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EDIZIONE OTTOBRE 2019
ANNO 11 - NUMERO 09
NUMERO CENTOQUATTRO
PANTHEON
PIETRO BATTISTONI
«GRAZIE VERONA» Il presidente di ABEO ringrazia le migliaia di persone, le decine di aziende ed enti che hanno contribuito alla «realizzazione di un sogno». Inaugurata il 17 settembre l'oasi dell'associazione che sostiene i bambini affetti da tumore e le loro famiglie
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OTTOBRE 2019
DI MATTEO
SCOLARI
EDITORIALE
Pietro Battistoni è un uomo, un padre, che ha perso la figlia primogenita di sei anni a causa di un male incurabile. Era il 1992. Qualche tempo prima, tra il 1988 e il 1989, quando seppe del tumore che si stava accanendo sulla sua bimba, decise di affrontare uno dei periodi più bui della sua vita facendosi forza, condividendo la sofferenza, ma anche la speranza, con altri genitori colpiti dallo stesso difficile (per certi versi incomprensibile) destino. Nacque da quel gruppetto di padri e di madri coraggiosi il primo nucleo di ABEO, associazione che dal 1993 si dedica in toto ai bambini emopatici oncologici, affetti cioè da tumori solidi e leucemie.
Il giorno dopo mi ha richiamato, a sorpresa, scusandosi con me per “aver ceduto” alle emozioni durante la nostra chiacchierata: «Sono una persona sensibile, ho 66 anni, sento che lei invece ha una voce giovane. Sa, sono uno che si commuove anche davanti a un’alba o a un tramonto, figuriamoci quando penso ai ragazzi di ABEO o a mia figlia». Gli ho detto di non preoccuparsi, che non si deve scusare, che lo capisco e che la commozione è stata reciproca in quei trenta minuti. Allo stesso tempo, però, ho pensato anche al fatto che se una persona che ha tutto il diritto di commuoversi mi richiama perché si sente in qualche modo in difetto, vuol dire che la riflessione che dobbiamo fare tutti noi, figli di una società per lo più cinica, arida, individualista, è davvero profonda.
Il 17 settembre scorso, giorno del taglio del nastro di Villa Fantelli, è stata una data importante per tutta la città di Verona, e non solo. E lo è stata anche per Pietro, che a trent’anni esatti da quel maledetto 1989 ha visto rinascere, grazie all’impegno e alla generosità di migliaia di persone, un’oasi aperta e allo stesso tempo protetta, in cui le parole rassegnazione, sconforto, dolore fanno fatica ad entrare.
Stiamo perdendo di vista il significato vero della vita, delle relazioni umane? Delle cose importanti, che contano davvero? Siamo noi in difetto caro Pietro. Noi che non siamo più in grado di aprirci ai sentimenti autentici, quasi fossero una debolezza, un punto a nostro sfavore.
Casa ABEO, parafrasando le parole di Battistoni, è un luogo di evasione dai pensieri negativi che in modo inevitabile si avvicinano ai ragazzi e alle ragazze affetti da tumore e alle loro famiglie. Un contesto in cui il sostegno psicologico e morale è rafforzato dalla presenza di professionisti e di tanti volontari disposti a fare qualsiasi cosa pur di donare un sorriso a chi il sorriso lo ha dimenticato.
Continua ad emozionarti davanti a un’alba o a un tramonto, o per un sorriso di uno dei tuoi “ragazzi”. Cercheremo di seguirti, imparando ad essere persone più vere.
Durante l’intervista telefonica che ho avuto con il presidente di ABEO, durata una mezz’oretta circa, il Pietro uomo e padre, ancora coinvolto con la mente e con il cuore in ciò che è successo un paio di settimane fa, si è commosso. Più di una volta.
QUANDO UN’ALBA O UN TRAMONTO NON CI DANNO PIÙ EMOZIONI, SIGNIFICA CHE L’ANIMA È MALATA . matteo.scolari@veronanetwork.it @ScolariMatteo
ROBERTO GERVASO
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REGISTRAZIONE TRIBUNALE DI VERONA N.1792 DEL 5/4/2008 - NUMERO CHIUSO IN REDAZIONE IL 27/09/2019
Indice
44
IL MONDO DEI
IN COPERTINA
50
IL FIORE DELL'ARTE
IL CHILDREN’S MUSEUM
55 60
BELLEZZA
14
PIO, AMEDEO
62
PILLOLE
DI MAMMA
18
NON C’È PIÚ TEMPO
64
RUBRICA
PET
22
QUATTRO DONNE E UN FESTIVAL
26
DA LUGO A ROMA
66
STORIE DI STORIA
LE RAGIONI GIUSTE
74
IN CUCINA CON NICOLE
MATILDE MARCONI, MISS LESSINIA
L'OROSCOPO
34
78
42
MASSIMO BERTAGNOLI
46
SCRIVERE DI AMORE
6 12
MOTORI
LA NUOVA OASI DI ABEO E TUTTE LE SPERANZE DI PIETRO BATTISTONI LA BELLA VERONA SECONDO
SALMON MAGAZINE
SPIEGATO AI GENITORI
E QUEL CHE RIMANE DI NOI AI TEMPI DI INSTAGRAM
AL NATURALE
PAROLA DI LUCA MERCALLI
(DELLA SCIENZA)
IL NEO CARDINALE EUGENIO DAL CORSO
PER CANDIDARSI ALL’UNESCO
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IL CHIEVO E QUELLA SERIE A
SECONDO IL CLUB DI GIULIETTA
52
ALLA NOSTRA MANIERA
E IL SUO SOGNO PIÙ GRANDE
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32
MARGHERITA VICARIO
DAL SET DI WOODY ALLEN A MANDELA E RITORNO
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DIRETTORE RESPONSABILE MATTEO SCOLARI DIREZIONE EDITORIALE MIRYAM SCANDOLA
REDAZIONE E COLLABORATORI
REDAZIONE MATTEO SCOLARI, MIRYAM SCANDOLA, MARCO MENINI, GIORGIA PRETI, ALESSANDRO BONFANTE, SAMANTHA DE BORTOLI, CAMILLA FACCINI HANNO COLLABORATO AL NUMERO DI OTTOBRE 2019 SARA AVESANI, CARLO BATTISTELLA, VALENTINA BAZZANI, MATTEO BELLAMOLI, MARTA BICEGO, MICHELA CANTERI, GIORGIA CASTAGNA, CLAUDIA BUCCOLA, DANIELA CAVALLO, MARTA FRANCHIN, EMILIANO GALATI, SALMON MAGAZINE, FRANCESCA MAULI, ANDREA NALE, EMANUELE PEZZO, ERIKA PRANDI, NICOLE SCEVAROLI, ALESSANDRA SCOLARI, INGRID SOMMACAMPAGNA, PAOLA SPOLON, TOMMASO STANIZZI, MARCO ZANONI. FOTO DI COPERTINA ANGELO SARTORI, FLAVIO BRUTTI PROGETTO GRAFICO SIMONE ZAMPIERI SOCIETÀ EDITRICE INFOVAL S.R.L. REDAZIONE VIA TORRICELLI, 37 (ZAI-VERONA) - P.IVA: 03755460239 - TEL. 045.8650746 - FAX. 045.8762601 MAIL: REDAZIONE@VERONANETWORK.IT - WEB: WWW.VERONANETWORK.IT FACEBOOK: /PANTHEONVERONANETWORK - TWITTER: @PANTHEONVERONA - INSTAGRAM: PANTHEONMAGAZINE UFFICIO COMMERCIALE: 045 8650746 STAMPATO DA: ROTOPRESS INTERNATIONAL SRL - VIA BRECCE – 60025 LORETO (AN) - TEL. 071 974751 VIA E. MATTEI, 106 – 40138 BOLOGNA – TEL. 051 4592111
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IN COPERTINA PIETRO BATTISTONI
Molte le autorità civili, ecclesiastiche e militari presenti il giorno dell'inaugurazione. A tagliare è stata Teresa, una bambina veronese di 13 anni che è stata seguita dai volontari Abeo come il gruppo di bambini che hanno partecipato a questo momento di festa.
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«L’INAUGURAZIONE? UN MOMENTO BELLISSIMO DI VITA» Il presidente, a nome di tutta l’associazione, esprime gratitudine nei confronti dei cittadini e delle persone che in trent’anni di vita di ABEO hanno contribuito a realizzare attività e progetti a sostegno delle famiglie di bambini affetti da tumori solidi e leucemie. Non da ultimo il taglio del nastro della nuova sede di via Mameli.
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isplende di nuova luce uno dei gioielli liberty di Borgo Trento, Villa Fantelli. Un edificio storico abbandonato e preda dei vandali, tornato oggi all’antico splendore grazie ad ABEO che, con i fondi raccolti in tanti anni di impegno sociale a favore di bambini e bambine, ragazzi e ragazze, malati di cancro, è riuscita ad affrontare l’impegno economico per il restauro e a farne una casa aperta a tutti. Martedì 17 settembre, giorno dell’inaugurazione, erano in tantissimi a festeggiare l’apertura ufficiale di “Casa ABEO”. A distanza di un paio di settimane abbiamo incontrato nuovamente il presidente, Pietro Battistoni, “Piero” per gli amici, che con viva emozione ci racconta il significato di questa nuova vita per Villa Fantelli e per l’associazione.
DI MATTEO SCOLARI
Presidente, è passato qualche giorno dall’inaugurazione, qual è la sensazione che prova 6
in questo momento? Potrebbero essere tantissime le sensazioni, ma la cosa più importante è che il futuro ci dica che il progetto Villa Fantelli continuerà a crescere, a servizio di tutte quelle famiglie che hanno la sventura di transitare in un reparto così difficile come quello di oncoematologia pediatrica dell'Ospedale Donna-Bambino di Verona. Come è nata l’idea, o l’opportunità, di Villa Fantelli? È nata circa quattro anni fa con il trasferimento di tutte le cliniche del reparto da Borgo Roma al Polo Confortini. In quel periodo c’era il dottor Sandro Caffi come direttore generale dell'Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona. Mi rivolsi a lui per chiedere uno spazio per ABEO, visto che la nostra sede si trovava a Cà di David, distante da Borgo Trento.
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E cosa le rispose? Mi disse in dialetto veronese: «Battistoni, el vaga a vèdar quela casa là in fondo, vissin al geriatrico». L’impatto non fu dei più felici perché la villa era completamente avvolta da sterpaglie e ostaggio dei vandali. Però a noi è piaciuta subito perché non era all’interno di un padiglione, ma era indipendente e avremmo avuto la possibilità di essere autonomi in tutto: il nostro futuro passa anche da questo.
Cosa intende? Negli ultimi anni, senza accusare nessuno, ne abbiamo viste di ogni. Raccolte di cui non si è saputo più nulla, per progetti di cui non si è mai avuta certezza che fossero partiti. La nostra forza, e credo anche il nostro tratto distintivo, è la trasparenza nella gestione del denaro che molte persone ci donano per proseguire con le nostre attività.
E avete vinto voi… Non si è presentato nessuno oltre ad ABEO. Ci siamo presi così l’impegno importante di riportare la villa agli antichi splendori e ci siamo riusciti, grazie esclusivamente alla beneficenza delle tante persone che credono in noi da anni e che hanno creduto nel progetto della nuova sede dell’associazione.
È difficile comunicare a un adulto che si è ammalato di cancro, come fare con un bambino o una bambina. Quali parole si utilizzano? Esistono parole? Le parla una persona che ha perso una figlia. Nel 1986 mi nasce una bambina, nel 1989 le viene diagnosticato uno “schwannoma” maligno, che è un tumore che intacca le parti nervose. Nel 1992 muore. Il medico corresponsabile di allora mi disse la verità: «È un tumore cattivo, non abbiamo statistiche sulla guarigione e sul proseguimento della vita». Me l’ha messa giù in modo terribile, però era il 1989. Oggi ABEO si è strutturata anche in questo settore, della comunicazione, anche se la competenza nel dare la “notizia” è sempre del medico che prende in carico il bambino o l’adolescente.
È ancora grande il cuore delle persone? Sì, però se non finalizzi una raccolta fondi, non raccogli più denaro.
A voi cosa compete? Abbiamo un’educatrice e due psicologi specializzati che affiancano la famiglia in
Di chi era la proprietà? Della Regione Veneto che l'ha donata all’Azienda ospedaliera universitaria integrata, la quale ha indetto una gara d’appalto per la completa ristrutturazione dell’edificio, dando la possibilità al vincitore del bando di averlo in comodato d’uso per 33 anni, con l’opzione di altri 33.
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In alto, una veduta esterna di Villa Fantelli. A destra, Pietro Battistoni assieme ai bambini e alle bambine di ABEO
questo percorso difficilissimo. Quando entri in un reparto di oncoematologia pediatrica non è come entrare in un reparto di pediatria normale, nel primo caso non si sa se vieni fuori o se la tua vita futura potrà continuare o potrà essere interrotta dalla malattia. A distanza di 30 anni, ha notato dei miglioramenti? La medicina ha fatto passi da gigante, abbiamo una statistica – riferita dal reparto – dell’85% di guarigione dalle leucemie. Tornando a Villa Fantelli. Cosa rappresenta per voi in questo momento per voi e cosa dovrà diventare in futuro? Vorrei dirlo con un esempio: c’era un ragazzo la settimana scorsa che doveva fare una TAC e aveva un’ora e mezza di attesa: si è presentato in ospedale alle 8 del mattino, l’esame era alle 10. A piedi, dal reparto, è venuto in Villa Fantelli, è andato in biblioteca, si è letto un libro, ha preso in mano una chitarra, ha guardato la palestra e la struttura. Ha trovato il tempo di togliere il pensiero dalla sua TAC. Ha trovato dei diversivi per non aspettare su una poltrona di una sala d’attesa di un ospedale. Questa è la missione di Villa Fantelli: le famiglie e i ragazzi devono togliere dalla testa il pensiero ospedaliero.
Cos’altro all’interno della vostra sede? Abbiamo messo sul tavolo una serie di opzioni (arteterapia, musicoterapia, biblioteca, corso di fotografia, corso di giornalismo…) proprio per ridare al paziente l’autostima, che è la prima cosa che perde quando viene informato della malattia. Da quanti anni è presidente ABEO? Sono stato uno dei fondatori di ABEO a fine anni Ottanta. L’associazione era nata inizialmente per i ragazzi talassemici affetti da anemia mediterranea, poi l’anemia è stata sconfitta e nel 1991 abbiamo modificato lo statuto configurando l’associazione ai parametri e agli obiettivi attuali. Presidente, lei poi ha avuto altri figli? Mia figlia, come dicevo, se n’è andata nel 1992. L’anno successivo è arrivato Martino e nel 1996 Carlo Alberto. Cosa le ha dato sul piano personale questo impegno più che trentennale per la causa ABEO? Ho un’energia incredibile, e non so da dove venga. Quando vado in reparto e vedo i ragazzi che soffrono… poi la gioia di sapere che molti guariscono e non vogliono più sentir parlare di ABEO… L’energia ce la danno anche i genitori. ABEO può contare anche su tanti volontari… Loro sono indiscutibilmente la nostra forza. Perché essere volontario non significa soltanto 9
andare in piazza a vendere un calendario o un uovo di Pasqua, è soprattutto comunicare, col cuore. E questo la gente lo percepisce. La struttura ABEO non è data da sette consiglieri e da dieci o quindici dipendenti, la struttura ABEO è data da 150 e più volontari che offrono il loro impegno gratuitamente. Eppure quando li chiamiamo, che ci sia freddo, caldo, vento, acqua, loro sono sempre presenti. Quel giorno, quando ha tagliato il nastro di Villa Fantelli, cosa le è passato per la testa? Boh... non c’ero. Non c’era con la testa? Esatto. Non ricordo neanche chi ho salutato. È stata un’emozione talmente forte che non ricordo nulla. So solo che è stato un momento bellissimo di vita… Immaginiamo che ci sia ancora adesso emozione. Sicuramente frutto di tanti anni di impegno e di sacrifici perché, come ha detto lei, essere volontario implica necessariamente un impegno… Non c’è una scuola di volontariato. È come una vocazione. Non si può insegnare a una persona a fare il volontario: il volontario si propone, viene e va istruito. Dev’essere lui a dire: «Voglio farlo». Se l’inaugurazione di Villa Fantelli ha rappresentato una fetta importante dei suoi sogni, cos’altro desidererebbe? Ho 66 anni, perciò non so quanto di me anco-
ra riuscirò a dare ad ABEO. Spero che ci sia un ricambio generazionale, giovani che portino avanti i 33 anni di comodato d’uso, più altri 33. Ci vogliono forze nuove, ragazzi e ragazze, che magari hanno avuto dei percorsi in famiglia che permettano di capire meglio di altri il messaggio di ABEO. La struttura è destinata a crescere anche con altri progetti, primo fra tutti quello della fattoria sociale, dove noi coinvolgeremo i ragazzi in un lavoro consono con il loro stato di salute, ovvero nell’agricoltura e nella floricultura. Perciò il prossimo progetto sarà la fattoria sociale, glielo dico come news. È di questo che vorrà occuparsi in futuro? L’anno prossimo mi daranno la pensione per raggiunti limiti di età. Sì, vorrei andare in fattoria sociale perché si possono fare tantissime attività in modo più tranquillo e consono “all’orologio”, senza nessun motivo di ansia o arrivismo. In fattoria sociale bisogna stare solo bene e basta. Le è rimasta impressa una frase più di altre di una persona passata in ABEO? Sono tante. Dico solo che basta guardare negli occhi i genitori. Parlano da soli. Pietro, come si chiamava sua figlia? Cecilia. Avrà pensato anche a lei, soprattutto a lei, il giorno dell’inaugurazione. Mia figlia è sempre con me. È lei a darmi la forza, a indicarmi la strada. Sempre. ■
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A sinistra, i giocatori e le giocatrici dell'Hellas Verona presenti all'inaugurazione. In basso, alcune mascotte all'interno della cucina di Casa ABEO
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UN POSSIBILE ITINERARIO
Foto di Carolina Zorzi
IL CHILDREN’S MUSEUM SPIEGATO AI GENITORI
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L’11 settembre scorso è stato inaugurato a Verona uno spazio del tutto innovativo, interamente dedicato ai bambini: il Children’s Museum di Pleiadi. Al suo interno vi è racchiuso un mondo a misura di piccoli, dove il gioco e il divertimento stimolano la conoscenza e la curiosità soprattutto attraverso l’esperienza tattile. Per capire meglio come funziona questo microcosmo, noi di Pantheon l’abbiamo visitato (e provato) per voi.
