Paolo Scquizzato
Se non lo cerchi lo trovi
Introduzione alla Meditazione silenziosa
Le citazioni bibliche sono tratte da La Sacra Bibbia
Nella versione ufficiale a cura della Conferenza Episcopale Italiana
© 2008, Fondazione Santi Francesco d’Assisi e Caterina da Siena
Immagine in copertina: © Daboost / Shutterstock
PAOLINE Editoriale Libri
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ISBN 978-88-315-5518-0
«Tutti i mali degli uomini nascono da una cosa sola: dal non saper essi restare tranquilli, in meditazione in una camera».
Blaise Pascal
«Il silenzio è quello spazio in cui Dio non è più invocato ma presente».
Giovanni VannucciIntroduzione
È giunto il momento di fermarci e sapere chi siamo. Quell’eccedenza che ci costituisce come esseri umani esige che diamo un nome a ciò per cui vale la pena vivere.
Giusepppe Morotti, nel libro Il Sufismo, frutto di un’esperienza di vita sulle orme di Charles de Foucauld, evidenzia come la crisi profonda, antropologica anzitutto, quindi valoriale, sociale, culturale che stiamo attraversando, scateni in noi
una sete profonda di silenzio, di ascolto, di respiro contemplativo, di interiorità, di “disarmo” della ragione, di riannodare la nostra relazione con il Mistero. E tutto ciò esige un passo lento, momenti di sosta, di perdita di tempo, di gratuità, di meditazione, di preghiera, essenziali per la costruzione dell’essere umano e lo sviluppo del suo essere relazionale.
Oggi, donne e uomini del nostro mondo occidentale stanno come riavendosi da un sonno profondo; pare si stiano accorgendo che in fin dei conti ciò che più importa in questa vita è «non perdere la propria anima», per dirla con le parole di Gesù di Nazaret: non tradire la propria umanità, la sorgente interiore che irrora l’essere, il proprio vero sé. In che modo? Prendendosene cura, come un vaso di fiori che necessita di essere annaffiato regolarmente, pena l’avvizzimento e la morte. Ci torna alla mente la fede serena, ma al contempo ferma, di Etty Hillesum: «Tutto avviene secondo un ritmo più profondo, che si dovrebbe imparare ad ascoltare. È la cosa più importante che si può imparare in questa vita».
Ecco, nei tempi di crisi i saggi ci ricordano che importante non è l’accumulo, il potere, il successo, neanche i legami più cari, ma una cosa sola: la cura della propria sorgente interiore. «Infatti quale vantaggio c’è che un uomo guadagni il mondo intero e perda la propria vita?» (Mc 8,36).
Il lavoro che segue è il tentativo di mostrare una possibile via per non perdere la propria anima, una modalità di innaffiare il proprio essere, che appunto come una pianta ha necessità di essere accudi-
to con costanza, affinché non appassisca e muoia per distrazione, dimenticanza o arroganza. E questo intento si traduce nella pratica della meditazione, ossia l’attività di accudimento del proprio «io invisibile», per usare un termine caro al filosofo tedesco Immanuel Kant.
Meditare è custodire, e vince chi custodisce. Vinceremo sull’odio e sulla disgregazione di noi stessi e del mondo se impariamo a custodire il nostro tesoro, il nostro bene più prezioso, la nostra anima appunto. Il Dhammapada – testo del canone buddhista – ricorda che «la vittoria su se stessi è la suprema vittoria, e questo ha molto più valore che soggiogare gli altri».
Meditando torniamo a casa, esperiamo la nostra natura più profonda, la pasta di cui siamo fatti, al di là del nostro piccolo ego e dell’io psicologico.
