Arthur W. Pink
La Dottrina DeLL'eLezio ne Traduzione ed adattamento di Paolo E. Castellina Revisione di Giovanni Brandi
Edizioni Tempo di Riforma 2010
ISBN 978-1-4461-2810-7 Testo originale di pubblico dominio liberato dal copyright dall'autore stesso, accessibile su Internet all’indirizzo: http://www.pbministries.org/books/pink/Election/election.htm Le citazioni bibliche sono tratte, salvo diversamente indicato, dalla versione: "La Sacra Bibbia Nuova Riveduta" (NR), Copyright © 1994, Società Biblica di Ginevra - CH-1211 Ginevra oppure dalla versione: "La Nuova Diodati" (ND), Copyright © 1991, La Buona Novella s.c.r.l. Contrada Restinco - Cas. Postale 27, 72001 Brindisi – Italia. Occasionalmente sono citati versetti biblici dall'edizione CEI o dalla Versione Diodati, accessibili su Internet all’indirizzo: http://www.laparola.net/ Numerosi altri articoli e scritti sulla fede evangelica riformata sono accessibili presso il sito del past. P. E. Castellina: http://www.riforma.net - E-Mail: paolocastellina@gmail.com Quest'opera è stata rilasciata sotto la licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 2.5 Italy. Per leggere una
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copia della licenza visita il sito web http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.5/it/ o spedisci una lettera a Creative Commons, 171 Second Street, Suite 300, San Francisco, California, 94105, USA. Settembre 2010
Se è evidente che per volere di Dio la salvezza è offerta agli uni mentre gli altri ne sono esclusi, da ciò nascono grandi e gravi questioni che non si possono risolvere se non insegnando ai credenti il significato dell’elezione e della predestinazione di Dio. (Giovanni Calvino, Ist. Rel.Crist. 3 libro, cap. 21, v. 1)
Prefazione “Benedetto sia il Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo, che ci ha benedetti di ogni benedizione spirituale nei luoghi celesti in Cristo. In lui ci ha eletti prima della creazione del mondo perché fossimo santi e irreprensibili dinanzi a lui, avendoci predestinati nel suo amore a essere adottati per mezzo di Gesù Cristo come suoi figli, secondo il disegno benevolo della sua volontà,6 a lode della gloria della sua grazia, che ci ha concessa nel suo amato Figlio” (Efesini 1:3-5). È con vera gioia che mi accingo a presentare quest’Opera: La Dottrina Dell’Elezione, di Arthur Walkington Pink (1886-1952), Teologo e Scrittore cristiano, inglese, poco conosciuto in Italia; quest’ uomo di Dio è vissuto nel secolo scorso, ma ha molto da dire e da insegnare alla generazione odierna.
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Si, Cristiano di altri tempi, per il suo zelo, la sua chiarezza espositiva e per il suo coraggio ad “annunciare tutto il consiglio di Dio” (Atti 20:27). Oggi per le sue affermazioni nette, lo definiremmo “radicale,” ”fondamentalista”,”conservatore”; infatti, fu un ministro del Signore che non accettò mai il compromesso. Autore di molti interessanti libri, compresi quelli che affrontano “temi controversi”, come quello della Sovranità di Dio , l’ispirazione delle Scritture e dell’Elezione, per citarne solo alcuni. Quest’ultima Opera, appunto, tratta di un tema controverso, una “dottrina difficile”, “che alcuni uomini torcono, e questo egli fa in tutte le sue lettere, in cui tratta di questi argomenti. In esse ci sono alcune cose difficili a capirsi, che gli uomini ignoranti e instabili travisano a loro perdizione come anche le altre Scritture” (2 Pietro 3:16).) ma l’Autore non si tira indietro né si spaventa , sapendo che la Dottrina dell'Elezione appartiene alle fondamenta stessa della fede cristiana, per usare le sue stesse parole; è per Lui, insomma: l’articulus stantis et cadentis ecclesiae,ovvero, l’articolo con cui la Chiesa sta in piedi o cade, perciò accetta la sfida della cristianità nominale,predicando la Verità dell’Evangelo; “...ma esponiamo la sapienza di Dio misteriosa e nascosta, che Dio aveva prima dei secoli predestinata a nostra gloria” (1Corinzi 2:7) Certo, un’antica, cara e stupenda dottrina “calvinista” che ha rallegrato e sostenuto il cuore di intere generazioni di credenti! Ma ahimé negletta dalle ultime generazioni a causa del secolarismo imperante. Pink, esamina in modo minuzioso, completo, la Dottrina dell’Elezione, percorrendola in undici capitoli. Introduce, le Sue considerazioni,riflettendo sulla difficoltà nella comprensione della stessa, evidenziandone le ragioni e l’approccio che si deve adottare affrontando l’argomento. Discute, poi, pian piano, con maestria e competenza il “Piano del Dio-Trino” per i “Suoi Eletti”partendo dall’eternità, vale a dire dai “Decreti di Dio”, al Garante e “Prototipo”della nostra Elezione, il Signor nostro Gesù Cristo. Chiarisce, inoltre, quali sono le manifestazioni ed i frutti 4
secondo le Scritture, di questa “meravigliosa dottrina”con le sue implicazioni , non tralasciando di rispondere in modo chiaro e diretto alle obiezioni a questo insegnamento. Infine, termina questa Sua Opera, istruendoci sul come presentare questa stupenda Verità, secondo il dettato biblico, “Bada a te stesso e all'insegnamento; persevera in queste cose perché, facendo così, salverai te stesso e quelli che ti ascoltano" (1 Timoteo 4:13,16). Sono contento, che finalmente anche in Italia si legga buona letteratura “riformata” e che questo libro abbia avuto luce, insieme all’altro, La Sovranità di Dio, tradotti dal fratello in fede Paolo Castellina, al quale vanno i miei ringraziamenti per il suo impegno e la sua dedizione a questo compito. Concludo con le stesse parole dell’Autore della Dottrina dell’Elezione: “Che incoraggiamento essa dovrebbe dare al peccatore risvegliato! Quando apprende che l'elezione è soltanto questione della grazia divina, la speranza si accende nel suo cuore: quando scopre che l'elezione ha estratto il più iniquo fra gli iniqui per diventare un monumento alla divina misericordia, perché mai dovrebbe disperare”?” Anche per me, avere questo libro tra le mani è stato come uscire da una caverna e respirare a pieni polmoni ossigeno puro; nello stesso modo l’anima mia si è ristorata, appagata meditando su di esso. Soli Deo Gloria! Giovanni Brandi Napoli, 13/08/2010
L’immagine di copertina è un mosaico della Basilica di S. Apollinare in classe, Ravenna, “La separazione delle pecore dai capri”. “Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria con tutti gli angeli, prenderà posto sul suo trono glorioso. E tutte le genti saranno riunite davanti 5
a lui ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri; e metterà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. Allora il re dirà a quelli della sua destra: "Venite, voi, i benedetti del Padre mio; ereditate il regno che v'è stato preparato fin dalla fondazione del mondo” (Matteo 25:31ss).
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La Dottrina dell'Elezione di Arthur W. Pink
Introduzione La dottrina dell'elezione appartiene alle fondamenta stessa della fede cristiana. Nel passato molti fra i più abili teologi erano soliti ad iniziare le loro opere di teologia sistematica con una presentazione degli attributi di Dio e poi con una contemplazione dei Suoi eterni decreti. È nostra fondata persuasione, dopo aver esaminato a fondo gli scritti di molti nostri teologi moderni, che il metodo seguito dai loro predecessori rimanga insuperato. Dio esisteva prima dell'essere umano ed i Suoi eterni propositi precedono le opere che Egli compie nel tempo. "...dice il Signore che fa queste cose, a lui note fin dall'eternità" (Atti 15:18). Il divino consiglio si è riunito prima della creazione. Così come un costruttore prima di iniziare a costruire prepara accuratamente il progetto, così il grande Architetto, prima di chiamare all'esistenza ogni singola creatura, ha predestinato ogni cosa. Dio non ha tenuto questo fatto come un segreto chiuso in cassaforte. Egli si è compiaciuto di farci conoscere, nella Sua Parola, come la grazia che ci è manifestata sia stata il prodotto di un divino consiglio, di propositi eterni, accuratamente disposti affinché puntualmente si realizzasse questo grande Suo fine. Quando un edificio è in costruzione, chi dall'esterno lo guarda, spesso non riesce a darsi ragione di molti suoi dettagli. Apparentemente sembra che non vi sia né ordine né disegno: tutto appare confuso. Se però si esaminano con attenzione i progetti del costruttore cercando di visualizzare mentalmente il prodotto finito, molto di ciò che prima ci lasciava perplessi diventa chiaro ed acquista il suo senso. Lo stesso si può dire della manifestazione degli eterni propositi di Dio. Fintanto che noi non
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ci familiarizziamo con i Suoi eterni decreti, la storia per noi rimarrà un enigma insolubile. Dio non opera a casaccio. L'Evangelo è stato pubblicato non come una missione dallo sviluppo e dall'esito incerto. Il risultato finale del conflitto fra bene e male non è stato lasciato indeterminato. Il numero di quanti saranno salvati e quello di quanti rimarranno perduti non dipende dalla volontà della creatura. Tutto è stato determinato in modo infallibile e fissato immutabilmente da Dio sin dall'inizio. Tutto ciò che accade nel tempo non è che il compimento di ciò che era stato prestabilito dall'eternità. Ecco così come la grande verità dell'elezione ci riporta all'inizio di tutte le cose. Essa precede l'ingresso nell'universo del peccato, la caduta dell'uomo, l'avvento del Cristo e la proclamazione dell'Evangelo. Una retta comprensione dell'elezione, specialmente in rapporto con il patto eterno, è quindi assolutamente essenziale se vogliamo non cadere in errori fondamentali. Se le fondamenta non sono sane, anche l'edificio che è costruito su di esse non potrà essere sano. Se erriamo nella comprensione di questa verità di base, allora, in proporzione diretta, anche la nostra comprensione delle altre verità non sarà accurata. Il modo in cui Dio tratta Giudei e Gentili, il proposito dell'invio nel mondo di Suo Figlio, il disegno che si propone con l'Evangelo, e persino la comprensione della Sua provvidenza, non potrà essere visto in giusta prospettiva fintanto che non sia considerato alla luce dell'eterna elezione. Lo comprenderemo meglio nel prosieguo di questo studio. Quella dell'elezione è sicuramente una dottrina difficile, e questo per tre motivi. In primo luogo, si tratta di una dottrina difficile da comprendere. A meno che noi non si abbia il privilegio di poterci avvalere del ministero di un servitore di Dio istruito dallo Spirito Santo che ci presenti la verità in modo sistematico, sarà necessario da parte nostra un lavoro diligente e meticoloso di ricerca attraverso le Scritture per raccogliere e catalogare tutti gli sparsi riferimenti a questo argomento. Lo Spirito Santo, non si è compiaciuto di fornirci un'esposizione completa ed ordinata della dottrina 8
dell'elezione. Al contrario, al riguardo troviamo "un po' qui e un po' là" quanto la riguarda nei suoi tipici resoconti storici, nei Salmi e nelle profezie, nella grande preghiera di Cristo (Giovanni 17), nelle Epistole degli Apostoli. In secondo luogo, si tratta di una dottrina difficile da accettare. Questo presenta una difficoltà ancora maggiore, perché quando la mente percepisce quanto le Scritture rivelano al riguardo, il cuore è riluttante ad accogliere una tale dottrina perché essa umilia ed abbatte l'orgoglio umano. Con quanto fervore dobbiamo allora far cessare la nostra inimicizia contro di Lui ed i nostri pregiudizi contro la Sua verità! In terzo luogo, si tratta di una dottrina difficile da predicare. Il novizio non è competente nel presentare questo argomento nella prospettiva e proporzione usate dalla Bibbia. Queste difficoltà, però, non dovrebbero scoraggiarci ed ancor meno impedirci dal fare uno sforzo onesto per comprendere e ricevere di tutto cuore tutto ciò che Dio si è compiaciuto di rivelarci al riguardo. Le difficoltà sono finalizzate a conservarci umili, a formare il nostro carattere, a farci sentire la necessità della sapienza dall'alto. Non è facile giungere ad una comprensione chiara ed adeguata delle dottrine insegnate dalle Sacre Scritture, e Dio non ha mai inteso dovesse esserlo. La verità deve essere "acquistata" (Proverbi 23:23). Purtroppo pochi sono coloro che sono disposti a pagarne il prezzo, cioè dedicare allo studio della Parola in spirito di preghiera, il tempo che sprecano a leggere i giornali o in oziosa ricreazione. Queste difficoltà non sono insormontabili, perché al popolo di Dio è stato donato lo Spirito per guidarlo in ogni verità. Questo è pure vero per il ministro della Parola: attendere umilmente che Dio ci parli, insieme allo sforzo diligente di un operaio che non abbia di che vergognarsi, a suo tempo lo metterà in grado di esporre questa verità per la gloria di Dio e la benedizione di quanti lo ascoltano. La dottrina dell'elezione è una dottrina importante, come risulta da varie considerazioni che si possono fare al riguardo. Potremmo forse meglio comprendere l'importanza di questa dottrina rilevando come senza l'elezione eterna non vi sarebbe 9
mai stato alcun Gesù Cristo e quindi nessun divino Evangelo; perché, se Dio non avesse mai eletto a salvezza un popolo, Egli non avrebbe mai inviato Suo Figlio; e se non avesse mai inviato alcun Salvatore, nessuno avrebbe mai potuto essere salvo. È così che l'Evangelo stesso trova la sua origine in questa questione vitale dell'elezione. "Ma noi dobbiamo sempre ringraziare Dio per voi, fratelli amati dal Signore, perché Dio fin dal principio vi ha eletti a salvezza mediante la santificazione nello Spirito e la fede nella verità" (2 Tessalonicesi 2:13). Perché l'Apostolo dice "dobbiamo sempre ringraziare"? Perché l'elezione sta alla radice stessa di ogni benedizione, è la sorgente di ogni misericordia ricevuta dall'anima. Se l'elezione fosse eliminata, tutto sarebbe eliminato, perché coloro che sono oggetto di benedizioni spirituali lo sono sulla base di questo principio: "Benedetto sia il Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo, che ci ha benedetti di ogni benedizione spirituale nei luoghi celesti in Cristo. In lui ci ha eletti prima della creazione del mondo perché fossimo santi e irreprensibili dinanzi a lui" (Efesini 1:3-4). Bene dice Calvino: "Non saremo mai sufficientemente persuasi, così come dovremmo che la nostra salvezza fluisce dalla misericordia di Dio, finché la sua elezione eterna non ci sia anch'essa chiara; poiché essa è come un termine di paragone per valutare la grazia di Dio, in quanto egli non adotta indifferentemente tutti nella speranza della salvezza, ma dà agli uni quel che nega agli altri. Ognuno è in grado di vedere quanto l'ignorare questa verità sminuisce la gloria di Dio, e quanto allontani dalla vera umiltà il non porre tutta la causa della nostra salvezza in Dio soltanto" (Istituzione della Religione Cristiana, libro 3,cap. 21, ver.1). Si tratta di una dottrina benedetta, perché l'elezione è la sorgente stessa di ogni benedizione. Questo fatto è chiarito in modo incontrovertibile da Efesini 1:3-4. In primo luogo, lo Spirito Santo, dichiara che i santi sono stati benedetti d'ogni benedizione spirituale nei luoghi celesti in Cristo. Poi procede a 10
mostrare il perché essi siano così benedetti: perché sono sono stati eletti in Cristo già da prima della fondazione del mondo. Vediamo così quanto questa dottrina sia grande e gloriosa: tutte le nostre speranze e prospettive appartengono ad essa. L'elezione, sebbene distinta e personale, non è, come spesso è stato affrettatamente affermato, una scelta puramente astratta di persone a salvezza indipendentemente dalla loro unione con il Capo del Patto, ma della loro scelta in Cristo. Questo comprende, quindi, ogni altra benedizione, ed ogni altra benedizione è data solo attraverso di essa e in accordo con essa. Rettamente inteso, non c'è nulla che possa maggiormente infondere conforto e coraggio, forza e certezza, che l'adesione di tutto cuore a questa verità. Essere assicurato che io sia uno di coloro che sono stati altamente favoriti dal Cielo, impartisce la fiducia che Dio provvederà certamente ad ogni mio bisogno e farà cooperare ogni cosa al mio bene. La conoscenza del fatto che Dio, mi ha predestinato all'eterna gloria, fornisce una garanzia assoluta che nessuno sforzo di Satana per causare la mia distruzione avrà mai successo, perché se il grande Iddio è per me, chi mai potrà essere contro di me ed avere successo? Questo fornisce pure al predicatore, una grande pace, perché scopre che Dio non lo ha inviato per scoccare una freccia in aria verso un obiettivo incerto, ma la Sua Parola avrà sicuramente l'effetto prestabilito: "...così è della mia parola, uscita dalla mia bocca: essa non torna a me a vuoto, senza aver compiuto ciò che io voglio e condotto a buon fine ciò per cui l'ho mandata" (Isaia 55:11). Che incoraggiamento essa dovrebbe dare al peccatore risvegliato! Quando apprende che l'elezione è soltanto questione della grazia divina, la speranza si accende nel suo cuore: quando scopre che l'elezione ha estratto il più iniquo fra gli iniqui per diventare un monumento alla divina misericordia, perché mai dovrebbe disperare? È una dottrina sgradita. Ci si potrebbe ragionevolmente attendere che una verità che tanto onori Dio, esalti Cristo e sia di
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tanta benedizione, sia sostenuta e diffusa di tutto cuore da tutti i cristiani professanti ai quali essa sia chiaramente presentata. Proprio per il fatto che i termini: "predestinati", "eletti", e "scelti" ricorrano così frequentemente nella Parola, uno potrebbe sicuramente concluderne che tutti coloro che affermano di accogliere le Scritture come divinamente ispirate, accolgano con fede implicita questa grande verità riferendo l'atto stesso - così come si conviene a creature peccaminose ed ignoranti - al sovrano compiacimento di Dio. Di fatto, però, questo è lungi dall'essere il caso. Non c'è dottrina che più di questa sia stata detestata dalla fiera natura umana, una dottrina che abbassa la creatura ed esalta il Creatore. Sì, non c'è nulla di altrettanto evidente e palese come proprio questa dottrina susciti l'inimicizia della mente carnale. All'inizio del mio giro di conferenze Australia dissi: "Questa sera parlerò di una delle dottrine più odiate dell'intera Bibbia, cioè quella dell'elezione sovrana di Dio". Da allora abbiamo circumnavigato il globo e siamo venuti in contatto più o meno stretto con migliaia di persone appartenenti a molte denominazioni e ancor più migliaia d'altri cristiani professanti che non appartengono ad alcuna, ed oggi il solo cambiamento che potremmo fare a quell'affermazione è che, sebbene la verità del castigo eterno sia la dottrina più contestata dai non-professanti, quella della sovrana elezione è la verità più detestata e svilita dalla maggioranza di coloro che affermano d'essere credenti. Dichiariamo esplicitamente che la salvezza prende origine non dalla volontà umana, ma dalla volontà di Dio (vedi Giovanni 1:13; Romani 9:16), che se non fosse così nessuno vorrebbe o potrebbe essere salvato - perché come risultato della caduta, l'essere umano ha perduto ogni desiderio e volontà di fare il bene (Giovanni 5:40; Romani 3:11) - e che persino gli eletti devono essere resi volenterosi (Salmo 110:3), eppure alto sorge il grido di indignazione contro un tale insegnamento. La questione di fondo sta proprio qui. I millantatori di meriti non permettono la supremazia della volontà di Dio e l'impotenza a fare il bene della volontà umana, di conseguenza, coloro che
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maggiormente attaccano l'elezione del sovrano beneplacito di Dio, sono proprio quelli che in modo più appassionato difendono il libero arbitrio dell'essere umano decaduto. Nei decreti del Concilo di Trento, laddove il Papismo definisce in modo irrevocabile la propria posizione sui punti sollevati dai Riformatori, e che Roma non ha mai smentito, troviamo il seguente: "Se qualcuno afferma che il libero arbitrio dell’uomo dopo il peccato di Adamo è perduto ed estinto; o che esso è cosa di sola apparenza anzi nome senza contenuto e finalmente inganno introdotto nella chiesa da Satana: sia anatema" [Canoni del Concilio di Trento, Canoni sulla giustificazione, Capitolo XVI, 5]. Fu per la loro ferma adesione alla verità dell'elezione, con tutto ciò che implica, che John Bradford (1510-1555) e centinaia d'altri furono bruciati vivi sul rogo dagli agenti del Papa. Indicibilmente triste è vedere come molti protestanti professanti concordino, in questo errore fondamentale, con la madre di tutte le prostitute. Qualunque siano le obiezioni che molti sollevano contro questa beata verità, essi saranno costretti ad udirla nell'ultimo giorno, udirla come la voce della decisione finale, inalterabile ed eterna. Quando la morte e l'Ades, il mare e la terra asciutta, restituiranno i loro morti, allora sarà aperto di fronte ad angeli e demoni, in presenza dei salvati e dei perduti, il libro della vita - il registro in cui sono riportati sin da prima della fondazione del mondo i nomi di coloro che sono oggetto dell'elezione della grazia. Allora quella voce risuonerà dai punti più alti del Cielo fino a quelli più bassi dell'inferno, estesa fino ai confini dell'universo. "E se qualcuno non fu trovato scritto nel libro della vita, fu gettato nello stagno di fuoco" (Apocalisse 20:15). È così che questa verità, odiata soprattutto dai non-eletti, è quella che echeggerà nelle orecchie dei perduti quando entreranno nell'eterna rovina! Ah, caro lettore, la ragione per la quale molti non intendono accogliere e debitamente valorizzare la verità dell'elezione è perché non sentono come essa sia debitamente necessaria.
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È una dottrina che divide. La predicazione della sovranità di Dio, come Egli la esercita nel prestabilire il destino eterno di ciascuna delle Sue creature, è come un efficace ventilabro per ripulire l'aia del Signore, separando il frumento dalla pula. "Chi è da Dio ascolta le parole di Dio. Per questo voi non le ascoltate; perché non siete da Dio" (Giovanni 8:47). Chi è da Dio, ascolta ed accoglie la Parola di Dio, non importa quali obiezioni possa suscitare e quali che siano le sue idee. È uno dei segni che contraddistinguono la persona rigenerata quella di porre il proprio sigillo sul fatto che Dio è verace. Dalla Parola di Dio, essi non prendono solo quello che più sembra convenire loro come gli ipocriti religiosi: una volta che essi si rendono conto come una verità sia chiaramente insegnata nella Parola, quand'anche essa si opponesse alla loro ragione ed inclinazioni, essi si inchinano di fronte ad essa, implicitamente la accolgono e lo farebbero anche se fossero l'uniche persone al mondo a credervi. Molto diverso è per la persona non rigenerata. Come dichiara l'Apostolo: "Costoro sono del mondo; perciò parlano come chi è del mondo e il mondo li ascolta. Noi siamo da Dio; chi conosce Dio ascolta noi, chi non è da Dio non ci ascolta. Da questo conosciamo lo spirito della verità e lo spirito dell'errore" (1 Giovanni 4:5-6). Non c'è nulla che maggiormente divida le pecore dalle capre che una fedele esposizione di questa dottrina. Se un servitore di Dio, accoglie un qualche nuovo incarico e desidera accertarsi chi fra il suo popolo desideri il puro latte della Parola e chi preferisca i surrogati del Diavolo, provi a iniziare una serie di sermoni su questo argomento. Esso si rivelerà ben presto il mezzo per separare "ciò che è prezioso da ciò che è vile" (Geremia 15:19). Era stato così nell'esperienza stessa del divino Predicatore, quando Cristo annuncia: "Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è dato dal Padre». Da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con lui" (Giovanni 6:65-66)!
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Certo è vero che non tutti coloro che ricevono intellettualmente il "Calvinismo" come una filosofia o teologia danno evidenze (nella loro vita quotidiana) di essere rigenerati. Eppure è ugualmente vero che coloro che continuano a cavillare e persistentemente rifiutano ogni parte della verità, non hanno titolo ad essere considerati cristiani. È una dottrina trascurata. Sebbene essa occupi un posto così prominente nella Parola di Dio, oggi essa è poco predicata ed ancor meno compresa. Naturalmente, non ci si aspetta che "gli alti critici" e i loro ciechi inganni predichino ciò che porta a considerare così poco l'essere umano, ma persino fra coloro che intendono essere considerati "ortodossi" ed "evangelici" sono scarsi coloro che sono disposti a dare a questa grande verità il posto che le si conviene dai loro pulpiti o scritti. In alcuni casi questo è dovuto all'ignoranza. Non essendo stati istruiti adeguatamente nelle scuole teologiche che hanno frequentato, e certamente non nelle "scuole bibliche", essi non hanno mai percepito quanto questa dottrina sia importante e preziosa. In troppi casi è loro desiderio acquisire popolarità ed accoglienza generalizzata, compiacere il loro uditorio. Evitano, così, qualunque cosa possa essere "controversa". In ogni caso, né ignoranza, né pregiudizio, né avversione ci consente di tacere su questa dottrina o minimizzare la sua importanza. Per concludere queste osservazioni preliminari, rileviamo come questa beata dottrina debba essere maneggiata con rispetto. Non è un argomento sul quale si possa speculare o trattare come un gioco intellettuale. Bisogna accostarsi ad essa in spirito reverenziale e devoto. Bisogna trattarla sobriamente. "Quando sei ingaggiato in una disputa, in una giusta contesa per difendere la verità di Dio, dall'eresia e dalla distorsione, guarda nel tuo cuore e metti una guardia di fronte alle tue labbra, fa' attenzione a che il tuo zelo non inneschi un incendio incontrollato" (Edward Reynolds, 1645). In ogni caso, non bisogna in alcun modo compromettere questa dottrina, ma bisogna trattarla in modo piano e chiaro, senza timore di perdere il favore dell'uomo, lasciando con fiducia tutti i 15
"risultati" nelle mani di Dio. Che Dio mi conceda di scrivere in modo da compiacergli, e tu che leggi di accogliere tutto ciò che procede da Lui.
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1. L’Elezione: la sua fonte Quando parliamo di elezione e di predestinazione è importante essere precisi. L'elezione è un ramo della predestinazione. La predestinazione come concetto non riguarda solo le creature umane ma riguarda ogni creatura, cose ed avvenimenti. L'elezione, però, è ristretta agli esseri razionali - angeli ed umani. Il termine predestinazione sta ad indicare come Dio, da ogni eternità, abbia sovranamente ordinato ed immutabilmente determinato la storia ed il destino di ogni singola Sua creatura. In questo studio, però, ci limiteremo alla predestinazione in riferimento solo alle creature razionali. Anche qui, però, è necessario fare una distinzione. Non vi può essere elezione senza esclusione, un prendere qualcuno senza lasciarne indietro altri, Non esiste logicamente una scelta senza che nel contempo vi sia anche un rifiuto. Prendo qualcosa e lascio qualcos'altro. Se vi sono degli eletti, vi sono anche dei non eletti. Scegliere "tutti" non avrebbe senso. Il Salmo 78, ad esempio, dice: "Ripudiò la tenda di Giuseppe e non scelse la tribù di Efraim; ma elesse la tribù di Giuda, il monte Sion che egli amava" (vv. 67, 68). La predestinazione, così, include sia la riprovazione (la preterizione), il passare oltre ai non eletti, e quindi il destinarli alla condanna a causa dei loro peccati, cfr. Giuda 4, che l'elezione a vita eterna. Discuteremo così ora la prima di queste cose. La dottrina dell'elezione significa, così, che Dio, nella Sua mente, ha operato una scelta sia fra gli angeli (1 Timoteo 5:21) che fra gli esseri umani, destinandone un certo numero alla vita eterna ed alla beatitudine. Prima di crearli Egli ha deciso il loro destino. È quel che fa ogni costruttore: prima elabora il progetto dell'edificio in ogni suo dettaglio, poi assembla il materiale necessario ed i muratori lo costruiscono secondo le precise istruzioni contenute nel progetto. L'elezione può essere definita in questo modo: fa parte del consiglio di Dio che Egli, da ogni eternità si sia proposto di concedere la Sua grazia ad un certo numero di Sue creature. Questo fatto giunge a compimento attraverso un preciso decreto che le riguarda. 17
Ora, in ogni decreto di Dio, devono essere considerate tre cose: il principio, la materia o sostanza, e il fine o disegno. Facciamo alcune considerazioni su questi tre elementi.
Il principio del decreto è la volontà di Dio. Esso trae la sua origine soltanto nella Sua sovrana determinazione. Nella determinazione della condizione delle Sue creature, la volontà stessa di Dio è la causa sola ed assoluta. Dato che non esiste nulla al di sopra di Dio che Lo governi, così non esiste nulla al di fuori di Lui che possa in qualsiasi modo spingerlo a fare qualcosa. Dire altrimenti significherebbe negare la volontà di Dio. In questo, Egli è infinitamente esaltato al di sopra di noi, perché non solo noi siamo soggetti a Qualcuno che è sopra di noi, ma la nostra volontà stessa è costantemente mossa e disposta da cause esterne. La volontà di Dio non potrebbe avere una causa al di fuori di sé stessa, altrimenti vi sarebbe qualcosa di precedente (dato che una causa precede sempre l'effetto) e qualcosa di più eccellente (perché la causa è sempre superiore all'effetto). Se non fosse così, Dio non sarebbe l'Essere indipendente che è. La materia o sostanza di un decreto divino è il proposito di Dio di manifestare uno o più dei Suoi attributi o perfezioni. Questo è vero pure per ogni altro decreto divino. Dato, però, che c'è varietà negli attributi di Dio, così ve n'è nelle cose che Egli decreta di portare all'esistenza. I due principali attributi che Egli esercita rispetto alle Sue creature razionali, sono la Sua grazia e la Sua giustizia. Nel caso degli eletti, Dio determina di esemplificare le ricchezze della Sua grazia stupefacente, ma nel caso dei non eletti, Egli ritiene appropriato dimostrare la Sua giustizia e severità - non manifestare loro la Sua grazia, perché era il Suo beneplacito che così fosse. Non bisogna, però, minimamente permetterci di pensare che quest'ultima cosa sia, da parte Sua, una sorta di crudeltà, perché la Sua natura non è solo grazia, né solo giustizia, ma entrambe. Nel determinare di manifestarle entrambi, non vi può essere punto alcuno d'ingiustizia,
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Il fine o disegno di ogni decreto divino è la stessa gloria di Dio, perché nulla di meno di questo sarebbe degno di Lui. Così come Dio, giura per Sé stesso, perché non può giurare per alcuno che sia più grande di Lui, così non può essere proposto alcun fine maggiore se non la Sua propria gloria. Dio ha stabilito come supremo fine di tutti i Suoi decreti ed opere: "L'Eterno ha fatto ogni cosa per se stesso" (Proverbi 16:4 ND) - per la Sua propria gloria. Così, come ogni cosa procede da Lui, come loro causa prima, così ogni cosa è per Lui, come obiettivo finale: "Perché da lui, per mezzo di lui e per lui sono tutte le cose. A lui sia la gloria in eterno. Amen" (Romani 11:36). Il bene delle Sue creature non è che il fine secondario. La Sua gloria è il fine supremo ed ogni cosa è subordinata a questo. Nel caso degli eletti è la stupefacente grazia di Dio ad essere magnificata; nel caso dei reprobi è glorificata la Sua pura giustizia. Ciò che seguirà in questo capitolo sarà in gran parte un'amplificazione di questi tre punti. La sorgente dell'elezione, dunque, è la volonta di Dio. Va da sé che per "Dio" intendiamo Padre, Figlio e Spirito Santo. Sebbene che nell'Essenza di Dio vi siano tre Persone, non c'è che una natura indivisa comune a tutte e, per questa ragione, solo una volontà. Sono uno e concordano perfettamente: "La sua decisione è una; chi lo farà mutare? Quello che desidera, lo fa" (Giobbe 23:13). Notiamo pure come la volontà di Dio, non è cosa da considerarsi a parte da Dio o una parte o componente di Dio: la volontà di Dio è Dio stesso che vuole. Si tratta, per così dire, della Sua stessa natura che agisce, perché la Sua volontà è la Sua stessa essenza. La volontà di Dio, poi, non è nemmeno soggetta a fluttuazione o cambiamento: quando affermiamo che la volontà di Dio sia immutabile, diciamo solo che presso di Lui: "non c'è variazione né ombra di mutamento" (Giacomo 1:17). La volontà di Dio, quindi, è eterna: dato che Dio stesso non ha principio e dato che la Sua volontà è la stessa Sua natura, allora la Sua stessa volontà deve essere necessariamente compresa come eterna. Facciamo un ulteriore passo in avanti. La volontà di Dio è assolutamente libera, non è influenzabile o controllabile da alcunché possa intendersi esterno a Lui. Questo appare dalla
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creazione del mondo stesso e da tutto ciò che esso contiene. Il mondo non è eterno, ma è stato creato da Dio. La decisione di crearlo o di non crearlo è stata fatta e determinata solo da Lui. L'esistenza o non esistenza del mondo è dipesa solo da Dio. Il tempo quando è stato creato (poco o molto tempo fa), la sua estensione (piccola o grande), quanto debba durare (se per un tempo soltanto o per l'eternità), le sue condizioni (se dovesse rimanere "molto buono" oppure contaminato dal peccato) tutto è stato stabilito dal sovrano decreto dell'Altissimo. Se solo avesse voluto, Dio avrebbe potuto portare all'esistenza questo mondo milioni d'anni prima di quanto abbia fatto. Se si fosse compiaciuto di farlo, avrebbe potuto creare tutto in un solo momento. Invece l'ha fatto in sei giorni e sei notti. Se si fosse compiaciuto di farlo, avrebbe potuto limitare il numero degli esseri umani a poche migliaia o centinaia, oppure più numeroso di com'è ora. Non c'è altra ragione che possa essere attribuita al perché Iddio abbia creato il mondo così com'è, e di quando e di come si sia sviluppato, se non la Sua volontà Suprema. La volontà di Dio, era assolutamente libera rispetto all'elezione. Nello scegliersi un popolo e destinarlo alla vita eterna ed alla gloria, non c'era nulla al di fuori di Sé stesso che potesse essere causa di tale proposito. Come Egli dichiara espressamente: «Io avrò misericordia di chi avrò misericordia e avrò compassione di chi avrò compassione» (Romani 9:15). Un tale modo di parlare non potrebbe esprimere meglio l'assolutezza della sovranità di Dio a questo riguardo. "...avendoci predestinati nel suo amore a essere adottati per mezzo di Gesù Cristo come suoi figli, secondo il disegno benevolo della sua volontà" (Efesini 1:5). Ancora una volta qui tutto è fatto risalire al disegno benevolo di Dio. Egli impartisce i Suoi favori o li nega secondo il Suo beneplacito. Egli non ritiene necessario giustificare la Sua procedura. L'Onnipotente non può essere trascinato alla sbarra dell'umana ragione: invece che cercare di giustificare l'alta sovranità di Dio, ci viene solo richiesto di credervi sulla base dell'autorità della Sua Parola.
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"In quel tempo Gesù prese a dire: «Io ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti, e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché così ti è piaciuto" (Matteo 11:2526). Il Signore Gesù è pienamente soddisfatto con l'affermazione: "Perché così ti è piaciuto", e lo stesso deve essere per noi. Alcuni fra i più abili espositori di questa profonda verità, affermano che causa motivante dell'elezione è l'amore di Dio, e citano per questo: "...avendoci predestinati nel suo amore a essere adottati per mezzo di Gesù Cristo come suoi figli, secondo il disegno benevolo della sua volontà" (Efesini 1:5). Così facendo, però, penso che essi potrebbero essere accusati di non essere abbastanza accurati nel leggere questo testo e di allontanarsi dalla regola della fede. Le parole "nel suo amore" molto probabilmente sono da riferirsi al versetto precedente, come traducono altre versioni italiane Nuova Riveduta: 4 In lui ci ha eletti prima della creazione del mondo perché fossimo santi e irreprensibili dinanzi a lui, 5 avendoci predestinati nel suo amore a essere adottati per mezzo di Gesù Cristo come suoi figli, secondo il disegno benevolo della sua volontà, 6 a lode della gloria della sua grazia, che ci ha concessa nel suo amato Figlio. C.E.I.: 4 In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, 5 predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo, 6 secondo il beneplacito della sua volontà. E questo a lode e gloria della sua grazia, che ci ha dato nel suo Figlio diletto; Nuova Diodati: 4 allorché in lui ci ha eletti prima della fondazione del mondo, affinché fossimo santi e irreprensibili davanti a lui nell'amore, 5 avendoci predestinati ad essere adottati come suoi figli per mezzo di Gesù Cristo secondo il beneplacito della sua volontà, 6 a lode della gloria della
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sua grazia, mediante la quale egli ci ha grandemente favoriti nell'amato suo Figlio. Ciononostante, è necessario notare attentamente come il versetto 5 non parli della nostra elezione originaria, ma del fatto che siamo stati predestinati ad essere adottati come figli. Le due cose sono atti differenti e separati di Dio, la seconda seguendo la prima. Iddio esegue il decreto del Suo consiglio con una procedura ordinata, così come la creazione stessa, in Genesi 1, avviene secondo una precisa sequenza temporale. Un oggetto deve esistere o sussistere prima di essere amato. L'elezione è avvenuta prima nella mente di Dio. Attraverso di essa Egli ha scelto le persone degli eletti affinché fossero sante ed irreprensibili di fronte a Lui (v. 4). La predestinazione è stato il secondo atto di Dio. Attraverso di essa Egli ha ratificato con un decreto la condizione di coloro ai quali la Sua elezione ha dato reale sussistenza di fronte a Lui. Avendoli scelti nel Suo amato Figlio ai fini della perfezione della santità e della giustizia, l'amore di Dio si è manifestato verso di loro, impartendo loro la principale e più alta benedizione del Suo amore: quella di renderli Suoi figli per adozione. Dio è amore e tutto il Suo amore è rivolto a Cristo ed a coloro che sono in Lui. Avendo fatto propri gli eletti attraverso la scelta sovrana della Sua volontà, il cuore di Dio si è rivolto verso di loro come Suo speciale tesoro. Altri attribuiscono la nostra elezione alla grazia di Dio citando: "Così anche al presente, c'è un residuo eletto per grazia" (Romani 11:5). Anche in questo caso dobbiamo distinguere fra cose che differiscono, cioè, fra l'inizio di un decreto divino e la sua materia o sostanza. È vero e di grande benedizione che gli eletti siano gli oggetti sui quali si esercita in modo particolare la grazia di Dio, ma si tratta di cosa diversa dal dire che la loro elezione abbia preso origine dalla grazia di Dio. L'ordine sul quale qui insistiamo è espresso chiaramente da Efesini 1. In primo luogo: "In lui ci ha eletti prima della creazione del mondo perché fossimo santi e irreprensibili dinanzi a lui" (v. 4). Si tratta dell'atto iniziale nella mente di Dio.
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In secondo luogo: "avendoci predestinati nel suo amore a essere adottati per mezzo di Gesù Cristo come suoi figli, secondo il disegno benevolo della sua volontà" (v. 5). Qui troviamo Dio che arricchisce coloro sui quali ha fatto oggetto del Suo amore. In terzo luogo, "a lode della gloria della sua grazia, che ci ha concessa nel suo amato Figlio" (v. 6). Qui troviamo sia il soggetto che il disegno del decreto di Dio - la manifestazione e la magnificazione della Sua grazia. La "elezione della grazia" ["Così dunque, anche nel tempo presente è stato lasciato un residuo secondo l'elezione della grazia" (Romani 11:5 ND), quindi, non deve essere compresa come genitivo di origine, ma come di oggetto o di carattere, come in: "la rosa di Sharon", "l'albero della vita". L'elezione della chiesa, come tutti i Suoi atti ed opere, deve essere fatta risalire alla volontà incontrollata ed incontrollabile di Dio. In nessun altro luogo della Scrittura l'ordine dei divini consigli è rivelato con altrettanta precisione che in Efesini 1, e in nessun altro luogo l'accento è maggiormente posto sulla volontà di Dio. Egli ha predestinato all'adozione "secondo il disegno benevolo della sua volontà". Egli ci ha fatto conoscere "il mistero della sua volontà, secondo il disegno benevolo che aveva prestabilito dentro di sé" (v. 9). Poi, come se questo non fosse già abbastanza esplicito, il brano si chiude affermando: "In lui siamo anche stati fatti eredi, essendo stati predestinati secondo il proposito di colui che compie ogni cosa secondo la decisione della propria volontà, per essere a lode della sua gloria; noi, che per primi abbiamo sperato in Cristo" (vv. 11,12). Rimaniamo ancora un istante sulla notevole espressione: "colui che compie ogni cosa secondo la decisione della propria volontà" (11). Notate bene come non sia "la decisione del proprio cuore", né "la decisione della sua mente", ma la decisione, il consiglio, della propria VOLONTÀ. Non "la volontà del suo proprio consiglio", ma "il consiglio della sua propria volontà" ("colui che opera tutte le cose secondo il consiglio della sua volontà" ND). Qui, Dio, differisce radicalmente da noi. La nostra volonta è influenzata dai pensieri della nostra mente e dalla commozione del nostro cuore. Non così Dio. "Tutti gli abitanti della terra sono un nulla davanti a lui; egli 23
agisce come vuole con l'esercito del cielo e con gli abitanti della terra; e non c'è nessuno che possa fermare la sua mano o dirgli: «Che fai?»" (Daniele 4:35). La volontà di Dio è suprema, determina l'eserizio di tutte le Sue perfezioni. Dio è infinito quanto a sapienza, eppure la Sua volontà regola le sue operazioni. Egli è sommamente misericordioso, ma è la Sua volontà che determina quando ed a chi manifestare misericordia. Egli è inflessibilmente giusto, eppure è la Sua volontà che decide come manifestare la Sua giustizia. Osservate attentamente: non tanto "...non lascia il colpevole impunito" (Esodo 34:7), ma meglio: "...non vuole lasciare il colpevole impunito". Prima Dio vuole o determina che una cosa sarà e poi la Sua sapienza ne pianifica l'esecuzione. Evidenziamo, allora che cosa abbiamo cercato di confutare. Da tutto ciò che abbiamo detto più sopra è chiaro, in primo luogo, che le nostre buone opere non siano il motivo che ha spinto Dio ad eleggerci, perché l'atto dell'elezione era passato nella mente di Dio nell'eternità, molto prima che noi venissimo all'esistenza. Guardate come questo stesso punto sia espresso qui: "...poiché, prima che i gemelli fossero nati e che avessero fatto del bene o del male (affinché rimanesse fermo il proponimento di Dio, secondo elezione che dipende non da opere, ma da colui che chiama)" (Romani 9:11-12). Ancora leggiamo:"...infatti siamo opera sua, essendo stati creati in Cristo Gesù per fare le opere buone, che Dio ha precedentemente preparate affinché le pratichiamo" (Efesini 2:10). Dato quindi che siamo stati eletti precedentemente alla nostra creazione, le nostre opere non avrebbero potuto essere la causa motivante di essa. No, esse ne sono il frutto e l'effetto. In secondo luogo, la santità umana, sia in principio che in pratica, o entrambi, non è il motivo che ha spinto Dio ad eleggerci, perché, come chiaramente afferma Efesini 1:4: "In lui ci ha eletti prima della creazione del mondo perché fossimo santi e irreprensibili dinanzi a lui", non perché eravamo santi, ma affinché lo diventassimo. Quel "perché fossimo santi" indica qualcosa di futuro, susseguente, il mezzo ad un fine futuro, cioè la nostra salvezza, per la quale siamo stati scelti. "Ma noi dobbiamo sempre ringraziare 24
Dio per voi, fratelli amati dal Signore, perché Dio fin dal principio vi ha eletti a salvezza mediante la santificazione nello Spirito e la fede nella verità" (2 Tessalonicesi 2:13): non semplicemente la volontà approvante di Dio in quanto conforme alla Sua natura; non semplicemente la Sua volontà prescrivente, come richiesta dalla Legge, ma la Sua volontà decretante, il Suo eterno determinato consiglio. In terzo luogo, non è la fede la causa della nostra elezione. Come potrebbe essere? Nella loro condizione irrigenerata, uomini e donne sono caratterizzati dall'incredulità, vivono in questo mondo senza Dio e senza speranza. Quando abbiamo la fede, questo non dipende da noi, dalla nostra bontà o capacità. No, è un dono di Dio (Efesini 2:9), è il risultato dell'opera dello Spirito (Colossesi 2:12), qualcosa che fluisce dalla grazia: "... tutti quelli che erano ordinati a vita eterna, credettero" (Atti 13:48), non "credettero e quindi furono ordinati a vita eterna". Dato che allora la fede fluisce dalla grazia di Dio, essa non può essere causa della nostra elezione. La ragione per la quale altri non credono è perché non appartengono al gregge di Cristo (Giovanni 10:26); la ragione per la quale alcuni credono è perché Dio dona loro la fede. È per questa ragione che essa è chiamata: "la fede degli eletti di Dio" (Tito 1:1). In quarto luogo, non è perché Dio abbia previsto l'insorgere spontaneo di queste cose in determinate persone, ciò che l'ha mosso a eleggerle. La conoscenza che Dio ha del futuro è fondata sulla determinazione che ne ha la Sua volontà. Il decreto di Dio, la precognizione divina, e la divina predestinazione è l'ordine presentato dalle Scritture. Primo, "sono chiamati secondo il suo disegno"; secondo, "quelli che ha preconosciuti"; terzo: "li ha pure predestinati" (Romani 8:28-29). Che il decreto di Dio preceda la Sua precognizione è pure affermato in: "...quest'uomo, quando vi fu dato nelle mani per il determinato consiglio e la prescienza di Dio, voi, per mano di iniqui, inchiodandolo sulla croce, lo uccideste" (Atti 2:23). Dio pre-conosce tutto ciò che poi avverrà, perché è Lui che ha stabilito che così dovrà avvenire. Quando poniamo la precognizione come causa dell'elezione divina, mettiamo il carro davanti ai buoi. 25
In conclusione, noi affermiamo che il fine di Dio nel Suo decreto dell'elezione è la manifestazione della Sua propria gloria. Prima, però, di entrare nei dettagli su questo punto, citiamo diversi testi biblici che affermano generalmente questo fatto. "Sappiate che il SIGNORE si è scelto uno ch'egli ama" (Salmo 4:3), reso nella ND "Or sappiate che l'Eterno si è appartato uno che è santo". "Appartato" significa appunto "scelto" o separato dal resto; "uno ch'egli ama" si riferisce a Davide stesso (Salmo 89:19-20); "si è scelto" significa "per Sé stesso" e non semplicemente per il trono ed il regno di Israele. "Poiché il SIGNORE ha scelto per sé Giacobbe, e Israele per suo speciale possesso" (Salmo 135:4). " ...per dar da bere al mio popolo, al mio eletto. Il popolo che mi sono formato proclamerà le mie lodi" (Isaia 43:20-21), che è parallelo con Efesini 1:5-6. Così nel Nuovo Testamento, quando Cristo si compiace di dare ad Anania notizia della conversione del Suo amato Paolo, Egli dice: "Va', perché egli è uno strumento che ho scelto per portare il mio nome davanti ai popoli, ai re, e ai figli d'Israele" (Atti 9:15). Ancora: "Ma che cosa gli rispose la voce divina? «Mi sono riservato settemila uomini che non hanno piegato il ginocchio davanti a Baal»" (Romani 11:4) che, nel versetto seguente è spiegato come: "un residuo eletto per grazia".
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2. L’Elezione: L’Eletto per eccellenza I decreti di Dio, il suo proposito eterno, gli imperscrutabili consigli della Sua volontà, sono indubbiamente per noi "profondità oceaniche". Eppure questo sappiamo: che, dall'inizio alla fine, essi sono connessi strettamente con Cristo, perché Egli è l'alfa e l'omega in tutte le transazioni del Patto. Spurgeon lo esprime in modo eccellente: "Cercate la fonte celeste dalla quale fluiscono i divini torrenti della grazia e voi troverete Gesù Cristo, la sorgente dell'amore del Patto. Se mai dovreste vedere il documento stesso del Patto, se vi fosse permesso nella condizione futura di vedere l'intero piano di redenzione così com'è stato progettato nelle dimore dell'eternità, vedrete la linea rosso sangue del sacrificio di espiazione tracciata attraverso il margine di ciascuna pagina, e voi vedreste come dall'inizio alla fine solo un oggetto sia sempre in vista - la gloria del Figlio di Dio". È quindi parecchio strano come molti che pure riconoscono nell'elezione il fondamento della salvezza sembrino ignorare il glorioso Capo dell'elezione, Colui nel quale tutti gli eletti sono stati scelti e dal quale ricevono ogni benedizione. "Benedetto sia il Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo, che ci ha benedetti di ogni benedizione spirituale nei luoghi celesti in Cristo. In lui ci ha eletti prima della creazione del mondo perché fossimo santi e irreprensibili dinanzi a lui" (Efesini 1:3-4). Dato che siamo stati eletti in Cristo, è evidente come noi si sia stati eletti al di fuori di noi stessi; e dato che siamo stati scelti in Cristo, ne consegue necessariamente come Egli sia stato scelto prima di esserlo stati noi. È questo il chiaro presupposto del versetto precedente, laddove il Padre è espressamente designato come "il Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo". Ora, secondo l'analogia della Scrittura (cioè, quando di Lui è detto che Egli è "il Dio" di qualcuno), Dio era "il Dio" di Cristo.