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e si dovesse definire con un aggettivo, non nascondiamo che sarebbe arduo trovarne uno adeguato, che possa esprimere tutto ciò che di bello ci ha lasciato negli occhi questo parco giochi al coperto. Meraviglia, stupore, curiosità, tenerezza e forse la voglia di tornare bambini solo per qualche ora. Il Children’s Museum si può definire una realtà unica nel panorama veronese: ideato e realizzato dal Gruppo Pleiadi, in particolare da un progetto del direttore scientifico Alessio Scaboro, non è solo un luogo dove i bambini possono sfogare la loro creatività e imparare divertendosi, ma è anche l’opportunità per i genitori di vivere insieme ai propri figli un’esperienza nuova. Sono mamma e papà, infatti, che hanno il compito di accompagnare il bambino attraverso le cinque macro-aree del museo, leggere insieme qualche curiosità che qua e là spunta sui muri colorati, spiegare il significato di un gioco o aiutare i più piccoli a portare a termine un esperimento. Ad accompagnare noi di Pantheon all’interno del museo è stata, invece, Martina Vinco, referente del Children’s Museum, che ci ha mostrato il museo ancora “dormiente”, pochi minuti prima dell’apertura. Siamo partiti da un corridoio che si è presentato come una prima stazione ludi-
ca precedente agli spogliatoi: ai lati, infatti, si trovano alcuni giochi montessoriani, tra cui la ruota delle tabelline, e un “tangram” magnetico. Prima di entrare nell’area giochi vera e propria è poi necessario lasciare giacche e borse negli appositi armadietti e togliersi le scarpe. Il consiglio è quindi quello di portarsi dietro un paio di calze, ma per gli smemorati sarà comunque possibile acquistare un paio di simpatici calzini usa e getta arancioni in vendita alla biglietteria del museo al costo di un euro. È dopo questo “rituale” che le porte del Children’s Museum si spalancano e l’esclamazione più frequente che si sente uscire dalla bocca dei bambini (e dei genitori) è: “Wow!”. I colori esplodono e gli occhi iniziano a vagare tra le palline colorate, che vengono sputate da lunghi tubi percorsi dall’aria appesi al soffitto, luci, suoni e giochi da inventare. Il museo, come ci ha spiegato Martina, può essere suddiviso in cinque macro-aree: la “Genius Zone”, dove i bambini possono divertirsi a costruire case con mattoni in gomma piuma. Nell’area “Strumenti”, invece, la fa da padrone la musica: si possono costruire xilofoni meccanici e scoprire i segreti dei suoni. Si passa poi alla “Light Zone”, un’area interamente dedicata alla luce e alle sue magie: qui si può provare a 12
DI GIORGIA PRETI
Orari del Children’s Museum Lunedì – Chiuso tutto il giorno Da martedì a venerdì – Biglietteria aperta dalle 8.30 / Museo aperto dalle 9.00 alle 18.30 Sabato, domenica e festivi – Biglietteria aperta dalle 9.00 / Museo aperto dalle 9.30 alle 19.00 Il Children’s Museum si trova in Via Santa Teresa 12 a Verona
catturare la propria ombra su un pannello fotosensibile grazie alla luce ultravioletta e capire come funzionano i colori. Dopo la luce tocca poi all’acqua con la “Water Zone”, alla quale si accede indossando impermeabile e stivali. Qui si possono imparare la proprietà di Bernoulli con i vortici d’acqua e gli esperimenti di Archimede, come la vite idraulica. Infine per i bambini fino ai tre anni è stata predisposta una zona apposita, con giochi interattivi e libri di favole messi a disposizione dei genitori. Per quanto riguarda, invece, gli angoli per le creazioni fai-da-te, sparsi in giro per il museo, i piccoli potranno trovare sacchetti di carta dove riporre i propri lavoretti e portarli a casa gratuitamente. Insomma, il bambino, qui dentro, diventa protagonista e tutto è pensato in sua funzione, come ci mostra Martina: i bagni sono fatti su misura ed è presente anche un angolo con fasciatoio corredato di pannolini di ricambio, salviette igieniche e tutto l’occorrente per le mamme con a seguito neonati. “Tasto dolente” del neomuseo, per il momento, è l’orario, come ci spiega Foto di Carolina Zorzi
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Martina: «Si può entrare in quattro turni diversi della durata massima di un’ora e 45 minuti per un massimo di 120 visitatori. Un tempo che può sembrare scarso a un genitore, ma che rispecchia esattamente la capacità massima di apprendimento di un bambino, stimata in due ore». E anche il sistema dei turni, che non è stato risparmiato dalle critiche, cela la necessità di rassettare le stanze prima di farvi entrare altri visitatori, che «hanno il diritto di trovare un luogo pulito e ordinato come all’apertura». A disposizione degli interessati è inoltre disponibile il ThinkLab, aperto alle famiglie solo nel weekend e su prenotazione pagando un supplemento sul biglietto d’ingresso. Qui è possibile partecipare a workshop veri e propri attraverso l’uso di microscopi e strumentazioni tecnologiche e vivere un’esperienza “scientifica” a 360 gradi. Se siete curiosi, non resta che provare per credere. ■
La panchina magica Nell’area degli “Strumenti” c’è una panchina bianca. Tanti la usano come zona relax (soprattutto i genitori), ma in realtà si tratta di uno strumento musicale. Provate a sedervi in due: posizionate ciascuno una mano alle estremità della panchina, sulla barra metallica e toccatevi il braccio. Così facendo si creerà un condotto elettrico attraverso i corpi che produrrà una melodia.
DUE PAROLE CON PIO E AMEDEO
COME SOPRAVVIVERE ALLA SOCIETÀ DEI “MI PIACE” Con ironia, prima di tutto. Ne sono certi Pio e Amedeo che lo scorso 23 settembre hanno portato in Arena, con il loro show La classe non è qua, gli stereotipi della tv italiana, dissacrandone, una per una, tutte le icone. DI SAMANTHA DE BORTOLI
O
ggi più che mai l’appellativo di “società delle immagini”, che a partire dalla metà del Novecento con lo sviluppo e la diffusione della televisione intende descrivere la realtà in cui viviamo, sembra calcare l’aspetto del mondo. Ma questa società si è evoluta, prima con Facebook e poi con Instagram, divenendo “era dei social”, in cui ognuno ha il potere di plasmare la realtà e creare così l’immagine che preferisce di se stesso. E i social network sono la nostra passerella, su cui sfiliamo abbagliati da luci di riflettori troppo forti, finendo per non accorgerci di indossare l’abito sbagliato. Ma non ci importa, perché la priorità è esserci, anche se non fisicamente, a qualunque costo: altrimenti sarebbe come non esistere. Quindi, quali sono le condizioni a cui decidiamo di sottostare per farci conoscere e apprezzare nel mondo virtuale, più stimolante e vivace di quello reale? È questa la domanda che portano sul palco areniano, insieme al carisma e l’energia che li contraddistingue, Pio D’Antini e Amedeo Grieco, a Verona il 23 settembre con il loro nuovo spettacolo La classe non è qua, una lettura satirica della società italiana alle prese con i social, l’importanza dell’immagine, la necessità di un “like”. Pio e Amedeo ci hanno raccontato i temi dello show, senza tralasciare qualche curiosità sulla loro vita personale.
Su cosa si concentra il vostro nuovo spettacolo La classe non è qua? Pio: «Abbiamo portato sul palco dell’Arena di Verona la chiave comica che ci caratterizza: il “politically incorrect”. A partire da questo, vogliamo riflettere sul mondo di oggi, una realtà in cui sempre di più, per avere un “mi piace” sui social, un punto di share, un consenso, anche nella quotidianità, si esagera, si è disposti a fare di tutto. In Italia, specialmente, si sta andando un po' troppo verso il patetico, verso ciò che porta applausi facili. Con lo spettacolo vogliamo smontare questa piega che sta prendendo la società, secondo gli stereotipi che vediamo in tv, in politica e sui social network. Il titolo La classe non è qua, quindi, è esplicativo del messaggio del nostro show e inserito nel contesto areniano, che è solito ospitare eventi di un certo livello, risulta ancora più esilarante, perché stride con l’ambiente che lo circonda». Come è nata l’idea dei cori, la cifra stilistica che vi identifica? Pio: «Ci abbiamo pensato insieme, ancora agli inizi della nostra carriera, e poi abbiamo sviluppato la tecnica a Le Iene. È un’idea, quindi, che abbiamo partorito work in progress, come tutte le cose che proponiamo. La maggior parte delle volte agiamo di getto, istintivamente: sì, c’è una 14
scrittura a monte, ma ascoltiamo sempre quello che fa ridere, ti accorgi che una cosa funziona se fa ridere subito. Di solito comunque, prima di creare uno spettacolo, la sperimentiamo, con amici o in posti piccoli. I cori, per esempio, ci hanno convinto subito entrambi. Ma a volte ci sono delle scoperte». Per esempio? Quali sono state le ultime scoperte che avete fatto? Pio: «Le potenzialità del patetico: sorridere sulle frasi fatte, sul perbenismo. Non pensavamo potesse avere un potenziale comico così grande». Una domanda classica: i Pio e Amedeo comici sono dei personaggi o siete così anche nella vita di tutti i giorni? Pio: «Ogni volta che mi fanno questa domanda penso sia davvero strana. È strano pensare a un comico triste nella vita, è deludente: è come se pensassi che Superman, una volta a casa, posi il mantello e a stento riesca a camminare. Noi nella vita siamo esattamente come siamo sul palco, anche se in tv estremizziamo, ma siamo due persone normalissime e due ragazzi goliardici». Da quanto tempo lavorate insieme? Pio: «L’anno prossimo sono vent’anni. Anche
se Amedeo dice che abbiamo fatto vent’anni sedici anni fa». E cosa farete per festeggiare l’anniversario? Amedeo (ride): «Ci sciogliamo. Oggi va di moda quindi dobbiamo farlo, mai lo avremmo pensato, ma è così. I grandi artisti si sciolgono e si riprendono, hanno detto anche in tv che bisogna dividersi almeno venti volte, così si organizza sempre un ultimo tour, che ha un grande appeal perché la gente pensa: “Andiamoli a vedere perché poi si sciolgono”. Quindi noi vi annunciamo ufficialmente che ci separiamo, poi, più avanti, torneremo insieme». Per finire, cosa volete dire ai lettori? Amedeo: «Sicuramente di venire a vederci, perché con noi ci saranno tanti ospiti importanti e ne siamo molto contenti: è un bel segnale, il fatto che anche dopo molti anni di carriera ci vengano a trovare e si mettano in gioco con noi significa che il gioco dello spettacolo funziona ancora. Dovrebbe essere per tutti così, nel nostro mondo qualcuno si prende troppo sul serio, non ricordando che facciamo il lavoro più bello del mondo e abbiamo realizzato un sogno: divertirsi lavorando». ■
«CI SCIOGLIAMO. OGGI VA DI MODA QUINDI DOBBIAMO FARLO, MAI LO AVREMMO PENSATO, MA È COSÌ. I GRANDI ARTISTI SI SCIOLGONO E SI RIPRENDONO, HANNO DETTO ANCHE IN TV CHE BISOGNA DIVIDERSI ALMENO VENTI VOLTE» SPAZIO PUBBLICITARIO
DAI MUSICAL DI COCCIANTE
Francesco Antimiani
SENZA L’ARTE SAREI UNA PERSONA A METÀ Pianista, musicista, cantante e attore. Francesco Antimiani è un artista eclettico dal curriculum prezioso. Ha ha lavorato, tra gli altri, anche con Riccardo Cocciante.
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ra i suoi ruoli i più conosciuti Frollo in Notre Dame de Paris, padre Montecchi e padre Capuleti in Romeo e Giulietta, sempre di Cocciante. Nato a Terni, vive a Valeggio sul Mincio. Si definisce “insegnante per vocazione”, all’Istituto Musicale di Bolzano, dove ha una cattedra in canto moderno: «È un lavoro che mi gratifica e mi lascia sperimentare. Talvolta ho dovuto sacrificare qualche produzione teatrale, ma ho sempre cercato di far conciliare tutto. Trasmettere e condividere le proprie risorse con gli altri è un altro aspetto della musica». L’abbiamo intervistato dopo lo spettacolo Le voci del musical al Maravilia Festival, una serata in cui assieme a Fabrizio Voghera e Ilaria De Angelis, ha ripercorso la storia dei più grandi musical, facendo sognare il pubblico. Cosa rappresenta per lei la musica? Non ho mai pensato alla mia vita senza la musica. Da bambino era un istinto e a scuola non c’è mai stato un piano B; ho sempre creduto di intraprendere questo percorso a livello profes-
sionale. Da un certo punto di vista potrebbe sembrare rischioso, ma quando si ha una passione così forte, quando ci si esprime tramite la musica e il teatro, si trova veramente un nuovo modo di comunicare. Senza questa possibilità sarei una persona a metà. Saranno sicuramente molti gli aneddoti e i momenti che ricorda con affetto e intensità. Ce n’è uno al quale è particolarmente legato? Ce ne sono stati diversi. Io ho avuto la fortuna di aver sperimentato sia la musica classica che il teatro. Di tutta la mia variegata carriera, mi piace ricordare la prima volta che sono salito su un palcoscenico in un musical. Quando mi sono trovato a recitare e cantare in una produzione di Musical Theatre avevo già 30 anni. È stato un momento rivelatorio perché ho capito che era lì che volevo arrivare. Le sensazioni, la risposta del pubblico, ma anche la facilità con cui mi venivano certe cose… sentivo di appartenere a un genere che mi sentivo addosso più di ogni altro. È stato allora che mi sono reso conto che era lì che volevo approdare. 16
DI VALENTINA BAZZANI
Un punto di arrivo quindi… Io direi una ripartenza. Sono capitato al musical per caso, dopo aver fatto un’audizione, mentre stavo lavorando in un’opera lirica. Da bambino ero innamorato dei musical, ma in Italia negli anni ’90 non c’era la possibilità di seguire un percorso accademico che ti preparasse per questo lavoro. Avevo fatto gli studi classici in canto lirico e studiato canto moderno e jazz in America, ma come performer di musical è stato un salto nel vuoto. Inaspettatamente mi sono trovato ad avere delle attitudini particolari che non avevo mai esplorato. Posso definirlo un punto di arrivo per la mia coscienza, ma un punto di partenza per perfezionarmi, studiare, sperimentare di tutto - compresa la danza in tarda età - perché, da quel momento, ho voluto specializzarmi a 360°. Quali sono state le difficoltà più importanti che ha incontrato? I pregiudizi ci sono stati dall’inizio, da quando alle superiori dicevo che mi sarebbe piaciuto far carriera nella musica. Durante il mio percorso invece c’era chi pensava che avendo fatto studi classici, con il musical mi sarei buttato via. L’Italia è il paese dei pregiudizi, si tende a
classificare tutto. Secondo me è bello scoprirsi provando tutte le esperienze possibili. Tra i personaggi interpretati in scena, qual è quello a cui è più legato? In 27 anni di carriera il ruolo a cui sono più affezionato è un personaggio che ho scritto da solo, ispirato ad una serie di racconti di Pedro Almodovar - un regista che adoro per la sua visione, i suoi colori, il modo di raccontare le cose e la diversità. Si tratta di Patty Diphusa. Ho preso spunto da esso e ne ho fatto un monologo musicale in un atto unico. Per quello che racconta, per come lo racconta e per come mi sono identificato, è il ruolo che mi è piaciuto di più e che mi piacerebbe ancora interpretare. Gli altri personaggi dei vari spettacoli sono sicuramente ottime possibilità per entrare in caratteri sempre diversi. Il mio ultimo personaggio in ordine di tempo è l’Orso Baloo del Libro della Giungla, che non c’entra nulla con Frollo o altri ruoli già interpretati. Non avevo mai fatto uno spettacolo per bambini, è stato interessante entrare nel personaggio e cambiare registro recitativo. Adoro sperimentare cose nuove, non mi piace fare sempre le stesse. ■
«L’ITALIA È IL PAESE DEI PREGIUDIZI, SI TENDE A CLASSIFICARE TUTTO. SECONDO ME È BELLO SCOPRIRSI PROVANDO TUTTE LE ESPERIENZE POSSIBILI»
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LUCA MERCALLI E L’EMERGENZA AMBIENTALE
Luca Mercalli
NON C’È PIÙ TEMPO Abbandonato il suo affezionatissimo papillon per il periodo estivo, Luca Mercalli, noto climatologo italiano, protagonista all’ultimo Film Festival della Lessinia, ci ha parlato del suo libro Non c’è più tempo e della necessità di cambiare i nostri stili di vita, affinché la “Madre Terra” possa sopravvivere e, con lei, le generazioni future.
È
perentorio il suo ammonimento che ha ripetuto anche durante l’incontro in terra veronese, lo scorso agosto conversando con Alessandro Anderloni, direttore artistico della rassegna cinematografica di Bosco Chiesanuova: Non c’è più tempo. «Servono ma non bastano più i gesti individuali e simbolici che ognuno di noi può compiere. Per ottenere risultati, servono riduzioni delle emissioni ad alto potenziale (high-impact), senza le quali il futuro del nostro pianeta è davvero compromesso». Il libro, edito da Einaudi, è una raccolta delle riflessioni più significative scritte da Mercalli in questi ultimi anni, prendendo lezioni di metodo e di vita da Primo Levi. Nell’introduzione infatti, spiega come tutto nasca dalla scrittura, proprio come sosteneva il grande autore di Se questo è un uomo. «Ho sempre pensato che la scienza dovesse raggiungere le persone, soprattutto nel settore del tempo atmosferico che è sempre sulla bocca di tutti ma si nutre di luoghi comuni ormai usurati». Di fronte all’in-
calzare di enormi e inediti problemi ambientali che procede nella più totale indifferenza umana, mettendo a rischio le future generazioni, Mercalli dal palco risponde guardando alla “Nostra Madre Terra”, che ci richiama all’ordine: «Cari umani, non l’ho mai fatto prima, ma quest’anno ho deciso di scrivervi, da un secolo a questa parte sembra non abbiate più rispetto di me, mi succhiate ogni forza e mi intossicate con i vostri gas, cambiate il clima, mi fate venir la febbre che fonde i ghiacci e aumenta il livello dei mari, mi riempite di plastica, una roba che avete inventato voi, senza curarvi di riciclarla come ogni cosa che faccio io. Mai nessuna specie aveva osato tanto e danneggiato così gravemente i miei processi vitali». Lo scorso 29 luglio, infatti, è stato l’Earth Overshoot Day, cioè il giorno del sovrasfruttamento delle risorse del 2019, «una data che cade sempre prima nel calendario, da quando abbiamo cominciato a sovrasfruttare le risorse negli anni ’70. Il giorno del sovrasfruttamento delle risorse 18
DI SARA AVESANI
Luca Mercalli, in breve Torinese (24 febbraio 1966) è un climatologo, meteorologo, divulgatore scientifico, accademico italiano. È presidente della Società Meteorologica Italiana. Ha fondato e dirige dal 1993 la rivista internazionale di meteorologia Nimbus, oltre a condurre alcune trasmissioni televisive per la RAI.
Luca Mercalli in una foto postata sul suo profilo Facebook manifesta il suo supporto all'attivista Greta Thunberg
segna la data in cui il consumo di risorse da parte dell’uomo eccede ciò che gli ecosistemi della Terra sono in grado di rigenerare per quell’anno. Negli ultimi 20 anni, il giorno del sovrasfruttamento si è spostato fino a tre mesi in anticipo nel calendario fino a cadere il 29 luglio di quest’anno, mai così presto dagli anni ’70, quando il mondo ha cominciato a sovrasfruttare le risorse. In altre parole, attualmente l’uomo sta utilizzando le risorse naturali ad un ritmo 1,75 volte più veloce rispetto alla capacità di rigenerazione degli ecosistemi, il che equivale a dire che usiamo 1,75 pianeti Terra. Il sovrasfruttamento è possibile perché intacchiamo il capitale naturale del nostro pianeta, compromettendo ulteriormente la sua capacità futura di rigenerazione delle risorse». Continua Mercalli: «moltissime persone si impe-
«SERVONO MA NON BASTANO PIÙ I GESTI INDIVIDUALI E SIMBOLICI CHE OGNUNO DI NOI PUÒ COMPIERE. PER OTTENERE RISULTATI, SERVONO RIDUZIONI DELLE EMISSIONI AD ALTO POTENZIALE (HIGH-IMPACT), SENZA LE QUALI IL FUTURO DEL NOSTRO PIANETA È DAVVERO COMPROMESSO»
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gnano, scienziati di tutto il mondo hanno siglato accordi internazionali con gli Stati ma di fatto il problema dell’ambiente viene visto dalla politica internazionale come un fastidio, una specie di Cenerentola (sorride, ndr). Noi, nel nostro piccolo, facciamo dei gesti ma poi sono le leggi che devono favorire il cambiamento di rotta, l’impegno diverso, una cultura della sobrietà e non dell’accumulo: basta oggetti futili, usa e getta, facciamo attenzione. Questo è un problema filosofico, più difficile da estirpare. Sembra che sia tutto un nostro diritto, ma non è così». E poi, sempre dal palco, chiarisce, con quel suo fare eloquente e pratico «che è necessaria anche un’educazione familiare, contro un aumento demografico in Africa e Asia da arrestare immediatamente, l’ha detto lo stesso Papa Francesco». «Mi dicono che sono catastrofista, ma non è così: io sono come un medico e sto dicendo che la Terra è malata e ha bisogno di cure per sopravvivere». «C’è, anche nelle nuove generazioni, il desiderio di compiere una virata, di cambiare stile di vita, stando attenti all’impatto ecologico - io stesso non uso più l’aereo, mi muovo con la macchina elettrica, ma non è sufficiente. L’esempio più forte di questi tempi è sicuramente quello di Greta Thunberg, ma nel 1992, al Vertice ONU della Terra, a Rio de Janeiro, all’età di 12 anni, anche Severn Cullis-Suzuki (che passò alla storia come la bambina che zittì il mondo per sei minuti), vi fu un momento di grande speranza per il futuro, ma da allora sono passati quasi 30 anni e non è cambiato nulla». ■
UNIVERÒ, IL FESTIVAL DEL PLACEMENT SPIEGATO
Tommaso Dalla Massara
IL LAVORO? SI TROVA ALL’UNIVERSITÀ
Torna in scena nella suggestiva location del Polo Santa Marta, dal 15 al 17 ottobre, la quinta edizione di Univerò. Il Festival del Placement, organizzato dall’ateneo scaligero e da Esu, con il coordinamento del Presidente scientifico della kermesse Tommaso Dalla Massara e del suo team, porterà a Verona nomi come il giornalista Ferruccio de Bortoli e Jorg Eberhart, presidente di AirDolomiti.
