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EDIZIONE NOVEMBRE 2018
ANNO 10 - NUMERO 09
NUMERO NOVANTACINQUE
PANTHEON
RAFFAELLA VITTADELLO
LA SIGNORA DEL RUGBY
Grazie al suo desiderio di far crescere i giovani innamorati della “palla ovale”, oggi la nostra città ha uno degli stadi più belli, moderni e invidiati d’Italia: il Payanini Center. La presidente del Verona Rugby, dopo la storica promozione nella TOP 12 dello scorso anno e il nuovo impianto sportivo polifunzionale da lei voluto e finanziato, può sognare in grande assieme a tutto il movimento rugbystico scaligero
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NOVEMBRE 2018
DI MATTEO
SCOLARI
EDITORIALE
U
n monumento alla speranza. È stato definito così, da uno dei nostri lettori su Facebook, il Payanini Center, il nuovo stadio del rugby veronese inaugurato il 23 ottobre scorso. E come dargli torto. Se ci pensiamo, in un momento storico asfittico e depresso come quello che stiamo attraversando, in cui tante cose sembrano non funzionare, in cui la stragrande maggioranza delle opere pubbliche è ferma al palo, in cui i fondi a disposizione delle comunità (che pagano le tasse) sembrano svaniti nel nulla e in cui la politica nazionale e locale sembra incapace di trovare risposte ai bisogni più elementari delle persone, come ad esempio quello di praticare sport, ecco che spunta un privato, italiano, che in poco meno di due anni realizza uno degli impianti sportivi più eleganti, avveniristici e funzionali costruiti nello Stivale negli ultimi decenni. Artefice di questo capolavoro è Raffaella Vittadello, imprenditrice del settore lapideo (che conosceremo meglio nelle prossime pagine) e attuale presidente del Verona Rugby. Un investimento economico, il suo, importante. La cifra esatta non è mai stata resa nota, ma è sufficiente fare un salto in via San Marco per rendersi conto dell’imponenza e delle rifiniture di questo gioiellino di cui la città intera dovrebbe essere orgogliosa.
con la testa, è quello di dare un’opportunità ai giovani ragazzi e alle giovani ragazze che praticano questo sport, e non solo. Testimonianza ne è il fatto che il Payanini Center è sede della Verona Rugby Academy, la prima accademia privata in Italia che ospita atleti under 16 e under 18 provenienti da ogni parte d’Italia e che li accompagna con il coinvolgimento di ottimi professionisti nella loro crescita scolastica e sportiva. Quello che ha fatto questa «signora un po’ pazza», come lei stessa si è definita la sera della conferenza di presentazione del nuovo impianto, è qualcosa di straordinario che in realtà, in un Paese come l’Italia, dovrebbe essere non dico la normalità, ma quasi. Raffaella Vittadello ha avuto il coraggio di investire e ancor prima di credere a un sogno. Due azioni che ci siamo dimenticati da tempo di saper e poter fare. «E non è la disponibilità economica che ha fatto scattare il click», ma la visione che tutto questo in futuro avrà delle ricadute benefiche sui ragazzi, uomini e sportivi di domani. Un investimento doppio perché realizzato nella e per la comunità veronese. Un monumento alla speranza diceva il nostro lettore su Facebook. Esatto. La speranza che altri prendano esempio da questa donna così determinata, così audace.
«L’ho fatto per dare una casa al rugby veronese» ha dichiarato in una delle pochissime interviste che ha rilasciato alla stampa. Ai riflettori Raffaella preferisce il lavoro sul campo e anche questo è un elemento di rarità ai giorni nostri. Chi la conosce da tempo, però, sa bene che il suo desiderio, che la impegna giorno e notte
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matteo.scolari@veronanetwork.it @ScolariMatteo
REGISTRAZIONE TRIBUNALE DI VERONA N.1792 DEL 5/4/2008 - NUMERO CHIUSO IN REDAZIONE IL 31/10/2018
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Indice
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PILLOLE DI MAMMA
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IL FIORE DELL’ARTE
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RUBRICA PET
IN COPERTINA La signora del rugby
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PASOLINI, in esclusiva il ricordo (dolce) della cugina
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A TU PER TU, con la mamma di Elia Viviani
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BELLEZZA AL NATURALE
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LO CHEF VERONESE del Paris Saint Germain
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STORIE DI STORIA
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LAGGIÙ, in fondo al Lago di Garda con un sommergibile
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DIMMI COME ACCATASTI (la legna) e ti dirò chi sei
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IN CUCINA CON NICOLE
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EDUCARE LA GIOIA, con la maestra del sorriso
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FANTASIE POSSIBILI, per un grande Castelvecchio
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L’OROSCOPO ALLA NOSTRA MANIERA
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PINOCCHI DI LATTA, il “Geppetto” di Veronetta
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GIORGIA, la Wonder Woman nostrana
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INSUNSIT, l’artigianato illustrato che non c’era
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SPECIALE VIAGGI (con una riflessione intima e calcistica di Mario Allegri) pag. 24
ERRORI O SEGNALAZIONI: WHATSAPP 347 1058318 - REDAZIONE@GIORNALEPANTHEON.IT
DIRETTORE RESPONSABILE MATTEO SCOLARI
REDAZIONE E COLLABORATORI
DIREZIONE EDITORIALE MIRYAM SCANDOLA REDAZIONE MATTEO SCOLARI, MIRYAM SCANDOLA, MARCO MENINI, GIORGIA PRETI HANNO COLLABORATO AL NUMERO DI NOVEMBRE 2018 SARA AVESANI, CARLO BATTISTELLA, MARTA BICEGO, CHIARA BONI, CLAUDIA BUCCOLA, MICHELA CANTERI, GIORGIA CASTAGNA, CESAR COLATO, ALICE GALLI, FEDERICA LAVARINI, FRANCESCA MAULI, PAOLA PEDROTTI, EMANUELE PEZZO, ERIKA PRANDI, NICOLE SCEVAROLI, ALESSANDRA SCOLARI, INGRID SOMMACAMPAGNA, PAOLA SPOLON, GIOVANNA TONDINI, GIULIA ZAMPIERI, MARCO ZANONI, MATTIA ZUANNI. FOTO DI COPERTINA ANGELO SARTORI- PROGETTO GRAFICO VINCENZO AMMIRATI SOCIETÀ EDITRICE INFOVAL S.R.L. REDAZIONE VIA TORRICELLI, 37 (ZAI-VERONA) - P.IVA: 03755460239 - TEL. 045.8650746 - FAX. 045.8762601 MAIL: REDAZIONE@VERONANETWORK.IT - WEB: WWW.VERONANETWORK.IT FACEBOOK: /PANTHEONVERONANETWORK - TWITTER: @PANTHEONVERONA - INSTAGRAM: PANTHEONMAGAZINE UFFICIO COMMERCIALE: 045 8650746 STAMPATO DA: ROTOPRESS INTERNATIONAL SRL - VIA BRECCE – 60025 LORETO (AN) - TEL. 071 974751 VIA E. MATTEI, 106 – 40138 BOLOGNA – TEL. 051 4592111
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IN COPERTINA RAFFAELLA VITTADELLO
«RINGRAZIO MIO MARITO CHE MI HA SEMPRE SOSTENUTA» Emozionata, entusiasta, finalmente serena al momento del taglio del nastro del nuovissimo stadio di via San Marco, da subito ribattezzato la “casa del rugby veronese”. La presidente del Verona Rugby non nasconde la gioia per un sogno che si è realizzato. Accanto a lei, in ogni momento, il marito, Vladimir Payano.
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A GLI OCCHI RAGGIANTI, lucidi quanto basta. Sopra di lei, schierate sulla scalinata che porta all’ingresso del nuovo stadio, due fitte ali di giocatori: da una parte i “suoi ragazzi” del Verona Rugby, dall’altra gli atleti della Nazionale italiana rugby, ospiti a Verona dal 22 al 24 ottobre per un mini ritiro in vista dei prossimi impegni internazionali. In mezzo tante autorità, tanti amici, tante persone che in questi ultimi due anni in particolare le sono state vicine. Tra queste anche suo marito, Vladimir Payano. È il 23 ottobre 2018, giorno di inaugurazione ufficiale del Payanini Center, e sono le 18.30 circa. Per Raffaella Vittadello, vestita con un elegante abito a fiori in una serata dalla temperatura quasi primaverile, è il momento tanto atteso del taglio del nastro di un’opera fortemente voluta (e interamente finanziata da lei, ndr), per «dare una casa al rugby veronese e per dare un futuro a tutto il movimento rugbystico scaligero e non solo». Di origine padovana, sposata, con due figli, la presidente del Verona Rugby è un’imprenditrice del settore lapideo e lavora assieme al marito. La sua passione per la “palla ovale”, come da lei stessa dichiarato, «è ini-
DI MATTEO SCOLARI ziata da bambina, quando mio padre e mio cugino mi portavano sui campi per vedere le partite». Chi la conosce la descrive come una donna molto determinata, decisa nel raggiungere un obiettivo anche particolarmente ambizioso e visionario come quello di costruire uno stadio da zero. Una persona a cui piace lavorare a fari spenti, in silenzio, con scrupolo e attenzione. Un’ottima organizzatrice e una straordinaria motivatrice. Le luci delle telecamere, i teleobiettivi, i microfoni non li ama particolarmente, «mi mettono agitazione», eppure la sera dell’inaugurazione erano tutti lì per lei (giornalisti, collaboratori e persone che hanno lavorato alla realizzazione dell’impianto comprese) per immortalare il suo sorriso, la sua soddisfazione, la sua gioia per il risultato raggiunto. Un primo pensiero, quella sera, è andato al marito, sempre presente al suo fianco: «Lo ringrazio, mi è stato vicino. L’impegno è di giorno e di notte, la testa continua a pensare per migliorare i dettagli, per far sì che i risultati arrivino il prima possibile: quando uno investe, quando uno semina, ha voglia di vedere il raccolto. Ci sono stati, a volte, dei momenti di sconforto, ma la sua vicinanza mi ha aiutato».
Vladimir Payano
Auditorium Camera di Commercio di Verona
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Corso Porta Nuova, 96
9 Novembre 2018
Piccoli Dettagli.it
ORE 17.30
LA DIFESA DEL PATRIMONIO tra Economia e Mercati finanziari PROGRAMMA 17.30 | REGISTRAZIONE PARTECIPANTI 17.45 | SALUTO e INTRODUZIONE Giuseppe Riello Presidente CCIAA di Verona Flavio Piva Presidente Banca di Verona 18.00 | TAVOLA ROTONDA Modera: Maurizio Cattaneo - Direttore de L'Arena 19.15 | Cocktail con il patrocinio di
Relatori: Alberto Minali
Amm. Delegato Società Cattolica di Assicurazione
Leonardo Rubattu
Direttore Generale Iccrea Banca
Bruno Rovelli
Chief Investment Strategist BlackRock
Luca Ramponi
Chief Investment Officer Bcc Risparmio&Previdenza
Valentino Trainotti Direttore Generale Banca di Verona
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Raffaella Vittadello entra nel mondo del rugby qualche anno fa prima come sponsor, poi come dirigente e, infine, come presidente della società veronese: «Seguendo questa trafila mi sono avvicinata agli atleti, ai loro genitori, agli allenatori e mi sono accorta che c’è tanta gente che lavora e si impegna per qualcosa di grande, per educare i giovani allo sport. Volevo essere una di loro e dare un mio contributo». Ed è stata questa una delle molle principali che ha spinto l’imprenditrice padovana a rivolgersi nel settembre del 2016 a una società di ingegneria veronese, di Grezzana, la Brn Engineering, che l’ha accompagnata in poco meno di due anni a individuare il terreno, a tradurre in progetto la sua idea, a iniziare il cantiere lo scorso 8 febbraio e, in sette mesi, di arrivare al momento dell’inaugurazione. Nei giorni dedicati al taglio del nastro, al Payanini Center era presente la Nazionale azzurra guidata dal coach Conor O’Shea, il primo a complimentarsi con la Vittadello per la straordinaria opportunità di potersi allenare su un impianto d’avanguardia. Ed è sugli spalti dello stadio affollati di bambini, bambine, genitori e famiglie, durante l’allenamento a porte aperte di martedì 23 ottobre, che l’abbiamo incontrata per una breve chiacchierata. Presidente, la vediamo particolarmente serena e felice. Che effetto le fa vedere la Nazionale calcare il campo del Payanini Center? È un’emozione grande, ma lo è ancor di più vedere tanti bambini che stanno guardando l’allenamento. Bisogna sempre considerare la continuità tra il bambino e l’adulto. Il primo è
qui per sognare perché vorrebbe essere là, su quel prato, un giorno; il secondo ha la responsabilità di far sognare questi bambini e di portare a casa qualche risultato, ad esempio, parlando di Nazionale, ai prossimi test match di novembre. Ma soprattutto far vedere la voglia di lottare, di non mollare mai. Con il grande investimento fatto qui in via San Marco ha dato lustro e dignità al rugby scaligero, per troppi anni in cerca di una casa definitiva. È d’accordo? Un po’ per tutte le cose, la famiglia, il lavoro, le passioni, gli hobby, avere una casa è essenziale. Il mio progetto sportivo, iniziato tre anni fa, ha voluto fortemente che il rugby avesse una casa, affinché il contenuto avesse un contenitore degno di questo meraviglioso sport, dove i ragazzi e tutti noi, i dirigenti, lo staff, potessero esprimere al meglio le loro potenzialità. È importante avere una casa, sempre e comunque. Lei ha iniziato a frequentare il mondo della palla ovale da bambina. Poi si è avvicinata come genitore, poi come dirigente e oggi come presidente. Un ruolo che la inorgoglisce? Senz’altro. Un ruolo importante che pesa sulle spalle, specie quando arriva la sera. Però la mattina c’è sempre voglia di fare. Quindi, tanti impegni, tanti pensieri, ma quando si viene al campo e si vedono i ragazzi che sorridono, che sono contenti, che piangono quando le cose vanno male o gioiscono quando fanno una meta, riempie tanto il cuore.
La presidente del Verona Rugby con Paolo Arena, presidente Confcommercio Verona e Giuseppe Riello, presidente della Camera di Commercio di Verona
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Cosa augura alla Nazionale alla vigilia dei prossimi test match internazionali? Tanto successo. I ragazzi se lo meritano. Noi come federazione, e quindi tutti i club italiani, ce lo meritiamo di avere una Nazionale forte. Tante persone che non conoscono il rugby si avvicinano a questo sport soltanto in occasione del Sei Nazioni: abbiamo quindi il dovere non solo di solcare i campi, ma anche di vincere per vedere sempre più gente, sempre più tifosi allo stadio, sempre più bambini praticare questa straordinaria disciplina sportiva. E per il Verona Rugby? Per il Verona vorrei una bella salvezza, a metà classifica. Combattuta, guadagnata e raggiunta il prima possibile.■ SPAZIO PUBBLICITARIO
Raffaella Vittadello stringe la mano del presidente della Federazione Italiana Rugby Alfredo Gavazzi. Sulla sinistra Marzio Innocenti, presidente FIR Veneto
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PAYANINI CENTER
“LA CASA DEL RUGBY VERONESE”
L
’IMPIANTO, che si trova in via San Marco a Verona, nasce dal desiderio della famiglia Payano – Vittadello di dare una nuova casa al movimento rugbystico scaligero. Ma non solo. Un luogo in cui sport e socialità si incontrano. Disposta su un’area di circa 80.000 metri quadrati, la struttura è a tutti gli effetti un centro polifunzionale che vivrà sette giorni su sette ed è stata realizzata esclusivamente con finanziamenti privati. Tre campi in erba omologati per le partite, due campi per l’allenamento, un campo indoor sintetico, dieci spogliatoi, una tribuna con 2500 posti a sedere di cui 850 al coperto, un impianto fotovoltaico da 88,5 kW e poi, sale conferenze (prenotabili da terzi), ambulatori, palestra e ristorante-club house aperti al pubblico, terrazza panoramica, percorsi esterni per l’attività all’aria aperta. Tutt’intorno alla struttura centrale sono presenti percorsi e aree verdi per gli amanti del jogging e del fitness. A breve arriverà un’area giochi per i più piccoli, un’area recintata per
i cani e una zona attrezzata per l’esercizio fisico all’aperto. Il progetto è stato realizzato dalla Brn Engineering, società con sede a Grezzana presieduta dall’ingegner Alessandro Dai Prè e porta la firma dell’architetto Stefano Furlan. La direzione lavori è stata affidata all’ingegner Francesca Barana. Il cantiere è stato inaugurato l’8 febbraio 2018 e in poco più di sette mesi è stato ultimato. Uno dei valori aggiunti della visione e dell’idea avuta da Raffaella Vittadello è la Verona Rugby Academy. Il Payanini center ospita, infatti, la prima accademia privata a livello nazionale rivolta ai ragazzi delle categorie Under 16 e Under 18. Grazie alla presenza di una foresteria con 36 posti letto, i giovani atleti provenienti da tutta Italia hanno la possibilità di vivere il loro sogno rugbistico a 360 gradi insieme ai compagni d’avventura. Uno sguardo in avanti, uno sguardo verso il futuro di questo sport, di questi futuri campioni della palla ovale.■ www.veronarugby.it
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DUE PAROLE CON GRAZIELLA CHIARCOSSI
LEI, LA CUGINA DI PASOLINI La donna che ha conservato le cravatte dell’intellettuale, insieme alle sue parole. Custode perenne, filologa per necessità o per la speranza di non tradirlo. A Verona, Graziella Chiarcossi è venuta il 3 novembre, ovvero dopo aver affrontato per la 43esima volta l’anniversario della scomparsa di Pier Paolo. Non parla mai di quella morte impossibile, la cugina dello scrittore imbocca una delicata reticenza come, ai tempi, fece lo stesso Pasolini quando perse il fratello «in un modo che non mi regge il cuore di raccontare».
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INA, «O ANCHE NINATA». Così la chiamava lui in quella complicata costellazione di nomignoli che appiccicava alle sue persone, quelle intime ma non segrete. Pasolini aveva un’affettuosità appartata, «pudica». Lo sceglie con cura questo aggettivo Graziella Chiarcossi con una voce ancora incrinata dopo tanti anni. Le chiediamo un momento di felicità mai dimenticato: «Quando guardavo le tenerezze che si scambiavano lui e la madre Susanna. La chiamava Pittinizza, donnina piccola». A Graziella non sono rimaste «frasi preservate dal disastro». La morte di lui non ha operato, come invece è stato per tanti, una sintesi di epigrammi, un’architettura di enunciati pasoliniani in cui rifugiarsi. «Anche perché non ho la memoria per le citazioni». Piuttosto «mi rimane un sentimento». Perché lui era uno che «aveva una sensibilità speciale: se capiva che avevi un problema, ti aiutava indirettamente. Con me l’ha fatto diverse volte. Sono queste le cose che mi sono rimaste». Conosce ogni insenatura dell’intellettuale esterno, come dell’uomo interno che amava il calcio in maniera vibrante, irrinun-
ciabile «capitava che trascurasse gli appuntamenti per andare a giocare». Sul campo e fuori era un esteta, un innamorato delle cose belle come della cucina rifinita della madre che, dopo una vita di traslochi e trasferimenti, ai fornelli sapeva destreggiarsi con sapori delle regioni attraversate, «lui, invece, non riusciva neanche a farsi il tè». Quel cugino grande, immenso, dipingeva pure. «Potrei/ anche tornare alla stupenda fase/della pittura» diceva nelle sue poesie, quando pensava, come fece negli ultimi anni, a quella via parallela, percorsa in maniera alternata, di cui ci rimangono meravigliose tracce. E poi i viaggi, la scrittura distribuita in una produzione smisurata. Infinite le carte riempite da quel suo sguardo acuto e «sguainato» di cui non si può che avere una terribile nostalgia. Perché siamo tutti orfani, in questo chiasso delle vite, di una voce che possa analizzarle, o almeno, regalarci quattro pareti di silenzio seppur tra pagine disperate e feroci. «La mia cultura viene su da lì, da mio cugino e dal rapporto con mio marito (Vincenzo Cerami, ndr). Sono le persone che mi hanno segnato non solo dal punto di vista affettivo».