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In primo luogo, perché Egli L'ha scelto in funzione di quella grazia ed unione. Cristo, come uomo, era un predestinato tanto quanto noi eravamo scelti, e così Dio dev'essere il Suo Dio in virtù della predestinazione e della libera grazia. In secondo luogo, perché il Padre ha stipulato un patto con Lui (Isaia 42:6). A causa del patto stipulato con loro, Egli è stato conosciuto come: "Il Dio di Abraamo, Isacco e Giacobbe". È così che a causa del patto stipulato con Cristo che Egli è diventato "il Suo Dio". In terzo luogo, perché Dio è l'autore della benedizione eterna di cui Cristo è stato fatto oggetto (Salmo 45:2,7). "In lui ci ha eletti" significa quindi che nell'elezione Cristo è stato reso il Capo degli eletti. "Dal seno dell'elezione, Egli, il Capo, è uscito per primo e poi siamo usciti noi, le membra" (Thomas Goodwin), fatto, questo, illustrato da ogni nascita normale. In ogni cosa Cristo deve avere "la preminenza", e quindi Egli è "il primogenito fra molti fratelli". Cristo è stato scelto per primo, ma nell'ordine di tempo noi siamo stati eletti con Lui. Noi non siamo stati eletti indipendentemente da Cristo, ma in Cristo. Questo denota tre cose. In primo luogo, noi siamo stati scelti in Cristo come membra del Suo corpo. In secondo luogo, noi siamo stati scelti in Lui in quanto Egli è il modello rispetto al quale dobbiamo conformarci. In terzo luogo, noi siamo stati eletti in Lui come obiettivo finale, vale a dire: per la gloria di Cristo, per essere la Sua "pienezza" (Efesini 1:23). "Ecco il mio servo, io lo sosterrò; il mio eletto di cui mi compiaccio" (Isaia 42:1): che questo brano si riferisca a nessun altro che al Signore Gesù Cristo, è inconfutabilmente chiaro, perché lo Spirito Santo, cita questo testo in Matteo 12:15-21. È qui che troviamo il "Prototipo" dell'Elezione: nella sua prima e più alta istanza l'elezione riguarda il Signore Gesù. La Scrittura ne parla e la 28
applica come la Sua elezione. È stata volontà dell'eterna Trinità quella di eleggere e predestinare la seconda Persona affinché Egli assumesse l'essere e l'esistenza di una creatura, affinché nascesse come il Dio-uomo, "il primogenito di ogni creatura" (Colossesi 1:15). Egli era il soggetto dei decreti divini e l'oggetto immediato e principale dell'amore dei coessenziali Tre. Come il Padre ha vita in Sé stesso, così Egli ha dato al Figlio (considerato come Diouomo) di avere la vita in Sé stesso (Giovanni 5:26), di essere fonte della vita, della grazia e della gloria, per essere donato alla Sua amata Sposa, che ha ricevuto l'essere ed il benessere dalla libera grazia e dall'amore eterno di Jahvè. Quando Dio si è proposto di creare, fra tutte le miriadi di creature, sia angeliche che umane scaturite dalla Sua mente, da essere portate in esistenza tramite Lui, l'uomo Gesù Cristo è stato scelto fra di loro e destinato ad essere unito con la Seconda Persona della santa Trinità, e così santificato e stabilito. Quest'atto originale e altissimo di elezione è avvenuto per pura sovranità e stupefacente grazia. Le schiere celesti sono state scartate e la determinazione è caduta sul seme della donna. Da tutti gli innumerevoli semi che erano stati creati in Adamo, è stata scelta la linea di Abraamo, poi di Isacco, e poi di Giacobbe. Delle dodici tribù che sarebbero scaturite da Giacobbe, è stata scelta quella di Giuda. Dio non ha eletto un angelo per essere unito con Suo Figlio, ma "ho innalzato un eletto fra il popolo" (Salmo 89:19). Che diranno quelli ai quali tanto non piace la verità che gli eredi del Cielo sono eletti, quando apprenderanno che Gesù Cristo stesso è il soggetto dell'elezione eterna? Jahvè è la causa prima ed il fine ultimo di ogni cosa. La Sua essenza ed esistenza sono di Lui e da Lui, 'il solo che possiede l'immortalità e che abita una luce inaccessibile; che nessun uomo ha visto né può vedere'. Attraverso una vasta eternità, gli eterni Tre hanno goduto illimitata ed incomprensibile beatitudine nella contemplazione di quelle perfezioni essenziali che appartengono al Padre, al Figlio ed allo Spirito Santo, l'eterno Jahvè: il quale è la Sua propria eternità, e non può ricevere alcuna aggiunta alla Sua felicità essenziale o gloria da parte di una o tutte le Sue creature.
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Egli è esaltato al di sopra di ogni benedizione e lode. L'intera creazione davanti a Lui, e com'è vista da Lui, è meno che nulla e vanità. Qualcuno vorrebbe essere curioso ed investigare che cosa mai Dio facesse prima di aver disteso i cieli e posto le fondamenta della terra? La risposta è la beata, co-uguale e coessenziale Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo, condividevano l'essere, erano in società ed erano essenzialmente beati in quell'eterna vita divina, nell'interesse reciproco o proprietà che hanno l'uno nell'altro, in mutuo amore e delizia - come pure nel possedere una gloria comune. Dato, però, che è nella natura stessa della bontà quello di comunicare sé stessa, così è piaciuto all'eterna Trinità di procedere in atti di creazione. La Trinità, eternamente benedetta, alla quale nulla può essere aggiunto o sottratto, sorgente e fonte di quella beatitudine essenziale che sorge dalle immense perfezioni nella natura infinita in cui essi esistono, nell'amore reciproco che essi hanno uno per l'altro - e del loro reciproco dialogo - si sono compiaciuti di rallegrarsi della comunione e società con la creatura. Il Padre eterno ha predestinato il Suo Figlio co-essenziale nel prendere essere ed esistenza di creatura, e dall'eternità Egli si è vestito della forma ed ha portato la personalità del Dio-uomo. La creazione di tutte le cose è attribuita nella Scrittura alla sovranità divina: «Tu sei degno, o Signore e Dio nostro, di ricevere la gloria, l'onore e la potenza: perché tu hai creato tutte le cose, e per tua volontà furono create ed esistono» (Apocalisse 4:11). Non c'è nulla fuori da Dio che possa muoverlo o motivarlo: Sua regola è la Sua volontà, Suo fine ultimo è la Sua gloria, "Perché da lui, per mezzo di lui e per lui sono tutte le cose. A lui sia la gloria in eterno. Amen" (Romani 11:36). Dio, nel Suo fattivo creare ogni cosa, è il fine d'ogni cosa: "L'Eterno ha fatto ogni cosa per se stesso" (Proverbi 16:4 ND) e la sovranità di Dio sorge naturalmente dal rapporto che ogni cosa ha con Lui come loro Creatore, dalla loro naturale inseparabilità e dipendenza da Lui per quanto riguarda il loro essere e benessere.
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Egli ha l'essere di ogni cosa nella Sua propria volontà e potenza e dipende dal Suo beneplacito se impartirla loro oppure no. "A Dio sono note da sempre tutte le opere sue" (Atti 15:18 ND). "Nella Sua infinita intelligenza Dio comprende e coglie ogni cosa. Proprio come Egli ha un'essenza incomprensibile, rispetto alla quale la nostra non è che una goccia in un secchio, così Egli ha una conoscenza incomprensibile, rispetto alla quale la nostra non è che un granello di polvere. Il suo decreto e prospettiva originale nella creazione del cielo e della terra, degli angeli e degli esseri umani, era la Sua propria gloria, così ciò che vi dà fondamento ed è la base che lo sostiene è il disegno di Jahvè di esaltare Suo Figlio come il Dio-uomo: Egli è il fondamento e pietra angolare dell'intera creazione di Dio. Dio non avrebbe mai proceduto negli atti della Creazione se la seconda Persona della Trinità non avesse accondisceso ad assumere la nostra natura e diventare una creatura. Sebbene questo sia avvenuto solo dopo la Caduta, il decreto che Lo riguarda risale a prima della Caduta. Gesù Cristo, il compagno del Signore degli eserciti, è stato il primo di tutte le vie di Dio" (S. E. Pierce). Non c'è nessun altro luogo in cui la sovranità di Dio meglio risalti che nei Suoi atti di elezione e di riprovazione, avvenuti nell'eternità e dei quali nulla nella creatura stessa ne è causa. L'atto per il quale Dio sceglie il Suo popolo in Cristo, è avvenuto prima della fondazione del mondo. Non è dipeso dalla precognizione che Dio possiede, né trova la Sua causa motivante in opere meritorie. Esso è completamente per grazia ed è tutto per la Sua lode e gloria. In nessun'altra cosa la gloria di Jahvè è tanto manifesta. Senza dubbio la sua più alta espressione è stata la predestinazione della seconda Persona della Trinità a divenire il Dio-uomo. Che tutto questo sottostia al decreto di Dio è chiaro dalle stesse parole dell'Apostolo: "....preconosciuto [qui parla di Cristo] prima della fondazione del mondo, ma manifestato negli ultimi tempi per voi" (1 Pietro 1:20).
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Egli è descritto come: "pietra vivente, rifiutata dagli uomini, ma davanti a Dio scelta [eletta, ND] e preziosa" (1 Pietro 2:4). Questo eccellente "Prototipo dell'Elezione", così poco conosciuto oggi, è di tale importanza trascendente che desideriamo soffermarci sopra ancora un poco per rilevare alcune fra le ragioni per le quali Dio si è compiaciuto di predestinare l'uomo Gesù Cristo, affinché fosse personalmente unito con Suo Figlio. Cristo è stato predestinato per scopi ancora più alti che salvare il Suo popolo dagli effetti della sua caduta in Adamo. In primo luogo, Egli è stato scelto affinché in Lui, Dio si rallegrasse molto ed infinitamente al di sopra di ogni altra creatura. Unito alla seconda Persona della Trinità, l'uomo Gesù Cristo è stato esaltato ad una stretta comunione con Dio. Il Signore degli eserciti parla di Lui come "l'uomo che mi è compagno" (Zaccaria 13:7) e "il mio eletto di cui mi compiaccio" (Isaia 42:1). In secondo luogo, Cristo è stato scelto affinché Dio, potesse osservare l'immagine di Sé stesso e di tutte le Sue perfezioni nella creatura, tanto che i Suoi tratti eccelsi siano visti in Cristo come in nessun altro: "Egli, che è splendore della sua gloria e impronta della sua essenza" (Ebrei 1:3). Della Persona del Cristo, infatti, si parla come del Dio-uomo. In terzo luogo, attraverso l'unione dell'uomo Gesù Cristo, con l'eterno Figlio di Dio, l'intera pienezza della Divinità doveva dimorare personalmente in Lui: "Egli è l'immagine del Dio invisibile, il primogenito di ogni creatura ... Poiché al Padre piacque di far abitare in lui tutta la pienezza". L'uomo Cristo Gesù, quindi, è stato scelto alla più alta unione e comunione con Dio stesso. In Lui l'amore e la grazia di Jahvè risplendono in tutta la loro superlativa gloria. Il Figlio di Dio ha dato sussistenza e personalità alla Sua natura umana tanto che il Figlio di Dio e la Sua natura umana non sono semplicemente una carne come l'uomo e la donna lo possono essere (la comunione più stretta che noi si possa avere), né un solo spirito (come nel caso di Cristo e della Chiesa, 1 Corinzi 6:17), ma una Persona. Per
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questo motivo, la natura di questa creatura è promossa alla comunione nella società della Santa Trinità. È così che Dio non si comunica a Lui con misura, "Dio, infatti, non dà lo Spirito con misura" (Giovanni 3:34). Discendendo ora ad un livello inferiore, l'uomo Cristo Gesù è stato anche scelto per essere Capo di un seme (una discendenza) eletta, gente scelta in Lui, gente alla quale è stata data una sussistenza super-creaturale e benedetta in Lui d'ogni benedizione spirituale. Per poter essere amore, Dio ha bisogno di un oggetto di tale amore. Quest'oggetto deve avere un'esistenza prima che Egli eserciti verso di Lui il Suo amore. Egli non può, infatti, amare una non-entità. È necessario quindi che il Dio uomo, e gli eletti in Lui, esistessero prima di ogni tempo nella mente divina come oggetti dell'amore eterno di Dio. In Cristo, la Chiesa è stata scelta dall'eternità: l'uno il Capo, l'altra il Suo corpo; l'uno lo sposo, l'altra la sposa; l'uno scelto e stabilito per l'altra. Essi sono stati scelti assieme, eppure Cristo è primo nell'ordine dei decreti di Dio. Come dunque Cristo e la Chiesa esistevano nella volontà, pensiero e proposito di Dio Padre fin dall'inizio, così Egli poteva amarli ed in loro rallegrarsi. Così come dichiara il Dio-uomo: "...io in loro e tu in me; affinché siano perfetti nell'unità, e affinché il mondo conosca che tu mi hai mandato, e che li ami come hai amato me. Padre, io voglio che dove sono io, siano con me anche quelli che tu mi hai dati, affinché vedano la mia gloria che tu mi hai data; poiché mi hai amato prima della fondazione del mondo" (Giovanni 17:23-24). Il Figlio di Dio, essendo predestinato prima di ogni tempo ad essere Dio-uomo, era segretamente consacrato e stabilito tale e la Sua natura umana già aveva una sussistenza di fronte a Dio nell'ambito di un patto. In conseguenza di questo, Egli già in cielo era il Figlio dell'uomo prima di diventare Figlio dell'uomo sulla terra. Egli era Figlio dell'uomo segretamente di fronte a Dio, prima di diventare Figlio dell'uomo apertamente ed in modo manifesto in questo mondo. È per questo che il Salmista esclama:
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"Sia la tua mano sull'uomo della tua destra, sul figlio dell'uomo che hai reso forte per te" (Salmo 80:17). È pure per questo che Cristo stesso dichiara: "E che sarebbe se vedeste il Figlio dell'uomo ascendere dov'era prima?" (Giovanni 6:62). "Dio, nella Sua eterna ed infinita bontà d'amore, proponendosi che Cristo diventasse una creatura e comunicasse con le Sue creature, decretò che nel Suo eterno consiglio quella Persona della Trinità fosse unita alla nostra natura e ad una particolare delle Sue creature, affinché nella Persona del Mediatore potesse essere fissata la vera scala della salvezza attraverso la quale Dio potesse discendere fra le Sue creature e le creature ascendere a Lui" (Francesco Bacone). "Cristo, fu prima eletto come Capo e Mediatore, cioè la pietra angolare per sostenere l'intero edificio. L'atto dell'elezione del Padre in Cristo, infatti, presuppone che, prima Lui, sia scelto per quest'opera di mediazione e per essere Capo della parte eletta del mondo. Dopo questa elezione di Cristo, altri furono predestinati ad essere 'conformi alla Sua immaginÈ (Romani 8:29), cioè a Cristo, come Mediatore, e prendendo natura umana, non semplicemente a Cristo considerato come Dio. Di questa conformità, essendo specialmente intesa nell'elezione, nei propositi del Padre, Cristo era il primo esemplare e copia di esso. Una punta del compasso della grazia stava in Cristo come suo centro, mentre l'altro ruotava sulla circonferenza. Il compasso, dunque, puntava qui e là tracciando, per così dire, una linea fra ognuno di quei punti e Cristo. Il Padre, quindi, essendo causa prima dell'elezione di alcuni dalla massa dell'umanità, fu la causa prima dell'elezione di Cristo e questo per portarli al godimento di ciò per il quale erano stati eletti. È forse allora verosimile che Dio, nel fondare un regno eterno, debba consultarne i membri prima di farlo col Capo? Il primo nome registrato nel libro dell'Elezione è stato Cristo, poi vi sono stati apposti gli altri nomi. Per questo esso è chiamato: ‘Il libro dell'Agnello’" (Stephen Charnock). Proverbi 8
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Il brano della Scrittura che maggiormente entra in ciò che qui stiamo esaminando, è Proverbi 8, capitolo che ora considereremo sommariamente. Vi sono molti brani in quel libro dove il termine "sapienza" è molto di più che un'eccellenza morale, qualcosa che si potrebbe considerare in modo persino più grande di come generalmente viene intesa, cioè la personificazione di un attributo divino. In non pochi brani (1:20-21, per esempio), il testo fa riferimento a Cristo, del quale uno dei titoli che Gli sono attribuiti è "la sapienza di Dio" (1 Corinzi 1:24). È così che bisogna considerare, infatti, quanto espresso dal capitolo 8 di Proverbi. Che qui stia parlando una persona è chiaro dal versetto 17, e che si tratti di una persona divina, appare dal versetto 15. Non si tratta, però, di una persona astratta, ma del Dio-uomo. Questo è evidente da che cosa qui si afferma di Lui "Il SIGNORE mi ebbe con sé al principio dei suoi atti, prima di fare alcuna delle sue opere più antiche" (v. 22). Chi qui sta parlando è Cristo stesso, l'unico Mediatore fra il Creatore e le Sue creature. Le parole: "Il SIGNORE mi ebbe con sé al principio dei suoi atti" tende a nascondere che cosa vi si afferma, Nel testo ebraico originale, non c'è alcun prefisso, nulla che autorizzi la traduzione ad anteporre "al" mentre la parola resa con "principio" significa il primo o capo. Si dovrebbe, perciò, tradurre: "Il Signore mi ebbe, principio dei Suoi atti, prima di fare alcuna delle Sue opere più antiche". Cristo era "il primogenito" di tutti i pensieri e progetti di Dio, e di Lui Egli si rallegrava molto tempo prima che l'universo stesso venisse all'esistenza. "Fui stabilita fin dall'eternità, dal principio, prima che la terra fosse" (v. 23). "Il nostro Redentore è nato dal ventre di un decreto dall'eternità, prima ancora che nascesse dal ventre di una vergine nel tempo. Egli, era nascosto nella volontà di Dio prima di essere manifestato nella carne di un Redentore. Egli era l'agnello immolato in un decreto prima ancora di essere immolato sulla croce. Dio l'aveva con Sé sin dall'inizio, l'inizio dei Suoi atti, il Capo delle Sue opere, e stabilito dall'eternità per essere la Sua gioia tra i figli degli uomini" (Proverbi 8:22,23,31). (S. Charnock).
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"Fui generata quando non c'erano ancora abissi, quando ancora non c'erano sorgenti rigurgitanti d'acqua. Fui generata prima che i monti fossero fondati, prima che esistessero le colline" (vv. 24-25). Ci si riferisce qui al Cristo come a Colui che è stato "generato" nella mente di Dio, predestinato all'esistenza creaturale prima che il mondo stesso fosse fondato. La prima delle intenzioni di Dio aveva a che fare con la futura unione fra Suo Figlio e l'uomo Cristo Gesù. Il Mediatore, divenne così il fondamento di tutti i divini consigli (vedi Efesini 4:11 e 1:9-10. Come tale Jahvè trino "l'aveva con Sé" come uno scrigno nel quale sono posti tutti i Suoi disegni. Egli fu "stabilito" o consacrato (v. 23) nel Suo carattere ufficiale come Mediatore e Capo della Chiesa. In quanto Dio-uomo aveva un'effettiva influenza in quanto Esecutore, su tutte le opere e volontà di Dio. "Io ero presso di lui come un artefice; ero sempre esuberante di gioia giorno dopo giorno, mi rallegravo in ogni tempo in sua presenza" (v. 30). Non si tratta del compiacimento del Padre nel Figlio, in senso assoluto come seconda Persona della Trinità, ma della Sua soddisfazione e gioia nel Mediatore come Egli Lo vedeva nello specchio dei Suoi decreti. Di Lui, come del Figlio fattosi carne, il Padre dice: "Questo è il mio diletto Figlio, nel quale mi sono compiaciuto" (Matteo 3:17). Era con il predestinato Dio-uomo, che prima aveva sussistenza reale nella mente divina, Colui del quale Egli si rallegrava prima che il mondo esistesse. Nei Suoi eterni pensieri e concezioni primordiali. l'uomo che era Suo compagno, divenne l'Oggetto dell'ineffabile amore e compiacimento di Dio. Era molto di più, da parte di Jahvè, di un semplice proporsi che il Figlio dovesse assumere carne. Fu il Suo decreto a dare a Cristo sussistenza reale di fronte a Lui e come tale impartiva al Suo cuore infinita soddisfazione. Questo beato aspetto del nostro argomento è poco compreso oggi, ma lo riteniamo di grande importanza tanto da fare su di esso ulteriori osservazioni. Cristo è il primogenito o capo dell'elezione di grazia. Egli è stato prefigurato al principio delle opere di Dio. Di fatto, la creazione del mondo e la formazione del primo essere umano erano finalizzati a far conoscere Cristo.
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Com'è detto in Romani 5:14: "...Adamo, ...è figura di colui che doveva venire". Come l'Eletto di Dio, nella creazione, formazione e costituzione come capo federale dell'umanità, Adamo era un rimarchevole tipo di Cristo. Questo concetto deve essere ulteriormente spiegato. Per farlo dobbiamo necessariamente ripetere ciò che già avevo scritto nel mio saggio Unione spirituale e comunione, ma è inevitabile. C'è un certo tipo di persone che di solito disprezzano ogni dottrina e alle quali è particolarmente invisa quella sulla sovranità assoluta di Dio, che spesso ci esortano a "predicare Cristo". Abbiamo, però, da lungo osservato come esse non predicano mai Cristo nel Suo carattere ufficiale più elevato, quello di Capo federale del popolo di Dio. Essi, non dicono neanche una parola su di Lui come dell'Eletto di Dio, del quale Egli si rallegra in ogni tempo. Predicare Cristo è, infatti, un compito molto più comprensivo di quanto molti suppongano, né può essere fatto in modo intelligente, fintanto che non si cominci dall'inizio e si mostri come l'uomo Cristo Gesù, sia stato eternamente predestinato ad essere unito alla seconda Persona della Trinità. "Ho innalzato un eletto fra il popolo" (Salmo 89:19). Questo innalzamento è cominciato con l'elevazione dell'umanità di Cristo all'unione personale con la Parola eterna - che onore unico! Le parole stesse: "Scelti in Cristo" implicano necessariamente che Egli sia stato scelto per primo, come il terreno sul quale noi stessi siamo stati piantati. Quando Dio sceglie Cristo, Egli non lo fa come se fosse una persona singola, privata, ma come "persona pubblica", come Capo del Suo Corpo, essendo noi stati scelti in Lui come Sue membra. Dio poteva fare un patto con Cristo a nome nostro proprio perché ci è stato dato allora una sussistenza rappresentativa di fronte a Dio. Che Egli di fatto abbia stabilito un patto eterno con Cristo come Capo dell'elezione di grazia, è chiaro dal testo: "Io ho fatto un patto con il mio eletto; ho fatto questo giuramento a Davide, mio servo" (Salmo 89:3). Questo patto è adombrato in quello che Egli ha stabilito nel tempo con Colui che era tipicamente: "l'uomo secondo il cuore di Dio", perché Davide veramente prefigurava Cristo, quando Dio aveva
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fatto un patto con lui, così come aveva fatto Giuseppe, quando aveva fornito cibo ai suoi fratelli bisognosi, o come quando Mosè aveva condotto gli Ebrei fuori dalla casa di schiavitù. Che, dunque, coloro che desiderano predicare Cristo, facciano in modo che Egli abbia la preminenza in ogni cosa - elezione inclusa! Che essi apprendano a dare a Gesù di Nazareth il massimo onore, quello stesso che il Padre Gli ha dato. E', infatti, un onore superlativo che Cristo sia il canale attraverso il quale fluisce verso di noi tutta la grazia e la gloria che abbiamo o avremo, così come era stato stabilito fin dall'inizio. Come insegna chiaramente Romani 8:29, è in connessione con l'elezione che Dio ha stabilito il Suo amato Figlio "affinché egli sia il primogenito tra molti fratelli". Cristo è stato stabilito come il capolavoro della divina sapienza, il "Grande Prototipo" rispetto al quale noi siamo chiamati ad essere copia e modello. Cristo è il primo e l'ultimo di tutti i pensieri, volontà e vie di Dio. L'universo non è che il teatro e questo mondo è il palcoscenico principale sul quale il Signore Iddio si compiace di rappresentare la più grande delle Sue opere. La creazione di Adamo era una prefigurazione di un Adamo migliore destinato ad avere universale signoria su tutte le creature di Dio e la cui gloria doveva brillare visibilmente tutt'attraverso il creato in ogni sua parte. Non appena il mondo, come una casa completata ed arredata di tutto punto è pronto, l'essere umano vi è introdotto affinché lo abiti. Prima d'essere creato, però, vediamo come torni a riunirsi la consulta dei Tre: "Facciamo l'uomo a nostra immagine, conforme alla nostra somiglianza" (Genesi 1:26). L'essere umano è destinato ad essere "copia" di Cristo, il Dio-uomo, che dall'eternità è oggetto e soggetto dei disegni della Trinità. Adamo, creato e fatto secondo l'immagine di Dio in ogni giustizia e santità, era il prodotto del calco di Cristo, "....l'immagine del Dio invisibile, il primogenito di ogni creatura" (Colossesi 1:15). La formazione del corpo di Adamo, plasmato direttamente come dalle mani di Dio, dall'argilla della terra, era figura ed ombra del
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Figlio di Dio che assume natura umana. La Sua umanità è formata in modo immediato dallo Spirito Santo nel seno di una vergine così come il corpo di Adamo è prodotto dalla terra vergine. L'unione fra anima e corpo, in Adamo, pure riflette il più profondo e grande di tutti i misteri: l'unione ipostatica della nostra natura nella persona di Cristo. Il Credo Atanasiano lo esprime giustamente con queste parole: "Come infatti anima razionale e carne sono un solo uomo, così Dio e uomo sono un solo Cristo" (35). Di più, così come la perfezione della persona di Adamo comprendeva la perfezione d'ogni creatura ed era fatto in modo tale da saper apprezzare ed impartire ogni consolazione e piacere, così la gloria dell'umanità di Cristo eccelle quella di ogni creatura, persino quella degli angeli stessi. Se esaminiamo e consideriamo con attenzione la persona e la posizione del primo Adamo, meglio potremmo discernere quanto sia piena e conveniente Egli fosse figura dell'ultimo Adamo. Come Adamo, posto nel paradiso, si era visto portare tutte le creature della terra di fronte a Lui, affinché ne avesse dominio (Genesi 1:28), così, essendo coronato di onore e gloria mondana, pure in questo egli prefigurava Cristo, che ha signoria e dominio universale su tutti i mondi, esseri e cose, come può essere visto nel Salmo 8 che in Ebrei 2:9, è applicato al Salvatore. In quel testo, infatti, Gli è attribuita sovranità su tutte le creature, magnificato dalla terra, dai cieli, dalla luna e dalle stelle. Sebbene, infatti, per un poco Egli, nella Sua umiliazione, era stato reso inferiore agli angeli, Egli lo è nella Sua esaltazione. Egli è coronato Re dei re e Signore dei signori. Inoltre, sebbene il Diouomo, "il compagno del Signore degli eserciti", prima della Sua esaltazione, era passato per un periodo di degradazione, la Sua glorificazione era stata stabilita già da prima che il mondo fosse creato. "io dispongo che vi sia dato un regno, come il Padre mio ha disposto che fosse dato a me" (Luca 22:29); "E ci ha comandato di annunciare al popolo e di testimoniare che egli è colui che è stato da Dio, costituito giudice dei vivi e dei morti" (Atti 10:42).
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Che Cristo avesse sia una precedenza che una presidenza nell'elezione era pure adombrato in altri aspetti della primitiva esperienza di Adamo. Leggiamo infatti: "L'uomo diede dei nomi a tutto il bestiame, agli uccelli del cielo e ad ogni animale dei campi; ma per l'uomo non si trovò un aiuto che fosse adatto a lui" (Genesi 2:20). Notate l'accuratezza perfetta di questa tipologia: quando Dio crea Adamo, Egli pure crea Eva in lui e, nel benedire Adamo, (Genesi 1:28) Dio benedice tutta l'umanità in lui. Allo stesso modo, quando Dio elegge Cristo, il Suo popolo viene eletto in Lui (Efesini 1:4). Essi, quindi, avevano un essere ed una sussistenza virtuale in Lui da ogni eternità. È per questo che Cristo è chiamato: " Padre eterno" (Isaia 9:5; cfr. Ebrei 2:13). Benedicendo Cristo, Dio così in Lui benedice gli eletti con Lui (Efesini 1:3; 2:5). Sebbene Adamo, fosse uscito "molto buono" dalle mani del suo Fattore, e gli fosse dato dominio su tutte le creature della terra, leggiamo che: "per l'uomo non si trovò un aiuto che fosse adatto a lui" (Genesi 2:20). Di conseguenza, Dio gli provvede un partner adatto. "E il Signore Iddio fabbricò una donna della costa che egli avea tolta ad Adamo, e la menò ad Adamo" (v. 22 Diodati). Allo stesso modo, sebbene Cristo sia stato il principio degli atti di Dio, stabilito fin dall'eternità e di Lui il Padre si rallegrasse in ogni tempo (Proverbi 8:22,23,30), Dio non ritiene che Egli debba rimanere solo. Per questo Gli provvede una "sposa" che condivida con Lui le Sue grazie comunicabili, ricchezze e gloria, una "sposa" che, a tempo debito, sia il frutto del suo costato trafitto e Gli sia portata dalla grazia dello Spirito Santo. Quando Dio dà forma ad Eva e la porta ad Adamo per realizzare un'unione nuziale, proprio lì è adombrato quell'altissimo mistero della grazia, di Dio Padre che presenta i Suoi eletti e li affida a Cristo: "Io ho manifestato il tuo nome agli uomini che tu mi hai dati dal mondo; erano tuoi e tu me li hai dati; ed essi hanno osservato la tua parola" (Giovanni 17:6). Pre-vedendoli attraverso lo specchio dei divini decreti, il Mediatore li ama e trova in loro la Sua gioia (Proverbi 8:31), li "fidanza" a Sé stesso, prendendo la Chiesa, come Gli è presentata da Dio come una dote prevista nelle stipulazioni stesse
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del Patto, un dono di Dio. Egli pure dice: "Questa, finalmente, è ossa delle mie ossa e carne della mia carne" (Genesi 2:23) e Cristo diventa eterno Sposo della Chiesa. Come Adamo ed Eva erano uno prima della Caduta, così Cristo e la Chiesa sono uniti nella mente di Dio prim'ancora che subentrasse il peccato. Se dunque dobbiamo "predicare Cristo" nella Sua più alta ed ufficiale gloria, deve essere mostrato chiaramente come Egli non sia stato ordinato, nei Suoi propositi eterni, per la Chiesa, ma che la Chiesa è stata ordinata per Lui. Notate come lo Spirito Santo metta in particolare evidenza questo particolare punto della tipologia: "Poiché, quanto all'uomo, egli non deve coprirsi il capo, essendo immagine e gloria di Dio; ma la donna è la gloria dell'uomo; perché l'uomo non viene dalla donna, ma la donna dall'uomo; e l'uomo non fu creato per la donna, ma la donna per l'uomo" (1 Corinzi 11:7-9). Come Adamo non era completo senza Eva, così neanche Cristo è "completo" senza la Chiesa. Essa, infatti, è la Sua "pienezza" o complemento. Essa è: "una splendida corona in mano al SIGNORE, un turbante regale nel palmo del tuo Dio" (Isaia 62:3). È così che la Chiesa può essere detta necessaria per Cristo come un vaso vuoto che Egli riempie di grazia e di gloria. In essa, Egli ripone tutta la Sua gioia e Lui sarà glorificato in essa e per essa tutta l'eternità. "Io ho dato loro la gloria che tu hai data a me, affinché siano uno come noi siamo uno" (Giovanni 17:22); "Poi venne uno dei sette angeli .... e mi parlò, dicendo: «Vieni e ti mostrerò la sposa, la moglie dell'Agnello». Egli mi trasportò in spirito su una grande e alta montagna, e mi mostrò la santa città, Gerusalemme, che scendeva dal cielo da presso Dio, con la gloria di Dio. Il suo splendore era simile a quello di una pietra preziosissima, come una pietra di diaspro cristallino" (Apocalisse 21:9-11). Nel Suo carattere di "Eletto" di Dio, oltre ad Adamo Egli è prefigurato anche da altri personaggi. È indubbiamente rimarchevole vedere come molti di coloro che erano eminenti prefigurazioni di Cristo fossero oggetto essi stessi di un'autentica elezione da parte di Dio, elezione per la quale erano stati scelti a svolgere una funzione particolare. Al riguardo di Mosè leggiamo: "...tuttavia Mosè, suo eletto, stette sulla breccia davanti a lui per impedire all'ira sua di distruggerli" (Salmo 106:23). Di Aaronne è detto: 41
"Nessuno si prende da sé quell'onore; ma lo prende quando sia chiamato da Dio, come nel caso di Aaronne" (Ebrei 5:4). Dei sacerdoti di Israele è riportato: "I sacerdoti, figli di Levi, si avvicineranno poiché il SIGNORE, il tuo Dio, li ha scelti per servirlo, per dare la benedizione nel nome del SIGNORE, e la loro parola deve decidere ogni controversia e ogni caso di lesione" (Deuteronomio 21:5). Al riguardo di Davide e della tribù dalla quale proveniva, è scritto: "Ripudiò la tenda di Giuseppe e non scelse la tribù di Efraim; ma elesse la tribù di Giuda, il monte Sion che egli amava ... Scelse Davide, suo servo, lo prese dagli ovili" (Salmi 78:67-68, 70). Ciascuno di questi casi adombra la grandiosa verità che l'uomo Cristo Gesù, fra tutte le creature, è stato scelto da Dio per occupare il grado più alto di gloria e di beatitudine. "E nulla di impuro, né chi commetta abominazioni o falsità, vi entrerà; ma soltanto quelli che sono scritti nel libro della vita dell'Agnello" (Apocalisse 21:27). L'espressione "il libro della vita" è senza dubbio figurativa, perché lo Spirito Santo, si compiace di rappresentare cose spirituali, celesti ed eterne (così come i benefici che ne conseguono) con diverse immagini e metafore, quelle che la nostra mente può meglio intendere ed il nostro cuore sentirne la realtà, così che noi si possa più prontamente riceverle. Eppure dobbiamo sapere questo: la similitudine or ora fatta per rappresentarcele alla nostra mente, non è che un'ombra, ma ciò che vi è adombrato ha significato e sostanza reale. Il sole nel firmamento è stato stabilito come emblema della natura di Cristo - essendo Lui per il mondo spirituale ciò che il sole è per quello naturale - eppure il sole non è che un'ombra e Cristo la reale sostanza. Per questo Cristo è chiamato "Sole di giustizia". Così quando Cristo è paragonato alla luce, Egli è "la vera luce" (Giovanni 1:9). Quando è paragonato ad una vite, Egli è "la vera vite" (Giovanni 15:1), quando al pane Egli è "il vero pane", il Pane della vita, il Pane di Dio disceso dal cielo (Giovanni 6). Che questo principio, dunque, rimanga bene in mente allorché ci imbattiamo nelle molte metafore applicate nella Scrittura al Redentore. Così qui, in Apocalisse 21:27, pur permettendo di considerare "il libro della vita" come un'espressione figurativa, siamo lungi dal non
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ammettere che in cielo vi sia la realtà stessa che è rappresentata attraverso di esso. Il libro della vita L'espressione "il libro della vita" ha le sue radici in Isaia 4:3, dove Dio fa riferimento al Suo resto fedele come: "Avverrà che i sopravvissuti di Sion e i superstiti di Gerusalemme saranno chiamati santi: chiunque, cioè, in Gerusalemme sarà iscritto tra i vivi", ed è questo che spiega il significato di tutte le espressioni similari. Dell'eterno atto di elezione da parte di Dio se ne parla come dello scrivere i nomi dei Suoi eletti nel Libro della vita. Questa figura suggerisce le cose seguenti: In primo luogo, l'esatta conoscenza che Dio ha degli eletti, il modo come Egli si rammenta di loro, dell'amore che ha per loro e come di loro Egli si rallegri. In secondo luogo, che la Sua elezione eterna riguarda persone particolari, i cui nomi sono registrati da Lui in modo definito. In terzo luogo, per mostrare come essi siano assolutamente sicuri e protetti. Dato che, infatti, Dio ha scritto i loro nomi nel libro della vita, da esso non saranno mai cancellati ["Chi vince sarà dunque vestito di vesti bianche, e io non cancellerò il suo nome dal libro della vita, ma confesserò il suo nome davanti al Padre mio e davanti ai suoi angeli" (Apocalise 3:5)]. Quando i Settanta ritornano dal loro giro missionario, essi erano tutti eccitati perché avevano visto come i demoni fossero loro soggetti. Cristo, però, dice loro: "Tuttavia, non vi rallegrate perché gli spiriti vi sono sottoposti, ma rallegratevi perché i vostri nomi sono scritti nei cieli" (Luca 10:20; cfr. Filippesi 4:3; Ebrei 12:23). Questo mostra come l'elezione da parte di Dio a vita eterna sia di persone particolari - per nome - e quindi sicura ed immutabile. Osserviamo ora in modo particolare come questo registro dell'elezione sia designato come "Il Libro della Vita dell'Agnello" e questo per almeno due ragioni: In primo luogo, perché il primo nome che vi compare è quello dell'Agnello. Egli è il primo nome della lista perché Egli deve
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avere la preminenza, dopo di che seguono tutti gli altri nomi, quelli che Gli appartengono, il Suo popolo. Notate come il Suo Nome sia il primo ad essere registrato nel Nuovo Testamento: Matteo 1:1! In secondo luogo, perché Cristo è la radice e i Suoi eletti sono i Suoi rami, cosicché essi ricevono la loro vita da Lui in quanto essi sono in Lui e sostenuti da Lui. È scritto: "Quando Cristo, la vita nostra, sarà manifestato, allora anche voi sarete con lui manifestati in gloria" (Colossesi 3:4). Cristo è la nostra vita perché Egli è "il Principe della vita" (Atti 3:15). È per questo che il divino registro nel quale sono elencati tutti i nomi dei membri di Cristo, è chiamato propriamente "il Libro della Vita dell'Agnello", perché essi sono interamente dipendenti da Lui per la loro vita. In connessione, però, con la prima ragione, vorremmo presentare un'ulteriore osservazione. È chiamato "il Libro della Vita dell'Agnello, perché il Suo è il primo nome che vi compare. Non si tratta questa di un'affermazione arbitraria: essa è chiaramente avallata dalla Bibbia: "Allora ho detto: "Ecco, vengo" (nel rotolo del libro è scritto di me) "per fare, o Dio, la tua volontà"»" (Ebrei 10:7). Chi parla qui è il Signore Gesù e, come spesso è il caso (tale è la pregnanza delle Sue Parole), in esso vi è un doppio riferimento. In primo luogo agli archivi degli eterni consigli di Dio, il rotolo dei Suoi decreti; in secondo luogo, alle Sacre Scritture, che ne sono la trascrizione parziale. Esattamente in questo stesso modo vi è un duplice significato nel termine "rotolo". Nel Salmo 40:7 senza dubbio "rotolo" (o volume) è il significato della parola ebraica ivi usata, ma in Ebrei 10:7, la parola greca certamente dovrebbe essere resa con "testa" [di fatti, in greco, è: ἐν κεφαλίδι βιβλίου γέγραπται peri emou -en kefalidi bibliou gegraptai peri emou, (in testa al libro è scritto di me)]. "Kephalé" (testa) ricorre 76 volte nel Nuovo Testamento, ed è sempre reso con "testa" eccetto qui. Ebrei 10:7, meglio tradotto, dovrebbe essere: "In testa al libro è scritto di me". Ecco dunque la prova della nostra affermazione. Il Libro della vita (il divino registro dell'elezione) è denominato "il Libro della Vita dell'Agnello, perché il Suo nome è il primo che vi compare, e 44
chi ha esaminato quel rotolo, dice, entrando nel mondo: "In testa al libro è scritto di me". Ulteriore riferimento a questo libro lo fa Cristo stesso in: "I tuoi occhi videro la massa informe del mio corpo e nel tuo libro erano tutti scritti i giorni che mi eran destinati, quando nessuno d'essi era sorto ancora" (Salmo 139:16). Il Salmista qui si riferisce al suo corpo naturale, formatosi nel seno materno (v. 15) e poi si come oggetto dei decreti di Dio. Il riferimento più profondo, però, è a Cristo, tipologicamente rappresentato in Davide, dei membri del Suo corpo mistico. "La sostanza della Chiesa, della quale doveva essere formata, era sotto gli occhi di Dio come proposta nel decreto dell'elezione" (John Owen). Se un lettore, ben esercitato, si dovesse chiedere: come posso essere sicuro che il mio nome sia scritto nel Libro della Vita dell'Agnello? Potremmo brevemente rispondere così. •
Primo, dal fatto che, Dio ti ha insegnato a vedere e portato a sentire la tua interiore corruzione, la tua personale miseria, la tua orribile colpa, il tuo disperato bisogno del sacrificio dell'Agnello.
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Secondo, dal farti considerare Cristo di prima importanza nei tuoi pensieri e stima, consapevole come Egli solo ti possa salvare.
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Terzo, dal portarti a credere in Lui, a riposare in Lui l'intera tua anima, desiderando essere trovato in Lui, non con la tua propria giustizia, ma con la Sua.
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Quarto, facendolo infinitamente prezioso per te, tanto che Egli sia tutto quello che tu desideri.
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Quinto, dall'operare in te la determinazione a compiacergli ed a glorificarlo.
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3. L’Elezione: la sua verità Prima di continuare con un esposizione ordinata di questa dottrina, profonda, ma preziosa. Può essere utile (soprattutto a beneficio di coloro che hanno meno familiarità con questo argomento), dimostrare preliminarmente come si tratti di una dottrina del tutto biblica. "Non è forse scontato questo?" Potrebbero dire coloro che conoscono a fondo la Bibbia. Di fatto no. Quanti, infatti, possono oggi dire di aver ricevuto nelle loro chiese, istruzione sistematica su questa dottrina? Sono molti i cristiani che non ne hanno neppure mai sentito parlare o, molto probabilmente, ne hanno sentito parlare, ma solo in maniera dispregiativa attraverso presentazioni caricaturali ed inesatte. Non è quindi affatto da prendersi per scontato che sia necessario ora fare una pausa e stabilire la verità della dottrina dell'elezione. In altre parole, ci proponiamo in questo capitolo di fornire prove che ciò di cui stiamo scrivendo, non sia una qualche invenzione teologica di Calvino o di qualche altro autore umano, ma che si tratti di una dottrina chiaramente rivelata nelle Sacre Scritture. Il fatto, cioè, che Dio, prima della stessa fondazione del mondo, abbia operato una differenza fra le Sue creature, scegliendone alcune e rendendole speciale oggetto del Suo favore, è insegnato apertamente nella Bibbia. Tratteremo di questo argomento in modo più o meno generale, occupandoci del fatto stesso e riservando i prossimi capitoli per un'analisi più dettagliata con le appropriate distinzioni. Cominciamo prima di tutto col chiederci: Dio, possiede un popolo eletto? Questa domanda deve essere posta a Dio stesso, perché solo Lui può risponderci. È dunque alla Sua santa Parola che dobbiamo volgerci se vogliamo riceverne risposta. Prima di farlo, però, dobbiamo implorare Dio di concederci uno spirito disposto ad apprendere, affinché umilmente riceviamo la testimonianza divina al riguardo. Le cose di Dio, l'essere umano non può conoscerle se prima Iddio non gliele dichiara. Quando, però, Egli gliele ha dichiarate, non solo è rozza follia, ma anche 47
iniqua presunzione, che chiunque Gliele contesti o non vi creda. Le Sacre Scritture, sono la regola della nostra fede, come pure la regola della nostra condotta. Dunque: Alla legge! Alla testimonianza! Al riguardo della nazione di Israele leggiamo: "Tu sei un popolo consacrato al SIGNORE tuo Dio. Il SIGNORE, il tuo Dio, ti ha scelto per essere il suo tesoro particolare fra tutti i popoli che sono sulla faccia della terra" (Deuteronomio 7:6); "Il SIGNORE ha scelto per sé Giacobbe, e Israele per suo speciale possesso" (Salmo 135:4); "Ma tu, Israele, mio servo, Giacobbe che io ho scelto, discendenza di Abraamo, l'amico mio, tu che ho preso dalle estremità della terra, che ho chiamato dalle parti più remote di essa, a cui ho detto: 'Tu sei il mio servo', ti ho scelto e non ti ho rigettato" (Isaia 41:8-9). Queste testimonianze, rendono incontrovertibilmente chiaro che l'antico Israele era il popolo favorito ed eletto di Dio. Non solleveremo qui la questione sul perché Dio lo abbia scelto oppure per che cosa lo abbia scelto. Notiamo solo il nudo fatto in sé stesso. Nell'Antico Testamento, Iddio aveva una nazione eletta. Eletti fra gli eletti Bisogna poi osservare come persino all'interno della nazione favorita, Israele, Iddio facesse delle distinzioni: c'era un'elezione nell'ambito di un'elezione o, in altre parole, Dio aveva un Suo proprio speciale popolo scelto all'interno della nazione stessa: "...non tutti i discendenti d'Israele sono Israele; né per il fatto di essere stirpe d'Abraamo, sono tutti figli d'Abraamo; anzi: «È in Isacco che ti sarà riconosciuta una discendenza». Cioè, non i figli della carne sono figli di Dio; ma i figli della promessa sono considerati come discendenza" (Romani 9:68); "Non sapete ciò che la Scrittura dice a proposito di Elia? Come si rivolse a Dio contro Israele, dicendo: «Signore, hanno ucciso i tuoi profeti, hanno demolito i tuoi altari, io sono rimasto solo e vogliono la mia vita»? Ma che cosa gli rispose la voce divina? «Mi sono riservato settemila uomini che non hanno piegato il ginocchio davanti a Baal». Così anche al presente, c'è un residuo eletto per grazia. Ma se è per grazia, non è più per opere; altrimenti, la grazia non è più grazia. Che dunque? Quello che Israele cerca, non lo ha ottenuto; mentre lo hanno ottenuto gli eletti; e gli altri sono stati induriti" (Romani 11:2-7). 48
Vediamo così che persino nell'ambito dell'Israele storico, la nazione scelta ed esteriormente privilegiata, Dio opera un'elezione, la scelta di un'Israele spirituale per farne oggetto del Suo amore. Nel Nuovo Testamento o stesso principio di divina selezione appare in modo chiaro ed evidente nell'insegnamento del Nuovo Testamento. Anche lì è rivelato come Dio abbia un Suo popolo peculiare, oggetto del Suo speciale favore, i Suoi cari figlioli. Il Salvatore ed i Suoi Apostoli descrivono questo popolo in vari modi e spesso li designano con il termine del quale qui trattiamo: "Se quei giorni non fossero stati abbreviati, nessuno scamperebbe; ma, a motivo degli eletti, quei giorni saranno abbreviati ... perché sorgeranno falsi cristi e falsi profeti, e faranno grandi segni e prodigi da sedurre, se fosse possibile, anche gli eletti ... E manderà i suoi angeli con gran suono di tromba per riunire i suoi eletti dai quattro venti, da un capo all'altro dei cieli" (Matteo 24:22,24,31); "Dio non renderà dunque giustizia ai suoi eletti che giorno e notte gridano a lui? Tarderà nei loro confronti?" (Luca 18:7); "Chi accuserà gli eletti di Dio? Dio è colui che li giustifica" (Romani 8:33); "poiché, prima che i gemelli fossero nati e che avessero fatto del bene o del male affinché rimanesse fermo il proponimento di Dio, secondo elezione" (Romani 9:11); "Ecco perché sopporto ogni cosa per amor degli eletti, affinché anch'essi conseguano la salvezza che è in Cristo Gesù, insieme alla gloria eterna" (2 Timoteo 2:10); "Paolo, servo di Dio e apostolo di Gesù Cristo per promuovere la fede degli eletti di Dio e la conoscenza della verità che è conforme alla pietà" (Tito 1:1). Potrebbero essere citati molti altri testi, questi però sono sufficienti per dimostrare che di fatto Dio ha un popolo che Gli appartiene. Se Dio stesso dice di averlo, chi potrebbe osare dire che Egli non ce l'abbia? La parola "eletto" in una delle sue forme, o il suo sinonimo "scelto", ricorre nelle sacre pagine considerevolmente più di 100 volte. Il termine, quindi, appartiene al vocabolario di Dio. Deve significare qualcosa, deve trasmettere un'idea ben definita. Qual è, dunque, il suo significato? Il ricercatore umile non forzerà su questo termine i propri sofismi, non cercherà di leggervi i propri 49
preconcetti, ma si sforzerà, in spirito di preghiera, di accertarsi quale sia la mente dello Spirito di Dio al riguardo. Un significato chiaro La cosa non dovrebbe essere difficile, perché non esiste termine del linguaggio umano che non abbia un significato più specifico di questo. Il concetto espresso universalmente attraverso questi termini è che uno è preso e l'altro è lasciato, perché se tutti fossero scelti, non vi sarebbe più "scelta". Inoltre, il diritto di scegliere appartiene sempre a colui che sceglie: l'atto è suo, il motivo è suo. È in questo che "scelta" differisce dalla costrizione, dal pagamento di un debito, dall'adempimento di un obbligo, o dal rispondere a ciò che esige la giustizia. La scelta è un atto libero e sovrano. Che non ci sia dunque alcuna incertezza sul significato di questo termine. Dio ha operato una scelta, perché elezione significa selezione, designazione. Dio ha esercitato la Sua volontà sovrana e, dalla massa delle Sue creature, Egli ha identificato coloro sui quali ha fatto la determinazione di impartire loro i Suoi favori speciali. Non vi può essere elezione senza scelta, e non vi può essere scelta senza un passare oltre ad altri. La dottrina dell'elezione, significa che da ogni eternità Dio ha operato la scelta di coloro che sarebbero stati il Suo tesoro particolare, i Suoi cari figlioli, i coeredi con Cristo. La dottrina dell'elezione, significa che prima ancora che Suo Figlio si incarnasse, Dio ha segnato coloro che sarebbero stati da Lui salvati. La dottrina dell'elezione, significa che Dio non ha lasciato nulla al caso: il compimento dei Suoi propositi, il successo dell'impresa di Cristo, l'atto di popolare il cielo, non dipende dal volubile capriccio della creatura. La volontà di Dio, non la volontà dell'essere umano, è quella che determina il destino. Gli angeli eletti Consideriamo ora l'esempio più rimarchevole e poco conosciuto di divina elezione: "Ti scongiuro, davanti a Dio, a Cristo Gesù e agli angeli eletti, di osservare queste cose senza pregiudizi, e di non fare nulla con parzialità" (1 Timoteo 5:21). Se dunque vi sono "angeli eletti", 50
devono necessariamente esservi "angeli non eletti", perché non vi può essere una cosa senza l'altra. Dio, così, nel passato, ha operato una selezione fra le schiere celesti, scegliendo alcuni per essere vasi d’onore ed altri vasi di disonore. Coloro che Egli ha scelto come oggetto del Suo favore, rimangono perseveranti, soggetti alla Sua volontà. Il resto cade quando Satana si ribella a Dio, perché, attraverso la sua apostasia, egli si trascina dietro un terzo degli angeli: "La sua coda trascinava la terza parte delle stelle del cielo e le scagliò sulla terra" (Apocalisse 12:4). A loro riguardo leggiamo: "Se Dio infatti non risparmiò gli angeli che avevano peccato, ma li inabissò, confinandoli in antri tenebrosi per esservi custoditi per il giudizio" (2 Pietro 2:4). Quelli, però, che appartengono all'elezione della grazia sono "gli angeli santi", santi in conseguenza della loro elezione, non scelti perché fossero stati santi, perché l'elezione avviene in una data precedente alla loro stessa creazione. L'atto supremo di elezione lo si vede in Cristo, il più alto fra le gerarchie celesti. Osserviamo ed ammiriamo, poi, la meraviglia e singolarità della scelta che Dio opera fra le creature umane. Egli ha scelto una porzione della razza d'Adamo affinché fossero in cielo i favoriti più alti. "Ora questa è la meraviglia delle meraviglie, quando giungiamo a considerare che il cielo, persino il cielo dei cieli, è del Signore. Se Dio deve avere una razza eletta, perché non ne ha scelta una fra i maestosi ordini degli angeli, o dai cherubini e serafini luminosi che stanno attorno al Suo trono? Perché non ha fissato la Sua attenzione sull'angelo Gabriele? Perché Dio non ha fatto in modo che da lui sorgesse un ordine maestoso di angeli? Perché non ha scelto quelli da prima della fondazione del mondo? Che cosa ci poteva mai essere nella creatura umana, una creatura inferiore agli angeli, che Dio dovesse sceglierla rispetto a questi spiriti angelici? Perché a Cristo non sono stati affidati i cherubini ed i serafini? Perché non ha assunto la natura degli angeli e non li ha portati in unione speciale con Lui? Un corpo celeste avrebbe potuto essere più compatibile con la persona della Divinità che un corpo di carne e sangue debole e sofferente. Ci sarebbe stato qualcosa di
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sicuramente congruo se Egli avesse detto agli angeli: 'Voi sarete i miei figli'. No, nonostante che Gli appartenessero, Egli passa loro oltre e si abbassa fino all'essere umano" (C. H. Spurgeon). Alcuni potrebbero suggerire che la ragione per la quale Dio ha scelto discendenti di Adamo, in preferenza agli angeli, perché il genere umano è caduto in Adamo e quindi era un caso migliore sul quale Dio poteva manifestare la Sua ricca misericordia. Una tale supposizione, però, è interamente fallace perché, come abbiamo visto, un terzo degli angeli era pure decaduto dalla loro eccelsa posizione. Eppure Dio, lungi dal manifestare loro misericordia, "Egli ha pure custodito nelle tenebre e in catene eterne, per il gran giorno del giudizio, gli angeli che non conservarono la loro dignità e abbandonarono la loro dimora" (Giuda 6). Per loro non è stato provveduto alcun salvatore, a loro non è stato predicato alcun Evangelo. Non è stupefacente questo? Dio che passa oltre gli angeli decaduti e che sceglie di rendere recipienti della misericordia divina i figli e le figlie di Adamo. Sì, davvero meraviglioso. Perché noi? Dio ha determinato d'avere un popolo che fosse Suo tesoro particolare, più vicino e più caro a Lui d'ogni altra creatura; un popolo che fosse conforme all'immagine stessa di Suo Figlio. Quel popolo è stato scelto fra i discendenti di Adamo. Perché? Perché non riservare questo supremo onore alle schiere celesti? Esse sono un ordine più elevato di creature; esse sono state create prima di noi. Esse erano creature celesti, eppure Dio passa loro oltre. Noi siamo della terra, eppure il Signore ha posto su di noi il Suo cuore. Ancora ci chiediamo: perché? Ah, che coloro che odiano la verità dell'alta sovranità di Dio e contestano la dottrina dell'elezione incondizionata riflettano attentamente un suo sorprendente esempio. Che coloro che insistono sfacciatamente che sarebbe ingiusto se Dio mostrasse parzialità fra uomo e uomo, ci dicano perché mai Dio voglia manifestare parzialità operando una scelta fra diverse categorie di creature, impartendo agli esseri umani favori che non manifesta agli angeli? Solo una risposta è possibile: perché così Egli si è compiaciuto di fare. 52
L'elezione è un segreto divino, un atto della volontà di Dio fatto nell'eternità passata, Non rimarrà, però, così per sempre. No, a tempo debito, Dio si compiace di rendere pienamente manifesti i Suoi consigli eterni. Questo Egli l'ha fatto a vari gradi, sin dall'inizio della storia umana. In Genesi 3:5 Egli ci rende noto del fatto che vi sarebbero state due linee distinte: la "progenie" della donna, che denota Cristo e il Suo popolo, e la "progenie" del serpente, che significa Satana e coloro che sono conformi alla sua immagine, ponendo Dio un'irriconciliabile differenza fra di loro. Queste due "progenie" comprendono gli eletti ed i non-eletti. Abele apparteneva all'elezione della grazia, di cui evidenza era fornita dalla sua fede (Ebrei 11:4) perché solo coloro che sono "ordinati a vita eterna" (Atti 13:48) "credono" in modo salvifico. Caino apparteneva ai non-eletti: evidenza di questo si trova nell'affermazione: "Caino, che era dal maligno" (1 Giovanni 3:12). Così, sin dall'inizio della storia, nei due figli di Adamo ed Eva, Dio "prende" uno nel Suo favore, e "lascia" l'altro a soffrire la giusta ricompensa delle sue iniquità. Contempliamo poi l'elezione che corre nella linea di Seth, perché era nei suoi discendenti (e non in quelli di Caino) che leggiamo: "Allora si cominciò a invocare il nome del SIGNORE" (Genesi 4:26). Nel corso del tempo, però, anch'essi si corrompono fintanto che l'intero genere umano diventa così malvagio che Dio manda il diluvio per spazzarlo via completamente. Anche qui, però, possiamo trovare un esempio del principio della divina elezione, non solo in Enoch, ma "Noè trovò grazia agli occhi del SIGNORE" (Genesi 6:8). È lo stesso dopo il diluvio, perché una segnata discriminazione troviamo nei figli di Noè: "Benedetto sia il SIGNORE, Dio di Sem" (Genesi 9:26). D'altro canto, "Maledetto Canaan! Sia servo dei servi dei suoi fratelli!" (Genesi 9:25), nel quale si esprime la preterizione (il "passare oltre") e tutto ciò che implica l'essere respinti da Dio. Persino così fra coloro che emergono dall'arca, Dio fa una differenza fra l'uno e l'altro. Dai figli di Noè sorgono le nazioni che hanno popolato il mondo: "Queste sono le famiglie dei (tre) figli di Noè, secondo le loro generazioni, nelle loro nazioni; da essi uscirono le nazioni che si
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sparsero sulla terra dopo il diluvio" (Genesi 10:32). Fra quelle 70 nazioni Dio sceglie quella in cui sarebbe corsa la grande corrente dell'elezione. In Genesi 10:25 leggiamo come questo dividersi di nazioni è fatto al tempo di Eber, il nipote di Sem: "Ad Eber nacquero due figli; il nome dell'uno fu Peleg, perché ai suoi giorni la terra fu spartita; e il nome di suo fratello fu Ioctan". Perché ci viene detto questo? Per farci comprendere come allora Dio cominci a separare la nazione ebraica in Eber riservandola per Sé, perché Eber era loro capostipite. Per questo pure ci è detto che all'inizio della genealogia di Sem: "Anche a Sem, padre di tutti i figli di Eber e fratello maggiore di Iafet, nacquero dei figli" (10:21). Questo è davvero sorprendente, perché Eber aveva avuto altri figli più vecchi (la cui linea genealogica pure ci è tramandata), come Asshur e Elin, capostipiti degli Assiri e dei Persiani. Questo dettaglio apparentemente arido e poco interessante di Genesi 10, al quale abbiamo fatto allusione, segnava il passo più importante verso la realizzazione dei divini consigli, perché è allora che Dio comincia a separare per Sé gli Israeliti in Eber, che Egli stabilisce come loro padre. Fino ad allora gli Ebrei erano stati mescolati con le altre nazioni, ora, però, Dio li "divide" dal resto, così come le altre nazioni sarebbero state divise l'una dall'altra. È così che troviamo la posterità di Eber, anche quando erano pochi di numero, designati come "Ebrei", designazione tradizionale che differisce da quella di "Israele", nome religioso, distinguendoli da coloro fra i quali si trovavano: "...Ma uno degli scampati venne a informare Abramo, l'Ebreo, che abitava alle querce di Mamre, l'Amoreo, fratello di Escol e fratello di Aner, i quali avevano fatto alleanza con Abramo" (Genesi 14:13). Quando, così essi diventano una nazione numerosa e vivono fra gli Egiziani, essi sono chiamati “Ebrei” (Esodo 1:15), mentre in Numeri 24:24 sono distintamente chiamati “Eber”! Quel che abbiamo cercato di spiegare è definitivamente confermato da: “Ricòrdati dei giorni antichi, considera gli anni delle età passate, interroga tuo padre ed egli te lo farà conoscere, i tuoi vecchi ed essi te lo diranno. Quando l'Altissimo diede alle nazioni la loro eredità, quando separò i figli degli uomini, egli fissò i confini dei popoli, tenendo conto del 54
numero dei figli d'Israele. Poiché la parte del SIGNORE è il suo popolo, Giacobbe è la porzione della sua eredità” (Deuteronomio 32:4-9). Notate, in primo luogo come qui il Signore esorti Israele a considerare i tempi antichi, le tradizioni che sono state loro trasmesse dai loro padri. In secondo luogo, il particolare avvenimento a cui si allude è quando Dio “divide” fra le nazioni la loro eredità: il riferimento è la famosa divisione di Genesi 10. In terzo luogo, quelle nazioni non sono chiamate “figli di Noè” (che era nella linea degli eletti) ma “figli di Adamo” ["Quando l'Altissimo diede alle nazioni la loro eredità, quando separò i figli di Adamo, egli fissò i confini dei popoli, in base al numero dei figli d'Israele", v. 8 ND], altro chiaro riferimento che Adamo è considerato capostipite dei reprobi. In quarto luogo, quando Dio assegna alle nazioni non elette la loro parte, persino allora la grazia ed il favore di Dio è rivolta ai figli di Israele. In quinto luogo, "tenendo conto del numero dei figli d'Israele", che era 70, quando si stanziano per la prima volta in Egitto (Genesi 46:27) - l'esatto numero delle nazioni menzionate in Genesi 10! Il collegamento principale fra Eber e la nazione di Israele, naturalmente, è Abraamo e, nel suo caso, il principio dell'elezione divina brilla con chiarezza cristallina. La chiamata che egli riceve da Dio segna un'altra fase importante nello sviluppo degli eterni propositi di Dio. Alla torre di Babele, Dio concede alle nazioni di procedere nelle loro vie malvagie. Subito dopo, però, Iddio sceglie Abramo, affinché diventi il fondatore della nazione a Lui favorita: "Sei tu il SIGNORE Dio che hai scelto Abramo, lo hai fatto uscire da Ur dei Caldei, e gli hai dato il nome di Abraamo" (Neemia 9:7). Non è stato Abraamo a scegliere Dio, ma Dio a scegliere Abramo: "Il Dio della gloria apparve ad Abraamo, nostro padre, mentr'egli era in Mesopotamia, prima che si stabilisse in Carran" (Atti 7:2).