Tat tvam asi (ciò tu sei), ricorda la tradizione indù nel Chandogya Upanishad 1. Sì, io sono «ciò»,
1 Dal Chandogya Upanishad, importante testo della filosofia vedanta, deriva il mantra « Tat tvam asi» che, sinteticamente, significa «quello sei tu», intendendo da un lato il divino, il prossimo e la natura, dall’altro noi stessi. Siamo dunque un tutt’uno con Dio. Nel testo sono inoltre contenute tre grandi massime o aforismi, detti mahavakya, ossia grandi detti, tre espressioni sanscrite che esprimono il concetto
sono l’essenza, la natura stessa del tutto. Ed è proprio la ricerca del fondamento, della sorgente, ciò a cui anela Bede Griffiths nel Ritorno al Centro, quando si domanda:
Che cos’è il vero sé? Qual è il vero centro dell’essere dell’uomo? È l’ego, che si rende indipendente e mira a essere il signore del mondo? O esiste un “io” al di là dell’ego, un centro più profondo dell’essere personale, che si fonda sulla verità, e che è uno con il sé universale, con la legge dell’universo? Questa è la grande scoperta del pensiero indiano: la scoperta del sé, l’ atman del fondamento dell’essere personale, che è uno con il brahman, il fondamento dell’essere universale. Non si raggiunge tale conoscenza attraverso il pensiero; al contrario, la si raggiunge esclusivamente trascendendo ogni pensiero. La ragione, così come il sé di cui è la facoltà, deve trascendere se stessa. Fino a quando sarà orientata al mondo sensibile, materiale, rimarrà sempre difet-
dell’identità tra spirito individuale, atman, e spirito universale, brahman. Tat tvam asi, «quello sei tu», dove Tat sta per «l’immenso, l’impronunciabile, il divino», mentre tvam asi significa «questo sei tu». Pronunciando queste parole, affermiamo di riconoscere e rispettare il divino in qualunque forma, entità o sensazione esso ci compaia davanti. Aham brahmasmi, «io sono brahman, il divino»: qui diventiamo consapevoli di essere noi stessi divini; Ayam atma brahma, «questo sé è il brahman » o anche « Dio e io siamo un tutt’uno».
tosa, incapace di scoprire la verità. Ma nel momento in cui guarda all’interno di se stessa, alla propria sorgente, e si riconosce nel proprio fondamento attraverso un’intuizione pura, allora conosce la verità del proprio stesso essere e dell’essere del mondo, e diviene realmente libera. «Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (Gv 8,32). In questo consiste la redenzione: nell’essere liberati dalla schiavitù dei sensi e del mondo materiale e nello scoprire che il fondamento e la sorgente di tutto ciò che è risiedono nel sé, che è la parola di Dio all’interno di noi.
L’intenzione di questo libro è molto semplice: proporre un percorso di riscoperta del proprio sé autentico, un ritorno al centro, alla propria sorgente interiore, attraverso l’antica pratica della meditazione. Un percorso che conduce così alla verità, al l ’esperienza di sé e del mondo senza il filtro dell’illusione e dei sogni, per esperire finalmente la piena libertà e quindi il compimento del cuore.
Prima parte Storia della meditazione
1 La medicina dell’io
Un approccio alla meditazione non può prescindere dall’etimologia della parola. «Meditazione» deriva dal latino meditor, meditari (pensare, riflettere), forma iterativa (o frequentativa) del verbo medeor, mederi, che significa «curare, guarire» e che è strettamente legato al verbo greco meletao, che si può tradurre come «curarsi di qualche cosa», ma anche «riflettere, meditare».
È interessante notare come questa duplice valenza dell’originale termine greco si rifletta nelle accezioni dei due vocaboli latini. Ed è anche straordinario che da lì derivino i campi semantici afferenti: la mente e il pensiero da un lato, la medicina dall’altro. Quasi a volerci dire, simbolicamente, che la pratica della meditazione svolge un’azione guaritrice, che la meditazione può trasformarci nel medico di noi stessi. La meditazione è un medico
che cura ciò che ci allontana dal nostro centro, perché infrange la lontananza, dissolve ciò che ci distanzia da noi stessi e ci riporta al nostro centro. Purifica il nostro io malato, il nostro ego. Ma andiamo per gradi. Comunemente noi occidentali siamo portati a credere che la pratica della meditazione sia un fenomeno esclusivamente connesso alle tradizioni spirituali dell’Estremo Oriente, che abbiamo mutuato grazie all’impegno di chi è venuto in contatto con esso, lo ha sperimentato, ha saputo farlo proprio e ha poi voluto trasmetterlo. In realtà le cose non stanno proprio così. Se torniamo indietro, alle origini dell’esperienza cristiana, possiamo constatare che le radici della meditazione si trovano anche nel percorso cristiano: i Padri del deserto non solo ne facevano uso, ma ne hanno affinato tecniche e metodi.