DI MIRYAM SCANDOLA
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«IO? FACCIO LE COSE CHE SONO NECESSARIE». Filologa di mestiere, Graziella si è sempre occupata dell’enorme eredità letteraria dell'uomo che scriveva con l’imperativa necessità di chi non può fare altrimenti. Da anni cura la conservazione, catalogazione e studio del suo archivio privato. Per questioni di prossimità di cuore – visse a Roma nella stessa casa di Pasolini per 13 anni – è depositaria di una versione non luttuosa del suo Pier Paolo, lontano da quelle «leggende metropolitane» che ne tormentano il ricordo. A Verona è venuta il 3 novembre «per l'amicizia che mi lega alla Fondazione Aida». È stata, infatti, la realtà culturale scaligera ad organizzare in Civica la presentazione di La biblioteca di Pasolini, il catalogo tematico dei libri posseduti dal poeta a cura di Chiarcossi e Franco Zabagli. Il volume è sintesi dei quasi 3000 libri che hanno composto la cosmogonia domestica e letteraria dello scrittore (ora parte del Fondo Pasolini presso l’Archivio Contemporaneo “Alessandro Bonsanti”), una sorta di manna dal cielo per chiunque studi i suoi testi e vi cerchi ragioni o suggestioni alle quali dare nome e cognome. Insomma una fotografia bibliografica di uno dei maggiori intellettuali del Novecento «che non era un bibliofilo» ci tiene a precisare Graziella. I suoi scaffali erano riempiti dalla funzionalità, regolati dall’esigenza. «Mi ricordo che da ragazzo andava sotto il portico della Morte a Bologna a comprare libri. Ecco Dostoevskij e Freud li ha incontrati lì». Certo: non mancavano i classici greci e latini, ma Pasolini leggeva e recensiva molto anche gli autori contemporanei che spesso erano suoi amici (tante le dediche come quella di Franco Fortini « “… che non sempre la passione è grazia”. Lo so, lo so, caro Pasolini»). Molte di quelle pagine consumate – faceva orecchiette e quando non aveva una penna a portata di mano «evidenziava con le unghie, scolpendo un segno sulla carta» – sono state poi usate anche in Petrolio. Di quel romanzo incompiuto, che tanto si abbeverò nella fonte dei Demoni di Dostoevskij, Graziella ha curato la pubblicazione postuma «perché avevo una responsabilità: se rimaneva lì sarebbe stato peggio». Negli anni si è spesa per difenderlo.
Graziella Chiarcossi con il marito Vincenzo Cerami
LA FONDAZIONE AIDA, IN BREVE
L’incontro che ha visto ospite Graziella Chiarcossi è stato organizzato da Fondazione Aida in occasione del trentacinquesimo anniversario della realtà scaligera. Oltre alle rassegne “Famiglie a teatro” e “Teatro Scuola” organizzate con l’Assessorato all’Istruzione, novità di questa particolare stagione, sono le conferenze di “Civica Pop Story” volte a valorizzare il patrimonio della Biblioteca Civica (28 novembre Geniale!, un omaggio ai grandi geni del passato, e il 16 gennaio Amore per sempre). Tra gli spettacoli si segnala l’anteprima il 5 gennaio al Teatro Nuovo di “Favole al telefono”, commedia musicale con alcune delle più celebri favole e filastrocche di Rodari allestito con il Centro Servizi Santa Chiara in previsione del centenario della nascita. Fondazione Aida è anche centro di formazione professionale riconosciuto dal Miur.
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Graziella, Pier Paolo e Susanna
Pasolini con la madre
Sul presunto capitolo perso o rubato che tanto ha fatto parlare le voci mai zittite del complottismo (che legherebbero il furto alle vicende di Cefis, della Montedison, del caso Mattei), lei ha sempre avuto una posizione ferma «io credo che tutti i commenti su Petrolio possano essere sbagliati. È tutto a flash, a squarci e non si può leggerlo che in quella maniera. Sono convinta che nessuno, anche chi si lancia in letture politiche, sia in grado di capire quello che voleva fare». Nessuno sa, dunque, e nessuno dovrebbe approntare definizioni. Tra mezze menzogne, verità negate, misteri che ancora ingombrano l’epilogo inverosimile di un intellettuale lucente, Graziella preferisce da sempre non dire, non rispondere, non ipotizzare perché «sarebbe ingiusto, sarebbe scorretto». Tutti abbiamo una sola sofferenza da raccontare, le altre o ne derivano o le lasciamo vivere nel silenzio. Quella lunga una vita di Graziella risiede nei dintorni del Pasolini frainteso. L’attualità e le sue
troppe semplificazioni sono il cruccio della cugina che si sedeva a pranzo con lui, insieme alla mamma, attenta ai suoi gesti soffusi, alla sua tenerezza pacata. «Mi turbano gli studi (che poi sono studi?). La quantità impressionante di cose che si dicono su di lui. Ho smesso di leggerle, non posso stare dietro a tutto e passare la vita a dire: “ti sbagli, non era così”». Nei suoi ultimi mesi, prima di quel 2 novembre del 1975, Pasolini, secondo la cugina «era in un momento felice. Prendeva in mano questo manoscritto (Petrolio, ndr) e diceva “guardo quanto ho fatto” e lo diceva con la voce felice di uno che sta creando». Aveva sistemato una casa a Sabaudia, ci confida la Chiarcossi, perché voleva portare la mamma al mare. Susanna, quella madre amatissima. «Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore, ciò che è stato sempre, prima d'ogni altro amore». La accarezzava con le parole, perché l’affetto indicibile, nato nel pudore, può dirsi solo con la poesia. ■
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A TU PER TU CON LA MAMMA DI ELIA VIVIANI
«COSA HA PRESO DA ME ELIA? LA BONTÀ E LA DISPONIBILITÀ. ANZI, LA BONTÀ È SOLO SUA» Elena Bonizzi è mamma di tre figli. Uno di loro è Elia Viviani, Oro olimpico a Rio e fresco campione italiano, cresciuto in un ambiente dove lo sport è stato visto come un’opportunità senza forzature né accanimento.
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N RETE CIRCOLA UNA CITAZIONE, attribuita ad Elizabeth Stone, che recita più o meno così: essere genitori significa accettare di avere un cuore al di fuori dal proprio corpo. Talvolta capita di averne pure più di uno. È così per Elena Bonizzi, che si definisce «una persona normale, figlia, moglie e mamma». I suoi “piccoli” si chiamano Elia, Luca e Attilio epzpure quando Elena parla di Elia, Oro olimpico a Rio de Janeiro nell’Omnium, non scampa mai dal legarlo alle vicende dei due fratelli minori. «Essere mamma non ha una ricetta – dice lei – e bisogna anche avere una certa fortuna affinché le cose vadano bene». Un misto di sperimentazione e fatalismo. Una dichiarazione di mitezza che non sfugge però al proprio ruolo e che non dimentica mai di fornire uno sguardo in prospettiva: «Ai miei ragazzi ho sempre chiesto un obiettivo scolastico che fosse proporzionato alle loro capacità. Tuttora consiglio loro di prepararsi un piano di riserva per quando finirà la loro vita sportiva, spero mi ascoltino». Nonostante questo, Elena non ha alcuna illusione di essere l’unica depositaria del segreto per crescere bene i propri figli e questo le deriva probabilmente dall’ambito sportivo: «Sarà che non sono mai stata una persona sportiva, ma ho sempre fatto affidamento sugli allenatori dei miei ragazzi. Loro sono quelli che ne capiscono. Come quel tecnico che, in tempi non sospetti, aveva scommesso che Elia avrebbe sfondato nel ciclismo, anche se io non ne ero più di tanto convinta».
CON TRE “CUORI” IN CAMPO o sulla strada si deve per forza saper domare le emozioni, ma forse anche quello è un terreno che si conquista a tentativi ed errori. Elena non ha problemi a confidare che, quando Elia è sul sellino, soprattutto con arrivi in volata, l’agitazione cresce in modo esponenziale e lei è quasi costretta a staccarsi. Come quella volta che, a pochi km dal traguardo, si mise a preparare panini per il gruppo di tifosi che poi esplosero in festa per la vittoria di suo figlio. «È più forte di me – racconta Elena – e, sembra incredibile, ma sulle prime non volevo nemmeno andare a vederlo in Brasile». Poi, com’è risaputo, sulla pista olimpica c’era eccome, come a Casa Italia quando festeggiarono il trionfo di Elia, momento più emozionante di quella esperienza, secondo Elena, assieme ad un altro. «Appena arrivati in Brasile ero in pensiero. Speravo che Elia stesse bene ma non volevo disturbarlo. È stato lui a contattarci per sapere se fossimo arrivati. E, una mattina, ce lo siamo visti arrivare mentre era in allenamento. Era venuto apposta, voleva assicurarsi che stessimo bene». Questa è una dote che Elena riconosce di avere in comune con Elia: «Tra le mie cose che rivedo in lui ci sono la bontà e la disponibilità verso gli altri. Anzi, la bontà è solo sua, perché io forse sono anche un po’ troppo “rigidetta” su certe cose». «Da tutti questi anni però una cosa l’ho imparata – conclude Elena – ed è che nello sport non bisogna perdere il treno. Quando Elia e Luca avevano 14-15 anni secondo me gli impegni sportivi iniziavano
DI EMANUELE PEZZO
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Elia con i fratelli Attilio e Luca
Elia Viviani con i suoi trofei
ad essere troppo pesanti. Volevo che diminuissero il carico, per me eccessivo: i ragazzi a quell’età vengono trattati come adulti quando ancora non lo sono. Quella volta l’hanno avuta vinta loro e ora, a posteriori, mi rimangio la mia posizione». Sono milioni i particolari che sfuggono in questa storia ancora in corso di svolgimento: Elia è fresco campione italiano su strada; Luca, dopo qualche stagione in serie D sul campo di calcio, ora gioca in Eccellenza; Attilio, più giovane, deve ancora svelare le sue carte sulle due ruote. Anche se non c’è una ricetta per essere buoni genitori, di sicuro, per la famiglia Viviani, sembra che lo sport sia un ingrediente irrinunciabile. ■
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IL NUOVO RUOLO DELL’AGENZIA DI VIAGGI
Negli ultimi anni il panorama dell’organizzazione dei viaggi, sia che si tratti di trasferte di lavoro, sia che si tratti di viaggi di svago e divertimento, è molto cambiato. Le nuove tecnologie e il mondo web hanno portato l’offerta travel a portata di mano e, così, dai bed and breakfast agli hotel di lusso, dai voli di linea alle compagnie aeree low cost, chiunque può prenotare il proprio viaggio dalla poltrona di casa. Ma, allora, hanno ancora senso le agenzie di viaggi? Lo abbiamo chiesto a Fernando Erbisti, 51 anni di Grezzana, Amministratore Delegato delle agenzie di viaggi Move Travel di Grezzana e Bosco Chiesanuova, una nuova e vivace realtà della provincia di Verona. Fernando, perché, oggi, un viaggiatore o un’azienda dovrebbero rivolgersi ad un’agenzia di viaggio tradizionale? Siamo assolutamente coscienti che l’attuale mercato è in grado di offrire molteplici canali per l’acquisto dei prodotti travel, questo è un dato di fatto ma, per noi, non è un vincolo, bensì una grande opportunità per i viaggiatori e le aziende. Per noi il web non è un concorrente, ma uno degli strumenti da utilizzare nella progettazione e nell’organizzazione dei viaggi e per poter allargare la gamma dei servizi offerti. Invito sempre alla cautela con internet - che anche noi usiamo parecchio - perché, spesso, è difficile distinguere tra le offerte convenienti e quelle rischiose o non adatte alle proprie esigenze: ci è capitato più volte di accogliere clienti che si sono avventurati da soli sul web e, poi, non sapendo come cambiare il volo o come mettersi in comunicazione con call center che rispondeva solo in inglese e da chissà dove, si sono rivolti a noi per un supporto d’emergenza. Oppure ci è capitato di aiutare clienti che, arrivati a destinazione con un viaggio “fai da te”, non hanno trovato ciò che si aspettavano e non sapevano come risolvere. E una vacanza rovinata non è certamente una bella esperienza. Senza contare che, spesso, il risparmio del viaggio fai da te è solo un miraggio: le
tariffe di internet sono solitamente scarne, prive di tutti i servizi accessori ma necessari. Ad esempio, per l’acquisto di un biglietto aereo, nella maggior parte dei casi al prezzo esposto vanno aggiunti i costi per le tasse, il bagaglio, il posto a bordo, il check in: si pensa di spendere poco e poi si arriva a spendere di più che in agenzia e senza poter accedere a tutta l’assistenza dell’agenzia. Quale prevedi possa essere il futuro delle agenzie di viaggio nei prossimi anni? Sinceramente, credo che stiamo assistendo ad un’inversione di tendenza. Se, un tempo, internet sembrava la soluzione ad ogni esigenza, oggi non è più così: i viaggiatori più consapevoli ricercano esclusività e non prodotto di massa; le aziende sono più attente ai processi e ai costi e non vogliono
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solo comprare a prezzi bassi, ma preferiscono avere certezze a assistenza. Nelle agenzie, le aziende cercano soprattutto il partner giusto per gestire e amministrare al meglio il loro business travel. È quindi compito delle agenzie di viaggi tenere il passo, conoscere il prodotto, le destinazioni, fare formazione e lavorare in un’ottica di collaborazione diretta con i propri clienti. Non stiamo parlando solo di fare preventivi, ma di progettare un’esperienza che inizia proprio in agenzia.
dono supporto: costruiamo soluzioni su misura delle esigenze di ciascuno. Chi si occupa di business travel in azienda vuole risposte efficaci, immediate e semplifici: tutto deve filare via liscio, rapido e veloce. E noi siamo sul pezzo.
Usi spesso il termine “business travel”. Ci spieghi cosa significa? Oggi, tutte le aziende, complice la globalizzazione dei mercati, hanno necessità di viaggiare e viaggiare per lavoro è un’altra cosa. Il perimetro del business travel, quindi, è molto ampio e comprende i viaggi d’affari, le trasferte di lavoro, la partecipazione a fiere ed eventi, l’accoglienza di ospiti, sino a forme più trasversali come i distacchi, la gestione delle flotte aziendali, il welfare aziendale. All’interno di questo perimetro si muove una quantità immensa di attività che devono essere armonizzate alle procedure e ai processi aziendali. Da uno studio di Aberdeen Group, la spesa travel può incidere in modo importante sul bilancio aziendale con un peso talvolta pari a quasi il 3% dei ricavi. Si tratta di un ambito critico da presidiare con partner affidabili, come la nostra agenzia. Ci parli di qualcuna di queste esperienze che proponete in agenzia? Alla Move Travel ci piace molto ascoltare i nostri clienti e poter interpretare i loro desideri. Ad esempio, abbiamo un nutrito gruppo di amici amanti della bicicletta per i quali abbiamo organizzato viaggi specifici e avventurosi, da trascorrere sempre in sella. Così come, per i clienti amanti della natura, abbiamo organizzato lezioni di yoga in alta quota dove corpo e spirito si sono potuti fondere con le bellezze della natura delle nostre splendide montagne. Il viaggio non è semplicemente spostarsi da un luogo all’altro, è fare cultura. Con la stessa filosofia ci approcciamo alle aziende che ci chie-
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SUGGESTIONI
d’
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AUTORE
Trasferte tassative, ovvero le ragioni calcistiche di un viaggio Ci sono mete anelate, approdi idealizzati, luoghi visitati solo nel desiderio. E poi ci sono le destinazioni necessarie, quelle che non si possono rimandare, costi quel che costi, anche se prendono la forma di «avanzate prudenti in territorio nemico». Mario Allegri, che per anni ha tenuto la cattedra di letteratura italiana contemporanea alla Facoltà di Lettere di Verona, ci consegna una rassegna breve quanto intensa delle sue trasferte “tassative” in nome della squadra amatissima: l’Hellas Verona.
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Sì, viaggiare», cantava Lucio Battisti. Tra gli animali che popolano la Terra gli umani sono gli unici che viaggiano non solo per necessità. Si viaggia per amore, per noia esistenziale, per interessi culturali, più spesso per avventura o … per seguire la squadra del cuore. I miei primi viaggi (intendo, con una meta scelta da me) sono stati proprio quelli al seguito dell’unica, allora, squadra di calcio cittadina: l’Hellas Verona. Ho iniziato negli anni Sessanta del vecchio Novecento quando le trasferte al seguito dei colori gialloblù avevano le stimmate del viaggio avventuroso in un territorio ostile. Niente, come oggi, pacchetti “tutto incluso” offerti da club organizzati o agenzie di viaggio, che per i tragitti più lunghi propongono pernottamenti e anche percorsi turistici. Figuriamoci! Tante città, allora, signif icavano per noi tifosi il nome del loro stadio e nient’altro: Varese era il Franco Ossola, Padova l’Appiani, Reggio Emilia il Mirabello, Como il Sinigaglia, Foggia lo Zaccheria, Alessandria il Moccagatta, Trieste il Grezar, Parma il Tardini, e così via. Ci si arrivava in treno o, per le mete più vicine (Brescia, Mantova, Vicenza), in autostop o stipati come sardine in qualche auto: in tasca un paio di panini, una bibita e la mappa della città (altro che navigatore!) per cercare lo stadio. Poi l’avanzata prudente in territorio nemico, dove
Di Mario Allegri occorreva muoversi con circospezione per non farsi troppo riconoscere: anzitutto alla biglietteria, poi sulle gradinate delle curve, che allora non erano riservate agli ospiti né vigilate dai nerboruti poliziotti di oggi. Le bandiere di sicuro non agitate in faccia ai rivali, ma in caso di vittoria o pareggio sventolate, a distanza di sicurezza, dal treno o dalle auto lungo tutto il ritorno (i 100 chilometri tra Ferrara e Verona nel 1968 in occasione della seconda promozione in A durati come le Mille Miglia tra soste interminabili, canti e bevute colossali). La pena del ritorno dopo una sconf itta, o la gioia per i punti guadagnati fuori casa che alleviavano la lunghezza del viaggio: il più faticoso a Foggia nel ’63 (con sconf itta per 1 a 0), dove i carabinieri del servizio d’ordine gettavano, spalle al campo, il sale sull’erba per scaramanzia. Poi, il lunedì a scuola o al bar Sport il racconto invariabilmente epico dell’impresa compiuta. E, la cosa più bella, con la “compagna picciola” che ti aveva seguito (Mino, Enrico, Orazio…) un legame di amicizia destinato a durare a lungo nel tempo. ■
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IN PRIMO PIANO DAI FORNELLI DI VILLAFRANCA A QUELLI DI PARIGI
LO CHEF (VERONESE) DEL PARIS SAINT GERMAIN Per Mattia Piras una dura gavetta tutta internazionale, come chef de partie per i migliori ristoranti stellati europei e non, e poi ad agosto un altro sogno che si realizza: lo sport che incontra l’haute cuisine nelle cucine rosse blu del Paris Saint Germain.