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Abraamo Il titolo "Dio della gloria" viene qui usato per mettere in rilievo il favore manifestato ad Abraamo, la gloria della grazia nell'eleggerlo, perché per natura non c'era nulla in lui che lo rendesse migliore dei suoi contemporanei dandogli titolo ad essere notato da Dio. Anche per Abraamo si tratta di una misericordia immeritata, una grazia sovrana. Questo ci è reso evidente da ciò che ci vien detto in Giosuè 24, a proposito della sua condizione di fronte a Jahvè quando gli appare: "Così parla il SIGNORE, il Dio d'Israele: 'I vostri padri, come Tera padre di Abraamo e padre di Naor, abitarono anticamente di là dal fiume, e servirono gli altri dèi'" (v. 2). Abramo viveva nella città pagana di Ur ed apparteneva ad una famiglia di idolatri! Più tardi Dio fa notare ai suoi discendenti proprio questo fatto, rammentando loro della loro primigenia condizione di corruzione, mettendo esattamente in evidenza come non vi fosse motivo alcuno in loro stessi per il quale erano stati scelti da Dio: "Ascoltatemi, voi che perseguite la giustizia, che cercate il SIGNORE! Considerate la roccia da cui foste tagliati, la buca della cava da cui foste cavati. Considerate Abraamo vostro padre e Sara che vi partorì; poiché io lo chiamai, quand'egli era solo, lo benedissi e lo moltiplicai" (Isaia 51:1-2). Fa venire la pelle d'oca qui l'espressione " la buca della cava da cui foste cavati": questa era la loro condizione quando il Signore gli appare per la prima volta. In questo brano, però, c'è di più. Notate attentamente le parole: "poiché io chiamai lui solo" (v. 3 CEI). Rammentate come questo avveniva quando abitava ad Ur che, come dimostrano gli scavi moderni, era allora una città molto vasta: fra tutti i suoi innumerevoli abitanti Dio ha scelto lui soltanto! Il Signore qui mette in rilievo questo stesso fatto e ci chiama a riflettere sulla singolarità della Sua elezione proprio con il termine "solo" (fatto non rilevato da altre versioni). Vedete come qui ancora si riveli l'assoluta sovranità di Dio che esercita la Sua volontà imperiosa e che sceglie secondo il Suo beneplacito. Egli manifesta la Sua compassione per Abramo semplicemente perché Egli si compiace di farlo e lascia il resto dei suoi connazionali nelle tenebre del 56
paganesimo semplicemente perché così ritiene di dover fare. Non c'era nulla in Abramo che lo distinguesse particolarmente dai suoi compagni e che avesse spinto Dio a sceglierlo. In ogni caso, qualunque cosa buona Abramo avesse in sé, Dio stesso ve l'aveva posta e quindi essa era conseguenza e non causa della sua scelta. I discendenti di Abraamo Tanto sorprendente quanto lo è l'elezione di Abramo è ugualmente il modo in cui Dio tratta con i suoi discendenti. In questo, Iddio fornisce l'epitome stessa di ciò che largamente ha caratterizzato la storia di tutti i Suoi eletti, perché è cosa molto rara trovare un'intera famiglia che non solo fa professione di godere del Suo speciale favore, ma ne dà chiara prova. La regola comune è che uno è preso e l'altro lasciato, perché coloro ai quali è dato di credere veramente a questa verità preziosa e seria, è pure dato di fare esperienza della sua forza in connessione con i propri simili. È così che la famiglia stessa di Abraamo, nei suoi immediati e prossimi successori, è il prototipo della futura esperienza degli eletti. Nella sua famiglia, infatti, troviamo sorprendenti esempi sia di elezione che di preterizione, prima nei suoi figli e poi nei suoi nipoti. Che Isacco fosse figlio di pura grazia selettiva (che era la causa e non la conseguenza della sua fede e santità) e che come tale era stato posto nella famiglia di Abraamo come un dono prezioso, mentre Ismaele è escluso da quel favore preminente, è del tutto evidente nel racconto della Genesi. Prima, infatti, che nascesse, anzi, prima ancora di essere concepito, Dio dichiara ad Abraamo che Isacco sarebbe stato erede con lui della salvezza stessa, che aveva con lui irrevocabilmente siglato il patto di grazia, distinguendolo così da Ismaele che, benché fosse stato benedetto materialmente, non era stato posto nell'ambito del patto di grazia. ma piuttosto sotto il patto d'opere (vedi Genesi 17:19-21 confrontandolo con gli ispirati commenti al riguardo in Galati 4:22-26). Più tardi, mentre Isacco era ancora giovane e legato come un'offerta sacrificale, Dio ratifica le promesse di benedizione che Egli aveva fatto prima della sua nascita, confermandole in un 57
voto solenne: "Io giuro per me stesso, dice il SIGNORE, che, siccome tu hai fatto questo e non mi hai rifiutato tuo figlio, l'unico tuo, io ti colmerò di benedizioni e moltiplicherò la tua discendenza come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare; e la tua discendenza s'impadronirà delle città dei suoi nemici" (Genesi 22:16-17). Questo giuramento riguarda la progenie spirituale, gli eredi della promessa. A questo si riferisce l'Apostolo quando scrive: "Così Dio, volendo mostrare con maggiore evidenza agli eredi della promessa, l'immutabilità del suo proposito, intervenne con un giuramento" (Ebrei 6:17). Qual era "l'immutabilità del suo proposito" se non il Suo eterno decreto, il Suo proposito di elezione? Il "mistero della sua volontà", sono i Suoi decreti stabiliti dall'eternità (Efesini 1:4,9,10). Chi sono, poi, gli "eredi della promessa" se non gli eletti, proprio come Isacco? Si potrebbe obiettare che la scelta di Isacco in preferenza ad Ismaele non fosse un atto di pura sovranità, visto che il primo era figlio di Sara ed il secondo di Agar, la serva egiziana presupponendo così che i doni di Dio siano accordati in base alla "qualità" di una persona. L'esempio che segue, però, preclude anche questo sofismo ed interamente addebita ogni cosa alla volontà non causata e non influenzata dell'Altissimo. Giacobbe ed Esaù avevano lo stesso padre e la stessa madre: erano gemelli. Al loro riguardo leggiamo: "...poiché, prima che i gemelli fossero nati e che avessero fatto del bene o del male (affinché rimanesse fermo il proponimento di Dio, secondo elezione, che dipende non da opere, ma da colui che chiama), le fu detto: «Il maggiore servirà il minore»; com'è scritto: «Ho amato Giacobbe e ho odiato Esaù»." (Romani 9:11-13). Inchiniamoci in rispettoso silenzio di fronte a questo brano. La nazione che sorge da Abraamo, Isacco e Giacobbe è il popolo eletto e favorito di Dio, scelto e separato dalle altre nazioni per essere il ricettore delle ricche benedizioni di Dio. È proprio questo il fatto che aggrava l'enormità dei loro peccati, perché maggiori privilegi implica maggiori responsabilità e maggiori responsabilità non adempiute implica maggiore colpevolezza: "Ascoltate questa parola che il SIGNORE pronuncia contro di voi, o figli d'Israele, contro tutta la famiglia che io ho condotto fuori dal paese d'Egitto:
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«Voi soli ho conosciuto fra tutte le famiglie della terra; perciò vi castigherò per tutte le vostre trasgressioni»" (Amos 3:1-2). Perché Israele? Dai giorni di Mosè, fino al tempo di Cristo, per un periodo di 1500 anni, Dio ha tollerato che tutte le nazioni pagane camminassero nelle loro proprie vie, lasciandoli nella corruzione e tenebre dei loro propri malvagi cuori. Nessun'altra nazione possedeva la Parola di Dio, nessun'altra nazione poteva godere di un sacerdozio stabilito da Dio. Solo Israele era stata favorita con una rivelazione scritta celeste. Per quale motivo il Signore Iddio ha scelto Israele come Suoi favoriti? I Caldei erano più antichi, gli Egiziani molto più sapienti. I Cananei molto più numerosi. Nonostante questo, Iddio è passato loro oltre. Perché dunque il Signore ha scelto Israele? Certamente non perché eccellessero in qualcosa più di altri, come dimostra l'intera loro storia. Da Mosè fino a Malachia, si rileva come di fatto essi siano una nazione "dal collo duro", ostinata, irriconoscente per i favori ricevuti, scarsamente ubbidiente alla volontà di Dio. La scelta che Dio fa di loro non poteva essere stata causata dalla loro bontà. Il caso della sovranità di Dio è molto chiaro: "Infatti tu sei un popolo consacrato al SIGNORE tuo Dio. Il SIGNORE, il tuo Dio, ti ha scelto per essere il suo tesoro particolare fra tutti i popoli che sono sulla faccia della terra. Il SIGNORE si è affezionato a voi e vi ha scelti, non perché foste più numerosi di tutti gli altri popoli, anzi siete meno numerosi di ogni altro popolo, ma perché il SIGNORE vi ama: il SIGNORE vi ha fatti uscire con mano potente e vi ha liberati dalla casa di schiavitù, dalla mano del faraone, re d'Egitto, perché ha voluto mantenere il giuramento fatto ai vostri padri" (Deuteronomio 7:6-8). La spiegazione di tutti gli atti e le opere di Dio deve essere trovata in Lui stesso, nella sovranità della Sua volontà, non in qualcosa che si trovi nella creatura. Nel Nuovo Testamento
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Lo stesso principio di divina selezione è rivelato in modo chiaro e prominente non solo nell'Antico Testamento, ma anche nel Nuovo. È rilevabile in modo sorprendente in connessione con la nascita di Cristo. In primo luogo, il luogo dove nasce Gesù. La sovranità di Dio è manifestata in modo stupefacente proprio in quell'avvenimento molto importante. Non è stata Gerusalemme il luogo della nascita di Gesù, né alcuna delle città prominenti della Palestina. La nascita di Gesù avviene in un piccolo villaggio privo di importanza! Lo Spirito Santo richiama in modo particolare la nostra attenzione in una delle maggiori profezie messianiche: "Ma da te, o Betlemme, Efrata, piccola per essere tra le migliaia di Giuda, da te mi uscirà colui che sarà dominatore in Israele, le cui origini risalgono ai tempi antichi, ai giorni eterni" (Michea 5:1). Quanto diversi sono i pensieri e le vie di Dio dalle nostre! Quanto Egli disprezza ciò che noi maggiormente valorizziamo ed onora ciò che noi guardiamo dall'alto in basso. Dio sceglie come scena dell'avvenimento più importante di tutta la storia il più insignificante di tutti i luoghi. Notiamo, poi, come l'alta sovranità di Dio ed il principio della Sua elezione singolare, appaia in coloro ai quali viene annunciato per primi questa lieta notizia. A chi sono stati inviati gli angeli per annunciare il fatto della nascita del Salvatore? Supponete che su questo punto la Scrittura taccia: noi avremmo disposto le cose in modo molto diverso. Non avremmo forse scelto come primi destinatari di questo annuncio i leader religiosi di Israele, eredi e gestori della fede di Israele? Ce n'erano pure di eccellenti! Certamente avremmo fatto proclamare per la prima volta questo messaggio nel Tempio di Gerusalemme, voluto da Dio e dove Egli si compiaceva di rivelarsi. Non avviene, però, questo. Il messaggio non viene inviato a sacerdoti e governanti, ma ad umili e disprezzati pastori che accudivano alle loro greggi nei campi. Anche in questo caso i pensieri e le vie di Dio sono molto diverse dalle nostre. Quel che accade all'inizio dell'era cristiana è indicativo di come Dio scelga di agire attraverso tutto il corso dei Suoi propositi. "Infatti, fratelli, guardate la vostra vocazione; non ci sono tra di voi molti sapienti secondo la carne, né molti potenti, né molti nobili;
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ma Dio ha scelto le cose pazze del mondo per svergognare i sapienti; Dio ha scelto le cose deboli del mondo per svergognare le forti; Dio ha scelto le cose ignobili del mondo e le cose disprezzate, anzi le cose che non sono, per ridurre al niente le cose che sono, perché nessuno si vanti di fronte a Dio" (1 Corinzi 1:26-29). Osserviamo poi come questa stessa grande verità sia messa in rilievo da Cristo stesso durante il Suo ministero pubblico. Guardate al Suo primo messaggio nella sinagoga di Nazaret: "E gli fu dato in mano il libro del profeta Isaia; lo aprì e trovò quel passo dove era scritto: «Lo Spirito del Signore è sopra di me, perché mi ha unto per evangelizzare i poveri [e non i ricchi]; mi ha mandato per guarire quelli che hanno il cuore rotto [non gli arroganti, ma quelli che fanno cordoglio per i loro peccati], per proclamare la liberazione ai prigionieri [non quelli che si vantano della loro "libera volontà"] e il recupero della vista ai ciechi [non quelli che ritengono di vedere], per rimettere in libertà gli oppressi [non quelli che ritengono di essere potenti], e per predicare l'anno accettevole del Signore" (Luca 4:17-19 ND). Quel che segue immediatamente è indubbiamente pure notevole: "Egli prese a dir loro: «Oggi, si è adempiuta questa Scrittura, che voi udite». Tutti gli rendevano testimonianza, e si meravigliavano delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca, e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?»" (vv. 21,22). Bene, essi erano compiaciuti per le Sue "parole di grazia", ma avrebbero tollerato la predicazione della grazia sovrana? "...vi dico in verità che ai giorni di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e vi fu grande carestia in tutto il paese, c'erano molte vedove in Israele; eppure a nessuna di esse fu mandato Elia, ma fu mandato a una vedova in Sarepta di Sidone. Al tempo del profeta Eliseo, c'erano molti lebbrosi in Israele; eppure nessuno di loro fu purificato; lo fu solo Naaman, il Siro»" (vv. 25-27). Qui Gesù insiste parlando loro della verità della grazia sovrana di Dio, e quello proprio non potevano sopportarlo: "Udendo queste cose, tutti nella sinagoga furono pieni d'ira. Si alzarono, lo cacciarono fuori dalla città, e lo condussero fin sul ciglio del monte sul quale era costruita la loro città, per precipitarlo giù" (vv. 28-29). Notate bene come qui si tratti di rispettabili persone religiose che partecipavano al culto della sinagoga, ma esprimono tutto il loro odio verso questa preziosa verità! Che non ci si
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sorprenda affatto oggi quando come Suoi servitori ci viene riservato lo stesso trattamento a cui era stato sottoposto il nostro Padrone! Il Suo sermone a Nazareth non è affatto l'unica volta in cui il Signore Gesù proclama la dottrina dell'elezione. In Matteo 11, Lo udiamo dire: "In quel tempo Gesù prese a dire: «Io ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti, e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché così ti è piaciuto" (Matteo 11:25-26). Ai 70, Suoi discepoli, Egli dice: "Tuttavia, non vi rallegrate perché gli spiriti vi sono sottoposti, ma rallegratevi perché i vostri nomi sono scritti nei cieli" (Luca 10:20). In Giovanni 6, troviamo che Cristo, di fronte ad una moltitudine che lo sta ad ascoltare, non esita a parlare apertamente di un gruppo ristretto di persone come di quelli che il Padre "Gli ha dato": "Questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nessuno di quelli che egli mi ha dati, ma che li risusciti nell'ultimo giorno" (Giovanni 6:39). Agli Apostoli dice: "Non siete voi che avete scelto me, ma sono io che ho scelto voi, e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; affinché tutto quello che chiederete al Padre, nel mio nome, egli ve lo dia" (Giovanni 15:16). Non sarebbe forse scandalizzata la grande maggioranza di quelli che vanno in chiesa, se essi udissero il Signore rivolgere queste parole ad un numero ristretto di persone: "Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per quelli che tu mi hai dati, perché sono tuo" (Giovanni 17:9). I cristiani come eletti Un'illustrazione interessante ed istruttiva dell'accento che lo Spirito Santo pone su questa verità è il fatto che quando il Nuovo Testamento parla del popolo di Dio, la chiesa, si riferisce ad esso con il termine "credenti" solo due volte, "Cristiani" solo tre volte, mentre la designazione di "eletti" 14 volte e "santi" ("i messi a parte") 62 volte! Rileviamo pure come nella Scrittura esistano altre espressioni che indicano il concetto di "elezione": "Il SIGNORE disse a Mosè: «Farò anche questo che tu chiedi, perché tu hai trovato grazia agli occhi miei, e ti conosco personalmente»" (Esodo 33:17); "Prima che io ti avessi formato nel grembo di tua madre, io ti ho conosciuto; prima che tu uscissi dal suo grembo, io ti ho consacrato e ti ho costituito 62
profeta delle nazioni" (Geremia 1:5; cfr. Amos 3:2). "Non parlo di voi tutti; io conosco quelli che ho scelti" (Giovanni 13:18; cfr. Matteo 20:16). "...tutti quelli che erano ordinati a vita eterna, credettero" (Atti 13:48); "Fratelli, ascoltatemi: Simone ha riferito come Dio all'inizio ha voluto scegliersi tra gli stranieri un popolo consacrato al suo nome" (Atti 15:14); "all'assemblea dei primogeniti che sono scritti nei cieli, a Dio, il giudice di tutti, agli spiriti dei giusti resi perfetti" (Ebrei 12:23). La verità di base dell'elezione sta alla base di tutto lo schema della salvezza. Ecco perché ci è detto: "Tuttavia il solido fondamento di Dio rimane fermo, portando questo sigillo: «Il Signore conosce quelli che sono suoi»" (2 Timoteo 2:19). L'elezione è presupposta necessariamente e chiaramente da alcuni dei termini più importanti usati nelle Sacre Scritture in riferimento a vari aspetti della nostra salvezza che, senza di essi, sarebbe inintelligibile. Per esempio, ogni brano che parli di "redenzione" presuppone l'elezione eterna. In che modo? Perché "redenzione" implica qualcosa che prima si possedeva: significa ricomprare, tornare ad essere proprietario liberando ciò che sin dall'inizio era di Dio. Ancora: la parola "rigenerazione" e "rinnovamento" implica necessariamente una precedente vita spirituale - perduta quando siamo caduti in Adamo (1 Corinzi 15:22). Ancora, il termine "riconciliazione" non solo denota uno stato di alienazione precedente alla riconciliazione, ma una condizione di armonia e di amicizia precedente all'alienazione. Tutto questo dovrebbe sicuramente bastare: la verità dell'elezione è stata dimostrata abbondantemente dalle Scritture. Se queste molte e incontrovertibili prove non fossero sufficienti, sarebbe una perdita di tempo moltiplicarne ulteriormente altre. Nelle confessioni di fede Rileviamo come questa grandiosa verità fosse pure ugualmente fatta propria e sostenuta dalle precedenti generazioni di cristiani. In primo luogo, una breve citazione dall'antico Credo dei Valdesi elaborato durante le terribili persecuzioni inflitte loro dai Papisti: "Che Iddio trae da quella corruzione e condanna le persone che egli ha elette prima della fondazione del mondo, non perché egli
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prevedesse in loro alcuna buona disposizione alla fede o alla santità, ma per la sua misericordia in Gesù Cristo suo figliuolo, lasciandovi gli altri, secondo la ragione sovrana e irreprensibile della sua libertà e giustizia" (11). Ecco uno dei 39 articoli della Chiesa di Inghilterra: "La predestinazione alla vita e lo scopo eterno di Dio, con cui (prima che fossero poste le fondamenta del mondo) egli ha fermamente decretato, nel suo segreto consiglio, di liberare dalla maledizione e dalla dannazione coloro che egli aveva scelto in Cristo di fra gli uomini e di condurli, attraverso Cristo, alla salvezza eterna come vasi onorevoli. Per cui, coloro che sono provvisti di un tale eccellente beneficio di Dio sono chiamati, secondo il disegno di Dio, dal suo Spirito che opera a tempo opportuno: mediante la grazia essi seguono la chiamata; sono liberamente giustificati; sono resi figli adottivi di Dio; sono fatti a immagine del suo Figlio unigenito Gesù Cristo; camminano religiosamente nelle opere buone e, alla fine, per la misericordia di Dio, raggiungono la felicità eterna" (17). Questo, invece è nella Confessione di fede di Westminster, sottocritta da tutti i presbiteriani: "Per decreto di Dio e per la manifestazione della sua gloria, alcuni uomini ed angeli sono stati predestinati a vita eterna. Altri sono stati preordinati alla morte eterna ... Gli angeli e gli uomini, predestinati e preordinati in questo modo sono così designati individualmente ed immutabilmente. Il loro numero è così certo e definito che non può essere né aumentato né diminuito ... Quelli che, fra l'umanità, sono predestinati alla vita, Dio, prima della fondazione del mondo, secondo il suo eterno ed immutabile proposito ed il segreto consiglio e beneplacito della sua volontà, li ha scelti in Cristo ad eterna gloria, sulla sola base di una libera grazia e per amore, senza alcuna preconoscenza di loro eventuali fede o buone opere o di perseveranza in alcuno di essi, né qualche altra cosa nella creatura come condizione o causa che Lo spingesse ad agire così: tutto a lode e gloria della Sua grazia" (3:3-5). E poi c'è l'articolo III dell'antica Confessione di Fede Battista inglese: "Per decreto di Dio e per la manifestazione della Sua 64
gloria, alcuni uomini ed angeli sono predestinati a vita eterna per Gesù Cristo, alla lode e gloria della gloriosa Sua grazia; altri essendo lasciati ad agire nei loro peccati per la loro giusta condanna, a lode della Sua gloriosa giustizia". Non è una novità! Non si pensi che noi si abbia citato da questi documenti umani solo per comprovare la nostra tesi. Non è così: per grazia di Dio io crederei ed insegnerei questa grandiosa verità anche se nessun altro prima di me l'avesse mai sostenuta e anche se tutti nella cristianità l'avessero ripudiata. Quello che abbiamo addotto è buona prova del fatto che noi non proponiamo alcuna eretica novità, ma una dottrina proclamata nel passato in ogni senzione della Chiesa ortodossa sulla terra. Abbiamo pure fatto le citazioni precedenti allo scopo di mostrare quanto l'attuale generazione di cristiani professanti si sia allontanata dalla Fede di coloro ai quali, per grazia di Dio, dobbiamo la nostra libertà di religione. Proprio come i moderni negatori dell'ispirazione e dell'autorità delle Scritture (attraverso l'alta critica), i negatori della creazione immediata (attraverso gli evoluzionisti), i negatori della divinità di Cristo (attraverso gli Unitariani), così gli attuali negatori dell'elezione sovrana di Dio e dell'impotenza spirituale dell'uomo, sono ugualmente un allontanamento dalla Fede dei nostri padri, che era basata sulla Parola inerrante di Dio. La follia e l’empietà di chi la nega La verità della divina elezione è stata esemplificata nel modo più cospicuo nella storia del Cristianesimo e la testimonianza stessa della storia sconfessa la follia di coloro che ripudiano l'insegnamento della Parola di Dio su questo argomento, rendendo inescusabile la loro incredulità. La veracità dell'elezione, infine, è evidenziata dalla furiosa opposizione che Satana le ha opposto e continua ad opporle. Il diavolo combatte contro la verità, non contro l'errore. Il suo implacabile odio era già stato manifestato quando Cristo la proclamava (Luca 4:28-29); lo stesso quando Paolo la predicava 65
(come in Romani 9:14,19 fra i tanti testi). Lo stesso aveva fatto quando i Valdesi, i Riformatori ed i Puritani l'annunciavano facendo uso dei Papisti come suo strumento per tormentare ed uccidere quelli che la confessavano. Egli ancora oggi si oppone a questa verità. Oggi egli lo fa sotto le sembianze di un "angelo di luce". Fa finta, infatti, di essere molto geloso dell'onore del carattere di Dio e dichiara che l'Elezione renderebbe Dio un mostro di ingiustizia. Egli fa uso dell'arma della derisione: se è vera l'elezione, dice, perché predicare l'Evangelo? Egli cerca di intimidire. Dice: anche se la dottrina dell'Elezione è vera, non è saggio predicarla.... Ecco così come l'insegnamento delle Scritture, la testimonianza della storia e l'opposizione di Satana parlano tutte a favore della veracità di questa dottrina.
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4. L’Elezione: la sua giustizia In qualche modo contro le mie stesse inclinazioni, ho deciso di allontanarmi ancora dal metodo logico scelto per la mia esposizione e, invece di procedere subito a sviluppare ordinatamente questa dottrina, faccio un'ulteriore pausa per considerare l'obiezione principale che ad essa viene opposta. Capita sempre, infatti, quando si presenta Dio nell'atto di scegliere certe Sue creature per farle oggetto dei Suoi speciali favori, che si oda subito un generale grido scandalizzato di protesta. Non importa quanti testi biblici si citino per sostenere questo punto né quanti chiari brani si adducano per illustrarlo e dimostrarlo, la maggior parte di coloro che si professano cristiani obiettano a viva voce, accusandoci e dicendo come un tale insegnamento diffami il carattere di Dio, rendendo Dio colpevole di grossolana ingiustizia. È quindi necessario, per risolvere questa difficoltà, prima di procedere ulteriormente nel tentativo di fornire un'esposizione sistematica di questa dottrina, dare una risposta a chi la critica in questi termini. In un tempo come il nostro, dove sono ampiamente proclamati i principi della democrazia e dove socialismo e comunismo sembrano essere considerati da molti l'apice del progresso umano; in un tempo in cui l'autorità umana e la sovranità sono sempre di più disprezzati; in un tempo in cui è abitudine comune "disprezzare l'autorità e parlare male delle dignità" (Giuda 8), non fa tanta meraviglia che tanti che apertamente rigettino l'autorità delle Sacre Scritture, si ribellino contro la pretesa "parzialità di Dio". È però, sconvolgente, in modo indicibile, trovare pure come la maggior parte di coloro che fanno professione di ricevere le Sacre Scritture come divinamente ispirate, digrignino i denti contro il loro Autore, quando vengono informati che Egli ha sovranamente eletto un popolo come Suo particolare tesoro e udirli accusarlo di dimostrarsi, per questo, un odioso tiranno, un mostro di crudeltà. Tali bestemmie, però, mostrano solo come "la mente carnale è inimicizia contro Dio".
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Non è perché io abbia speranza alcuna di convertire tali ribelli dall'errore delle loro vie che mi sento costretto a rilvare questo aspetto del tema in discussione - anche se Dio si potrebbe compiacere, nella Sua grazia infinita, di avvalersi di questo mio debole scritto per illuminare e convincere qualcuno di loro. No, vorrei piuttosto, aiutare coloro che, fra il popolo di Dio, sono turbati dalle farneticazioni dei Suoi nemici e non sanno come rispondere alle loro obiezioni. Come rispondere, infatti, a coloro che dicono che se Dio opera una sovrana selezione fra le Sue creature e le predestina alle benedizioni che nega ad innumerevoli milioni di loro compagni, allora tale parzialità Lo renderebbe colpevole di essere ingiusto verso questi ultimi? Il fatto, però, è evidente e li guarda in faccia da ogni lato, sia nella creazione che nella provvidenza: Dio distribuisce le Sue misericordie in modo non uniforme. Non c'è, infatti, alcuna uguaglianza nel modo in cui Dio impartisce salute fisica e forza, capacità mentali, status sociale e i comfort di questa vita. Perché mai, allora, dovremmo essere sorpresi e confusi nell'apprendere che le Sue benedizioni spirituali siano distribuite in modo altrettanto non uniforme? Prima di procedere oltre, dobbiamo rilevare come il disegno di ogni falso schema e sistema di religione sia quello di dipingere il carattere di Dio, in modo tale da renderlo gradevole ai gusti del cuore carnale, accettabile alla natura umana depravata. Questo è possibile quando si rappresenta Dio, in modo tale da travisare il Suo carattere: ignorando quelle Sue prerogative e perfezioni che non ci piacciono e suscitano le nostre obiezioni e, nel contempo, mettere in rilievo, in modo sproporzionato quei Suoi attributi che il nostro egocentrismo trova attraenti - come l'amore, la misericordia e la longanimità. Dobbiamo far sì, però, che il carattere di Dio, sia presentato come di fatto lo troviamo nelle Sacre Scritture, sia dell'Antico come del Nuovo Testamento. Questo, però, sembra che non sia gradito: nove su dieci di quelli che "vanno in chiesa", se sollecitati, ammetteranno francamente che "quel Dio", per loro è "impossibile da amare". Il dato di fatto, caro lettore, è incontrovertibile: per l'attuale generazione l'Iddio altissimo che si rivela nelle Sacre Scritture, rimane "il Dio sconosciuto". 68
È solo perché gran parte della gente oggi è così ignorante del carattere di Dio e così priva di santo timor di Dio che essa rimane all'oscuro della natura e gloria della giustizia divina, mettendola in dubbio. La nostra è un'epoca di sfacciata irriverenza: un'epoca dove grumi di argilla inanimata, come noi siamo, osano prescrivere ciò che l'Onnipotente dovrebbe o non dovrebbe fare. I nostri padri hanno seminato vento ed oggi i loro figli raccolgono tempesta. I padri hanno deriso e squalificato il "divino diritto dei re" ed oggi i loro discendenti ripudiano "il divino diritto del Re dei re".Se i presunti "diritti" della creatura non sono "rispettati", allora i nostri contemporanei non avranno nemmeno rispetto per il Creatore, e se si insiste sulla suprema sovranità ed assoluto dominio di Dio su tutto e tutti, essi non esiteranno a vomitare le loro condanne contro di Lui. «Le cattive compagnie corrompono i buoni costumi» (1 Corinzi 15:33): il popolo di Dio, corre il rischio di essere infettato dal gas venefico che riempie l'aria del mondo religioso. Non solo l'atmosfera miasmica che si respira nella maggior parte delle "chiese" è una seria minaccia per il cristiano, ma c'è in ciascuno di noi una seria tendenza a "umanizzare" Dio: a considerare le Sue perfezioni attraverso le nostre lenti intellettuali, piuttosto che quelle della Scrittura; interpretare i Suoi attributi come qualità umane. Era proprio di questo che Dio anticamente si lamentava quando diceva: "Hai fatto queste cose, io ho taciuto, e tu hai pensato che io fossi come te; ma io ti riprenderò, e ti metterò tutto davanti agli occhi" (Salmo 50:21). Questo è un solenne avvertimento da prendere molto a cuore. Ciò che intendiamo dire è questo: quando leggiamo della misericordia o della giustizia di Dio, tendiamo a pensare che siano secondo le qualità della misericordia e della giustizia umana. Si tratta, però, di un grave errore. L'Onnipotente non può essere misurato secondo i criteri umani. Egli è infinitamente al di sopra di noi, tanto che ogni paragone è del tutto impossibile. È quindi il massimo della follia per una qualsiasi creatura, limitata com'è, sedere in giudizio e mettere in discussione ciò che fa Jahvè.
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Un'altra cosa: dobbiamo stare molto in guardia per evitare la follia di fare distinzioni e graduatorie fra le divine perfezioni. Per esempio: è del tutto sbagliato supporre che Dio sia più glorioso nella Sua grazia e misericordia di quanto Egli lo sia nella Sua potenza e maestà. Questo errore, però, è molto comune. Molti esprimono verso Dio maggiore gratitudine quando li benedice con buona salute più di quanto lo siano per aver loro annunciato l'Evangelo. Ne consegue forse che la bontà di Dio nel concedere cose materiali sia più grande che la Sua bontà nel concedere benedizioni spirituali? Certo che no. La Scrittura spesso parla della sapienza e della potenza di Dio manifestata nella creazione, ma dov'è che ci vien detto della Sua grazia e misericordia nel creare il mondo? Se, quindi, noi comunemente "ci dimentichiamo" di glorificare Dio per la Sua sapienza e potenza, ne consegue forse che per esse Egli non debba essere così tanto adorato? Stiamo in guardia contro l'errore di esaltare una delle perfezioni divine rispetto alle altre. Che cos'è la giustizia? È trattare ogni persona in modo equo e giusto, dandole ciò che le è dovuto. La giustizia divina è semplicemente fare ciò che è giusto. Questo, però, solleva la questione: che cos'è giusto verso la creatura? Che cos'è che Dio dovrebbe giustamente impartirle? Ah, caro amico, ogni persona dalla mente sobria, subito obietterà all'udire quel "dovrebbe", e fa bene a farlo. Il Creatore non "deve" proprio nulla a nessuna delle opere delle Sue mani. Egli solo ha diritto di decidere se una creatura debba o non debba esistere. Egli solo ha la prerogativa di determinare la natura, la condizione ed il destino di quella creatura, sia essa un animale, un essere umano o un angelo; sia che abbia un anima e sussista per sempre, oppure senza un anima e duri solo un breve tempo; sia essa un vaso ad onore che porta in comunione con Sé stesso, che un vaso a disonore che Lui respinge. Il Creatore possiede perfetta libertà di creare o non creare, di portare all'esistenza qualunque creatura Egli si compiaccia di creare (e una visita allo zoo dimostrerà come Egli abbia creato sia creature dall'apparenza magnifica, sia creature parecchio strane).
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Egli ha quindi l'insindacabile diritto di decretare, al riguardo di queste creature, ciò che a Lui piace. La giustizia di Dio nell'elezione e nella preterizione, quindi, è radicata nella Sua suprema sovranità. La dipendenza che ogni creatura ha da Lui è completa. Il Suo diritto di proprietà sulle Sue creature è indisputabile. Il Suo dominio su tutte le creature è assoluto. Questi fatti sono chiaramente stabiliti dalle Scritture - e dimostrare questo completamente è cosa molto semplice - che diritto ha una creatura di dire a chi l'ha fatta: Che hai fatto? o perché mi hai fatto così? Nessuno. "O uomo, chi sei tu che replichi a Dio? La cosa plasmata dirà forse a colui che la plasmò: «Perché mi hai fatta così?» Il vasaio non è forse padrone dell'argilla per trarre dalla stessa pasta un vaso per uso nobile e un altro per uso ignobile?" (Romani 9:20-21). Invece dessere il Creatore in obbligo alcuno verso le Sue creature, è la creatura che è in obbligo verso Colui che le ha dato l'esistenza e che ora sostiene la stessa sua vita. Dio ha il diritto assoluto di fare ciò che vuole con le creature che Egli ha formato. Che abbiamo dunque da contestare se Egli dà ad uno e non dà ad un altro, se Egli impartisce cinque talenti ad uno ed uno soltanto ad un altro? Non Lo si può minimamente accusare di ingiustizia. Se Egli può dare grazia e gloria a chi vuole senza essere passibile di tale accusa, allora Egli pure può decretare di fare così senza essere accusato d'alcunché. Forse che noi possiamo essere accusati di ingiustizia quando scegliamo chi avere per amico, compagno o confidente? Ovviamente, allora, Dio non è ingiusto quando sceglie a chi conferire i Suoi speciali favori, indulgere in comunione con Sé stesso ora e dimorare con Lui per tutta l'eternità. Un uomo può scegliere la donna che vorrebbe sposare? Quando fa la sua scelta, è forse questo un'ingiustizia verso tutte le altre donne alle quali è passato oltre senza sceglierle? Allora, il grande Iddio è forse meno libero di fare la Sua scelta di chi dare come sposa a Suo Figlio? Vergogna, vergogna, vergogna a coloro che vorrebbero accordare meno libertà al Creatore che alla creatura!
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Basterebbe rifletterci un po' e dovrebbe essere evidente a tutti come non vi possa essere parità fra la giustizia umana e quella divina. La giustizia umana esige che noi diamo a ciascuno ciò che gli è dovuto, mentre Dio non deve niente a nessuno, nemmeno ciò che Egli si compiace di dargli. Nella sua rispettosissima discussione sulla natura degli attributi di Dio, William Twisse (Moderatore dell'Assemblea di Westminster, 1578-1646) rileva che se la giustizia umana fosse della stessa natura di quella divina, allora necessariamente ne conseguirebbe: (1) che ciò che è giusto per l'uomo è giusto per Dio; (2) che essa debba essere giusta allo stesso modo. Se la giustizia umana consiste nella sottomissione ed ubbidienza alla legge di Dio, così Dio stesso deve essere soggetto alla Sua stessa legge; (3) come un uomo è in obbligo di essere giusto, così Dio è in obbligo di essere giusto, e quindi come Saul aveva peccato ed aveva agito ingiustamente nel far uccidere i sacerdoti, così Dio è stato ugualmente ingiusto a permetterlo. A meno che la perversità del cuore non accechi il giudizio, si può facilmente comprendere come la giustizia divina debba essere necessariamente d'ordine e carattere diverso da quello umano, anzi, differente e superiore così come l'amore di Dio lo è rispetto a quello umano. Tutti concordano sul fatto che una persona agisca ingiustamente e pecchi quando tollera le trasgressioni di qualcuno, quando sarebbe in suo potere di impedirgli di farlo. Se la giustizia divina fosse dello stesso tipo, sebbene superiore in grado, ne conseguirebbe necessariamente che Dio pecca ogni qual volta Egli permette ad una delle Sue creature di trasgredire la legge, perché più che certamente avrebbe la capacità di impedirglielo e che, anzi, può esercitare quel potere senza distruggere la libertà della sua creatura: "Dio gli disse nel sogno: 'Anch'io so che tu hai fatto questo nella integrità del tuo cuore: ti ho quindi preservato dal peccare contro di me; perciò non ti ho permesso di toccarla'" (Genesi 20:6). Cessate, dunque, voi ribelli di accusare l'Altissimo e di misurare la Sua giustizia con il vostro metro tascabile, come pure dal cercare 72
di sondare la Sua sapienza o definire la Sua potenza, dato che essa comprende la Sua imperscrutabile giustizia. "Nuvole e oscurità lo circondano" e questo è affermato espressamente in connessione con: "giustizia ed equità sono le basi del suo trono" (Salmo 97:2). Per evitare che qualche mio lettore sollevi obiezioni alle mie ripetute citazioni di Twisse, un calvinista piuttosto radicale, citerò il più moderato James Ussher: "Che cos'è la giustizia divina? È essenzialmente una proprietà di Dio per la quale Egli è infinitamente giusto in Sé stesso, di Sé stesso, per, da e attraverso Sé stesso e nessun altro: 'Poiché il SIGNORE è giusto; egli ama la giustizia" (Salmo 11:7). Qual è la regola della Sua giustizia? Risposta: la Sua libera volontà e nient'altro, perché tutto ciò che vuole è giusto. È giusto proprio perché Egli lo vuole, non perché sia giusto e quindi Egli lo vuole (Efesini 1:11; Salmo 115:3)". Uomini come questi erano consapevoli della loro ignoranza, per questo imploravano il cielo di ricevere istruzione, e Dio si è compiaciuto di accordare loro visione chiara. I farisei gonfi di orgoglio dei nostri giorni, però, ritengono già di vederci e quindi non sentono alcun bisogno di essere illuminati. Di conseguenza rimangono ciechi (Giovanni 9:40-41). Così pure il giustamente famoso teoogo puritano William Perkins, scrive: "Non dobbiamo pensare che Dio faccia una cosa perché buona e giusta, ma piuttosto la cosa è buona e giusta proprio perché Dio la vuole e la fa. Esempi di questo li troviamo nella Parola di Dio. Dio comanda ad Abimelech di liberare Sara e riconsegnarla ad Abraamo, altrimenti avrebbe distrutto lui e tutti i suoi (Genesi 20:7). Per la ragione umana questo potrebbe sembrare ingiusto. Perché mai i servi di Abimelech avrebbero dovuto morire a causa delle colpe del loro padrone? Troviamo poi che Acan commette una grave infedeltà verso Dio e tutta la casa di Israele ne subisce le conseguenze (Giosuè 7). Davide fa il censimento del popolo, cosa che Dio gli aveva proibito, e l'intero popolo viene colpito da un'epidemia di peste (2 Samuele 24). Tutto questo, per la ragione umana, può sembrare ingiusto, eppure, essendo opera di Dio, dobbiamo averne ogni rispetto e giudicarlo giusto e santo". 73
Ahimè, quanto poca di questa umiltà può essere trovata oggi nelle chiese! Quanto presto la nostra generazione critica e condanna le vie e le opere di Dio perché le ritiene convenienti! Quant'è lontana dalla verità la maggior parte di coloro che sono considerati oggi "campioni di ortodossia": anche essi sono spesso colpevoli di capovolgere le cose o mettere il carro davanti ai buoi. Essi presumono comunemente che Dio stesso sia sottoposto alla legge, che Egli sia moralmente costretto a fare quel che fa, tanto che non potrebbe - a loro dire - fare altrimenti. Altri avvolgono le loro parole in termini più sofisticati, insistendo che sia la Sua stessa natura a regolare tutte le Sue azioni. Non si tratta, però, che di un abile sotterfugio. È forse per una necessità della Sua natura o per il libero esercizio della Sua sovranità che Egli impartisce favori alle Sue creature? A questo la Scrittura risponde: "Così dunque egli fa misericordia a chi vuole e indurisce chi vuole" (Romani 9:18). O mio lettore, se è la Sua natura ad obbligarlo a manifestare misericordia salvifica verso qualcuno, allora, per parità di ragioni, Egli sarebbe pure obbligato a manifestare misericordia a tutti, e quindi a portare al ravvedimento, alla fede ed all'ubbidienza, ogni creatura decaduta. Basta, però, con queste cose insensate. Affrontiamo ora questo aspetto del nostro tema da un'angolatura completamente differente. Come ci potrebbe mai essere ingiustizia in Dio quando Egli elegge qualcuno a salvezza, quando, se non l'avesse fatto, tutti sarebbero inevitabilmente periti, sia angeli che creature umane? Questa non è affatto una nostra deduzione o invenzione, perché la Scrittura dichiara espressamente: "Se il Signore degli eserciti non ci avesse lasciato una discendenza, saremmo diventati come Sodoma e saremmo stati simili a Gomorra" (Romani 9:29). Neppure una delle creature razionali di Dio, celesti o terrestri, sarebbero mai state eternamente ed efficacemente salvate indipendentemente dalla divina elezione. Sebbene sia angeli che umani fossero stati creati in condizione di perfetta santità, essi erano creature mutevoli, suscettibili di cambiamento e caduta. Sì, in quanto il loro perseverare nella santità dipendeva dall'esercizio della loro volontà, se Dio non si fosse compiaciuto di preservarli, la loro caduta sarebbe stata certa.