A
bbiamo incontrato il professor Dalla Massara, per sei anni Delegato del Rettore, per scoprire con lui le novità del Festival dell’orientamento al lavoro, che ogni anno si arricchisce attirando sempre più studenti e cittadini veronesi. Il Festival del Placement a livello nazionale trova casa a Verona, che apporto concreto dà ai giovani? Parliamo di uno strumento fondamentale per il futuro dei nostri ragazzi. Tre giornate di approfondimenti sul mondo del lavoro. E poi la rassegna si apre sempre più a essere un momento condiviso anche dalla cittadinanza. Si incontrano testimonial d'eccezione per raccogliere esperienze di lavoro e scoprire professioni, raccontate in una maniera che è diventata linguaggio identificativo di Univerò. Nel corso dei tre giorni, riusciamo a coprire tutte le aree tematiche dell'ateneo: da quella scientifica a quella
umanistica, dalla giuridico/economica a quella medica, grazie appunto ad un grande cartellone di nomi. Qualche nome o appuntamento da segnare in rosso? A breve uscirà sul nostro sito il programma completo, attendiamo le ultime conferme. Avremo il piacere di ospitare Ferruccio de Bortoli, Carlo Nordio, Federico Faggin, Cristina Cattaneo, i vincitori del Premio Campiello, Jorg Eberhart, presidente di Air Dolomiti, la Responsabile di ISPI School e tanti altri. Per il mondo delle aziende avremo poi diversi momenti dedicati ai grandi imprenditori veronesi dei più svariati settori: dal vino, al tessile, al mondo delle banche e assicurazioni. Non mancheranno naturalmente le istituzioni veronesi. Ci saranno il nuovo Magnifico Rettore Pier Francesco Nocini con Francesca Zivelonghi, Presidente Esu, il sindaco di Verona e tanti altri ospiti. ■
DI GIORGIA CASTAGNA
«SI INCONTRANO TESTIMONIAL D'ECCEZIONE PER RACCOGLIERE ESPERIENZE DI LAVORO E SCOPRIRE PROFESSIONI, RACCONTATE IN UNA MANIERA CHE È DIVENTATA LINGUAGGIO IDENTIFICATIVO DI UNIVERÒ» 20
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LE MENTI DIETRO ALLA RASSEGNA DI PALAZZO ORTI MANARA
QUATTRO DONNE E UN FESTIVAL (DELLA SCIENZA) Dal 15 al 24 novembre arriverà a Verona il Festival della Scienza. Nove giorni ricchi di attività trasformeranno Palazzo Orti Manara in una sorta di museo temporaneo e le sue stanze si animeranno con mostre, laboratori, attività interattive e multimediali. Dietro tutto questo, la forza e la determinazione di quattro donne. Caterina Lorenzetti, ideatrice e manager del Festival, ci ha raccontato la loro storia.
A
farle conoscere una serie di concomitanze, anche se sarebbe più corretto parlare di coincidenze (poco) fortuite. «Avevo da tempo il desiderio di portare su Verona il Festival della Scienza» ci racconta Caterina. «Ho incontrato, anche un po’ per caso, Francesca Tezza, Petra Grigoletti e Giulia Zanetti che fanno parte dell’Associazione “Scienza divertente”. In realtà non troppo per caso (ride, ndr). Sono andata ad indagare, volevo conoscerle. Ho rivelato loro la volontà di portare a Verona il Festival della Scienza, un festival che in Italia è presente a Genova ma è un format di successo in tante altre città del mondo». A fine maggio sul tavolo una pagina completamente bianca, una casa, quella di Francesca, trasformata in ufficio, quattro bambini e tre gatti ad accompagnare le giornate di lavoro. Dalla loro solo la volontà del presidente di Cerea Banca di valorizzare Palazzo Orti Manara, loro sede, pressoché sco-
nosciuto alla città. Ora, in soli tre mesi, un Festival che vede coinvolti grandi enti e importanti società. Messo in piedi senza una solida struttura alle spalle, senza un nome che facesse da garante. Nega Caterina quando le chiediamo se l’essere donna le ha procurato delle difficoltà in più. «Anzi, forse le porte in faccia le ho ricevute più per la giovane età. L’essere donna mi ha aiutata nel tessere relazioni e creare partnership. L’essere donna, empatica, ha fatto la differenza. Mi presentavo solo con il nostro nome, con la mia persona». «Io vengo da un percorso dedicato all’arte - rivela Caterina - con una laurea in Beni Culturali. Ma amo profondamente la scienza in quanto materia più trasversale in assoluto. Anche l’arte è scienza, se ci si pensa». Trasversalità che sarà parola chiave dello stesso Festival: ci sarà posto per chiunque, tra le mura di Palazzo Orti Manara. Sarà un festival a portata di bambino, di ragazzo, di genitore, 22
DI CAMILLA FACCINI
di studioso, di professore, ma perfetto anche per chi volesse distrarsi con un aperitivo spaziale. Niente limiti di età ed eventi gratuiti per chi è più in difficoltà. «Vorrei diventasse un punto fisso per la città, ma anche a livello nazionale e internazionale, arrivando magari a collegarlo con i “Science Festival” che ci sono nel mondo» conclude Caterina. L'esperimento è pronto, il laboratorio pure. Appuntamento al Festival per scoprire se è riuscito. ■
Petra Grigoletti
Francesca Tezza
Caterina Lorenzetti
Giulia Zanetti
«L’ESSERE DONNA MI HA AIUTATA NEL TESSERE RELAZIONI E CREARE PARTNERSHIP. L’ESSERE DONNA, EMPATICA, HA FATTO LA DIFFERENZA. MI PRESENTAVO SOLO CON IL NOSTRO NOME, CON LA MIA PERSONA»
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DUE PAROLE CON IL RESPONSABILE DEL CAV
L'AUTISMO QUANDO INCONTRA IL GIOCO Il Tocatì, come ogni anno, è riuscito a far giocare una città intera. Il Festival internazionale dei giochi in strada è però anche l’occasione per fermarsi a riflettere. Domenica 15 settembre al Museo di Scienze naturali, il Tocatì, con il dottor Leonardo Zoccante, ha dato spazio a quei bambini che non riescono a vivere la dimensione del gioco come sinonimo di apertura e incontro. Ma che tramite il gioco possono trovare una via verso la condivisione.
U
na delle immagini più iconiche dell’ultimo giorno dell’anno è il Presidente della Repubblica, seduto nel suo studio, che pronuncia il discorso alla nazione. Il 31 dicembre 2018 alle spalle di Sergio Mattarella c’era un quadro di Diego Salezze, l’artista che aveva incontrato durante la sua visita, un mese prima, al Centro per l’autismo dell’Ospedale di Borgo Trento. «Quando Mattarella è venuto a Verona, abbiamo voluto mostrargli i quadri e le nostre attività quotidiane, per fargli toccare con mano ciò che facciamo». Leonardo Zoccante, responsabile del Cav, centro regionale per l’autismo, ha raccontato così l’incontro con il Presidente. «Ne è rimasto colpito, e ha voluto quel quadro vicino a sé durante il discorso». Zoccante, neuropsichiatra e docente universitario, ha portato al Tocatì l’esperienza di quei bambini, con disturbi dello spettro autistico, che non riescono a vivere la dimensione del gioco a 360 gradi. «I genitori spesso si accorgono di questo genere di disturbi proprio attraverso il gioco. Al parco, per esempio, invece di seguire gli altri bambini e farsi coinvolgere, va diretto sotto a un albero e resta a osservare il movimento delle foglie». Nel bambino si notano carenza di socializzazione e una comunicazione non contestualizzata con ciò Leonardo Zoccante
Il presidente della Repubblcica durante il discorso di fine anno
che lo circonda. Il gioco è ripetitivo, monotono e privo di condivisione. Sono alcuni dei segnali utili per individuare disturbi dello spettro autistico. Disturbi che intaccano emozioni, affettività, socializzazione, funzioni motorie. La comunità scientifica non ha ancora compreso le motivazioni, ma molto possono fare gli insegnanti e la comunità per aiutare questi bambini. «A scuola hanno bisogno di un percorso protetto. Faticano a comprendere la realtà sociale che li circonda, devono quindi essere aiutati a raggiungere gli stessi obiettivi degli altri». «Anche tramite il gioco possiamo aiutare il bambino a sviluppare competenze sociali e di condivisione» è la conclusione di Zoccante. «Può imparare a stare bene con gli altri e arricchirsi. Con il gioco si può tentare di scalfire il disturbo autistico». Una chiamata all’inclusione, alla condivisione e alla valorizzazione delle particolarità di ognuno. Perfettamente in linea con la filosofia del Tocatì. ■
GUARDA IL VIDEO
DI ALESSANDRO BONFANTE
«IL BAMBINO PUÒ IMPARARE A STARE BENE CON GLI ALTRI E ARRICCHIRSI. CON IL GIOCO SI PUÒ TENTARE DI SCALFIRE IL DISTURBO AUTISTICO» 24
100 ANNI DI BELLEZZA
LIBERO CECCHINI È VERONA Il 12 settembre gli Architetti di Verona hanno festeggiato i 100 anni di Libero Cecchini, maestro indiscusso e identità architettonica nella quale specchiarci, dal quale raccogliere il segno per proseguire l’evoluzione di un linguaggio dell’architettura veronese. Foto di Leonardo Ferri
È
DI DANIELA CAVALLO
accaduto di nuovo. Nella seconda metà del Cinquecento l’architetto veronese Michele Sammicheli inventò un linguaggio nuovo dell’architettura, squisitamente veronese, quello caratterizzato da materiali locali, marmi e pietre, e segni eleganti semplici in un ordine nuovo diverso, come parole a costruire architetture che dialogano con il passato, creano legami, metafora dell’architetto che ascolta il territorio, la città e si fa ponte con il contemporaneo, un linguaggio unico: Sammicheli è Verona. Così anche oggi. Un parallelo tra due grandi dell’architettura moderna, Carlo Scarpa – alias Palladio – e Libero Cecchini, il nostro Sammicheli. Cecchini, con un paziente lavoro di alta sartoria, fin dal secondo dopoguerra ha messo in atto, lentamente, con garbo, con pazienza, un lavoro di cucitura del tessuto della città, quell’abito bellissimo che noi oggi indossiamo, facendo dialogare il passato con la modernità, in un quotidiano del quale a volte non ci rendiamo conto, e del quale non abbiamo dato abbastanza merito: non solo architetture e restauri, ma la ricostruzione di Ponte Castelvecchio e Ponte Pietra, la tutela urbanistica della collina, rendendo evidente un amore profondo, immenso per la sua città. Libero Cecchini è dentro ognuno di noi, è davanti ai nostri occhi, è la nostra identità: in quel ricucire il sottosuolo archeologico di Verona come “genius loci” della porosità urbana, nel far dialogare spazi pubblici e spazi privati, nei tagli puliti a spigolo vivo delle lastre di pietra della Lessinia, adagiate e a volte sospese nella città moderna, mantenendo quel legame, quel linguaggio, quel filo a doppio nodo con il territorio che abbraccia lo spazio urbano, che disegna Verona da sempre. Cecchini tiene con una mano Sammicheli e l’altra noi. Noi siamo Libero Cecchini. Quella vocazione dell’architetto a sbriciolarsi per essere ovunque nella città che costruisce senza Totem, ma frammenti che ognuno si porta dietro, semi di bellezza. Possiamo così rimettere ordine, dare il giusto posto a Carlo Scarpa che per molto tempo abbiamo “accettato” (nessuno me ne voglia) come se non avessimo modelli, ma nel quale non ci siamo mai pienamente riconosciuti: quell’es25
Libero Cecchini
sere veneziano è sempre stato molto, a volte troppo, evidente, quella perfezione nelle forme, nei tagli, nelle vezzose e meticolose variazioni di scala sapevano di “Dominio”, non avevano la semplice verità scaligera, edifici, quelli di Scarpa, bellissimi, restauri che ci hanno fatto scuola, ma “calati” nel contesto scaligero, avevano sempre (almeno per me) la percezione di qualcosa che portava “altrove”, a Venezia. Così, abbiamo sempre sofferto molto dell’assenza di un modello, di una guida nella modernità del linguaggio architettonico veronese e, come spesso accade, l’avevamo sotto gli occhi ma non ce ne rendevamo conto. Così è nato un mito, Libero Cecchini. E Verona è sempre stata la sua Giulietta: speriamo che la città sappia riconoscere più in fretta di cento anni i suoi figli. ■
FEDE – INTERVISTA A MONS. EUGENIO DAL CORSO
«IO CARDINALE? SUBITO NON CI CREDEVO»
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Il vescovo veronese, originario di Corso, frazione di Grezzana, è stato nominato cardinale della Chiesa cattolica da Papa Francesco. Il 5 ottobre sarà a Roma per l’investitura ufficiale. L’abbiamo incontrato qualche giorno prima nell’abbazia di Maguzzano, a Lonato, dove si sta preparando in vista del viaggio nella Capitale.
L
o incontriamo un mercoledì di fine settembre. Ci accoglie con molta cordialità nella sua stanza all’interno dell’abbazia benedettina del IX secolo di Maguzzano, nel Comune di Lonato, a Brescia. È in questo luogo di silenzio e pace – dal 1938 di proprietà dell’Opera Don Calabria di Verona - che monsignor Eugenio Dal Corso si è ritirato qualche giorno dopo essere rientrato in Italia dal Continente africano, per la notizia ricevuta di fresca nomina a cardinale. Il prossimo 5 ottobre il vescovo ottantenne originario del Comune di Grezzana, da 33 anni missionario in Angola, scenderà a Roma da Papa Francesco assieme ad altri sacerdoti provenienti da tutto il mondo per la vestizione ufficiale. Mons. Dal Corso, innanzitutto, come ha ricevuto questa notizia? Con molta sorpresa e in un primo momento anche con un po’ di diffidenza. Perché? In questo ultimo periodo mi trovo in un piccolo centro missionario del sud dell’Angola che si
DI MATTEO SCOLARI chiama Caiundo. Sono là già da un anno. Dopo una messa della domenica, mia sorella Augusta che è venuta giù a trovarmi per quattro settimane, si è avvicinata tutta emozionata e mi ha detto: “Sai che mi hanno telefonato dall’Italia? Il Papa ti ha fatto cardinale!”. E lei cos’ha risposto? “Ma dai, questi non sono scherzi da fare. No, no, è vero! No – dico – non ci credo”. Poco dopo mi è arrivata anche una telefonata di un Padre da Verona e in quel momento ho iniziato a crederci per davvero. Non se l’aspettava? È stata una notizia del tutto inaspettata. Anche perché penso di non avere niente di così speciale nella mia vita. Credo forse che il Papa abbia voluto far conoscere a molte persone, dopo la nomina a 78 anni a vescovo emerito della diocesi di Benguela, il mio impegno di missionario in uno dei luoghi più poveri e bisognosi dell’Angola, a Menogue, nella provincia chiamata Cuando-Cubango, che sta proprio giù a sud, al confine con Namibia e Botswana. 26
Quali responsabilità si assume un vescovo che diventa “eminenza”? La chiamo così perché è questo il titolo che viene dato ai cardinali, giusto? Esatto. Ci sono due “tipologie” di cardinali, diciamo così: i cardinali che sono elettori quando c’è il Conclave e un altro gruppo di cardinali, di cui farò parte, che non sono elettori, ma sono cardinali onorari, sono quelli che hanno compiuto già 80 anni e che non partecipano all’elezione del Santo Padre. La mia nomina, per capirci, è ad honorem. Non avrò responsabilità giuridiche nella Chiesa, ma rappresentative. La spaventa un po’ questo nuovo incarico? La mia paura era che mi tirassero via da dove sono, dalla mia missione in Africa. Ho parlato con alcuni dei miei superiori, anche il cardinale Filoni e il nostro cardinale Parolin, il quale mi ha tranquillizzato dicendomi che posso tornare, senza problemi. Dovrà tornare più spesso in Italia? Ad ogni cardinale è affidata una chiesa di Roma, non so ancora quale, lo scoprirò dopo il 5 ottobre. Ci sarà dato un diploma il giorno della nominazione dove si dirà anche qual è la nostra chiesa nella Capitale. Qualche volta certo, dovrò tornare.
Al di là che non abbia impegni o vincoli giuridici, lei sente questa responsabilità addosso? Sì, la sto iniziando a percepire un po’. Anche per le lettere, per le congratulazioni e per gli impegni che certe autorità anche civili mi stanno dando. Posso dire che con mia grande sorpresa ho ricevuto congratulazioni, per esempio, anche dall’arcivescovo di Barcellona, che non conosco, ma che è stato così gentile da mandarmi – in un bell’italiano – una lettera di congratulazioni. Mi ha fatto piacere. E poi messaggi anche qui in Italia, dalla mia amata Valpantena, e in Angola. Da quando sono stato nominato cardinale, ho ricevuto molte congratulazioni anche dalle autorità angolane. Cosa pensa di questo continente e di questo Paese, l’Angola, in cui ha servito il Signore per più di trent’anni? Il Continente africano è ancora purtroppo sottovalutato ed è oggetto di speculazione. L’Africa è ricchissima di risorse naturali, di minerali, pesca, agricoltura, foreste…però queste ricchezze non sono distribuite come dovrebbero tra la popolazione. Molto spesso le risorse finiscono in America, in Asia, in Europa. Ad esempio, il petrolio angolano viene venduto a basso prezzo alla Cina, con vantaggi quasi esclusivamente per i cinesi.
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La vostra missione cerca di arginare anche questo fenomeno secolare di sfruttamento delle terre africane? Come Chiesa Cattolica, quello che stiamo cercando di fare è ottenere prima di tutto l’onestà da parte di coloro che hanno responsabilità sociale e politica delle nazioni, e poi cercare che anche gli stessi angolani si rendano conto delle grandi possibilità che hanno, con l’auspicio che inizino a valorizzarle per loro stessi.
Papa Benedetto? Con Ratzinger ho avuto solo una volta la visita ad limina. Ratzinger è un grande teologo, un grande uomo. Dal punto di vista personale apparentemente meno affabile, però anche lui di una coscienza e di una comprensione di noi missionari, e dell’Angola nello specifico, che mi ha fatto sempre molto impressione. L’ho incontrato una volta sola, ma spero di vederlo ancora.
Com’è la situazione politica in Angola? Da due anni abbiamo un nuovo presidente, il quale si sta impegnando molto per contrastare la corruzione. Ci sta riuscendo, nonostante le tantissime difficoltà.
Francesco? Papa Francesco l’ho visto già tre volte ma sempre in occasione di visite pastorali durante le udienze che fa di mercoledì. Nel 2013 ho organizzato un viaggio dalla diocesi di Benguela di un gruppo di cinquanta persone per l’udienza, dopo sono andato dal Papa e gli ho parlato e raccontato di questa esperienza. Lui si è rivolto al gruppo e ha dato la sua benedizione. Anche Bergoglio è molto affabile e umano.
Il 5 ottobre sarà di nuovo a Roma. Penso che in passato abbia avuto modo di incontrare e conoscere Papa Giovanni Paolo II, Papa Benedetto XVI e Papa Francesco. Che impressione si è fatto di questi tre Santi Padri? Papa Giovanni Paolo II, San Giovanni Paolo II, è stato quello che mi ha eletto vescovo, nel 1996. Devo dire che non ho mai avuto udienze personali con lui, con nessuno dei tre, però ogni cinque o sei anni le conferenze episcopali devono andare in visita ad limina apostolorum, cioè dobbiamo andare a Roma a visitare il Papa e le altre congregazioni romane. Nel 1998 sono andato per la prima volta nella Santa Sede come vescovo. In queste visite il Papa ci riceve uno a uno. Di Giovanni Paolo II ho una stima immensa. Mi ricordo che una volta ci ha invitati anche a pranzo, siamo stati con lui. Si è dimostrato molto gentile, umile e fraterno. Parlò con Wojtyla? A quel tempo camminava già con un bastone, gli chiesi se avesse bisogno di un aiuto, mi disse di seguirlo nella cappellina dove andava a pregare ogni giorno dopo pranzo. Fu un momento indimenticabile. Mons. Dal Corso durante una giornata di festa nella sua comunità angolese
Eminenza, quali sono le grandi sfide che la Chiesa deve affrontare nei prossimi anni, nei prossimi decenni? Dobbiamo distinguere la Chiesa in Europa e la Chiesa in Africa. La sfida della Chiesa in Europa è ripresentare la fede in modo convinto e sentito, perché la fede cristiana, qui, più che un’adesione personale e consapevole è più una conseguenza di una tradizione sociale. Quindi c’è la necessità di rievangelizzare, di ritornare ad annunciare il Vangelo di Gesù Cristo in maniera decisa. E in Africa? In Africa dobbiamo insistere nell’espansione della fede cristiana e cattolica, in un certo senso anche per tenere testa alla diffusione molto forte dell’islamismo. Il cristianesimo in questo continente dev’essere rafforzato con l’evangelizzazione, devono esserci più missionari, perché gli africani sono religiosi, più di noi, e molto aperti alla fede cristiana. Sono buona gente. Ci sono addirittura giovani non battezzati che vogliono partecipare ai riti cattolici. Penso proprio che l’Africa sarà il futuro dell’umanità, sia dal punto di vista economico che dal punto di vista religioso. Ha un sogno nel cassetto Eminenza? In Angola ci sono villaggi a maggioranza cattolica dove si svolge solo una messa una volta al mese o addirittura ogni due. Il mio sogno è realizzare nel luogo dove sono adesso un grande centro missionario di evangelizzazione. Stiamo formando catechisti, spero che vengano sacerdoti giovani, dall’Italia, dall’estero, anche dalla stessa Angola ad aiutarmi, in modo da creare un modello per altre realtà africane. ■
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L’EREDITÀ DI RENATO GOZZI
IL GRANDE MAESTRO Renato Gozzi, avvocato di grande intelligenza e senso di responsabilità, ha vissuto sempre a servizio degli altri. “Grande maestro” ovunque si trovasse ad operare. Uomo di punta della Democrazia Cristiana, rivitalizzò la Valpantena e Verona negli anni più produttivi. Sono passati 20 anni dalla morte dell’ex sindaco scaligero.