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LI ANNI TRASCORSI al ristorante Il Gargano di Villafranca, i primi passati in cucina, sono ormai lontani, eppure sono sempre tutti lì, in ogni piatto che oggi Mattia Piras crea come chef per il Paris Saint Germain, solo l’ultimo degli incarichi che ha portato lontano questo giovane villafranchese. Ci sentiamo in una appassionata telefonata Parigi – Verona e finisco per scoprire una storia che davvero ha dell’incredibile. Tutto parte proprio qui a Verona, quando Mattia trascorre le sue giornate di adolescente tra i banchi dell’istituto alberghiero di Valeggio, gli allenamenti di calcio, e i servizi al ristorante per pranzo e cena. Sveglia all’alba, la canonica mattinata passata tra i banchi, e poi un permesso speciale per lasciare la scuola prima del suono della campanella e raggiungere quel ristorante che «mi ha insegnato a passare dalla teoria imparata sui banchi alla pratica, fondamentale per uno chef!». Calcio nel pomeriggio e poi ancora in cucina per il servizio serale, con ritorno a casa
anche alle 2 di notte. A soli 16 anni sono questi i valori che Mattia esercita tra i fornelli: spirito di sacrificio, dedizione e disciplina. Con il diploma di maturità arriva anche la prima trasferta all’estero: una borsa di studio lo porta in Belgio, con la prima breve esperienza in una cucina internazionale. Con il ritorno a Verona, seguono alcuni preziosissimi anni in un’osteria del centro città dove a soli 21 anni Mattia cura tutti i primi piatti. E poi, si fa largo il sogno di partire per la Francia, «la tappa obbligata per tutti i grandi chef». In valigia: una pila di curricula stampati da consegnare nei migliori ristoranti parigini. «In un francese stentato, ho bussato alle porte dei ristoranti stellati di Parigi: la mia determinazione deve averli colpiti». GLI ANNI ALL’OMBRA della Tour Eiffel sonoall’insegna del rigore: ritmi di lavoro forsennati, la difficoltà di una lingua nuova e spesso il peso di una rigida gerarchia, perché «ero straniero, e l’ultimo arrivato». Se è vero che nelle cucine francesi
DI GIULIA ZAMPIERI
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Mattia Piras
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si va per imparare la disciplina, in quelle giapponesi si deve andare per «imparare il rispetto per la materia prima». Detto fatto: a una prima tappa a Hong Kong seguono gli anni trascorsi nelle cucine del Ryugin di Tokyo, tre stelle Michelin, a fianco dello chef Seji Yamamoto. E poi Dubai, e ancora Parigi e infine l’approdo al pluristellato Guy Savoy. «Dopo anni trascorsi tra doppi turni, ad accettare condizioni di lavoro al limite» ad agosto l’annuncio: Mattia, a soli 27 anni, entra a far parte del team di chef, dietologi e nutrizionisti che segue i giocatori del Paris Saint Germain. «Questo nuovo lavoro mi permette di coniugare la mia passione per la cucina e la sana alimentazione con il mio amore di sempre per il calcio». Con ritmi di lavoro molto più rispettosi «posso finalmente dedicarmi a un progetto che mi sta molto a cuore: cucina di alta gamma per gli sportivi». Tra gli incontri con il team, la stretta collaborazione con medici nutrizionisti per studiare la dieta perfetta per Neymar, e richieste molto precise che garantiscano il rendimento in campo «adesso riesco persino ad avere il venerdì sera off, e del tempo libero per studiare e documentarmi, perché la sana alimentazione è una scienza». Di quella lista compilata a 16 anni, mi confida Mattia, sono tanti i punti, e i sogni, spuntati: c’è la Francia, il Giappone. E adesso ancora Parigi. L’ultima spunta, che non sarà di certo l’ultima. ■
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IN PRIMO PIANO LA MALATTIA E QUEL “VIAGGIO DELLA VITA”
OLTRE QUEI TRE GRADINI
Sono quelli di sempre, per andare in ufficio, ma ora quei tre gradini non si riescono più a salire. Quando l’ostacolo si è fatto tangibile per Federico Pasqualini e la distrofia muscolare ha iniziato ad affacciarsi con prepotenza nella sua vita di ragazzo, lui è partito per il viaggio della vita: da San Bonifacio all’Africa. 10 Paesi, 19.000 chilometri, 120 giorni: un’esperienza che non poteva tenersi per sé. Così Federico ha scritto un libro (Tre gradini e un albero di limoni, Polaris) per dire a tutti «che i sogni a volte si possono realizzare». L’ha presentato a Verona lo scorso 12 ottobre, in collaborazione con la Libreria Gulliver.
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I SONO DIAGNOSI che cambiano la vita, ma si può anche decidere che la vita non sia esclusivamente una diagnosi. Può accadere che a 17 anni si scopra di essere affetti da distrofia muscolare, una grave malattia genetica neurodegenerativa, e ci si ritrovi, 21 anni dopo, a raccontare di aver percorso 19.000 chilometri con un pick-up lungo il continente africano e scrivere un libro per narrare questa grandiosa avventura. Un’esperienza che ha un nome: Federico Pasqualini. Come è cambiata la sua vita dopo aver saputo di avere la distrofia muscolare? Devo dire che l’incoscienza tipica di quell’età mi ha aiutato: ci ho messo più di 15 anni a realizzare pienamente. La vera presa di coscienza sulla condizione della mia autosufficienza motoria credo sia stata quando, per l’ultima volta, sono riuscito a salire i tre gradini per raggiungere l’ufficio. Era il 2002. Da lì mi sono ritrovato in un mondo “al piano terra”, con l’inquietante prospettiva del lento, ma inesorabile, peggioramento verso la to-
tale inabilità. Quell’episodio è stato un momento di rottura, una spaccatura nella mia vita, l’occasione per fermarmi e uscire dalla routine, quella sorta di gabbia protettiva che rischia di farci vivere la vita a testa bassa, senza lasciarci il tempo di goderci il viaggio. Di fronte all’ulteriore peggioramento della mia salute decisi che era arrivato il momento di realizzare un sogno: quello di un viaggio su strada, un viaggio straordinario. Perché in Africa? Mi piace credere che sia stata l’Africa a scegliere me. L’idea era quella di partire da casa con l’auto, arrivare in Mongolia da sud, via Turchia e Iran e tornare dalla Siberia. A causa di alcune problematiche coi visti ha fatto capolino l’alternativa Africa. Alla fine, il miglior incontro col destino che avessi potuto fare: “il viaggio della vita”. Che cosa le ha lasciato questa esperienza? Molte pagine colorate di ricordi, emozioni, sensazioni e sentimenti divenuti un libro nel quale ho cercato di raccontare che a volte i sogni si pos-
DI FEDERICA LAVARINI
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sono realizzare. Soprattutto che, spesso, l’occasione per farlo è proprio quello che sembra un ostacolo. Come tre gradini che non si riescono più a salire. Quanto è stata faticoso e quanto divertente questo viaggio? Per quanto riguarda la mia disabilità direi che l’Africa è il posto peggiore in cui potessi capitare. Ma è anche quello dove ho scoperto che se nella quotidianità ci sono mille difficoltà, saltano miracolosamente fuori mille soluzioni. Trovare una sistemazione al piano terra dove passare la notte è sempre stata un’impresa: ho dormito nel cassone del pick-up, in un garage o, addirittura, nella suite, decisamente fuori budget, dell’hotel in cui il presidente dello Zimbabwe passa le notti quando non è in capitale.
Seguiranno altri viaggi (e altri libri)? Alla pubblicazione di Tre gradini e un albero di limoni è seguito un viaggio in Sri Lanka dal quale uscirà il mese prossimo la guida Polaris del Paese. A febbraio ho in programma una vacanza in Malesia. Oltre a quello non guardo, ma dentro di me sento che, prima possibile, sulle orme di quella africana, vorrò tornare sulla strada. ■
La copertina del libro
Perché ha deciso di scrivere un libro? Inizialmente doveva essere un diario di viaggio: sapevo che quello in Africa sarebbe stato il viaggio della vita e sentivo il bisogno di portarmi a casa un qualcosa di fisico, un mucchietto di fogli di carta da rigirare tra le mani anche tra cinquant’anni. Nel sistemarli è venuto fuori il capo di un filo d’oro che mi ha attraversato il cuore e che ho voluto seguire fino a scoprire che il viaggio sarebbe continuato anche dentro, nell’anima.
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«La prima creatura di Dio fu la luce». Scriveva così, a cavallo tra il sedicesimo e il diciassettesimo secolo, il filosofo inglese Francis Bacon, per sottolineare in maniera inequivocabile l’importanza universale di questo elemento che determina lo spazio fisico. Luce che fin dall’antichità ha sempre avuto un rapporto mistico, oltre che funzionale, con l’uomo; luce che grazie alle moderne tecnologie può arricchire e migliorare il benessere di ognuno di noi, nella nostra quotidianità e nella nostra esperienza professionale e di vita. Lo sa bene HIKARI (luce in giapponese), azienda della Valpolicella che affonda le sue radici nei primi anni Duemila, impegnata fin da allora nel settore dell’elettronica e del digitale, e contraddistinta da sempre da una grande capacità di visione e di esplorazione di campi applicativi sempre nuovi. Partita con l’obiettivo di offrire soluzioni per l’illuminazione che fossero adeguate alla complessità crescente imposta dall’evoluzione del mercato led, nel tempo HIKARI è cresciuta, ricevendo nel 2009 una menzione speciale divulgata a livello mondiale dal colosso PHILIPS per una particolare lampada inserita nella cappa da cucina. L’azienda veronese ha poi gettato le basi per creare un network di imprese altamente specializzate nell’offerta di soluzioni e servizi superando la concezione tradizionale della progettazione illuminotecnica e mettendo a disposizione dell’arte e di altri ambiti le conoscenze e le performance raggiunte dalle singole aziende e, contemporaneamente, dal network. Una filosofia aziendale condivisa tra i soci della rete che ha portato a sviluppare non tanto un catalogo o dei cataloghi prodotto, quanto a ricercare una qualità dei risultati ed efficienza dei processi aziendali.
ARTIGIANI DELLA LUCE. «Un approccio artigianale e una visione digitale al servizio della luce elettronica». È una definizione per descrivere HIKARI, a testimonianza di un’esecuzione quasi sartoriale sugli interventi realizzati sul campo, con la massima attenzione, ad esempio, al flusso luminoso e alla temperatura cromatica. Approccio che si traduce in sei punti di forza: capacità di adattarsi alle richieste del cliente; capacità di relazione con le parti tecniche e professionali coinvolte nel progetto; gestione diretta di tutte le fasi di progetto con attenzione a tempi e budget concordati; flessibilità e adattamenti in corso d’opera; controllo della qualità lungo tutte le fasi del progetto; affidabilità e garanzia degli uffici competenti nelle fasi di pre e post vendita. Un distintivo connubio tra tecnologia e, appunto, spirito artigiano che ha dato luogo a collaborazioni significativi con alcune aziende del territorio veronese. Con Menotti Specchia di San Bonifacio, ad esempio: Leykos è un prodotto nato e pensato per il design creativo d’interni che ottimizza l’incontro tra la luce led e il legno. Non si tratta di un semplice sistema a pannelli, ma una tecnologia integrata e modulabile per chi ha necessità di creare superfici decorate. E poi un prodotto concepito assieme a Ferrari BK che inserisce in modo originale l’elemento led nelle pavimentazioni autobloccanti, di cui l’azienda di Lugo di Valpantena è leader nazionale. QUALITÀ DEL PRODOTTO. Tutti sistemi illuminanti sviluppati da HIKARI sono progettati e testati internamente da personale qualificato, con particolare attenzione alla selezione delle componenti e dei materiali impiegati. A garanzia di una qualità produttiva, una rete di partnership tecniche che HIKARI ha consolidato nel corso degli anni, come ad esempio quella con Liite, marchio francese del Gruppo
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led. Poi la collaborazione con il colosso europeo PETERS, in particolare per i nuovi conformal coating UV ad alte prestazioni sia per l’elettronica che per il lighting. Infine, ma non meno importante, quella con OSRAM, che garantisce costantemente uno sguardo sulle ultime novità disponibili per sistemi complessi di alimentazione e gestione dati.
demy di Pisa e Mi-Heritage / IUAV di Venezia. In occasione della scorsa giornata mondiale della luce, il 16 maggio scorso, a Verona si è tenuto un importante convegno nella sede dell’Ordine degli Architetti e sono stati illuminati alcuni monumenti storici della città scaligera che hanno reso bene l’idea del potenziale di queste nuove tecnologie.
ESPLORAZIONI. Per dare ulteriore spinta all’innovazione e alla ricerca nell’ambito dell’illuminotecnica, HIKARI ha creato al suo interno HANGAR, una start up innovativa che unisce competenze diverse, dall’elettronica alla meccanica, dallo studio dei materiali all’ergonomia allo scopo di varcare il confine della produzione di apparecchi illuminanti per applicazioni inedite che tengano conto della parte non visibile dello spettro luminoso (UV-IR-Crescita artificiale). LUCE PER L’ARTE. Attorno ad HIKARI, oltre alle partnership di tipo commerciale, si è sviluppato a partire dal 2009 con fasi alterne, per poi consolidarsi nel 2016, un ulteriore network di imprese ed enti che ha l’obiettivo di introdurre un codice innovativo in ambito illuminotecnico. OPIFICIO DELLA LUCE è il nome del progetto, concepito come una vera e propria camera di compensazione tra i diversi apporti e che fa sintesi delle differenti specializzazioni per metterle a disposizione nell’ambito dei beni culturali. La mutata fruizione dei percorsi museali imposta dalle nuove tecnologie ha dato il là a una nuova iniziativa inaugurata da HIKARI e DEF con sistemi di illuminazione digitale interattivi: grazie all’impiego di luce dinamica e di trasmissione dati con collegamenti wireless, prendono forma nuovi servizi che guidano il visitatore in ambienti capaci di integrare spazi fisici e ambiti virtuali. Accanto alle due aziende si sono unite realtà come XIMULA, start up innovativa specializzata in realtà virtuale, ANTICA PROIETTERIA, legata a strumenti e tecnologie per la narrazione digitale e il video mapping e numerosi professionisti specializzati nella progettazione illuminotecnica, tra i quali Giorgio Butturini, Nicolò Pozzerle e Francesco Suppi. Una realtà, quella dell’OPIFICIO, che ha stretto collaborazioni prestigiose con gli istituti Alma Artis Aca-
FORMAZIONE. Da qualche mese, HIKARI ha inaugurato uno spazio interno polifunzionale dove, in collaborazione con Rete di imprese Luce in Veneto, Confindustria Veneto SIAV e FabCube, ha già iniziato ad erogare corsi di formazione inter-aziendale in ambito digital-transformation per il settore illuminotecnico. HIKARI sarà presente ad Illuminotronica a Bologna dal 29 novembre al 1 dicembre 2018 dove avrà modo di presentare nel dettaglio tutte le novità sopra esposte.
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IN PRIMO PIANO ANNA E IL SUO VIAGGIO SENZA PARTENZE
LA MISSIONARIA DEI “CARTONI”
Anna con i nipoti
Ha speso la sua vita a favore dei più deboli, contro gli sprechi e il degrado. L’ingresso della sua casa è fiorito: timide viole, in un fazzoletto di terra, danno il benvenuto agli ospiti. Tutti sanno che chiedere aiuto ad Anna vuol dire accettare le sue regole: pulizia, ordine e niente bivacchi. Non giudica quando offre sostegno perché «nella vita ogni giorno bisogna ricominciare».
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NNA BALLINI, CLASSE 1928, quarta di nove figli, ha sempre amato l’ordine (oltre che personale) della propria casa e di tutti gli ambienti in cui si vive. Insegnamento che ha dato anche ai ragazzi in quei 20 anni trascorsi nelle scuole come bidella. Sposata con Aldo Zampieri, due figlie Cristina e Federica, rimase vedova giovane (aveva 46 anni). Si rimboccò le maniche ed entrò nel mondo della scuola. «Ho aiutato il professor Rossi ad aprire l’attuale sede delle medie Caperle di Marzana. Fu un grande lavoro: le lezioni iniziarono regolarmente il 1° ottobre 1977. Scuola che divenne una grande famiglia». Alcuni studenti ancora oggi la ricordano e la salutano con tanto affetto. Fu in quegli anniche Anna cominciò a pensare al «terzo mondo», complici i racconti della sorella suora paolina in Kenia e di padre Lino Poffe, un concittadino che viveva in terra di missione. Ricorda che lo capì durante un viaggio in Costa d’Avorio, «dove toccai con mano che non c’era niente, ma proprio niente e decisi di dedicarmi a queste persone lontane». «Contattai il Gruppo
Missionario di Lugo, mi feci spiegare, poi cominciai a lavorare». Anna iniziò così a raccogliere, in accordo con i negozianti, carta e cartoni (guadagnandosi la nomea di “Anna cartoni – Anna missioni”). Caricava il materiale sulla bicicletta (che portava a mano), stoccava il tutto nel cortile della parrocchia (casa Peraro, ndr) e poi lo vendeva in grandi quantitativi per dare il ricavato alle missioni. Parecchi anni dopo si comprò la Seicento, sulla quale caricava carta, cartone e molto altro. Nella seconda metà degli anni Ottanta a Grezzana cominciarono ad arrivare gli extracomunitari e avevano bisogno di tutto. Anna raccoglieva materassi, coperte, mobili da chi li scartava e arredava le case di chi aveva bisogno «perché potessero vivere dignitosamente». Fu semplice? «Fu un percorso tutt’altro che facile, come lo è oggi. Non mancarono delusioni. Noi pensavamo a portare loro il necessario e molti di loro chiedevano la televisione. Ma, in fondo, ce l’avevamo anche noi» Ecco. Questa era e rimane la caratteristica di Anna: pronta a capire anziché giudicare.
DI ALESSANDRA SCOLARI
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Anna in missione
Il Centro di ascolto della Caritas, per chi volesse offrire la propria collaborazione, è aperto il giovedì pomeriggio nell’oratorio di Grezzana dietro il campanile (primo piano).