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"Ecco, Dio non si fida dei suoi servi, e trova difetti nei suoi angeli" (Giobbe 4:18). Gli angeli erano perfettamente santi, eppure Dio non dà loro altra assistenza che quella di cui erano stati dotati al momento della loro creazione. Egli "non si fida" di loro, della loro condizione. Se essi fossero santi oggi, sarebbero suscettibili di peccato domani. Se Dio li avesse mandati in giro per questo mondo, sarebbero potuti decadere prima di ritornare in cielo. I "difetti" che Dio imputa loro nel brano or ora citato non è altro che la loro mutabilità creaturale. Per loro, mantenere la loro santità immutabilmente per l'eternità, senza pericolo di perderla, era qualcosa di assolutamente superiore alle loro possibilità creaturali. Per loro, quindi, essere immutabilmente preservati non poteva che essere una grazia che scaturiva da una fonte diversa e più alta del patto d'opere o delle loro dotazioni naturali: è l'elezione della grazia, una grazia che si pone al di là della dimensione creaturale. È stato bene che Dio, fin dall'inizio rendesse manifesto l'infinito divario esistente fra la creatura ed il Creatore. Dio solo è immutabile, infatti, presso di Lui "non c'è variazione né ombra di mutamento" (Giacomo 1:17). È stato bene, dunque, che Dio ritirasse la Sua mano preservatrice da coloro che aveva creati giusti, cosicché apparisse che la creatura più elevata che c'era (Satana, "un cherubino unto, un protettore", Ezechiele 28:14 ND) era mutevole e sarebbe inevitabilmente caduta in peccato se fosse stata lasciata all'esercizio del proprio libero arbitrio. Di Dio solo può essere affermato che "Dio non può essere tentato dal male" (Giacomo 1:13). La creatura, benché santa, può essere tentata a peccare, cadere ed essere irrimediabilmente perduta. La caduta di Satana, poi, aveva aperto la via per mettere sempre meglio in evidenza l'assoluta necessità della grazia selettiva - l'impartire alle creatura l'immagine della stessa immutabile santità di Dio. A causa della condizione di mutabilità della creatura, Dio prevedeva che se tutte le Sue creature fossero lasciate a condursi secondo la loro volontà, esse sarebbero state in continuo pericolo di cadere: Egli, dunque, stabilisce un'elezione di grazia per eliminare ogni rischio dal caso dei Suoi eletti. Questo sappiamo
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da ciò che è rivelato della loro storia. Giuda fa riferimento agli "angeli che non conservarono la loro dignità e abbandonarono la loro dimora" (Giuda 6) ed il resto d'essi avrebbero, presto o tardi fatto lo stesso se fossero stati lasciati alla mutevolezza della loro volontà. Lo stesso si prova con Adamo ed Eva: entrambi danno evidenza della loro mutabilità delle loro volontà cadendo nell'apostasia: Di conseguenza, Dio, prevedendo tutto questo, si costituisce "una riserva" (Romani 11:4, spiegato nel verso 5, come "elezione") provvedendosi "un resto" da benedire e che per l'eternità a sua volta l'avrebbe benedetto. Elezione e grazia preservante non devono mai essere separate. Fin ora abbiamo rilevato: •
in primo luogo che la giustizia divina è d'ordine e carattere interamente differente dalla giustizia umana;
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in secondo luogo, che la giustizia divina è fondata sul sovrano dominio di Dio su tutte le opere delle Sue mani, essendo l'esercizio della Sua Suprema volontà.
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In terzo luogo, che il Creatore non deve assolutamente nulla alla creatura, nemmeno ciò che Egli si compiace di darle: è la creatura ad essere permanentemente in obbligo verso Dio.
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In quarto luogo, che tutto ciò che Dio vuole ed opera è giusto e ad esso bisogna rispettosamente sottomettersi e Lui sempre adorare.
•
In quinto luogo, che è impossibile accusare Dio d'ingiustizia quando elegge certuni ad essere oggetto della Sua stupefacente grazia, dato che, indipendentemente da essa, tutti sarebbero eternamente periti.
L'argomento è molto profondo: cerchiamo ora di scendere ad un livello più basso ma, ciononostante, semplice. Contempliamo l'elezione divina in connessione con il genere umano decaduto in Adamo.
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Se in Dio non c'è alcuna ingiustizia quando sceglie di accordare ad alcuni uno speciale favore e benedizione eterna, dato che Egli considera le Sue creature nell'ottica del Suo proposito di creare, certamente non c'è alcuna ingiustizia nel Suo determinare di manifestare loro misericordia, dato che Egli li ha visti anticipatamenente nella massa della rovinata razza d'Adamo. Infatti, così come una creatura priva di peccato non può pretendere nulla dal suo Creatore, dipendendo interamente dalla Sua carità, allora, più che certamente, una creatura decaduta ha titolo di ricevere nulla di buono dalle mani del suo offeso Giudice. Questa è l'angolatura dalla quale dobbiamo guardare il nostro tema. L'essere umano decaduto è un criminale, un fuorilegge e, se si dovesse applicare rigorosamente la giustizia, dovrebbe ricevere ciò che meritano le sue iniquità. Questo, però, non significherebbe altro che castigo eterno, perché le sue trasgressioni implicano una colpevolezza infinita. Prima però di approfondire ciò che abbiamo appena detto, bisogna pure rilevare che se la sola speranza per una creatura santa si trova nella grazia selettiva di Dio, allora questo è doppiamente il caso per uno che sia non santo e totalmente depravato. Se un angelo santo è in costante pericolo, incapace di conservare la sua purezza, a causa della mutevolezza della sua natura e della volubilità della sua volontà, che si potrebbe dire di una creatura non santa? Che cosa? Non meno che questo: l'essere umano decaduto ha una natura confermata nel male e quindi la sua volontà non ha più la capacità di volgersi a ciò che è spirituale, sì, è inclinata in modo inveterato contro Dio. Il suo caso, quindi, è del tutto ed eternamente privo di speranza, a meno che Dio, nella Sua grazia sovrana, non si compiaccia di salvarlo da sé stesso. Che i predicatori chiaccherino finché vogliono sulle presunte capacità inerenti all'essere umano, la libertà della sua volontà, e la sua capacità per il bene, eppure è somma follia ignorare il fatto molto serio della Caduta.
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La differenza e lo svantaggio fra il nostro caso e quello di Adamo prima della Caduta, può essere a mala pena immaginata. Invece che di una perfetta santità che possiede ed inclina la nostra mente e volontà, come faceva la sua, nel nostro cuore non esiste più un tale principio vitale. Al contrario, c'è una totale disabilità verso ciò che è spirituale e santo, anzi, un'inimicizia e contrarietà verso di esso. "Gli uomini errano, non conoscendo la forza del peccato originale, né la profondità di corruzione che c'è nel loro cuore. La volontà umana ora è prima e principale sede del peccato. Il peccato è là seduto come su di un trono (Thomas Goodwin). Non considereremo nemmeno gli aiuti che potrebbero esserci proposti dall'esterno. perché quel che serve è una nuova creazione. Non importa quanta istruzione una persona riceva o quante persuasive esortazioni le si presentino, un etiope non può cambiare la sua pelle. Né la luce naturale, né la persuasione e nemmeno le operazioni generali dello Spirito Santo possono alcunché se Dio, al di sopra ed oltre ad esse, non impartisca un nuovo principio di santità nel cuore. Si legga Esodo 20 e Deuteronomio 5: quali stupefacenti e gloriose manifestazioni di Sé stesso Dio aveva concesso ad Israele al Sinai: forse che questo era stato sufficiente per trasformare il loro cuore ed inclinare la loro volontà ad ubbidirgli? Poi si leggano per esteso i quattro Vangeli e si contempli il Figlio di Dio fattosi uomo venuto a dimorare tra di noi, non come giudice, ma come benefattore - che andava attorno facendo del bene, nutrendo gli affamati, guarendo i malati, proclamando l'Evangelo: forse che questo aveva intenerito il loro cuore conquistandoli a Dio? No, essi lo odiano e Lo crocifiggono. Osservate, poi, il caso dell'umanità decaduta, alienata dalla vita di Dio, morta nei falli e nei peccati, senza cuore, senza alcuna reale volontà d'abbracciare cose spirituali. In sé stesso il caso è disperato, irrecuperabile, senza speranza. Indipendentemente dall'elezione divina nessuno vorrebbe o potrebbe essere salvato. Elezione significa che Dio si compiace di riservare un residuo affinché la specie d'Adamo non perisca del 78
tutto. Quale ringraziamento riceve per questo? Neanche uno, salvo quelli i cui occhi ciechi dal peccato non sono stati aperti per percepire l'indicibile beatitudine di tale fatto. È così? Sì e no... perché la grande maggioranza persino di coloro che si professano cristiani, quando odono di questa verità, ignoranti degli stessi loro interessi e delle vie di Dio, contestano e discutono l'elezione, Lo ingiuriano a causa d'essa, Lo accusano di rozza ingiustizia e di essere un tiranno spietato. Ora, il grande Dio non ha bisogno che noi Gli facciamo da avvocati difensori: a tempo debito, Egli efficacemente chiuderà la bocca d'ogni ribelle. Dobbiamo però fare qualche osservazione in più e rivolgerci a quei credenti per i quali la dottrina dell'elezione è causa di turbamento ed insistono a viva voce che Dio sarebbe colpevole di ingiustizia quando sovranamente Egli elegge alcuni. In primo luogo, quindi, vorremmo chiedere a questi calunniatori di Jahvè di provare questa loro accusa. Sono loro che devono dimostrarla, se possono. Essi affermano che un Dio che elegge sia ingiusto: che essi dimostrino che sia proprio così. Non lo potranno fare. Per poterlo fare dovrebbero mostrare come dei trasgressori meritino qualcosa di buono dalle mani del Legislatore. Essi devono mostrare come il Re dei re sia moralmente obbligato a sorridere a coloro che hanno bestemmiato il Suo nome, dissacrato i Suoi sabati, infangato la Sua Parola, oltraggiato i Suoi servitori e, soprattutto, disprezzato e respinto Suo Figlio. "C'è forse un sol uomo nel mondo intero che avrebbe l'impertinenza di dire che egli merita alcunché da parte del suo Fattore? Se è così, sappiate che certamente avrà quel che si merita, e la sua ricompensa saranno le fiamme dell'inferno per sempre, perché è questo e solo questo che ogni essere umano si merita da parte di Dio. Dio non è in debito verso nessuno, e nell'ultimo giorno il peccatore riceverà tutto l'amore, la pietà, e la bontà che merita: zero. Anche i perduti all'inferno avranno quel che si meritano: la misura loro spettante dell'ira di Dio: ecco che cosa si meritano, né più né meno. Può forse Iddio, così, essere accusato di ingiustizia quando dà ad alcuni infinitamente di più di quel che si meritano?" (C. H. Spurgeon). Molti di coloro che
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tanto lodano ed esaltano oggi "il caro Spurgeon" digrignerebbero i denti per esecrare le sue parole se dovessero udire la sua predicazione chiara e fedele. Preferiscono però ignorare certe prediche e citare eventualmente solo quel che più fa loro comodo o peggio, far dire a Spurgeon quello che non ha mai detto torcendo le sue parole. In secondo luogo, vorremmo informare i detrattori di Dio che la Sua salvezza non è una questione di giustizia, ma di pura grazia, e la grazia non è qualcosa che qualcuno possa pretendere. Dove sta l'ingiustizia se qualcuno fa quello che vuole con ciò che è suo? Se io sono libero di elargire una somma in azioni caritatevoli, se lo desidero, bisognerebbe forse concedere a Dio meno libertà di elargire i Suoi doni come più Gli piace? Dio non deve nulla a nessuno e quindi se Egli concede i Suoi favori in modo sovrano, chi può lamentarsene? Se Dio ti passa oltre, Egli non ti ha fatto alcun torto, ma se Egli ti arricchisce, allora sei tu ad essere debitore alla Sua grazia. Smettila, allora di chiaccherare sulla Sua giustizia o ingiustizia ed unisciti con gioia a coloro che sorprendentemente esclamano: "Egli non ci tratta secondo i nostri peccati, e non ci castiga in proporzione alle nostre colpe" (Salmo 103:10). La salvezza è un dono che liberamente Dio si compiace di fare e quindi di accordare a chi vuole. In terzo luogo, vorrei chiedere a queste arroganti creature: a chi mai Dio ha rifiutato la Sua misericordia quando qualcuno la cerca con sincerità ed umile contrizione? Non è forse vero che Dio proclami l'Evangelo ad ogni creatura? Non è forse vero che Dio chiami tutti a deporre le armi della loro guerra contro di Lui e a venire a Cristo per ottenere perdono? Non è forse vero che Egli promette di cancellare tutte le nostre iniquità se ci volgiamo a Lui nel modo che Egli ha stabilito? Se ti rifiuti di farlo, se sei così tanto innamorato di ciò che è peccato da essere determinato a distruggere la tua stessa anima, allora chi è da biasimare? Certamente non Dio. Ci possiamo fidare delle promesse del Suo Evangelo e chiunque è libero di comprovare se e come questo sia vero. Se egli lo fa, se rinuncia al peccato e ripone in Cristo la sua fede, allora scoprirà di far parte egli stesso degli eletti di Dio. 80
D'altro canto, se egli deliberatanente disprezza l'Evangelo e respinge il Salvatore, allora potrà solo incolpare sé stesso di quello che gli avverrà. Questo ci conduce, in quarto luogo, a chiederci: se dite che è ingiusto che alcuni siano perduti ed altri salvati, chi è che ha causato la perdizione dei perduti? Chi mai Dio ha indotto a peccare? Al contrario, Dio ammonisce ed esorta sempre a non peccare. Chi mai lo Spirito Santo ha spinto a fare un'azione sbagliata? Al contrario, costantemente Egli insegna a non peccare. Dov'è che le Scritture incoraggiano a commettere qualche iniquità? Al contrario esse costantemente la condannano in tutte le sue forme. Sarebbe dunque ingiusto Dio a condannare coloro che deliberatamente Gli disubbidiscono? È forse ingiusto Dio a purire coloro che in modo sprezzante ignorano i segnali di pericolo ed i Suoi ammonimenti? Certo no. A ciascuno Dio sempre dirà: "Tu sei distrutto, ... perché sei contro di me, contro il tuo aiuto" (Osea 13:9 ND). È la creatura che commette suicidio morale. È la creatura che spezza ogni corda che gli impedisce di cadere nel precipizio della perdizione eterna. Nell'ultimo grande giorno apparirà chiaramente che Dio ha ogni giustificazione nel fare quel che fa e dire quel che dice, e a condannare quando condanna. "Ho peccato contro te, contro te solo, ho fatto ciò ch'è male agli occhi tuoi. Perciò sei giusto quando parli, e irreprensibile quando giudichi" (Salmo 51:4). Elezione è prendere uno e lasciare un altro, ed implica libertà da parte di chi sceglie di prendere o di rifiutare. È per questo motivo che scegliere uno non danneggia l'altro che non ha scelto. Se fra cento persone io scelgo una e la pongo in posizione di onore e di profitto, io non faccio del male alle 99 che non ho eletto. Se fra innumerevoli bambini bisognosi io ne adotto uno o due dando loro cibo, casa, vestiti ed istruzione, io accordo loro un grandissimo beneficio. Se io, così, sborso del denaro e scelgo di rendere felici due bambini, io non danneggio tutti gli altri. Certo, essi rimarranno vestiti di stracci, denutriti e privi di educazione, eppure essi non sono in condizione peggiore per avere io manifestato il mio favore a due dei loro compagni - essi 81
continuano semplicemente a stare nella situazione in cui erano prima. Ancora, se fra dieci criminali giustamente condannati a morte, un re si compiace di sceglierne cinque per accordare loro la grazia, essi dovrebbero la loro stessa vita al favore regale. Ciononostante, estendendo verso di loro soltanto la grazia egli non farebbe ingiustizia alcuna agli altri cinque: essi sono lasciati a patire la giusta pena che la legge commina loro a causa delle loro trasgressioni. Essi soffrono solo quel che essi avessero sofferto anche se la grazia non fosse stata concessa ai loro compagni. Chi, allora, non vedrebbe come sarebbe un abuso dei termini, una calunnia verso il re, quello di accusarlo di ingiustizia perché si è compiaciuto di esercitare le sue regali prerogative manifestando il suo favore in maniera discriminante. Il nostro Salvatore esprime in modo definitivo quest'idea dell'elezione quando scrive: "Allora due saranno nel campo; l'uno sarà preso e l'altro lasciato; due donne macineranno al mulino: l'una sarà presa e l'altra lasciata" (Matteo 24:40-41). Se entrambi fossero "lasciati" sarebbero entrambi perduti, quindi, "prendere" uno non danneggia l'altro. Allo stesso modo per le donne menzionate in questo versetto: prenderne una è indubbiamente nei suoi riguardi un grande favore, lasciare, però, l'altra non implica alcuna ingiustizia. La divina elezione, quindi, è una scelta di favorire alcuni che non potrebbero pretendere nulla da Dio. Non è alcuna ingiustizia il fatto che altri siano lasciati, che Dio passi loro oltre, perché essi continuano semplicemente ad essere quelli che erano, lì dov'erano anche se nessuno fosse passato a prenderne uno di loro. Nell'esercizio della grazia elettiva, Dio manifesta misericordia a chi vuole e, nell'impartire i Suoi favori, di ciò che Gli appartiene Egli fa ciò che vuole. Non è difficile percepire i presupposti fallaci dei falsi ragionamenti dei detrattori di Dio: dietro a tutto il loro mormorio ed alle loro obiezioni contro la giustizia divina, giace il concetto che Dio sia in obbligo di provvedere la salvezza di tutte le Sue creature decadute. Un tale ragionamentro (?) manca di vedere come se tale contesa fosse valida, allora Dio non avrebbe 82
particolare titolo a dei ringraziamenti. Come potremmo, infatti, lodarlo per aver redento coloro che comunque era tenuto a redimere? Se la salvezza è un debito che Dio deve all'essere umano per avergli concesso di decadere, allora la salvezza non è questione di misericordia. Non dobbiamo, però, attenderci che coloro i cui occhi sono accecati dall'orgoglio comprendano alcunché dei demeriti infiniti del peccato, della loro completa indegnità e bassezza, ed è quindi impossibile che essi si formino un concetto veritiero della grazia di Dio, e percepiscano che quando viene esercitata la grazia, essa è necessariamente esercitata in maniera sovrana. Persino dopo aver noi rilevato quanto sopra ci sarà sempre qualcuno che, in modo sprezzante, dirà: "Non è forse vero che Dio non ha riguardi personali? Come potrebbe Egli fare una distinzione fra le persone e scegliere uno e non un altro?". I calunniatori della divina predestinazione credono che o le Scritture contraddicono sé stesse, o che, nell'elezione Dio consideri i meriti delle persone. Per rispondere a questo, citiamo prima che cosa dice Calvino: "Le Scritture negano che Dio abbia dei riguardi personali, ma questo deve essere inteso in modo diverso da come lo comprendono. Infatti, per 'riguardi personali' non si intendono persone, ma quelle cose in una persona che per l'apparenza esteriore di solito si conciliano con favore, onore e dignità, oppure che attirano odio, disprezzo e disgrazia. Queste cose sono ad esempio ricchezza, povertà, nobiltà, cariche pubbliche, paese, eleganza di forma, da un canto, e dall'altro: povertà, necessità, basso lignaggio, sciatteria, disprezzo e simili. Così, Pietro e Paolo dichiarano che Dio non ha riguardi personali perché Egli non fa differenza fra Giudei e Greci, per respingerne uno e riceverne l'altro, semplicemente in base alla loro nazionalità (Atti 10:34; Romani 2:11). Allo stesso modo Giacomo usa la stessa espressione quando afferma che Dio, nel Suo giudizio, non considera quanto una persona sia facoltosa oppure meno (Giacomo 2:5). Non c'è dunque alcuna contraddizione nella nostra affermazione che, secondo il beneplacito della Sua volontà,
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Dio sceglie chi vuole per farli diventare Suoi figli, indipendentemente dai meriti, mentre Egli respinge e riprova gli altri. Eppure, a migliore soddisfazione, la questione può essere spiegata in questo modo. Essi chiedono come possa avvenire che due persone si distinguano l'una dall'altra indipendentemente dai loro meriti, che Dio, nella Sua elezione lasci uno e prenda un altro. Io, d'altro canto, chiedo loro, se essi suppongano che quello che è scelto possieda qualcosa in lui che attragga il favore di Dio? Se essi confessano di no, così come dovrebbero, ne consegue che Dio non guarda all'uomo, ma fa derivare il favore che gli concede dalla Sua propria bontà. L'elezione di uno da parte di Dio, quindi, mentre Egli respinge un altro, non procede da un riguardo personale, ma solo dalla Sua misericordia, che Egli può liberamente manifestare ed esercitare dovunque e quando Gli piaccia di farlo". Avere "riguardi personali" significa considerarli in modo differente sulla base di una qualche differenza supposta o reale che c'è in essi oppure sulla base di circostanze particolari in cui si trovano. Questo, però, non è una base o ragione giustificabile per tale considerazione preferenziale o trattamento. I "riguardi personali" sono quelli di chi esamina e retribuisce una persona a seconda del suo carattere od opere. Così, per un giudice, assolvere o premiare qualcuno perché è ricco e non un altro perché è povero, o perché gli ha dato una bustarella, o perché sia un parente prossimo o un amico intimo, oppure se il carattere e la condotta dell'altro sia più retta e la sua causa più giusta. Il caso, però, dei "riguardi personali" non sono applicabili a chi fa una donazione caritatevole, cioè concedere favori ed impartire liberamente doni immeritati ad uno piuttosto che ad un altro senza considerare meriti personali. Il benefattore ha perfetto diritto di fare ciò che vuole con il suo denaro, e coloro che da lui sono trascurati non hanno base per lamentarsene. Anche quando questa espressione si prende nella sua accezione più popolare, non c'è nulla che maggiormente dia prova che Dio non ha "riguardi personali" che il carattere della persona che viene scelta. Quando gli angeli hanno peccato e sono decaduti
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dalla loro posizione originaria, Dio per loro prevede alcun salvatore, eppure, quando la razza umana ha peccato ed è decaduta dalla sua posizione originaria, per molti di loro Dio provvede un Salvatore. Che il critico non amichevole di questa dottrina soppesi bene questo fatto: se Dio avesse avuto "riguardi personali" non avrebbe forse dovuto scegliere di salvare degli angeli, essendo più eccelsi, e passare oltre agli esseri umani? Il fatto stesso che Dio faccia l'opposto Lo assolve da questa calunnia. Prendete ancora, per esempio, la nazione che Dio sceglie come oggetto dei Suoi favori terreni e spirituali rispetto ad ogni altra durante 2000 anni di storia dell'Antico Testamento. Qual era il carattere di questa gente? Volete conoscerlo? Era gente priva di riconoscenza che sempre aveva da lagnarsi, gente testarda e dal cuore duro, ribelle ed impenitente, e questo dall'inizio alla fine della loro storia. Se Dio avesse avuto "riguardi personali" certamente non avrebbe scelto gli Ebrei per tali favori e benedizioni! Il carattere stesso, quindi, di coloro che Dio sceglie è tale da confutare questa sciocca obiezione. Lo stesso è ugualmente evidente nel Nuovo Testamento: "Ascoltate, fratelli miei carissimi: Dio non ha forse scelto quelli che sono poveri secondo il mondo perché siano ricchi in fede ed eredi del regno che ha promesso a quelli che lo amano?" (Giacomo 2:5). Benedetto sia il Suo nome che sia così! Se infatti Egli avesse scelto i ricchi, si sarebbe indubbiamente trovato male con molti fra noi, non è vero? Dio non ha scelto magnati e milionari, finanzieri e banchieri, per essere oggetto della Sua grazia. Né Egli ha scelto gente di stirpe nobiliare o le persone ragguardevoli della società, quelli che sono considerati particolarmente intelligenti o dotati, né le persone influenti di questo mondo, o almeno, pochi fra questi hanno il nome scritto nel Libro della Vita. No. Dio ha scelto coloro che erano disprezzati, i deboli, gli umili, le non-entità di questo mondo (1 Corinzi 1:26-29) e questo affinché nessuno si glori alla Sua presenza. Egli passa oltre ai fieri e pii Farisei e sceglie prostitute e pubblicani! "Ho amato Giacobbe" dice, ma che c'era di tanto amabile in Giacobbe? Nulla! Non sentite ancora l'eco delle reazioni scandalizzate di fronte a questa scelta da parte di Dio? 85
"Che? Lui?". Se Dio avesse avuto "riguardi personali" certamente non avrebbe scelto me, cosĂŹ privo di valore come sono!
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5. L’Elezione: la sua natura È stato ben detto che, "La ragione per la quale noi crediamo nell'elezione è perché la troviamo nella Bibbia. Nessuno potrebbe, infatti, mai anche solo immaginare una tale dottrina, contraria com'è dal pensiero e dai desideri del cuore umano. Tutti, infatti, all'inizio, fanno opposizione a questa dottrina, ed è solo dopo molte lotte, sotto l'opera dello Spirito di Dio, che ci viene dato di accoglierla. Una perfetta acquiescenza a questa dottrina, un assoluto silenzio in noi stessi, in adorante contemplazione, ai piedi della sovranità di Dio, è l'ultima acquisizione in questa vita dell'anima santificata, così come si trova alla soglia del Cielo. La ragione per la quale si crede nell'Elezione è questa e solo questa: che Dio ce l'ha fatta conoscere. Se la Bibbia fosse stata una contraffazione, non avrebbe mai potuto contenere la dottrina dell'elezione, perché gli uomini sarebbero troppo avversi ad un tale pensiero per darne espressione, ed ancor meno prominenza" (George Sayles Bishop)1. Fin ora, nell'esposizione che abbiamo fatto di questa verità benedetta, abbiamo mostrato come la fonte dell'elezione sia la volontà di Dio, perché nulla esiste o può esistere a parte da essa. Abbiamo poi visto come il grandioso 'Prototipo' dell'elezione sia l'uomo Gesù Cristo, destinato ad essere unito con la seconda Persona della Trinità. Poi, per sgombrare la strada davanti a noi in vista di un più dettagliato esame di questa dottrina, abbiamo dimostrato la sua verità come pure la sua giustizia, cercando di rimuovere dalla mente dei lettori cristiani gli effetti di disturbo e contaminazione della principale obiezione che viene addotta contro la divina elezione da parte dei suoi avversari. Cercheremo ora di rilevare quale siano gli elementi principali che la caratterizzano. 1
Da: Dr. Geo. S. Bishop, The Doctrines of Grace, Chap. 11, "The Doctrine of Election True," p. 167, del 1910 (Baker Book House, 1977). Dott. George Sayles Bishop (1836-1914), è stato pastore dal 1866 della prima chiesa presbiteriana olandese (PCUSA) di Orange, New Jersey. Scrive pure nei famosi trattati: "I fondamentali".
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Un atto di Dio L'elezione, in primo luogo è un atto di Dio. È vero, viene il giorno in cui ciascuno degli eletti sceglie Dio come assoluto suo Sovrano e Bene supremo, ma questo è l'effetto e in nessun senso la causa della prima. La scelta che noi facciamo di Lui avviene nel tempo; la Sua scelta è avvenuta prima che il tempo iniziasse. È certo che se Lui non ci avesse prima scelto, noi non avremmo affatto scelto Lui. Dio, che è un Essere sovrano, fa tutto ciò che Gli piace sia in cielo che in terra. Egli ha il diritto assoluto di fare con le Sue creature tutto ciò che vuole, e quindi Egli ha scelto un certo numero di esseri umani affinché diventassero il Suo popolo, i Suoi figli e figlie, il Suo tesoro particolare. È per questo che l'elezione è chiamata "elezione di Dio" (1 Tessalonicesi 1:4), perché Egli ne è la causa efficiente, e le persone scelte sono chiamate "i Suoi eletti" (Luca 18:7; cfr. Romani 8:33).
Una scelta assoluta Questa scelta da parte di Dio è una scelta assoluta, interamente fondata sulla grazia e non dipendente da alcunché di esterno a Lui. Dio elegge chi elegge semplicemente perché sceglie di farlo, non perché abbia visto un qualche bene o merito nella creatura che Lo abbia attratto, e neanche sulla base di meriti o caratteri attraenti che abbia visto anticipatamente che si sarebbero verificati nella creatura. Dio è assolutamente autosufficiente e quindi non va mai al di fuori di Sé stesso per trovare una ragione per le cose che fa. Egli non è in alcun modo condizionato dalle opere delle Sue mani. Al contrario, è Lui che condiziona, perché Egli solo è Colui che ha dato loro esistenza. Infatti, noi "in lui viviamo, ci muoviamo, e siamo" (Atti17:28). È stato quindi semplicemente per la spontanea bontà della Sua volizione che Dio ha estratto dalla massa di coloro che si era proposto di creare, un popolo che manifestasse le Sue lodi per tutta l'eternità, alla gloria della Sua sovrana grazia nei secoli dei secoli.
Una scelta immutabile
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Questa scelta da parte di Dio è immutabile. È necessariamente così perché non è fondata su alcunché si trovi nella creatura mutevole, o basato su alcunché si trovi fuori da Lui. Egli viene prima di ogni cosa, persino prima della Sua "precognizione". Dio non decreta qualcosa perché Egli conosca in anticipo quel che succederà (come se avvenisse per cause spontanee, impreviste ed incontrollabili), ma Egli lo conosce in anticipo proprio perché Egli lo ha infallibilmente ed irrevocabilmente fissato, determinato - altrimenti Egli semplicemente "indovinerebbe". Proprio perché Egli conosce in anticipo quel che avverrà (avendolo prestabilito) Egli non "indovina". È certo, e se è certo, allora Egli deve averlo prefissato. Dato che l'elezione è un atto di Dio, essa è per sempre, perché tutto ciò che Egli compie come speciale grazia è irreversibile ed inalterabile. Gli esseri umani possono per un po' scegliersi i propri favoriti ed amici e poi cambiare idea e sceglierne altri al posto loro. Dio, però, non agisce in questo modo. Egli è di un'unica mente e nessuno può fargli "cambiare idea" (dopo che siano sopravvenuti "fatti imprevedibili"). Il Suo proponimento secondo elezione è fermo, sicuro ed inalterabile. "...poiché, prima che i gemelli fossero nati e che avessero fatto del bene o del male (affinché rimanesse fermo il proponimento di Dio, secondo elezione" (Romani 9:11); "il solido fondamento di Dio rimane fermo, portando questo sigillo: 'Il Signore conosce quelli che sono suoi'" (2 Timoteo 2:19).
Una scelta in Cristo In secondo luogo, l'atto di elezione in Cristo è fatto in Cristo. "In lui ci ha eletti prima della creazione del mondo" (Efesini 1:4). L'elezione di una persona non avviene perché Dio l'abbia trovata in Cristo (come se vi fosse andata di propria iniziativa), ma è essa che ve lo pone. È l'elezione che dà agli eletti il loro essere in Cristo e la loro unione con Lui. La loro conversione manifesta il fatto che essi sono in Lui. Nell'infinita mente di Dio, Egli vuole amare una compagnia della progenie di Adamo con amore immutabile ed Egli li sceglie in Cristo per l'amore con il quale Egli li ama. Con questo atto della Sua mente infinita, dall'eternità Dio ha dato loro l'essere e la beatitudine in Cristo. Sebbene tutti siano decaduti in Adamo, non tutti sono caduti allo stesso modo. I non eletti
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cadono per essere dannati. Essi sono lasciati perire nei loro peccati perché non hanno rapporto con Cristo - perché Egli non era relazionato con loro come il Mediatore della loro unione con Dio. I non eletti avevano il loro tutto in Adamo, il loro capo naturale. Gli eletti, però, si vedono impartite loro ogni benedizione spirituale perché sono in Cristo, il loro capo glorioso e pieno di grazia (Efesini 1:3). Essi non possono perdere queste benedizioni perché sono state loro assicurate in Cristo. Dio li ha scelti come Suoi, essi Suo popolo e Lui loro Dio; Egli loro Padre ed essi Suoi figli. Egli li ha affidati a Cristo per essere i Suoi fratelli, i Suoi compagni, la Sua sposa, i Suoi partner in tutta la Sua incomunicabile grazia e gloria. Vedendo in anticipo la loro caduta in Adamo e quali sarebbero stati i suoi effetti, il Padre si è proposto di farli risalire dalle rovine della caduta in considerazione dell'impegno di Suo Figlio di conseguire per loro ogni giustizia, e come loro Garante portare tutti i loro peccati nel Suo proprio corpo sulla croce, rendendo Sé stesso sacrificio per il peccato. L'amato Figlio di Dio è diventato uomo in Gesù Cristo per realizzare tutto questo. È a questo che il Signore Gesù, si riferisce nella Sua preghiera sacerdotale quando dice al Padre: "Io ho manifestato il tuo nome agli uomini che tu mi hai dati dal mondo; erano tuoi e tu me li hai dati; ed essi hanno osservato la tua parola" (Giovanni 17:6). Qui Egli allude all'intera elezione di grazia. Essi sono l'oggetto del compiacimento del Padre; i Suoi gioielli; la Sua porzione. Agli occhi di Cristo essi sono ciò che il Padre ha contemplato che essi fossero fin dall'inizio. Quale alta considerazione il Padre deve avere per il Mediatore: se non fosse così Egli non avrebbe mai affidato i Suoi eletti alle Sue cure e gestione! Quanto grande è pure l'apprezzamento, in Cristo, del dono d'amore che Gli ha fatto il Padre, altrimenti non avrebbe intrapreso la loro salvezza ad un tale alto costo! Ora, l'affidamento degli eletti a Cristo è un atto differente e distinto dalla loro elezione. Prima gli eletti vengono dichiarati appartenere al Padre per elezione, avendo Egli sceltone le persone, e poi Egli li ha affidati a Cristo come dono
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del Suo amore: "Erano tuoi [attraverso l'elezione] e tu me li hai dati", allo stesso modo in cui è detto che la grazia ci è stata data in Cristo Gesù prima ancora che il mondo iniziasse: "Egli ci ha salvati e ci ha rivolto una santa chiamata, non a motivo delle nostre opere, ma secondo il suo proposito e la grazia che ci è stata fatta in Cristo Gesù fin dall'eternità" (2 Timoteo 1:9).
Un'elezione avvenuta prima della Caduta In terzo luogo, quest'atto di Dio è da considerarsi anteriore o comunque non dipendente dal sopraggiungere del peccato. Abbiamo già anticipato quest'aspetto del nostro tema, eppure si tratta di qualcosa circa il quale oggi ben pochi hanno chiarezza. È necessario trattarlo separatamente a causa della sua importanza. Il punto particolare sul quale stiamo per riflettere è se Dio, nell'atto di eleggere il Suo popolo, lo abbia considerato nella sua condizione di decadimento oppure quella di innocenza; se parte della massa corrotta per la loro defezione in Adamo, oppure parte della massa, ancora da creare, di creature pure. Quelli che propendono per la prima concezione sono chiamati sublapsariani [da "sub", sotto, o dopo, e "lapso", caduta], postlapsariani o infralapsariani. Quelli che propendono per la seconda concezione sono chiamati supralapsariani o prelapsariani ("sopra" o "prima" della caduta). Nel passato questa questione è stata dibattuta a lungo nel Calvinismo e si è fatta la distinzione rispettivamente fra un Calvinismo "basso" e Calvinismo "alto". Lo scrittore di questo saggio, dopo uno studio prolungato, propende senza esitazione verso la posizione supralapsariana, consapevole che eventualmente pochi siano disposti a seguirlo su questa strada. Il peccato ha indubbiamente coperto come un velo il più grande dei misteri della grazia (eccetto solo quello della divina incarnazione) e questo rende il nostro presente compito più difficile. Per noi è molto più facile comprendere la nostra miseria - e la redenzione da essa attraverso l'incarnazione, ubbidienza e sacrificio del Figlio di Dio, che concepire la gloria originale, eccellenza, purezza e dignità della Chiesa di Cristo, come l'eterno oggetto dei pensieri, consigli e propositi di Dio. Ciononostante, se noi ci atteniamo strettamente alle Sacre Scritture, è evidente 91
(almeno per lo scrittore di questo saggio) che il popolo di Dio godeva di un'unione super-creaturale e spirituale con Cristo prima di poter mai avere un'unione creaturale e naturale con Adamo; come esso fosse benedetto con ogni benedizione spirituale nei luoghi celesti in Cristo (Efesini 1:3) prima che Adamo fosse decaduto e soggetto di tutti i mali della maledizione. Riassumiamo prima le ragioni addotte da John Gill in appoggio a questo. Il divino decreto di elezione può essere suddiviso in due parti o gradi, cioè: (1) il Suo proposito al riguardo del fine che con esso Egli si prefigge e (2) il Suo proposito al riguardo dei mezzi da usarsi per raggiungere quel fine. La prima parte ha a che fare con il proposito di Dio in Sé stesso, per il quale Egli determina di riservarsi un popolo eletto e per la propria gloria. La seconda parte ha a che fare con l'effettiva esecuzione della prima, fissando i mezzi che dovranno essere usati affinché quel fine sia realizzato. Queste due parti del decreto divino non devono essere né separate né confuse, ma devono essere considerate distintamente. Il proposito di Dio al riguardo del fine che Egli si propone significa che Dio stabilisce che vi debba essere un certo popolo da rendere oggetto dei Suoi speciali favori al fine di glorificare la Sua bontà e grazia sovrane. Il Suo proposito al riguardo dei mezzi da usarsi significa che Egli determina di creare quel popolo, di permettere la sua caduta e di risollevarli da essa attraverso la redenzione ad opera di Cristo e la santificazione ad opera dello Spirito. Essi non devono essere considerati decreti separati, ma parti componenti e gradi di un unico proposito. Nei divini consigli c'è ordine altrettanto definito e reale di quello mostrato in Genesi 1, in connessione della sequenza dei giorni della creazione. Dato che il proposito al riguardo del fine che Dio si prefigge è il primo che si veda (nell'ordine della natura) prima di determinare i mezzi dei quali Egli intende avvalersi, ciò che è primo nelle intenzioni viene necessariamente ultimo nella sua esecuzione (in quanto ne è il risultato finale). Ora, dato che la gloria di Dio è l'ultima nell'esecuzione (essendone il risultato finale), ne consegue necessariamente che essa fosse la prima nelle divine intenzioni. Gli esseri umani, dunque, nel divino proposito al riguardo del
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fine, Egli li ha considerati come né ancora creati né decaduti, dato che sia la loro creazione che la permissione del peccato appartengono al consiglio di Dio al riguardo dei mezzi. Non è ovvio allora che se Dio prima avesse decretato di creare gli esseri umani e poi permesso loro di cadere, e poi dalla massa decaduta ne avesse scelto alcuni in vista della grazia e della gloria, si sarebbe forse Egli proposto di creare gli esseri umani senza alcun fine in vista? Non significherebbe forse questo accusare Dio di ciò che una persona saggia non farebbe mai, cioè di non avere un fine (un motivo) per le proprie azioni? Quando un uomo si propone di realizzare qualcosa (per esempio, costruire una casa) ne fissa poi i modi ed i mezzi per portarla a termine. Si potrebbe forse per un solo momento suppore che l'Onnisciente agirebbe altrimenti? La distinzione or ora delineata fra il divino proposito al riguardo del fine e Dio che determina i mezzi per giungere a quel fine, è chiaramente evidenziata dalle Scritture. Per esempio: "Infatti, per condurre molti figli alla gloria, era giusto che colui, a causa del quale e per mezzo del quale sono tutte le cose, rendesse perfetto, per via di sofferenze, l'autore della loro salvezza" (Ebrei 2:10). Abbiamo qui prima il decreto al riguardo del fine da raggiungere: Dio si propone di condurre molti Suoi figli "alla gloria"; per quanto poi riguarda il mezzo per raggiungere questo fine, Dio decreta che il capitano della loro salvezza sia reso perfetto "per via di sofferenze". Nella stessa maniera, in connessione con Cristo stesso: "Il SIGNORE ha detto al mio Signore: «Siedi alla mia destra finché io abbia fatto dei tuoi nemici lo sgabello dei tuoi piedi»" (Salmo 110:1). Dio decreta che il Mediatore abbia questo alto onore conferitogli, ma a questo fine Egli pure ordina che: "Si disseta al torrente lungo il cammino, e perciò terrà alta la testa" (V. 7). Dio, cioè, decreta che il Redentore beva alla pienezza di quei piaceri che sono alla Sua destra per sempre: "...ci sono gioie a sazietà in tua presenza; alla tua destra vi sono delizie in eterno" (Salmo 16:11). Per poter raggiungere quel fine Egli dovrà bere fino in fondo dall'amaro calice di afflizione. Così pure è per il Suo popolo: Canaan è la porzione loro destinata, ma viene stabilito che per raggiungerla essi passino attraverso il deserto dell'Esodo.
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La predestinazione del Suo popolo a santità e gloria antecedente alla Sua previsione della loro caduta in Adamo è molto più coerente con l'esempio dato da Romani 9:11-12 del caso di Giacobbe ed Esaù che la concezione infralapsariana che il Suo decreto li abbia contemplati come creature peccaminose. Vi leggiamo infatti: "...poiché, prima che i gemelli fossero nati e che avessero fatto del bene o del male (affinché rimanesse fermo il proponimento di Dio, secondo elezione, che dipende non da opere, ma da colui che chiama), le fu detto: «Il maggiore servirà il minore»". L'Apostolo mostra come la preferenza sia stata data a Giacobbe indipendentemente da ogni suo possibile merito, perché si tratta di un decreto emanato prima che i gemelli fossero nati. Se si considera ciò che Dio fa nel tempo sia solo rendere manifesto ciò che Egli ha segretamente decretato dall'eternità, il punto che intendiamo dimostrare sarà ancora più convincente. Gli atti di Dio, sia di elezione che di preterizione - scegliere e passare oltre - sono stati compiuti senza tenere in alcun conto alcun previsto "bene o male". Notate pure come l'espressione qui associata, "il proponimento di Dio secondo elezione" appoggi la tesi che nel decreto di Dio vi siano due parti. È necessario pure rilevare come la predestinazione da parte di Dio del Suo popolo a beatitudine eterna prima ancora di conteplarli come creature decadute, si accorda molto meglio di quanto fa l'idea infralapsariana con l'esempio del vasaio: "Il vasaio non è forse padrone dell'argilla per trarre dalla stessa pasta un vaso per uso nobile e un altro per uso ignobile?" (Romani 9:21). Su di questo Beza (collaboratore di Calvino nella chiesa di Ginevra) rileva che: "Se l'Apostolo avesse prima considerato l'umanità come corrotta, egli non avrebbe detto che alcuni vasi erano destinati ad onore ed altri a disonore, ma, al contrario, avrebbe detto che, visto che tutti i vasi sono destinati a disonore, alcuni sono stati lasciati in quel disonore mentre altri sono stati traslati da disonore ad onore". Lasciando ora inferenze e deduzioni, volgiamoci ora a qualcosa di più espresso e definito. In Efesini 1:11 ci vien detto: "In lui siamo anche stati fatti eredi, essendo stati predestinati secondo il proposito di colui che compie ogni cosa secondo la decisione della propria volontà". Ora, un
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esame attento di ciò che precede questo versetto rivela una chiara distinzione nel "ogni cosa" che Dio compie "secondo la decisione della propria volontà" o, per dirla diversamente, le benedizioni spirituali che Dio impartisce al Suo popolo sono divise in due classi distinte, secondo che Egli li contempla prima nella condizione di non-decaduti e poi come decaduti. La prima e più alta classe di benedizioni è enumerata nei versetti da 4 a 6 ed hanno a che fare con il decreto di Dio al riguardo del fine; la seconda e subordinata classe di benedizioni è descritta nei versetti da 7 a 9, ed ha a che fare con il decreto di Dio al riguardo dei mezzi che Egli ha stabilito per raggiungere quel fine. Queste due parti nel mistero della volontà di Dio verso il Suo popolo dall'eternità, sono chiaramente espresse dal cambiamento del tempo dei verbi usati in questo testo. Il tempo passato. "ci ha eletto" (v. 4), "avendoci predestinati come suoi figli" (v. 5) e "grazia, che ci ha concessa nel suo amato Figlio" (v. 6). Tutto questo diventa tempo presente nel v. 7 "In lui abbiamo la redenzione mediante il suo sangue". I benefici di cui si parla nei versetti 4-6 non dipendono in alcun modo dalla considerazione della Caduta, ma conseguono dal fatto d'essere stati scelti in Cristo. Sono benefici più alti e distinti dall'essere Lui il nostro Redentore. La scelta che Dio ha fatto di noi in Cristo, nostro Capo, affinché noi si sia "santi" non significa l'imperfetta santità alla quale possiamo giungere in questa vita, ma una santità perfetta ed immutabile che nemmeno gli angeli non decaduti avevano per natura, e la nostra predestinazione all'adozione denota un'immediata comunione con Dio stesso - benedizioni che sarebbero state nostre anche se il peccato non fosse mai entrato nel mondo. Come rileva Thomas Goodwin nell'impareggiabile sua esposizione di Efesini 1, "La prima fonte di benedizioni - perfetta santità, adozione, ecc. - ci è stata aperta senza considerare la Caduta, sebbene qui non si tratti d'un ordine di tempo, dato che tutte le cose che Dio decreta sono contemporaneamente nella Sua mente; queste benedizioni, sia le une che le altre, sono state destinate alla nostra persona. Dio, però, nei decreti che
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riguardano questa prima sorta di benedizioni, ci ha considerato come creature che Egli poteva ed avrebbe fatto così gloriose... La seconda fonte di benedizioni, però, ci è sta aperta semplicemente in considerazione della Caduta, benedizioni destinate a noi in quanto peccatori ed increduli. Del primo tipo sono quelle 'a lode della sua gloria' (v. 12), comprendendo per grazia la liberalità del Suo amore, mentre del secondo tipo sono quelle definite: 'a lode della gloria della sua grazia' (v. 6), comprendendo per grazia la Sua libera misericordia". Le prime e più alte benedizioni avranno pieno compimento in Cielo, in quanto conformi a quella condizione nella quale saremo installati. Esse, nelle intenzioni primarie di Dio, precedono le altre e di esse si parla come ordinate "prima della creazione del mondo" (Efesini 1:4). Per questo esse saranno realizzate dopo la fine di questo mondo [noi, infatti, ancora attendiamo (Romani 8:23) "l'adozione" alla quale siamo predestinati (Efesini 1:5)]. Il secondo tipo di benedizioni, però, ci sono impartite nel mondo quaggiù, perché è qui ed ora che noi riceviamo "il perdono dei peccati" attraverso il sangue di Cristo. Ancora, il primo tipo di benedizioni è fondato solo sul rapporto che abbiamo con la Persona di Cristo, com'è evidente dall'espressione "In lui ci ha eletti ... accolti nel suo amato Figlio", ma il secondo tipo di benedizioni è radicato nella Sua opera di redenzione che scaturisce dal sacrificio di Cristo. È così che il secondo tipo di benedizioni possono essere considerate la rimozione di quegli ostacoli causati dal peccato che si mettono in mezzo fra noi e la gloria alla quale siamo destinati. Il duplice ufficio di Cristo Questa distinzione fra le benedizioni che riceviamo in Cristo come creature ed attraverso Cristo come peccatori, è ulteriormente confermata dal duplice ufficio o funzione che Egli svolge nei nostri riguardi. Questo è chiaramente espresso nel testo che dice: "il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della chiesa, lui, che è il Salvatore del corpo" (Efesini 5:23). Notate attentamente l'ordine di quei titoli: in primo luogo per noi Cristo è capo (questo pone il fondamento del nostro rapporto con Dio 96
come figli adottivi) nei termini di un matrimonio con Suo Figlio. In secondo luogo, Egli è il nostro "Salvatore", cosa che necessariamente sottintende il peccato dal quale Egli ci salva. Con Efesini 5:23 dovrebbe essere confrontato Colossesi 1:18-20 dov'è evidente lo stesso ordine: nei versetti 18 e 19 apprendiamo ciò al quale Cristo (e la Sua Chiesa con Lui) è assolutamente destinato. Egli è, in questo modo, il fondatore della condizione nella quale entreremo dopo la risurrezione; poi, nel versetto 20 Lo vediamo come Redentore e Pacificatore: prima Egli è "capo" della Sua Chiesa, poi il suo "salvatore". È da questa duplice relazione di Cristo con i Suoi eletti che sorge la duplice gloria alla quale Egli è destinato: la prima intrinseca, che a Lui appartiene come il Figlio di Dio che dimora nella natura umana (in questo Egli è capo di una Chiesa gloriosa, cfr. Giovanni 17:5); la seconda più estrinseca, conseguita dalla Sua opera di redenzione e acquistata attraverso l'agonia della Sua anima (vedi Filippesi 2:8-10)! Abbiamo richiamato l'attenzione al fatto che l'unica ragione per la quale l'anima timorata di Dio crede nella dottrina dell'elezione è perché la trova chiaramente evidenziata nella Parola di Dio: ne consegue che la nostra sola fonte di informazione al riguardo non può che essere la Parola stessa. Eppure, quel che abbiamo appena detto è ancora troppo generale per essere d'aiuto specifico a chi vuole esplorare questo argomento. Quando ci rivolgiamo alle Scritture per aver luce sul mistero dell'elezione, è essenziale rammentarci che è Cristo la chiave di ogni loro parte. Egli dichiara: "Nel rotolo del libro è scritto di me" (Ebrei 10:7), e quindi quando cerchiamo di studiare questo argomento indipendentemente da Lui, possiamo essere sicuri di incorrere in errori. Nei capitoli precedenti abbiamo messo in evidenza come Cristo sia il grandioso ' Prototipo' dell'elezione ed è proprio da questo punto che dobbiamo procedere se vogliamo fare significativi progressi nella nostra trattazione. Ciò che abbiamo or ora affermato vale non solo in generale, ma anche in particolare. Per esempio, in connessione con lo speciale aspetto del nostro tema che abbiamo discusso fin ora, ne trarremo le logiche conseguenze.