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ra nato a Verona, il 21 marzo 1915, da una famiglia benestante. Il nonno paterno, Luigi, a Grezzana possedeva terreni con dimora per le vacanze della sua numerosa famiglia. Antonio, il figlio più giovane, a Grezzana incontrò Bianca Bruzzi, la figlia del medico condotto che sposò. Grezzana divenne per la famiglia punto di riferimento. L’adolescenza per Renato terminò alla morte del padre. Aveva 15 anni e con la mamma gestì la chiusura dell’azienda (già in difficoltà) e la famiglia con cinque figli, instaurando con lei un rapporto di solidarietà e corresponsabilità, durato tutta la vita. Militare nel Corso per allievi ufficiali all’aeroporto di Centocelle (Roma), congedato, con la laurea in giurisprudenza, entrò praticante nello studio Trabucchi, ma nel maggio del 1940 venne richiamato alle armi. Era la guerra. I tre fratelli Gozzi si trovarono così impegnati su fronti e ideologie diverse. Nei momenti insieme riflettevano sulle «responsabilità, il dovere da compiere e la realtà socio-politica nella quale eravamo chiamati a vivere», ha
scritto l’avvocato Gozzi nelle sue Memorie. Nel 1943, un incidente lo portò a trascorrere la convalescenza a Grezzana. L’8 settembre 1943, anche l’ufficiale Gozzi si presentò e finì a Regina Coeli «un’esperienza umana eccezionale», la definì. Nel 1945 il suo primo incontro a Verona fu con l’amico, l’avvocato Aldo Fedeli, all’epoca sindaco della città, che lo battezzò «democristiano» e tale rimase per tutta la vita. Gozzi morì il 28 febbraio 1999, con accanto la moglie Paola e i figli Maria e Antonio. Fu sindaco di Grezzana dal 1946 al 1955; nel 1951 divenne anche presidente dell’AGSM. Nel 1961 divenne presidente della Provincia e dal 1965 al 1970, sindaco di Verona, rieletto poi nel 1975 fino al 1980. Nel ricevere il premio San Zeno (1992), Gozzi disse «si è voluto esaltare la figura di sindaco, quale padre della Comunità. Una paternità che fa crescere la solidarietà, cresciuta in me fin da quando, usciti dalla guerra, mi sono trovato a capo dei disoccupati di Grezzana, arricchitasi nei lunghi anni di ineguagliabile esperienza di sindaco di questa meravigliosa città». ■
L’incontro per tracciare il ritratto dell’uomo e del politico
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Giovedì 24 ottobre, alle 20.45, a Grezzana, in Sala Bodenheim del Centro “E. Turri” (via A. Segni 2), promossa dalla biblioteca comunale, si terrà una serata per ricordare l’Avvocato Renato Gozzi. L’uomo e il politico: una vita vissuta per Verona e la sua gente, con l’intervento del sindaco Arturo Alberti e di Aldo Sala, ex primo cittadino di Verona.
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DI ALESSANDRA SCOLARI SPAZIO PUBBLICITARIO
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IL PROGETTO 20 ANNI DI PICCOLA SUDDENLY FRATERNITÀ HOME, IN BREVE
UNA PICCOLA GRANDE AVVENTURA
Foto di Alessandro Ziantoni
Una cinquantina di persone si danno appuntamento due domeniche al mese per andare al mare, in montagna, al cinema, ma prima di tutto per stare insieme. Tra di loro ragazzi e ragazze con disabilità fisiche e psichiche. Lo scorso 2 settembre la Piccola Fraternità di Grezzana ha festeggiato i suoi primi 20 anni di attività al servizio di chi ha bisogno.
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i solito queste sono le storie che non si raccontano, perché preferiscono passare inosservate. Storie come quella della Piccola Fraternità di Grezzana, che dal 1999 offre giornate di svago a persone con disabilità e momenti di respiro alle loro famiglie. Essere al servizio delle persone sole o in difficoltà è l’anima della “Piccola”, come la definisce abbreviandone il nome il presidente Edoardo Nicolis, in carica da dieci anni. «Si va a giocare a bowling, oppure a ballare, qualche volta andiamo al mare e altre volte si va al cinema». Del gruppo fanno parte una cinquantina di persone, che vanno e che vengono, tutti per la voglia di stare
insieme. Poi ci sono gli “storici” come Daniela, che da tempo condivide la sua enorme voglia di vivere, il suo sorriso perenne e il suo entusiasmo che contagia. «Quando andiamo al mare la alziamo dalla sedia a rotelle, la prendiamo sulle spalle e la portiamo in acqua. Lo dice sempre che aspetta con ansia questi momenti». Quella che si è creata negli spazi concessi dal Comune in via Pozzo, a Grezzana, è una famiglia, un gruppo coeso ed eterogeneo. Nessuno sente il peso o l’obbligo di fare qualcosa. Semplicemente ci si mette a disposizione degli altri, per poter educare ed essere educati, per tornare volta per volta con i piedi per terra. Sono infatti le espe30
DI MARCO MENINI
rienze di contatto con gli altri che ci migliorano, elevano la nostra capacità di dedicarci agli altri. Un esempio sono i diversi benefattori che nel tempo hanno permesso di costruire lo spazio che oggi è dedicato alla Piccola Fraternità; persone che hanno donato pavimenti, finestre, giochi per la stanza dedicata ai più piccoli ma anche la cucina, dove ci si alterna a preparare quello che di meglio riesce dalle mani di cuochi più o meno improvvisati. «Io ho cominciato quest’esperienza con mia mamma, che passava parte del suo tempo al Noi Insieme di Grezzana. Con lei da subito mi è sembrato naturale mettermi al servizio degli altri. Sentivo di essere di aiuto, e che loro potevano educare me, in particolare per educare a mia volta mia figlia.
Stare insieme e mettersi a disposizione degli altri ci permette di tornare a dare valore alle cose semplici della vita». L’idea della Piccola Fraternità di Grezzana è nata con un viaggio a Lourdes, vent’anni fa, nel 1999, quando l’allora parroco del paese (oggi alla comunità di Rosaro) Don Ottavio Birtele decise di portare l’esperienza di contatto con la gente, propria della cittadina francese, a Grezzana. E così, passo dopo passo, persona dopo persona, si è formato un gruppo che per due domeniche al mese si trova e condivide il proprio tempo con gli altri. Ora il clima che si respira è quello di un gruppo unito, ancora più forte perché caratterizzato dalle differenze tra una persona e un’altra. ■
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SPIEGATE DA UN’ESPERTA
LE RAGIONI (GIUSTE) PER CANDIDARSI ALL’UNESCO Sono 1.121 i siti iscritti dall’UNESCO nella sua “Lista del Patrimonio Mondiale”, siti che rappresentano delle particolarità di eccezionale importanza da un punto di vista culturale o naturale. Di questi, l’Italia ne conta 55, otto dei quali veneti. Si pensi a Venezia e la sua Laguna, all’Orto Botanico dell'Università di Padova, a Vicenza e le ville del Palladio, alla città di Verona. Sono tantissime le richieste che l’Unesco riceve ogni anno per aggiornare la sua “World Heritage List”. E la nostra città ha sul banco diverse candidature.
Silvana Anna Bianchi
DI CAMILLA FACCINI
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er comprendere meglio cosa sta dietro un mondo complesso, fatto di dati tecnici e difficili diciture, abbiamo parlato con Silvana Anna Bianchi che da anni si occupa delle tematiche Unesco ed è autrice del libro L’importanza di voler chiamarsi Unesco. La città di Verona tra mito di Giulietta e Patrimonio dell’Umanità (Le Monnier). Con il Tocatì da poco concluso a Verona si è tornati a parlare di UNESCO. Può farci una panoramica sulla situazione veronese? Verona, già inserita nelle liste UNESCO sia come città sia con altri beni nel territorio (ha due dei “Siti Palafitticoli Preistorici dell'Arco Alpino” a Peschiera del Garda e Cerea, e ha una delle “Opere di difesa veneziane tra XVI ed XVII secolo” sempre a Peschiera) sta cercando di aumentare questo suo bottino. Si stanno iniziando le pratiche per la candidatura del sito naturalistico “Biodiversità marina dei siti 32
dell’Eocene in Val d’Alpone” che ha il suo punto di forza nei depositi fossili dell’area, il più noto dei quali è Bolca. Si sta lavorando anche alla candidatura per le tecniche di appassimento delle uve della Valpolicella, con l’obiettivo di aggiungere anche il metodo di produzione di Recioto e dell’Amarone, insieme ai territori che esprimono questi prodotti. In questo caso si tratta di far inserire il bene tra i patrimoni immateriali dell’Unesco, stessa direzione verso cui procede la candidatura multinazionale (con Belgio, Cipro, Croazia e Francia) del Tocatì. Qual è oggi il significato dell’essere UNESCO? Questo tema, argomento chiave anche del mio libro, è quello a cui si stanno rivolgendo numerose ricerche internazionali. Moltissimi oggi vogliono essere UNESCO: l’incremento costante delle domande lo dimostra in modo inequivocabile. Istituzioni, enti e (ma in misura assai ridotta) le comunità nutrono grandi
«SE IL RICONOSCIMENTO UNESCO SI LIMITA AD ESSERE UN TROFEO PORTATO A CASA PERDE IL SUO SENSO E NON GIUSTIFICA L’IMPEGNO E LE ENERGIE IMPIEGATE PER OTTENERLO. CENTRATO L’OBIETTIVO, SERVE RIMETTERSI A LAVORARE» aspettative nei confronti dell’iscrizione, prevedendo innanzitutto benefici economici: il “caso Prosecco”, su cui molto si è discusso, è emblematico da questo punto di vista. È evidente che il brand può portare un valore aggiunto ai beni e ai territori, ma non è possibile stabilire in modo preciso una relazione stabile fra designazione Unesco e incremento economico. Invece numerosi studi effettuati dimostrano come ci siano innegabili vantaggi per quanto riguarda la conoscenza, la conservazione, la tutela e la valorizzazione dei beni. La popolazione che abita un territorio dichiarato “patrimonio mondiale” ne è consapevole? È coinvolta? Purtroppo nella fase di candidatura manca spesso il coinvolgimento: sono pochi i soggetti che promuovono l’iniziativa, la maggioranza della popolazione è scarsamente informata, quando addirittura non ne sa nulla. Spesso inconsapevoli dei valori culturali del territorio in cui vivono, i residenti non vengono informati sul senso del riconoscimento, non ne condividono l’origine e lo sviluppo, dunque non ne contestano nemmeno alcuni passaggi che potrebbero essere negativi. Di conseguenza, se
è debole la percezione del valore del riconoscimento e delle responsabilità che ne discendono, debole sarà poi anche il contributo alle attività di tutela. Le attività finalizzate alla protezione, alla salvaguardia e alla valorizzazione del patrimonio richiedono la partecipazione delle comunità per essere davvero efficaci. L’iscrizione di un sito a una lista UNESCO è quindi un traguardo o un punto di partenza? Bella domanda. Certo il riconoscimento UNESCO è un traguardo, è la fine di un percorso impegnativo e costoso. Se però si limita a essere un trofeo portato a casa perde il suo senso e non giustifica l’impegno e le energie impiegate per ottenerlo. Centrato l’obiettivo, serve rimettersi a lavorare, certo con un orgoglio e forse anche con una consapevolezza accresciuti, ma non si può star fermi. Non ha senso. Eppure spesso è proprio quello che accade. La domanda andrebbe rivolta in primo luogo agli amministratori dei siti che, dall’esterno, un organismo internazionale ha reputato “di eccezionale valore universale” ma che, all’interno, sono poco valorizzati e usano il prestigioso logo dell’Agenzia delle Nazioni Unite spesso solo come traino per promozioni commerciali. ■
La copertina del libro
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SUCCESSIONE DEL CONIUGE SEPARATO E QUELLA DEL CONIUGE DIVORZIATO. QUALI LE DIFFERENZE? In caso di morte al coniuge spetta una quota di patrimonio del coniuge defunto, si può trattare anche di una porzione minima (detta quota di riserva) in base a quanti altri soggetti concorrano alla successione. Spettano inoltre il diritto di abitazione della casa famigliare e di uso dei beni che l’arredano ai sensi dell’articolo 540 secondo comma codice civile. Nel caso di separazione e di divorzio cosa succede? Gli effetti sul coniuge derivanti dalla successione del coniuge separato o divorziato sono diversi perché con la separazione pur avendosi un affievolimento del vincolo coniugale, lo status di coniuge permane, mentre con il divorzio si ha la cessazione degli effetti civili del matrimonio. Successione del coniuge separato Il coniuge separato, in linea generale, mantiene i diritti sia in caso di separazione giudiziale che consensuale. Al coniuge superstite spettano la quota di riserva prevista dalla legge ed i diritti di abitazione e di uso come sopra precisato. In caso di testamento che leda la quota di
legittima, il coniuge superstite separato può far valere i propri diritti ereditari al fine di ottenere la quota di legittima spettante. Il coniuge superstite al quale sia stata imputata la separazione perde ogni diritto di partecipare alla successione, salvo diritto ad un assegno vitalizio se al momento dell’apertura della successione godeva degli alimenti a carico del coniuge deceduto. Per quanto riguarda la pensione di reversibilità, questa spetta al coniuge separato, mentre spetta in quota al coniuge separato con addebito se godeva degli alimenti Successione del coniuge divorziato Per quanto riguarda la successione in caso di morte del coniuge divorziato, essendo cessato il vincolo matrimoniale, nessun diritto ereditario spetta all’ex coniuge superstite, salvo godere dell’assegno divorzile che sarà a carico degli eredi dell’ex coniuge. In linea generale all’ex coniuge divorziato non spettano diritti ereditari perché non esiste più il vincolo matrimoniale, assumendo con
il divorzio lo status di libero. Riassumendo, i diritti di successione del coniuge cambiano in caso di separazione e di divorzio. In caso di separazione, ove non sia stabilito un addebito a carico del coniuge superstite, quest’ultimo mantiene i diritti ereditari conseguenti al matrimonio. In caso di divorzio, al coniuge superstite non spetta alcun diritto ereditario, in quanto il vincolo matrimoniale era stato sciolto prima della morte del de cuius. La legge stabilisce però alcune attenuazioni nel caso di “ stato di bisogno “ del coniuge superstite. Il Notaio Mario Sartori di Grezzana potrà prestare assistenza nelle successioni in questione per i relativi adempimenti ed atti grazie all’esperienza nel settore conseguita negli anni.
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A TU PER TU CON MATILDE MARCONI
Foto di Alessandro Costerman
FELICE PER MISS LESSINIA ORA SOGNO UNA MIA GRIFFE La diciottenne di Grezzana, col numero 1 sul petto, ha sbaragliato la concorrenza di 90 ragazze nell’edizione 2019 del concorso di bellezza fondato nel 1994 da Renato Rama. Ora sogna un futuro imprenditoriale nella moda, settore per cui sta studiando. DI MATTEO SCOLARI
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a i lineamenti del viso morbidi ed eleganti, che lasciano intravedere o immaginare per lei un futuro roseo, di grandi soddisfazioni, nel mondo dello spettacolo. Matilde Marconi, giovane diciottenne di Grezzana, nata nel 2001, è la nuova Miss Lessinia. A fine agosto, a Bovolone, si è aggiudicata il concorso di bellezza tutto veronese nato nel 1994, a Camposilvano, durante Festa 34
di San Carlo Borromeo, per volere del compianto fondatore Renato Rama. Studentessa della quinta liceo artistico “Nani-Boccioni”, Matilde sogna però un futuro nella moda, visto che l’indirizzo del triennio di specializzazione che sta concludendo è proprio questo (e lo sarà anche per i prossimi anni all’università) e il campo dell’abbigliamento lo osserva fin da bambina.
Un bozzetto realizzato da Matilde
Matilde, partiamo proprio dalla scelta formativa: liceo artistico, indirizzo moda. Perché? Mi attira questo mondo, da piccolina disegnavo sempre dei bozzetti con degli abiti addosso. Inizialmente avevo scelto il liceo artistico per la Storia dell’arte, che è una materia che adoro, poi, dopo il biennio, ho scelto la moda per il motivo che ho detto poco fa. Quando hai maturato l’idea di poter trasformare questa passione in un lavoro? Ho iniziato a crederci seriamente grazie anche a uno stage che ho svolto quest’estate nell’azienda Falconeri. È durato tre settimane. Ma, la sede produttiva di Falconeri non è ad Avio, in provincia di Trento? Sì, facevo avanti e indietro in treno, poi un ultimo pezzo di strada in bicicletta e arrivavo in azienda. A che ora ti alzavi la mattina? Presto, davvero presto. In autobus fino a Porta Nuova e poi su fino alla stazione ferroviaria di Ala – Avio. Ne è valsa la pena perché è stata un’esperienza bellissima. Le ragazze dell’ufficio mi hanno coinvolto tantissimo e mi sono sentita proprio a casa.
materia. È stata proprio Angela a chiedermi se volessi partecipare al concorso di bellezza.
Di cosa ti sei occupata? Mi hanno chiesto di fare molte cose. Ho visto i capi della nuova collezione e ho potuto creare anche “piatti”, disegni di abiti che si realizzano in maniera molto schematica. Io li faccio a mano, ma lì venivano realizzati a computer.
Avevi mai sentito parlare del concorso? Sì, solo che sono una ragazza che si fa tanti problemi e non mi ero mai esposta così tanto. Ci ho pensato un po’ e poi ho deciso di partecipare. Fortunatamente, si è conclusa nei migliori dei modi. Ora collaboro con Lab d’Elite, un’agenzia di Verona, e spero che possa durare, perché sarà il mio sostegno economico per pagare l’università e l’appartamento a Milano, dove vorrei studiare dall’anno prossimo. Ci sono tante scuole e sono tutte molto costose.
Restando sempre in ambito moda, sappiamo che hai partecipato anche a un corso di portamento… Sì, a un corso di Angela Booloni (Miss Lessinia 2005, ndr), perché studiando moda ho voluto aggiungere un tassello importante per questa
Avresti mai immaginato di poter vincere? No, ho cercato di affrontare tutto con naturalezza. Poi c’erano delle ragazze bellissime, io l’ho fatto anche per mettermi alla prova perché sono riservata e timida e parlare in pubblico non mi viene facile. Ce l’ho fatta ed è stato bello.
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Cos’hai pensato quando hanno pronunciato il tuo nome? È stato stupendo, c’erano tutte le altre concorrenti che mi hanno abbracciato. Mi sono scesi i lacrimoni, avevo la pelle d’oca. E ora? Ho già fatto degli scatti con il fotografo Andrea Crivellari. Lavoro come hostess, ho fatto uno shooting e ho iniziato a fare la co-conduttrice in un programma su Telearena, dal titolo Contropiede, con il giornalista Alessio Faccincani. Miss Lessinia ha lanciato nomi importanti, a partire dalla prima vincitrice, Emanuela Morini. Silvia Lavarini, in tempi recenti, è arrivata addirittura sul podio di Miss Italia. È un orizzonte al quale guardi anche tu? Non lo so…ehm, non lo so. Magari più avanti. Ti imbarazza? Sì, perché immagino sia un percorso molto impegnativo. Adesso mi interessa lo studio, quest’anno ho anche la maturità. Che persona ti reputi? Sono sempre stata altruista e solare. Non ho filtri. Ho fatto anche un viaggio importante in Kenya che mi ha cambiato tanto la vita. Lì mi sono resa conto che ci sono persone che vivono in modo molto più difficile di noi, con molte più ristrettezze economiche. Ho imparato che bisogna cercare di essere sempre gentili con tutti perché non conosciamo il vissuto di chi ci sta di fronte. Quando sei andata? Due anni fa con don Fabio, curato di Cerro. Sono andata con i miei genitori perché avevo solo 16 anni.
I tuoi genitori cosa dicono di questa esperienza? Mio papà (Marco Marconi, ndr) è sempre agitato. Alle serate di selezione era emozionatissimo. Mia mamma (Alessia Gelmini, ndr) si è commossa, continuava a piangere ogni volta che mi vedeva sul palco. Mia mamma mi ha aiutato molto perché è stata lei a individuare il corso di portamento da cui è partito tutto. Fratelli o sorelle? Una sorella, Carlotta, di 15 anni. Tra l’altro è molto più bella di me. Noemi Scamperle, una delle organizzatrici del concorso, le ha già messo gli occhi addosso. Ti piacerebbe avere una casa di moda tutta tua? Sarebbe bello, è dura però…però…si può fare tutto nella vita. Avresti già il nome? Oddio, non c’ho mai pensato, però penso di tenere il mio nome e il mio cognome. Matilde Marconi, si presta come nome di una griffe… Alta moda comunque, non prêt-à-porter. Il tuo stile com’è? Molto delicato, cerco di essere precisa anche se adesso non ho molta abilità. La prenderò col tempo. Guardo tanto Chanel, Dior, ma al tempo stesso anche qualche linea più decisa come Alexander McQueen. Non so se ho reso l’idea. Più o meno sì. Sono un uomo. In bocca al lupo Matilde. ■
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QUATTRO AMICI, IL GINEPRO E LE FADE
Foto di Moi Lånt Gin
LUI, IL GIN DELLA LESSINIA Quattro amici, due passioni, un sogno: sono questi i numeri che contraddistinguono la nascita del primo gin della Lessinia, lo Zanèibe di Moi Lånt. Scoprite insieme a noi la sua storia, che si intreccia con quella del nostro territorio.