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A GREZZANA NEGLI ANNI OTTANTA, fondò, assieme ad alcune amiche, il Gruppo Missionario «il cui scopo», ha scritto Anna sulle pagine de Il Progno (giornale della Pro Loco di Grezzana, ndr) «è quello di approfondire i temi del Terzo Mondo, capire le cause che determinano ancora tanta differenza tra paesi ricchi e poveri, sensibilizzando la comunità ai tanti problemi dei popoli in via di sviluppo, oltre che raccogliere fondi». Negli anni Novanta la Cei promosse la Caritas in ogni parrocchia. Arrivò l’invito anche a Grezzana e il parroco, Monsignor Ottavio Birtele, chiamò a farne parte Anna Ballini e le sue amiche, attive nel Gruppo Missionario, che conoscevano da vicino le necessità delle famiglie disagiate. Il Comune ha messo a disposizione uno spazio per stoccare gli indumenti (dopo averli selezionati) e i pacchi. Anna, finita l’epoca della carta e cartoni (con l’arrivo della raccolta differenziata), si è trovata dentro questa nuova attività, diventando punto di riferimento nelle emergenze ma anche in frangenti
intimi e delicati come la ricerca di una badante a cui affidare i propri genitori: conosce bene pure questo mondo. Così Anna all’età di 90 anni, lucida e giovanile, ogni mercoledì la si può trovare alla Caritas, intenta a raccogliere e piegare indumenti che provengono da famiglie. Il suo appello è sempre lo stesso: «siamo in poche. Abbiamo bisogno di braccia forti che ci aiutino, donne e uomini. C’è tanto da fare. Bisogna accompagnare le persone che aiutiamo, solo così riescono ad inserirsi bene». Nel 2009, l’allora sindaco Mauro Bellamoli assegnò ad Anna Ballini il premio Città di Grezzana per la sua lunga e proficua opera di volontariato.■
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IN PRIMO PIANO VIAGGI BREVI, VIAGGI SOCIAL
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«E tu che fai nel fine settimana?». È questa l’interrogativo che ci aspetta al varco ogni venerdì. Per spiriti curiosi che non hanno sempre tempo e voglia di pianificare e organizzare c’è Meeters.org. Passeggiate condivise in luoghi vicini e lontani: ci si dà appuntamento prima sui social e poi si parte, insieme. Sì, si diventa pure amici.
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ENTRE A MONTECATINI TERME dal palco di Atws 2018, Adventure travel world summit a cura di Atta (Adventure travel trade association) si parla del valore del turismo avventura che ad oggi vale, nel mondo, 300 miliardi di dollari e che vede l’Europa tra le destinazioni più richieste negli anni con un valore complessivo economico in crescita nell’ultimo anno del 27%, sul web spopola una nuova community in parte virtuale ma più che mai reale: parliamo di Meeters, Associazione Culturale italiana (con sede legale proprio nel veronese) che promuove e diffonde la cultura sociale organizzando uscite sul territorio nazionale e oltre confine. Non solo avventura quindi, ci dicono i fondatori di Meeters che, descrivendo la loro mission, parlano di: «Favorire l’incontro tra le persone, valorizzando e promuovendo il territorio italiano e straniero e con esso la cultura del luogo, le sue tradizioni, assieme al patrimonio naturalistico, paesaggistico, ambientale, artistico e storico. La nostra associazione è aperta a tutti coloro che condividono questo spirito e questi ideali». Ma facciamo un passo indietro e pensiamo a tanti, troppi, weekend in cui ci siamo ritrovati annoiati e pietrificati sui nostri divani a domandarci: e oggi cosa possiamo fare? A battere noia e
pigrizia, e a riempirci di stimoli ci pensa ora Meeters. Incuriositi da questa associazione che conta oltre 2.500 soci partecipanti abbiamo incontrato Claudio Perlini, collaboratore storico. Come è nata questa idea e chi si nasconde dietro le quinte? Tutto è nato in un sabato d’autunno del 2016 quando Davide Zanon, fondatore e presidente dell’associazione, mi propone di andare in montagna condividendo l’invito via facebook per fare qualcosa di diverso conoscendo persone nuove. Da quell’uscita prende forma un’idea che si concretizza a febbraio 2017 con la fondazione dell’associazione Meeters Italia intorno alla quale collaborano diversi volontari tra guide, esperti di trekking e accompagnatori. Come si può entrare a far parte del vostro gruppo e in che forma? Semplice: basta pagare la quota sociale che permette di partecipare a tutte le uscite gratuite (una al mese circa) e a quelle con i nostri ambassadors riservate ai nostri Soci. Come ogni associazione, una volta iscritti, si ricevono informazioni sulle attività, anche tramite il gruppo facebook riservato agli associati e si avrà diritto di usufruire delle numerose con-
DI GIORGIA CASTAGNA
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venzioni riservate ai nostri soci. La tessera, riservata ai soli maggiorenni, include anche una polizza sugli infortuni. Quali saranno le prossime uscite? Il calendario è fitto ma grazie alla nostra pagina facebook si è sempre aggiornati: passiamo dalla città culturale, all’uscita trekking in montagna alla passeggiata sul lago. Per ogni uscita c’è un livello di difficoltà che va da 1 a 5 così da aiutare chi si iscrive. Il costo è naturalmente simbolico e serve per coprire le spese. E per gli spostamenti? Quando possibile sposiamo la filosofia del “turismo sostenibile” ritrovandoci su punti strategici di partenza e condividendo le auto per muoverci! Che formazione ha l’ambassador e come si fa a diventarlo? L’ambassador è un semplice ambasciatore/ promotore positivo della nostra associazione. Qualcuno che condivide in pieno i nostri principi e che vuole mettere a disposizione del gruppo delle conoscenze personali su un percorso, su una città su un posto. Solo avvicinandosi al gruppo e partecipando però si può capire e respirare a pieni polmoni la nostra filosofia. Per questo invito tutti a visitare il nostro sito: www.meeters.org.■ I partecipanti Meeters durante alcune uscite
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PER OLTRE MEZZO SECOLO IN FONDO AL LAGO
STORIA DI UN RELITTO DIMENTICATO Duecentosettanta metri sotto il Lago di Garda c’è il relitto di un mezzo militare statunitense precipitato nel 1945. Dopo anni di ricerche e di frementi attese, un’associazione di Torbole è riuscita ad individuarlo e a dare un’identità alle 25 persone a bordo del mezzo ritrovato sul fondale del lago. Sul relitto ora c’è, finalmente, una bandiera americana.
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OTTO LE ACQUE DEL LAGO di Garda si nascondono misteri insoluti che fanno da cornice alle vacanze di uomini e donne da tutto il mondo in cerca di divertimento. Fateci caso, mentre si nuota nel lago non si è coscienti di quello che c’è sotto. Imbarcazioni lo attraversano con la sola certezza della profondità. Una profondità irregolare, che solo alcuni punti di riferimento possono segnalare. A duecentosettanta metri, all’altezza delle spiagge di Torbole, giace da più di mezzo secolo un mezzo militare statunitense, affondato il 30 aprile del 1945. A bordo c’erano ventisei uomini, di cui un bagnino, il caporale Thomas Hough, l’unico che riuscì a salvarsi dopo l’affondamento dell’anfibio. La ban-
dierina americana è stata piazzata sul mezzo solo lo scorso ottobre, dopo anni di ricerche, e l’immersione di un sommergibile specializzato. La storia di questo relitto ha le sue radici proprio in quel tragico giorno di primavera del 1945, quando l’allora bambino Carlo Bombardelli sentì le grida dell’unico superstite, il caporale Hough, mentre si trovava in acqua. Degli altri venticinque non si seppe più nulla. Ad indagare sull’accaduto è stata l’associazione Benàch di Nago-Torbole, assieme ai Volontari del Garda, che nel 2012 è riuscita ad individuare il relitto attraverso la tecnologia sonar, analizzando un’area di 7 milioni di metri quadrati. Intanto negli anni, le famiglie delle vittime sono state rintracciate e sono rimaste sospese nell’attesa di una risposta. Le ricerche storiche dell’associazione hanno portato alla luce l’identità dei venticinque soldati, che appartenevano alla Decima Divisione da Montagna. Lo scorso ottobre, conoscendo le coordinate della zona nel quale giaceva il Dukw americano, l’associazione Benàch ha approfondito gli studi, andando a vederlo da vicino a duecentosettanta metri di
DI MARCO MENINI
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profondità. Per farlo è stato necessario l’utilizzo di un sommergibile specializzato, che si è calato nelle acque scure e verdi del lago con a bordo tre persone. Tra queste anche il colonnello Jeff Patton, che all’epoca era l’Addetto Aeronautico all’ambasciata americana. Il relitto è stato fotografato e filmato, e con il materiale raccolto l’associazione non esclude di provvedere alla realizzazione di un documentario. In occasione delle immersioni si è cercato di fare luce anche sulle zone circostanti, nella speranza di trovare eventuali reperti, come il cannone che si trovava sull’anfibio prima dell’affondamento. ■
Da sinistra il sindaco di Nago-Torbole, il pilota del sommergibile e l'esperto di sicurezza
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FARE LEGNA, UNA FATICA ROMANTICA
DIMMI COME ACCATASTI E TI DIRÒ CHI SEI Certo è prima di tutto un grande e spossante lavoro. Ma come per ogni gesto che compiamo, anche nel costruire la legnaia c’è sempre “un dietro le quinte” di fascino che può essere scoperto e guardato. Lo scrittore scandinavo Lars Mytting ha affrescato il lato “romantico” di questo sramare e impilare che, in Norvegia come in Lessinia, dice molto del nostro carattere e del nostro valore (anche in amore).
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’INVERNO È ALLE PORTE e con l’avanzare della stagione fredda ognuno di noi, anche chi adora i climi più caldi, non può fare a meno di immaginare se stesso disteso su una poltrona, con ai piedi dei calzettoni di lana con su scritto “Let it snow”, intento ad osservare beatamente il fuoco che crepita nel caminetto. Ma ecco che, dopo un po’, le fiamme cominciano a riavvolgersi su se stesse, e bisogna alzarsi, andare nel cassettone, prendere un ceppo e riattizzare il fuoco. Il fatto è che... ops! La cesta è vuota, bisognerà andare a rifornirsi alla legnaia...Che peccato, si stava così bene...Fine del sogno. Non c’è niente da fare: riscaldarsi con la legna è bello ma faticoso. Eppure c’è uno scrittore scandinavo, Lars Mytting, che ha riflettuto molto sul lato “romantico” di tutto il processo che conduce poi alla scena deliziosa di cui si parlava. La sua ricerca è confluita in un libro dal titolo Norwegian wood (sì, si intitola proprio così, come uno dei romanzi di Haruki Murakami al quale Bob Dylan sembra aver soffiato il Nobel per la letteratura, e anche come una canzone dei Beatles…) e nel 2016 è diventato un bestseller internazionale tradotto in ben dieci lingue. Quando lo si prende in mano, sembra proprio di afferrare un pezzo di legna; oltre ad avere quell’aspetto austero che hanno tutti gli oggetti aventi uno scopo utilitario, è massiccio, avvolto in una copertina ruvida, e trasmette serietà e fiducia. E, in effetti, cosa ci può essere di più coscienzioso di un libro che ti tiene incollato per quasi trecento pagine raccontandoti nei dettagli tutti i segreti del bosco, del periodo migliore per abbattere gli alberi, degli attrezzi più idonei da utilizzare (scure e motosega su tutto, ma declinati in tutte le varianti possibili e im-
maginabili), della “legnaia”, della scelta della stufa e dell’arte di “svuotare la cenere”? In realtà, ciò che più interessa e stupisce di questo studio non è tanto la dovizia di particolari e di elementi tecnici forniti, ma il racconto di quello che risulta essere, alla fine, uno stile di vita, un approccio all’esistenza che interessa tutti, anche coloro che hanno scelto la stufa e pellet o elettrica, per dire. LE STATISTICHE RIPORTATE da Mytting rivelano che a dedicare il maggior tempo al bosco e al taglio della legna sono gli uomini di oltre 60 anni di età. È certamente ovvio che i pensionati abbiano più tempo per dedicarsi ad un lavoro così complesso, ma ciò che ci troviamo a pensare mentre leggiamo i racconti di vita riportati da Mytting, è che “fare la legna” è anche un’esperienza, se non spirituale, sicuramente intrisa di sensazioni e di emozioni che fanno bene allo spirito. Insomma, dedicare il proprio tempo a curare il bosco, sramare, tagliare, costruire la legnaia, significa scegliere e aderire ad uno “stile di vita”. Un esempio su tutti: la famiglia Brenden. I Brenden vivono in una fattoria in Norvegia, e nel periodo delle feste tutta la famiglia viene a stare da loro. Da Natale a San Silvestro. Ecco, sì, già di fronte a questa ipotesi è possibile che nella testa di molti prendano vita scene apocalittiche da ricacciare subito nel dimenticatoio. Una settimana di cenoni, con la zia Rosetta che quando alza un po’ il gomito comincia a ridere come una scimmietta, con il cognato Alfredo che rovina sempre la festa parlando di politica e la cugina Jasmine che se la svigna ad ogni occasione per vedere la diretta del Grande Fratello vip? No. Niente di tutto ciò. Perché i Brenden
DI MICHELA CANTERI
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vanno per una settimana tutti insieme nei boschi, dotati di trattore e motoseghe, e si occupano della legna che servirà loro per tutto l’inverno. Perché, dice Mytting, «c’è qualcosa di magico nel radunarsi in un posto al quale tutti sono legati sin dall’infanzia e lavorare insieme». Detto ciò i capitoli che attraggono di più l’attenzione sono in particolare due. Il primo è quello dedicato al ceppo, “altare del taglialegna”, non solo perché la sua solidità permette di svolgere il lavoro con efficienza e precisione, ma perché esso rappresenta una sorta di postazione dal quale l’uomo dei boschi osserva il mondo. Qui si siede per riposare, meditare, respirare a pieni polmoni il soffio della natura che si sprigiona tutto intorno. Il secondo è dedicato alla legnaia che, ribadisce Mytting, «non ti pianta in asso, vedi a colpo d’occhio quanta legna ti è rimasta e quando la porti a casa sai che il peso che reggi con le mani è direttamente proporzionale al calore che ne otterrai». Fondamentale è il giusto accatastamento visto che mette alla prova la nostra personalità e anche le nostre capacità pratiche, oltre che estetiche. «Dimmi come accatasti e ti dirò chi sei», ci dice lo scrittore, che sottolinea la corrispondenza tra legnaia e il carattere di chi l’ha costruita. Se la legnaia è ben salda, l’uomo lo sarà altrettanto, mentre
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la persona timida la costruirà bassa, quella ambiziosa la farà alta, la previdente grande, mentre colui che non si preoccupa per il domani la costruirà piccola. Se la legnaia è ordinata lo spasimante sarà affidabile, mentre se non c’è legnaia non c’è da fidarsi. E infatti nell’Ottocento le giovani donne dello stato del Maine (U.S.A) erano solite scegliere il proprio futuro marito a seconda di come accatastava la legna. Ecco, adesso i maschietti staranno ritornando all’inizio dell’articolo per trascriversi il nome del libro di cui stiamo parlando, e imparare a costruire la legnaia più bella che si sia mai vista. E hanno ragione a farlo. Perché per l’uomo che lascia al freddo la sua donna non c’è pietà.■
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IL FOCUS DI VERONA NETWORK
L’ALTERNANZA SCUOLA LAVORO? NON SI PUÒ E NON SI DEVE TORNARE INDIETRO L’ha ribadito il provveditore agli Studi di Verona intervenuto lo scorso 25 ottobre al quarto focus dedicato al tema dell’ASL, organizzato dall’associazione Verona Network nella sede della CCIAA scaligera. Si è parlato del panorama attuale che vede all’orizzonte l’interrogativo della mini-riforma sul tavolo del ministro dell’Istruzione Marco Bussetti con l’intenzione di ridimensionare il modello introdotto dalla Buona Scuola. DI ALICE GALLI
L
’INCONTRO, A CUI HANNO PARTECIPATO, dirigenti scolastici, insegnanti e alcuni studenti, è stata l'occasione per tracciare un bilancio del primo triennio di obbligatorietà dello strumento didattico dell’alternanza scuola lavoro. Presenti all’evento Pietro Scola, direttore della Camera di Commercio di Verona, Albino Barresi, provveditore agli studi di Verona, Laura Parenti, referente provinciale delle attività ASL presso l’ufficio scolastico di Verona, Mario Bonini, coordinatore dei dirigenti scolastici e Daniela Galletta, coordinatrice della rete di scuole “Scuola e territorio: educare insieme”. Nella seconda parte del convegno sono stati presentati alcuni casi concreti e innovativi di alternanza scuola-lavoro come quello del Verona FabLab e del Megahub di Schio e del progetto Al-
ternaLab finanziato da Fondazione Cariverona. Ad aprire l’evento con i saluti istituzionali, il direttore della Camera di Commercio di Verona Scola che ha esordito dicendo: «Fin dall’inizio del progetto ho ritenuto che ci fosse da lavorare per aiutare i ragazzi ad entrare in società. A Verona c’è una grande attenzione verso questo tema, tante sono le persone, le istituzioni e i professori che collaborano per questa iniziativa. Ogni anno organizziamo la giornata dell’alternanza scuola-lavoro e cerchiamo di far sì che sia un’esperienza di valore». Diverse sono le iniziative promosse dalla Camera di Commercio riguardanti il progetto di ASL in materia di sicurezza e ampliamento dell’offerta formativa. Oltre alla realizzazione di una piattaforma online che permette agli studenti di seguire un corso sulla sicurezza con rilascio di un attestato che ne certifica il superamento, strumento di cui si sono servite oltre 30 scuole veronesi, l’impegno della CCIAA è indirizzato nel trovare soluzioni efficienti per mettere in contatto scuole, imprese e camere di commercio di diverse città europee per facilitare l’organizzazione di esperienze di alternanza all’estero da offrire alle scuole locali. Terminato l’intervento del direttore, ha preso la parola il neo provveditore agli studi di Verona Albino Barresi che, nonostante sia consapevole delle difficoltà messe in luce dal ministro Bussetti in termini di eterogeneità del territorio e delle relative imprese, ha sottolineato l’importanza dello Il provveditore Albino Barresi al tavolo dei relatori
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strumento dell’alternanza scuola-lavoro nella formazione degli studenti: «Benché io venga da una realtà come quella della Calabria, dove le opportunità in termini di imprese sono radicalmente differente da quelle offerte sul territorio veronese, posso testimoniare che quella dell’alternanza scuola-lavoro è un’esperienza molto significativa per gli studenti. Ci possono essere diverse problematiche legate al tema dell’alternanza ma nonostante ciò posso garantire che è un elemento qualificante per le nostre scuole. L’alternanza va sistemata ma è qualificante. Sul piano razionale non credo si possa tornare indietro. In un territorio come Verona è innegabile una scelta come quella dell’alternanza che è la sola occasione di confronto che consente agli studenti, di uscire dalle mura fisiche dell’edificio scolastico. Qual è il senso dell’educazione? – ha concluso il provveditore agli studi - Quello dell’educere, del portar fuori. Abbiamo il compito di mettere gli studenti nella condizione di tirar fuori il meglio di sé e per farlo l’alternanza è una scelta obbligata». A SOSTENERE LE PAROLE DEL PROVVEDITORE, i dati presentati da Laura Parenti, Referente provinciale delle attività ASL: «L’ufficio regionale ha preso in considerazione le risposte di 62 percorsi formativi del territorio. Dai dati emerge che la totalità delle scuole propone delle attività di formazione o di alternanza esterna alla scuola». 8498 le strutture/aziende veronesi che hanno ospitato i circa 16.000 studenti di classe terza e quarta nell’anno scolastico 2017/2018, in media due studenti per struttura senza contare gli studenti di quinta che, solitamente, non fanno esperienze esterne. Il
totale studenti veronesi del triennio è stimato attorno alle 23.000-24.000 unità. Nella seconda parte del convegno sono stati presentati alcuni casi concreti e innovativi di alternanza scuola-lavoro tra cui il FabLab, il laboratorio sperimentale per l’innovazione dove macchina e competenze si intrecciano. Al suo interno vengono organizzati eventi formativi e sessioni pratiche rivolte a bambini dai 5 ai 14 anni ma anche studenti, startuppers, imprenditori e hobbisti. Tra le opportunità offerte da FabLab quella di un orientamento professionale, quella di conoscere la tecnologia e la sharing economy e di sviluppare la capacità di team working. All’interno di questa categoria rientra anche il Mega Hub di Schio nato dalle richieste dei ragazzi della zona di uno spazio di coworking artigianale. Tra le iniziative di cui si è parlato al convegno anche il progetto AlternaLab che mira, attraverso un percorso formativo e di project work aziendale, alla formazione di team multidisciplinari. Oggi sono 12 aziende del territorio aderenti al progetto e 300 gli studenti che saranno coinvolti nell’arco di due anni.■
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A LEZIONE DI SORRISO CON LA MAESTRA DELLA GIOIA
DI SACCHETTI DEL PANE VUOTI E DI GIOIE PIENE Silvia Carletti, educatrice, formatrice, clown, porta avanti sul territorio veronese dei corsi sulla gioia, per imparare come comunicare in maniera gioiosa con sé e con gli altri.