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Il punto di partenza di tutta la questione è chiaro: Dio si è compiaciuto (ed ha fatto specifica risoluzione) di stabilire una comunione fra Sé e la creatura, vale a dire, di chiamare all'esistenza creature che possano godere di comunione con Lui. Di questa Sua determinazione è la Sua gloria il fine che si è proposto, perché "L'Eterno ha fatto ogni cosa per sé stesso" (Proverbi 16:4 ND). Ripetiamo questo concetto fondamentale: è la gloria di Dio stesso il motivo unico e sufficiente che Lo ha indotto a creare ogni cosa: "O chi gli ha dato qualcosa per primo, sì da riceverne il contraccambio? Perché da lui, per mezzo di lui e per lui sono tutte le cose. A lui sia la gloria in eterno. Amen" (Romani 11:35-36). La gloria principale che Dio ha designato di dare a Sé stesso nell'elezione è la manifestazione della gloria della Sua grazia. Questo è inconfutabilmente stabilito da: "...avendoci predestinati nel suo amore a essere adottati per mezzo di Gesù Cristo come suoi figli, secondo il disegno benevolo della sua volontà, a lode della gloria della sua grazia, che ci ha concessa nel suo amato Figlio" (Efesini 1:5-6). La grazia è una di quelle illustri perfezioni del carattere di Dio. Egli e glorioso in Sé stesso e la Sua gloria sarebbe sempre stata tale anche non fosse stata mai formata alcuna creatura. Dio, però, ha manifestato in tal modo questo Suo attributo nell'elezione, che il Suo popolo loderà e renderà gloria ad esso per tutta l'eternità. Dio mostra la Sua santità nello stabilire la Legge, la Sua potenza nella creazione del mondo, la Sua giustizia nel condannare il malvagio all'inferno. La Sua grazia, però, rifulge specialmente nella predestinazione e ciò per il quale i Suoi eletti sono predestinati. Ecco così come, quando si dice: "...ciò per far conoscere la ricchezza della sua gloria verso dei vasi di misericordia che aveva già prima preparati per la gloria" (Romani 9:23), il riferimento primo è alla Sua grazia, così come mostra(Efesini 1:7). La seconda Persona della Trinità era destinata ad essere il Diouomo. Questo è stato il primo decreto, perché noi siamo stati "eletti in Lui" (Efesini 1:4). Questo presuppone che Egli sia stato scelto per primo come il suolo in cui siamo piantati. Siamo stati predestinati ad essere adottati come Suoi figli, eppure questo è "per mezzo di Gesù Cristo" (Efesini 1:5). Allo stesso modo
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leggiamo: "Già designato [come Cristo] prima della creazione del mondo, egli è stato manifestato negli ultimi tempi per voi" (1 Pietro 1:20). Come vedremo più avanti, l'espressione "prima della creazione del mondo" non è semplicemente un'indicazione temporale, ma soprattutto di eminenza o preferenza, il fatto cioè che Dio avesse in mente Cristo prima ancora di formulare la Sua intenzione di creare per Lui il mondo ed un popolo. Abbiamo così ora mostrato come Cristo fosse destinato ad essere il Dio-uomo per fini molto più alti che la nostra salvezza, cioè per compiacersene, per contemplare l'immagine perfetta di Sé stesso in una creatura, ed attraverso quell'unione, comunicare Sé stesso a quell'uomo a tale modo e grado che non è possibile ad una semplice creatura in quanto tale. Insieme alla predestinazione del Figlio ad essere il Dio-uomo vi è pure il fatto che la Sua gloriosa Persona sia destinata, come proprio retaggio, ad essere il fine sovrano di ogni altra cosa che Dio faccia e il fine delle creature intelligenti che Egli si compiace di scegliere per la Sua gloria. Questo è chiaro da questo testo: "Tutto vi appartiene. ... E voi siete di Cristo; e Cristo è di Dio" (1 Corinzi 3:21-23). Questo è detto a proposito della finalità delle cose. Come voi, i santi, siete il fine per cui ogni cosa è destinata, così Cristo è il fine per il quale voi esistete, e Cristo è il fine o disegno di Dio in azione. Diciamo che Cristo è "il fine sovrano", e non "il fine supremo", perché Dio stesso è al di sopra di tutti. Cristo, però, è il fine sovrano di tutta la creazione, avendo Egli autorità insieme a Dio e sotto Dio. È così che viene dichiarato che "attraverso di Lui" e "per Lui" ogni cosa è stata creata (Colossesi 1:16), così com'è detto di Dio in Romani 11:36. Questo fine sovrano nella creazione è caduto su di Lui come retaggio del Mediatore: "Il Padre ama il Figlio, e gli ha dato ogni cosa in mano" (Giovanni 3:35). Nella predestinazione del Figlio dell'uomo all'unione con il Figlio di Dio e nel costituirlo, attraverso quell'unione, ad essere il sovrano fine nostro e di tutte le cose, è stato conferito all'uomo Cristo Gesù, così esaltato, il favore più alto, incommensurabilmente maggiore della grazia conferita agli eletti, 99
in qualunque modo essa sia considerata, tanto che, se la nostra elezione è alla lode della gloria della grazia di Dio, la Sua lo è molto di più. È stato così conferito più onore a quella "cosa santa" nata dalla vergine che su tutti i membri del Suo corpo mistico messi insieme. A conferirglielo è stata pura e semplice grazia, grazia sovrana. Che cosa c'era, infatti, nella Sua umanità, considerata in sé stessa, che le avesse dato titolo a tale esaltazione? Nemmeno si trattava d'alcuna previsione di meriti, perché doveva essere detto dell'uomo Cristo Gesù, come d'ogni altra creatura: "Infatti, chi ti distingue dagli altri? E che cosa possiedi che tu non abbia ricevuto? E se l'hai ricevuto, perché ti vanti come se tu non l'avessi ricevuto?" (1 Corinzi 4:7). Non dimentichiamo che nel decretare l'unione del Figlio dell'uomo con la seconda Persona della Trinità, con tutto l'onore e la gloria che gli compete, che Dio era perfettamente libero, così come in ogni altra cosa, di decretare o di non decretare la Sua esistenza. Se si fosse, infatti, compiaciuto di farlo, Egli avrebbe nominato un arcangelo, e non un figlio di donna, a quell'inestimabile privilegio. Era dunque in Dio una libera grazia ad emanare quel decreto. Per quanto elevata fosse la dignità conferita su Cristo in rapporto a quella dei Suoi compagni, quanto più grande era la grazia. La predestinazione dell'uomo Gesù Cristo, quindi, è il più alto esempio possibile di grazia. Per questo il maggiore fine di Dio nella predestinazione (da cui l'elezione prende titolo tanto da potersi definire "l'elezione della grazia, Romani 11:5), era stato realizzato in Lui al di sopra dei Suoi fratelli, affinché Egli dovesse essere alla lode della gloria della grazia di Dio, molto superiore a ciò che noi siamo. Dato che nel caso di Cristo, noi possiamo trovare sia il modello che l'esempio dell'elezione - il grandioso ' Prototipo' - è evidente che la grazia non possa essere limitata o compresa solo come il divino favore verso creature decadute per liberarle dalla rovina e dalla miseria. Per coloro ai quali essa è rivolta, la grazia non presuppone necessariamente il peccato, perché l'esempio più alto di tutti è la grazia manifestata all'uomo Cristo Gesù. Essa, infatti, è stata conferita su Colui che non aveva peccato e ne era
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incapace. Grazia è favore manifestato a chi non la merita, perché la natura umana nel Dio-uomo non meritava la distinzione conferitale. Quando essa viene estesa a creature decadute, si tratta di una favore conferito a coloro che meritano solo il male e l'inferno, eppure il termine stesso di grazia non lo implica, come può essere ulteriormente notato nel caso della grazia divina estesa agli angeli non decaduti. È così che Cristo, come modello rispetto al quale Dio ha predestinato il Suo popolo per esserne conforme, il fatto di averli eletti a gloria eterna è stato decretato tenendo conto della loro condizione non decaduta, e non come creature corrotte. Avendo dunque Dio scelto in modo assoluto il Figlio dell'uomo e avendolo dotato di tale dignità regale tanto da diventare il fine di tutti coloro che Egli avrebbe creato o eletto alla gloria, ne consegue che coloro che sono stati eletti fra di noi umani, erano intesi, in virtù di ciò per cui Dio li aveva destinati, sia per la gloria di Cristo come fine della loro elezione, che per la gloria di Dio stesso. Noi non siamo stati eletti in maniera assoluta - come Cristo lo è nella Sua predestinazione unica nel suo genere secondo il disegno originale - ma sin dall'inizio, intenzione di Dio per noi era che appartenessimo a Cristo e ricevessimo la nostra gloria da Lui, "il Signore della gloria" (1 Corinzi 2:8). Qui, come dovunque, Cristo ha la preminenza, perché la Persona di Cristo, Dio-uomo, era predestinata alla dignità di per Sé stesso, ma noi lo siamo in funzione della gloria di Dio e di Cristo. Sebbene Dio Padre, primo e solo, abbia stabilito chi dovevano essere i favoriti, tale elezione era per amore di Cristo e di Sé stesso. La nostra elezione è stata fatta da Dio in vista di Suo Figlio come Dio-uomo e, quanto al disegno, avendo Lui come nostro fine. Egli ci ha scelti per amor Suo, affinché noi fossimo Suoi "compagni" (Salmo 45:7) ed a che, come Dio si compiace di Lui (Isaia 42:1) così noi diventassimo la Sua gioia (Proverbi 8:31). Siamo stati dunque prima donati a Cristo, non in quanto peccatori per essere da Lui salvati, ma come membra privi di peccato del corpo del quale Egli è capo privo di peccato. Noi siamo il dono sovrano fatto alla Sua persona, per il Suo onore e
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piacere, per condividere la gloria soprannaturale che Gli appartiene e che da Lui deriva. "Io ho dato loro la gloria che tu hai data a me, affinché siano uno come noi siamo uno; io in loro e tu in me; affinché siano perfetti nell'unità, e affinché il mondo conosca che tu mi hai mandato, e che li ami come hai amato me" (Giovanni 17:22-23). Che cosa immediatamente, poi, segue a Giovanni 17? Questo: "Padre, io voglio che dove sono io, siano con me anche quelli che tu mi hai dati, affinché vedano la mia gloria che tu mi hai data; poiché mi hai amato prima della fondazione del mondo" (v. 24). Nella Sua elezione Cristo era amato dall'eternità, e dall'amore che Dio ha per Lui il Suo popolo Gli viene donato. Con quale intenzione? Per poterlo vedere, contemplare, ammirare, ed adorare nella Sua persona e gloria così come era destinato ad essere; quindi qualcosa di maggiore che la loro personale gloria: la gloria che sorge dal contemplare la Sua (2 Corinzi 3:18). E qual è questa gloria alla quale Cristo è stato destinato? La gloria della Sua Persona prima decretata in modo assoluto, al culmine della Sua gloria celeste, quella che noi siamo chiamati a contemplare. Osservate poi come Egli qui (Giovanni 17:24) riveli quale sia il motivo di Dio in tutto questo: "poiché mi hai amato". Essendo Cristo scelto per primo nelle intenzioni di Dio, i membri sono stati poi scelti e donati a Lui affinché questo possa ridondare a Sua gloria. Noi siamo stati eletti per la gloria di Cristo (il nostro fine) e per amor Suo, come pure per la gloria della grazia di Dio verso di noi. Dio, per la Sua gloria, ha stabilito che Cristo avesse con noi un duplice rapporto, il quale promuove ulteriormente la gloria assoluta della Sua Persona. Il primo è quello di "Capo", rispetto al quale noi siamo stati donati a Lui sia come membra del Suo corpo, sia come "sposa" (il "matrimonio" di cui Egli, come "marito" è, appunto "capo"). In secondo luogo, oltre a quello di "capo" Egli si rapporta a noi come "Salvatore" e Redentore. Entrambe queste funzioni (o uffici) sono intese a promuovere ulteriormente la gloria di Cristo e ad essere dimostrazione della grazia di Dio verso di noi. Questi due tipi di rapporto sono distinti e non devono essere confusi. "Il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della chiesa, lui, che è il Salvatore del
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corpo" (Efesini 5:23). Ciascuna di queste funzioni Gli è stata data dal beneplacito della volontà di Dio. Lo stesso duplice rapporto di Cristo con il Suo popolo è presentato pure in Colossesi 1:1820: questo doppio onore ufficiale che Gli è conferito è aggiunto al di sopra della dignità regale della Sua Persona come Dio-uomo. Ora, questo duplice rapporto che Cristo ha con il Suo popolo comporta, per quanto riguarda la nostra elezione in Cristo (che non è assoluta ma relativa ai Suoi due uffici principali) due aspetti distinti. Il primo riguarda le nostre persone senza considerare la nostra caduta in Adamo. Questo significa che Egli ci ha contemplato nella pura sostanza creaturale che doveva essere creata e, in considerazione di questo, Dio ci ha destinati alla gloria ultima in quanto in rapporto con Cristo come nostro "Capo" (membra del Suo corpo o Sua sposa, o piuttosto entrambi, dato che Egli è il Capo della Chiesa). Di questo eravamo pienamente capaci prima o senza considerare la nostra Caduta. In secondo luogo, le nostre persone sono state considerate come decadute, corrotte e peccatrici, e quindi come oggetto da salvare e da redimere: in questo Egli si rapporta a noi come Salvatore. Ciascuno di questi rapporti era stato inteso per la gloria della grazia di Dio. Prima di tutto, nel Suo disegno di farci avanzare (considerandoci semplicemente creature) ad una gloria più alta in Cristo, condizione di maggior gloria di quanto fosse raggiungibile per la legge della creazione. Destinarci a gloria era pura grazia, tanto quanto lo è redimerci dal peccato e dalla miseria dopo essere decaduti, perché era del tutto indipendente da opere o meriti, esattamente come l'elezione di Cristo (nostro modello) era stata fatta senza considerare opere d'alcun tipo, come Egli dichiara: "Ho detto a Dio: «Tu sei il mio Signore; non ho bene alcuno all'infuori di te»" (Salmo 16:2). "Sebbene l'opera della vita di Cristo e la Sua agonia mortale abbiano dato lustro senza paralleli ad ogni attributo di Dio, il beato ed infinitamente felice Dio non aveva alcun bisogno dell'ubbidienza e della morte di Suo Figlio. È per amor nostro che è stata intrapresa l'opera di redenzione" (C. H. Spurgeon). È a questa grazia originale ciò a cui si riferisce (2 Timoteo 1:9) la sola grazia che spinge Dio a redimerci ed a 103
chiamarci, indipendentemente dalle opere, "secondo" quella madre di tutte le grazie per la quale sin dall'inizio siamo stati destinati alla gloria. Il grandioso disegno ultimo di Dio, soggiace proprio in quell'originale grazia, perché essa avrà compimento solo alla fine come la perfezione di ogni altra. Dio avrebbe potuto, di fatto, non appena creati, portarci immediatamente in quella gloria. Però, per magnificare ulteriormente Cristo e per la più ampia dimostrazione della Sua grazia (affinché si estendesse al massimo, secondo ch'è scritto "Prolunga la tua benignità verso quelli che ti conoscono" Salmo 36:10 ND), Egli si non si è compiaciuto di portarci al pieno possesso della nostra eredità contemplando la personale gloria di Cristo, nostro capo; ma ha stabilito permissivamente che noi cadessimo in peccato, e quindi, ha decretato di crearci in condizione di mutabilità (come richiede la legge della creazione). Tutto questo ha aperto la strada all'abbondanza della Sua grazia (Romani 5:15), com'è confermato da: "Dio, che è ricco in misericordia [termine che presuppone la nostra condizione di peccatori], per il grande amore con cui ci ha amati..." (Efesini 2:4). Prima Dio ci ha amati, considerati come creature prive di peccato; e questo è diventato il fondamento della "misericordia" verso di noi considerati come peccatori. È sulla base di questa divina determinazione che gli eletti non sono stati portati, immediatamente dopo la loro creazione, ad entrare nella gloria alla quale sono stati destinati, ma Dio ha permesso che cadessero in peccato e miseria e poi ne fossero liberati. Ed è pure per questo che Cristo, per l'ulteriore Sua grande gloria, ha assunto il ruolo di Redentore e Salvatore, oltre a quello che aveva nella Sua elezione, come Capo. Oggi, è vero, la nostra attenzione è soprattutto rivolta alla nostra miserevole condizione di peccatori, ed è pure per questo che le Scritture principalmente presentano Cristo come Redentore e Salvatore. Diciamo "principalmente" perché, come abbiamo visto, esse non rimangono affatto in silenzio sulla più alta gloria del Suo essere Capo. Esse, tuttavia, dicono abbastanza al riguardo per attirarci a
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contemplarlo nella Sua più grande gloria ed occupare così i nostri pensieri, affetti e speranze. Giungendo così al termine di questa nostra esposizione sommaria del divino ordine dell'elezione di Cristo, così com'è rappresentata nelle Scritture, rammentiamoci pure come noi non si debba supporre che vi sia stato un intervallo di tempo fra la predestinazione di Cristo come Capo e di Cristo come Salvatore, perché nella mente di Dio tutto è simultaneo. Questa distinzione, però, è nell'ordine della natura, e per la migliore comprensione che dobbiamo averne. Cristo non poteva essere "capo" senza il correlato del Suo "corpo" mistico, così come Egli non poteva essere il nostro "Salvatore" se non essendo noi decaduti. "Ecco il mio servo, io lo sosterrò; il mio eletto di cui mi compiaccio; io ho messo il mio spirito su di lui, egli manifesterà la giustizia alle nazioni" (Isaia 42:1). Cristo è stato il primo eletto di Dio, in Lui Egli si è rallegrato, e poi è stato il Suo servo, funzione da Lui sostenuta nell'opera della redenzione. Cristo, come Dio-uomo, in senso assoluto e primario, è stato eletto per Sé stesso, per la Sua propria gloria; e poi, in senso relativo e secondario, Egli è stato eletto per noi e la nostra salvezza. La gloria della Persona del Dio-uomo, considerata in senso assoluto, era il disegno primo e primordiale di Dio, quello su quale ha posto il Suo cuore. Poi, accanto a questo, c'è la destinazione di Cristo ad essere Capo e noi il Suo corpo attraverso la nostra unione con Lui. Egli è stato l'autore sufficiente ed efficiente delle benedizioni che comporta il diventare immutabilmente santi della nostra figliolanza adottiva che sorge dalla Sua figliolanza, come pure dall'accoglienza di grazia delle nostre persone in Lui ed eredi della stessa gloria con Lui. Di tutto questo noi eravamo capaci nell'atto di Dio di considerarci creature pure attraverso la nostra unione con Cristo. In questo non avevamo bisogno che esse venissero acquistate dalla Sua morte, essendo queste benedizioni molto distinte dalle benedizioni della redenzione descritte chiaramente in Efesini 1:7 (seguendo ai vv. 3-6). Così come questo è venuto prima nei disegni di Dio, esso sarà l'ultimo ad essere eseguito, essendo più
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grande di ogni benedizione di "salvezza", corona fra tutte, quando noi saremo "per sempre con il Signore". Scendendo ora ad un livello ancora inferiore (nella profondità di questi misteri), rileviamo come in modo assolutamente certo, gli angeli santi non potevano essere considerati parte della massa corrotta quando sono stati scelti, perché essi non sono mai decaduti. È dunque ragionevole supporre, allo stesso modo, che Dio ci abbia considerati parte della stessa pura sostanza di creaturalità quando ci ha eletti. Così è stato per la natura umana di Cristo, che è l'oggetto dell'elezione, perché Egli non è mai caduto in Adamo, né mai è giunto ad uno stato di corruzione, eppure Egli è stato eletto "di fra il popolo" (Salmo 89:19). Per questo il popolo dal quale è stato scelto deve essere stato necessariamente considerato come ancora non decaduto. Questo solo si accorda con la tipologia di Eva (la Chiesa) quando essa viene donata ad Adamo (Cristo) prima che subentrasse il peccato. È così che la doppia destinazione degli eletti prima alla gloria e poi alla salvezza (a causa della caduta) concorda perfettamente con la doppia destinazione dei non eletti: preterizione in quanto creature e condanna come peccatori. N:B: Per la maggior parte del discorso fatto in questo capitolo sono debitore alle opere del teologo puritano Thomas Goodwin. In alcuni luoghi qui ci siamo deliberatamente ripetuti in quanto gran parte di queste argomentazioni sono sicuramente del tutto nuove per la maggior parte dei nostri lettori.
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6. L’Elezione: il suo disegno Nel capitolo precedente abbiamo cercato di raggiungere l'inizio stesso di tutte le cose e trovare le tracce dell'ordine di quanto Dio ha stabilito al riguardo del Suo eterno decreto nell'elezione secondo quanto ci è rivelato nelle Sacre Scritture. Ora cercheremo di proiettare in avanti i nostri pensieri fino al futuro e contemplare il grandioso disegno di Dio, ciò a cui abbia destinato il Suo popolo. Per molti nostri lettori, qui saremo su un terreno loro più familiare. Ciononostante, non dobbiamo ignorare il fatto che, anche questa fase del nostro tema apparirà interamente nuova a non pochi che scorreranno queste linee. Proprio per venire loro incontro, sarà necessario procedere lentamente, non prendendo nulla per scontato ma fornendo chiare prove scritturali a sostegno di quanto affermeremo. Ciò che si presenta ora alla nostra attenzione è qualcosa di tanto sublime che le parole si rivelano inadeguate a descriverlo compiutamente. Voglia Dio vivificare il cuore sia di chi sta scrivendo sia di chi legge, affinché di tutto questo noi ci si possa rallegrare e per questo adorare Dio. 1. Perché fossimo santi Che cosa si propone Dio con la nostra elezione? Quale ne è il disegno? Essa è finalizzata alla nostra santificazione, a che noi si giunga ad essere santi: "In lui ci ha eletti prima della creazione del mondo perché fossimo santi e irreprensibili dinanzi a lui" (Efesini 1:4). C'è stata molta discussione fra i commentatori se questo testo si riferisca alla santità imperfetta suscitata dalla grazia e della quale noi possiamo fare esperienza in questo mondo, oppure quella perfetta santità di gloria che ci apparterà nel mondo a venire. Personalmente credo che siano inclusi entrambi questi aspetti, ma che sia soprattutto quest'ultimo aspetto ad essere particolarmente inteso e su questo concentreremo la nostra attenzione. In primo luogo, la perfetta santità è il carattere del Cielo stesso. A questo allude l'espressione "irreprensibili dinanzi a lui" e questo dobbiamo rilevarlo attentamente sin dall'inizio. Dio intende 107
realizzare in noi una santità tale da non essere macchiata da imperfezione alcuna. Ora, la santità imperfetta che personalmente hanno i santi in questa vita,sebbene essa sia davanti a Dio una santità verace e sincera, non sarà mai "irreprensibile": non è una della quale Dio possa completamente rallegrarsi. In secondo luogo, così come Dio ci ha destinati a perfetta santità nel mondo a venire, così Egli ci ha destinato ad una santità evangelica in questo mondo, altrimenti non perverremo mai a quella celeste. Se non siamo resi puri di cuore quaggiù, non vedremo mai Dio lassù. La santità è l'immagine di Dio nell'anima, quella somiglianza con Lui che ci rende capaci di comunione con Lui. È per questo che l'Apostolo dichiara: "Impegnatevi a cercare ... la santificazione senza la quale nessuno vedrà il Signore" (Ebrei 12:14). Così come la ragione è base dell'istruzione e nessuno la può conseguire fintanto che non abbia la ragione, così non possiamo raggiungere la gloria del Cielo fintanto che non ci sia comunicato da Dio il principio della santità. La prima finalità, il primo disegno, di Dio nella nostra elezione è dunque che noi si sia santi dinanzi a Lui. Per questo la santità dovrebbe essere l'ambizione principale della nostra vita. Qui c'è pure una concreta fonte di consolazione per coloro che trovano come il peccato che dimora in loro sia il loro fardello più pesante: sebbene la nostra santità sia molto imperfetta in questa vita, ciononostante essa non è che la caparra della pienezza che un giorno conseguiremo nella vita a venire. La santità è necessariamente il frutto dell'essere stati scelti in Cristo, perché essa è essenziale alla nostra comunione con Lui. Sarebbe una contraddizione in termini, infatti, dire che Dio scelga una persona in Cristo e poi non la renda santa. Se Dio destina una persona ad essere in Cristo, la destina ad essere membro di Cristo, e ci dev'essere per forza conformità fra il Capo e le sue membra. L'elezione della grazia vuol dire, dare a Cristo una sposa, e vi dev'essere necessariamente consonanza fra marito e moglie. Quando Adamo doveva avere una moglie, essa doveva essere della stessa specie. Nessun animale avrebbe potuto essergli adatto come partner. Dio glieli fa passare tutti davanti in rassegna, ma:
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"L'uomo diede dei nomi a tutto il bestiame, agli uccelli del cielo e ad ogni animale dei campi; ma per l'uomo non si trovò un aiuto che fosse adatto a lui" (Genesi 2:20). Non avevano infatti la stessa immagine ed essenza. Se quindi Dio sceglie qualcuno in Cristo - il Santo quello deve necessariamente essere santificato. Questo è il motivo per il quale la santità è connessa al nostro essere eletti in Lui (Efesini 1:4). Dio, così, decreta che il Suo popolo sia perfettamente santo dinanzi a Lui, che gli uomini e le donne che lo compongono stiano alla Sua presenza per sempre, che essi godano della Sua presenza per sempre, perché, come ci dice il Salmista: "alla tua destra vi sono delizie in eterno" (Salmo 16:11). In che cosa consistono queste delizie della nostra eterna eredita? È la santità perfetta, amore perfetto per Dio: questa è l'essenza della gloria celeste. Se gli apostoli avessero dedicato il resto della loro vita per tentare di dipingere e descrivere che cosa sia il paradiso, essi non avrebbero fatto altro che farci comprendere tutta la pregnanza di queste parole: santità perfetta alla presenza di Dio, perfetto amore per Lui, perfetto godimento di Lui. Questo è il paradiso e questo è ciò che Dio ha decretato di portare al Suo popolo. Questo è il primo disegno della nostra elezione, portarci ad un'immacolata santità dinanzi a Lui. 2. Perché diventassimo Suoi figli Il disegno di Dio nella nostra elezione era finalizzato alla nostra adozione come Suoi figli: "...avendoci predestinati nel suo amore a essere adottati per mezzo di Gesù Cristo come suoi figli, secondo il disegno benevolo della sua volontà" (Efesini 1:5). Ciò che ci rende compatibili con il Cielo è la santità, perché una persona non santa non potrebbe in alcun modo godere del paradiso; se vi dovesse entrare, si troverebbe del tutto fuori del suo elemento naturale. La santità, quindi, è ciò che ci rende adatti ad essere partecipi dell'eredità celeste nella luce (Colossesi 1:12). È però l'adozione ciò che ci dà titolo legale alla gloria del Cielo e questa è impartita agli eletti come loro dignità e prerogativa (Giovanni 1:12). Come abbiamo rilevato in altre occasioni, le ultime parole di Efesini 1:4
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appartengono di fatto al versetto 5: "...avendoci predestinati nel suo amore a essere adottati per mezzo di Gesù Cristo come suoi figli, secondo il disegno benevolo della sua volontà" (infatti, la Nuova Riveduta traduce qui più correttamente di altre versioni). L'amore di Dio verso Suo Figlio era così grande che, avendoci eletti in Lui, proprio perché siamo in Lui, il Suo amore si esteso anche a noi. Per questo Dio ci ha destinati a questo ulteriore onore e privilegio. Questo concorda perfettamente con 1 Giovanni 3:1, che dice: "Vedete quale amore ci ha manifestato il Padre, dandoci di essere chiamati figli di Dio! E tali siamo. Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui". Dio avrebbe potuto renderci perfettamente santi in Cristo senza aggiungervi altre benedizioni. "Ma ora, liberati dal peccato e fatti servi di Dio, avete per frutto la vostra santificazione" (Romani 6:22). Si tratta di un frutto sicuramente prezioso, ma Egli non si ferma lì, infatti aggiunge: "...e per fine la vita eterna", cioè un frutto ed un privilegio supplementare. Allo stesso modo, alla santità Dio aggiunge l'adozione, come dice il salmista: "Il SIGNORE concederà grazia e gloria" (Salmo 84:11). Come nostro Dio Egli ci sceglie in vista della santità, secondo quant'è scritto: "Siate santi, perché io, il SIGNORE vostro Dio, sono santo" (Levitico 19:2). Quando però Egli diventa nostro Padre in Cristo, Egli ci predestina ad essere adottati come figli. Ecco qui, allora, il duplice rapporto che l'Altissimo intrattiene con il Suo popolo in ed attraverso Cristo, insieme alla conseguente duplice benedizione delle nostre persone a causa di Cristo. Osservate quanto minutamente questo corrisponda con: "Benedetto sia il Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo, che ci ha benedetti di ogni benedizione spirituale nei luoghi celesti in Cristo" (Efesini 1:3). Attraverso l'adozione noi diventiamo legalmente figli di Dio così come attraverso la rigenerazione noi lo diventiamo per natura. Attraverso la nuova nascita noi diventiamo (esperienzialmente) membri della famiglia di Dio; per l'adozione acquisiamo la condizione legale di figli, con tutti i privilegi che questo rapporto comporta. "E, perché siete figli, Dio ha mandato lo Spirito del Figlio suo nei nostri cuori, che grida: «Abbà, Padre» " (Galati 4:6).
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L'adozione rende note le alte prerogative e benedizioni che ci appartengono in virtù della nostra unione con Cristo, il diritto legale che abbiamo a tutte le benedizioni di cui godiamo, sia quaggiù che nell'aldilà. Come ci rammenta l'Apostolo, "Se siamo figli, siamo anche eredi; eredi di Dio e coeredi di Cristo, se veramente soffriamo con lui, per essere anche glorificati con lui" (Romani 8:16) per possedere e godere tutto cio di cui Cristo possiede e gode. Davide, aveva esclamato quando gli era stato suggerito che avrebbe potuto sposare Mical: "Vi pare piccola cosa diventare genero del re? " (1 Samuele 18:23), come a dire: ci si può rallegrare essere il favorito del re ed egli ti può rendere grande, ma diventare genero del re è il più alto onore che si possa avere. Ecco perché a noi è detto: "Carissimi, ora siamo figli di Dio, ma non è stato ancora manifestato ciò che saremo. Sappiamo che quand'egli sarà manifestato saremo simili a lui, perché lo vedremo com'egli è" (1 Giovanni 3:2), cioè proporzionalmente come Lui, perché così come Egli perfettamente gode la sua comunione con Dio, così faremo noi. Notiamo debitamente che è "per Gesù Cristo" che siamo figli ed eredi di Dio. Cristo è nell'elezione il nostro modello, quello alla cui immagine noi siamo predestinati ad essere conformi. Cristo è il Figlio naturale di Dio e noi diventiamo (attraverso l'unione con Cristo) legalmente figli di Dio. "Affinché Egli sia il primogenito fra molti fratelli" (Romani 8:29) significa che Dio stabilisce Cristo come il "Prototipo" e il "Capolavoro", e fa di noi tante piccole copie e modelli di Lui. Ogni dignità che possediamo, ogni benedizione della quale godiamo - salvo la nostra elezione quando Egli ci ha scelto in Lui - noi la dobbiamo a Cristo. Egli è la causa virtuale della nostra adozione. Cristo, come abbiamo detto, è il Figlio naturale di Dio, come facciamo noi a diventare Suoi figli? Così: Dio ci dà a Cristo per "sposarci" con Lui, ed Egli ci ha "fidanzati" a Lui dall'eternità, e così diventiamo "generi" di Dio, così come una donna diventa nuora (figlia per legge) di un uomo sposando suo figlio. Rileviamo, però, come noi si debba la nostra adozione al rapporto che Dio ha stabilito fra noi e la Persona di Cristo, e non alla Sua opera di redenzione. La nostra adozione, così come ci è stata
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impartita originalmente nella predestinazione, non è fondata sull'opera di redenzione o sull'ubbidienza di Cristo, ma sul fatto che Cristo sia Figlio naturale di Dio. La nostra giustificazione è senza dubbio fondata sull'ubbidienza e sulle sofferenze di Cristo: "In lui abbiamo la redenzione mediante il suo sangue, il perdono dei peccati secondo le ricchezze della sua grazia" (Efesini 1:7). La nostra adozione, però, il nostro diventare "generi" di Dio, è dovuta al fatto che Cristo sia Figlio naturale di Dio, e noi in rapporto alla Sua persona come fratelli: "Fedele è Dio, dal quale siete stati chiamati alla comunione del Figlio suo Gesù Cristo, nostro Signore" (1 Corinzi 1:9). Questa comunione implica la nostra partecipazione alla Sua dignità e a qualunque altra cosa in Lui di cui noi si sia capaci, proprio come una donna acquisisce il titolo legale a tutte le proprietà dell'uomo che sposa. Così come Cristo, essendo Figlio naturale di Dio, è il fondamento della Sua opera, possedendo Egli infinito valore, così la nostra adozione è fondata sul rapporto che abbiamo con la Sua Persona. La nostra giustificazione, sulla base della Sua opera meritoria, viene dopo. Dobbiamo a questo punto, però, aggiungere una parola di avvertimento: quando siamo caduti in Adamo abbiamo perduto tutti i nostri privilegi: per questo Cristo ha dovuto riacquistarceli. Ne consegue quindi che l'adozione ed ogni altra benedizione siano anche da considerarsi frutto, per quanto riguarda l'effettivo loro godimento da parte nostra, dei meriti di Cristo. È per questo che l'Apostolo ci dice che Cristo si è fatto carne "per riscattare quelli che erano sotto la legge, affinché noi ricevessimo l'adozione" (Galati 4:5), dato che i nostri peccati e la nostra servitù alla legge, insieme alla maledizione che questo comporta, si interponevano come ostacolo a che, grazie all'adozione, ci fossero impartite le Sue benedizioni. Notate l'accuratezza del linguaggio qui usato: non è detto che la redenzione di Cristo ci abbia procurato l'adozione, ma solo che essa sia strumentale al riceverne i benefici. [Non "affinché fossimo adottati" in quanto tali, ma affinché ricevessimo i benefici dell'adozione, quelli a cui avevamo titolo. Grazie alla Sua opera di redenzione entriamo nel pieno possesso e godimento dei privilegi spettanti ai figli]. Ciò che ci ha originalmente procurato l'adozione è il rapporto che è stato 112
stabilito fra noi e Cristo, l'essere diventati "generi" di Dio. Questo è il proposito eterno di Dio per noi. Consideriamo ora debitamente la grandezza di questo privilegio. Adamo era stato creato santo, e Luca 3:38, ci dice che egli era "il figlio di Dio". Non è scritto da nessuna parte che Egli fosse figlio di Dio per adozione attraverso Cristo. Così pure in Giobbe 38:7, gli angeli sono chiamati "stelle del mattino" e "figli di Dio": qui non ci viene detto che essi lo siano diventati per adozione in Cristo. Indubbiamente essi erano "figli di Dio" in forza della creazione, perché Dio li ha fatti, ma non generi di Dio in forza dell'essere sposati a Suo Figlio... questa è una grazia ed un privilegio peculiare ai credenti. Il nostro speciale rapporto con il Figlio dell'amore di Dio ci rende più eccellenti degli angeli. In nessun luogo Cristo chiama gli angeli "suoi fratelli" come Egli fa con noi! Questo lo rileviamo da Ebrei 12:22 dove, in contrasto con gli angeli menzionati prima, leggiamo della Chiesa dei primogeniti, titolo che denota superiorità (Genesi 49:3). Essendo noi in rapporto al "Primogenito" di Dio, abbiamo un privilegio di figliolanza maggiore degli angeli. "Un'illustrazione a questo punto potrebbe essere utile. Un padre sceglie una sposa per suo figlio, come Abraamo aveva scelto una donna per il figlio Isacco fra la sua gente. Garantisce a quella donna una buona dote e le fa dono degli ornamenti nuziali, così come aveva fatto Eliezer per Rebecca. Diventando, però, la sposa di suo figlio, quella donna diventa pure figlia sua, e tutto il suo affetto di padre si rivolge a lei, non solo perché è una sposa adatta per suo figlio, non solo perché ne ammira la bellezza e la grazia ed è affascinato dalla dolcezza del suo carattere, ma il suo amore di padre è rivolto verso di lei perché è come se l'avesse adottata. Di fatto quella donna ora ha assunto una posizione nuova e più vicina. I paragoni sono necessariamente imperfetti, naturalmente e non dovrebbero essere spinti troppo in là, ma se l'illustrazione che abbiamo or ora presentato può aiutarci ad avere una comprensione più chiara dello stupefacente amore di Dio nella nostra adozione come Suoi figli, essa non sarà inopportuna. Vediamo così la predestinazione all'adozione come figli sia più
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alta, più ricca e più benedetta dell'essere stati eletti a santità, e può così essere considerata un frutto speciale e supplementare dell'amore di Dio. L'amore di Dio, però, nel predestinare la Chiesa all'adozione come figli attraverso Gesù Cristo, ha persino una radice più profonda che considerarla la sposa del Suo caro Figlio. Essa sorge ed è intimamente connessa con la vera, reale ed eterna figliolanza di Gesù. Essendo scelti in Cristo, gli eletti diventano figli di Dio. Perché? Perché Egli è il vero, reale ed essenziale Figlio del Padre. Così, in unione con Lui che è il Figlio di Dio per natura, essi diventano figli di Dio per adozione. Se Egli fosse figlio semplicemente per l'ufficio che svolge, o in virtù dell'incarnazione, questo non potrebbe essere il caso, perché allora Egli stesso sarebbe figlio adottivo. Essendo Cristo Gesù, però, Figlio di Dio per eterna sussistenza, Egli può dire: 'Eccomi con i figli che Tu mi hai dati. Io sono Tuo Figlio per natura, essi sono Tuoi figli per adozione'. Vediamo, così, quanto grande e speciale sia l'amore di Dio per il Suo unigenito Figlio: vedendo la Chiesa in unione con Lui, il Suo cuore la abbraccia con lo stesso amore con il quale Egli ama Lui" (Joseph C. Philpot). 3. Perché fossimo salvi Il disegno di Dio nella nostra elezione è finalizzato alla nostra salvezza: per salvarci dagli effetti della Caduta, dal peccato e dalle sue conseguenze. Questa destinazione particolare stabilita da Dio era basata sulla sua pre-conoscenza della nostra defezione in Adamo, il quale era il nostro capo naturale e rappresentante. Come abbiamo rilevato nei capitoli precedenti, Dio decreta di permettere la caduta del Suo popolo per manifestare maggiormente la Sua grazia ed aumentare la gloria del Mediatore. Il termine stesso "salvezza", ovviamente, implica il peccato e, a sua volta, il peccato presuppone la Caduta. Questa determinazione di Dio di permettere al Suo popolo di cadere nel peccato e poi di liberarlo da esso, è del tutto funzionale al Suo primo disegno al riguardo degli eletti e la gloria ultima alla quale Egli li ha destinati. La subordinazione di questo terzo disegno di Dio nella nostra elezione rispetto a quelli che già abbiamo considerato appare nel testo: "Egli ci ha salvati e ci ha rivolto una 114
santa chiamata, non a motivo delle nostre opere, ma secondo il suo proposito e la grazia che ci è stata fatta in Cristo Gesù fin dall'eternità" (2 Timoteo 1:9). Se si analizza attentamente il versetto or ora citato, si vedrà come: •
Dio abbia formato "un proposito" al riguardo del Suo popolo e che questa "grazia" sia loro accordata in Cristo Gesù "fin dall'eternità" nella mente di Dio. Il riferimento qui è al Suo atto sovrano di estrarli dalla massa pura della creazione, dare loro un "essere in Cristo" ed impartire loro la grazia di diventare figli.
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Che Dio "ci ha salvati" (il riferimento qui è ai credenti) e "ci ha rivolto una santa chiamata", il che si riferisce ciò che avviene nel tempo quando ci fa uscire dalla nostra morte nel peccato attraverso una chiamata efficace alla santità (cfr. Tito 3:5).
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Che questo salvarci e questo chiamarci non è stato "a motivo delle nostre opere", fattive o previste che siano, ma "secondo il suo proposito", cioè basato sulla Sua intenzione originale di farci diventare Suoi figli. Né i nostri meriti (che non abbiamo), né la nostra miseria, ha spinto Dio a salvarci, ma il fatto di averci affidati a Cristo sin dall'inizio.
Come abbiamo rilevato in precedenza, Dio assegna a Cristo, rispetto al Suo popolo, un doppio rapporto. "Cristo è capo della chiesa, lui, che è il Salvatore del corpo" (Efesini 5:23). Nella stessa epistola Cristo è visto come il Capo in cui noi siamo stati originalmente: "benedetti di ogni benedizione spirituale nei luoghi celesti" (Efesini 1:3). Più tardi Egli è presentato come il Salvatore che ha "amato la chiesa e ha dato se stesso per lei, per santificarla dopo averla purificata lavandola con l'acqua della parola" (5:2526). Nel parlare di Lui come del "Salvatore del corpo" è implicito che Egli lo sia di esso e di esso soltanto, fatto chiaramente confermato da: "Ecco perché sopporto ogni cosa per amor degli eletti, affinché anch'essi conseguano la salvezza che è in Cristo Gesù, insieme alla gloria eterna" (2 Timoteo 2:10). Notate qui come non si parli di una
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salvezza generica, ma la salvezza, quella che Dio ha decretato per chi Gli appartiene. In nessun modo il versetto: "(infatti per questo fatichiamo e combattiamo): abbiamo riposto la nostra speranza nel Dio vivente, che è il Salvatore di tutti gli uomini, soprattutto dei credenti" (1 Timoteo 4:10) contraddice questo fatto. Il "Dio vivente" si riferisce a Dio Padre, e "Salvatore" più correttamente si deve tradurre: "preservatore" (Interlineare di Baxter). Ora, questa "salvezza" che Dio ha decretato per i Suoi eletti, considerati in quanto decaduti in Adamo, può essere compresa in due concetti: •
dalla colpa e dalla pena del peccato;
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dal dominio e dalla potenza del peccato.
Essi hanno rispettivamente a che fare con un aspetto legale ed uno esperienziale. Essi sono realizzati nel tempo. Il primo da ciò che Cristo ha compiuto per noi; il secondo da ciò che in noi opera lo Spirito Santo. Del primo aspetto è scritto: "Dio infatti non ci ha destinati a ira, ma ad ottenere salvezza per mezzo del nostro Signore Gesù Cristo" (1 Tessalonicesi 5:9); dell'altro leggiamo: "Ma noi dobbiamo sempre ringraziare Dio per voi, fratelli amati dal Signore, perché Dio fin dal principio vi ha eletti a salvezza mediante la santificazione nello Spirito e la fede nella verità" (2 Tessalonicesi 2:13). È attraverso questa seconda opera che noi otteniamo prova e certezza della prima: "Conosciamo, fratelli amati da Dio, la vostra elezione. Infatti il nostro Vangelo non vi è stato annunciato soltanto con parole, ma anche con potenza, con lo Spirito Santo e con piena convinzione" (1 Tessalonicesi 1:4-5). Quando la nostra salvezza dal peccato sarà completata, noi saremo liberi dalla presenza stessa del peccato. 4. Per appartenere a Cristo La finalità della nostra elezione è perché noi appartenessimo a Cristo: "tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui" (Colossesi 1:16). Dio non solo ci ha scelti in Cristo e ci ha predestinato ad essere in Cristo Suoi figli, ma ci ha pure donato a
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Lui: è così che pure Cristo è il fine dei propositi di Dio nell'eleggerci a perfetta santità ed adozione. Dio, avendo un Figlio naturale, la seconda Persona nella Trinità, destinato ad essere visibile nella natura umana attraverso la sua unione con Suo Figlio, ha decretato, per la maggiore Sua gloria, di destinarci all'adozione come figli e ad essere, così, Suoi fratelli, affinché Egli non rimanga solo ma sia, al contrario: "il primogenito tra molti fratelli" (Romani 8:29). Come in Zaccaria 13:7, l'uomo Cristo Gesù è chiamato "compagno" di Jahvé, così dal Salmo 45:7 apprendiamo come Dio abbia predestinato altri ad essere per Suo Figlio, i Suoi compagni: "Tu ami la giustizia e odi l'empietà; perciò DIO, il tuo DIO, ti ha unto d'olio di letizia al di sopra dei tuoi compagni" (ND). L'argomento dei divini decreti è così vasto (sia che noi lo guardiamo indietro o avanti nel tempo), e così ampio nella sua prospettiva (quando contempliamo tutto ciò che vi è implicato ed incluso), che è un compito tutt'altro che facile presentarlo in forma riassuntiva (un compito questo che supera le intenzioni e le possibilità di questo saggio). Quando cerchiamo di fornirne uno schema ordinato e di trattare separatamente le caratteristiche essenziali e distintive, è quasi impossibile evitare sovrapposizioni e ripetizioni. Se tali ripetizioni, però, rendono più facile al lettore avere un'idea chiara dei suoi aspetti principali, il nostro compito sarà raggiunto. Parte di ciò che ora desideriamo contemplare in rapporto al disegno di Dio nella nostra elezione, è già stato inevitabilmente anticipato nel capitolo sulla natura dell'elezione, quando abbiamo mostrato come l'intenzione originaria di Dio fosse anteriore alla sua pre-visione della nostra caduta: il lato positivo del Suo disegno. Abbiamo cercato di evidenziare la distanza infinita che sussiste fra creatura e il Creatore, l'Altissimo, e questo per la mutabilità intrinseca alla nostra prima condizione di natura. Era quindi necessaria una grazia al di sopra della condizione naturale, altrimenti la condizione degli uomini e degli angeli sarebbe stata fissata immutabilmente. Ecco perché Dio si e compiaciuto di stabilire un'elezione di grazia. Dio, attraverso quell'elezione, ha
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perciò pure destinato coloro che sono stati scelti ad un'unione super-creaturale con Sé stesso, ad uno speciale rapportocomunicazione con Sé stesso come nostro più alto fine ultimo. Si tratta indubbiamente di un rapporto molto superiore a quello che abbiamo con Lui per natura (nell'ambito della creazione). Questo rapporto speciale è stato realizzato mediante ed attraverso Cristo. "...tuttavia per noi c'è un solo Dio, il Padre, dal quale sono tutte le cose, e noi viviamo per lui, e un solo Signore, Gesù Cristo, mediante il quale sono tutte le cose, e mediante il quale anche noi siamo" (1 Corinzi 8:6). Notiamo dapprima il linguaggio discriminante di questo versetto: c'è una marcata differenza fra quel "per noi" e "tutte le cose", il che indica proprio una compagnia selezionata e speciale, cosa che pure è ripetuta nella seconda parte del versetto. Noi e ogni altra cosa sono dal Padre, esistono grazie alla volontà e potenza di Dio, la loro causa originante. Questo dato condiviso da "noi" e da tutte le altre creature. Quel "noi", però, indica un resto separato dal tutto, messo a parte, riservato per qualcosa di più alto, per un'eccellenza ed una dignità più alta. A questa speciale compagnia, il "noi per Lui" (il Signore Gesù Cristo) è contrapposto a "tutte le cose". Di questo versetto è anche possibile la versione: "...per noi c'è un solo Dio, il Padre, dal quale tutto proviene e noi siamo per lui; e un solo Signore Gesù Cristo, in virtù del quale esistono tutte le cose e noi esistiamo per lui" (CEI). È infatti notevole quel "noi siamo per Lui", cioè siamo legati a Lui da un amore speciale, da una speciale unione. Confronta questo con: "...alla chiesa dei Tessalonicesi che è in Dio Padre e nel Signore Gesù Cristo" (1 Tessalonicesi 1:1). Nell'originale greco è ancora più chiaro che "noi" siamo stati scelti "per Lui", estratti di fra le creature per la Sua gloria. Il nostro essere in Lui è il fondamento del nostro stesso essere (esistere) per Lui. La distinzione alla quale abbiamo fatto riferimento, riceve ulteriore illustrazione e conferma in: "V'è un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo, un solo Dio e Padre di tutti, che è al
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di sopra di tutti, fra tutti e in tutti" (Efesini 4:5-6). Anche qui troviamo la stessa differenza usata fra "tutte le cose" e "noi". Di tutte le cose Dio è descritto come sovrastare tutti, "al di sopra di tutti". Con questa espressione comprendiamo che il Suo Essere è infinitamente superiore a quell'essere che hanno tutte le creature, perché è Dio che ha impartito loro l'essere. Eppure, in secondo luogo, il Trascendente è pure l'Immanente, Colui che è vicino, che è "fra tutti" come attraversandoli. È presente con tutti, ma il Suo essere è diverso dal loro, così come l'aria permea la vita in questo mondo, sia palazzi che stamberghe. In terzo luogo, però, quando si tratta dei santi, Egli è "in tutti" (voi): questa è la grazia sovrana che li rende diversi dagli altri. Dio tanto si unisce a loro da esserne in comunione, uno con essi, in maniera speciale e con un rapporto speciale2. Non è stupefacente come la grazia abbia assunto creature proprio come noi per elevarle alla comunione con Dio, l'Altissimo? Questo è il culmine stesso dei nostri privilegi e felicità. Se confrontiamo Isaia 57:15 con 66:1-2, vedremo come Dio stesso vi abbia messo in rilievo sia la sublimità e la trascendenza della Sua Persona e la meraviglia e misura della Sua grazia verso di noi. Nel primo testo Dio parla di Sé stesso come: "Colui che è l'Alto, l'eccelso, che abita l'eternità, e che si chiama il Santo. Io dimoro nel luogo eccelso e santo, ma sto vicino a chi è oppresso e umile di spirito", mentre nel secondo Egli dichiara: "Il cielo è il 2
Nota del traduttore: La versione Nuova Riveduta, che usiamo come versione di base della nostra traduzione, dice "in tutti" e non "in voi tutti". I più antichi manoscritti oggi ritrovati omettono il "voi". La maggior parte dei manoscritti disponibili, le citazioni dai Padri della chiesa e i commentari classici, però, lo includono. Così rende il testo, infatti, la Diodati e la ND: "un Dio unico e Padre di tutti, che è in voi tutti" al di sopra di tutti, fra tutti e (ND); "un Dio unico, e Padre di tutti, il quale è sopra tutte le cose, e fra tutte le cose, e in tutti voi" (Diodati). Che questo pronome sia o non sia presente, però, deve esservi sottinteso, in quanto altre parti della Scrittura provano come lo Spirito di Dio non sia "in tutti" gli esseri umani, ma solo nei credenti (Romani 8:9,14). Dio è "Padre" sia per generazione (come Creatore) che per rigenerazione (Efesini 2:10; Giacomo 1:17; 1 Giovanni 5:1). La precisazione forse era stata intesa per impedire gli equivoci, che, di fatto, oggi sono comuni?