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DI FRANCESCA MAULI
icono che i giovani d’oggi non sognino più. Che il pessimismo regni sovrano e che la magia appartenga solo all’infanzia. Eppure un gruppo di quattro amici, durante la sera più breve – e magica – dell’estate, davanti al fuoco acceso nel cuore dei XIII Comuni in ricordo di rituali antichi, ha sognato di dar vita a un progetto – un distillato che contenga lo spirito della Lessinia – che racchiude in sé un mondo di passioni e speranze, oltre che un intero territorio. È nato così Zanéibe (in cimbro, ginepro, l’ingrediente principe di questo distillato), il primo gin della Lessinia. «L’idea è nata durante il solstizio d’estate del 2015, a Giazza, in occasione della tradizionale Festa del Fuoco, mentre guardavamo le 13 ancelle – una per ognuno dei XIII Comuni – che bruciavano un mazzolino di erbe, per esorcizzare il buio e gli spiriti maligni. Nessuno di noi viene dalla Lessinia, ma vi siamo tutti molto legati: la conside38
riamo la nostra via di fuga dal caos della città. A questo amore per quel territorio abbiamo unito la passione per il gin, un distillato che sta vivendo, negli ultimi anni, una nuova vita, fatta di sperimentazioni e nuovi abbinamenti. Quindi, perché non creare un gin “made in Lessinia” arricchito proprio da 13 erbe?» racconta Filippo De Battisti che, insieme a Francesco Zardini, Marcello Di Cesare e Filippo Rosa, ha fondato l’etichetta Moi Lånt, “la mia terra”, in cimbro. Quattro anni di lavoro, per dare vita a Zanèibe, una bottiglia blu (come il colore della bacca di ginepro), in edizione limitata, prodotta artigianalmente in provincia di Verona, stile “vecchia farmacia”, che racchiude i profumi e i colori delle nostre montagne. Può sembrare un tempo di gestazione molto lungo, ma la ricerca della perfezione non ha mai tempi brevi. «Solo per trovare il distillatore abbiamo girato 6 mesi. Lo abbiamo infine trovato a Crespano
Foto di Moi Lånt Gin
sul Grappa – a Verona purtroppo non esistono distillatori di gin –, nella zona del Monte Grappa, la cui acqua viene utilizzata per produrre Zanèibe. Abbiamo poi iniziato a studiarne la composizione, cambiando varie ricette e scegliendo infine la rosa canina come nota preponderante, sia per il gusto fresco che lascia, sia per il colore rosato che dona» spiega Francesco Zardini. Le 13 botaniche che lo compongono – tra cui cardo mariano, verbena, melissa, camomilla – sono legate alla Lessinia: «Provengono dall’Erbecedario di Sprea, a cui abbiamo deciso di rivolgerci non solo per la qualità dei suoi prodotti, ma anche per la sua storia radicata nel territorio». Proprio il legame con il territorio è il filo conduttore di tutti gli elementi che compongono Zanéibe, etichetta compresa. «Per poter scegliere il nome – racconta Zardini – abbiamo trascorso molti pomeriggi al Curatorium Cimbricum di Giazza, da cui arriva anche la mappa storica stampata sulla carta che avvolge il nostro gin. Sull’etichetta abbiamo voluto alcuni elementi della tradizione popolare, come il Sengio dell’Orco di Camposilvano, messo lì dall’orco per permettere alle fade di stendere i panni, e il lupo, altro protagonista dei racconti locali. Il Sengio sembra fluttuare, a ricordo dell’elemento ma-
Francesco Zardini, Marcello Di Cesare, Filippo De Battisti e Filippo Rosa
gico che impregnava la cultura cimbra, dando un’atmosfera di sogno che incarna lo spirito della Lessinia, in un gioco di parole che richiama anche il fatto che il gin sia, esso stesso, uno “spirito”, un distillato». «Abbiamo iniziato da poco la distribuzione in alcuni locali della nostra città, ma anche a Roma e in Alto Adige. Sta piacendo: il suo colore e il suo gusto unici si fanno ricordare» concludono. «Pur avendo altri lavori, ci ritagliamo il tempo per occuparcene in prima persona; questo perché vogliamo raccontare la storia che c’è al suo interno, vogliamo trasmettere lo spirito e l’amore con cui è stato creato». ■
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IL PASSAGGIO A SPA SOCIETÀ BENEFIT, SPIEGATO BENE
FORGREEN, IL NUOVO CAPITOLO DI UNA LUNGA STORIA DI SOSTENIBILITÀ Al suo decimo compleanno, la società veronese che dal 2009 progetta e realizza comunità energetiche 100% rinnovabili, si regala la conversione statutaria in Spa Società Benefit. In Italia sono circa 200, ForGreen è tra le prime a Verona. DI GIORGIA PRETI Che valenza ha l’approdo a Società Benefit? Diventare Società Benefit attraverso la trasformazione del nostro Statuto societario, è stata una naturale concretizzazione di tutti i valori che ci rendono ForGreen e che dal 2016 ci vendono anche parte del più grande progetto internazionale riservato alle imprese che operano per promuovere modelli economici orientati allo sviluppo sostenibile, l’UN Global Compact. Essere una Società per Azioni Società Benefit (Spa Sb) significa poter concretizzare all’interno dei propri obiettivi di business, la creazione di valore e beneficio comune, condiviso con i nostri soci, gli stakeholders, i clienti ed il territorio. Significa anche abituarsi ad incasellare il proprio operato e le proprie strategie all’interno di obiettivi più ampi e sostenibili sotto un punto di vista sociale, - oltre che economico ed ambientale - andando a migliorare i processi interni e a monitorare maggiormente gli impatti sulle persone e il territorio. Significa infine avere degli obblighi di rendicontazione attraverso i quali raccontare tutte le azioni intraprese per perseguire le finalità di beneficio comune, e questo nuovo obiettivo ha fatto nascere in ForGreen l’esigenza di strutturare, al proprio interno, una funzione aziendale che possa dedicarsi al continuo miglioramento delle prestazioni in termini di sostenibilità ed etica d’impresa.
proprie scelte energetiche, perché fortemente inserito nella filiera di produzione della stessa energia che arriva nella propria abitazione o nella propria azienda. Alla diffusione di questo modello contribuiscono ogni giorno le straordinarie realtà con cui collaboriamo e che vedono in ForGreen la concretizzazione di un nuovo ed inclusivo modo di vivere l’energia rinnovabile e la sostenibilità. A metà settembre avete festeggiato l’anniversario dei dieci anni di attività… La celebrazione dei nostri primi dieci anni di attività, è stata pensata per condividere con tutti gli ospiti le nuove sfide che ci vedranno protagonisti di una vera e propria rivoluzione culturale ed energetica. Nei risultati ottenuti fino ad oggi c’è un percorso fatto di impegno e desiderio di trasformare un settore come il nostro, in qualcosa di cui sentirsi parte integrante, qualcosa a cui poter contribuire attivamente con le proprie scelte. E noi, come primi operatori energetici italiani ad essere certificati EKOenergy, ci crediamo da sempre e continueremo a crederci. ■ Vincenzo Scotti, amministratore delegato di Forgreen Spa Sb
Da tempo con le Comunità energetiche promuovete un metodo inedito per vivere la sostenibilità. Di che si tratta? Avendo vissuto tutte le fasi della liberalizzazione del settore energetico, nel 2016 abbiamo voluto trasformare il nostro “prodotto” - l’energia 100% rinnovabile prodotta in maniera condivisa grazie al modello cooperativo WeForGreen ed alla comunità energetica Be ForGreen Be Sustainable - in un mezzo per aiutare persone e imprese ad intraprendere un percorso di sostenibilità concreto e reale. Attraverso lo sviluppo delle nostre comunità energetiche abbiamo infatti contribuito a rafforzare la figura del prosumer, il consumatore consapevole delle 40
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Reg. Trib. di Verona n.2115 del 3/9/2018 mercoledĂŹ 25 settembre 2019
MARMOMAC INAUGURA, ZAIA: ÂŤDOVâ€™Ăˆ IL GOVERNO?Âť
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IL CHIEVO DI MASSIMO BERTAGNOLI
LA SPERANZA DI TORNARE SUBITO IN A DA PROTAGONISTA
Foto di Boldrini/Chievo
Ventenne di Lugo di Valpantena, dopo l’intera trafila nelle giovanili clivensi, ha esordito questa stagione in Serie B. Pochi grilli in testa, il duro lavoro come un mantra: sembra già lontano quel passato che lo vedeva in tribuna a tifare per la prima squadra o a raccogliere i palloni a bordo campo.
L'
aspetto è quello di un ragazzino cresciuto da poco. Lo sguardo è di chi la sa lunga, ma non vuole darlo troppo ad intendere. A parlare per lui sono gli avanzamenti di grado ottenuti negli ultimi anni. Massimo Bertagnoli, vent'anni e radici nella profonda nell’alta Valpantena, è una delle frecce nella faretra di Michele Marcolini, allenatore del Chievo Verona che vuole risalire prontamente in serie A dopo la caduta dello scorso e sfortunato campionato.
DI EMANUELE PEZZO
Massimo, cosa pensi dell'avvio di stagione del Chievo? Siamo una squadra forte, anche se finora abbiamo ottenuto meno punti di quelli che meriteremmo. Ma, come dice anche il mister, giocando così i risultati arriveranno. 42
Da piccolo qual era la tua squadra preferita? Ero tifoso del Milan e avevo i poster di Shevchenko, Pirlo, Seedorf. Però il Chievo mi è piaciuto sin da subito: è una squadra umile, magari senza i cosiddetti "fenomeni", ma in cui i giocatori lavorano duro e ci mettono tutto ciò che hanno. Questo è il suo emblema. Cosa significa giocare per la squadra per cui facevi il tifo? Ora che sono in prima squadra sento una grande responsabilità. È un obiettivo che ho ottenuto non per caso, ma con i tanti sacrifici fatti. Come hai vissuto l'esordio ufficiale al Bentegodi? Mi guardavo intorno. Ricordavo quando andavo in tribuna est per vedere le partite. Guardavo i raccattapalle e pensavo che tempo fa ero io a
«ALL'ESORDIO MI GUARDAVO INTORNO, RICORDAVO QUANDO ERO RACCATTAPALLE» dare la palla ai giocatori. Ma ero anche molto tranquillo. Che rapporto hai avuto con la scuola? Sono stati anni duri. Tornavo a casa dall'allenamento tardi e dovevo iniziare a concentrarmi sul giorno dopo con lo studio. Ci sono ragazzi che riescono a tenere bene in piedi scuola e sport. Per me è stato difficile, ma ero costretto a farcela: avessi mollato una cosa, sono sicuro che avrei rischiato anche l'altra. Come passi il tempo libero? Mi piace stare con gli amici, mi capita di seguire altri sport come tennis, basket e volley. Cerco poi di interessarmi all'officina di mio padre: è cosa buona seguire l'impresa di famiglia, anche in ottica futura. Poi ascolto musica, mi piace un po' di tutto e scelgo in base allo stato d'animo. Nel 2002 gli J. Ax e gli Articolo 31 cantavano "... il fatto che io sia famoso è un caso come il Chievo in serie A": cosa ne pensi? A dire il vero per me è strano vederlo in B. Ho fatto tutte le giovanili in cui andavo a vedere la prima squadra giocare contro i club più forti d'Italia. Un cambiamento del genere penso possa
essere un bene per tutto, ma comunque per me il posto naturale del Chievo è la A. Gli addetti ai lavori vi danno in quinta o sesta posizione per la promozione. Non conosco bene la categoria, ma penso non vi sia una favorita. Guardando al passato, ci sono state squadre che sono "salite", anche se non tra le favorite, grazie alla forza del gruppo, del mister e della società. Spero sia il nostro caso, e di aver totalizzato più presenze possibile. ■
Chi è Massimo Bertagnoli? Classe 1999, inizia a giocare a calcio nella squadra del suo paese, il Lugo. Dopo tre provini entra nelle giovanili del Chievo Verona e pian piano avanza di categoria in categoria. Gioca nel campionato Primavera 1 nella stagione 2018/19, totalizzando 30 presenze e segnando 9 reti. Dopo un girone di andata non eccezionale, la squadra si riscatta in quello di ritorno, piazzandosi al sesto posto. Bertagnoli è il capitano di quella formazione. Nel primo turno di playoff il Chievo però pareggia 2-2 con la Roma, che passa in virtù della miglior classifica nella stagione regolare. Di recente per Bertagnoli sono arrivati il primo contratto da professionista e l'esordio in prima squadra, con mister Marcolini che l'ha scelto fra i titolari nel match di Coppa Italia contro il Ravenna.
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IL MONDO DEI MOTORI CRONACHE, IDEE E SOLUZIONI
EURO 6D, È VERO RILANCIO PER IL DIESEL? Dal primo settembre tutte le auto diesel di nuova immatricolazione devono sottostare alle recenti normative in fatto di emissioni che permettono come standard minimo la motorizzazione Euro 6d Temp. Cosa significa e quali sono i prossimi passi?
L
a rivoluzione Diesel è iniziata. A partire dallo scorso primo settembre, non è infatti più possibile immatricolare automobili con omologazione anteriore a Euro 6d-Temp, evoluzione del livello Euro 6 che era entrato in vigore nel 2015. Ciò significa che tutte le nuove vetture a gasolio che vengono immatricolate devono rispettare le normative di emissione Euro 6d Temp. Con questo acronimo, dove “Temp” sta per “temporaneo”, inizia lo smantellamento dei test di emissioni WLTP, ovvero realizzati in laboratorio, sui quali è scoppiato lo scandalo Dieselgate Volkswagen. Gli stessi saranno infatti integrati in modo sempre più importante dai nuovi RDE (Real Drive Emissions) che prevedono test di emissione realizzati direttamente su strada in condizioni reali. Con l’Euro 6d Temp per un periodo di transizione (da cui “temporaneo”, ndr) i costruttori potranno omologare le proprie auto diesel facendo utilizzo di entrambe le modalità di test. Da gennaio 2020 per i nuovi modelli e da gennaio 2021 per le auto di prima immatricolazione, l’omologazione dei motori a gasolio ammetterà solo emissioni di livello Euro 6d Standard, che modificherà ulteriormente la tolleranza tra la misura delle emissioni effettuata in laboratorio e quella realizzata in condizioni reali, a favore ovviamente di quest'ultima. Con Euro 6d-Temp questa tolleranza è ora del 110% mentre con la futura Euro 6d Standard la tolleranza scenderà al 50%. Rispetto ai motori Euro 6, la tolleranza di emissione di ossidi di
SE DA UN LATO C’È DA ESSERE MODERATAMENTE SODDISFATTI CHE LA NORMATIVA INIZI AD INTERVENIRE PIÙ PESANTEMENTE SULLE EMISSIONI, DALL’ALTRO SPAVENTA PENSARE CHE PER ANNI SIAMO STATI CONVINTI DI AVERE AUTO A BASSO IMPATTO INQUINANTE CHE IN REALTÀ AVEVANO EMISSIONI MOLTO PIÙ ELEVATE Azoto (NOx) è decisamente più alta, dato che si è passati dal limite di 80 mg/km (milligrammi per chilometro) a 168 mg/km. Valori più alti, ma più credibili rispetto ai precedenti che, alla luce dei recenti scandali, si sono dimostrati quasi sempre farlocchi. Dal 2020 e 2021, questo valore scenderà per i diesel a 120mg/km. Se da un lato c’è da essere moderatamente soddisfatti che la normativa inizi ad intervenire più pesantemente sulle emissioni, spaventa pensare che per anni siamo stati convinti di avere auto a basso impatto inquinante che in realtà avevano emissioni molto più elevate. E ora? Ora siamo costretti ad accettare una normativa (l'Euro 6d Temp e l'Euro 6d Standard) che ammette valori di ossidi di Azoto praticamente doppi rispetto a quelli imposti, e non rispettati, dal precedente Euro 6. ■
DI MATTEO BELLAMOLI
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IL PREMIO LETTERARIO DEL CLUB DI GIULIETTA
INFINITO PRESENTE DEL VERBO AMORE Per quattro giorni, dal 16 al 19 ottobre, Verona diventa capitale dei libri e della lettura con Scrivere per Amore. È il premio letterario internazionale, ideato e promosso dal Club di Giulietta, che dal 1996 racconta la forza e la complessità del sentimento amoroso nelle sue molteplici declinazioni.
P
er passione, ma soprattutto per amore. È questo slancio a muovere, da sempre, le penne e i pensieri degli innamorati nel comporre romanzi, lettere, saggi, canzoni, poesie. Anche se oggi sono cambiati i mezzi di comunicazione, e talvolta più che l’inchiostro si utilizza l’emoticon sullo schermo di uno smartphone per esprimere il proprio affetto, la scrittura rimane la forma più sofisticata per fissare i confini dell’innamoramento. Procedendo poi oltre, nelle sue declinazioni, per coniugarlo all’infinito presente. Raccontare la forza e la complessità dei legami amorosi. Parlare di amore tra le pagine dei libri e di amore per la lettura. Sono questi i coraggiosi esperimenti messi in atto dal premio letterario internazionale Scrivere per Amore, ideato e promosso dal Club di Giulietta. Non è affatto casuale il filo rosso che unisce, dal 1996, la rassegna all’eroina shakespeariana e in particolare al fenomeno epistolare che fa recapitare in riva all’Adige migliaia di missive ispirate, appunto,
dal nobile sentimento. «Dalle lettere alla letteratura perché Verona, città degli amanti più celebri, deve puntare sul valorizzare questa tematica dal punto di vista culturale. Ad avere l’intuizione fu mio padre, Giulio Tamassia, ideatore del premio dedicato a un’opera narrativa che avesse come tema una vicenda d’amore edita in Italia», evidenzia la presidente del Club di Giulietta, Giovanna Tamassia. «Il primo vincitore, era il 1996, fu Giampaolo Pansa. Nel tempo i giurati hanno spaziato tra personaggi di fama nazionale: da Umberto Galimberti a Masolino D’Amico fino a Concita De Gregorio. Quest’anno la giuria nazionale, presieduta da Michela Marzano, è composta da Eliana Liotta, Andrea Marcolongo e Marino Niola», prosegue. L’edizione 2019, le fa eco l’assessore alla Cultura del Comune di Verona, Francesca Briani, «si caratterizza proprio per il nuovo impulso che il Comune e il Club di Giulietta hanno concordemente deciso di dare alla manifestazione. Potenziamento che vede 46
DI MARTA BICEGO
nella collaborazione con la Fondazione Pordenonelegge uno dei momenti più qualificanti. Verona e il suo mito per eccellenza lo meritavano». Quest’anno Scrivere per Amore ha allargato gli orizzonti con incursioni nelle varie arti e scienze diventando un festival di quattro giorni con diversi appuntamenti in varie sedi cittadine, dal 16 al 19 ottobre. Inizierà a Villa Brenzoni Bassani, a Sant’Ambrogio di Valpolicella, con una sorta di “Anteprima Off”; terminerà al Teatro Nuovo con la proclamazione del vincitore e la consegna del premio alla pubblicazione più bella ispirata dal sentimento d’amore; nel mezzo, un dedalo di incontri per spaziare dalla filosofia all’antropologia, dal cinema alla musica. La rosa dei tre finalisti, tra i venti titoli in concorso scelti dal comitato di lettura scaligero, comprende la scrittrice, poetessa e psicologa danese Anne Cathrine Bomann, con il suo romanzo d’esordio L’ora di Agathe (Iperborea), secondo la motivazione «un’ondata di tenerezza, sospesa tra due infelici fragilità, in una storia d’amore perfetta». Corteggiamento, amore, rivalità tra classi sociali e appartenenze politiche di un gruppo di ragazzi e ragazze padovani trovano espressione nella «scrittura senza cedimenti, lontana da virtuosismi, mirabilmente trasparente» dell’autore Romolo Bugaro con Non c’è stata nessuna battaglia (Marsilio).
Infine «frivolo, profondo, scanzonato, abbagliante, quotidiano e scherzoso» è l’intreccio amoroso che l’autrice Stefania Bertola narra nel romanticissimo romanzo Divino amore (Einaudi). Chi vincerà? Il cuore, comunque. www.premioscrivereperamore.it ■
I tre libri finalisti
QUEST ’ANNO SCRIVERE PER AMORE HA ALLARGATO GLI ORIZZONTI CON INCURSIONI NELLE VARIE ARTI E SCIENZE DIVENTANDO UN FESTIVAL DI QUATTRO GIORNI CON DIVERSI APPUNTAMENTI IN VARIE SEDI CITTADINE, DAL 16 AL 19 OTTOBRE
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AMATA SCRITTURA DIALOGHI BREVI CON AUTORI
IN UNA FRITTELLA C’È TUTTA LA NOSTRA NOSTALGIA Ci può essere molto di noi, di chi eravamo in un impasto di farina e olio. Perché la cucina è architettura di ricordi. Ricette Migranti (in uscita il 10 ottobre per Cierre Edizioni), con la scusa di annotare piatti «del cuore», racconta le geografie precise di donne e uomini che hanno vissuto la migrazione e che ora abitano in Italia.