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ENITORI FELICI, BIMBI FELICI. Un detto a cui i genitori, a volte esasperati dalle richieste dei figli, faticano a credere. Bastasse quello, viene da dire, mentre si lotta con l’ennesima scenata del proprio bambino davanti alla corsia dei dolci al supermercato. Eppure funziona. Un approccio gentile, gioioso, ai piccoli (e grandi) problemi della vita, aiuta a risolvere crisi, offrendo strumenti per affrontarle in modo diverso. A dirlo sono non solo pedagogisti e studiosi, ma anche l’esperienza quotidiana della vita in famiglia, alle prese con 3 figli, di Silvia Carletti, una laurea in scienze dell’educazione e una in accompagnamento al malato terminale, conclusasi con una tesi sull’efficacia della gioia sulla malattia, clown (nome d’arte, Pistacchio), fondatrice insieme ad altri colleghi dell’Associazione OPS Clown (Onlus Per il Sorriso). Un personaggio eclettico e difficilmente “catalogabile” che, tra corsi alla scuola di circo, lauree universitarie, esperienze di volontariato tra i bambini di strada brasiliani e tra le corsie dei principali ospedali italiani, ha dedicato buona parte del suo percorso allo studio della gioia e alle sue “applicazioni” pratiche. Sì, perché – sostiene Silvia – la gioia si può imparare. E si può
trasmettere all’altro – figlio, marito, studente, vicino di casa che sia – contribuendo a risolvere crisi, senza urli o rimproveri. «UNENDO I MIEI PERCORSI FORMATIVI e personali – perché tutto parte da una ricerca personale, dal mio bisogno di stare bene e di far stare bene la mia famiglia – ho dato vita a questi “corsi della gioia”, nei quali a una parte teorica, basata sugli studi, tra gli altri, di Maria Montessori, Jacques Le Coq e del brasiliano Paulo Freire, unisco una parte pratica e di confronto. Tengo corsi per educatori, per genitori, ma anche per persone “comuni”». Dai suoi incontri passano poliziotti, preti e perfino parrucchieri, «che si sa, devono essere un po’ psicologi!», così come persone che hanno affrontato un lutto. Nel caso dei corsi pensati per i genitori, per esempio, Silvia spiega, tra l’altro, come fare magie con oggetti di uso comune, per avere sempre a portata di mano uno strumento con cui “praticare” la gioia. Un banalissimo sacchetto del pane può trasformarsi in un oggetto magico, capace di “catturare” la rabbia o la tristezza del proprio bambino. «Davanti a un momento di crisi, si può chiedere al bambino di gettarvi dentro i sentimenti che
DI FRANCESCA MAULI
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lo fanno stare male. Si può guardare la rabbia racchiusa là dentro, si può colorare il sacchetto, ci si può giocare. Non si tratta di distrarre il bambino da quel sentimento, ma di aiutare a elaborarlo in un modo diverso, a prenderne coscienza. Diventa un allenamento importante anche per il futuro». Non a caso, “trucchi” come questo funzionano anche con gli adulti. «Un giorno ho calmato due signore che litigavano per la fila all’ufficio postale, grazie al mio sacchetto del pane!» racconta Silvia ridendo. Durante i suoi corsi sulla gioia, in realtà, si piange anche. «Non si può parlare di gioia senza prendere in considerazione anche altre emozioni, come rabbia, tristezza, dolore. Percorsi come questo vanno a scavare, a far emergere emozioni che cerchiamo di tenere a freno, ma che devono esprimersi» spiega. «Il mio percorso nella clownerie ha salvato me stessa, prima di tutto» conclude. «Mi ha aiutata a trovare modi efficaci per gestire l’ansia. Ho imparato che esistono strumenti semplici, a portata di tutti, per affrontare meglio la vita, ed è bello poter condividere questa presa di coscienza con gli altri, perché siamo tutti sulla stessa barca, vogliamo tutti stare meglio. Sono spunti, un “semino” che lancio e che poi gli altri fanno proprio, e che si evolve nel tempo, adattandosi alle nuove sfide che la vita – e i nostri figli! – ci mettono davanti».■
Silvia Carletti
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FANTASIE (POSSIBILI) PER UN GRANDE CASTELVECCHIO Ha bisogno di allargare gli orizzonti il Museo veronese che sorge in riva all’Adige per diventare una istituzione all’avanguardia. Grazie a nuove sezioni espositive e a servizi aggiuntivi per i quali gli spazi ci sarebbero, se...
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NCHE L’ARCHITETTO CARLO SCARPA, probabilmente, reclamerebbe più spazio per il Museo di Castelvecchio. Così il maniero scaligero che affonda le proprie fondamenta accanto al fiume Adige, forziere di opere d’arte uniche al mondo e valorizzate proprio grazie all’allestimento scarpiano, potrebbe diventare un’istituzione museale all’avanguardia, con moderne sezioni espositive e gli indispensabili servizi. Quali? A più di mezzo secolo dal taglio del nastro del museo, le sue carenze non possono essere ignorate: «Se il percorso espositivo rimane un unicum sostanzialmente intoccabile, sono fortemente sottodimensionati gli spazi per l’accoglienza del pubblico, perché è cambiato nel tempo il modo di visitare un museo. Mancano all’ingresso servizi elementari (guardaroba, servizi igienici, punto ristoro e vendita), mancano spazi per le attività didattiche e la biblioteca d’arte è costretta in un inadeguato deposito all’Arsenale. Manca la possibilità di rendere fruibili importanti sezioni delle collezioni museali come i dipinti del
L’INCONTRO
Seicento-Settecento, il gabinetto numismatico, le stoffe di Cangrande». A fornire l’elenco è l’architetto Alberto Vignolo, curatore con Maurizio Cossato del volume Fantasie per Castelvecchio. Una proposta per l’ampliamento del museo civico: summa di idee (possibili) per ampliare gli orizzonti della struttura, andando incontro alle crescenti esigenze culturali e turistiche della città. La pubblicazione è sostenuta dagli Amici dei Civici Musei d’arte di Verona: associazione che ha promosso e finanziato il recupero della torre di nord-est e ha sistemato la torre dell’orologio con l’apertura al pubblico di parte dei camminamenti di ronda e della torre di sud est. E che adesso sogna un ulteriore impulso per la sede museale, aprendo ai cittadini spazi straordinari come il ristorante con terrazza panoramica sull’Adige. Castelvecchio è oggi quel che si può definire un museo “dimezzato” e le superfici da cui attingere per il suo ampliamento ci sarebbero, se… Non fossero occupate dal Circolo Unificato dell’Esercito. Quando nel 1928 il castello fu messo a disposizione del Comune da parte dello
Si è fantasticato per modo di dire. Perché c’era cognizione di causa in ogni argomento discusso durante il focus che si è tenuto il 6 ottobre scorso nella Sala Convegni dell’associazione M15. L’incontro, organizzato dagli Amici dei Civici Musei d’Arte di Verona, è stato l’occasione per presentare il volume Fantasie per Castelvecchio. Una proposta per l’ampliamento del museo civico curato da Maurizio Cossato e Alberto Vignolo. Durante l’appuntamento si sono affrontate le ragioni e il valore per la città di una proposta di questo tipo con Francesco Monicelli. Spazio anche al capitolo storico-giuridico con Stefano Dindo.
DI MARTA BICEGO
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Stato, nel relativo atto fu scritto che veniva trasferito al Comune l’uso dell’intera struttura, salvo il fatto che era consentita la permanenza in via transitoria del Circolo Ufficiali fino a che il Comune stesso non fosse riuscito a trovare una sistemazione alternativa idonea. Nell'attesa sono trascorsi 90 anni.Da qui la mobilitazione degli Amici. «Un’iniziativa analoga risale al 1992, in concomitanza con la nascita della nostra associazione, fondata nel 1991 da Giacomo Galtarossa», ricorda il presidente degli Amici dei Civici Musei, Francesco Monicelli. «In ventisei anni molto è cambiato, per esempio nell’attenzione alla didattica rivolta a persone con disabilità sensoriale, cognitiva e motoria – spiega –. La leva non è più obbligatoria e i co-
mandi militari sono stati trasferiti in altre città, riducendo il numero di graduati. Lo stesso Circolo è mutato, prima riunendo ufficiali e sottufficiali, poi aprendosi ai soci aggregati». La questione di fondo però è un’altra: «Il Circolo Unificato può trasferire altrove la propria attività, il museo di Castelvecchio può espandersi soltanto lì». La speranza è quindi che il movimento di opinione in favore dell’ampliamento del castello, forte di una civica alleanza, diventi virale: «Il futuro della città, che deve scommettere su un turismo culturale qualificato e coinvolgere il territorio, e delle prossime generazioni si gioca su questo. Un Grande Castelvecchio, con servizi adeguati, è un investimento per il futuro di Verona». ■
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I MONUMENTI DEI CADUTI E IL LUTTO “DIFFUSO”
QUEGLI UOMINI CHE NON VIDERO L’INIZIO DELLA PACE Il professore Angelo Andreis ha censito i monumenti dei caduti della Lessinia. Un lavoro meticoloso che ha trovato sintesi nel libro Soldati al f ronte. I caduti della Lessinia nella Grande Guerra 1915-1918 e che ha permesso a molte famiglie di ritrovare traccia dei propri cari.
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APPIAMO TUTTI QUANTI morti portò la prima grande guerra della storia dell’uomo. È sufficiente dire milioni. Ne basterebbero anche meno per sconvolgere menti e cuori. In ogni caso è importante comprendere che «la guerra fece a pezzi le famiglie, provocando un flusso ininterrotto di separazioni e perdite che nulla poté fermare». Una intera società fu in lutto. Madri che hanno perso figli, mogli che hanno perso mariti, fratelli che hanno perso fratelli, e poi i cugini, i parenti, infine gli amici. Anche quelli conosciuti sul fronte, in situazioni indicibili di sofferenza, che hanno condiviso insieme gli ultimi barlumi di vita. Lutto diffuso, dunque. “Comunità in lutto”. Ma per quale motivo poi? Perché mio figlio, mio marito, mio fratello, è stato ucciso? Perché la guerra? Sarò in grado di accettarla? Riuscirò a superare il dolore? «La capacità di superare il trauma fu un privilegio non un’esperienza diffusa», sottolineano gli storici. Ma superare il lutto costringe a ricordare. Ricordare quei terribili 1500 giorni di angoscia. Altrimenti, si sperimenta l’oblio.
«C’era al tempo la necessità di giustificare la guerra e la morte con la costruzione di una memoria, che fosse vera o meno». Lo sforzo di commemorare i caduti andò oltre i convenzionali slogan di ispirazione patriottica. La ricerca di un “senso” per quella carneficina passava anche dalla “morte per la patria”, ma andava oltre. Per questo motivo il lutto non fu una questione affrontata dal potere. Questo è ciò che accadde anche nella nostra Lessinia, e lo ha messo ben in luce il prof. Andreis nella sua ultima opera Soldati al fronte. I caduti della Lessinia nella Grande Guerra 1915-1918. «Spesso la richiesta, la necessità di erigere il monumento, non venne dall’alto, ma dalla comunità». Si costituivano dei Comitati dedicati alla realizzazione dell’opera, alla quale l’amministrazione partecipava finanziariamente come rappresentante dei cittadini. «Le iniziative statali furono rivolte piuttosto alle celebrazioni del Milite Ignoto, all’istituzione dei Parchi della Rimembranza, e al conferimento di decorazioni militari», puntualizza il professore. Quindi anche la Lessinia partecipò alla «corsa
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al monumento», come la definiscono gli storici, e «con affetto in segno di gratitudine verso dei compaesani immolatisi sui campi di battaglia», sottolinea Andreis. «Per innalzare i monumenti si scelsero come siti dei luoghi centrali, ben visibili, spesso la piazza principale, non solo per esaltare la eroica azione dei soldati morti, ma anche perché il manufatto fosse di monito alle nuove generazioni e agli stessi rappresentanti politici», che portasse alla inibizione di ogni decisione di belligeranza. 1.053 FURONO I CADUTI originari dei paesi e delle frazioni della Lessinia, tra morti in combattimento, per malattia, dispersi e morti in prigionia. Di questi Andreis ha ricercato il profilo nei ruoli matricolari, ma non sempre ha trovato notizie. In alcuni casi, infatti, come per esempio a S. Bortolo delle Montagne o a S. Giovanni Ilarione, è arrivato a rintracciare i nomi negli archivi di Vicenza, perché nell’elencare i nomi sul monumento si era seguito il criterio della parrocchia e non quello del comune. Le ricerche sono state rese ancora più complicate dal fatto che in alcuni monumenti erano riportati nomi popolani, diversi quindi da quelli registrati in anagrafe. «Pensiamo per esempio ad Attiglio, che sul monumento è scritto Tiglio». Poi si possono citare i casi di omonimie, doppi nomi, stesse date di nascita, ruoli matricolari sbagliati. E, non da ultimo, è da sottolineare il fatto che potevano anche essere omessi i nomi dei disertori, soprattutto quando il monumento fu eretto in epoca fascista.
Grazie al lavoro meticoloso del professor Andreis, che nel libro ha riportato la descrizione del monumento, la storia, l’elenco dei caduti e alcune tabelle, oggi molte famiglie hanno ritrovato traccia dei loro cari, soprattutto i cittadini di Vestenanova e di S. Giovanni Ilarione, i cui archivi comunali erano andati persi a causa dell’incendio del municipio. Lo spaccato che ne risulta è di un territorio che è stato coinvolto a tutti gli effetti nella guerra. Risparmiata dai combattimenti, la Lessinia ha avuto un ruolo fondamentale soprattutto agli inizi dell’entrata in guerra dell’Italia. Il 24 maggio del 1915, infatti, i soldati italiani erano già stanziati lungo il confine, pronti a invadere il Trentino. Nei mesi successivi furono realizzate strade carrozzabili e mulattiere, postazioni, trincee, acquedotti. Furono dislocati 500 ufficiali e 23.500 soldati di truppa. Furono mobilitati i giovani delle classi dal 1874 al 1900. E dopo la disfatta di Caporetto furono chiamati i cosiddetti “ragazzi del ‘99”, che portarono poi alla vittoria italiana. Una vittoria che quest’anno viene celebrata nel suo centenario. Ma, come puntualizza il professor Andreis, «più che la fine della guerra, con il 4 novembre è da ricordare l’inizio della pace». ■
La copertina del libro
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SUCCESSIONE E TESTAMENTI QUELLO CHE C’È DA SAPERE Dopo una vita passata a tentare di ordinare carte e scartoffie, una sola cosa è certa: queste non ci abbandoneranno mai, neanche dopo la nostra morte. Purtroppo un giorno moriremo e anche allora, anche se si tratta di un evento non programmato, porterà con sé una serie di conseguenze burocratiche che i nostri cari non potranno aggirare. Pertanto anche la morte, necessita della giusta preparazione e per farlo serve prima fare un po’ di chiarezza. Ci siamo mai chiesti dove finirà il nostro patrimonio, sia esso piccolo o grande, una volta giunta l’ora della nostra dipartita? Che fine faranno i nostri beni, i crediti e, eventualmente, i nostri debiti? In uno stato di diritto come quello Italiano, il privato proprietario di beni e di immobili può, in vario modo, trasmetterli ai propri eredi. Ma come avviene questa successione? Nel nostro Paese quest’ultima può essere regolata per legge e prende il nome di successione legittima o dal testamento (successione testamentaria). In linea di massima la legge mira a tutelare alcune categorie di sogget-
ti legati da stretti rapporti famigliari con il defunto riconoscendo agli stessi alcuni diritti minimi e intangibili e prevedendo degli strumenti giudiziari a tutela degli aventi diritto. È possibile però che ci siano più categorie di successibili nella stessa successione. Oggi vi illustreremo come avviene la ridistribuzione dei beni secondo la legge nel caso in cui il defunto, al momento della morte, fosse coniugato. Nel caso il defunto lasci un coniuge, la quota di riserva di quest’ultimo è di metà del patrimonio secondo l’art. 504 c.c., salvo le ipotesi di concorso con un figlio. In tal caso al coniuge è riservato 1/3 del patrimonio e l’altro 1/3 è riservato al figlio. Se invece ci fossero due o più figli, al coniuge è riservato 1/4 del patrimonio ed i restanti 2/4 sono riservati ai figli in parti uguali fra loro. In ogni caso al coniuge superstite sono riservati i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza famigliare e di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o in comune. Se chi muore non lascia figli ma ascendenti, a loro favore è riserva-
to 1/3 del patrimonio, salvo l’ipotesi di concorso con il coniuge perché in tal caso agli ascendenti è riservato 1/4 del patrimonio e al coniuge 2/4 del patrimonio ai sensi dell’art. 538 c.c.. La quota di eredità non compresa nella quota di riserva dei vari successibili costituisce la quota disponibile. Al coniuge separato con separazione non addebitata spettano gli stessi diritti del coniuge non separato. Solo il divorzio interrompe i diritti successori fra coniugi separati. Che ruolo gioca allora il nostro testamento? Qual è il suo scopo e come se ne scrive uno perché sia valido? Tutto questo e molto altro ancora lo scoprirete prossimamente sul nostro sito www.veronanetwork.it
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IL MONDO SCOLPITO DI ROBERTO BRAVI
PINOCCHIO? MEGLIO I ROBOT SECONDO IL GEPPETTO DELLA LATTA Ama definirsi un esteta. La sua quotidianità è scandita dallo sguardo con cui osserva il mondo e le persone. Roberto Bravi si fa guidare dall’istinto su tutto, o quasi, «la prima impressione non tradisce mai». Con le sue “Metal Pictures”, originali tele metalliche e sculture di vario tipo e dimensioni, cerca di impadronirsi dello spazio che lo circonda. Lo riempie con colori e materiali che si fondono in «un attimo di fuggente bellezza».