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mio trono e la terra è lo sgabello dei miei piedi; ...ecco su chi io poserò lo sguardo: su colui che è umile, che ha lo spirito afflitto e trema alla mia parola". Quanto dimostra questo l'infinita condiscendenza del Suo favore che raccoglie della polvere inanimata, dimora in noi, comunica Sé stesso a noi e a nessun altro: partecipiamo a cose che neanche gli angeli potrebbero mai sperare di avere! Prima di procedere oltre con la nostra esposizione di 1 Corinzi 8:6, per quanto concerne l'argomento in discussione, facciamo meglio a fare una temporanea digressione ed esaminare le parole: "Per noi c'è un solo Dio, il Padre", testo che è stato grossolanamente pervertito da coloro che negano l'esistenza di una trinità di persone nell'essenza di Dio. Qui il termine "Padre" (come in Matteo 5:16; Giacomo 3:9 ecc.) non è usato della prima Persona in contrasto con la seconda e la terza, ma si riferisce a Dio in quanto Dio, alla natura divina in quanto tale. Se si potesse mostrare da questo versetto che Cristo non è Dio nel senso più assoluto (vedi Tito 2:13), allora, per parità di ragioni, ne conseguirebbe necessariamente che "un solo Signore" negherebbe che il Padre sia Signore, negando quanto dice Apocalisse 11:1 ecc. Il pensiero principale di 1 Corinzi 8:6, diventa del tutto intelligibile quando ci rendiamo conto come questo versetto fornisca una perfetta antitesi ed opposizione alle falsità della religione pagana menzionate al versetto 5. Fra i pagani c'erano molti "déi" o divinità supreme e molti "signori" o mediatori. I cristiani, però, hanno una sola divinità suprema, il Dio trino, e solo un Mediatore, il Signore Gesù Cristo (cfr. Giovanni 17:3). Cristo ha una doppia "signoria". In primo luogo una signoria naturale, essenziale, non derivata, che Gli appartiene in quanto seconda Persona della Santa Trinità. In secondo luogo, (quella a cui si riferisce 1 Corinzi 8:6), una signoria derivata, economica, dispensatoria, ricevuta per mandato di Dio, considerato come Dio-uomo. Era a questo a cui alludevamo prima quando abbiamo affermato come Dio abbia decretato che l'uomo Gesù Cristo sia portato ad 120
essere unito con Suo Figlio, e destinato così ad essere il Suo "fine sovrano". L'amministrazione dell'universo è stata posta sotto di Lui; ogni potere Gli è stato dato (Giovanni 5:22,27; Atti 2:36; Ebrei 1:2). Cristo, in quanto Dio-uomo, ha la stessa autorità di Dio (Giovanni 5:23), eppure Gli è sottomesso, come mostra 1 Corinzi 3:23, "chiedimi" (Salmo 2:8) e Filippesi 2:11. Un'altra cosa da evidenziare in 1 Corinzi 8:6, è la frase "e noi viviamo per lui" (NR) [meglio: "e noi in lui" (ND)]. Questo essere noi "in Lui", tale unione soprannaturale, comunicazione con Dio. È il disegno ultimo per il quale siamo stati scelti. È per questo motivo che spesso leggiamo: "Poiché il SIGNORE ha scelto per sé Giacobbe, e Israele per suo speciale possesso" (Salmo 135:4); "Il popolo che mi sono formato proclamerà le mie lodi" (Isaia 43:21); "Mi sono riservato settemila uomini che non hanno piegato il ginocchio davanti a Baal" (Romani 11:4). Il fatto dell'averci scelti da parte di Dio, non è semplicemente un separarci dagli altri per essere il Suo tesoro particolare (Esodo 19:5); non solo Dio ci ha separati per rendergli culto e servizio come gente per Lui santa (Geremia 2:3); non solo per proclamare le Sue lodi (Isaia 43:21), perché anche gli empi lo faranno, loro malgrado (Proverbi 16:4; Filippesi 2:11), ma siamo peculiarmente per Lui e per la Sua gloria, completamente in virtù della Sua grazia e misericordia. Tutto ciò che la grazia può fare per noi nel comunicarci Dio stesso, e tutto ciò che Egli farà per noi per magnificare la Sua gloria, sorge completamente dal libero favore che Egli ci manifesta. In altre parole, Dio non riceverà maggiore gloria in noi e su di noi di quella che sorge da ciò che Egli ci impartisce per grazia, cosicché la nostra felicità, effetto d'essa, si estenderà tanto quanto la Sua propria gloria come suo fine. Quant'è meraviglioso, quant'è grandioso, quanto inesprimibilmente beato che la gloria di Dio in noi si identifichi completamente nel nostro bene: Dio ha stabilito che queste due cose non solo siano inseparabili, ma che abbiano anche la stessa estensione. Se quindi Dio ha inteso così manifestare la Sua massima gloria, Egli pure manifesterà la Sua massima grazia. Non è semplicemente che Dio ci impartisca doni,
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benedizioni, ma che Egli comunichi Sé stesso a noi quanto meglio siamo in grado di fare come creature. "...affinché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio" (Efesini 3:19): tutto questo è così al di sopra della povera ragione umana, che nient'altro che la fede può intenderlo. Nel comunicare Sé stesso Dio comunica interamente Sé stesso, siano le Sue divine perfezioni per benedirci con esse, o con tutte le tre Persone: Padre, Figlio e Spirito Santo, affinché noi godiamo della loro presenza. Tutto ciò che è in Dio "serve" per rendere benedetti gli eletti (secondo la capacità creaturale) in quanto serve per renderlo beato nella Sua immensa infinità. Se noi abbiamo Dio stesso e tutto di Lui, allora siamo: "eredi di Dio" (Romani 8:17), perché siamo "coeredi con Cristo"; e che Dio stesso sia l'eredità di Cristo, è provato dalla Sua stessa dichiarazione: "Il SIGNORE è la mia parte di eredità e il mio calice; tu sostieni quel che mi è toccato in sorte" (Salmo 16:5). Più di questo che altro potremmo avere o desiderare? "Chi vince erediterà queste cose, io gli sarò Dio ed egli mi sarà figlio" (Apocalisse 21:7). In conseguenza dell'averci scelto per Lui stesso, Dio riserva Sé stesso per noi e tutto ciò che è in Lui. Se Romani 11:4, parla di Dio come di Colui che "si è riservato" gli eletti (vedasi il v. 5 e si noti il "pure"), così 1 Pietro 1:4, dice: "Essa è conservata in cielo per voi", com'è chiaro dal fatto che Dio stesso sia la nostra "eredità" e nessuno può condividere i suoi benefici oltre a quelli ai quali è destinata. Egli ci attende là, per così dire, finché saremo riuniti a Lui. Là, Egli ha atteso lungo i secoli, aspettando che passassero i grandi d'ogni nazione, riservando Sé stesso (come Egli ha stabilito nell'elezione) per i Suoi santi - "come se un grande principe in un sogno o in una visione, dovesse vedere l'immagine di una donna ancora da nascere e dovesse innamorarsi di quell'immagine, attendendo che nasca e che cresca, e non pensi minimamente di intrattenersi con altri amanti" (Thomas Goodwin). Lettore cristiano, se Dio ha un tale amore per te, quale dovrebbe essere il tuo amore per Lui! Se Egli si è donato interamente a te, quanto pure tu dovresti donarti interamente a Lui! 122
Quando Dio ci avrà portato in Cielo al sicuro attraverso tutte le prove e le afflizioni del mondo quaggiù, allora Egli renderà manifesto che il Suo disegno primo ed ultimo nell'eleggerci era perché appartenessimo a Lui e quindi il nostro primo benvenuto sarà quello di presentarci a Lui: "A colui che può preservarvi da ogni caduta e farvi comparire irreprensibili e con gioia davanti alla sua gloria" (Giuda 24), che è qui menzionato affinché noi Lo si possa anticipatamente lodare e dargli gloria. Crediamo che il riferimento qui non sia a Cristo (come in Efesini 5:27 e Ebrei 2:13) ma al Padre stesso, come suggerisce l'espressione: "davanti alla sua gloria", cioè Colui davanti al quale saremo "presentati". Questo è ulteriormente rilevato da "al Dio unico, nostro Salvatore per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore, siano gloria, maestà, forza e potere prima di tutti i tempi, ora e per tutti i secoli. Amen" (v. 25) [notate come qui il Padre sia chiaramente indicato come "nostro Salvatore" in Tito 3:4]. Tutti questi attributi appartengono, nelle dossologie ordinarie, al Padre. Dio ci farà comparire davanti a Sé "con gioia". Questo comparire, questa "presentazione" avviene non appena il singolo santo giunge in Cielo, sebbene essa sarà ripetuta più formalmente quando l'intera elezione della grazia pure vi giungerà. Come da parte nostra noi ci rallegreremo (e con buona ragione) così Dio, da parte Sua Dio si rallegrerà. Egli si compiace di farci comparire davanti a Sé con grande gioia, dato che fare ingresso in Cielo è qualcosa che riguarda Lui più di tutti. Questo presentarci a Sé stesso "davanti alla Sua gloria" è davvero per Lui occasione di grande gioia, così come i genitori si rallegrano di veder tornare i propri figli - lo si confronti con la gioia del padre in Luca 15. Questa è la gioia di vedere realizzati i Suoi propositi, la Sua gloria assicurata. Con questo si accorda: "Il SIGNORE, il tuo Dio, è in mezzo a te, come un potente che salva; egli si rallegrerà con gran gioia per causa tua; si acqueterà nel suo amore, esulterà, per causa tua, con grida di gioia" (Sofonia 3:17). Era per Sé stesso che Dio ci aveva scelti fin dall'inizio come Suo fine ultimo, ed allora sarà pienamente realizzato.
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Un altro testo biblico che insegna come Dio abbia scelto il Suo popolo per Sé stesso è: "...avendoci predestinati ad adottarci per Gesù Cristo, a sè stesso, secondo il beneplacito della sua volontà" (Efesini 1:5 Diodati). Il termine greco reso qui con "a sé stesso" può essere indifferentemente reso "per lui", cosicché in modo ugualmente giustificato, lo possiamo intendere in riferimento prima a Dio Padre, avendoci Egli predestinato "a Sé stesso" come fine ultimo di questa adozione; o, in secondo luogo, a Gesù Cristo, il quale pure è il fine per il quale Dio ci ha predestinato ad essere adottati. Che qui la preposizione greca eis significhi "per", denotando il fine o la causa finale, appare in molti luoghi, per esempio, nel versetto seguente: "alla lode della gloria della sua grazia, per la quale egli ci ha resi graditi a sè, in colui che è l'amato" (Diodati). Lo stesso appare in Romani 11:36: "Poichè da lui, e per lui, e per amor di lui, sono tutte le cose. A lui sia la gloria in eterno. Amen". Prenderemo così questa espressione nel senso più comprensivo e le daremo un duplice significato secondo il suo contesto e l'analogia della fede. Avendoci Dio predestinato "a Sé stesso" non deve essere compreso come riferentesi primariamente o da solo all'adottarci a Sé come Suoi figli, ma come denotando distintamente ed immediatamente il Suo eleggerci e predestinarci per la Sua grande e gloriosa Persona e per il Suo grande e benedetto Figlio. In altre parole, la frase che stiamo ora considerando indica un altro e più vasto fine del semplicemente Suo predestinare la nostra adozione (sebbene questa sia un fine speciale), ma è un fine inferiore e subordinato in confronto all'averci predestinato a Sé stesso. In primo luogo, Egli ci ha scelto in Cristo al fine di quella impeccabile santità che soddisfi la Sua propria natura; oltre a questo Egli ci ha predestinato all'onore ed alla gloria dell'adozione. Al di sopra di ogni cosa, però, la Sua grazia raggiunge la massima estensione nel fatto che Egli ci predestina a Sé stesso - il significato è meraviglia di ciò sul quale abbiamo riflettuto. Averci Dio predestinati "a Sé" denota il diritto che Egli ha su di noi come Sua speciale proprietà. "Le bestie dei campi, gli sciacalli 124
e gli struzzi, Lo glorificheranno" (Isaia 43) perché Gli appartengono, ma la Chiesa è Suo speciale tesoro e mezzo di gloria. Gli eletti sono consacrati a Lui in modo del tutto particolare: "Israele era consacrato al SIGNORE, egli era le primizie della sua rendita" (Geremia 2:3). Questo denota il Suo consacrarli a Sé stesso, come spiega la tipologia di Numeri 18. Per Cristo questo fatto è di estrema importanza: "Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per quelli che tu mi hai dati, perché sono tuoi" (Giovanni 17:9). Allo stesso modo l'Apostolo Paolo, suona la stessa nota quando scrive: "Tuttavia il solido fondamento di Dio rimane fermo, portando questo sigillo: «Il Signore conosce quelli che sono suoi», e «Si ritragga dall'iniquità chiunque pronuncia il nome del Signore»" (2 Timoteo 2:19). Denota pure lo sceglierci per essere santi di fronte a Lui, il consacrarci al Suo servizio e per il Suo culto, particolarmente in evidenza in Romani 11:4, dove il "mi sono riservato" è posto in contrasto al resto che è lasciato a rendere culto a Baal. La cosa più importante qui è l'assumerci a Sé stesso nell'unità e comunione più stretta, la partecipazione a Sé. Considerate ora la frase in Efesini 1:5 "avendoci predestinati ad adottarci per Gesù Cristo, a sè stesso, secondo il beneplacito della sua volontà", (Diodati) quando dice: "a Sé stesso" nel senso di "per Gesù Cristo". I termini greci autos e hautos sono usati indifferentemente per dire "Lui" o "Lui stesso", così non abbiamo difficoltà a renderlo "per Lui". È nelle preposizioni che vengono usate in riferimento a Cristo in connessione col rapporto che la Chiesa ha con Lui che la Sua gloria viene particolarmente rivelata: essi sono in Lui, tramite Lui, per Lui. Ciascuna di queste espressioni sono rese qui in Efesini 1:4-5 e questo in ordine: siamo stati scelti in Lui come nostro Capo, predestinati all'adozione attraverso di Lui come mezzo della nostra figliolanza, e destinati a Lui come nostro fine - l'onore di Cristo come pure la gloria della Sua grazia è stata resa il fine di Dio nel predestinarci. Le stesse tre cose sono attribuite a Cristo in connessione con la creazione e la provvidenza, vedi il greco di Colossesi 1:16. È però di Dio Padre soltanto, come la fonte, che leggiamo "di Lui" (l'Originatore) (Romani 11:36; 1 Corinzi 8:6; 2 Corinzi 5:18). Prima Dio decreta che il Suo amato Figlio sia reso visibilmente 125
glorioso nella natura umana attraverso un unione con essa della Sua stessa persona; e poi per la Sua maggiore gloria Dio decreta che noi si sia figli adottivi attraverso di Lui, Suoi fratelli, perché Dio non vuole che nella Sua umanità Suo Figlio sia solo, ma abbia "compagni" per promuovere la Sua gloria. In primo luogo, confrontandosi con Loro, perché Egli è "al di sopra dei tuoi compagni" (Salmo 45:7 ND), "affinché egli sia il primogenito tra molti fratelli" (Romani 8:9). In secondo luogo, Dio dà a Suo Figlio onore unico e gloria senza pari destinandolo ad essere Dio-uomo, e per ulteriormente promuovere la stessa, Egli stabilisce che vi debbano essere quelli che attorno a Lui vedano la Sua gloria e Lo magnifichino per essa (Giovanni 17:24). In terzo luogo, Dio ci destina all'adozione a che Cristo sia il mezzo di tutta la gloria della nostra figliolanza che abbiamo attraverso di Lui, perché Egli non solo è nella predestinazione il nostro modello, ma la sua stessa causa. Ora, nel divino consiglio dell'elezione, la considerazione dell'assunzione da parte di Cristo della natura umana non è stata fondata sulla supposizione o pre-visione della Caduta, come indica il fine della nostra predestinazione in Lui. Certo questo dovrebbe risultare ovvio. Portare, infatti, Cristo nel mondo a causa del nostro peccato, renderebbe la Sua esistenza solo funzionale alla nostra, rendendo così i nostri interessi il fine stesso della Sua incarnazione! Questo significherebbe davvero capovolgere ogni cosa! Il fine di ogni cosa, infatti, è Cristo e non noi! Questo significherebbe subordinare il valore infinito della Sua Persona ai benefici che riceviamo dalla dalla Sua opera, mentre la redenzione è di lunga inferiore al dono che Egli fa di Sé stesso a noi e di noi a Lui. Questo mostra pure come la stessa redenzione sia stata designata da Dio prima per la stessa gloria di Cristo, e poi per provvedere ai nostri bisogni.
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7. L’Elezione: la sua manifestazione Attraverso il Suo atto di elezione, Dio ha portato la chiesa in un definito e personale rapporto con Sé stesso, tanto che ora Egli considera i suoi membri come i Suoi propri cari figli e popolo. Di conseguenza, anche quando essi erano nella loro condizione naturale, prima della rigenerazione, Egli li considerava e vedeva come Suoi. Questa è una verità benedetta e meravigliosa, sebbene, ahimè, essa sia quasi sconosciuta nel cristianesimo contemporaneo. Oggi, infatti, si presuppone comunemente che noi diventiamo figli di Dio quando [spiritualmente] nasciamo di nuovo [quando "accettiamo" Cristo!], che non abbiamo rapporto con Cristo fintanto che Lo abbracciamo con le braccia della fede. Con le Scritture nelle nostre mani, però, non abbiamo scusa alcuna per una tale ignoranza e guai a coloro che deliberatamente ripudiano la loro chiara testimonianza a questo riguardo: al loro divino Autore essi dovranno rispondere per tale malvagità
Gli eletti: amati già da prima della loro conversione Sembra strano che quegli stessi che sono in prima linea nel propagare questo errore (senza rendersi conto che sia tale, speriamo) sono coloro che probabilmente hanno detto e scritto maggiormente di chiunque altro sul tipico insegnamento del Libro dell'Esodo. Chiediamo così loro: gli Ebrei non appartenevano forse a Dio prima che Egli mandasse Mosè a liberarli dalla casa di schiavitù, prima che il sangue dell'agnello pasquale fosse immolato, sì, persino quando erano immersi nell'idolatria (Ezechiele 20:5-9)? Certo, a Mosè, Dio aveva dichiarato: "Ho visto, ho visto l'afflizione del mio popolo che è in Egitto e ho udito il grido che gli strappano i suoi oppressori; infatti conosco i suoi affanni" (Esodo 3:7) ed a Faraone Dio aveva chiesto: "Lascia andare il mio popolo, perché mi celebri una festa nel deserto" (Esodo 5:1). Non è forse vero che gli Ebrei erano una prefigurazione, divinamente stabilita, dell'Israele di Dio, dell'elezione spirituale della grazia?
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È indubbiamente vero che gli eletti di Dio erano "per natura figli d'ira, come gli altri" (Efesini 2:3), ciononostante, le loro persone sono state amate da Lui con un amore eterno. Di conseguenza, prima che lo Spirito Santo sia mandato per risvegliarli a novità di vita, il Signore Iddio li contempla e parla di loro come il Suo popolo, la Sua gente. Dato che questo oggi è così poco conosciuto, faremo qui una pausa per fornire di questo la prova scritturale. In primo luogo, Dio li chiama Suoi figli: "Tutti i tuoi figli saranno discepoli del SIGNORE e grande sarà la pace dei tuoi figli" (Isaia 54:13): essi sono Suoi figli prima che essi diventino Suoi discepoli. Ancora: "...non soltanto per la nazione, ma anche per riunire in uno i figli di Dio dispersi" (Giovanni 11:52): essi sono Suoi figli prima che Egli "li raccolga". In secondo luogo, Dio li designa Suo popolo: "Il tuo popolo si offrirà volenteroso nel giorno del tuo potere" (Salmo 110:3 ND): Dio ha un popolo, ma esso "si offrirà volenteroso" quando la potenza dello Spirito Santo inizia ad operare in loro. "....perché io sono con te, e nessuno ti metterà le mani addosso per farti del male; perché io ho un popolo numeroso in questa città" (Atti 18:10): Dio dice a Paolo di avere "un popolo" in quella città pagana, e lo dice prima ancora che egli vi predichi e che essi giungano alla fede! In terzo luogo, Cristo chiama "Sue pecore" gli eletti di Dio prima ancora che siano portati nel Suo ovile: "Ho anche altre pecore, che non sono di quest'ovile; anche quelle devo raccogliere ed esse ascolteranno la mia voce, e vi sarà un solo gregge, un solo pastore" (Giovanni 10:16). Chi sono queste "altre pecore" se non i Suoi eletti che ancora si trovano fra i pagani e che, a suo tempo, verranno associati al Suo gregge attraverso la predicazione dell'Evangelo? In quarto luogo, gli eletti sono considerati "tenda di Davide" quando essi ancora sono fra le rovine della Caduta: "Fratelli, ascoltatemi: Simone ha riferito come Dio all'inizio ha voluto scegliersi tra gli stranieri un popolo consacrato al suo nome. E con ciò si accordano le parole dei profeti, come sta scritto: "Dopo queste cose ritornerò e ricostruirò la tenda di Davide, che è caduta; e restaurerò le sue rovine, e la rimetterò in piedi" (Atti 15:14-16). Nell'era 128
apostolica Dio comincia ad estrarre dal paganesimo un popolo per il Suo nome, e di questo aveva profetizzato Amos: "La tenda di Davide, cioè gli eletti di Dio, un tempo si trovavano in Adamo con i non-eletti, e con loro erano caduti. Il Signore, però, li rimetterà in piedi, non nel primo Adamo, ma nel secondo Adamo, ed essi diventeranno abitazione di Dio attraverso lo Spirito" (James Wells). L'amore nel cuore di Dio era dall'eternità un segreto in Lui stesso, essendo completamente sconosciuto prima della fondazione del mondo eccetto che a Cristo, il Dio-uomo, eppure esso è stato di fatto esercitato verso l'intera elezione della grazia. Sebbene essi fossero amati con un amore tale da essere contenuto nel massimo della buona volontà di Dio verso di loro, e comprendente il massimo della benedizione, grazia e gloria, esso era conformato in modo tale da esserne essi, per un tempo, del tutto ignari. Sebbene gli atti della volontà di Dio nella Persona di Cristo al loro riguardo e su di loro erano tali da non cessare giammai, essi dovevano essere per un tempo in condizione tale da non essere loro aperti e fatti conoscere. Tutto era nell'incomprensibile mente di Jahvè dall'eternità e questo amore non sarà loro mai sottratto. La rivelazione e la manifestazione di questi atti, però, è fatta in tempi diversi ed in vari gradi. Le varie condizioni in cui gli eletti di Dio si trovano, non solo mostra la molteplice sapienza di Dio, ma illustra le stesse osservazioni che abbiamo fatto più sopra. Gli eletti dovevano essere in uno stato di creazione in purezza e santità; come tali essi erano stati naturalmente creati in Adamo. Da quella primordiale condizione, essi sono decaduti nel peccato e nella miseria, condividendo così la colpa e la depravazione del loro "capo federale", Adamo. Da quella condizione, quindi, essi dovevano essere estratti mediante l'opera redentrice di Cristo e portati a conoscerla per mezzo delle operazioni vivificanti e santificanti dello Spirito Santo. Dopo che il loro corso terreno sarà terminato, essi verranno portati in una condizione d'assenza di peccato, riposando così dal loro travaglio ed aspettando il pieno compimento della loro salvezza. A tempo debito essi saranno
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portati alla risurrezione e di là passeranno alla condizione d'eterna gloria e di indicibile beatitudine. Allo stesso modo, vi sono fasi differenti attraverso le quali si sviluppa il proposito eterno di Dio al riguardo del Suo popolo. Il principio dell'elezione è stato all'opera sin dall'inizio della storia umana. Non appena avviene la Caduta, infatti, il Signore traccia una linea di distinzione fra "la progenie della donna" e "la progenie del serpente" (Genesi 3:15), esemplificato dapprima dal caso netto di Caino ed Abele (1 Giovanni 3:12). In un capitolo precedente abbiamo richiamato l'attenzione all'operatività continua di questo principio di selezione come lo vediamo nelle famiglie di Noè, Abraamo, Isacco, e Giacobbe e, in modo ancora più cospicuo, nella separazione di Israele dalle altre nazioni come il popolo che Jahvè sceglie e fa oggetto del Suo speciale favore. Ciò che però ora vogliamo considerare, non è tanto il modo in cui opera l'eterno proposito di grazia di Dio, quanto la sua manifestazione.
In che modo l'elezione è palesata In tutte queste fasi attraverso le quali gli eletti sono destinati a passare, l'amore di Dio è esercitato e manifestato verso loro e su di loro secondo il consiglio della Sua volontà. Il segreto ed eterno amore di Dio per i Suoi eletti e l'aperta sua rivelazione, sebbene contenga diverse parti, è uno ed uno stesso amore. Il primo atto dell'amore di Dio verso le persone che Egli sceglie in Cristo consiste nel dare loro l'essere e il benessere in Cristo per l'eternità. Per Dio questo è l'atto fondamentale di ogni grazia e gloria, il fatto cioè "che ci ha benedetti di ogni benedizione spirituale nei luoghi celesti in Cristo" (Efesini 1:3). L'amore di Dio nel Suo proprio cuore verso la persona che è in Cristo, il Capo dell'intera elezione della grazia, non può essere espresso adeguatamente, ed il Suo amore verso la persona degli eletti in Cristo è così grande ed infinito che le Scritture stesse dicono di esse che "sorpassa ogni conoscenza". L'aperta espressione e manifestazione di questo amore sarà ora oggetto delle nostre riflessioni.
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1. La missione di Cristo In primo luogo, l'incarnazione e la missione di Cristo: "In questo si è manifestato per noi l'amore di Dio: che Dio ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo affinché, per mezzo di lui, vivessimo" (1 Giovanni 4:9). Notate le persone alle quali Dio manifesta così il Suo amore, qui espresso dalla parola "noi". Gli scrittori sacri usano questo termine per includervi ed esprimervi i santi di Dio. È qualità distintiva degli apostoli la capacità di comunicare efficacemente alla mente dei santi ed applicare alla loro vita la verità affinché sia sentita in tutta la sua grande importanza. Che l'argomento sia l'elezione, la redenzione, la chiamata efficace o la glorificazione, quando essi usano il pronome "noi" essi includono sé stessi e tutti i credenti ai quali scrivono. Questo serve per mettere in rilievo come le benedizioni ed i benefici della grazia sono destinati proprio a loro: questo li apre a ricevere ed a godere ciò che le Scritture loro annunciano. Per illustrare ciò che abbiamo detto, contate quante volte l'apostolo usi qui il "noi", sia come soggetto che come complemento oggetto: "Benedetto sia il Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo, che ci ha benedetti di ogni benedizione spirituale nei luoghi celesti in Cristo In lui ci ha eletti prima della creazione del mondo perché [noi] fossimo santi e irreprensibili dinanzi a lui, avendoci predestinati nel suo amore a essere adottati per mezzo di Gesù Cristo come suoi figli, secondo il disegno benevolo della sua volontà, a lode della gloria della sua grazia, che ci ha concessa nel suo amato Figlio" (Efesini 1:3-6). In questo brano si evidenzia come l'elezione in Cristo riguardi quegli uomini e quelle donne che sono chiamati a far parte della chiesa. Lo stesso vale per la chiamata efficace in Romani 9:24, la salvezza (2 Timoteo 1:9) e la glorificazione (Efesini 2:7; Romani 8:18). Osserviamo attentamente come l'uso di questo "noi" includa tutta l'elezione della grazia ed escluda ogni altro, tanto che queste cose
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non possono essere applicate a nessun altro se non coloro che Dio ha chiamato ad essere in comunione con Gesù Cristo. Consideriamo ora in che cosa consista questa aperta manifestazione dell'amore di Dio nell'incarnazione e nella missione di Cristo. Nella mente infinita di Jahvé, tutto il Suo amore in favore degli eletti è concepito dall'eternità, insieme ai vari modi e mezzi attraverso i quali esso deve essere manifestato e fatto conoscere nella condizione temporale, cosicché la Chiesa possa esserne più sensibilmente resa consapevole e grata. In quanto è piaciuto al Signore, nonostante il Suo amore eterno verso il Suo popolo in Cristo, che esso decadesse dallo stato di purezza creaturale nella depravazione, così pure da essa è stata predeterminata la loro redenzione. Avviene così una transazione sulla base di un patto fra il Padre ed il Figlio, secondo la quale il Figlio si impegna ad assumere la natura umana ed agire come Garante e Redentore del popolo che Gli è affidato. Sono fissate così, come mezzo della loro salvezza, la Sua incarnazione, vita e morte. Tutto questo diventa l'argomento della profezia veterotestamentaria, che Cristo, cioè, sia manifestato nella carne, ciò che debba compiere e soffrire per conseguire eterna giustizia. Ciò che è stato rivelato nelle Scritture profetiche al riguardo di Cristo, rende pienamente evidente come a Dio appartenga tutto ciò che ha preso le sue mosse in Cielo, prima dell'inizio del tempo, nella transazione avvenuta nell'ambito del consiglio di Dio, cioè il frutto della consultazione fra Jahvè e Colui che la Scrittura chiama il Germoglio (Zaccaria 6:12), del quale lo Spirito eterno è testimone. Egli lo rende noto a uomini santi, che così parlano sospinti da Lui, perché lo Spirito scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio. Nella Persona dell'Emmanuele, Dio con noi, mediante la Sua aperta incarnazione e la salvezza che opera e porta onorevolmente a compimento, tutto l'amore della benedetta Trinità, viene riflesso nel modo più glorioso. Dio brilla in tutta la grandezza e maestà del Suo amore verso la Chiesa in Cristo, e così manifesta loro la Sua eterna buona volontà. Egli li ha tanto amati da donare loro il Suo Unigenito Figlio. Tutto questo è chiaramente presentato nella Sua Parola, tanto che essa è
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pienamente sufficiente per farcene conservare nella mente il suo vivo ricordo, così come lo Spirito si compiace di mantenerne conoscenza fiduciosa nel nostro cuore. Un breve accenno al fine di questa manifestazione dell'amore di Dio come se ne parla in 1 Giovanni 4:9: "In questo si è manifestato per noi l'amore di Dio: che Dio ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo affinché, per mezzo di lui, vivessimo". Il fine è: "affinché per mezzo di Lui noi vivessimo". "È attraverso l'incarnazione e mediazione del Signore Gesù Cristo che noi viviamo attraverso di Lui una vita di giustificazione, pace, perdono, accoglienza, ed accesso a Dio. Gli eletti di Dio nel loro stato decaduto erano tutti peccato, corruzione, miseria e morte. In queste circostanze, Iddio raccomanda il Suo amore verso di loro, nel fatto che, mentre erano ancora peccatori, Cristo sia morto per loro. Egli, attraverso la Sua morte, rimuove da essi il loro peccato. Egli li ama e li lava dai loro peccati nel Suo stesso sangue riavvicinandoli così a Dio. È questo il modo in cui Dio rende manifesto ed evidente il Suo amore eterno verso di loro". [S. E. Pierce, al cui magnifico sermone su 1 Giovanni 4:9, noi siamo con gioia e riconoscenza debitori]. Uno stupefacente parallelo con il testo biblico che abbiamo considerato poco fa, è l'affermazione che il Signore rivolge a Suo Padre in Giovanni 17:6: "Io ho manifestato il tuo nome agli uomini che tu mi hai dati dal mondo; erano tuoi e tu me li hai dati; ed essi hanno osservato la tua parola". La manifestazione del nome di Dio, o il segreto mistero della Sua mente e volontà, poteva solo essere fatta da Cristo, il quale era stato dall'eternità nel seno del Padre e che si incarna per rendere visibile Colui che è invisibile. Era ufficio ed opera del Messia quello di aprire "la sapienza di Dio misteriosa e nascosta" (1 Corinzi 1:7), di aprire il luogo santissimo, dichiarare quel che era stato tenuto segreto sin dalla fondazione del mondo, e qui Giovanni 17, dichiara che Egli l'ha fedelmente adempiuto. Notate però bene come il "noi" di 1 Giovanni 4:9, sia qui definito come: "gli uomini che tu mi hai dati dal mondo". Sì, è a loro che Cristo manifesta l'ineffabile nome di Dio.
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In Giovanni 17, Cristo, apre l'intero cuore di Dio, rendendo noto il Suo amore eterno come mai prima era stato rivelato. In esso, Egli spiega la buona volontà che il Padre ha manifestato agli eletti in Cristo Gesù, in maniera sufficiente da riempire la mente spirituale di conoscenza e comprensione. Essa è calcolata tanto da promuovere piena fiducia nel Signore per tutte le benedizioni di questa vita e di quella a venire. E chi avrebbe potuto fornire queste informazioni se non Lui solo? Egli è sceso dal Cielo con questo espresso fine e disegno. Egli è il grande Profeta sulla casa di Dio. Egli ha la chiave di tutti i tesori della grazia e della gloria. In Lui "tutti i tesori della sapienza e della conoscenza sono nascosti" (Colossesi 2:3). Per "nome di Dio" si intende tutto quel che Egli è in quanto Egli ce lo manifesta e comunica. Questo è l'amore che Egli ha verso la Chiesa, il suo rapporto con il Suo popolo in Cristo, l'eterno rallegrarsi del Suo cuore in loro: tutto questo Cristo si è compiaciuto di rivelare pienamente. Il Signore ci ammette alla Sua conoscenza: questo è ciò che ci conduce a conoscere che Dio ci ha reso oggetto della Sua elezione. È fonte di gioia per noi, il solo contemplare questo fatto. Per questo Cristo dice: "Rallegratevi perché i vostri nomi sono scritti nei cieli" (Luca 10:20). Dato che non possiamo sapere che siamo i beneamati di Dio se non credendo in Suo Figlio, così questo è il frutto di conoscenza spirituale. Cristo ha la chiave della conoscenza ed apre la porta della fede, così che noi Lo riceviamo com'è rivelato nella Parola. È Lui che, attraverso il Suo Spirito, si compiace di spargere l'amore di Dio nei nostri cuori mediante lo Spirito Santo che ci è stato dato. Egli ci dona lo Spirito per rivelare alla nostra mente il patto eterno: per questo siamo portati a conoscere ed a sentire l'amore di Dio come la fonte e sorgente di ogni grazia ed eterna consolazione. Come Jahvè aveva fatto passare tutta la Sua bontà davanti a Mosè, mostrandogli la Sua gloria (Esodo 33:19), così Egli ci dà accesso alla conoscenza di Sé stesso come: "il Dio misericordioso e pietoso, lento all'ira, ricco in bontà e fedeltà" (Esodo 34:6).
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2. Una chiamata soprannaturale In secondo luogo, attraverso una chiamata soprannaturale. Abbiamo già accennato a questo negli ultimi due paragrafi, ma ora dobbiamo considerarlo in modo più approfondito. La chiamata di un eletto è il primo ed immediato frutto e manifestazione del proposito di Dio nella grazia dell'elezione. "Il fiume scorreva al di sotto della superficie del terreno dall'eternità, ma ad un certo punto l'acqua esce fuori gorgogliando e scorre sul terreno per l'eternità. Si tratta della grandiosa ed iniziale differenza che Dio stabilisce fra uomo e uomo, il primo segno che egli pone sulle sue pecore, attraverso il quale Egli le dichiara Sua proprietà e significa visibilmente che esse appartengono a Lui" (Thomas Goodwin). "quelli che ha predestinati li ha pure chiamati; e quelli che ha chiamati li ha pure giustificati; e quelli che ha giustificati li ha pure glorificati" (Romani 8:30). Il beneficio originario è il fatto che Egli ci abbia predestinato. La prima benedizione che ne consegue è quella di chiamarci. Lo stesso ordine appare nel versetto: "Egli ci ha salvati e ci ha rivolto una santa chiamata, non a motivo delle nostre opere, ma secondo il suo proposito e la grazia che ci è stata fatta in Cristo Gesù fin dall'eternità" (2 Timoteo 1:9). Il proposito eterno è reso evidente nel tempo attraverso la divina chiamata. Un altro testo biblico che presenta la medesima verità è il ben noto: "Perciò, fratelli, impegnatevi sempre di più a render sicura la vostra vocazione ed elezione; perché, così facendo, non inciamperete mai" (2 Pietro 1:10). In evidenza, qui, non è tanto la nostra fede o la nostra giustificazione, ma la nostra "vocazione" (o chiamata), che siamo esortati a "rendere sicura" (o "ferma"), perché è così che potremo avere testimonianza alla nostra fede della nostra elezione. Non che l'elezione non sia sicura senza di essa, infatti, "il solido fondamento di Dio [il Suo eterno decreto] rimane fermo, portando questo sigillo: «Il Signore conosce quelli che sono suoi»" (2 Timoteo 2:19), e questo prima della nostra vocazione, ma affinché essa sia, per così dire, certificata alla nostra fede. L'Apostolo, nelle sue lettere, scrive in modo omogeneo: quando si rivolge ai credenti egli mostra come i due termini "elezione" e "chiamata" siano strettamente legati. È così che Paolo scrive:
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"...alla chiesa di Dio che è in Corinto, ai santificati in Cristo Gesù, chiamati santi" (1 Corinzi 1:2), cioè chiamati per essere santi. Allo stesso modo Pietro: "La chiesa che è in Babilonia, eletta come voi, vi saluta" (1 Pietro 5:13). I termini sono equivalenti: gli Apostoli non riconoscono altra vera "chiamata" o "vocazione" se non quella che è immediata prova di elezione, essendo commisurata alle stesse persone. È stupefacente osservare con quale grazia lo Spirito abbia accondisceso di abbassarsi e di venire in soccorso alle nostre infermità - questa preziosa verità è così frequentemente reiterata nella Parola da non lasciare spazio a dubbi. "Da tempi lontani il SIGNORE mi è apparso. Sì, io ti amo di un amore eterno; perciò ti prolungo la mia bontà" (Geremia 31:3). Sono due le cose che qui vengono affermate ed il rapporto intimo e inseparabile che le lega è affermato con forza. In primo luogo, l'amore eterno che Dio ha per i Suoi; in secondo luogo, l'effetto e la manifestazione dello stesso. È tramite la chiamata efficace dello Spirito che gli eletti vengono estratti dalla loro condizione naturale e portati a Dio in Cristo. Questa chiamata soprannaturale attraverso la quale Dio li attira a Sé, è qui espressamente attribuita alla bontà di Dio, e la connessione fra questa e il Suo amore eterno è rilevata da quel "perciò". È così che, quando Dio ci riconcilia a Sé stesso, noi abbiamo prova della Sua eterna buona volontà verso di noi. L'amore eterno e la grazia del Dio trino, verso i Suoi eletti è reso loro manifesto in questo mondo dai frutti degli effetti immediati dello stesso: ciò che era stato conservato segretamente nel cuore di Jahvè è gradualmente portato a manifestazione aperta alla Chiesa attraverso le Sue opere meravigliose. Non ci si deve attendere che il mondo degli empi abbia interesse alcuno a queste transazioni, ma per i rigenerati esse sono fonte di gioia sempre più grande. Come abbiamo rilevato in precedenza, l'amore del Dio che elegge si manifesta prima nell'incarnazione e nella missione del Suo caro Figlio, destinato a compiere la redenzione del Suo popolo decaduto in Adamo. In secondo luogo, il proposito eterno della grazia di Dio è rivelato in ed attraverso la 136
chiamata divina che l'eletto riceve mentre è sulla terra. Dobbiamo ora considerare in maggiore dettaglio che cosa realmente sia questa chiamata. 1. Prima di tutto dobbiamo distinguere attentamente fra la chiamata ricevuta dagli eletti e quella che perviene a tutti coloro che odono la proclamazione della Parola: la prima è particolare, l'altra è generale. Chiunque oda la Parola (l'Evangelo), o abbia nelle mani la sua forma scritta, è chiamato da Dio a rinunciare ai propri peccati e ad invocare la misericordia di Dio in Cristo. La chiamata generale perviene allo stesso modo tanto agli eletti quanto ai non-eletti, ma, ahimè, è rifiutata da tutti. Questa chiamata generale è descritta in brani come: "Mi rivolgo a voi, o uomini, e la mia voce è indirizzata ai figli dell'uomo" (Proverbi 8:4 ND); "Molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti" (Matteo 22:14). Il rifiuto che essi oppongono a questa chiamata è rappresentato in questo modo: "Quando ho chiamato avete rifiutato d'ascoltare, quando ho steso la mano nessuno vi ha badato" (Proverbi 1:24), "Tutti allo stesso modo cominciarono a scusarsi" (Luca 14:18 ND). È però con la chiamata speciale e particolare, della quale gli eletti soltanto sono oggetto, di cui noi ci vogliamo occupare qui. 2. In secondo luogo, questa chiamata degli eletti è individuale ed interiore, non cade, per così dire, sull'orecchio esteriore, ma penetra fino al cuore stesso. È la potenza della Parola di Dio, che li raggiunge nella loro condizione naturale di morte spirituale e li vivifica a novità di vita. È il Buon Pastore che cerca e salva le Sue pecore perdute, le ricupera e le riporta presso Suo Padre, com'è scritto: "Le pecore ascoltano la sua voce, ed egli chiama le proprie pecore per nome e le conduce fuori. Quando ha messo fuori tutte le sue pecore, va davanti a loro, e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce" (Giovanni 10:3-4). Dal punto di vista legale, la salvezza degli eletti di Dio è diventata fatto compiuto quando Cristo è morto e risorto, ma essa diventa esperienza attuale quando lo Spirito del Figlio di Dio è mandato nel loro cuore. "Dio ha mandato lo Spirito del Figlio suo nei nostri cuori, che grida: Abbà, Padre" (Galati 4:6). È solo mediante lo Spirito che 137
ci viene data conoscenza salvifica della Verità, essendo portati da Lui ad accoglierla giustamente. Allora lo Spirito tanto illumina la nostra mente da metterci in grado di cogliere la conoscenza spirituale di Dio e di Suo Figlio Gesù Cristo. 3. In terzo luogo, si tratta di una chiamata efficace, essendo realizzata dall'opera sovrannaturale dello Spirito. Vale sia nella nuova creazione come nella vecchia che: "Egli parlò, e la cosa fu; egli comandò e la cosa apparve" (Salmo 33:9). A questa chiamata efficace si riferiscono brani come: "Il tuo popolo si offrirà volenteroso nel giorno del tuo potere" (Salmo 110:3 ND). La loro naturale resistenza a sottomettersi completamente a ciò che il Signore esige viene piegata dalla comunicazione di una travolgente consapevolezza della grazia e dell'amore di Dio nei loro riguardi. Ancora: "Tutti i tuoi figli saranno ammaestrati dall'Eterno" (Isaia 54:13 ND), ammaestrati in tal modo che: "Noi sappiamo che il Figlio di Dio è venuto e ci ha dato intendimento, affinché conosciamo colui che è il Vero" (1 Giovanni 5:20 ND). Lo ripetiamo: questa chiamata efficace è Dio che realizza le promesse del Nuovo Patto: "Questo è il patto che farò con la casa d'Israele dopo quei giorni», dice il Signore: «io metterò le mie leggi nelle loro menti, le scriverò sui loro cuori; e sarò il loro Dio, ed essi saranno il mio popolo" (Ebrei 8:10). I teologi saggiamente hanno voluto distinguere la "chiamata efficace" da quella generale ed esteriore che giunge a tutti coloro che odono l'Evangelo. Questa chiamata efficace non è un invito, ma è l'atto concreto per mezzo del quale Dio impartisce luce e vita. Essa è frutto immediato del meraviglioso ed infinito amore di Dio alla nostra persona quando noi eravamo nient'affatto amabili, anzi, soggetti a null'altro se non ciò che ci rende ributtanti ed odiosi (vedasi Ezechiele 16:4-8)! È allora che lo Spirito Santo viene donato agli eletti, donato per realizzare nell'esperienza ciò che Cristo ha conseguito per loro. Riconosciamolo chiaramente e con gratitudine: il dono che ci viene fatto dello Spirito Santo è altrettanto grande quanto il dono stesso che ci viene fatto di Cristo. Quando lo Spirito viene a dimorare in noi, noi siamo santificati e suggellati per il giorno della redenzione. Quando lo Spirito di Dio viene a dimorare in
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noi, noi diventiamo tempio del Dio vivente, la Sua dimora sulla terra. Non è sufficientemente riconosciuto come tutti i benefici di grazia del patto siano nelle mani dello Spirito Santo, la cui funzione ed opera è quella di portare gli eletti a Cristo (chiamandoli efficacemente) e di far loro conoscere ed applicare alle loro anime la salvezza che il Signore Gesù ha adempiuto ed operato per loro. Egli scende dal Cielo come conseguenza dell'opera espiatoria ed ascensione di Cristo, e proclama a dei miserabili peccatori la salvezza che il Signore ha procurato loro. Egli entra nel loro cuore pieno di peccato e di guai e fa loro conoscere la salvezza che il Signore ha procurato loro. Egli pone loro in possesso delle cose che accompagnano la salvezza attraverso la fede nella Persona ed opera di Cristo, e poi diventa il loro Consolatore. Essi non pregano che lo Spirito venga a rigenerarli, perché essi Lo hanno già ricevuto come lo Spirito che impartisce loro vita e santificazione. Ciò che ora essi devono fare è pregare per la grazia di riceverlo come lo Spirito di adozione, affinché Egli possa testimoniare con il loro spirito che essi sono figli di Dio. Ora questa chiamata efficace è conseguenza propria e necessaria ed effetto dell'eterna elezione, perché gli unici a ricevere questa vocazione soprannaturale sono soltanto i Suoi eletti. Ogni qual volta, infatti, si consideri la predestinazione di una persona alla gloria eterna, si dovrà essere necessariamente in presenza di una persona che sia stata efficacemente chiamata alla fede ed alla santità. "Noi dobbiamo sempre ringraziare Dio per voi, fratelli amati dal Signore, perché Dio fin dal principio vi ha eletti a salvezza mediante la santificazione nello Spirito e la fede nella verità" (2 Tessalonicesi 2:13). Gli eletti sono scelti per la salvezza attraverso la libera e sovrana grazia di Dio; com'è, però, che si ottiene di fatto la salvezza? In che modo i favoriti dalla grazia sono personalmente portati a possederla? Mediante la santificazione nello Spirito e la fede nella verità, e in nessun altro modo. Il decreto di elezione è Dio che destina a vita eterna e gloria: ne consegue in modo evidente che chi ne è fatto oggetto veda Dio che opera in lui o in lei effettiva
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santità attraverso l'opera rigenerante e santificante dello Spirito. È con questo mezzo che lo Spirito comunica ciò che Cristo per loro ha procurato. "... e ciò per far conoscere la ricchezza della sua gloria verso dei vasi di misericordia che aveva già prima preparati per la gloria, cioè verso di noi, che egli ha chiamato non soltanto fra i Giudei ma anche fra gli stranieri?" (Romani 9:23-24). Nei versetti immediatamente precedenti a questi, l'Apostolo aveva trattato l'argomento indicibilmente temibile di come Dio manifesti la Sua ira e faccia conoscere la Sua potenza in connessione con i non-eletti. Qui, però, egli riprende il tema beato di come Dio riversi le ricchezze della Sua gloria verso gli eletti vasi di misericordia. Questo avviene attraverso la chiamata efficace ricevuta da ciascun membro del Suo popolo. Questa vocazione è esattamente ciò che serve per manifestare verso di noi la grazia eterna. Lo esprime Romani 8:28: siamo chiamati "secondo il suo disegno", in altre parole, lo Spirito ci viene donato affinché il decreto di Dio si realizzi o, per metterla in altro modo, affinché il credente, attraverso la Sua chiamata efficace, possa rivolgere il suo sguardo verso l'alto verso l'amore eterno di cui Dio l'ha fatto oggetto, come se attraverso una fessura di un muro egli scorgesse il bagliore del sole nel cielo. Così come l'amore di Dio Padre si manifesta principalmente attraverso l'atto di elezione e si esprime nel dono del Suo Unigenito Figlio per essere nostro Capo e Mediatore, e come l'amore di Dio, il Figlio, brilla in tutto il suo fulgore nella Sua incarnazione, ubbidienza e dono della Sua vita per noi, così l'amore di Dio, lo Spirito, si manifesta nel rivelarci nella Parola le eterne transazioni fra il Padre ed il Figlio e illuminando la nostra mente di una conoscenza vera, vitale e spirituale del Padre e del Figlio. È nella chiamata efficace che lo Spirito si compiace di rivelare interiormente ed applicare all'anima la salvezza in Cristo. Per essa è davvero l'alba di un nuovo giorno: in essa peccatori spiritualmente morti sono vivificati, i loro duri cuori ammorbiditi, le loro volontà ostinate rese flessibili, grandi peccati manifestamente perdonati, e misericordia infinita manifestata e 140
magnificata. È allora che lo Spirito Santo, che è il Signore ed il datore di ogni vita spirituale, mette in grado grandi peccatori di conoscere come Dio sia amore. Mediante il Suo Spirito, Cristo si compiace di spargere nei nostri cuori l'amore di Dio, ed attraverso l'Evangelo Egli ci manifesta la conoscenza dell'amore del Padre per noi. Egli ci dona lo Spirito affinché di tutto questo la nostra mente ne abbia la rivelazione. È così che noi siamo condotti a conoscere e sentire l'amore di Dio come fondamento di ogni grazia e di eterna consolazione. Come la conoscenza della nostra personale elezione (ottenuta tramite la nostra chiamata efficace) rende a noi evidente d'essere vicini a Lui e cari al Suo cuore, così ne consegue la consapevolezza che noi siamo cari al cuore di Cristo. Quando lo Spirito ci impartisce la conoscenza dell'amore del Padre verso di noi nel Suo caro Figlio, noi veniamo pure condotti ad investigare e studiare il meraviglioso argomento dell'elezione, e più lo conosciamo, maggiormente ne siamo stupefatti. Con questo mezzo, sotto l'influenza dello Spirito Santo, tanto siamo condotti ad una tale contemplazione della grazia del Signore Gesù che il nostro cuore si riempie di santa soddisfazione e gioia.