La copertina del libro
C
DI MIRYAM SCANDOLA
’è Besmir che prepara le petulla, le frittelle di quella madre lasciata un giorno di troppi anni fa, di corsa. Non era nemmeno riuscito a salutarla. Sporcarsi di farina per imbastire una colazione lontana gli permette di argomentare la sua nostalgia che tiene dentro tante cose. Come il ricordo di un viaggio sofferto dall’Albania verso il sogno dell’Italia, i suoi quattordici anni sulla barca per scappare il comunismo. «Ci sono tante storie di speranze realizzate» ci confida la giornalista Elena Guerra che, insieme ad Alice Silvestri e Erica Tessaro (insegnanti con all’attivo diversi progetti interculturali), ha redatto questa piccola enciclopedia di incontri, «metà ricettario e metà indagine giornalistica». 20 ricette, 20 biografie («anzi 21, l’ultima è Chiara, ragazza veronese che vive all’estero da molti anni, il suo piatto più amato è ruandese»). Tante madri single, una coppia omosessuale, qualche marito. Dalla Turchia al Paraguay, dall’Angola agli Stati Uniti, dal Togo al Giappone: ci sono tutti i continenti. «Il piatto è un pretesto, è un modo per stare sull’uscio», mezz’ora in cucina, a spadellare tentativi, e poi le porte si socchiudono, si riesce a dire quanto è stata dura arrivare dalla Romania e alzarsi ogni mattina con il terrore di dover svolgere un lavoro che non si sopporta. Per Anica è stato tremendo fare la badante, ma non ha avuto molta scelta. Ora si è emancipata, ha una piccola agenzia sua, si occupa di facilitare il disbrigo della burocrazia in Italia per le persone che vengono dall’Europa dell’Est, lo racconta mentre mescola il suo Tocăniță de pui cu mămăligă, una sorta di spezzatino di pollo. Ma che sia Anica, Besmir, Sebastian, Ibrahim o Fatiha la domanda rimane per tutti decisiva: cosa si porta con sé quando si lascia il proprio Paese? A 48
volte anche solo «una ricetta del cuore che, grazie al suo sapore, fa sentire a casa ogni volta». Il libro, frutto del lavoro delle tre donne, anime tra l’altro dell’associazione culturale veronetta 129, con il sostegno della piattaforma Cookpad, è accompagnato da un auspicio grande. «Sovvertire i pregiudizi» e farlo prima di tutto stravolgendo lessico e punti di vista «non siamo noi italiani ad “accogliere”, ma loro ad aprirci le porte di casa e a darci un posto a tavola». All’origine del progetto editoriale c’è, infatti, un vastissimo patrimonio gastronomico e biografico, raccolto in cinque anni di Indovina chi viene a cena?. Sono state 31 le famiglie straniere residenti a Verona che per una sera hanno invitato al loro tavolo sconosciuti desiderosi di conoscerle. L’iniziativa, nata a Torino ma portata avanti con coraggio sul suolo scaligero, ha trovato provvisoria sintesi nel volume che è «una testimonianza di come i sapori siano stati tramandati e abbiano viaggiato attraversando il tempo e lo spazio. Proprio come le persone». 168 pagine di ingredienti («con una particolare attenzione alle varianti vegetariane, vegane e all’aspetto biologico») alternati da pillole di storia sui Paesi per fornire un contesto anche politico alle geografie personali dei protagonisti. Tutto è pervaso da quella «cucina bastarda, meticcia» che descrive Donpasta, il noto food performer, firmando la prefazione. Insomma, una gastronomia memorabile che non può essere recintata in qualche definizione, né sperperata in altrettanti luoghi comuni. Si crea sui pianerottoli del mondo, scambiandosi consigli ora attorno alla curcuma ora sul dosaggio del riso. Chiacchierando si costruisce una comunità, scoprendo che ogni piatto è unico, che «ogni persona è un universo». ■
DUE LIBRI & QUALCHE VERSO
PAGINE PER I GRANDI
A CURA DI
MIRYAM SCANDOLA
IL LIBRO. Si può leggerlo in un pomeriggio, che si provenga o meno dalle pagine de L’amica geniale e da quel rione strozzante che ne costituisce la geografia. Ci sono orizzonti stretti, che producono follie, anche in questo romanzo poco celebrato della Ferrante. C’è Leda che, come ogni madre, è mitologica agli occhi delle sue figlie soprattutto per gesti quotidiani. Sbuccia l’arancia come fosse un capolavoro. «Fai il serpente» le dicono le bambine porgendole un coltellino da frutta, un’ora prima che lei le abbandoni. Toglie la buccia per l’ultima volta con una meccanica senza dolcezze e poi esce dalla loro vita «perché ero troppo piena di me per essere madre». Se ne va perché vuole essere una persona, non una funzione. E definire il tutto come l’apoteosi di un egoismo è una lettura troppo facile, troppo perentoria per questo romanzo dove la maternità è guardata in ogni sua sfumatura. Non si tacciono le rinunce e nemmeno il peso di non accordarsele. Come per Leda che si trova anni dopo a fare cose impensabili e così tristi, come rubare il bambolotto di una bambina conosciuta in spiaggia per avere qualcuno o qualcosa da accudire e soprattutto per silenziare una «mancanza inconfessata». Quella di aver amato male.
Titolo: La figlia oscura Autrice: Elena Ferrante Casa Editrice: Edizioni E/O Pagine: 139
L'AUTRICE. Ammirata quasi con ossessione in America, dopo la serie di quattro libri L’amica geniale, questa autrice di cui non è nota la vera identità (anche se pettegolezzi e più o meno sensate indagini di tanto in tanto partoriscono un possibile nome) è un successo planetario costante: nel 2016 il Time l’ha inserita nella lista delle 100 persone più influenti del mondo. La storia di Lenù e Lila è diventata anche una serie tv diretta da Saverio Costanzo. La casa editrice che pubblica l’autrice da anni (l’unica custode del segreto circa l’identità che si cela sotto lo pseudonimo) ha annunciato che il prossimo 7 novembre uscirà un nuovo libro. Non si sa altro, solo che si snoderà attorno «ad un dolore arruffato» NOTE A MARGINE. La maternità è un camposanto di giudizi, di “fai così”, di conquiste e di rinunce. La Ferrante, invece, ha l’abilità di non depositare neppure uno sguardo accigliato su questa Leda che cerca di godere «dell’autonomia delle mie qualità», di essere un «anche» e non un «solo». In questa gestione malconcia delle possibilità, La figlia oscura è letteratura altissima, perché qui la scrittrice rende conto dello sconcerto che è la vita, mai o solo bianca o solo nera. Sempre un terreno di chiaroscuri, di scandalose sfumature.
PAGINE PER I PIÙ PICCOLI
A CURA DI
ALESSANDRA SCOLARI
IL LIBRO. Racconta la storia di un faro, oggi utilizzato per vacanze. Qui 14 ragazzi, tra i dodici e i diciassette anni, trascorrono tre settimane. Ognuno di loro ha un segreto, una ferita o una storia da nascondere e si sentono soli ed incompresi. C’è Samuele, attacca brighe, Fran (timidissima), Ahmed scappato dalla guerra; Walter (amante delle stelle), Natasha, Malika, Sergio, Chicca e altri. Lin, tredici anni, cacciata da scuola per assenze ingiustificate che ha imparato a non fidarsi degli altri: osserva molto e con Tudor (il più grande) compone il circolo dei “letterati”. Nella cava vicina al Faro il gruppo scopre un graffito che, complice il “non” racconto di Lucio, il vecchio guardiano del faro, desta interesse. Lin ci torna e intravede un indizio: le iniziali V.M. Vuole la verità e coinvolge Tudor e altri suoi amici.
Titolo:
L’ultimo faro
Autrice:
Paola Zannoner
Casa Editrice:
DeA Planeta Libri Pagine: 363 Età: dai 12 anni
L'AUTRICE. Paola Zannoner, nata a Grosseto nel 1958, vive a Firenze ed è una scrittrice specializzata in letteratura per ragazzi. I suoi libri, tradotti in diversi Paesi, hanno ricevuto numerosi premi. Con L’ultimo faro, nel 2018, ha vinto il premio Strega Ragazzi e Ragazze, categoria +11 anni. Laurea in Lettere, ha lavorato nella Biblioteca di Documentazione Pedagogica di Firenze, nella sezione Letteratura Giovanile, scrivendo recensioni e collaborando alle riviste pubblicate dalla Biblioteca. Va spesso a lavorare in biblioteca, per sentirsi «circondata da tante persone che studiano e scrivono sui portatili e far parte di una comunità viva e duratura», ha detto in un’intervista. CURIOSITÀ. In questo romanzo corale, l’autrice incastra perfettamente le voci di questi giovani, alternate né forzate, mai fuori luogo, costruendo via, via i valori della convivenza, del gioco di squadra e dell’amicizia. I coach hanno il loro bel daffare: inventare giochi e attività comuni, per tenere attivi i ragazzi. A volte vengono dribblati. Specie se l’obiettivo è forte: ricostruire il mistero vissuto da qualcuno nella cava di marmo. Nell’ultimo giorno i quattordici partecipanti alla vacanza “di recupero” racconteranno un pezzetto della loro storia. Ne esce questo romanzo per adolescenti, che, affrontando con delicatezza i contenuti, punta sul potere della parola e dell’espressione verbale.
SE VI SERVE UN PO’ DI POESIA Colei che non mi vuol più bene è morta. È venuta anche lei a macchiarmi di pause dentro. Chi non mi vuol più bene è morta. Mamma, tu sola sei vera. E non muori perché sei sicura.
(Tu sola sei vera, Rocco Scotellaro) 49
IL FIORE DELL’ARTE OGNI MESE UN PETALO E UNO SCORCIO
ARTVERONA E TUTTO QUELLO CHE STA DIETRO ALLE FIERE D’ARTE
Foto di Ennevi
Dall’11 al 13 ottobre prende il via la 15esima edizione di ArtVerona, la fiera di arte moderna e contemporanea della città scaligera. Un appuntamento che si rinnova per la terza volta sotto la direzione di Adriana Polveroni, ex direttrice della rivista Exibart. Cerchiamo di capirne di più.
L
e principali fiere d’arte in Italia si contano sulle dita di una mano: per chi è addetto al mestiere sa che non può esimersi dall’appuntamento annuale con Arte Fiera di Bologna, Miart di Milano, Artissima di Torino e, appunto, ArtVerona. Dalla più storica alla più recente, ogni fiera d’arte cerca di rinnovarsi continuamente cambiando tema, ospiti, attività, cercando di seguire il trend delle gallerie del momento. Non è tan-
to il collezionismo, ma il mondo delle gallerie che stabilisce regole e criteri ben precisi. Addirittura, come nel caso di Miart, alcune di esse sono presenti nel comitato di selezione delle gallerie stesse. Ma cosa espongono? Nel caso di ArtVerona si parla di «panorama del mercato dell’arte italiano, dal settore moderno più consolidato fino alle novità emergenti e da scoprire». Con quest’ultima definizione si intende l’arte contemporanea, ma 50
DI ERIKA PRANDI
non secondo la definizione da manuale di storici dell’arte. Il mondo delle fiere, infatti, va da sé. Tradizionalmente per arte moderna si intendono quelle opere realizzate dal XV secolo con l’avvento della prospettiva, mentre per arte contemporanea quelle prodotte indicativamente intorno al 1860 con i primi quadri impressionisti. Nel mercato dell’arte, invece, si considera la datazione in modo diverso. L’arte contemporanea è tutto ciò che viene realizzato da artisti viventi a noi contemporanei (su per giù dagli anni Cinquanta), mentre l’arte moderna è ciò che viene prima. Così, ad esempio, un Giorgio De Chirico, considerato l’esponente della corrente artistica metafisica, morto nel 1978, è annoverato tra i moderni. E le gallerie che vendono solo opere moderne si dice che lavorano in un mercato secondario. Di solito sono depositarie dell’archivio di un artista. Di conseguenza, le gallerie che lavorano nel mercato primario hanno rapporti con artisti viventi e il loro compito principale è di cercarne di nuovi. Si capisce, ovviamente, che nel mercato dell’arte le definizioni di cosa è moderno e cosa è contemporaneo è molto
labile, poiché influenzate dal tempo che passa. Le fiere, dunque, sono molto importanti sia per le gallerie che per i collezionisti in quanto possono intrecciare una moltitudine di relazioni fino ad arrivare all’acquisto vero e proprio. Non a caso, il 45 per cento delle transazioni economiche avviene proprio in queste sedi. Di solito il collezionista sa già cosa aspettarsi dalle gallerie di fiducia e va a colpo sicuro. Le gallerie, da parte loro, tendono a mostrare i loro pezzi forti. È tendenza curare il proprio stand come fosse una mostra (di un solo artista) anche se può risultare anti commerciale per ovvie ragioni. In realtà è una scelta dettata dalla finalità di rendere l’oggetto prezioso. Quindi, è necessario proteggerlo e isolarlo per accrescere la percezione del suo valore. Più si crea un senso di elevatezza e più diventa importante. A livello commerciale è lo stesso meccanismo adottato dalle aziende dell’alta moda: isolare un capo o un accessorio in vetrina significa conferirgli preziosità e valore. Naturalmente, per le gallerie partecipare alle fiere è un biglietto da visita. C’è chi lo preferisce all’acquisto di una pagina di una rivista se la volontà è quella di presentare un artista esclusivo. In ogni caso è sempre un investimento. ■
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A TU PER TU CON MARGHERITA VICARIO
Foto di Ivan Cazzola 52
DAL SET DI WOODY ALLEN A MANDELA C’era anche lei nel fim To Rome with Love, perché Margherita Vicario è una donna capace di mescolare i suoi talenti con assoluta semplicità. Dal teatro alla musica passando per la televisione e la radio. Artista dalle mille sfaccettature, la Vicario è abile a dare un tocco personale e ben visibile ad ogni suo lavoro.
L
’abbiamo intervistata il giorno dopo la sua esibizione ad AERO WEEK FEST a Boscomantico. Un concerto intimo, accompagnata da Alessandro Pollio al piano. Formazione in duo che più di una volta durante questo suo tour estivo le ha permesso di creare un rapporto molto forte con i suoi fan. Abbiamo avuto modo di ascoltarti durante il tuo live a Verona. C'è molta teatralità nel modo di interpretare le tue canzoni, capace di creare un legame con chi ti ascolta. Sul set o in televisione c'è invece altrettanta musica ad accompagnarti quando ti prepari per girare? Sì, sul set di base si arriva tra le 6 e 30 e le 7 di mattina e al camper del trucco già si viene investiti di musica e magari fuori non è neanche l’alba. Solitamente la “selecta” spetta al caporeparto trucco o capelli...Per quanto riguarda la recitazione invece nelle scene più difficili ho sempre usato la musica come apripista. Per disperarsi a comando, commuoversi, ripetere 25 volte la scena e rievocare uno specifico sentimento la musica è una mano santa. Basta scegliere la canzone giusta per prendere la rincorsa emotiva e poi crollare! Però ecco, è faticoso, difficile e richiede una grande concentrazione. Per me senza musica sarebbe impossibile. Sei impegnata su molti fronti. Tv, cinema, radio, musica. Tutto questo trovi che per certi aspetti possa essere un tuo limite o al contrario una contaminazione di così tanti canali comunicativi è il mezzo del tuo successo? Non lo vedo come un pregio o un difetto è semplicemente la mia natura, ho una formazione teatrale, un B.A. in Performing Arts: per me un concerto è teatro. Nelle tragedie e nelle commedie della Grecia antica c’era tutto: musica, danza e parola. Poi si pensa generalmente a Eschilo e Aristofane come drammaturghi e teatranti. Ma all’origine il teatro era pieno di musica e anche di coreografie. La comunicazione dei canali comunicativi è all’origine di qualsiasi rappresentazione. E poi per me è anche un modo di nascondermi, mettermi una maschera e recitare, trasformarmi e divertirmi. Tanti festival, tante rassegne e poche donne presenti su questi palchi. Non ti chiedo dove sia il
«PER DISPERARSI A COMANDO, COMMUOVERSI, RIPETERE 25 VOLTE LA SCENA E RIEVOCARE UNO SPECIFICO SENTIMENTO LA MUSICA È UNA MANO SANTA» problema ma quale sia la soluzione secondo te? Non saprei. È una questione culturale. La soluzione è aiutare le donne ad alleggerire il ruolo di moglie e madre che la società da secoli mette loro sul groppone. Nonostante immagino sia un privilegio e un’emozione, fare figli non può essere un ostacolo. La soluzione sta nelle politiche sociali. Non lo so, è difficile mettere nero su bianco, proposte e risposte perché questa delle donne è la Questione. Non solo nella musica, ma in molti altri contesti lavorativi. In quelli artistici ma anche in quelli privati, familiari. Non so la soluzione quale possa essere ma è tutto collegato: la cultura è solo uno specchio della società. La Margherita del futuro continuerà a percorrere più strade o, alla fine, una prevarrà sulle altre? Non so. Per me le strade si intrecceranno sempre. Sono lavori molto diversi. Stiamo a vedere. Io un’idea ce l’ho… ■
DI TOMMASO STANIZZI
Margherita Vicario, in breve Nasce a Roma nel 1988. Si laurea nel 2009 all’ Accademia Europea d’Arte Drammatica e inizia a lavorare come attrice soprattutto per fiction e film per il cinema e la televisione. Al cinema con Fausto Brizzi, “Zoro” Diego Bianchi, Antonio Manzini, Woody Allen; in televisione (I Cesaroni, Benvenuti a Tavola, I Borgia, Il Candidato). La passione parallela per la musica la porta a fare parte per tre anni del gruppo ‘Marcello e il Mio Amico Tommaso’ come corista e percussionista. Nel gennaio 2018 viene scelta da Massimo Gramellini, accanto ad Ambra Angiolini, per far parte del cast fisso, con la sua band, della trasmissione in onda in prima serata su RaiTre Cyrano. L’Amore fa miracoli. È del 2018 l’ingresso nella scuderia INRI con cui pubblica i primi due singoli che anticipano il secondo album: ABAUÉ – Morte di un Trap Boy e Mandela, entrambi prodotti da Davide DADE Pavanello.
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ISPIRAZIONI MUSICALI COSA (E CHI) ASCOLTARE
CONCERTI MOLTO DA VICINO Abbiamo voluto fare un piccolo focus della scena live veronese. Stefano Lanza di Da Vicino Concerti ci ha raccontato i progetti della sua associazione e ci ha fornito qualche spunto per capire come sta Verona oggi, musicalmente parlando. DI TOMMASO STANIZZI Foto di Alex Bonizzato
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n questi ultimi anni abbiamo notato che la nostra città manca quasi sempre dai tour indipendenti. Troppe problematiche dal punto di vista economico ed organizzativo? Parlando di tour invernali ci possono essere molti fattori che influiscono su questa mancanza di artisti "indipendenti" che fanno tappa a Verona e provincia. Sicuramente l’assenza di un locale o di una location di riferimento con una lunga storia di organizzazione di concerti è un fattore molto influente. Serve lo spazio fisico per il pubblico e per le band, la capacità di gestione di tutti gli aspetti legati a un concerto che richiami dalle 200 alle 3/400 persone con un biglietto da pagare, lo storico di concerti perché una band di "medie" dimensioni si "fidi" a suonare in un determinato locale, la capacità di rientrare nei costi. Sono necessarie molte abilità che si acquisiscono e sviluppano negli anni. Qualche esempio virtuoso? L'associazione Interzona quando aveva sede negli ex Magazzini Generali era riuscita, negli anni, a raccogliere e sviluppare queste capacità, insieme a tutta una serie di fattori che permettevano di ospitare tour indipendenti costantemente. Al momento c'è il Colorificio Kroen che sta lavorando per proporre una programmazione di musica indipendente in maniera costante. In ogni caso è un lavoro che funziona sul lungo periodo. Insieme ad Edoardo Micheloni e Pietro Pizzoli in questo 2019 hai dato via all'associazione culturale Da Vicino Concerti. Il vostro intento è quello di realizzare degli appuntamenti live dove artista e pubblico riescono a stringere un legame più intimo rispetto al solito concerto. Abbiamo già visto in Italia il sorgere di progetti simili come ad esempio Sofar Sounds. Pensi sia questa la chiave di volta per riprendersi il pubblico live? Premetto che queste modalità di concerti sono ideali per la musica suonata in maniera «il più acustica possibile» e avvicinano l'artista al pubblico e viceversa riportando i concerti in un ambiente intimo e accogliente, quasi come nei salotti europei del 1700. Per chi realmente ama ascoltare la musica e viverla pienamente questi “house-concert” sono la modalità ideale di ascol54
to. Penso che questi concerti più che riprendersi un pubblico lo selezionino e lo educhino all'ascolto senza distrazioni (cosa ormai rarissima ai concerti) e permettano anche a chi non è abituato ad andare frequentemente ai live di vivere una situazione più simile al teatro che al club. Come sta Verona secondo te dal punto di vista musicale? Ci sono realtà che ti hanno ispirato o alle quale ti ispiri per i tuoi progetti? Verona e provincia ha aspetti positivi e negativi come molte altre città italiane. Gli aspetti positivi sono che ci sono tre importanti location che permettono di avere "in casa" grandi artisti, nonostante Verona non sia una metropoli come Milano o Roma. L'Arena, il Teatro Romano e il Castello di Villafranca fortunatamente ospitano dei nomi di qualità. Forse il grande problema è che manca totalmente la fascia media cioè i concerti da 300/500 persone soprattutto per la stagione invernale. Personalmente Sofar Verona, nel quale per un periodo ho fatto parte, è stato un bel riferimento in fatto di qualità Progetti per il futuro con la vostra associazione? Con settembre abbiamo concluso la nostra prima rassegna estiva al Giardino Magenta a Villafranca e il prossimo passo è spostare con l'autunno i concerti a Verona. Il 30 ottobre saremo ospitati dal 311 Verona, in Lungadige Galtarossa, e suonerà Follow the River, un cantautore genovese ma con influenze di artisti internazionali come Bon Iver, James Blake e Nick Murphy. Per ora già il trasloco di location è un bel salto, in futuro ci piacerebbe comunque collaborare con altre associazioni e realtà del veronese. La nostra provincia ha appena assistito ad una delle estati più rigogliose degli ultimi anni. Tra Rookaforte Festival, Sound Vito, Mag Festival, Vulcano Festival solo per citarne alcuni sono passati davvero numerosi artisti. Dai Subsonica a Giorgio Poi, passando per Venerus, Auroro Borealo e moltissimi altri nomi. Come Stefano e la sua associazione ci sono ancora tante realtà che seguono il suo ideale, quello del sacrificio e della costanza. A noi che amiamo la musica però non bastano mai! ■
LA BELLA VERONA LUOGHI CHE ANDAVANO RACCONTATI
VI SONO PIÙ COSE A VERONA SUD DI QUANTE NE POSSA SOGNARE LA TUA FILOSOFIA È arduo cominciare l’autunno con l’onere di smentire il grande William (Shakespeare, per chiarezza, non Windsor) che con il suo «non c’è mondo fuori dalle mura di Verona» prese, a nostro avviso, un bel granchio. Da bravi Salmoni abbiamo ripreso il nostro cammino, partendo da Verona Sud e abbiamo trovato degli eroi.