Seconda parte L’arte della meditazione
1 L’atto del non fare
Nel breve romanzo Lo zen e il tiro con l’arco, il filosofo tedesco Eugen Herrigel afferma che esiste una modalità di essere, precisamente uno stato in cui non si pensa, non ci si propone, non si persegue, non si desidera né si attende più nulla di definito, (uno stato) che non tende verso nessuna particolare direzione ma che per la sua forza indivisa sa di essere capace del possibile come dell’impossibile – questo stato interamente libero da intenzioni, dall ’io, il maestro lo chiama propriamente «spirituale».
Se liberi da intenzioni, dall’attaccamento all’io, coloro che meditano, gli uomini e le donne spirituali, sanno di essere capaci del possibile come dell’impossibile. E così si libera la «vera arte», che Eugen Harrigel definisce «senza scopo, senza intenzione». Quanto più ci «si ostinerà a voler impa-
rare a far partire la freccia per colpire sicuramente il bersaglio», prosegue, «tanto meno riuscirà l’una cosa, tanto più si allontanerà l’altra». L’ostacolo è «una volontà troppo volitiva». Si ritiene che ciò che non si fa, non avvenga. Lo pensiamo tutti. Se non facciamo, come può capitare qualcosa? Se non traffichiamo, se non ci agitiamo, come è possibile edificare qualcosa? Riscritte da Osho nel volume Tantra. La comprensione suprema, le intuizioni mistiche del maestro indiano Tilopa sul mondo del tantra 4 , trasmesse in forma di canto al discepolo Naropa, assumono oggi un significato ancora attuale:
Non occorre che tu faccia nulla: il divino ti ha già dato tutto quello che può essere dato. Non sei stato messo al mondo come un pezzente, ma come un imperatore. Guardati dentro! Non andare da nessuna parte, non desiderare, non pensare al futuro, non pensare al passato, resta qui e ora; e improvvisamente ecco la meta! È sempre stata lì, e ti viene da ridere!
Lin Chi, quando gli chiesero qual era la prima cosa che aveva fatto raggiunta l’illuminazione, rispose: «Che si può fare? Ho riso e ho chiesto una tazza di
4 I Tantra (Libri) sono i testi canonici della teologia e della filosofia induista. Trattano dei cinque grandi oggetti: creazione e distruzione del mondo; culto degli dèi; conseguimento di forze soprannaturali; unione con lo spirito supremo.
tè. Ho riso, perché cosa avevo mai fatto? Avevo cercato qualcosa che c’era già». Tutti i buddha hanno riso e chiesto una tazza di tè, che altro si può fare? La meta era già lì. Stai inutilmente correndo di qua e di là, finché a un certo punto, stanco, torni a casa: una tazza di tè è esattamente quello che ci vuole! La ricerca affannosa produce il fumo che circonda la fiamma. Il correre disperatamente in cerchio solleva la polvere che nasconde la meta. Il tuo sforzo solleva polvere, fa fumo, nasconde la fiamma. Riposati un po’, lascia che il fumo si diradi. E se non corri troppo in fretta, non sollevi più polvere. A poco a poco la perturbazione si placa e appare la luce interiore.
«Non occorre che tu faccia nulla». La meditazione è l’atto del non fare. Paradossale nel senso etimologico del termine: contro l’opinione comune. Meditando non si fa, non si produce, non si costruisce. Non ci si rivolge neppure a un dio, né per invocarlo né per ringraziarlo o lodarlo. Non gli si domandano doni, grazie o guarigioni, per sé o per altri. Meditando, semplicemente, «si sta» come il fiore, come la montagna, radicati nel proprio terreno interiore. Indipendentemente da ciò che accade intorno. La meditazione è l’arte del rimanere.
Con molteplici esempi Antonia Tronti, in ... E rimanendo lasciati trasformare, coniuga l’esortazione
evangelica del «rimanere», quindi il principio della stabilità, con l’imperativo del movimento che prevede di non avere «dove posare il capo» (Mt 8,20).