3. Una trasformazione soprannaturale In terzo luogo, l'eterno proposito della grazia di Dio verso di noi si manifesta in una trasformazione soprannaturale. Strettamente parlando, questo non è un aspetto separato del nostro argomento, perché la nuova nascita è con la chiamata efficace una e la stessa; ciononostante, ai fini di una maggiore chiarezza e per risolvere quei dubbi dei quali i rigenerati sono colti, riteniamo opportuno considerarlo separatamente. Quando un'anima sincera apprende come vi sia una chiamata esterna e generale, ed una particolare ed interiore, essa vorrebbe verificare quali fra queste abbia ricevuto, o meglio, se sia stata favorita da quest'ultima, perché è solo la chiamata soprannaturale dello Spirito ad essere efficace per la salvezza. È solo a questo punto che molti fra il caro popolo di Dio, sembrano essere perplessi e confusi: accertarsi e rendere sicuro di essere effettivamente passati dalla morte alla vita e di essere stati portati in comunione vitale con Cristo. 141
Nel cercare di chiarire questo punto, lo scrittore deve guardarsi dall'invadere troppo quel che solo sarà l'argomento del capitolo successivo. Per il momento stiamo trattando di come l'elezione si manifesti, in particolare come essa si veda in quella trasformazione soprannaturale che è operata in coloro che ne sono oggetto nel momento in cui ricevono da Dio la chiamata efficace. Ci limiteremo, quindi, a cercare di descrivere alcune fra le caratteristiche principali di questa trasformazione soprannaturale. Questa trasformazione soprannaturale è descritta in termini generali in questo modo: "Se dunque uno è in Cristo, egli è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate: ecco, sono diventate nuove" (2 Corinzi 5:17). Un altro testo che tratta della stessa cosa è: "La sua potenza divina ci ha donato tutto ciò che riguarda la vita e la pietà mediante la conoscenza di colui che ci ha chiamati con la propria gloria e virtù" (2 Pietro 1:3). Nel leggere questo testo appare subito come esso sia rilevante all'argomento in discussione perché si riferisce specificatamente alla nostra chiamata efficace ed attribuisce la stessa alla divina potenza di Dio. Questa trasformazione soprannaturale consiste, dunque, nel nostro essere fatte nuove creature in Cristo Gesù. Il prodotto dell'opera dello Spirito alla nuova nascita, sebbene si tratti spiritualmente di un piccolo e debole bimbo, è, ciononostante, "una nuova creatura"; è stata impartita nuova vita, sono stati comunicati nuovi principi da cui procedono nuove azioni. È allora che: "dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto grazia su grazia" (Giovanni 1:16), cioè ogni grazia spirituale in Colui che è il Capo, viene trasmessa a tutti i Suoi membri; ogni grazia da Cristo nel cristiano è ora completa in tutte le sue parti: "grazia su grazia" così come un bimbo riceve tutte le sue membra dai suoi genitori. Nel momento della nostra chiamata efficace, la divina potenza ci dona "tutto ciò che riguarda la vita e la pietà". Di che cosa sia composto questo "tutto" ci dobbiamo ora occupare brevemente. La comprensione di ciò che è spirituale. In primo luogo, la comprensione di ciò che è spirituale. L'essere umano naturale non può né percepire né ricevere le cose in maniera spirituale (sebbene possa riflettervi in maniera naturale ed intellettuale,
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perché è privo di discernimento spirituale: "l'uomo naturale non riceve le cose dello Spirito di Dio, perché esse sono pazzia per lui; e non le può conoscere, perché devono essere giudicate spiritualmente" (1 Corinzi 2:14). Quando, però, siamo efficacemente chiamati, Dio ci dà "intelligenza per conoscere colui che è il Vero" (1 Giovanni 5:20). Per questo 2 Pietro 1:3, dichiara che tutte le cose che appartengono alla vita ed alla pietà ci sono date: "mediante la conoscenza di colui che ci ha chiamati con la propria gloria e virtù". La prima luce che l'anima riceve quando lo Spirito entra nel suo cuore è una nuova prospettiva su Dio, ed in quella luce noi cominciamo ad intendere ciò che sia il peccato, dato che in sé stesso si pone contro la santità di Dio, e quindi comprendiamo che cosa sia la santità. È questa conoscenza nuova e spirituale di Dio stesso ciò che costituisce il cuore e l'essenza stessa delle benedizioni e dell'opera del Nuovo Patto di grazia. “Nessuno istruirà più il proprio concittadino e nessuno il proprio fratello, dicendo: ‘Conosci il Signore!’ Perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande di loro” (Ebrei 8:11). Questa conoscenza spirituale di Dio, così, è il seme e la radice stessa di ogni trasformazione spirituale che accompagni la chiamata efficace. In secondo luogo, viene seminato nell'anima un principio di santità. Dio ha scelto il Suo popolo in Cristo perché fossero santi: "In lui ci ha eletti prima della creazione del mondo perché fossimo santi e irreprensibili dinanzi a lui" (Efesini 1:4). Ecco perché Egli "ci ha rivolto una santa chiamata" (2 Timoteo 1:9). Attraverso di esso, Dio "ci ha messi in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce" (Colossesi 1:12). Il titolo che abbiamo in Cielo si fonda su ciò che Cristo ha compiuto per noi, ma per il Cielo bisogna essere resi adatti, in noi deve essere formata l'immagine di Cristo. Questo principio di santità è impiantato nel cuore dallo Spirito Santo, ed alcuni scrittori lo definiscono "la nuova natura". Esso prova la sua esistenza allorché la mente pondera sempre di nuovo che Dio è un Dio santo, i cui occhi sono troppo puri per tollerare l'iniquità, come pure tenendosi stretta a Lui e conformandosi a Lui. È questa la prova attraverso la quale dobbiamo esaminare e
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misurare noi stessi: approvo io tutti i comandamenti di Dio e li considero giusti e buoni, sebbene contrastino con le mie tendenze naturali? Devo protendermi verso la santità nonostante vi sia nel mio cuore e nella mia vita così tanto che mi umilia e mi fa rattristare perché contrario alla santità divina. È il mio costante ed intenso desiderio che Dio mi faccia sempre di più partecipe della Sua santità? L'amore per ciò che è spirituale. In terzo luogo, l'amore per tutto ciò che è spirituale. Alla nostra chiamata efficace non ci è comunicato solo "un nuovo cuore", ma si verifica in noi un tale cambiamento che ora sono messo in grado di scegliere ciò che è spiritualmente buono. Non si tratta di una capacità presente nell'essere umano nella sua condizione naturale e decaduta. È il cuore che si volge e che desidera intensamente ciò che è spirituale e che coinvolge la volontà. Quando l'amore di Dio è sparso nel nostro cuore, non possiamo che amare Lui e tutto ciò che Egli ama. Un vero e sincero amore per Dio è frutto ed prodotto della Sua chiamata efficace, le due cose sono inseparabili: "Or sappiamo che tutte le cose cooperano al bene di quelli che amano Dio, i quali sono chiamati secondo il suo disegno" (Romani 8:28). Ahimè: i nostri naturali desideri ancora vorrebbero far proprio ciò che non è santo. Ciononostante, nel cuore rinnovato, vi è un principio che ci porta a rallegrarci in ciò che è puro e santo ed a perseguirlo: "Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte" (1 Giovanni 3:14). Non trovate (seppur mescolato in voi con altre opere) un autentico anelito d'amore per Dio stesso? La fede. In quarto luogo, un principio spirituale di fede. La fede naturale è sufficiente per oggetti naturali, ma gli oggetti spirituali e soprannaturali esigono una fede spirituale e soprannaturale. La fede spirituale è il dono di Dio (Efesini 2:8). Essa è "della virtù di Dio" (Colossesi 2:12 Diodati), cioè frutto dell'opera potente di Dio nell'anima. Questa fede accompagna la chiamata efficace e ne è l'effetto: "ti ho attirata con benevolenza" (Geremia 31:3 ND). Questo significa che il cuore è attirato al Signore, affinché riposi 144
sulle Sue promesse, riposi nel Suo amore e risponda alla Sua voce. "Per fede Abraamo, quando fu chiamato, ubbidì, per andarsene in un luogo che egli doveva ricevere in eredità; e partì senza sapere dove andava" (Ebrei 11:8). Le due cose sono inseparabili - la fede risponde alla chiamata di Dio. È per questo che essa viene definita: "la fede degli eletti di Dio" (Tito 1:1). Essa differisce radicalmente dalla generica fede delle "persone religiose" e da quella emotiva del fanatismo. Essa, infatti, è (1) il dono di Dio e non il prodotto di un principio naturale, e poi (2) perché essa riceve con semplicità infantile tutto ciò che è affermato nelle Scritture, senza stare a cavillare sulle "difficoltà" che vi trova; ed anche (3) perché chi la possiede si rende conto come solo Dio possa sostenere e mantenere quella fede nell'anima, perché non sta in potere della creatura né esercitarla né aumentarla. In conclusione, notiamo come questa trasformazione soprannaturale operata negli eletti nel momento della loro chiamata efficace, questo operare nella loro intelligenza spirituale affinché conoscano Dio, questo impartire in loro un principio di santità, d'amore e di fede, sia il fondamento di tutte le operazioni susseguenti della grazia. Ogni operazione della grazia, infatti, fino al termine della vita del credente, fornisce la prima prova che la chiamata efficace è sana e salvifica. Nel momento della rigenerazione Dio dota l'anima di tutti i principi ed i semi di ogni grazia, tanto che la vita futura del cristiano e la sua crescita nella grazia (attraverso il conflitto fra "la carne" e "lo spirito") è una chiamata all'operatività ed alla manifestazione della sua elezione. Tratteremo ora come Dio renda noto nel tempo quel proposito di grazia che Egli si è proposto al riguardo della Chiesa fin dall'eternità. L'amore eterno di Dio verso il Suo popolo eletto lo si scopre in vari modi e con vari mezzi, i principali fra i quali sono gli inestimabili doni che fa loro il Suo Figlio ed il Suo Spirito. Ecco allora come fin ora ci siamo soffermati, in primo luogo sull'incarnazione e sulla missione di Cristo come la principale espressione del cuore del Padre verso i Suoi, perché sebbene la glorificazione di Dio era in essa il Suo principale disegno, pure inseparabilmente connessa ad essa era la benedizione dei Suoi
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santi. In secondo luogo, il divino disegno di grazia è manifestato attraverso la comunicazione dello Spirito agli eletti, per la quale essi sono resi oggetto di una chiamata soprannaturale. In terzo luogo, questo è reso ancora più evidente dalla trasformazione soprannaturale operata in loro dalla rigenerazione e santificazione dello Spirito. La preservazione degli eletti. In quarto luogo, attraverso la divina preservazione. "Or il Dio di ogni grazia, che vi ha chiamati alla sua gloria eterna in Cristo, dopo che avrete sofferto per breve tempo, vi perfezionerà egli stesso, vi renderà fermi, vi fortificherà stabilmente" (1 Pietro 5:10). Questo versetto presenta la meravigliosa e potente grazia di Dio dispensata ai Suoi eletti nel chiamarli efficacemente, nel preservarli dalla tentazione e dal peccato, nel rafforzarli e nel metterli in grado di perseverare fino alla fine e, nonostante tutta l'opposizione della carne, del mondo e del diavolo, portarli alla fine con certezza alla gloria eterna, perché, come dichiara Romani 8:30: "...quelli che ha predestinati li ha pure chiamati; e quelli che ha chiamati li ha pure giustificati; e quelli che ha giustificati li ha pure glorificati". Ancora una volta attingeremo liberamente dalle opere eccellenti dei Puritani, in primo luogo Thomas Goodwin, primo perché le sue opere non sono oggi facilmente accessibili e sono largamente sconosciute alla nostra generazione e, in secondo luogo, perché, avendo avuto personalmente da essi un così grande beneficio, desideriamo condividerlo con i nostri lettori.3 Si deve debitamente notare come nel contesto immediato di 1 Pietro 5:8, il diavolo viene presentato in tutta la sua spaventosità come "il vostro avversario" quanto a malizia, paragonato ad un leone quanto a forza, anzi, ad un "leone ruggente" per il terrore che ispira. Egli "va attorno" con instancabile diligenza, "cercando chi possa divorare", e se Dio non glielo impedisse lo farebbe con i Suoi eletti. "Ma Dio", l'Onnipotente, Colui che è sufficiente a Sé stesso e per tutto, "il Dio della grazia" è fonte di straordinario conforto proprio quando abbiamo a che fare con Satana nel 3
NdT. Molte opere originali del Goodwin sono oggi disponibili in internet, ad esempio in: http://www.newble.co.uk/goodwin/literature.html
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momento della tentazione. Se il Dio della grazia è per noi, chi mai potrebbe essere contro di noi? Quando Paolo era sottoposto a forti tentazioni da parte di un messaggero (o angelo) di Satana mandato per "schiaffeggiarlo", che cosa aveva fatto Dio per alleviare questa prova? Aveva detto: "la mia grazia ti basta" (2 Corinzi 12:9) - la grazia nel cuore di Dio verso di lui e la grazia che operava nel cuore di lui, per assisterlo efficacemente. C'è qui in 1 Pietro 5:10, però, qualcosa di ancora più prezioso: "Il Dio di ogni grazia", espressione che ci rimanda alle sovrabbondanti ricchezze di grazia che sono nella Sua natura, e poi ai disegni benevoli che Egli ha in favore dei Suoi, e poi nel modo pieno di grazia con il quale tratta con loro. La grazia nella Sua natura è la fonte, la grazia dei Suo proposito o consigli è la bocca della sorgente, e la grazia nelle Sue dispensazioni (il modo in cui Egli si rapporta) sono i torrenti che ne fuoriescono. Dio, in Sé stesso, è tutta grazia proprio allo stesso modo in cui Egli è l'Onnipotente, il Suo attributo principale. In Lui c'è un oceano senza limiti di grazia per fornire acqua sufficiente ed ininterrotta per tutti i torrenti che scaturiscono dai Suoi propositi e disegni. In tutto questo la nostra consolazione consiste che tutta la grazia che è nella natura di Dio sta nella promessa del Suo essere per la Sua Chiesa "il Dio di ogni grazia". Egli ha dichiarato di essere tanto impegnato a supplire ai loro bisogni fino ad essere disposto a spendere per loro il massimo a Sua disposizione, e quel massimo è infinito. Non è solo il popolo del Nuovo Testamento a conoscere Dio come il Dio di ogni grazia. Davide, che non solo era il più grande adoratore di questa grazia che troviamo nell'Antico Testamento, ma anche suo oggetto, la comprendeva e la riconosceva: "SIGNORE, per amor del tuo servo e seguendo il tuo cuore, hai compiuto tutte queste grandi cose per rivelargli tutte le tue meraviglie" (1 Cronache 17:19). Notate quel che segue immediatamente: "SIGNORE, nessuno è pari a te, e non c'è altro Dio all'infuori di te, secondo tutto quello che abbiamo udito con i nostri orecchi" (v. 20). Qui Davide esalta il patto di grazia che Dio ha stabilito con lui in Cristo e che gli è stato appena rivelato. "Che potrebbe Davide dirti di più riguardo
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all'onore che è fatto al tuo servo?" (v. 18). Un tale divino favore suscita in lui indicibile riconoscenza, proprio come fa Paolo in Romani 8:31: "Che diremo dunque riguardo a queste cose?". Quando Dio perdona, Egli lo fa alla maniera di un grande Dio, pieno di grazia. "Il nostro Dio che non si stanca di perdonare" (Isaia 55:7), non "secondo i nostri pensieri" (v. 8) ma secondo i Suoi. Ciò a cui si riferivano gli antichi teologi quando parlavano dei divini propositi di grazia era "l'oceano" di questa grazia che, parte della Sua stessa natura, da esso fluiscono quei benefici disegni verso il Suo popolo, che il profeta descrive come "pensieri di pace" (Geremia 29:11), pensieri che Egli "medita" per noi. Sarebbe impossibile parlare di tutti questi pensieri perché, come dichiara Davide: "O SIGNORE, Dio mio, hai moltiplicato i tuoi prodigi e i tuoi disegni in nostro favore; nessuno è simile a te. Vorrei raccontarli e proclamarli, ma sono troppi per essere contati" (Salmo 40:5). Dobbiamo quindi riassumerli e meditare su quei particolari che servono direttamente per illustrare l'oggetto del nostro discorso, cioè la nostra preservazione, o Dio che ci porta in sicurezza attraverso tutte le tentazioni verso la gloria eterna. 1 Pietro 5:10, parla manifestamente della grazia che Dio si è proposta, quella grazia che era nel Suo cuore verso il Suo popolo prima di chiamarli a Sé e da cui, di fatto, esso procede e si muove, com'è espresso in 2 Timoteo 1:9, "Egli ci ha salvati e ci ha rivolto una santa chiamata, non a motivo delle nostre opere, ma secondo il suo proposito e la grazia che ci è stata fatta in Cristo Gesù fin dall'eternità". Il primo atto della grazia che Egli si è proposto era quello di sceglierci, di estrarre dall'umanità perduta quelle persone per le quali Egli vuole essere il Dio della grazia. Ecco perché la scelta di queste persone è descritta come "l'elezione della grazia" (Romani 11:5) che è l'atto fondamentale della grazia sul quale tutti gli altri sono edificati. Essere un Dio di grazia per la Sua Chiesa significa amare chi ne fa parte semplicemente perché Egli ha scelto di farlo, perché la grazia è l'atto libero del Suo amore. La preghiera della Chiesa è: "Perdona tutta l'iniquità e accetta questo bene" (Osea 14:2) e la risposta del Signore è: "Io li amerò di buona volontà" (v. 4 Diodati), cioè liberamente. La grazia divina ed i meriti umani sono distanti l'uno
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dall'altro quanto i poli, come mostra Romani 11:6, l'uno che esclude l'altro: "Ma se è per grazia, non è più per opere; altrimenti, la grazia non è più grazia" (Romani 11:6). Essere per il Suo popolo il Dio di ogni grazia significa per Lui risolversi di amarli, e per sempre; essere immutabile nel Suo amore e non distogliere mai il Suo cuore da loro. Questo è chiaramente presupposto in 1 Pietro 5:10, perché Egli "ci ha chiamati alla sua gloria eterna in Cristo". Non è semplicemente che Egli ci abbia chiamati nella Sua grazia o favore, ma alla Sua gloria, quella gloria eterna che Egli, tramite la Sua chiamata efficace, ci destina ad avere intero e pieno diritto. Che altro può questo significare se non che Dio ci ha chiamati sulla base di questa grazia e di questo amore eterno, a qualcosa che non può essere revocato: "perché i doni e la vocazione di Dio sono irrevocabili" (Romani 11:29)? Questo è chiaramente espresso da ciò che immediatamente segue: "...dopo che avrete sofferto per breve tempo, vi perfezionerà egli stesso, vi renderà fermi, vi fortificherà stabilmente".
Il Dio di ogni grazia Questa grazia, così fissata nella volontà divina è il principio più sovrano e determinante nel cuore di Dio. Essa predomina su ogni altra cosa che Egli voglia. Le risoluzioni di grazia di Dio hanno precedenza su ogni cosa. La grazia non solo è il principio più risoluto e deciso ma anche, nel cuore di Dio, il più assoluto. Che cosa altrimenti significherebbe "il trono della grazia" (Ebrei 4:16)? Perché mai si direbbe che "la grazia regni mediante la giustizia a vita eterna" (Romani 5:21)? La stessa cosa appare nel contesto di 1 Pietro 5:10: "Umiliatevi [cioè sottomettetevi] sotto la potente mano di Dio [cioè la Sua divina potenza] affinché egli vi innalzi a suo tempo" (v. 6). "Egli ha cura di voi" (v. 7) e tutto questo è realizzato dal "Dio di ogni grazia" nel v. 10; che è seguito da "A lui sia la potenza, nei secoli dei secoli. Amen" (v. 11), vale a dire, a Lui come al "Dio di ogni grazia".
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È al Dio di ogni grazia eseguita o attuata che dobbiamo ora contemplarlo nelle Sue variegate dispensazioni di grazia, effetto dell'oceano di grazia nella Sua natura ed il proposito di grazia nel Suo cuore. Potremmo tornare indietro un momento a 1 Pietro 5:5: "Dio dà grazia agli umili", che si riferisce a Lui che effettivamente impartisce la grazia. Allo stesso modo Giacomo dichiara: "egli ci accorda una grazia maggiore" (4:6) là dove cita, come Pietro, lo stesso brano dell'Antico Testamento. Giacomo ne parla in rapporto alla sottomissione delle passioni del Suo popolo, in particolare quella dell'invidia. Senza dubbio si tratta di grazia, perché quando infuriano le passioni, è solo la grazia che spinge Dio ad accordare maggiore grazia affinché i Suoi si sottomettano a Lui: a chi si umilia davanti al Signore, Gli si sottomette mortificando le sue empie passioni, Egli dà una grazia ancora maggiore. Può aiutare a meglio comprendere questo titolo di "Dio di ogni grazia" il raffronto con "il Dio di ogni consolazione" (2 Corinzi 1:3). Dio è così definito in rapporto agli effetti della consolazione. Come dice il Salmista: Egli è buono e fa ciò che è bene", così subito dopo aver detto che Egli è il Dio di ogni consolazione ne consegue: Egli "ci consola in ogni nostra afflizione". Egli è "il Dio di ogni consolazione" in rapporto ad ogni tipo di distretta in cui possano trovarsi per un poco i santi. Allo stesso modo, Egli è il Dio di ogni grazia in rapporto agli effetti particolari che la grazia produce. A questo potremmo aggiungere - per la debita gloria che si deve dare alla libera grazia - che i due non sono commisurati, perché le dispensazioni della Sua grazia sono più vaste delle dispensazioni della Sua consolazione. Dio spesso dà grazia laddove Egli non impartisce consolazione, cosicché si può dire che Egli sia il Dio di ogni grazia in misura più vasta di quanto Egli sia il Dio di ogni consolazione. Ora, dato che c'è una pienezza, un oceano, delle grazie che Dio impartisce, che cosa ne consegue necessariamente? Questo: in primo luogo che non c'è tentazione in cui possa incorrere un santo che non sia sotto il dominio della libera grazia. Dio ha sempre una grazia pronta ad essere applicata quando la Sua ora
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giunge. Chiaramente questo implica che Dio ha una grazia adatta da applicarsi specificatamente ogni qual volta sorga un bisogno ed occasione. Non c'è ferita nel cuore per la quale Egli non abbia una benda adatta per fasciarlo quando è necessario. La parola stessa "grazia" è relativa a bisogno ed a tentazione, così "ogni grazia" deve essere correlata ad ogni sorta di necessità. Se vi fosse una qualsiasi carenza possibile nella grazia, qualcosa che Egli non potesse sovvenire, Egli non sarebbe il Dio di ogni grazia. Non è in alcun modo possibile dire che le situazioni difficili in cui possa incorrere il Suo popolo siano più vaste di quanto la grazia di Dio possa provvedere. Come Dio ha grazie sufficienti e sovrabbondanti per sovvenire alle molteplici necessità del Suo popolo, così Egli è il Dio di ogni grazia nel soccorrere nella misura richiesta da ogni situazione in cui esso si trova, perché queste sono esattamente le circostanze in cui si manifesta la grazia: "Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, per ottenere misericordia e trovar grazia ed essere soccorsi al momento opportuno" (Ebrei 4:16). Allo stesso modo: "E le parole di questa mia supplica al SIGNORE siano giorno e notte presenti al SIGNORE, nostro Dio, perché egli renda giustizia al suo servo e al suo popolo Israele, giorno per giorno, secondo il bisogno" (1 Re 8:59). Quest'ultimo testo deve essere considerato come tipologia dell'intercessione di Cristo, qui, infatti, Salomone, "principe della pace", rimanda al Principe della pace per eccellenza. Ecco così come il favore di Dio si manifesti al Suo popolo in ogni tempo di bisogno ed in ogni maniera. Se Dio dovesse deludere una volta il Suo popolo e non mantenere fede alle Sue promesse, allora Egli non sarebbe il Dio di ogni grazia, perché è componente principale della grazia di intervenire nel tempo del bisogno più grande. Il fatto che Egli sia il Dio di ogni grazia in rapporto alla dispensazione della stessa, dimostra come questo titolo non Gli sia assegnato solo potenzialmente, ma che Egli lo sia di fatto. 151
L'essere Dio di ogni grazia non significa che Egli abbia teoricamente in Sé stesso grazia sufficiente per venire incontro ai vari bisogni del Suo popolo, ma Egli viene incontro ai bisogni del Suo popolo sempre. Dio ne da pienamente prova in circostanze di ogni tipo. Nei giorni a venire Egli avrà l'onore di essere non solo il Dio di ogni grazia potenzialmente, ma lo sarà realmente agendo in modo corrispondente, perché sarà allora che Egli pienamente manterrà fede alla parola che dice: "Nessuna tentazione vi ha còlti, che non sia stata umana; però Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze; ma con la tentazione vi darà anche la via d'uscirne, affinché la possiate sopportare" (1 Corinzi 10:13). Il bisogno più grande ed acuto del cristiano sorge dal peccato che dimora in lui, eppure a questo Dio provvede ampiamente, perché: "dove il peccato è abbondato, la grazia è sovrabbondata" (Romani 5:20). Questa sovrabbondanza di grazia divina è manifestata in modo glorioso quando Dio chiama efficacemente a Sé il Suo popolo. A prova di questo, menzioniamo due eminenti dettagli. 1. In primo luogo, è allora che Dio mostra Sé stesso come Dio di ogni grazia nel perdono che Egli impartisce. Considerate a quale incalcolabile debito noi siamo incorsi peccando! Sin dalla prima infanzia la mente carnale è nemica di Dio: "Questi empi si sono corrotti fin dal grembo materno; questi bugiardi si sono sviati fin dalla nascita" (Salmo 58:3 ND). Sin dall'alba della nostra capacità di ragionare ogni pensiero è stato solo male. Supponi, cristiano lettore, che tu abbia vissuto per 20 o 30 anni prima che Dio ti abbia chiamato efficacemente: durante tutto quel tempo tu non hai fatto alcunché di buono - neanche un solo atto che fosse accettabile al Dio trino; al contrario, tutte le tue vie erano abominevoli ai Suoi occhi. Non ti preoccupava minimamente di avere disonorato gravemente l'essere di Dio, né ti preoccupava la tua condizione. Un giorno, però, ecco - meraviglia delle meraviglie - con un solo atto, in un singolo momento, Dio cancella tutti i tuoi peccati: "Voi, che eravate morti nei peccati e nella incirconcisione della vostra carne, voi, dico, Dio ha vivificati con lui, perdonandoci tutti i nostri peccati" (Colossesi 2:13).
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2. In secondo luogo, Dio mostra Sé stesso come il Dio di ogni grazia impartendoti una giustizia perfettamente rispondente ad ogni requisito della Sua santa legge: una giustizia perfetta, la giustizia di Cristo, la quale contiene in sé stessa ogni ubbidienza. Quella giustizia, infinitamente meritoria, è stata accreditata sul tuo conto completamente e subito; non a rate, un po' per volta, ma in un solo ed intero dono. "Infatti, se per la trasgressione di uno solo la morte ha regnato a causa di quell'uno, tanto più quelli che ricevono l'abbondanza della grazia e del dono della giustizia regneranno nella vita per mezzo di quell'uno che è Gesù Cristo" (Romani 5:17). Senz'alcun dubbio si tratta davvero di "abbondanza di grazia". Quella perfetta giustizia di Cristo è pienamente commisurata con tutti i disegni della grazia nel cuore di Dio verso di te, e tutto questo, nella sua interezza, tu l'hai ricevuto quando Dio ti ha chiamato, così da poter esclamare: "Io mi rallegrerò grandemente nel SIGNORE, l'anima mia esulterà nel mio Dio; poiché egli mi ha rivestito delle vesti della salvezza, mi ha avvolto nel mantello della giustizia, come uno sposo che si adorna di un diadema, come una sposa che si adorna dei suoi gioielli" (Isaia 61:10). Era proprio rendendosi conto di questo che Paolo magnifica la grazia manifestatagli nel momento stesso della sua conversione: "...e la grazia del Signore nostro è sovrabbondata con la fede e con l'amore che è in Cristo Gesù" (1 Timoteo 1:14). 3. In terzo luogo, Dio mostra Sé stesso come il Dio di ogni grazia nel santificarti. Questo include in prima linea l'impartirti lo Spirito Santo, che prende residenza nel tuo cuore, tanto da trasformare il tuo corpo in tempio dello Spirito Santo. Attraverso di Lui tu sei messo a parte e consacrato a Dio. In conseguenza di questo, ti è stata impartita una grazia mortificante, tanto da ferire mortalmente ogni tua empia passione: "Quelli che sono di Cristo hanno crocifisso la carne con le sue passioni e i suoi desideri" (Galati 5:24). Ti è stata impartita pure una grazia vivificante, per la quale lo spirito è messo in grado di resistere alla carne: "La sua potenza divina ci ha donato tutto ciò che riguarda la vita e la pietà mediante la conoscenza di colui che ci ha chiamati con la propria gloria e virtù" (2 153
Pietro 1:3). La giustificazione e la santificazione sono inseparabilmente congiunte; come la prima fornisce una condizione di favore inalterabile con Dio, così la seconda assicura quella condizione. È posto così il fondamento della nostra glorificazione.
Gli eletti sono preservati fino alla fine Queste inestimabili benedizioni sono la caparra ed il suggello della tua preservazione, poiché: "E ho questa fiducia: che colui che ha cominciato in voi un'opera buona, la condurrà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù" (Filippesi 1:6). Non è in alcun modo questione di esserne degno oppure no, ma è solo questione di grazia divina: "Io ho riconosciuto che tutto quel che Dio fa è per sempre; niente c'è da aggiungervi, niente da togliervi; e che Dio fa così perché gli uomini lo temano" (Eccleasiaste 3:14). È vero, in te è lasciato ancora il peccato - per rendere ulteriormente umile il tuo cuore - e ancora attive sono le tue passioni, ma con Davide puoi essere pienamente assicurato che: " Il SIGNORE compirà in mio favore l'opera sua; la tua bontà, SIGNORE, dura per sempre" (Salmo 138:8). È vero, ancora l'apprezzamento che dimostri per tale meraviglioso favore che ti è stato fatto è del tutto inadeguato e devi confessare a somma tua vergogna, che la tua condotta quotidiana è del tutto indegna di esso; ciononostante, anche quello serve a far apparire in tutto il suo fulgore la grazia stupefacente che deve sopportare una tale ingrata e vile creatura. Prima di considerare ora alcuni fra gli ostacoli che si suppone si interpongano sulla via del credente, affinché sia portato con certezza attraverso le tentazioni verso la gloria eterna, dobbiamo guardarci dal cadere in un possibile equivoco. Non è prerogativa della grazia divina salvare persone che continuino a peccare a loro piacimento, salvarle in forza di una sovranità assoluta in ogni caso. Indubbiamente no: Dio non salva nessuno senza regole ed ancor meno contro le regole. Lo stesso versetto che parla del "Dio di ogni grazia" e che aggiunge "che vi ha chiamato", pure dice di averci rivolto "una santa chiamata ... secondo il suo
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proposito e la grazia che ci è stata fatta in Cristo Gesù fin dall'eternità" (2 Timoteo 1:9). Senza la santificazione "nessuno vedrà il Signore" (Ebrei 12:14). La monarchia della grazia possiede leggi fondamentali, come tutte le monarchie ben regolate. "Il solido fondamento di Dio rimane fermo, portando questo sigillo: «Il Signore conosce quelli che sono suoi»", ma aggiunge subito dopo: «Si ritragga dall'iniquità chiunque pronuncia il nome del Signore" (2 Timoteo 2:19). Esistono ostacoli che possano frustrare i propositi di Dio? D'altro canto, affermiamo senza esitazione che le Scritture insegnano come la grazia salvifica di Dio, nel cuore dei rigenerati, sia un principio efficace, onnipotente ed infallibile. Essa, infatti, li mette in grado di osservare quelle regole che sono loro poste come requisito essenziale della salvezza. L'unica cosa che gli Arminiani suppongono frapporsi a tutto questo sarebbe la libera volontà umana - come se Dio avesse fatto una creatura che poi fosse incapace di controllare. Noi non ci vergogniamo di affermare che nella grazia divina vi è una supremazia tale da far sì che Dio impegni tutto Sé stesso per renderla trionfante. Se da una parte la grazia si accorda con la divina giustizia, sapienza e santità nello stabilire regole, d'altro canto la grazia impegna tutti gli altri attributi di Dio nel preservarci, conservando la nostra altrimenti perversa volontà nel raggio di quelle regole e trionfando su ogni opposizione. È così che Dio può rendere il patto così assoluto: "Farò con loro un patto eterno, che non mi allontanerò più da loro per cessare di far loro del bene; metterò il mio timore nel loro cuore, perché non si allontanino da me" (Geremia 32:40). Desideriamo ora mettere in rilievo quali siano le argomentazioni di consolazione e di supporto che possono essere tratte da questa grandiosa verità, vale a dire che il Dio di ogni grazia porta il Suo popolo trionfante attraverso ogni tentazione. Avendo iniziato come il Dio di ogni grazia nel giustificarli in questo modo e nel santificarli al momento della loro chiamata efficace, che cosa mai ci potrebbe essere che potrebbe frustrare i Suoi disegni ed impedirgli di condurli alla gloria eterna? Forse è la colpa dei 155
peccati in cui essi incorrono trasgredendo alla Sua legge dopo averli chiamati? Forse è la potenza del peccato che riacquista forza in loro? Se non è questo, allora nient'altro rimane. Dato che entrambe queste cose, a volte, acutamente disturbano la coscienza e la mente dei cristiani, è consigliabile per noi rilevare come in esse non vi sia nulla che possa distogliere il cuore di Dio dai Suoi amati figli. Possa Dio, con la Sua grazia, aiutarci a rendere del tutto chiaro questo fatto. Si potrebbe pensare che non vi fosse nulla di meglio calcolato per provocare Dio ad interrompere la Sua opera di grazia che la colpa di quei peccati commessi dai cristiani dopo la loro chiamata. Essa, però, non è in grado di farlo. Se Dio li giustifica la prima volta da peccati alti come montagne, e si impegna a continuare ad essere per loro il Dio di ogni grazia dopo averlo fatto, allora sicuramente non fallirà nel perdonare anche i peccati susseguenti. Confrontare la questione come le cose stiano prima e dopo la chiamata. Prima, tu invochi ed ottieni il perdono di Dio di continui peccati commessi per molti anni: erano infatti una tale quantità che non li avresti potuto nemmeno enumerare. Il perdonare, però, i peccati commessi dopo la conversione non è, alla peggio, che un perdono delle tue ricadute, un perdono che segue molti sinceri pentimenti. Se Dio è disposto a perdonare un'intera vita di peccato, non continuerebbe forse a perdonare le ricadute di cui ogni volta il cristiano è sinceramente dispiaciuto, anche se si trattasse di peccati commessi più volte? "Convertitevi, figliuoli ribelli, dice il Signore; perciocchè io vi ho sposati; ed ancora vi prenderò, uno d'una città, e due l'una famiglia, e vi condurrò in Sion" (Geremia 3:14 Diodati). Israele era stato "sposato" prima a Dio, ma si era allontanato da Lui andando con prostitute. Al momento della sua conversione Dio "si sposa" con il credente ed Egli si dona completamente a lui come il Dio di ogni grazia. Quanto meravigliosa è tale grazia verso la Sua sposa infedele: "Torna, o infedele Israele", dice il SIGNORE; "io non vi mostrerò un viso accigliato, poiché io sono misericordioso", dice il SIGNORE, "e non serbo l'ira per sempre" (Geremia 3:12). Tanto Dio è misericordioso che Egli perdona alle 156
condizioni più basse che si potrebbero immaginare: "Soltanto riconosci la tua iniquità: tu sei stata infedele al SIGNORE, al tuo Dio, sei andata di qua e di là con gli stranieri, sotto ogni albero verdeggiante, e non hai dato ascolto alla mia voce"», dice il SIGNORE" (v. 13). Lo stesso lo si trova in Isaia 57:17-18 ed Osea 14:4, dove Egli promette di perdonare le ricadute. Ora, se il Dio di ogni grazia ci ha tirati su dal fango in cui eravamo quando il nostro cuore era del tutto duro ed impenitente, lo ha spezzato e ci ha perdonato tutti quegli anni di peccati, non continuerà forse a sciogliere il nostro cuore quando incorriamo in ricadute ed a ristabilirci? Poi Egli ha perdonato tutti i tuoi peccati passati, che erano una massa incalcolabile; ora Egli distribuisce il Suo perdono quotidianamente, quando tu umilmente confessi le tue trasgressioni. La Sua fonte di perdono è sempre disponibile: "In quel giorno vi sarà una fonte aperta per la casa di Davide e per gli abitanti di Gerusalemme, per il peccato e per l'impurità" (Zaccaria 13:1). Non confesseresti forse i tuoi peccati implorando il perdono per intercessione di Cristo? Se è così, non lo faresti invano, perché Dio ti perdona non perché tu ti umili e Lo cerchi (come se questo fosse opera tua), eppure è in questo corso che scorre la Sua grazia di perdono. Non potrebbero, però, replicare quelli che sono stati efficacemente chiamati: "Ahimè, i miei peccati dopo la mia conversione sono stati più grandi e grossolani di quelli che avevo commesso prima". Al che si risponde: In primo luogo, tu potresti essere stato molto giovane al tempo della tua conversione. Da allora, ti sei sviluppato secondo il corso della natura, le passioni pure sono cresciute e tu sei maggiormente consapevole di esse di quanto lo eri allora nella prima gioventù. In secondo luogo, i tuoi peccati possono essere dovuti alle circostanze, anche se questo non li scusa. Vi sono alcuni che peccano in modo peggiore dopo la conversione rispetto a prima: Giobbe e Geremia avevano peccato molto di più durante la loro età avanzata che non durante la gioventù, perché le loro tentazioni erano diventate più intense.
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In terzo luogo, considera non solo quanto siano orribili tuoi peccati, ma anche il fatto che te ne sei pentito sinceramente - di tutto cuore hai gridato a Dio contro i tuoi peccati - questo Dio non lo ha ignorato - dimostrando Lui ancora di essere "il Dio di ogni grazia". Un'altra cosa che si potrebbe supporre ostacolare il corso della grazia di Dio iniziato in noi al momento della chiamata efficace, facendo distogliere da noi il cuore di Dio, è la forza e l'infuriare del peccato nel cristiano. Se però Dio all'inizio ci ha santificato come il Dio di ogni grazia, allora questo ci permette di avere una base solida per confermare che, nonostante i rischi con i quali la nostra corruzione residua sembra minacciarci, Egli sicuramente preserverà in noi la grazia nonostante le tentazioni a cui siamo soggetti. Nell'atto di santificarci Dio ha posto nel cuore del cristiano il seme di ogni grazia e disposizione di grazia che gli sarà utile in ogni evenienza: non è forse Dio in grado di prendersi cura del giardino che ha piantato, coltivandolo, nutrendolo e liberandolo dalle erbacce? Ascoltate questa Sua preziosissima promessa: "Io, il SIGNORE, ne sono il guardiano, io la irrigo a ogni istante; la custodisco notte e giorno, affinché nessuno la danneggi" (Isaia 27:3). "Oppure pensate che la Scrittura dichiari invano che: «Lo Spirito che egli ha fatto abitare in noi ci brama fino alla gelosia»? Anzi, egli ci accorda una grazia maggiore; perciò la Scrittura dice: «Dio resiste ai superbi e dà grazia agli umili»" (Giacomo 4:5-6). Questo chiaramente indica come i nostri conflitti più aspri e pericolosi siano contro qualche particolare passione o tentazione, come quella menzionata dall'Apostolo ed alla quale risponde: quella dell'invidia. Quando però un'anima rigenerata è consapevole di questa corruzione e, sotto essa e per essa, si umilia, rammaricandosene di fronte a Dio, questo mostra come una grazia contraria sia all'opera, che si oppone alle attività di quella passione, resistendo a quell'invidia (e all'orgoglio che ne scaturisce). È così che l'anima rigenerata persegue l'umiltà (la grazia contraria all'orgoglio): è il Signore, il Dio di ogni grazia, che così le accorda "una grazia maggiore".
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Molte povere anime, però, replicheranno: "Io temo molto che la mia condizione sia molto peggiore di quanto mai lo fosse prima". Al che si risponde: prendi la peggiore situazione in cui ti sei trovato sin dal momento della conversione, e considera la disposizione che in essa aveva il tuo cuore; poi mettila a confronto con l'umore migliore che tu abbia mai avuto prima della conversione. Onestamente, oseresti tu scambiare quel che senti ora con quello che sentivi allora? Prima della conversione in te non avevi il minimo indizio di santa disposizione di cuore verso Dio, non facevi nulla finalizzato consapevolmente alla gloria di Dio. Dalla conversione in poi, però, tu hai avuto considerazione per Dio (prendi l'intero corso della tua vita cristiana) e cerchi di compiacergli. Davvero, come Davide, dovresti dire: "Io vado errando come pecora smarrita" non come una scrofa [vedi 2 Pietro 2:22] e certamente puoi aggiungere: "Cerca il tuo servo, perché io non dimentico i tuoi comandamenti" (Salmo 119:176). Prima della tua conversione non cercavi mai la presenza di Dio (magari talvolta formalmente), ora però tu spesso gridi a Lui senza simulare. Prima non odiavi veramente il peccato e non perseguivi la santità; ora, però, ti rammarichi di non essere abbastanza quel che dovresti essere. Tu parli delle passioni che ti disturbano, sì, ma prima avevi il diavolo che dimorava in te come se fosse casa sua, in pace, eri suo prigioniero ed eri costretto a fare quel che lui voleva. Ora ti lamenti di non essere abbastanza zelante nell'adempiere ai tuoi doveri spirituali, ma un tempo eri completamente morto, spiritualmente parlando. Può anche darsi che le tue virtù cristiane non brillino come dovrebbero, eppure in te c'è il desiderio di Dio e di Lui hai un santo timore. In te, così, c'è una creatura spirituale vivente che, come una talpa sotto terra, sta facendosi strada per uscire allo scoperto smuovendo il terreno.
Una gloria eterna Un'ulteriore prova (in 1 Pietro 5:10) che il Dio di ogni grazia ci porterà sicuramente attraverso tutte le nostre sofferenze e tentazioni, trionfando su di esse, fino al Cielo al quale ci ha chiamato, è contenuto nelle parole: "chiamati alla sua gloria 159
eterna". Sebbene oggi noi non si abbia pieno possesso e pieno godimento di questa gloria eterna, Dio ci ha già dato la piena certificazione del diritto che ne abbiamo. Questa "gloria" era la primogenita di tutti i pensieri ed intenzioni di Dio al nostro riguardo, perché era il fine o risultato del Suo disegno di grazia verso di noi. Il Signore Gesù disse: "Non temere, piccolo gregge; perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il regno" (Luca 12:32), ed Egli esclamerà in un giorno a venire: "Venite, voi, i benedetti del Padre mio; ereditate il regno che v'è stato preparato fin dalla fondazione del mondo" (Matteo 25:34). Questo si riferisce al Cielo stesso, dove Dio regna come Re incontrastato. Ora il cuore di Dio è così determinato a portare il Suo popolo a questa gloria, come Suo primo ed ultimo fine, che, quando la Sua grazia elettiva ci è resa nota al momento della nostra chiamata, è allora ce ne dà pieno diritto. Sebbene Egli attenda per alcuni anni di darci pieno possesso di questa gloria, Egli non sospende mai il titolo che ne abbiamo, perché riceviamo una salvezza completa e non parziale come se attendesse di sapere se ne siamo degni oppure no... Una bella e precisa prefigurazione di questa verità l'abbiamo in 1 Samuele 16:18: "Allora uno dei giovani prese a dire: «Ho visto un figlio di Isai, il betlemmita, che sa sonare; è un uomo forte, valoroso, un guerriero, parla bene, è di bell'aspetto e il SIGNORE è con lui»". Davanti ai suoi fratelli, Dio manda Samuele da Davide quando egli è ancora giovane e lo consacra re, investendolo così di un sicuro diritto al regno di Israele. Non è ancora re, un altro regna al suo posto, ma quest'unzione è il suggello del titolo che a suo tempo sarà sicuramente suo. Per molti anni, infatti, l'incoronazione ufficiale di Davide è ritardata e durante quel tempo egli deve molto soffrire per mano di Saul. Ciononostante, Dio miracolosamente lo preserva fintanto che egli potrà entrare in possesso dell'eredità della quale ha titolo. Notate però bene come Dio non solo ci chiami alla Sua gloria, ma alla Sua "eterna gloria". Con questo egli intende dire che "eterna" non è semplicemente una sorta di aggiunta, ma che la nostra chiamata e condizione è l'eternità di quella gloria, non solo la gloria in quanto tale. Questo implica due cose.
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In primo luogo, chi è chiamato da Dio vede la sua anima riempita di una vita spirituale o gloria dal carattere eterno - notate, infatti, come l'immagine di Cristo operata nel credente in questa vita sia definita gloria in 2 Corinzi 3:18: "E noi tutti, a viso scoperto, contemplando come in uno specchio la gloria del Signore, siamo trasformati nella sua stessa immagine, di gloria in gloria, secondo l'azione del Signore, che è lo Spirito". Questa gloria di vita spirituale nel cristiano è indistruttibile: "Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà" (Giovanni 11:25). In secondo luogo, essa implica che quando una persona è chiamata, questa diviene legalmente titolare del diritto ad una gloria eterna - non solo un diritto presente alla gloria, ma il diritto ad una gloria eterna: "...affinché, giustificati dalla sua grazia, diventassimo, in speranza, eredi della vita eterna" (Tito 3:7).
In Cristo C'è un ultima frase in 1 Pietro 5:10, che rimane da essere considerata: "in Cristo", o "in Cristo Gesù" (ND). Così come fa Dio Padre, Gesù Cristo ci dà sicurezza confermando la fede del credente che egli sarà positivamente rafforzato e messo in grado di perseverare. Dio è il Dio di ogni grazia verso di noi in Cristo Gesù: tutti i Suoi atti di grazia verso di noi sono in Lui e per mezzo di Lui: Egli fin dal principio ci ha eletto e poi amato solo in considerazione di Gesù Cristo. Avendo Iddio stabilito Cristo come Mediatore, o meglio, come fondamento della Sua grazia, questo è base sicurissima per essere certi che Egli continuerà ad esserlo verso di noi. Ogni proposito di grazia di Dio è stato fatto in Cristo, e tutte le Sue promesse sono stabilite e realizzate in ed attraverso di Lui. Sono due le persone impegnate alla preservazione dei santi fino alla gloria: Dio il Padre e Gesù Cristo. Abbiamo visto quale conferma alla nostra fede possa avere il fatto che Dio Padre abbia operato per noi in Cristo. Ugualmente forte e pieno è ciò che Cristo ha compiuto per noi. Il fatto di rendere la nostra salvezza sicura e costante contro ogni opposizione è direttamente fondato su di Lui ed affidato a Lui. Al riguardo di Gesù Cristo il Padre dice: "Ecco, io son quel che ho posta in Sion una pietra, una pietra a prova, 161
pietra di cantone preziosa, un fondamento ben fondato; chi crederà non si smarrirà" (Isaia 28:16 Diodati) o, come spiega l'Apostolo: "chiunque crede in essa non resterà confuso" (1 Pietro 2:6). Noi siamo "i chiamati da Gesù Cristo" (Romani 1:6). Noi abbiamo "la vita eterna in Cristo Gesù, nostro Signore" (Romani 6:23). "Or Colui che con voi ci rende fermi in Cristo e che ci ha unti, è Dio" (2 Corinzi 1:21). Non ci rimane che poco spazio per considerare una debita contemplazione della persona di Cristo, il Suo rapporto con noi, l'ufficio che per noi Egli svolge: tutto questo ci infonde la sicurezza che saremo divinamente rafforzati per perseverare sino alla fine. Possiamo così menzionare solo pochi dettagli. 1. In primo luogo, la Sua opera redentrice: Essa è di un tale infinito valore che non solo ci ha acquistato la nostra prima chiamata alla grazia (Romani 5:2), ma anche la nostra perseveranza in tale grazia. Cristo ha acquistato meritoriamente la capacità di trionfare su tutte le nostre tentazioni: per questo può soccorrerci e renderci stabili fino alla fine. Cristo, infatti, "ha dato se stesso per i nostri peccati, per sottrarci al presente secolo malvagio, secondo la volontà del nostro Dio e Padre" (Galati 1:4), come pure: "Egli ha dato se stesso per noi per riscattarci da ogni iniquità e purificarsi un popolo che gli appartenga, zelante nelle opere buone" (Tito 2:14). Il Suo prezioso sangue, agli occhi di Dio conserva infinito valore: nessuna delle Sue pecore andrà perduta. 2. In secondo luogo, la Sua tenera compassione: "Infatti, poiché egli stesso ha sofferto la tentazione, può venire in aiuto di quelli che sono tentati" (Ebrei 2:18). Nel versetto precedente è dichiarato come Egli sia "un misericordioso sommo sacerdote" che ha compassione di noi: è così che Gli sta a cuore ed è disposto a venire in soccorso del Suo popolo. Al versetto 18, si aggiunge che Egli è in grado di farlo. Notate, il versetto non dice che Egli sia in grado di farlo in forza del Suo personale potere in quanto Dio, ma c'è un'ulteriore capacità acquisita in quanto Egli è pure uomo. Egli era stato reso uomo fragile, soggetto alle tentazioni, e le dolorose esperienze attraverso le quali passa nei giorni della Sua umiliazione impegna il Suo cuore ad avere compassione di noi quando siamo nella
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distretta. È proprio per questa tenerezza acquisita che Egli è in grado di soccorrerci nelle tentazioni. 3. In terzo luogo, la Sua intercessione: "Se infatti, mentre eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio mediante la morte del Figlio suo, tanto più ora, che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita" (Romani 5:10), cioè per la Sua vita per noi in Cielo. "Perciò egli può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio, dal momento che vive sempre per intercedere per loro" (Ebrei 7:25). Se dunque tu sei venuto a Dio tramite Lui, l'intercessione di Cristo assicura al massimo grado la tua salvezza. È proprio perché tu sei nel Suo cuore che Egli ti porta nelle Sue preghiere. Una volta che Cristo ti porta nelle Sue preghiere, Egli non ce ne lascerà mai fuori, ma trionferà per noi, qualunque sia il nostro caso e in qualunque situazione noi si cada: "Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; e se qualcuno ha peccato, noi abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto" (1 Giovanni 2:1). Chiara prova di questo è fornita dal caso di Pietro. Un uomo può essere estromesso dalle preghiere di un santo, come Saul era stato estromesso da quelle di Samuele, ma nessuno mai sarà estromesso dalle preghiere di Cristo, una volta che Egli ci abbia accolto in esse. Le Sue preghiere trionferanno per impedirti di cadere in quei peccati che Dio non perdonerebbe. 4. In quarto luogo, come Cristo è coinvolto nella gloria alla quale siamo chiamati, così noi siamo coinvolti nella gloria di Cristo, perché le due cose sono una cosa sola. "Fedele è Dio, dal quale siete stati chiamati alla comunione del Figlio suo Gesù Cristo, nostro Signore" (1 Corinzi 1:9), cioè essere partecipi delle stesse cose (nella misura che ci compete) delle stesse cose alle quali Egli partecipa: "Perché se siamo stati totalmente uniti a lui in una morte simile alla sua, lo saremo anche in una risurrezione simile alla sua" (Romani 6:5). L'Apostolo dichiara che Dio: "A questo egli vi ha pure chiamati per mezzo del nostro vangelo, affinché otteniate la gloria del Signore nostro Gesù Cristo" (2 Tessalonicesi 2:14). È la gloria stessa di Cristo - la ricompensa della meravigliosa opera attraverso la quale Egli ha così in modo così splendido magnificato il Padre - quella nella quale il Suo popolo è introdotto, perché nulla di meno di questo
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soddisferebbe il cuore di Cristo: "Padre, io voglio che dove sono io, siano con me anche quelli che tu mi hai dati, affinché vedano la mia gloria che tu mi hai data; poiché mi hai amato prima della fondazione del mondo" (Giovanni 17:24). Ecco così come l'elezione segreta di Dio nell'eternità passata si manifesti apertamente al Suo popolo nella dimensione del nostro tempo: attraverso una chiamata soprannaturale e miracolosamente portandoli attraverso un mondo che è loro tanto ostile quanto la fornace di Babilonia lo era per il corpo di quei tre Ebrei che vi erano stati gettati.