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DI SALMON DE BEAUVOIR
d è così che, scivolando per Basso Acquar e costeggiando Viale Piave, ci siamo addentrati a Verona Sud. Sì, perché fin dall’inizio abbiamo capito che trovare un solo nome per questo esteso arcipelago (Borgo Roma, Golosine, Santa Lucia, ZAI…) era davvero troppo riduttivo e così abbiamo fatto appello alla forza dei punti cardinali. È noto che questa zona negli ultimi anni è stata sotto la lente d’ingrandimento nei maggiori piani urbanistici, scossi soprattutto da (potenziali) investimenti esterni ed interni, volti alla ristrutturazione o alla creazione di più o meno utili nuovi servizi. Ma questo carattere Verona Sud se lo porta dietro da anni. Da quando qui si disputavano le sfide nel velodromo e si è scesi da cavallo per cavalcare il miracolo industriale, da quando si è saliti sul treno della rivoluzione dei trasporti con il polo ferroviario si è arrivati ai Magazzini Generali e al boom fieristico. Ah se i muri (o le mura, in questo caso) potessero parlare! Ma a noi piccoli Salmoni, totalmente rapiti dall’affascinante storia del quartiere, l’anima eroica delle realtà associative ci ha fatto battere le pinne a ritmo sincronico. Come gli Gnomi Verdi, adepti della manutenzione del verde, che sbrigano tutte quelle faccende che gli altri non vogliono o non possono fare. Loro escono silenziosamente da La Genovesa, storica eccellenza nazionale di “rigenerazione umana”, come qui si potrebbe chiamare l’uscita dall’alcol e dalla tossicodipendenza. Mentre si insegnano ai bambini le meraviglie degli animali nella Fattoria Didattica (segnatevi la festa d’autunno del 13 ottobre), si inspira ed espira aria buona (ma non buonissima), rimessa in circolo con nuova potente vitalità. E se di profondità si ha bisogno, spostandosi un poco, si può meditare ancora più a fondo, frequentando Nuova Acropoli, ricetta fusion di filosofia e volontariato che per capirla è necessario provarla (da tenere sott’occhio il calendario di iniziative autunnali e invernali). Da queste parti abbiamo percepito una capacità innata di generare e rigenerare, di guardare le cose – e le persone – non per quello che sembrano, ma per quello che sono o potrebbero diventare. Come nel caso di Avanguardia, impresa sociale del design che riporta in vita oggetti e materiali 55
con ingegno, passione e chiacchiere di piacere. O il semplice piacere di condividere il fare e il saper fare, come negli spazi di GeneraLab, dove altre magie sono compiute da Le Fate Onlus e D-HUB che mescolano vita e lavoro di donne che vogliono reinventarsi e sviluppare i loro progetti creativi, insieme. Miscugli così potenti che correrebbero il rischio di una caccia alle streghe se fossimo a Salem. Da Salmoni non potevamo non farci colpire dalle reti (quelle buone!), dei tanti pesci del Mare del Sud. Come quel gruppo di avventurieri di WelfCare – un progetto sparpagliato sull’intero territorio veronese che si è messo in testa di far risolvere i problemi nelle comunità direttamente dalla comunità. Sono testardi e non molleranno facilmente. E questo ci è piaciuto. Loro sono parte di quelli che a Sud hanno deciso di venirci, apposta. Come il cocktail esplosivo di Energie Sociali, una grande famiglia di esploratori dell’umano, una cooperativa che ha messo i ragazzi – quelli che di buche ne hanno saltate parecchie e qualche ramo l’anno preso dritto, dritto in faccia – al centro del loro mondo. Questa cooperativa si è trasferita da Veronetta a Verona Sud; ha scelto un condominio proprio dietro i grossi supermercati, lo ha rigenerato chiamandolo “Il Borgo”, ci ha impiantato una biblioteca di quartiere, dei negozi, tante famiglie e ha suonato tutti i campanelli per presentarsi. E vi aspettano a pranzo se volete conoscerli. L’elenco è lungo: il MusaLab – dedicato agli angeli custodi del teatro Dario Fo e Franca Rame (sì a Verona, non a Milano, non a Roma, proprio a Verona!) – e il Children's Museum, primo museo interattivo dedicato al bambino e poi ancora Interzona e la sua caparbia. C’è un vento strano in Basso Acquar finché torniamo indietro dalla nostra esplorazione. Troveremo ancora i vecchi amici e gli stessi miscredenti, ad aspettarci. Dormiamo, sogniamo un dialogo con il buon vecchio William, glielo diciamo che si è sbagliato, che fuori dalle mura di Verona c’è davvero tanto e tanto da conoscere ancora. A suon di aforismi, lui ci guarda fisso negli occhi e ci riporta la sua verità: «Vi sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante se ne sognano nella vostra filosofia». E questa volta, siamo d’accordo. ■
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Il Muro di Giulietta Ormai i tuoi modi di dire mi sono entrati nella sintassi. Mi hai invaso il lessico, non riesco più a dire un “tipo, sai” senza che il pensiero vada a te, mia piccola immensa scintilla di bene.
Un amore che guarda negli occhi è un amore che sente il battito del cuore prima che la voce. Avvicina il tuo cuore al mio e il solo suono che si udirà saremo io e te.
(Giovanni)
(Eleonora)
Sei un puro in un mondo che cancella l’innocenza. Mi sembra un miracolo che tu abbia scelto me per condividere questa ribellione speciale, laica e sacra insieme.
Per Cama: la tua nonchalance nel portare i cappelli ti renderà una giornalista migliore. Tvb
(M.)
(Michela)
Ti ho cercato negli sguardi degli altri, nei loro complimenti e nelle loro mancanze. Il risultato è sempre lo stesso: rimani l’unico per me.
Ci vediamo in Sottoriva, sabato 19 ottobre, alle 21, sarò quello con in mano una margherita.
(Federica)
(A Chiara P.)
Niente, ti pensavo. (Gianfranco)
Cerca di fare la vita che hai sempre sognato. È stato bello accompagnarti per un pezzo.
Angelo mio, mi manchi anche dopo 20 anni.
(Il tuo papà)
(Anna)
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FORZA BELLEZZA ASSAGGI DI SPERANZA PRATICA
LETTERA A GIULIETTA Una missiva immaginaria quanto accorata all’eroina shakespeariana, icona di una città che, forse, non sa più accoglierla. DI DANIELA CAVALLO
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ara Giulietta. Come se scrivessi cara Verona. Una lettera nella quale le parole restino scritte con una logica, un senso e non siano sfregi su un muro. Sì, perché se dovessi scriverti, racconterei di come non siamo capaci di difenderti, di proteggerti, di avere cura di te, in un tempo dove potresti accogliere quell’idea necessaria di protezione da ogni violenza, come vero amore, basterebbe che indossassi delle scarpette rosse per essere non solo mito, ma simbolo. Che uno ci creda o no. Invece, non siamo capaci di vedere, il nostro male è l’indifferenza, una forma di superficialità che aumenta la mancanza di rispetto collettivo e la rabbia di ognuno. Così la tua casa, presunta tale, al di là dell’invenzione, dell’essere stata una taverna, poi case popolari senza balconi, non è più un “falso”, perché in questo si intende qualcosa spacciato di nascosto per vero (l’inganno è stato svelato da tempo senza che il desiderio di “credere” cedesse) ma un immondo monumento all’indifferenza. Vera indifferenza. Tu non ci sei mai stata lì, tutti sappiamo che non vi è certezza, nemmeno del fatto che tu sia esistita (non sei la prima alla quale diamo cieca fiducia), la certezza sta invece nelle migliaia di persone che a te scrivono i loro sogni
attraverso lettere che ti spediscono, ma anche in quelle parole ovunque sui muri del cortile e del portone, e nelle gomme da masticare attaccate sul portale d’ingresso, sfregi e sputi evidenti alla storia, qualsiasi storia, quella di questa città. Che tu lì abbia incontrato quella notte Romeo (se così si chiamava) e ti sia affacciata al balcone (posticcio) non è la “questio", in una politica della distrazione che ci porta ormai da troppo tempo a distoglierci dai problemi reali per accanirci sull’inutile e il banale. Ma la questione è l’assenza di rispetto per quel luogo, per la sua storia, quella di un edificio nel cuore della città antica che porta i segni di un Medioevo dove la pietra è eleganza e decoro, un edificio per questo identitario della città, che racconta altre storie di uomini e donne, racconta di Verona e dei suoi abitanti. Basterebbe poco. Un vigile, un guardiano, delle telecamere, una figura, delle azioni, che dimostrino la nostra capacità di avere cura del territorio. Magari si mettesse in atto davvero una forma di marketing (multe, tante multe) che dimostri la nostra intelligenza, la nostra capacità di dare valore, nei confronti non solo di Giulietta, ma della città tutta. In fair Verona. Saluti. ■ 57
PAESAGGI DI IERI E DI OGGI PICCOLE POESIE SUL QUOTIDIANO
LO DICE ANCHE PROUST: NON TOGLIETECI LE NESPOLE Se è vero che basta un assaggio a risvegliare un ricordo sopito, allora cresce ancora di più la responsabilità di non disperdere gusti, sapori e dolcezze di ieri. Tutelare la biodiversità vuol dire anche farsi garanti dei ricordi. Perché se le nespole non maturano più, diventiamo più poveri tutti.
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o scrittore francese Marcel Proust nel suo capolavoro letterario Alla ricerca del tempo perduto, fece una scoperta che nel 1911, anno in cui scriveva, fu sicuramente rivoluzionaria. In una sera d'inverno sua madre gli offre del tè con delle madeleines, dei dolcetti a forma di conchiglia. Marcel ne intinge uno nella bevanda calda e lo assapora. In quel momento inizia per lui un'esperienza sensoriale straordinaria ma molto complessa, tanto che gli ci vorranno più di quaranta pagine per definirla. Quel tripudio di emozioni lo riportano alle vacanze della sua infanzia nel villaggio di Combray e assumono infine le fattezze della zia Léonie che era solita offrirgli una madeleine infusa nel tè ogni volta che andava a salutarla in camera sua. In poche parole Proust aveva capito un concetto che le neuroscienze avrebbero spiegato ben più tardi e cioè che l'olfatto e il gusto hanno un ruolo fondamentale per il recupero dei ricordi. Cosa che non succede con gli altri sensi, che non sono direttamente collegati con l'ippocampo che, guarda caso, è il centro della memoria a lungo termine. Molti di noi potrebbero raccontare esperienze simili a quella del grande scrittore francese, narrare uno di quei momenti, più o meno piacevoli, in cui il passato si è catapultato senza preavviso nel nostro presente. C'è sapore di quell'ultimo caffè, bevuto in piedi alla stazione, vicino ad un amore perduto, sapore che si affaccia in tutti i caffè di tutte le stazioni del mondo e c'è l'odore dell'incenso che annebbia una giornata già senza colori. Menta e nicotina: et voilà che ci sobbalza il cuore in petto ricordando il primo bacio; la zia Maria aleggia in ogni tripudio di zucchero e mele mentre quando l'aria è impregnata di un misto di urina e naftalina sotterriamo immediatamente il ricordo della prof di matematica. E poi c'è la nonna, la sentiamo nel profumo di latte, o di buccia d'arancia lasciata abbrustolire sulla stufa, nel coniglio intriso di polenta e poceto, o nell'odore di frittelle che trasudava dai suoi seni a Carnevale. L'aspetto a volte preoccupante è che senza determinati stimoli olfattivi o gustativi non è possibile il recupero di alcuni ricordi, che rimarrebbero in fondo al pozzo della nostra memoria a raccontarsi della loro inutilità. Se elenchiamo mentalmente i gusti e gli odori di vent'anni fa, ad esempio, non sono poi molti gli elementi di continuità.
E VOI? QUAL È LA VOSTRA MADELEINE, QUEL GUSTO E QUEL PROFUMO CHE VI METTONO IN CONTATTO CON UN MOMENTO O UNA PERSONA INDIMENTICABILI? SCRIVETELO A COMMUNITY@ VERONANETWORK.IT. E CONDIVIDETE CON NOI QUESTI ATTIMI DI MAGIA Pensiamo ad esempio a quanti tipi di frutta sono scomparsi e che erano elementi di quotidianità per i quarantenni di oggi. Ad esempio: c'è tutto un mondo proustiano dentro ad una nespola matura, al suo gusto di marmellata di mele diventata un po' acidula, e ai suoi noccioli che si facevano girare in bocca fino a ripulirli ben bene per poi fare a gara a chi li sputava più lontano. A tutti i bambini veniva insegnato il primo proverbio relativo alla nespola: «Vao su par on vajeto/ cato on veceto /ghe tiro la barba / ghe ciucio el culeto”, e si prendevano in giro i giovanotti un po' scapestrati con il detto “tempo e paja se maura anca le nespole». Il timore è che con il tempo, le esigenze del mercato non solo non proteggano il concetto di biodiversità, ma annullino i nostri ricordi, tutti, anche quelli che non vorremmo avere, perché anch'essi sono nostri e solo nostri, della nostra unica, bellissima, sbilenca, tragica, strana vita. Per favore non toglieteci le nespole. Non toglieteci i ricordi. ■ 58
DI MICHELA CANTERI
Energia agricola a km 0 ForGreen e Coldiretti Veneto hanno creato la prima comunitĂ agroenergetica 100% rinnovabile e a chilometro zero: insieme coltiviamo la cura per la Terra e condividiamo una filiera di energia sostenibile. Dalla produzione consapevole al consumo responsabile.
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BELLEZZA AL NATURALE SÌ, QUESTA RUBRICA NON CONTIENE PARABENI
LA MASCHERA ANTI-MACCHIE MIELE E ZENZERO In autunno capita di vedere la pelle più spenta del solito, specie se un’estate trascorsa sotto il sole ha lasciato dietro di sé qualche macchia. In questa stagione il derma richiede delle piccole attenzioni in più: è il momento dell’anno ideale per prenotare una pulizia del viso, ma anche per dedicarsi alla preparazione di una maschera fai da te. Per un’azione anti-batterica e schiarente non c’è niente di meglio dello zenzero, unito alle proprietà lenitive e antisettiche del miele. Lo zenzero è ottimo anche per le pelli impure, perché antinfiammatorio, e ha un effetto illuminante.
INGREDIENTI:
- Yogurt bianco - Zenzero in polvere - Miele PROCEDIMENTO: Mescolare un cucchiaino di zenzero e uno di miele a tre cucchiai di yogurt bianco. Distribuire uniformemente sul viso evitando la zona del contorno occhi e lasciare agire per circa 5 minuti, infine sciacquare abbondantemente. L’effetto sarà quello di una pelle più luminosa, con le imperfezioni attenuate. ■ 60
DI CLAUDIA BUCCOLA
PILLOLE DI MAMMA CON UN PO’ DI AMOREVOLE IRONIA
Cartoni animati e tempi d’attesa Quest’anno mia figlia, alla scuola materna, tratterà il valore dell’attesa. Pianteranno un fagiolino nel cotone e aspetteranno che cresca. Intanto impareranno a concentrarsi su altro, ricordandosi di dare un‘occhiata ogni giorno. I bimbi hanno bisogno di lentezza e dei loro tempi per fare le cose. Nonostante condivida in toto questa linea, devo essere sincera, alla mattina, quando devo scappare al lavoro, faccio fatica ad applicarla.
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pesso mi ritrovo ad incalzare le bimbe che continuano a litigare davanti all’ascensore perché ha schiacciato il pulsante l’una e non l’altra. «Muovetevi o la scuola ci chiude fuori e moriremo di freddo», questa frase, consigliatissima dai migliori pediatri, funziona quasi sempre. Recentemente, ho notato che i cartoni che guardano i nostri figli adesso non aiutano per niente in questo senso e sono molto diversi da quelli di una volta. Li trovi ad ogni ora e su più canali. Sono costituiti da episodi brevissimi, durano massimo cinque minuti ma, in quei minuti, succede tutto. Facciamo un esempio. Peppa Pig si sveglia, va a scuola, canta una canzoncina con i suoi compagni di classe Susy Pecora, Pedro Pony, Emily Elefante, suo papà la va a prendere in macchina, una grassa risata a terra e tutti felici, fine. Cosi vale anche per George, la scimmietta Macgyver che ha come papà «l’uomo dal cappello giallo» (e ho detto tutto), i PJ Mask, le simpaticissime Winx con la loro vocina stridula e, aggiungerei, ciliegina sulla torta, Masha e Orso (lui sì che ne ha di pazienza). In nessuno di questi, se osservate bene, si sviluppa un racconto vero o si percepisce il tempo che passa. In nessuno di questi, i nostri figli potranno imparare ad attendere ora per vedere che succederà poi. Non dico che debbano tirarla lunga, stile Beautiful con Ridge e Brooke che si saranno già sposati una quindicina di volte… ma almeno create una storia, qualcosa che si possa ricordare e che lanci qualche messaggio. Personalmente ricordo che noi guardavamo quasi tutti cartoni di origine giapponese: Mila e Shiro, Occhi di gatto, Kiss me Licia, Magica Emy, Sampei, Holly e Benji. Per vedere che il pallone finiva in rete ci volevano almeno sei/ sette puntate; mentre correvano verso la porta, facevano delle riflessioni introspettive al limite della paranoia. Era un po’ irreale: quando mai il Giappone è stato cam-
I CARTONI DI OGGI? SONO COSTITUITI DA EPISODI BREVISSIMI, DURANO MASSIMO CINQUE MINUTI MA , IN QUEI MINUTI, SUCCEDE TUTTO. NON SI SVILUPPA UN RACCONTO VERO E NON SI PERCEPISCE IL TEMPO CHE PASSA DI SARA AVESANI pione mondiale di calcio? Però ci insegnava ad aspettare, avrebbero fatto goal o no? Fra un mese, alle quattro del pomeriggio, dopo un saluto di Paolo Bonolis a “Bim Bum Bam”, lo avresti saputo. Una cosa è certa: i personaggi erano più sereni. Ve le ricordate Candy, Georgie, Heidi, Sandybell? Erano tutte orfane, almeno di madre (grazie). Mi trattengo dall’aprire parentesi sulla totale versione maschilista dei cartoni di quegli anni e mi soffermo invece sulla vita difficilissima delle protagoniste, densa di buchi emotivi che anni di analisi non basterebbero. Poi dicono che le mamme di oggi sono ansiose, che il loro carico mentale deriva dalle troppe paure e ci credo, dopo anni di tragedie, potevamo essere diverse? Mia mamma ogni tanto si ricorda dei fiumi di lacrime che versavo per «Milly un giorno dopo l’altro, incontriamo qualcun altro», perché tutti quelli che conosceva poi morivano. Almeno adesso la Peppa ha un papà, una mamma, un fratello e vivono perfino nella stessa casa. ■ 62
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PERCHÉ LA PET THERAPY APPLICATA ALL’ALZHEIMER È UNA BUONA IDEA Gli interventi assistiti con gli animali sono un aiuto importante per gli anziani, soprattutto per alleviare la depressione e il senso di solitudine, mali interiori che possono colpire tutti.