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OBERTO HA ALL’ATTIVO diverse mostre su tutto il territorio nazionale, ma non è sempre stato un’artista stricto sensu ed è forse questo che lo rende un personaggio estremamente umile e capace di cogliere le sfumature della vita. Veronese doc, nasce e vive in Veronetta. La sua casa è variopinta e accogliente: è lì che lo abbiamo incontrato. Da dove nasce la sua passione per l’arte? Quando ero piccolo rimanevo incantato a guardare mio padre, calzolaio, mentre lavorava. Colla, pelle, cuoio, chiodi, martello e due grandi mani esperte: queste erano le sue armi. Tagliava, bucava, incollava e chiodava per costruire scarpe su misura. Trasformava pezzi di pelle e cuoio in piccole sculture. Lei è un “eclettico”: qual è stata la sua strada fino a qui? Ho fatto diversi lavori per vivere: il postino, il fotografo e sono stato un impiegato informatico per molti anni. Poi ho mollato tutto perché avevo bisogno di altro. Sono ripartito da zero facendo l’artista di strada, il giocoliere e poi il sommelier; tuttavia il cambiamento vero e proprio è avvenuto a causa di un incontro. Un incontro? Sì, per caso mi sono imbattuto in un vecchio portone di legno con rammendi inchiodati in ferro: un’opera d’arte. Da quel momento ho
iniziato a fare il lavoro di mio padre: di fatto, anch’io uso chiodi e martello, ma al posto di pelle e cuoio ci sono ferro, latta e legno. In cosa consistono le sue opere? All’inizio ristrutturavo vecchi mobili fissandoci sopra pezzi di metallo; poi sono passato alle sculture e successivamente, ai quadri, le “Metal Pictures”: dei collages di metallo, combinati o scombinati, in base a ciò che sento e saldati con chiodi su dei pannelli di legno. La sua creatività è legata a doppio filo al recupero dei materiali… Riciclo vecchie scatole in latta che cerco nei mercatini dell’usato; rigorosamente degli anni’ 50- 60 e 70, le trovo fantastiche, sia per il colore e che per la grafica. Raccolgo anche vecchi bidoni arrugginiti abbandonati in campagna e nei letti dei fiumi. Venticinque anni fa, un’amica mi disse: «Roberto ama il metallo che è dentro la terra», in effetti è proprio così. Cos’è per lei l’arte? È duro lavoro, gioco e idee decenti. (sorride, ndr) La maggior soddisfazione? Nel gennaio 2008 ho avuto la classica febbre da cavallo; ho passato una settimana a letto e, come spesso succede quando si è costretti a stare fermi, mi è venuta un’idea. Mi sono messo all’opera e ho iniziato a costruire un robot
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in legno a grandezza d’uomo ricoperto completamente di latta. Ho preso matite, compassi e righelli: l’ho disegnato e poi costruito. Sono stato cosi contento del risultato che, per un anno intero, dodici ore al giorno, mi sono chiuso in casa e ne ho costruiti altri quattro. Da cosa si fa ispirare? Io sono una persona curiosa, guardo un po’ dappertutto: cinema, fumetti, riviste, giocattoli e piccoli oggetti di una volta che compro nei mercatini dell’usato. Mi guardo intorno e trovo sempre uno spunto per un nuovo la-
voro. Per esempio, a casa ho un piccolo modellino di un aereo “Mirage 51”, dal quale ho ricavato una serie di quadri molto colorati con soggetto l’aereo stesso. Con questa personale ho partecipato anche ad un’edizione del Pitti Uomo a Firenze. Insomma, mai abbassare lo sguardo (sorride di nuovo, ndr). Lei come si vede? Guardando i miei lavori, mi viene in mente una frase di Louise Bourgeois, scultrice e artista francese, «Io sono quello che faccio». Sono d’accordo al 100%. ■
Roberto Bravi
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LA REGINA (VERONESE) DEL COSPLAY
ALTRO CHE WONDER WOMAN È diventato un fenomeno di costume (in tutti i sensi) e, dagli anni ’90, smuove orde di appassionati in giro per il mondo, senza però dimenticare le sue radici nipponiche. È il “Cosplay” che, badate, non si può liquidare con un termine banale come “travestimento”: l’arte del “Cosplay” è molto più di questo. E a spiegarcelo è stata Giorgia Vecchini, cosplayer veronese di fama mondiale che ci ha concesso una chiacchierata prima di scappare al Lucca Comics & Games, uno degli appuntamenti dedicati più attesi dell’anno, che si è svolto nella bella città toscana dal 31 ottobre al 4 novembre.
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ARRUCCA VIOLA, BRACCIALI scintillanti e una collana che, ne siamo piuttosto certi, si ispira al cartone animato giapponese degli anni ‘80 “L’incantevole Creamy”. No, non passa inosservata nemmeno quando è in “abiti borghesi” Giorgia Vecchini, in arte Giorgia Cosplay, una delle più celebri cosplayer italiane che, tra un evento in Giappone, un altro a Milano e un altro ancora a Foggia, ha trovato il tempo per fare tappa nella sua città natale, Vigasio («è la mia base lavorativa, da lì mi muovo…mi serve come appoggio») e per raggiungerci portandoci in un mondo colorato, a tratti magico e affascinante: quello del Cosplay. L’intervista la inizia lei con un piccolo preambolo: «Lo so che volete sempre sapere l’età, ma sono come Fonzie: faccio fatica a dirla» (ride, ndr). Va bene, ci ha convinto, niente età. Quando e come è nata la passione per il cosplay? L’attività del Cosplay è nata per caso nel ‘97 proprio al Lucca Comics, più che altro per spirito di emulazione: in televisione trasmettevano Sailor Moon, che era stato un vero e proprio fenomeno di rottura in Italia, e in fiera, con uno dei miei amici, notai che alcuni ragazzi erano travestiti (più che altro da elfi, fantasmi e vampiri), così ci siamo detti: perché noi non lo possiamo fare con i personaggi che piacciono a noi? Detto fatto l‘anno dopo siamo andati a Lucca e io ero vestita da “Sailor Mars”. Si può dire che siete stati i pionieri italiani? Assolutamente sì! Tra l’altro quando abbiamo iniziato non si chiamava “Cosplay”: dicevamo solo “andiamo alla fiera con i costumi” perché internet non esisteva ancora e non ci potevamo rendere
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DI GIORGIA PRETI
conto che nel Sol Levante e in America esisteva già: in Giappone lo chiamavano “Cosplay”, che è la contrazione tra le parole “costume” e “play”, mentre in America lo chiamavano “costuming”. E ora è un vero e proprio fenomeno… Abbiamo spalancato un mondo e nel giro di pochi anni tutto si è concretizzato. Ho aperto nel 2002 il mio sito, ma eravamo solo in 3 o 4 ad avere una pagina personale. Inoltre per creare i costumi c’è stato nel tempo un affinamento delle tecniche e dei materiali. Da questo punto di vista poi l‘Italia è uno degli stati che si batte meglio. Infatti il World Cosplay Summit, che è la competizione mondiale che si tiene a Nagoya, l’Italia l’ha vinto tre volte. Ecco, appunto. Lei ha vinto il summit nel 2005, ma con quale personaggio? Ero l’arpia “Sile” della serie Devilman, che è un personaggio molto apprezzato dai giapponesi. Quell’anno a Nagoya c’era l’Expo universale e il summit era stato inserito nell’offerta degli spettacoli dell’Expo e noi partecipanti ci siamo dovuti esibire davanti a una platea di quasi novemila persone. Io gareggiavo per l’Italia come “singolo” e, a sorpresa, ho dovuto cantare in giapponese la sigla del cartone che era quattro ottave più alta di dove arrivavo io. (ride, ndr)
Lo definirebbe un hobby o un lavoro? È nato come un hobby, ma dopo la vittoria in Giappone hanno cominciato a chiamarmi anche all’estero per altri eventi. Così ho deciso di specializzarmi e ho iniziato a seguire corsi di dizione e conduzione, per poter affiancare la performance cosplay ad altro. Ora organizzo e conduco eventi, sono doppiatrice e speaker radiofonica. Quanto ci impiega a fare un costume? Dipende: ci sono costumi che richiedono tempistiche lunghe perché hanno dettagli particolari. Per quanto mi riguarda un costume complesso può richiedere anche tre o quattro mesi. Smetterà mai i panni della cosplayer? Sicuramente…magari resterò in questo mondo come organizzatrice o costumista. Adesso sto lavorando tanto con i supereroi: ho posato per Vogue nei panni di Wonder Woman. E per quanto riguarda le competizioni? Per mia scelta non ho più gareggiato dopo il 2005 perché ormai avevo vinto le “Olimpiadi del cosplay” ed ero arrivata al top. Ma può essere che prima di andare in pensione… ■
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LA NATURA DISEGNATA DI GIULIA TOSI
INSUNSIT, L’ARTIGIANATO ILLUSTRATO CHE NON C’ERA Ha scelto un’intraducibile espressione mantovana, Insunsit, per dare un nome al suo talento: Giulia Tosi realizza disegni e pattern per dare una nuova forma alla natura.
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IORI E MATRIOSCHE sono i soggetti preferiti, ma nel vastissimo universo colorato creato da Giulia Tosi fanno capolino tantissimi elementi diversi e originali, e la natura è sempre la protagonista. Tutto il talento di questa veronese, con una laurea in Storia dell’Arte e un’attività da appassionata libraia alle spalle, ha trovato il suo luogo ideale in un laboratorio di “artigianato illustrato”. Ribattezzato con un nome insolito quanto avvincente: Insunsit. Ma cosa significa? «In dialetto mantovano Insunsit si traduce “da nessuna parte, in nessun posto”. Mi ha incuriosito il fatto che esistesse un termine ad indicare una cosa sostanzialmente inesistente. – ci spiega la stessa Giulia - A modo mio lo interpreto più volentieri con il suo contrario “ovunque”, una possibilità più che una negazione». Ed è proprio da questa possibilità che l’idea ha preso forma: Giulia ci racconta di notti insonni passate con la matita in mano, a dare forma a un sogno. E di un lavoro che, per quanto appagante, lasciava poco spazio a quella necessità di “usare le mani”, di cui tutti i creativi finiscono per essere vittime. Finché,
nel 2014, le mani si sono messe in moto davvero: matita tra le dita, colori ovunque, Insunsit ha visto la luce, prima su carta e poi anche su una pagina online. Il mondo dei social, Instagram in testa (la pagina di Insunsit ha quasi 14mila follower), ha fatto il resto: un successo inaspettato, basato su una clientela attenta che apprezza la cura dei dettagli, per cui Giulia realizza grafiche per stampe su tessuto e accessori in legno e altri materiali. Il mondo dell’autoproduzione può non essere una strada facile, ma l’interesse per questo sottobosco di artisti e creativi dalle idee originali sta crescendo sempre di più, anche in Italia, complici i social network: «Il potere dei social, e soprattutto di Instagram, è sempre più forte e può diventare uno strumento (tanto indispensabile quanto pericoloso) per la propria promozione. Al contempo si ha la possibilità di avere momenti di scambio personali, nonostante siano in realtà virtuali, con i clienti: avverto sempre maggiore sensibilità e attenzione nei confronti di questo mondo. Come un bisogno delle persone di tornare ad un incontro umano nel momento dell’acquisto».
DI CHIARA BONI
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DA QUALCHE MESE, Giulia ha unito le forze con un’altra creativa forgiata dal web: Chiara Matteotti, in arte (e su Instagram) Boemien. È nato così BI, un progetto di sartoria a quattro mani: una linea di abbigliamento e accessori che unisce l’abilità sartoriale di Chiara all’originalità delle grafiche create da Giulia. «Ci siamo riconosciute come simili, e abbiamo capito che collaborare poteva essere un arricchimento (lavorativo, esperienziale, umano). Ognuna si occupa di una parte specifica del progetto, e possiamo dire di essere soddisfatte del percorso che stiamo compiendo». Con un seguito online ma non solo in continua crescita, Insunsit non ha nessuna intenzione di fermarsi, anzi, per dirlo con le parole di Giulia: «Come me, Insunsit è in continua fase di studio, ricerca e trasformazione e io lavoro quotidianamente affinché esso cresca, cambiando, assieme a me». ■
Giulia Tosi
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Fondazione Just Italia
10 anni di Responsabilità e grandi Progetti Sociali AL VIA “MAI SOLE AL MONDO“, INIZIATIVA PER LE DONNE VITTIME DI VIOLENZA. A FIANCO DI FONDAZIONE PANGEA PER CREARE UN NETWORK “AL FEMMINILE” DI AUTO-MUTUO-AIUTO.
Ci sono tanti modi per celebrare un compleanno speciale, come il proprio “Decennale”. Fondazione Just Italia ha scelto di festeggiarlo, idealmente, con “LE DONNE” che nei 10 anni di attività hanno contribuito a tanti Progetti di Responsabilità Sociale, i 25.000 Incaricati alle Vendite di Just Italia, l’azienda di cosmetici a domicilio che ha dato vita, nel 2008, alla Fondazione, le migliaia di Clienti che in questi anni hanno aderito, con entusiasmo e fiducia, alle iniziative solidali. Ma, soprattutto, ha pensato alle donne che hanno vissuto la violenza, nella propria casa, in famiglia, nei luoghi di studio e di lavoro, donne che spesso non sanno dove e come cercare aiuti e consigli, per uscire da situazioni drammatiche. Per questo, Fondazione Just Italia si è impegnata, concretamente e con una grande iniziativa solidale a non farle sentire “MAI SOLE AL MONDO”. In occasione del proprio “Decennale”, Fondazione Just Italia ha deciso di sostenere - con questa iniziativa
e un contributo di ben 355mila Euro il Progetto di Fondazione Pangea per la creazione di un Network nazionale per l’Empowerment e l’Auto-Mutuo-Aiuto, costituito da donne ex vittime e da professioniste, specialiste, avvocatesse, centri di violenza, associazioni. Il Progetto prevede l’attivazione di veri e propri “Centri-Antenna” cui le donne in difficoltà possano rivolgersi per trovare ascolto ma, anche, supporti concreti e
www.fondazionejustitalia.org
professionali sui percorsi da intraprendere per sé stesse, i figli, il futuro. Grazie a “MAI SOLE AL MONDO” il network “R.E.A.M.A” di Pangea potrà darsi dimensioni e struttura nazionali e mettere a disposizione delle vittime di violenza competenze professionali e supporti concreti. Con uno sportello online (sportello@reamanetwork.org), con Team dedicati presso i “CentriAntenna”, con la supervisione di un Comitato Scientifico. Una scelta non convenzionale, che celebra 10 anni di iniziative concrete e che ha visto non solo la Fondazione, ma l’intero “mondo Just” - che ne rappresenta il background e il motore
propulsivo - mettere risorse ed energie a disposizione di un grande Progetto solidale. Proseguendo nella strada tracciata da tempo (in questi anni, Fondazione Just Italia ha sostenuto progetti per 4 milioni di Euro) e scegliendo, simbolicamente, di spegnere le candeline del Decennale insieme a tante donne, per ridare loro speranze e fiducia e non farle sentire “MAI SOLE AL MONDO”.
www.reamanetwork.org sportello@reamanetwork.org
PILLOLE DI MAMMA CON UN PO’ DI AMOREVOLE IRONIA
Al supermercato:
manuale breve di sopravvivenza
La scorsa settimana ho preso coraggio e, obbligata da un frigo che piangeva lacrime infinite, non mi sono potuta sottrarre dall’andare al supermercato con entrambe le bimbe. È stata dura ma ce l’abbiamo fatta. A CURA DI SARA AVESANI
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OLITAMENTE QUANDO TORNO dal lavoro, recupero le bimbe dall’asilo e da scuola, e sono un po’ stanca perché non ho dormito molto e nella mente invece delle pecorelle che saltano per rilassarmi, ho una serie interminabile di “to do list” da completare che sbattono contro un muro di cemento e, credetemi, l’idea di andare al supermercato in compagnia delle mie figlie non è la migliore delle notizie che vorrei ricevere. A dirla tutta, ci vorrei anche andare, ma unicamente per godermi venti minuti di purissima solitudine. Stavolta, tuttavia, avevo un piano perfetto. La piccola sarebbe stata nell’apposito spazio davanti, riservato alle principesse e la grande era già dalla mia. L’avevo convinta, responsabilizzandola, a prendere mele e banane con i guanti e i sacchetti e, udite-udite, permettendole l’uso dell’esaltante telecomando dell’Esselunga, detto anche telefono magico o, per genitori nostalgici spielberghiani telefono-casa (anche se non c’entra nulla). L’unico effetto collaterale del telecomando è il conto finale; si sa, i bimbi, fra un pulsante e l’altro, si divertono con i codici a barre ma tu ti diverti un po’ meno quando scopri la marea di cose impreviste da pagare! Avevo preparato i sacchetti e la lista, rigorosa-
mente scritta su un pezzo di carta. Se l’avessi copiata sul cellulare, sarebbe partito un litigio tira e molla tra sorelle che la mia scarsissima robustezza emotiva delle diciotto di sera avrebbe dovuto placare con due diseducativi e dannosissimi Chupa Chups. Da mamma ritengo il supermercato un luogo ad alto tasso di perdizione, soprattutto dal momento in cui i tuoi dolci, dolcissimi pargoletti ti abbindolano e ti nascondono maree di schifezze con una nonchalance mai vista prima. In realtà, però, se mi fermo e le guardo, penso che momenti così, anche se pieni di stanchezza e confusione, sono divertenti e unici. Non si ripeteranno quando saranno grandi. E allora dentro di me, mi sento felice di poter essere lì, adesso, con loro. E la piccola? L’angioletto di famiglia? Credevo di averla “sistemata” con la storia delle principesse “del castello che si muove” ma, ad un certo punto, non ne ha più voluto sapere di stare seduta e mi sono ritrovata a rincorrerla per le corsie. Se non altro, con queste sudate, il mio processo di dimagrimento ne trarrà vantaggio, ripetevo fra me e me, come un mantra. Che bella soddisfazione arrivare a casa tutti e con tutto (o quasi)! Morale della favola? La prossima volta si va di sabato, con il papà (sigh).■
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LA PITTURA PENSATA DI JACOPO CARBOGNIN
DA MONET A POLLOCK E RITORNO
Jacopo quando fa quello che ama diventa per tutti Jei Pitture. 29 anni, nato a Cologna Veneta ma residente ad Arcole, non ha mai frequentato scuole d’arte, eppure fin dalla tenera età è sempre stato attratto dal linguaggio artistico. Linguaggio pittorico che ha trovato conferma della sua voce originale - oltre che in numerose mostre - anche in una galleria toscana che ha creduto in lui.