Si sta radicati nel tutto come un permanere in noi che è gratuito, che è semplicemente dono di esistenza. A noi il compito di accoglierlo, di prenderne coscienza e di non ostacolarne il flusso. Di non divenire ostili alla vita in noi. Di non staccarci dalla provenienza. Di non crederci autosufficienti. Non chiusi. Non auto-viventi ma dipendenti da un Vivificante. Riconoscere che il nostro respiro appartiene a un Soffio più ampio, che lo Spirito vive in noi e che noi non viviamo senza di esso. Non viviamo se non a partire da lui. Non viviamo se non in lui. Non viviamo se lui non è in noi.
Rimanendo nel tutto, divenendone sempre più consapevole, pian piano mi percepisco come un fluire e un emergere da questo tutto, la matrice mia e dell’intero universo. La meditazione è l’esperienza dell’emergere dalla sostanza di cui si è impastati: la divinità.
«La grazia è senza sforzo», ricorda Simone Weil, facendo eco al maestro cinese Lao Tse: «Il saggio, senza agire, opera». La meditazione crea quel vuoto che, dopo aver eliminato l’ostacolo di una volon-
tà troppo volitiva, diviene lo spazio dove tutto si può compiere. Sbarazzarsi del desiderio di conseguire un obiettivo a tutti i costi, di veder realizzati per forza i propri progetti, di ottenere ciò che si attendeva, è la conditio sine qua non perché qualcosa possa di fatto affermarsi. Questo lasciar andare può essere visto come una morte, ma in fondo Gesù ci ha detto che chi perderà la propria vita, la salverà (cfr. Mc 8,35).
Il vuoto è grembo fecondo di possibilità. Fare tana nel vuoto significa “mollare la presa”, per poi stupirsi dell’esistenza di una creatività indipendentemente dall’opera compiuta.
ABC della vita cristiana
Testi agili che offrono un orientamento per introdursi nel cuore della spiritualità cristiana, per muovere i primi passi nella fede in Gesù di Nazaret, per allenarsi a compiere scelte in sintonia con il Vangelo.
1. Coltivare l’ amore. Matrimonio e famiglia alla luce di Amoris laetitia, di George Augustin
2. Scegliere di rinnovarsi. Cammino di conversione per una Chiesa di «schiodanti», di Antonio Ruccia
3. Testa o cuore? L’ arte del discernimento, di Gaetano Piccolo
4. Nascere di nuovo. Un itinerario di guarigione interiore, di Gaetano Piccolo
5. Fame di Dio. L’Eucaristia nella vita quotidiana, di Anna Maria Cànopi
7. #Noistiamoacasa. Vivere insieme. Istruzioni per l ’uso, di Anselm Grün; Simon Biallowons
8. La porta del castello. Breve iniziazione ai modi di pregare, di Giuseppe Forlai
9. Dieci parole per curare. Il Decalogo biblico riletto in chiave terapeutica, di Gianluigi Peruggia
10. San Giuseppe. Gli occhi del cuore, di Margarita Saldaña Mostajo
11. Se non lo cerchi lo trovi, di Paolo Scquizzato
12. La danza dei grembi, di Ermes Ronchi
DE LLA AB
Non occorre che tu faccia nulla: il divino ti ha già dato tutto. Guardati dentro! Non andare da nessuna parte, non desiderare, non pensare al futuro, non pensare al passato, resta qui e ora in silenzio. Improvvisamente ecco la meta… È sempre stata lì.
P aolo S cquizzato , presbitero e scrittore, docente di Antropologia teologica e responsabile dell’Ufficio per l’Ecumenismo e il Dialogo Interreligioso nella diocesi di Pinerolo (TO). Si occupa di formazione spirituale, conduce gruppi di meditazione silenziosa ed è guida biblica in Palestina. Fondatore dell’associazione Scuola Diffusa del Silenzio, è autore di numerosi testi di spiritualità. Con Paoline: Dalla cenere la vita (20192); Ogni storia è storia sacra. Il Vangelo secondo Matteo (20202); Ascoltare l’Inaudito. Il Vangelo secondo Marco (2020); Trasformati e diventa. Il Vangelo secondo Luca (2021).
ISBN 978-88-315-5518-0