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l grigiore dei capelli e le rughe che si fanno sempre più profonde annunciano l'invecchiamento del corpo ma, spesso, possono rispecchiare anche lo stato d'animo, attanagliato dal dolore della perdita del proprio coniuge o dalla solitudine. Le malattie degenerative e la demenza determinando in molti casi isolamento o depressione. Gli animali da compagnia possono aiutare, trasformandosi in una medicina priva di effetti collaterali. Infatti, possedere un animale significa instaurare con esso un rapporto affettivo che responsabilizza il padrone: per prendersene cura è necessario programmare la giornata. Ci si sente utili con conseguenze immediate sul benessere psicologico mentre le passeggiate richieste dall’amico a quattro zampe aumentano il movimento fisico con benefici per l'ipertensione. Un’efficacia dimostrata L'efficacia degli interventi assistiti con gli animali per la cura della depressione è confermata dagli studi dello psicologo C. M. Brickel che, nel 1984, condusse una delle prime ricerche. Esaminò tre gruppi di pazienti tra i 45 e gli 84 anni con depressione: il primo seguì una terapia tradizionale, il secondo una terapia con l'ausilio di un cane addestrato e il terzo non partecipò a nessuna delle due. Lo psicologo vide immediatamente
gli effetti benefici sul secondo gruppo, notando un aumento delle interazioni tra i pazienti stessi e un miglioramento del grado di disturbo depressivo. I progressi interessano anche gli anziani affetti da patologie degenerative come il morbo di Alzheimer. Nelle prime lezioni di Pet Therapy con l'ausilio di cani, gatti ma anche di conigli, l'anziano instaura un rapporto semplice e affettivo con l'animale, e viene invitato ad accarezzarlo, a spazzolarlo, dargli del cibo o portarlo al guinzaglio. «Abbiamo realizzato un progetto sull'Alzheimer nel centro di Peschiera e ne faremo un altro in una casa di riposo di Roncà. L'obiettivo è distogliere l'attenzione dei pazienti dalla quotidianità del centro regalando momenti di divertimento grazie ai cani addestrati. In molti pazienti il pensiero è fisso sulla malattia e sulla morte, offrire loro uno stimolo diverso come la visita di un cagnolino, significa dare un appuntamento settimanale atteso, uno spazio dove recuperare ancora dei ricordi felici. Penso spesso a un signore, affetto da Alzheimer, che volle suonare la tromba a Muffy: non si ricordava il proprio nome ma quello della mia cagnolina sì», spiega Lorenzo Fois, istruttore cinofilo, fondatore dell'associazione “Personal Dog Trainer Italia” e di “Pet-Therapy Partner, Equipe per gli I.A.A” . ■ 64
DI INGRID SOMMACAMPAGNA
PRESENTAZIONE VIAGGI DI GRUPPO 2020
Mercoledì 13/11/2019 ore 20.00 CANTINA VALPANTENA A QUINTO DI VALPANTENA
Il 2019 è stato un anno di successi per Move Travel e i suoi viaggi di gruppo: quante meraviglie visitate e quanti viaggiatori entusiasti! Vogliamo condividere questo traguardo con un brindisi al quale siete tutti invitati! Con l’occasione verrà presentata la programmazione dei viaggi 2020. Gli esclusivi interventi di esperti del settore e del nostro team leader Dario Mosconi vi condurranno tra le destinazioni del prossimo anno: allacciate le cinture, si parte! Seguirà al termine un piccolo rinfresco. È gradita la gentile conferma della presenza.
PROFUMI E SPEZIE DA MILLE E UNA NOTTE
TURCHIA E CAPPADOCIA
TRA CAMPI COLORATI E MULINI AD ACQUA
OLANDA
MARZO 2020
MAGGIO 2020
A SPASSO NELLA CITY E TRA FORTEZZE CELTICHE
LA GRANDE MURAGLIA E LA CITTÀ PROIBITA
LONDRA E CORNOVAGLIA LUGLIO 2020
CINA CLASSICA
SETTEMBRE 2020 AL TERMINE LA PRIMA EDIZIONE DEL CONCORSO
MOVE YOUR PHOTO
Il contest dedicato a tutti gli appassionati che hanno viaggiato con Move Travel nel 2019 sta per concludersi. Affrettati a caricare le foto più emozionanti nel portale dedicato entro in 31/10/2019, ti aspettano fantastici premi! Regolamento completo su: www.movetravel.it Aut. Min. CO/1901422 del 30/04/2019.
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STORIE DI STORIA LIBERAMENTE ROMANZATE
QUANDO BUSSOLENGO ERA GUFFOLENGO La toponomastica antica riserva sempre sorprese. Un viaggio a Roma, alla Galleria delle Carte Geografiche non fa eccezione e restituisce un volto inedito della Verona del Cinquecento.
BASTA UNO SGUARDO ALLA CARTA GEOGRAFICA VERONESE PER SCOPRIRE CHE SOMMACAMPAGNA ERA SUMACAMPAGNA , MARANO ERA SOLO MARAN, ARBIZZANO SI CHIAMAVA ERBIZANO, SANT ’AMBROGIO ERA S AMBROLIO
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i possono trovare diverse motivazioni per visitare la Capitale e non necessariamente legate solo alle trasferte dell’Hellas. Una tra le tante, per esempio, potrebbe essere quella di far visita ai Musei Vaticani. Questo perché in uno dei corridoi antistanti la Cappella Sistina, si può trovare la Galleria delle Carte Geografiche. Frutto di un recente restauro, la Galleria che misura centoventi metri di lunghezza, riporta alle sue pareti quaranta tavole che rappresentano le principali regioni italiane. Tre le opere, commissionate e volute da Papa Gregorio XIII (quello del calendario oggi in uso, per intenderci) spicca quella che ritrae il Veneto e Verona, nel Cinquecento, allora contesa tra la Repubblica di Venezia e l’imperatore di Germania sceso per riconquistare i suoi territori. È il periodo
in cui a Verona muoiono tredicimila persone a causa della peste ma tre le cui vie bazzicano personaggi del calibro di Giovanni Francesco Caroto, Paolo Veronese e la bottega di Belle Arti della famiglia Brusasorzi (recente una mostra a lei dedicata al Museo di Castelvecchio) è molto attiva sul territorio. La carta geografica è qualcosa di straordinario. È un’opera del Basso Medioevo e per il tempo molto dettagliata e particolareggiata. L’aspetto più curioso ed interessante riguarda la toponomastica dei luoghi. È così che scopriamo che Bussolengo era chiamato Guffolengo, Sommacampagna invece era Sumacampagna, Marano era solo Maran, Arbizzano si chiamava Erbizano, Sant’Ambrogio era S Ambrolio. Radici e curiosità storiche a sei secoli di distanza: scusate se è poco. ■ 66
DI MARCO ZANONI
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ALLA FINE ARRIVA IL FIR È f inalmente stato attivato il Fondo Indennizzo Risparmiatori (FIR). Ci sono voluti molti mesi di attesa ma la buona notizia è che la procedura telematica è molto semplice e può essere attivata direttamente dagli interessati senza l'assistenza di un professionista.
S
e ne è parlato sin dall'ultima campagna elettorale: restituire una parte del capitale perduto ai risparmiatori incappati nei crack bancari degli ultimi anni. Il progetto sembrava dovesse saltare con la caduta del governo che lo ha proposto ma, all'ultimo minuto utile, è stato approvato il decreto attuativo che ha dato il via alla procedura per il rimborso. Basta dunque avere un indirizzo email per registrarsi al sito della Consap per poter inviare la domanda in via telematica attraverso il portale dedicato: fondoindennizzorisparmiatori.consap.it. La domanda Si tratterà poi di compilare in successione alcune pagine di formulari con i propri dati anagrafici e i dettagli degli strumenti finanziari posseduti. Si dovrà rispondere ad alcune domande ed allegare i documenti indicati che, qualora non fossero già in possesso dell'interessato, dovranno eventualmente essere richiesti alla banca. La domanda può essere compilata in più momenti successivi potendo essere salvata in bozza di volta in volta senza perdere il lavoro già compiuto. Un call center dedicato (02/49525830) aiuterà a sciogliere i dubbi che dovessero presentarsi
durante il cammino anche se, vale la pena ribadirlo, la compilazione non pare poter presentare particolari complicazioni. Soprattutto se si rientra nei parametri di reddito e/o patrimonio (reddito IRPEF inferiore a 35.000 o patrimonio mobiliare inferiore a 100.000), dato che non sarà richiesta alcuna compilazione integrativa volta a dimostrare di avere diritto all'indennizzo stabilito. L'indennizzo Quest'ultimo è determinato nella misura del 30 per cento del costo di acquisto delle azioni, ivi inclusi gli oneri fiscali, entro il limite massimo complessivo di 100.000 euro per ciascun avente diritto. Il 95%, invece, è stabilito per le obbligazioni. Se lo scoprite solo ora, oppure temete di essere in ritardo, niente paura: la domanda di indennizzo può essere presentata entro 180 gg a partire dal 22 agosto. Quindi c'è tempo fino al 18 febbraio 2020. Per qualsiasi dubbio o per maggiori dettagli il consiglio è quello di visitare il portale web già citato fondoindennizzorisparmiatori.consap.it, ricco di informazioni e contenente tutti i riferimenti normativi del caso e i modelli dei documenti necessari. ■ 68
DI CARLO BATTISTELLA DI ADICONSUM VERONA
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IL GLOSSARIO DEL LAVORO UNA PAROLA PER VOLTA
LO SMART WORKING SENZA RETORICA
Qualche esempio virtuoso c’è già. I benefici sono tanti e rispondono alle più disparate questioni: dalla mobilità sostenibile alla conciliazione vita/lavoro e così via. Quello che serve, e che fa la differenza, è la rivoluzione culturale che il lavoro agile si porta dietro.
L
a definizione è già piuttosto chiara: «…il lavoro agile quale modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa. La prestazione lavorativa viene eseguita, in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva». Così recita l’articolo 18 della legge sullo smart working approvata in Italia nel 2017. Sta cambiando non solo il mondo del lavoro e dei contratti ma anche i modi di lavorare. Lo smart working, detto anche lavoro agile, è un modo di svolgere il proprio
mestiere che cresce con l’aumentare dell’impatto della tecnologia sul lavoro. È un fenomeno più strutturato nelle grandi aziende (vedi il caso della Barilla) ma si sta diffondendo anche a Verona. Sta prendendo sempre più piede anche il coworking, uno stile lavorativo che prevede la condivisione di un ambiente di lavoro, mantenendo però un’attività indipendente, e che quindi coinvolge professionisti che lavorano a casa, liberi professionisti o persone che viaggiano frequentemente e che necessitano di un luogo di “appoggio”; inoltre il coworking permette di ridurre i costi della gestione di un ufficio. È un fenomeno crescente che non conoscerà declino più si evolvono le tecnologie e internet sia a livello qualitativo sia quantitativo. Molto più di quello che abbiamo fatto fino ad oggi, quando pure lo shopping online, l’home banking o l’informazione web stanno già imperversando. ■ 70
DI EMILIANO GALATI, SEGRETARIO FELSA CISL VENETO
Tutti gli eventi della settimana
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CALENDARIO DEL MESE gli eventi di Ottobre 2019, secondo noi
a cura di Paola Spolon
01
03
LEZIONI DI VINO Luogo: Signorvino Ora: 19:00
02
04
THE MATT Luogo: Bar The Brothers Ora: 22:30
07
TEHRAN, CITY OF LOVE Luogo: Cinema Teatro Nuovo San Michele Ora: 20:30
10
DOV’È CASA MIA Luogo: Pagina Dodici Libreria Ora: 18:30
Provaci: iscriviti in palestra, cambia taglio di capelli, scrivi il messaggio che non riesci a comporre e dallo quel benedetto bacio
NOTRE DAME DE PARIS Luogo: Arena di Verona Ora: 21:00
05
COLLE DER FOMENTO Luogo: Colorificio Kroen Ora: 22:00
06
LA LUNA IN PIAZZA BRA Luogo: Piazza Bra Ora: 19:00
08
THE COE AND ANDRÁS SCHIFF Luogo: Teatro Filarmonico Ora: 20:30
09
Smettila di lamentarti, vai dove puoi fiorire.
11
ANNA BASSY Luogo: Bar The Brothers Ora: 22:30
12
HOSTARIA VERONA Luogo: Verona Ora: 18:00
legenda MOSTRE/ARTE
CINEMA
LIBRI
MUSEO
SPORT
INCONTRI
13
ARTVERONA Luogo: Veronafiere Ora: tutto il giorno
16
Apriti con chi non lo chiede, ma lo merita da sempre.
19
THE BLUES LINE Luogo: Bar The Brothers Ora: 22:30
15
CALLIGRAFE ARABE IN ANDALUSIA Luogo: Osteria Ai Preti Ora: 19:30
17
IL VOLO DI DANTE Luogo: Aribandus Cooperativa Sociale Ora: 18:30
18
EMMA RUTH RUNDLE Luogo: Colorificio Kroen Ora: 22:00
21
DREAM AWAY Luogo: Cinema Teatro Nuovo San Michele Ora: 20:30
20 23
ENDURO DAY Luogo: Teste di Marmo Ora: 9:00
JAZZSET Luogo: Teatro Camploy Ora: 20:30
24
Non tradirti in nome di un lavoro, di un amore, di un pensiero. Rimani aderente a cio che ti corrisponde. ’
22
BODY ART Luogo: Lino’s & Co Verona Ora: 19:30
14
PIETRO DE MARIA Luogo: Teatro Ristori Ora: 20:30
25
HAMISH ANDERSON Luogo: Bar The Brothers Ora: 22:30
26
FÖLLAKZOID Luogo: Colorificio Kroen Ora: 22:00
non ce lo siamo dimenticati: non ci stava
28
29
CONCERTO AL BUIO Cesare Picco Luogo: Teatro Ristori Ora: 20:30
FIERA
DANZA
MUSICA
27 30
31
IL MATRIMONIO SEGRETO Luogo: Teatro Filarmonico Ora: 19:00
AMORE
BRUNCH LIBANESE E LETTURA FONDI CAFFÈ Luogo: Tabulè Ora: 11:00
CARNEVALE
ECROMAD Luogo: Bar The Brothers Ora: 22:30
TEATRO
in cucina con Nicole Qualche idea sana (e golosa) per le vostre giornate www.nicolescevaroli.com di NICOLE SCEVAROLI
MISTICANZA CON PERE E MONTE VERONESE Una perfetta insalata autunnale, ottima come antipasto o schiscetta al lavoro. Ingredienti (per 1 persona): • 2 manciate di insalata misticanza • 1 gambo di sedano bianco • 30g di formaggio monte veronese • 1 pera croccante
LA DRITTA Le ricette del riciclo stimolano la nostra fantasia. Divertitevi a sostituire le carote con altre tipologie di frutta e
Componete il piatto lavando bene l’insalata, tagliando a fettine il sedano, la pera con la buccia e il formaggio a cubetti. Condite con una vinaigrette ottenuta mescolando senape, aceto di mele, olio extra vergine e sale fino. Scelta green: Evitate l’insalata in busta, ci guadagneranno gusto e portafoglio!
verdura, come per esempio zucca, zucchine o mele cotte.
LA TORTA DI CAROTE COTTE Avete delle carote appassite in frigorifero? Provate questa ricetta! Ingredienti • 200g carote cotte • 80g burro o olio di girasole • 80g zucchero, meglio se integrale • 150g farina di tipo 1 (semi integrale) • 3 uova • 1 bustina di lievito per dolci • un pizzico di sale, lamelle di mandorle Frullate le carote con le uova, il burro fuso e lo zucchero. Unite farina, lievito e sale. Trasferite in uno stampo, cospargete con lamelle di mandorle. Infornate a 180 gradi per 40 minuti. Si accompagna molto bene allo yogurt greco per una colazione completa! 74
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DI
ANDREA NALE
L'OROSCOPO ALLA NOSTRA MANIERA
21 MARZO - 20 APRILE
21 APRILE - 20 MAGGIO
Alcuni alberi sono esseri che, immobili, vivono migliaia di anni. Ci sono esseri molto più complessi e pieni di stimoli che bruciano la loro esistenza in pochissimo tempo. Chi direste che tra i due ha visto di più? Da che parte state? Da chi si estingue in fretta tra esperienze e avventure o chi vive con moderazione e cerca di garantirsi con cautela un futuro? Questa è la prima distinzione che dovete comprendere. Si tratta forse della più grossa scelta da fare: scegliere chi siete e prendere una posizione su voi stessi.
Pensate che una volta le montagne di Bolca erano oceano. Pensate a come anche le cose che sembrano essere più eterne ed assolute possano cambiare drasticamente la loro natura. Attendete i movimenti del vostro essere, vedrete e percepirete prossimamente dei cambiamenti epocali che mai avreste pensato.
ARIETE
23 LUGLIO - 23 AGOSTO
LEONE
I polipi sono gli esseri viventi intelligenti più lontani da noi, si sono sviluppati da un ramo evolutivo parallelo in tempi lontanissimi. Provate a studiarne qualche comportamento, quando avete scoperto un essere tanto diverso da voi ma allo stesso tempo capace di attirare tutto il vostro interesse?
23 NOVEMBRE - 21 DICEMBRE
SAGITTARIO
Quanti nuovi interessi e quante nuove passioni fate nascere ogni giorno? Quante cose all'improvviso vi sembrano le più importanti della vostra vita? Vi innamorate sempre di tutto ed è bellissimo, quest'atteggiamento vi fornisce un'infinità di stimoli e vi apre la mente costantemente. Ma quante di queste passioni rimangono poi nel corso dei giorni?
21 MAGGIO - 21 GIUGNO
TORO
GEMELLI
Quando in America iniziarono ad arrivare notizie sull'Olocausto nessuno riusciva a crederci. Vi sembra strano? Stiamo reagendo allo stesso modo quando leggiamo notizie sul clima, e anche se crediamo alla cosa non reagiamo mai veramente come se sentissimo davvero l'urgenza di quello che accadrà. Invertite questa rotta, voi, adesso, subito.
24 AGOSTO - 22 SETTEMBRE
23 SETTEMBRE - 22 OTTOBRE
VERGINE
Sta per andarsene l'estate, la stagione delle avventure amorose che si creano e si concludono in un mese. Sento che dovete fare lo stesso: cercare cosa vi fa stare male e lasciarlo alle spalle nel vento fresco di settembre.
BILANCIA
Di tutti i malesseri che vi assillano ogni giorno, quante sono le paure che si sono poi realmente realizzate? E quante comunque, tra queste, vi hanno creato reali problemi? Fate un breve calcolo e per una volta nella vita, per qualche momento, provate ad usare la matematica per tranquillizzarvi.
22 DICEMBRE - 20 GENNAIO
21 GENNAIO - 19 FEBBRAIO
CAPRICORNO
ACQUARIO
Sbrigliate le redini della logica, disegnate sui muri, giocate con il cibo e gridate canzoni per strada in piena notte. Penseranno che siete impazziti? Forse sì, ma ragionate: quand'è stata l’ultima volta che avete fatto delle cose senza senso? E che, al di fuori della quotidianità, vi siete sentiti liberi?
So che in questo periodo vivete molto spesso in preda ad ansie di ogni genere, alcune comprensibili ed altre estremamente esagerate, che vi fanno soffrire inutilmente. Quali sono gli spiragli di normalità nelle vostre settimane? Identificateli, e identificarli vi porterà già a fare grossi passi avanti.
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22 GIUGNO - 22 LUGLIO
CANCRO
Qual è il vostro rapporto con i bambini? Li vedete come una rumorosa seccatura o come amorevoli creature? La vostra cura deve passare dall'interagire con loro, allo scoprire l'infinito e sconvolgente universo di senso che contengono. Far rinascere con loro e le loro logiche, un po', il bambino che è in voi.
23 OTTOBRE - 22 NOVEMBRE
SCORPIONE
Secondo voi, è vero quel che si dice che in amore: c'è sempre chi insegue e chi scappa? Chi venera e chi sta sul piedistallo? Io non credo mai a quest'equilibrio così sadico, ma potrei sbagliarmi. Avete il compito di trovare una terza via nelle vostre relazioni e dimostrarmi che l'amore non può essere così schematico e triste. Pensate di poterlo fare? Coraggio.
20 FEBBRAIO - 20 MARZO
PESCI
Pensate alla famosa frase di Michelangelo: «La statua è già da sempre nel marmo, lo scultore non fa altro che togliere il superfluo». Si potrebbe applicare a tutto: relazioni, lavoro, passioni. È tempo di crescere, limare i dettagli del vostro essere e farvi scorrere addosso tutto ciò che non appartiene alla vostra, perfetta forma.
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