C
HI PARLA MALE delle nuove generazioni si sbaglia. E si sbaglia davvero nel caso di Jacopo Carbognin, uno dei numerosi talenti, non sempre forgiati da scuole, che costellano il nostro Paese e lo rendono anche più poetico. Jacopo è arrivato alla pittura grazie alla sua passione per qualsiasi forma d’arte: dalla fotografia alla poesia passando per la musica (adora il jazz), sua grande compagna di vita. L’arte di Jacopo è influenzata da diverse tecniche tratte da pittori come Monet, Van Gogh, Picasso, Boudin, Afremov (il suo preferito, di cui possiede un’opera), fino ai contemporanei Haring, Basquiat e Pollock. Da loro ha mutuato la passione per l’uso del colore e la sperimentazione. Le sue tele racchiudono tutte le sfumature della sua identità: ottimista e so-
lare, amante del rischio ma anche una persona alla quale non dispiace isolarsi per godere della solitudine. Non crede, sempre, alla frase «Art never comes from happiness». Perché è vero che molte forti emozioni provengono dal dolore e dalla tristezza, ma anche la semplicità della quotidianità può offrire grande ispirazione. «Le mie tele uniscono colori vivaci e forme. Utilizzo due tipologie di tecniche pittoriche: la prima è più o meno tradizionale, il risultato sono soggetti spesso imperfetti e apparentemente “poco curati” ma comunque presenti e vivi nell’opera (una sorta di rappresentazione della vita moderna, frenetica e poco attenta alle esigenze dell’uomo comune); la seconda tecnica, chiamata “dripping”, consiste nel far cadere o gocciolare del colore sopra tutta la tela, esaltandone la luminosità e dando una prospettiva diversa (ad esempio spesso utilizzo il verde o l’arancione gocciolato per fare le foglie di un albero o il giallo per disegnare la luce del sole)», spiega Jacopo. «Le mie opere sono tutte in vendita e vorrei riuscire a farmi conoscere il più possibile. Per questo motivo visito mostre internazionali e non, cercando di lasciarmi ispirare da nuovi artisti emergenti anche sui social o sul web. Sabato 22 settembre, ho partecipato all’evento ‘’Artisti in strada’’ a San Bonifacio, con un’esposizione e una live performance. È stata
DI INGRID SOMMACAMPAGNA
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JACOPO CARBOGNIN, IN BREVE:
Nel suo percorso professionale ha provato numerosi impieghi che l’hanno formato sia dal punto di vista personale che professionale. Il “salto di qualità” nel giugno del 2017, quando è stato preso sotto l’egida della galleria d’arte contemporanea Toffee’s Art Gallery di San Miniato, in provincia di Pisa, che gli promuoverà 6 opere in due gallerie e in due Art hotel del centro storico.
una grande occasione per incontrare persone appartenenti a diversi settori. Il mio intento, infatti, è quello di avviare collaborazioni della natura più varia possibile», conclude Jacopo.■ www.jeipitture.com Facebook.com/JeiPitture
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IL FIORE DELL’ARTE
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OGNI MESE UN PETALO E UNO SCORCIO
SAN MATTEO, LA CHIESA SOPRA IL TEMPIO CHE FU
È situata accanto alla famosa Porta Borsari in una posizione rialzata, alla fine di un vicoletto che porta il suo nome. Se non fosse per il ristorante che ne permette la conservazione e il pubblico accesso, probabilmente della chiesa di San Matteo Concortine se ne sarebbe persa la memoria. Fa parte di una serie di chiese e conventi scomparsi dopo la soppressione napoleonica che sono resistiti ai cambiamenti sociali grazie ad una nuova destinazione d’uso.
L
A PORTA D’ACCESSO all’attuale locale conduce ad un ambiente ristretto, superato il quale si entra nel corpo centrale dell’edificio, ora completamente rimaneggiato. Dopo un primo momento di orientamento si intuisce quale potesse essere la disposizione della chiesa. Sorprendentemente l’ingresso principale non era quello attuale, bensì quello posizionato su quello che è oggi vicolo del Guasto, stretto tra gli edifici sorti in epoche successive. Quindi, l’abside era affacciato su vicolo San Matteo. Un orientamento apparentemente insolito in quanto non permette ora una lettura dell’edificio consona all’idea originale, ma in realtà rispondeva perfettamente alle regole costruttive delle antiche chiese cristiane che prevedevano la facciata orientata verso ovest e l’altare maggiore verso il punto in cui sorge il sole, simbolo di Cristo e di Resurrezione. Della chiesa di San Matteo Concortine si sa che venne menzionata in un documento del
1105 in cui si fa riferimento ad una cessione all’abbazia di Pomposa e che fu più volte restaurata ed ingrandita nel 1747. Fu colpita anch’essa dal decreto imperiale napoleonico di soppressione degli ordini religiosi che ne decretarono la chiusura e il conseguente acquisto da parte della famiglia Cavazzocca. Fu così riaperta al culto il 28 settembre 1826, ma ebbe vita breve. Fu di nuovo sconsacrata e adibita poi a magazzino militare in tempo di guerra. Prima di diventare luogo di ristorazione divenne anche laboratorio di falegnameria artigianale. Ciò che rimane della chiesa, ora in stile barocco, sono alcune lapidi che si trovano al suo interno. HANNO TUTTE CARATTERE commemorativo e la più antica riporta l’anno 1460 accanto ad uno stemma a bande chiare e scure alternate. Si trova nell’ex zona absidale incastonata nel muro. In essa si fa riferimento ad un certo Pietro, proveniente da Venezia, che ha fatto costruire una cappella dedicata alla Vergine
A CURA DI ERIKA PRANDI
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La cripta della chiesa dove in epoca romana sorgeva un tempio dedicato a Giona
Maria per la remissione dei suoi peccati. Fatto curioso è che l’effige dell’altare della Madonna della Salute ora in Sant’Eufemia proveniva dalla chiesa di San Matteo. Pare però che vi fosse arrivata solo nel 1747 per collocarsi definitivamente nella vicina chiesa nel 1807. San Matteo Concortine, però, fu un luogo di culto fin dall’epoca romana di cui è rimasta traccia sotto al pavimento attuale. Scendendo dalle scale, poste nel cuore dell’ex catino absidale, si arriva ad una piccola cripta circolare, forse un tempo affrescata, in cui è stata scolpita, nella zona frontale, una nicchia rettangolare. Probabilmente una specie di altare sacro realizzato, si crede, in onore del dio Giano, la divinità principale dei romani in epoca arcaica. Attualmente è presente una piccola statuetta dalle forme stilizzate a ricordare l’importanza del luogo in tempi passati. Purtroppo non è rimasto nient’altro se non labili tracce di presunti pigmenti che si scorgo-
no in mezzo ai danni causati dall’umidità. Ciò che è suggestivo, però, e che aiuta a mantenere vivo il ricordo delle origini, è la possibilità di ammirare tutto ciò anche stando comodamente seduti a tavola grazie alla pavimentazione in vetro. Come dire, cambiano i tempi ma non si dimentica ciò che c’era. ■
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DUE LIBRI
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& QUALCHE VERSO
PAGINE PER I GRANDI
Titolo: Quando lei era buona Autore: Philip Roth Casa Editrice: Einaudi Traduzione: Norman Gobetti Pagine: 312
Il meraviglioso mago di Oz
Autore:
Lyman Frank Baum
Illustratore:
W. W. Denslow
Editore:
Gribaudo
Pagine: 190
Età consigliata:
dai 9 anni
Traduttore:
Stella Sacchini
CHIARA BONI
IL LIBRO. Lucy nel dolore ci è nata, e nel dolore ritorna. Il padre alcolizzato, la madre debole, la nonna indisponente, il nonno arrendevole la spingono tra le braccia di Roy, un amante quasi perfetto nella sua mancanza di originalità che, se pur per poco, le fa credere di poter sfuggire al suo mondo mediocre. Convinta del suo essere altruista, emancipata, buona, più degli altri, Lucy decide di correggere tutti gli uomini attorno a sé, in una crociata infinita di cui l’unica vittima si rivela essere lei stessa. L’AUTORE. Non ha bisogno di troppe presentazioni, l’autore di Goodbye, Columbus e Lamento di Portnoy. Philip Roth, di sicuro tra i più influenti scrittori americani, ha vinto il Premio Pulitzer per Pastorale Americana, ma nel corso della sua lunga carriera è stato insignito anche della National Medal of Arts alla Casa Bianca, della Gold Medal per la narrativa e del National Book Award. Roth è morto lo scorso 22 maggio, dopo una vita passata a cambiare per sempre il corso della letteratura moderna. CURIOSITÀ. Un caso praticamente unico nel vasto universo letterario firmato da Roth, protagonista del romanzo Quando lei era buona è una donna, Lucy. Da molti considerato un “Roth minore”, ancora immaturo rispetto ai capolavori che lo scrittore firmerà da Lamento di Portnoy in poi, quello di Quando lei era buona è già però un osservatore spietato e attentissimo dello stato della famiglia americana: tra le pagine emerge in tutto il suo splendore l’esistenza nelle periferie delle grandi metropoli americane, con tutto il suo bagaglio di sofferenze e delusioni.
PAGINE PER I PIÙ PICCOLI
Titolo:
A CURA DI
A CURA DI
ALESSANDRA SCOLARI
IL LIBRO. La piccola Dorothy, dopo aver perso i genitori, vive nella fattoria arida e grigia degli zii, nel Kansas. Il suo amico? Il cane Toto: la faceva ridere e non la mollerà mai. Un giorno un ciclone trascinò Dorothy e quello che rimase della sua casa in una terra sconosciuta. Un mondo fantastico popolato da strane creature: Biascichini, Scimmie Alate, Ammicchetti, Quadrotti ed altri. Dorothy cerca la strada per tornare dagli zii e, dalle persone che incontra, viene a sapere che l’unico modo per arrivarci è quello di farsi aiutare dal mago di Oz. Lungo il cammino incontra lo Spaventapasseri, il Boscaiolo di Latta e il Leone Codardo, ascolta i loro desideri e accetta la loro compagnia. Il viaggio porterà questo composito gruppetto in luoghi incredibili, dove colori, atmosfere impressionanti e magia si mescolano. Dorothy e i suoi compagni (non si lasceranno mai) affronteranno molte avventure e alla fine saranno premiati dalla maga buona. L’AUTORE. Lyman Frank Baum (Chittenango, New York 1856 – Glendale, 1919), di origini tedesche, è stato uno scrittore e produttore cinematografico. Nel suo celebre romanzo, pietra miliare della letteratura per bambini, Il meraviglioso mago di Oz ha toccato le corde del cuore, perché «il cervello non basta a farti felice e la felicità è la cosa più bella che esista al mondo». Frank, settimo di nove fratelli (solo cinque raggiunsero la maggiore età), era un bambino fragile e sognatore, così i genitori lo mandarono all’Accademia (contro la sua volontà). Le sue passioni erano la scrittura e la carta stampata. Il padre gli comprò una piccola pressa tipografica che Frank usò per realizzare il suo primo giornale The Rose Lawn Home Journal e dopo varie esperienze teatrali ed editoriali (non sempre positive) finì a dirigere proprio un giornale: ma, per nostra fortuna, rimase un sognatore. CURIOSITÀ. Il meraviglioso Mago di Oz è uno dei libri per ragazzi più letti al mondo, un classico della letteratura che, in tutti questi anni, ha incantato grandi e bambini. Attraverso il viaggio (metafora della vita), Baum crea un’opera davvero stupefacente e non meraviglia il fatto che il libro sia stato oggetto di numerose trasposizioni cinematografiche. Si tratta di una favola che illumina sempre (anche nei momenti difficili) gli aspetti positivi. I desideri dei vari protagonisti (lo Spaventapasseri, il Boscaiolo di Latta, il Leone Codardo) sono sogni che dimorano già dentro di loro, basta superare la paura e appropriarsene. Dorothy resta fedele al suo obiettivo iniziale: ritornare dagli zii. Tutti troveranno quello che, all’inizio, cercavano: il loro “regno” dove vivere felici.
SE VI SERVE UN PO’ DI POESIA E poi – se accadrà ch’io me ne vada – resterà qualchecosa di me nel mio mondo – resterà un’esile scìa di silenzio in mezzo alle voci – un tenue fiato di bianco in cuore all’azzurro – [...]
(Novembre, Antonia Pozzi)
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TRA CINEMA&CO
co min g s oon
a cura di Mattia Zuanni
IL FILM
Lo scrittore William non riesce a pubblicare il manoscritto a cui sta lavorando, non ha più possibilità di crediti dalla banca e, a causa dei suoi continui insuccessi, è pure da poco single. Non ne può più: vuole togliersi la vita. Dopo alcuni tentativi falliti, incontra su un ponte un killer “a pesca di clienti” di nome Leslie. Assunto da William con regolare contratto, Leslie assicura al ragazzo una fine rapida ed indolore entro sette giorni dalla stipulazione. Dopo 24 ore dalla firma, una casa editrice chiama William.
Fotografa qui per vedere il trailer del film
Titolo: Morto tra una settimana (o ti ridiamo i soldi) Genere: Commedia, Azione Durata: 90 minuti Regia: Tom Edmunds Attori: Tom Wilkinson, Aneurin Barnard, Marion Bailey, Freya Mavor Uscita (Italia): 22 novembre
film de l mom ento Titolo: Sulla mia pelle Genere: Drammatico Durata: 100 minuti Regia: : Alessio Cremonini Attori: Alessandro Borghi, Max Tortora, Jasmine Trinca, Orlando Cinque
La cronaca senza sconti dell’ultima settimana della vita di Stefano Cucchi. Il regista Alessio Cremonini racconta una delle vicende più discusse e tormentate dell’attualità italiana che assume oggi, dopo le recenti rivelazioni di un carabiniere che ha ammesso di aver assistito al pestaggio del 31enne romano, una valenza sempre più drammatica. La pellicola è stata molto apprezzata dalla critica. Paolo Mereghetti, sul Corriere della Sera, ha scritto: «Ricostruendo quel tragico calvario, il regista si preoccupa di evitare ogni eccesso melodrammatico e ogni accusa di voyeurismo […]. Il film vuole solo mostrare quello che è oggettivamente documentabile e che testimonia la superficialità di chi si è limitato a “fare il proprio dovere”».
UNO SC A T T O “ IN T ERP RETATO” Lei è la terza torricella. Le sue “sorelle” sono tutte rotonde, tutte disposte sulle alture veronesi quasi in fila: la prima, la seconda, la terza e la quarta. Massimiliane le chiamano perché sono ispirate alle 32 torri circolari fatte costruire dall’arciduca Massimiliano Giuseppe a difesa della città di Linz. Le torricelle scaligere furono, invece, volute dal comandante delle truppe imperiali austriache Josef Radetsky nell’ambito del processo di fortificazione della Verona austriaca. Esempi di architettura militare, massicce opere d’arte non sempre ricordate e valorizzate come l’attrattore turistico che potrebbero essere. Se la prima torricella è stata data in concessione precaria ad una associazione (Adambiente) che promette di darle nuova luce, la seconda è in mano ai privati, mentre la terza, quella ritratta nella foto qui accanto dal fotografo Cesar Colato, è gestita, dopo essere stata ereditata da Agsm, da Acque Veronesi e dagli anni ’50 funge da serbatoio di acqua per la città. La quarta, invece, è abbandonata a se stessa. Un progetto di riqualificazione, anche e soprattutto culturale, potrebbe scrivere – e questo lo auspicano in molti – il futuro “plurale” delle torricelle che, se protagoniste di un recupero a tutto tondo, consentirebbe di fare un salto nella percezione. Non dovrebbero più essere guardate e trattate come costruzioni silenti che dominano la Valdònega e la Valpantena, ma come snodi di bellezza per amanti di panorami storici oltre che naturali.
Foto artisticamente scattata da Colato Cesar www.cesarphotographer.com
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Il Muro di Giulietta Perché nei tuoi occhi nessuno vede quello che vedo io, per questo ti ho donato la mia anima. ( a Gianni da MB)
Guardami: tu la sai la nostra verità (Giulia)
Rimani il nome segreto che ripeto nelle mie solitudini. (Aldo) Sei il mio amore. (Sca.)
Cercate un uomo o una donna che non siano di questo mondo, cercatevi Giordano Bruno, o Giovanna D’arco. L’amore è di chi prende la febbre per uno sguardo dell’altro, per un respiro, un abbraccio. L’amore è di chi brucia e incendia ogni strada in cui passa. (L’ha scritta Franco Arminio, l’ho rubata a lui perché sa dire le cose che provo e non so mai dirti)
Imparerò a fare senza. Imparerò a fare senza dei tuoi passi scolpiti tra i miei battiti. Imparerò a fare a meno delle tue parole sempre labirintiche intersezioni delle mie. Imparerò a fare senza di quella grazia che mettevi nei miei giorni così ordinari. (Isa)
Quanto ti ho cercato, quanto ti ho aspettato, quanto ti ho sperato. (Giovanni)
Quei i 5 minuti, prima, quando ti aspettavo appoggiato al muro, mi sono sembrati lunghi e pieni del desiderio di te, del tuo viso perfetto che è la forma di ogni mio pensiero più bello. (Franz)
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ANGOLO PET
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OGNI MESE QUELLO CHE C’È DA SAPERE
ANIMALI GOLOSI E IL DILEMMA ETERNO DEI LORO PADRONI
Difficile resistere agli occhioni dolci del nostro amico a quattro zampe che ci chiede più cibo del necessario, ma regalargli, costantemente, stuzzichini fuori pasto senza un adeguato e correlato moto può causare obesità, frequenti sbalzi emotivi e una vita più breve. A CURA DI INGRID SOMMACAMPAGNA
A
RRIVARE A NASCONDERSI PER APRIRE un sacchetto di patatine, cercando di evitare lo sguardo piagnucolante del nostro fedele amico. Si sa, spesso è molto difficile resistere ai suoi desideri non detti, ma molto comprensibili. Non bisogna però mai dimenticare che gli animali che ingrassano facilmente sono quelli che mangiano male, sia in quantità che qualità, e che non si muovono spesso. Il pericolo è che incorrano in diverse problematiche, come: diabete, ipertensione ma anche respirazione accelerata, problemi alle articolazioni, infiammazioni persistenti. Il dott. Nowzaradan per animali non esiste ma sappiamo che è compito nostro salvaguardare la loro salute, chiedendo il parere del veterinario di fiducia che farà una valutazione dal punto di vista fisico e nutrizionale. Considererà, infatti, vari aspetti come la struttura-tipo dell’animale, l’età e il peso, poi, valuterà la sua alimentazione e i grammi di eccesso rispetto al peso ideale, stilando una “dieta” formato Fido. La migliore alimentazione, da
variare nel corso delle settimane, è quella ricca al 70% di proteine, 20% di verdura e frutta e 10% di carboidrati complessi; questi ultimi, infatti, sono i responsabili dell’aumento del peso sottoforma di gonfiore e non di massa muscolare. Alcuni cereali, inoltre, andrebbero evitati del tutto, come il mais, il frumento e la soia, perché difficilmente digeribili e, spesso, cause di allergie. Sono molte le cattive abitudini di noi padroni. Per esempio, riserviamo gli avanzi ai nostri pet e spesso, confondiamo la loro voracità con il senso di fame, perché, ad esempio, molti cani non sono mai sazi, e la loro è solo paura di non avere più cibo a disposizione. Bisogna, quindi, fissare delle regole: evitare il cibo fuori pasto, dosare gli alimenti (magari facendo più pasti ridotti nel corso della giornata per accorciare i tempi di digiuno), riservare a Fido più passeggiate e intrattenere Micio con giochi. Bisogna ricordarsi che non sarà certamente un bocconcino in più a farci accaparrare il loro amore, che è sempre e incondizionatamente infinito.■
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BELLEZZA AL NATURALE Il rhassoul, all eato dell e pelli grasse
Originario del Nord Africa, il rhassoul è un’argilla utilizzata da secoli come cosmetico naturale per il suo potere purificante. Rhassoul significa infatti in arabo “materiale che lava”: al suo interno è presente un’alta concentrazione di magnesio, calcio, potassio e silice, che lo rende perfetto per pulire dolcemente la pelle, assorbendo il sebo ed eliminando i punti neri. Il rhassoul si presenta in polvere e può essere utilizzato sia sulla pelle che sulla cute grassa. Maschera purificante per il viso Mescolando tre cucchiaini di rhassoul con un po’ d’acqua tiepida si ottiene un composto cremoso da spalmare sulle aree più grasse del viso, che di solito sono quelle della “zona T”: mento, naso e fronte. Lasciare in posa per dieci minuti e poi risciacquare. Impacco lucidante pre-shampoo Unire a tre cucchiai di rhassoul un tuorlo d’uovo e un po’ d’acqua tiepida fino ad ottenere un composto cremoso. Distribuire l’impacco sui capelli già inumiditi precedentemente e lasciare in posa per dieci minuti. Risciacquare e procedere con il normale shampoo. Questo impacco sgrassa ma allo stesso tempo nutre e dona lucentezza al capello.
