo, del lavoro perfetto, quante ne avete fatte sparire dalla vostra vita? E quante invece ne avete di nuove? Dovete controllare nel vostro bagaglio dei desideri e trovare le nuove speranze che di certo avete ma che per ora per voi non hanno nemmeno un nome.
BILANCIA
L'ambiente sta collassando, parrebbe. Le forze dei venti e delle acque vi stanno chiamando a fare qualcosa, a fare del bene alla natura. Pensate di essere pronti? Per ricreare l’equilibrio che avete con voi stessi e con il mondo vi lascio il compito di essere dei paladini della salvaguardia ambientale e della natura e di fare in modo che la gente vi veda come tali.
22 DICEMBRE - 20 GENNAIO
21 GENNAIO - 19 FEBBRAIO
CAPRICORNO
ACQUARIO
Ci sono forze in questi giorni, in una vostra relazione, che a differenza del solito sono in grado di toccare le trame del vostro inconscio avendo effetti benefici e curativi. Sapete identificarli? Sapete quale persona ringraziare e abbracciare per questo?
Anche a voi succede - nonostante siamo tutti diventati adulti, e tutto sia cambiato - di vivere ancora con i ritmi di quando andavate a scuola? I ritmi in cui a giugno tutto rallenta, l'anno finisce e a settembre invece tutto riparte? Questo è il retaggio di un'età più pura che ancora ci accompagna ogni giorno per salvarci dalla nostra mente adulta razionale. Dovete rifugiarvi in questi attimi ancora presenti, per affrontare ogni tempesta che potrebbe arrivare.
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22 GIUGNO - 22 LUGLIO
CANCRO
È il tempo di scavare, avete dentro di voi movimenti dal profondo che necessitano di assestamento e che finché non lo troveranno porteranno con loro una serie lunga e dolorosa di effetti collaterali che farete fatica a capire. Tutti questi sintomi esistenziali che sentite aggredirvi riuscirete a fermarli solo concentrandovi su due cose: come siete arrivati fino a qui e cosa volete per il vostro immediato futuro.
23 OTTOBRE - 22 NOVEMBRE
SCORPIONE
La vita non è mai un susseguirsi di attimi e di giornate su una linea retta, è, invece, una serie di porte chiuse messe in cerchio in una stanza a cui ogni tanto si fa ritorno per poterle finalmente aprire con delle chiavi conquistate nelle esperienze della vita. State per fare ritorno ad una delle porte che per più tempo sono rimaste chiuse, avete ben chiaro quale chiave avete conquistato?
20 FEBBRAIO - 20 MARZO
PESCI
Il lavoro vi sembra stressante? Una sola semplice analisi vi farà capire quanto stiate investendo energie in qualcosa che non fa per voi: da uno a dieci, quanto è diversa la vostra vita da quando siete in ferie a quando non lo siete? Quante cose che amate potete recuperare solo nei quindici giorni di riposo d'agosto? Il futuro della vostra carriera scrivetelo voi in base al risultato di questa semplice operazione.
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