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STORIE DI STORIA 71
LIBERAMENTE ROMANZATE
Il Palio del Drappo Verde e le sue goliardiche punizioni
N
EI PRIMI ANNI DEL Cinqucento, la piccola porta medievale del Palio preoccupava i governanti della nostra città in quanto, se pur rappresentasse un’entrata secondaria, era difficilmente difendibile dagli attacchi esterni. Così Francesco Maria I Della Rovere decise di sostituirla e di costruirne una nuova con funzione di *cavaliere dando in mano il progetto a Michele Sanmicheli. La nuova Porta Palio venne ribattezzata però dalla goliardia veronese in Porta Stupa. Questo perché nel tempo rimase aperta solo sporadicamente e solo in occasione del raccolto o del Palio del Drappo Verde. Rimase chiusa definitivamente dal 1630, subito dopo la peste e le sue porte di legno vennero abbattute durante le due piene dell’Adige (nel 1567 e nel 1882) per consentire all’acqua proveniente dall’ansa di Castelvecchio di defluire verso la campagna. Come detto però, proprio dalla Porta Stupa partiva il percorso del Palio del Drappo Verde. Istituito nel 1208 rappresenta la corsa organizzata più antica del mondo. Al palio partecipavano due categorie: corridori e cavalieri. Il drappo verde (della lunghezza di dodici metri) andava al primo classificato tra i corridori; il palio rosso al primo dei cavalieri. La particolarità di questa gara consisteva nel
fatto che tutti i corridori dovessero partecipare nudi e che all’ultimo classificato andasse in premio una coscia di maiale per i cavalieri e una gallina per i corridori. Al cavalier perdente toccava poi una sorte ben peggiore: costretto a fare il giro della città con la coscia di maiale al collo aveva l’obbligo di fermarsi, tra gli sberleffi dei veronesi, in modo che chiunque potesse tagliarsene un pezzo e portarselo a casa. Un palio così antico e importante che anche Dante lo citò nella sua Divina Commedia (Canto XV, Inferno):
A CURA DI
MARCO ZANONI
«Poi si rivolse, e parve di coloro che corrono a Verona il drappo verde per la campagna; e parve di costoro quelli che vince, non colui che perde».
*cavaliere: opera architettonica molto alta, costruita all’interno di una fortezza, di un bastione o di altra struttura difensiva.
CONSIGLI E RIFLESSIONI 72
TARGATI ADICONSUM
CARO ELENCO
TELEFONICO...
...più per il costo che per l’affetto. In bolletta viene addebitato automaticamente il prezzo per il recapito di un volume cartaceo pressoché inutile per l’utente ma molto conveniente per le società telefoniche che ne ricavano milioni di euro. Vediamo come contrastare questa pratica.
C
’ERA UNA VOLTA un grande librone composto da migliaia di pagine sottilissime che odoravano di rotocalco. Al suo interno si potevano trovare i numeri di telefono di tutti i concittadini, provincia inclusa. Con buona pace dell’odierna privacy, erano riportati gli indirizzi di tutti gli utenti. Era uno strumento utilizzato da chiunque: giovani, anziani, commercianti, enti pubblici. Un vero scrigno del tesoro anche per i bambini che potevano dilettarsi nello scovare buffi cognomi e numeri fantastici. Cotanta poesia nel suo ricordo che quasi pare impossibile, oggi, doverlo denigrare. Eppure l’elenco è stato recentemente al centro di una caustica polemica innescata dagli utenti della telefonia residenziale. Perché? Il motivo è rappresentato dal corrispettivo – circa 3 euro – che le compagnie telefoniche riscuotono dai propri clienti per la consegna dell’iconico tomo cartaceo. O meglio, di quel che ne rimane. Difatti, il progresso tecnologico ha reso sostanzialmente inutile la vecchia rubrica rendendo accessibili le stesse informazioni tramite la rete. A ciò si aggiungano la sempre maggiore fuga degli utenti dalla pubblicazione dei propri dati nel disperato tentativo di sfuggire al telemarketing e il predominio della telefonia mobile. Così, ciò che una volta era un simbolo casalingo, tanto pesante
quanto necessario, oggi rappresenta un insulso fascicoletto privo di qualsiasi attrattiva. Ecco dunque l’origine della doglianza degli utenti, ha ancora senso pagare per questo servizio? Vero è che si parla di pochi euro a linea e che, quindi, sul singolo cliente la spesa non gravi un granché. Però il discorso va affrontato in termini di classe, si parla di 20 milioni di utenze. Secondo alcune stime le società telefoniche, per mezzo di questo obolo, incasserebbero dai 30 ai 40 milioni di euro all’anno. Va considerato, poi, che la consegna si ferma fuori dal cancello - o al massimo dentro gli androni - e che la maggior parte dei volumi viene ignorata per poi essere ritirata in un secondo momento. In sintesi un enorme spreco di carta e un grande, così come immeritato, regalo alle compagnie telefoniche. Purtroppo, però, quando si stipula un contratto di telefonia si acconsente obbligatoriamente all’addebito di questa spesa. Attualmente, infatti, non c’è modo di attivare una linea senza accettare questa condizione. Pertanto per disdire il servizio bisogna attivarsi ed inviare una formale comunicazione scritta manifestando la propria volontà di rinunciare al recapito dell’elenco telefonico...e mantenerne solo un buon ricordo. Un modello di lettera di disdetta è disponibile su adiconsumverona.it ■ Per saperne di più www.adiconsumverona.it
A cura di Carlo
Battistella
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IL CALENDARIO DEL MESE gli eventi di Novembre, secondo noi
a cura di Paola Spolon
02
VISITA GUIDATA: CORTE SGARZERIE Luogo: Corte Sgarzerie Ora: 18.00
03
DAN STUART Luogo: Cohen Verona Ora: 21.30
04
VISITA GUIDATA: VILLA ROMANA Luogo: Valdonega Ora: 18.00
05
BIANCO SU BIANCO Luogo: Teatro Ristori Ora: 20.30
06
STEVE WILSON & WILSONIAN’S GRAIN Luogo: Teatro Ristori Ora: 20.30
07
COPENAGHEN Luogo: Teatro Nuovo Ora: 20.40
08
TINTORETTO. POMBO, PASSIONE E GIUSTIZIA Luogo: ARTantide.com Art Gallery Ora: tutto il giorno
09
MISTERI DEL VENTO Alberto Toso Fei Luogo: Museo Africano Ora: 20.30
01
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LA DANZA DEGLI SPIRITI Luogo: Museo Africano Ora: tutto il giorno
11
MASTER SCRITTURA DI VIAGGIO - 2a giornata Luogo: Lo Speziale Ora: 10.00
PIERINO E IL LUPO Luogo: Teatro Ristori Ora: 17.00
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CINEMA
LIBRI
MUSEO
SPORT
INCONTRI
75
14
LE SIGNORINE Luogo: Teatro Nuovo Ora: 21.00
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MELTING POT SVIZZERO Luogo: VeronaLingue Ora: 18.30
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PROLETKULT - Wu Ming Luogo: Biblioteca Civica Ora: 17.00
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LA SIGNORA DELLE LETTERE Luogo: Modus Verona Ora: 21.15
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APERITIVI MUSICALI Luogo: Teatro Comunale di Castelnuovo Ora: 17.30
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Non svilire il tuo terreno interiore, insegui - con passione e sacrificio - quello che credi giusto per te. Rivesti di un’etica precisa cio che fai per raggiungerlo.
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LA LOCANDIERA Luogo: Teatro Nuovo Ora: 20.40
21
OMER AVITAL QUINTET Luogo: Teatro Ristori Ora: 20.30
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JESSE MALIN Luogo: Cohen Verona Ora: 21.30
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DOPPIO TAGLIO Luogo: Modus Verona Ora: 21.15
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MASTER SCRITTURA DI VIAGGIO - 3a giornata Luogo: Lo Speziale Ora: 10.00
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FESTIVAL DELL’HANDMADE Luogo: Ex Arsenale Asburgico Ora: tutto il giorno
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LA GRANDE STORIA DELL’IMPRESSIONISMO Marco Goldin Luogo: Teatro Filarmonico Ora: 21.00
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NOTTE DI FOLLIA Luogo: Teatro Nuovo Ora: 21.00
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GENIALE! Luogo: Biblioteca Civica Ora: 20.30
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GLI INCOGNITI Luogo: Teatro Ristori Ora: 20.30
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COGNATE CENA IN FAMIGLIA Luogo: Teatro Salieri Ora: 20.45
FIERA
DANZA
MUSICA
AMORE
30 CARNEVALE
TEATRO
SOLA IN ALASKA Luogo: Museo Africano Ora: 20.30
in cucina con Nicole
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Cucinare è amore che si può assaggiare a cura di NICOLE SCEVAROLI
senzalattesenzauova.ifood.it
Quando le temperature si abbassano, arrivano le zuppe calde e confortevoli
CREMA DI BORLOTTI AL ROSMARINO Ingredienti • 2 barattoli di fagioli borlotti precotti • 1 patata • 5 pomodorini • 1 cipolla • rosmarino
In un tegame dai bordi alti rosolate le verdure, aggiungete del brodo caldo e fate cuocere. Frullate il tutto, condite con un filo d’olio.
Una piccola dritta nutrizionale: I fagioli sono un’ottima fonte di fibre, sali minerali e proteine vegetali. Se abbinati ad un carboidrato come una calda fetta di pane tostato, sono un ottimo sostituto alla carne.
Senza zuccheri aggiunti, ma con tutto il sapore delle mele!
LA TORTA DI MELE DI MARIA Ingredienti • 1 kg di mele • 2 vasetti di yogurt bianco • 150g di farina integrale • 2 uova • vaniglia e cannella
Frullate tutti gli ingredienti, trasferite il composto in una teglia per torte. Infornate a 180 gradi per 50 minuti.
Una piccola dritta nutrizionale: Le mele, oltre a contenere vitamina C e potassio, sono ricche di fibre che favoriscono il corretto transito intestinale.
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L'OROSCOPO ALLA NOSTRA MANIERA
21 MARZO - 20 APRILE
21 APRILE - 20 MAGGIO
21 MAGGIO - 21 GIUGNO
22 GIUGNO - 22 LUGLIO
Intorpiditi dal letargo che sopraggiunge vi sentite l’autunno addosso, come foglie che cambiano colore e si seccano per volteggiare a terra. Vi hanno sempre descritto quest’immagine come qualcosa di negativo, ma provate a guardare i boschi colorati e sentite il fogliame scrosciare al suolo: fate di un eventuale malessere lo strumento per assorbire e coltivare la bellezza di esistere che vi contraddistingue. Cercate di essere sempre, e comunque, un paesaggio colorato.
Ci sono tante cose che, da sempre, vi hanno raccontato su come bisogna affrontare il mondo. Molte di esse sono frutto del senso comune e non hanno alcun fondo di verità. «Cogliere il meglio dalle brutte situazioni» non è una stupida frase per rincuorarvi, è la verità più profonda che dovete applicare alle porte dell’inverno. Lo stesso inverno che, da mortale gelo per ogni creatura, ha saputo “reiventarsi” anche in cantuccio domestico attorno al fuoco. In questo senso, imparate ad essere le vostre “porte dell’inverno” senza paura di inizi difficili.
13,7 miliardi di anni fa, materia, energia e tempo scaturirono dal Big Bang facendo nascere tutto quello che conosciamo. 3 miliardi di anni fa sulla Terra comparvero i primi organismi. 70 mila anni fa comparvero i primi uomini. Al netto di tutta questa immensità, voi, un singolo ammasso di atomi, cultura e passioni, siete la cosa più importante dell’universo per almeno una persona. Nelle infinite possibili combinazioni dello spazio tempo ci siete voi, al centro dell’universo per qualcuno. Godetevi quest’eternità.
L’assenza e l’attesa costituiscono la vera essenza dell’amore. Spesso l’innamorato attende l’amato, trepidante e quasi invidioso delle persone che vanno e vengono senza attendere nulla, senza trasportare quel logorante fardello. Vi invito a non considerate l’assenza di qualcosa o di qualcuno come una mancanza. Provate ad assaporate il viaggio della vostra mente, che tra ricordi e speranze, vola lontano dal qui ed ora. Provate a immaginare, quasi a disegnare, l’oggetto del desiderio: sta qui, in questo esercizio, la vostra ubiquità.
23 LUGLIO - 23 AGOSTO
24 AGOSTO - 22 SETTEMBRE
23 SETTEMBRE - 22 OTTOBRE
23 OTTOBRE - 22 NOVEMBRE
La maggior parte delle cose che governano questo mondo non sono tangibili: la legge, la religione, la morale, le ideologie hanno la meglio sulla concretezza dei boschi, dei fiumi, del cibo, delle vite delle persone. Questo è il tempo di riflettere sulla differenza tra queste entità astratte e le emozioni, le vostre emozioni, che sono altrettanto impalpabili ma hanno origine in qualcosa di reale che siete voi: non confondete l’invisibile con l’inesistente, come rispettate la legge, così dovete imparare a sottostare alle regole che impone il vostro cuore.
La zecca sembra un insetto piccolo ed insignificante, ci può però insegnare molto: è capace di stare tutta la vita su un ramo, immobile, per poi concedersi un po’ di azione quando individua un corpo di animale nei paraggi a cui attaccarsi. Anche voi dovete solo aspettare il giusto stimolo per lasciarvi cadere dal ramo che vi immobilizza, attendete pazienti, e non cercate di farvi piacere gli altri stimoli, quelli delle altre persone. Finirete per morire di noia.
Cercate di ricordarvi delle piccole cose, di badare a quel che ormai vi passa sotto gli occhi quotidianamente e date per scontato. Ricordate di chiamare un amico che non sentite da un po’, ricordate i momenti felici con qualcuno che non c’è più, ricordatevi di compiere i gesti che rendono migliore la vita di chi vi sta attorno. Questo è il modo per tornare ad immergervi nel flusso dell’esistenza che apparentemente avete perso di vista.
Questo mese avete un compito. Dovete realizzare il sogno di ogni amato, l’apice di ogni relazione, che d’amicizia si tratti, o d’amore, o del rapporto tra madre e figlia, tra sorelle e fratelli. Qual è la più bella cosa che potete essere per l’altro? Secondo me, e vi dovreste affidare alle mie parole per sforzarvi di diventarlo, dovrete passare i prossimi giorni a cercare di trasformarvi nella festa di qualcuno.
23 NOVEMBRE - 21 DICEMBRE
SAGITTARIO
22 DICEMBRE - 20 GENNAIO
CAPRICORNO
21 GENNAIO - 19 FEBBRAIO
20 FEBBRAIO - 20 MARZO
Avete bisogno di lasciarvi amare più di quanto pensiate o vi siete mai raccontati. Ma cosa vuol dire, in concreto, per voi, essere amati? Qual è la sfumatura dell’amore di cui più necessitate? Forse, ammettetelo, avete bisogno che l’altra persona compaia da un angolo come una madre che viene a prendere il suo bambino che l’ha attesa tutto il giorno. Avete bisogno di essere allontanati dalla briosità mondana. Avete bisogno dell’intimità religiosa del rapporto tra due persone, della gravità e della pace del mondo amoroso.
Trovatevi una medicina al più presto. Ma una medicina di quelle che fanno stare bene davvero: ci sono persone che trovano la loro medicina nell’andare in kayak, altre che la trovano passeggiando, altre ancora nel guardare l’acqua o nel coltivare orti. Forse, già ce l’avete, voi, una medicina. Se l’avete identificata seguitela, datele spazio, tempo e modo affinché possa agire.
C’è chi ha scritto che la vera scoperta non consiste nell’esplorare un nuovo territorio, ma nell’avere nuovi occhi per guardare il mondo. In quest’inizio della stagione fredda vi chiedo questo, di non cadere vittima della quotidianità e di quei costanti stereotipi che accompagnano gli scuri mesi di lavoro e fatica. In voi, avete la forza di rendere speciale ogni visione, avete sempre avuto l’energia di scoprire la meraviglia e le sfumature dei giorni dove gli altri vedono sempre le stesse cose: salvatevi, è il momento giusto.
Nei momenti stressanti, pieni di quei vortici interni all’anima che escono e sconvolgono ciò che vi è più prossimo, tutti vi consigliano di razionalizzare, di guardare alle cose con distacco, sezionare gli eventi ed affrontare un problema dopo l’altro. Lo sapete, però, voi che questo metodo comporta sempre una cesura tra la complessità che siete, un taglio netto con delle parti importanti di voi. Ballate nel vortice per questo mese, siate voi stessi senza finti limiti e confini.
ARIETE
LEONE
TORO
VERGINE
GEMELLI
BILANCIA
ACQUARIO
CANCRO
SCORPIONE
PESCI
79
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41 FAST
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partenza ore 9:00
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Corsa cronometrata di 10 km non competitiva
Corsa a passo libero con due percorsi alternativi di 5 km e 10 km
Camminata/corsa a passo libero per famiglie con bambini su percorso di 1,5 km con animazione
L’intero ricavato verrà donato, tramite il CSV di Verona, al programma di solidarietà “la scuola per tutti”, per fornire il materiale scolastico ai bambini meno fortunati
per informazioni e iscrizioni: www.straverona.it | 340.4735425 | Main Sponsor
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