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8. L’Elezione: i suoi effetti Fino a questo punto ci siamo prevalentemente soffermati sul lato dottrinale dell'elezione; ora ci rivolgeremo più direttamente al suo aspetto esperienziale e pratico. L'intera dottrina della Scrittura è un'unità perfetta ed armoniosa, eppure, per poterla cogliere più chiaramente, deve essere considerata più distintamente nelle sue parti componenti. Strettamente parlando, è inammissibile parlare delle cosiddette "dottrine della grazia" perché non c'è che una grandiosa e divina dottrina della grazia, sebbene quel prezioso diamante abbia molte sfaccettature. Non ci è concesso dal linguaggio stesso delle Sacre Scritture di usare l'espressione: dottrine dell'elezione, della rigenerazione, della giustificazione e della santificazione, perché in realtà non si tratta che di componenti di un'unica dottrina. Non è facile, però, trovare un termine alternativo. Quando nella Parola di Dio si usa il termine "dottrine" si allude a quelle che sono false ed erronee, come, ad esempio: "le dottrine degli uomini" (Colossesi 2:22), "dottrine di demoni" (1 Timoteo 4:1), e "diversi e strani insegnamenti" (Ebrei 13:9), diversi perché fra di loro non c'è accordo. In contrasto con le dottrine false e contraddittorie degli uomini, la verità di Dio è un grandioso ed intero tutt'uno e di esso si parla in modo uniforme come "la dottrina" (1 Timoteo 4:16 Diodati) o "insegnamento" (NR), "la sana dottrina" (Tito 2:1). Il suo carattere distintivo è descritto in questo modo: "la dottrina che è conforme alla pietà" (1 Timoteo 6:3), la dottrina, cioè, che produce e promuove pietà (l'onore che a Dio è dovuto). Ogni parte di questa dottrina è intensamente pratico ed esperienziale in tutte le sue implicazioni. Non si tratta di semplici astrazioni rivolte all'intelletto ma, quando le si apprendono debitamente, esse esercitano un'influenza spirituale sul cuore e sulla vita. Questo vale per la dottrina di cui ci stiamo occupando. La verità benedetta dell'elezione è rivelata non per occuparci di speculazioni carnali e controversie, ma per produrre in noi gli amabili frutti della santità. Certo, prima che siano prodotti questi effetti, questa dottrina deve essere applicata per la potenza dello
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Spirito Santo alla nostra anima, perché qui, come in ogni altro luogo, noi siamo interamente dipendenti dalle Sue operazioni di grazia.
Vera umiltà Il primo effetto prodotto nell'anima dall'applicazione, tramite lo Spirito, della verità della divina elezione è la promozione di vera umiltà. Orgoglio e presunzione ricevono il loro colpo fatale: il compiacimento di noi stessi è mandato in frantumi, e coloro che sono fatti oggetto di questa esperienza vengono scossi fino alle fondamenta della loro vita. Potranno anche precedentemente aver professato la fede cristiana e non aver mai coltivato seri dubbi sulla sua sincerità e genuinità. Potranno anche avere avuto una forte e incrollabile certezza di essere sulla via del Cielo, e durante quel tempo essere del tutto ignoranti della dottrina dell'elezione. Quale cambiamento, però, è sopraggiunto! Ora apprendono che, fra i figli degli uomini, Dio dall'eternità ha operato, fatto una scelta. Ora sono profondamente interessati ad accertarsi se siano fra i favoriti del Cielo oppure no. Rendendosi conto in qualche modo delle tremende implicazioni di questo fatto e dolorosamente consapevoli della propria radicale depravazione, ora sono pieni di timore e tremore. L'esperienza è dolorosa e sconvolgente: non sanno ancora che già questi sentimenti in loro sono un segno salutare. È proprio perché la predicazione dell'elezione, quand'è accompagnata dalla potenza dello Spirito Santo (e quale predicazione può essere meglio calcolata di questa d'avere la Sua benedizione che quella che maggiormente magnifica Dio ed abbassa l'uomo!) produce tanto tormento interiore, che essa è così sgradevole a coloro che vogliono rimanere "tranquilli a Sion" (Amos 6:1). Non c'è nulla di meglio che la predicazione dell'elezione che possa smascherare vuote professioni di fede e scuotere dal loro dormiveglia le vittime di Satana. Ahimè, coloro che non vogliono che si disturbi la falsa pace delle loro certezze carnali non vogliono neanche sentirne parlare dell'elezione e sono i primi a reagire indignati e scandalizzati contro la proclamazione della grazia discriminante. L'abbaiare rabbioso dei cani non è, 166
però, motivo sufficiente perché i figli di Dio siano privati del pane loro necessario. Non importa quanto spiacevoli siano i primi effetti prodotti nel cuore di coloro che per la prima volta ricevono questa verità, non ci vorrà molto che, umiliato il loro orgoglio, ne siano veramente riconoscenti: questo, infatti, farà loro scavare più a fondo per accertarsi che la loro speranza sia fondata veramente sulla Rocca eterna. "È vero che qualunque correzione sul momento non sembra recar gioia, ma tristezza; in seguito tuttavia produce un frutto di pace e di giustizia in coloro che sono stati addestrati per mezzo di essa" (Ebrei 12:11). È pure cosa sgradevole per la nostra compiacenza essere bruscamente fatta a pezzi, ma se ne consegue che ad una fiducia infondata nelle nostre capacità mettiamo al posto sicurezze fondate biblicamente, indubbiamente abbiamo causa di lodi ferventi. Scoprire come i propositi di grazia di Dio siano ristretti ad un popolo eletto, è cosa allarmante per chi ha immaginato che Dio ami tutti allo stesso modo. Essere portati a chiedersi seriamente di essere oppure no fra coloro che Dio ha scelto in Cristo prima ancora della fondazione del mondo, solleva una questione per la quale non esiste una risposta facile e soddisfacente; essere sospinto ad investigare diligentemente la mia attuale condizione, esaminare seriamente me stesso davanti a Dio, è un compito che nessun ipocrita porta e porterà mai avanti; eppure è un compito al quale il rigenerato non si sottrae, ma al contrario cercherà di svolgere con impegno, zelo e ferventi preghiere affinché Dio in questo lo aiuti.
Mettersi in questione è salutare e necessario Non è (come alcuni stupidamente suppongono) che coloro che sono seriamente preoccupati della loro condizione spirituale e destino eterno, siano così allarmati perché dubitino della Parola di Dio. Lungi da questo, è proprio perché credono nella Parola di Dio che dubitano di sé stessi, dubitano della validità della loro professione di fede. È perché credono nelle Scritture quando affermano che il gregge del Signore è piccolo (Luca 12:32) che
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temono di non appartenere ad esso. È perché crede a Dio quando dice: "C'è una categoria di gente che si ritiene pura, ma non è lavata dalla sua lordura" (Proverbi 30:12 ND): trovando, infatti, tanta lordura nella propria anima, essi tremano pensando che si tratti del loro caso. È perché credono in Dio quando dice: "Il cuore è ingannevole più di ogni altra cosa e insanabilmente malato; chi lo può conoscere?" (Geremia 17:9 ND) che essi si impegnano a verificare attentamente sé stessi temendo di ingannare sé stessi. Ah, lettore, quanto più fermamente credi nella Parola di Dio, più avrai motivo di dubitare di te stesso. Ottenere la certezza di aver ricevuto una vocazione soprannaturale da Dio che li abbia portati dalla morte alla vita, è questione di capitale importanza per coloro a cui stia veramente a cuore la loro anima. Coloro ai quali Dio ha impartito un cuore onesto, aborrono l'ipocrisia, rifiutano di prendere alcunché per scontato e temono grandemente di giudicare sé stessi più favorevolmente di quanto sia concesso. Altri potranno anche ridere delle loro preoccupazioni, questo, però, non li smuove minimamente. C'è troppo in gioco per prendere una tale questione alla leggera ed accantonarla come se nulla fosse. Essi sanno fin troppo bene come essa debba essere appianata alla presenza stessa di Dio, e se essi solo si fossero illusi sul fatto di essere stati effettivamente chiamati, implorano Dio che faccia loro avere questa consapevolezza. È Dio che li ha feriti, ed Egli solo può guarirli; è Dio che ha disturbato la loro carnale compiacenza, e nessun altro che Lui potrà impartire loro vero riposo spirituale.
Dobbiamo attendere che Dio ci riveli se siamo eletti? È possibile per una persona, in questa vita, accertarsi veramente della propria divina ed eterna elezione? I papisti risponderebbero dogmaticamente che nessuno potrebbe essere certo della propria elezione a meno che non ne ricevesse certificazione tramite una rivelazione speciale, immediata e personale da parte di Dio. Questo, però, è chiaramente falso, erroneo. Quando i discepoli di Cristo una volta erano ritornati dal loro giro di predicazioni e Gli avevano raccontato dei miracoli che avevano operato, entusiasti 168
che persino i demoni si fossero sottomessi a loro, Egli dice: "Non vi rallegrate perché gli spiriti vi sono sottoposti, ma rallegratevi perché i vostri nomi sono scritti nei cieli" (Luca 10:20). Non è forse perfettamente chiaro in queste parole del Salvatore che di fatto è possibile giungere ad una conoscenza sicura della nostra eterna elezione? Se non fosse così non potremmo rallegrarci in cose che ci fossero sconosciute o che fossero persino incerte. Non ha forse Paolo detto ai Corinzi: "Esaminatevi per vedere se siete nella fede; mettetevi alla prova. Non riconoscete che Gesù Cristo è in voi? A meno che l'esito della prova sia negativo" (2 Corinzi 13:5)? Qui si prende certamente per scontato che coloro che hanno la fede possano sapere di averla e quindi possano conoscere la propria elezione, perché la fede salvifica è un segno infallibile dell'elezione: "Gli stranieri, udendo queste cose, si rallegravano e glorificavano la Parola di Dio; e tutti quelli che erano ordinati a vita eterna, credettero" (Atti 13:48). Se solo più pastori prendessero seriamente una pagina del libro dell'Apostolo ed esortassero il loro uditorio ad un autentico esame di sé stessi! Certo, questo non aumenterebbe la loro popolarità, ma molto probabilmente alcuni, un giorno, ripensando al momento in cui l'avevano fatto, ne sarebbero riconoscenti. Non è forse vero che un altro Apostolo così esorta i suoi lettori: "Fratelli, impegnatevi sempre di più a render sicura la vostra vocazione ed elezione; perché, così facendo, non inciamperete mai" (2 Pietro 1:10)? Che senso avrebbe questa esortazione se non fosse possibile avere in questa vita la certezza della propria elezione? Sarebbe del tutto vano questo impegno se la conoscenza della nostra elezione fosse impossibile senza una rivelazione straordinaria.
Sapere di essere eletti è possibile Come può una persona giungere a sapere per certo di essere stata eletta? Certamente non salendo, per così dire, in cielo per fare delle ricerche negli schedari di Dio e poi ridiscendere su questa terra. Nessuno di noi potrebbe infatti avere accesso al libro della vita dell'Agnello: i decreti di Dio sono segreti. Eppure è possibile per il cristiano sapere di essere nel numero di coloro che Dio ha predestinato ad essere conforme all'immagine di Suo Figlio. Ma 169
come? Non attraverso una qualche rivelazione straordinaria di Dio, perché le Scritture non promettono nulla di tutto questo ad anime esercitate nella pietà. C. H. Spurgeon al riguardo non usa mezzi termini: "Sappiamo di alcuni che immaginano di essere eletti perché, dicono, hanno avuto una visione al riguardo quando dormivano o quando erano svegli - perché si sogna anche nel dormiveglia; queste visioni, però, sono come abiti intessuti con tela di ragno: cose di ben poca consistenza. Esse sono utili tanto quanto lo potrebbe essere nel giorno del giudizio per un furfante cercare qualcuno che lo possa raccomandare per ottenere una condanna lieve o un'assoluzione" (dal sermone su 1 Tessalonicesi 1:4-6). Al fine di accertarsi della nostra elezione dobbiamo discendere nel nostro cuore e poi risalirne come sulla scala di Giacobbe, verso gli eterni propositi di Dio. Sono i segni e le testimonianze descritte nelle Scritture quelli che dobbiamo cercare in noi stessi, e da essi scoprire il consiglio di Dio al riguardo della nostra salvezza. Facendo questa affermazione non siamo inconsapevoli dei commenti sarcastici che al riguardo molto probabilmente riceveremo in certi ambienti. Vi è, infatti, una categoria di cristiani professanti che non intrattengono dubbio alcuno sulla propria salvezza, ma se si dovesse cercare in loro prove della nuova nascita sarebbe come cercare calore in un iceberg o segni di vita in una tomba. Non è di questo ciò di cui stiamo parlando. Sarebbe infatti molto vicino ad una bestemmia suggerire che lo Spirito Santo possa risiedere in una persona ed al tempo stesso non dare evidenza definita alcuna della Sua presenza.
Due testimoni veraci Vi sono per il credente due testimoni dai quali egli potrà con certezza apprendere quali siano gli eterni consigli di Dio al riguardo della sua salvezza: lo Spirito di Dio e il proprio spirito, così com'è scritto: "Lo Spirito stesso attesta insieme con il nostro spirito che siamo figli di Dio" (Romani 8:16). Lo Spirito di Dio fornisce alla coscienza del cristiano la Sua testimonianza attraverso la Parola 170
che dice come Egli applichi le promesse dell'Evangelo. Essa giunge in forma di sillogismo: chiunque crede in Cristo, quegli è stato scelto a vita eterna. Questa proposizione è chiaramente enunciata nella Parola di Dio ed espressamente presentata dai Suoi ministri dell'Evangelo. Lo Spirito di Dio accompagna la loro predicazione con potenza efficace così che il cuore degli eletti si apra a ricevere la verità, i loro occhi siano illuminati per percepire quanto essa sia benedetta, e la loro volontà sospinta a rinunciare ad ogni altra dipendenza per potersi affidare completamente alla misericordia di Dio in Cristo. Sorge però la questione di come io possa distinguere la testimonianza dello Spirito dall'imitazione ingannevole che ne fa Satana. Infatti, come lo Spirito dà sicura persuasione del favore di Dio, così vi sono le frodi del diavolo, attraverso le quali egli lusinga e blandisce uomini e donne nei loro peccati. Vi è inoltre in tutti una presunzione naturale che spesso scambiata per fede. Di fatto, nel mondo religioso, troviamo un maggior numero di fedi imitate di quanto non vi sia fede autentica. È davvero tragico osservare, infatti, come vi siano oggi nel mondo religioso moltitudini di persone sviate dal "fuoco estraneo" (Levitico 10:1) dell'entusiasmo, e che suppongano che l'eccitazione del loro spirito animale ed emozioni sia prova certa che essi abbiano ricevuto il "battesimo nello Spirito" e quindi sarebbero così "certi" che un giorno saranno in Cielo con il Signore. All'altro estremo vi è una grande compagnia di persone che disprezza e discredita ogni sentimento religioso e che, al riguardo della loro fede, sempre e solo afferma: "Io trovo la mia pace in Giovanni 5:24", vantandosi di non avere mai avuto dubbi da lungo tempo sulla loro effettiva salvezza. Un cuore disposto alla preghiera. Ora, la vera testimonianza dello Spirito la si può distinguere dalla presunzione naturale e dagli inganni di Satana dai suoi effetti e frutti. In primo luogo, lo Spirito impartisce agli eletti di Dio un cuore disposto alla preghiera: "Dio non renderà dunque giustizia ai suoi eletti che giorno e notte gridano a lui?" (Luca 18:7). Notate come proprio dopo aver fatto questa affermazione, il Signore Gesù proceda a dare
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un'illustrazione della natura del loro pregare. È vero che pure i formalisti e gli ipocriti pregano, ma quelle preghiere sono molto diverse da quelle del popolo di Dio in distretta quando, consapevole del proprio peccato e aggravato dal senso di colpa, eleva le sue preghiere a Dio. Il contrasto è evidente nella parabola del Fariseo e del pubblicano (Luca 18:9-14). È quando siamo portati a sentire bruciante la nostra totale indegnità e di meritare giustamente l'inferno, la nostra rovina e miseria, la nostra abietta povertà e la nostra dipendenza totale dalla misericordia di Dio, che allora cominciamo a "gridare" a Lui, e questo non solo sporadicamente, ma "notte e giorno" - pregare di fatto, pregare in modo perseverante, pregare "con sospiri ineffabili", e così, pregare in modo efficace. Consideriamo per un momento la preghiera di uno del popolo di Dio: "Ricordati di me, o Eterno, secondo la benevolenza che usi verso il tuo popolo, e visitami con la tua salvezza" (Salmo 106:4 ND). Vedi, caro lettore, o tu cerchi con tutto te stesso quel favore attraverso il quale il Signore si ricorda del Suo popolo o non lo cerchi. È solo quando siamo portati al luogo in cui il senso del nostro peccato e della nostra abiezione ci schiaccia, che noi possiamo dire nella nostra anima davanti a Dio: "Visitami con la tua salvezza". Il salmista, però, non si ferma lì, e nemmeno lo dovremmo noi. Egli procede e dice: "...affinché veda la prosperità dei tuoi eletti, mi rallegri nella gioia della tua nazione e mi glori con la tua eredità" (v. 5). Gli eletti di Dio pregano e cercano ciò per il quale nessun altro prega e cerca: essi anelano vedere la prosperità di coloro che sono stati scelti, essi cercano di essere salvati con la Sua salvezza e rimanere nell'ambito del Suo patto eterno, di ciò che Egli ha eternamente stabilito. La sottomissione alla sovranità di Dio. Un secondo effetto della testimonianza dello Spirito è quello di portarci a sottometterci alla sovranità di Dio. Gli eletti di Dio non solo pregano per qualcosa per il quale nessun altro prega, ma lo fanno in maniera diversa dagli altri. Essi si accostano all'Onnipotente non come Suoi pari, ma come mendicanti. Essi implorano, non esigono. Essi presentano a Dio le loro umili richieste in stretta
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sottomissione alla Sua sovrana ed indiscutibile volontà. Quanto del tutto diverse sono le loro umili richieste dall'arroganza e supponenza di coloro che fanno vuote professioni di fede! I primi sono consapevoli di non poter pretendere nulla dal Signore che essi non meritano da Lui alcuna misericordia, e quindi non protestano in alcun modo contro la Sua espressa asserzione: «Io avrò misericordia di chi avrò misericordia, e avrò compassione di chi avrò compassione» (Romani 9:15). La persona nel cui cuore dimora lo Spirito di Dio, sa che il suo posto è nella polvere della terra e, dice come il pio Eli, «Egli è l'Eterno; faccia quello che a lui pare» (1 Samuele 3:18). Leggiamo in Matteo 20:3, di un certo numero di uomini "che se ne stavano sulla piazza disoccupati", il che noi comprendiamo significare che non erano attivamente impegnati al servizio del diavolo, ma che ancora non erano entrati al servizio di Dio. Il loro atteggiamento era indicativo di un desiderio d'essere operosi per Dio. Bene, disse il Signore, andate anche voi a lavorare nella Mia vigna. Un poco più tardi, però, il Signore della vigna manifesta la Sua sovranità ed essi se ne risentono molto. Il Signore aveva dato agli ultimi tanto quanto ai primi ed essi avevano mormorato. Il Signore, però, risponde loro: "Non vi faccio alcun torto ... Non mi è lecito fare del mio ciò che voglio?" (v. 15). Questo era ciò che li aveva offesi, essi non volevano sottomettersi alla sua sovranità, eppure Egli la esercita ciononostante. "O vedi tu di mal occhio che io sia buono?" Egli ancora chiede a chiunque, nell'orgoglio della sua incredulità insorge contro la grazia discriminante di Dio. Non è così, però, per gli eletti di Dio: essi si inchinano di fronte al Suo trono e si pongono interamente nelle Sue mani. Uno spirito filiale. In terzo luogo, Dio impartisce ai Suoi eletti spirito filiale così che essi abbiano verso di Lui, come loro Padre celeste, i sentimenti appropriati. Egli ispira loro timore riverente della Sua maestà, tanto che essi siano consapevoli di tutto ciò che non si confà alla Sua santità. Il loro cuore viene attratto con amore verso Dio, così che essi anelino a godere consapevolmente del Suo volto sorridente, considerando la comunione con Lui come un valore superiore a ogni altro privilegio. Questo spirito
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filiale produce fiducia verso Dio, così che essi si attendano da Lui ciò che Egli ha promesso e contino sulla Sua misericordia e bontà. Essi rispettano la Sua alta autorità e tremano alla Sua Parola. Questo spirito filiale produce sottomissione a Dio, così che essi desiderano ubbidire a Lui in ogni cosa, e sinceramente si sforzano di camminare secondo i Suoi comandamenti e precetti. Certo, essi ancora sono lungi da ciò che dovrebbero essere ed anelano di tutto cuore diventarlo; ciononostante, è loro fervente desiderio compiacergli in tutte le loro vie. Una coscienza ed uno spirito rinnovati. "Lo Spirito stesso attesta insieme con il nostro spirito che siamo figli di Dio" (Romani 8:16). Nel processo penale la funzione del testimone è quella di rendere testimonianza o di fornire prove, evidenze, affinché i giudici possano stabilire la colpevolezza o l'innocenza di un imputato. In Romani 2:15, l'Apostolo Paolo afferma che i pagani, benché non abbiano ricevuto la legge mosaica, dovranno ugualmente risponderne di fronte a Dio perché la loro coscienza testimonia come quella stessa legge sia scritta nel loro cuore: "Essi dimostrano che quanto la legge comanda è scritto nei loro cuori, perché la loro coscienza ne rende testimonianza e i loro pensieri si accusano o anche si scusano a vicenda". Sebbene i pagani non abbiamo ricevuto una rivelazione scritta di Dio (come nel caso degli Israeliti), anch'essi sono Sue creature, dovranno rendere conto di sé stessi a Dio, sono soggetti alla Sua autorità e saranno giudicati da Lui. Le basi su cui si fonda questa loro responsabilità è la rivelazione che Dio fa di Sé stesso nella natura, tanto che essi sono "inescusabili" (Romani 1:19-20) e l''opera della legge scritta nel loro cuore, la razionalità o "la luce della natura". Il loro istinto morale li istruisce, infatti, sulla differenza fra giusto e sbagliato e li ammonisce che un giorno dovranno rendere conto di sé stessi. La loro coscienza "attesta", fornisce prove, che Dio è loro legittimo Signore e Giudice. Ora, i cristiani hanno una coscienza rinnovata ed essa fornisce la prova che essi sono persone rinnovate e, di conseguenza, sono da contarsi fra gli eletti. "...infatti siamo convinti di avere una buona coscienza, e siamo decisi a condurci onestamente in ogni cosa" (Ebrei
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13:18). Il loro cuore è stato piegato verso Dio e verso l'ubbidienza a Lui. Non solo i cristiani sinceramente desiderano onorare Dio e condursi onestamente con il prossimo, ma a questo dirigono i loro genuini sforzi: "Per questo anch'io mi esercito ad avere sempre una coscienza pura davanti a Dio e davanti agli uomini" (Atti 24:16). È funzione di una buona coscienza quella di rendere a noi stessi e di noi stessi una testimonianza favorevole. I cristiani possono fare appello ad essa. Paolo lo fa sempre di nuovo, per esempio, in Romani 9:1, troviamo come egli dichiara: "Dico la verità in Cristo, non mento - poiché la mia coscienza me lo conferma per mezzo dello Spirito Santo", il che significa che la sua coscienza rendeva testimonianza alla sua sincerità nei fatti in questione. Troviamo così qui ancora come la Scrittura interpreti la Scrittura: Romani 2:15 e 9:1, definiscono il significato di "Lo Spirito stesso attesta insieme con il nostro spirito che siamo figli di Dio", vale a dire: ne fornisce le prove, stabilisce la verità di un caso. Romani 8:16, dichiara che il nostro spirito (sostenuto dallo Spirito Santo) fornisce la prova che noi siamo "figli di Dio" e, così come l'Apostolo continua a mostrare, se siamo figli, "siamo anche eredi" (v. 17) e "eletti di Dio" (v. 33). Questa testimonianza del nostro spirito è la testimonianza del nostro cuore e coscienza, purificata e santificata dal sangue di Cristo. Essa rende testimonianza in due modi: da indizi ad essa interiori e da prove esteriori. Dato che questo oggi è poco compreso, dobbiamo approfondirlo. Questi indizi interiori sono particolari grazie innestate nel nostro spirito alla nuova nascita, per le quali una persona può essere certa della sua divina adozione, e quindi della sua elezione a salvezza. Questi indizi riguardano prima i nostri peccati e poi la misericordia di Dio in Cristo. Per essere più chiari, considereremo i primi in rapporto con i nostri peccati, passati, presenti e futuri.
La "tristezza secondo Dio" L'indizio o segno nel nostro "spirito" o cuore, che riguarda i nostri peccati passati è "la tristezza secondo Dio" (2 Corinzi 7:10), vera e propria "madre" di ulteriori doni e grazie di Dio. La natura di questa "tristezza" può essere meglio compresa quando è messa 175
a confronto con il suo opposto. La "tristezza secondo il mondo" sorge dal peccato e non è altro che lo spavento che incute la coscienza ferita e l'apprensione che sorge dall'attendersi da parte di Dio di un castigo. La "tristezza secondo Dio", invece, anche se può essere causata dal peccato, sorge dal dolore di avere rattristato Dio, e così disprezzato la Sua grazia e bontà. La "tristezza secondo il mondo" sorge dall'apprensione causata da un inevitabile castigo, è la paura del castigo, mentre la "tristezza secondo Dio" è sentirsi addolorati a causa del peccato in quanto tale, un dolore aumentato dal fatto che il castigo che merito è caduto su Cristo al posto mio e non su di me. Per non ingannare noi stessi nel discernere questa "tristezza secondo Dio", lo Spirito Santo, in 2 Corinzi 7:11, ci fornisce sette caratteristiche che ci servono per distinguerla. L'apostolo scrive: "Infatti, ecco quanta premura ha prodotto in voi questa vostra tristezza secondo Dio, anzi, quante scuse, quanto sdegno, quanto timore, quanto desiderio, quanto zelo, quale punizione! In ogni maniera avete dimostrato di essere puri in questo affare". (1) La prima è "premura" (o "sollecitudine"). Il termine "premura" significa in primo luogo "fretta" e poi "attenzione, riguardo particolare verso qualcuno o qualcosa", diligenza - il suo opposto è negligenza ed indifferenza. La "tristezza secondo Dio" promuove la determinazione ad operare per porre rimedio all'errore o al peccato commesso. (2) La seconda è le "scuse" (o "giustificazione"), cioè il proprio dispiacimento e il chiedere perdono. Il suo opposto è sforzarsi a negare il fatto, a giustificarlo nel senso di trovare scusanti, attenuanti, "cause" come se fossimo stati sopraffatti da qualcosa di così forte di fronte al quale non abbiamo potuto resistere, tanto da dire "non è stata colpa nostra". (3) In terzo luogo lo "sdegno (o "indignazione"). Invece che esserne indifferente, la persona che ha "tristezza secondo Dio" è "indignata" nel senso di "disgustata di sé stessa", "arrabbiata con sé stessa" per aver commesso tali atti riprovevoli.
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(4) in quarto luogo "timore", timore di ripetere l'atto, l'ansia prodotta nella mente dalla sola possibilità di ricadervi. (5) In quinto luogo: "desiderio" (o "affetto", "affezione", "bramosia"), il desiderio che Dio ci assista e ci rafforzi per non incorrere di nuovo in tale errore. (6) In sesto luogo "zelo", nel praticare quei sacri doveri che sono all'opposto di quel peccato; (7) In settimo luogo: "punizione" (o "soddisfazione") di sé stesso, il desiderio di mortificare sé stesso ogni giorno per "tenere a bada" reprimere la propria vecchia natura peccaminosa. Quando una persona trova in sé stessa questi frutti, non deve dubitare che la sua "tristezza" sia davvero "secondo Dio", cioè sia davvero ravvedimento.
Indizi nel nostro spirito Gli indizi nel nostro spirito al riguardo dei peccati presenti è la resistenza che oppone la nuova natura alla vecchia, o il principio di santità contro quello del male (vedi Galati 5:17). Questa è caratteristica delle persone rigenerate perché esse sono creature duali - figli degli uomini e figli di Dio. Si tratta di molto di più delle sollecitazioni della coscienza che tutti, buoni o cattivi che siano, trovano in sé stessi quanto contravvengono all'ordinamento di Dio. No, è l'aspra lotta in cui essi sono ingaggiati nella loro mente, sentimenti e volontà: per quanto rinnovati e santificati in loro c'è come un tiro alla fune, la nuova creatura che c'è in loro tira da una parte e quella corrotta dalla parte opposta. È la guerra protratta e dolorosa che il cristiano vede infuriare in sé stesso: essa è evidenza che è una nuova creatura in Cristo. Quando, infatti, il cristiano considera il suo passato, prima della sua rigenerazione, non troverà alcuna esperienza simile a questa. Tutto ciò che si trova nel mondo naturale adombra realtà spirituali: dobbiamo solo avere occhi per vedere, comprendere e interpretarle rettamente. C'è una malattia chiamata Efialte in cui chi ne è affatto sente nel dormiveglia come se un peso fosse stato posto sul suo petto che gli impedisce di respirare. In quest'incubo 177
il dormiente si agita e fa di tutto per liberarsene, ma non ci riesce. Questo è il caso dell'autentico cristiano: è consapevole che qualcosa lo voglia trascinare giù come se gli tagliasse le ali della fede e della speranza e che, "aspirando alle cose di lassù" gli impedisce di librarsi in alto. È cosa che l'opprime e contro la quale lotta, ma invano. È "la carne", la sua innata corruzione, il peccato che dimora in noi, quello contro il quale combattono tutte le grazie della nuova natura. È peso intollerabile che disturba il suo riposo e gli impedisce di fare le cose che vorrebbe. Gli indizi nel nostro spirito al riguardo dei peccati futuri è l'impegno di volerli impedire prevenendoli. Che questo sia un segno distintivo dei figli di Dio appare da: "Noi sappiamo che chiunque è nato da Dio non persiste nel peccare; ma colui che nacque da Dio lo protegge, e il maligno non lo tocca" (1 Giovanni 5:18). Notate attentamente qui i verbi: non deve essere tradotto "Noi sappiamo che chiunque è nato da Dio non pecca" come in alcune versioni, ma giustamente "non persiste nel peccare" (Nuova Riveduta), cioè non ne è sua pratica costante e regolare. Inoltre, questi "preserva sé stesso" (CEI, ND, Diodati), questa sua cura, impegno, non consiste solo nel regolare la condotta esteriore, ma si estende fino ai pensieri del cuore. È a questo che l'Apostolo si riferiva quando scrive: "...tratto duramente il mio corpo e lo riduco in schiavitù, perché non avvenga che, dopo aver predicato agli altri, io stesso sia squalificato" (1 Corinzi 9:27). Qui egli non si riferisce al suo corpo fisico, ma al "corpo di peccato" che è in lui. Più siamo consapevoli dei nostri pensieri malvagi e delle nostre immaginazioni corrotte, più sediamo in giudizio contro le nostre motivazioni, meno verosimilmente il nostro comportamento esteriore sarà sgradito a Dio. Consideriamo ora gli indizi o segni nel cristiano al riguardo della misericordia di Dio, indizi che danno prova che si tratti di uno degli eletti di Dio. Il primo è quando un uomo o una donna si sente pesantemente aggravato e profondamente disturbato dal senso di colpa e dalla contaminazione che gli causano le sue iniquità, e quando è consapevole nella sua coscienza di quanto Dio ne sia dispiaciuto. Per il cristiano questo è cosa più grave di
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qualsiasi male fisico o calamità temporale a cui possa essere soggetto. Il peccato è il fardello più pesante che abbia e che gli impedisce di godersi i piaceri di questo mondo o le compagnie mondane. Ora è questo che gli fa sentire il suo bisogno urgente di Cristo, e nei Suoi confronti può veramente dire: "Come la cerva desidera i corsi d'acqua, così l'anima mia anela a te, o Dio" (Salmo 42:1). Ambizioni carnali e speranze mondane impallidiscono fino a perdere del tutto significato per colui o colei che anela con tutto sé stesso la riconciliazione con Dio per i meriti del Redentore. Il suo grido agonizzante è "Dammi Cristo altrimenti muoio" (William Hammond, innario del Gadsby). Ora, a tutte queste anime dalla coscienza tormentata e malate di peccato, rese così consapevoli dallo Spirito Santo, Cristo ha fatto preziosissime promesse, promesse che ad altri non appartengono se non agli eletti risvegliati di Dio: "Se qualcuno ha sete, venga a me e beva. Chi crede in me, come ha detto la Scrittura, fiumi d'acqua viva sgorgheranno dal suo seno" (Giovanni 7:37-38). Non è forse esattamente questo ciò che può provvedere sollievo e conforto a colui o colei che sente le fiamme dell'inferno sulla sua coscienza? Ha fame e sete di giustizia, perché sa di non averne alcuna che gli sia propria. Ha sete di pace, perché giorno notte non ne ha alcuna. Ha sete di perdono e di purificazione, perché vede sé stesso come un lebbroso, un fellone. Allora, dice Cristo, vieni a me, ed io soddisferò ogni tuo bisogno: "Ogni cosa è compiuta. Io sono l'alfa e l'omega, il principio e la fine. A chi ha sete io darò gratuitamente della fonte dell'acqua della vita" (Apocalisse 21:6). Notate poi che cosa consegue al suo venire a Cristo: "... chi beve dell'acqua che io gli darò, non avrà mai più sete; anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui una fonte d'acqua che scaturisce in vita eterna" (Giovanni 4:14).
Nuovi sentimenti Il secondo indizio è un nuovo sentimento - innestato nel cuore dallo Spirito Santo - per il quale un uomo o una donna tanto stima, valorizza ed altamente apprezza il sangue e la giustizia di Cristo, da considerare, a loro confronto, anche le cose più
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preziose di questo mondo come tanta spazzatura. È il sentimento che Paolo esprime in Filippesi 3:7-8, "Ciò che per me era un guadagno, l'ho considerato come un danno, a causa di Cristo. Anzi, a dire il vero, ritengo che ogni cosa sia un danno di fronte all'eccellenza della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho rinunciato a tutto; io considero queste cose come tanta spazzatura al fine di guadagnare Cristo". Certo, si possono trovare anche tanti cristiani formali disposti ad affermare di considerare la Persona e l'opera di Cristo al di sopra di ogni altra cosa di questo mondo, in teoria; però, alla prova dei fatti, la maggioranza d'essi si dimostrerà dello stesso spirito di Esaù che aveva barattato la sua primogenitura con una zuppa di lenticchie. Con rarissime eccezioni, troviamo come la maggior parte di coloro che portano il nome di cristiani preferiscano "le pentole piene di carne del paese d'Egitto" alle benedizioni di Dio nella terra promessa. Le loro azioni, la loro vita, lo dimostra, perché "dov'è il tuo tesoro, lì sarà anche il tuo cuore" (Matteo 6:21). Che nessuno inganni sé stesso al riguardo di questo particolare segno della rigenerazione e dell'elezione. Dio ci ha dato due segni di identificazione che lo corroborano. In primo luogo, laddove vi è un apprezzamento genuino ed un rallegrarsi in Cristo più di ogni altra cosa, pure vi sarà un amore non simulato per coloro che appartengono a Lui: "Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli" (1 Giovanni 3:14), cioè i membri del corpo mistico di Cristo, per il fatto stesso che lo siano. Coloro a cui sta cuore Dio devono avere a cuore anche il Suo popolo. Non importa quali differenze vi siano fra di loro quanto a nazionalità, posizione sociale, temperamento personale, c'è un legame spirituale che li unisce. Se Cristo dimora nel mio cuore, allora i miei sentimenti saranno necessariamente attirati verso coloro nei quali percepisco, per quanto debolmente; i lineamenti della Sua santa immagine. Getterà un'ombra sulle evidenze della mia elezione solo il permettere ad uno spirito di animosità di alienarmi da essi. Il secondo segno corroborante di una genuina valorizzazione di Cristo è un vivo desiderio di essere in piena comunione con Lui, 180
o con la dipartita da questo mondo, o nel Suo secondo avvento. Sebbene noi si abbia un naturale orrore per la dissoluzione del nostro corpo, e sebbene il peccato che dimora nel cristiano lo metta in imbarazzo al solo pensiero di essere introdotto alla presenza immediata del Santo di Dio, ciononostante, le operazioni della nuova natura portano l'anima al di sopra di questi ostacoli. Un cuore rinnovato non sarà mai soddisfatto dell'attuale presente e necessariamente limitata comunione con il suo amato. Egli anela ad una piena e completa comunione con Lui. Questo era chiaramente il caso di Paolo: "Sono stretto da due lati: da una parte ho il desiderio di partire e di essere con Cristo, perché è molto meglio" (Filippesi 1:23). Che questo non fosse solo un suo sentimento personale ma qualcosa di condiviso con tutti coloro che la grazia ha eletto, appare da queste sue parole: "Ormai mi è riservata la corona di giustizia che il Signore, il giusto giudice, mi assegnerà in quel giorno; e non solo a me, ma anche a tutti quelli che avranno amato la sua apparizione" (2 Timoteo 4:8).
Indizi esterni di adozione Ci volgiamo ora all'indizio esterno della nostra adozione. L'ubbidienza. Si tratta dell'ubbidienza evangelica, per la quale il credente sinceramente si impegna ad ubbidire ai comandamenti di Dio nella sua vita quotidiana. "Da questo sappiamo che l'abbiamo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti" (1 Giovanni 2:3). Dio non giudica la disubbidienza con il rigore della Legge, perché altrimenti questo non sarebbe un indizio di grazia ma un mezzo di dannazione! Al contrario, Dio stima e considera quell'ubbidienza secondo il tenore del Nuovo Patto. Al riguardo di coloro che Lo temono, il Signore afferma: "Io li risparmierò, come uno risparmia il figlio che lo serve" (Malachia 3:17). Dio considera le cose che compiamo non dai loro effetti o dalla meticolosità con la quale le facciamo, ma dall'affetto che sente verso di noi. Dio guarda soprattutto al cuore eppure, affinché non ci si inganni su questo punto, riflettiamo in spirito di preghiera sulle seguenti precisazioni. L'ubbidienza esterna che Dio richiede ai Suoi figli e che, per amore di Cristo, Egli accoglie da loro, non riguarda soltanto 181
alcuni dei comandamenti di Dio, ma tutti senza eccezione. Erode ascoltava volentieri il Battista, lo proteggeva e faceva molte cose che gli diceva. C'era però qualcosa che non era disposto a fare (Marco 6:20), cioè rispettare il settimo comandamento e non importunare la moglie di suo fratello Filippo. Giuda aveva lasciato il mondo e seguiva Cristo diventando persino predicatore dell'Evangelo, ma la sua avidità era qualcosa dalla quale non voleva staccarsi ed era perito. Al contrario, Davide esclama: "Non dovrò vergognarmi quando considererò tutti i tuoi comandamenti" (Salmo 119:6). Chi si ravvede di un peccato, davvero si ravvede per tutti i peccati, e colui che consapevolmente persevera nel commettere qualche suo "peccato favorito" senza avere intenzione di abbandonarlo, di fatto non si è ancora ravveduto di nessuno d'essi. La nostra ubbidienza esterna, poi, per essere accettabile a Dio, deve estendersi per tutto il corso della nostra vita cristiana dopo la conversione. Non dobbiamo giudicare noi stessi (o chiunque altro) da poche cose che compiamo, ma dal tenore generale della nostra vita. Una persona è ciò che risulta dal complesso della sua vita, sebbene possa fallire in questa o in quell'altra particolare azione a causa del peccato ancora latente. Questo, però, non pregiudica la nostra condizione ultima di fronte a Dio, basta che il credente viva il ravvedimento come una costante della sua vita, non escludendone alcun peccato. È necessario, infine, che questa ubbidienza eterna proceda dalla nostra intera persona: tutto ciò che è in noi deve manifestare la lode di Dio. Alla nuova nascita vengono rinnovate tutte le facoltà dell'anima. Ne consegue che esse debbano essere poste tutte al servizio di Dio, così come prima erano state poste al servizio del peccato. Affermiamolo di nuovo: è della massima importanza che il cristiano verifichi chiaramente a che cosa renda testimonianza il suo spirito. Non si tratta tanto di un qualche miglioramento della sua natura carnale, né che un particolare peccato sia in esso meno attivo, ma del fatto che egli sia un figlio di Dio. Questo deve essere comprovato da un cuore che desidera Dio, che anela ad essere in comunione con Lui, che si impegna sinceramente a
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compiacergli. Proprio come un bambino affezionato e consapevole dei suoi doveri porta nel suo stesso cuore il rapporto particolare che ha con suo padre, così le inclinazioni e le aspirazioni filiali del credente provano come Dio sia il suo Padre celeste. Certamente in lui vi sarà ancora molto che costantemente si oppone a Dio, ciononostante, in lui vi deve essere necessariamente qualcos'altro che non c'era in lui per natura prima della sua conversione. C'è un'obiezione, però, che, a questo punto, potrebbe essere sollevata: alcuni dicono essere un peccato per il cristiano mettere in questione la sua accoglienza presso Dio perché ancora il suo cuore pare essere così depravato, o dubitare della propria salvezza perché non percepisce in sé stesso ancora sufficiente santità. Alcuni dicono che tali dubbi non siano altro che mettere in questione la verità e la fedeltà di Dio, perché Egli ci ha assicurato del Suo amore e della Sua disponibilità a salvare tutti coloro che credono nel Suo Figlio. Essi negano che sia nostro dovere esaminare il nostro cuore e dicono che noi, così facendo, non otterremo alcuna certezza, che dobbiamo guardare solo a Cristo e basarci sulla Sua nuda Parola. Questo, però, è un errore molto serio. Ci fondiamo sulla Sua Parola proprio quando cerchiamo in noi prove di ciò che la Parola stessa descrive come i segni distintivi di un figlio di Dio. Dice l'Apostolo: "Questo, infatti, è il nostro vanto: la testimonianza della nostra coscienza di esserci comportati nel mondo, e specialmente verso di voi, con la semplicità e la sincerità di Dio, non con sapienza carnale ma con la grazia di Dio" (2 Corinzi 1:12), come pure: "Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e in verità. Da questo conosceremo che siamo della verità e renderemo sicuri i nostri cuori davanti a lui" (1 Giovanni 3:18-19). Nonostante, però, le evidenze che ha della sua figliolanza divina, non è per il cristiano una questione semplice avere la certezza della sua sincerità o giungere al conforto di un'anima solidamente stabilita. I suoi umori sono mutevoli, i suoi stati d'animo variabili. È proprio a questo punto che lo Spirito di Dio benedetto viene in soccorso della nostra debolezza. Alla testimonianza della nostra 183
rinnovata coscienza, Egli aggiunge la Sua testimonianza, tanto che a volte il cristiano è assicurato della sua salvezza e può dire: "Dico la verità in Cristo, non mento - poiché la mia coscienza me lo conferma per mezzo dello Spirito Santo" (Romani 9:1). I frutti. "Il solo modo stabilito da Dio per il quale possiamo giungere a capire di essere stati coinvolti nei benefici dell'elezione è dai frutti che ne raccogliamo nella nostra anima. Non ci è lecito cercare di investigarla in altro modo". Con le parole del giudizioso John Owen, siamo in pieno accordo. Da parte nostra, non oseremmo riporre la fiducia di una speranza eterna su sogni o visioni che potremmo avere avuto, oppure voci che abbiamo udito. Anche se un essere celeste comparisse davanti a noi e ci dichiarasse di aver veduto il nostro nome scritto nel libro della vita dell'Agnello, non dovremmo darci alcun affidamento, perché non avremmo modo di sapere se si tratti del diavolo stesso "travestito da angelo di luce" (2 Corinzi 11:14) venuto per ingannarci. La nostra elezione deve esserci certificata dall'inerrante Parola di Dio: è là il fondamento sicuro sul quale possiamo poggiare la nostra fede. L'obbligo che l'Evangelo ci impone di credere una qualsiasi cosa, rispetta l'ordine delle cose stesse e l'ordine della nostra ubbidienza. Ciò che l'Evangelo ci dichiara è che Cristo è morto per dei peccatori. Non mi è richiesto immediatamente di credere che Cristo sia morto per me in particolare: questo significherebbe invertire il divino ordine dell'Evangelo. Il grandioso e pur semplice messaggio dell'Evangelo della grazia di Dio è che Gesù Cristo è venuto nel mondo per procurare la via della salvezza a coloro che sono perduti, che Egli è morto per gli empi, che Egli ha soddisfatto così perfettamente quel che la giustizia divina richiedeva, che Dio può giustamente giustificare ogni peccatore che davvero creda nel Suo Figlio Gesù Cristo (Romani 3:26). Di conseguenza, dato che io mi trovo come membro di quella classe, dato che io so di essere un peccatore, una persona empia, perduta, allora sono pienamente autorizzato a credere alla buona notizia dell'Evangelo. È così che l'Evangelo esige da me fede ed ubbidienza, e sono in obbligo di rendergliele.
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Fintanto che io non credo ed ubbidisco all'Evangelo, non sono in obbligo di credere che Cristo sia morto per me in particolare; dopo aver fatto questo, però, sono autorizzato a godere di quella certezza. Nello stesso modo, mi si richiede di credere alla dottrina dell'elezione subito dopo avere udito l'Evangelo per la prima volta, perché essa chiaramente ne fa parte. Per quanto riguarda, però, la personale mia elezione, secondo le Scritture io non posso credervi, né sono obbligato a credervi indipendentemente dagli effetti che essa produce in me: è attraverso di essi che Dio mi rivela di avermi eletto. Nessuno può giustamente non credere o negare la sua elezione fintanto che sia nella condizione dove è impossibile che gli effetti dell'elezione in lui si manifestino. Fintanto che si trova in stato di non-santità, non potrà avere prova alcuna di essere fra gli eletti. È solo quando egli si trovi nella totale impossibilità, presente o futura, di essere reso santo, potrà dire di non essere stato eletto. È così che, eletto oppure no, non è cosa che Dio chiami alcuno a conoscere indipendentemente dai suoi frutti. Dio prima ci chiama alla fede, all'ubbidienza ed alla santità: questo è ciò che Egli ci richiede. Se esse sono presenti in noi, allora possiamo dire che siano i frutti dell'elezione. Nessuno, però, può dire di non essere stato eletto fintanto che fede, ubbidienza e santità siano totalmente da escludere per il presene e per il futuro. Là dove i ministri di Dio sono particolarmente impegnati. Prima di procedere oltre, rileviamo come di solito gli eletti possono essere trovati là dove i ministri di Cristo sono molto impegnati. Paolo scrive: "Ecco perché sopporto ogni cosa per amor degli eletti, affinché anch'essi conseguano la salvezza che è in Cristo Gesù, insieme alla gloria eterna" (2 Timoteo 2:10). Questo illustra il principio: l'Apostolo sapeva che, nel suo impegno apostolico, egli veniva utilizzato nell'eseguire il divino proposito di portare il messaggio della salvezza al Suo popolo. La divina provvidenza e la direzione dello Spirito del Signore lo stavano sostenendo a quel preciso fine. Guardate solo ad un esempio in cui vediamo come Egli sia guidato da Dio. Nel suo secondo viaggio missionario Paolo e i suoi collaboratori portano le buone notizie in territori abitati da pagani. Paolo era stato condotto attraverso la Frigia e la Galazia, 185
ed avrebbe pure predicato l'Evangelo in Asia, ma "lo Spirito Santo vietò loro di annunciare la parola in Asia" (2 Timoteo 2:10). Quale poteva esserne la ragione? Perché in quei territori Dio non aveva degli eletti o, se ce ne fossero stati, il tempo della loro liberazione spirituale non era per loro ancora giunto. L'apostolo, poi, prova a recarsi in Bitinia, ma ancora gli è detto: "...ma lo Spirito di Gesù non lo permise loro" (Atti 16:7). È stupefacente come tutto questo sembri non impressionare la gente oggi. Poi leggiamo: "...oltrepassata la Misia, discesero a Troas". Perché mai "oltrepassano la Misia"? Perché non si erano fermati li? Poi il Signore gli appare in una visione e gli dice di recarsi in Macedonia, e da questo egli ne deduce con certezza di essere stato chiamato a predicare l'Evangelo in quella nazione. Ecco così che vi si trasferisce, vi proclama l'Evangelo e, in conseguenza di questo, gli eletti di Tessalonica ottengono la salvezza. Più tardi si reca a Corinto dove incontra molta opposizione e poco successo. Sembra che lui sia sul punto di andarsene quando il Signore gli appare, rafforza il suo cuore e lo assicura con queste parole: "...io sono con te, e nessuno ti metterà le mani addosso per farti del male; perché io ho un popolo numeroso in questa città" (Atti 18:10). È così che Paolo vi rimane 18 mesi e si forma la chiesa di Corinto. Questo grandioso principio del Signore che dirige in tal modo i Suoi servitori che gli eletti odono l'Evangelo dalle loro labbra, trova molte illustrazioni nella Scrittura. Il modo rimarchevole in cui Filippo è condotto con la Parola di salvezza all'eunuco etiope, e Pietro con le stesse parole a Cornelio ed a quelli di casa sua ne sono luminoso esempio. Un altro esempio, persino più impressionante, è il modo in cui agli Apostoli si accostano al carceriere di Filippi per portargli la Parola della vita. Per la sua particolare posizione quest'uomo sarebbe stato impossibile trovarlo normalmente fra gli uditori della loro predicazione pubblica. Ecco perciò che il Signore muove le cose in modo tale che egli viene raggiunto là dove si trova, perché evidentemente era un eletto. Questi casi esemplificano in modo glorioso le parole del Salvatore Gesù Cristo che, riferendosi alle persone che
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Gli erano state affidate dal Padre nei territori pagani, dichiara: "Ho anche altre pecore, che non sono di quest'ovile; anche quelle devo raccogliere ed esse ascolteranno la mia voce, e vi sarà un solo gregge, un solo pastore" (Giovanni 10:16). Come ascolteranno la voce di Cristo? Attraverso i Suoi servitori così ammaestrati e condotti dalla potenza dello Spirito Santo. Il Signore Gesù non ha mai inviato i Suoi servitori a lavorare là dove Egli non vi possiede un popolo che, affidatogli dal Padre, debba essere da Lui portato nel Suo gregge. Neanche Egli ve li manderà mai. Dove però Egli ha un popolo, Egli vi dirigerà i Suoi servitori per chiamarlo a Sé, ed essi, come Paolo, possono dire: "Ecco perché sopporto ogni cosa per amor degli eletti, affinché anch'essi conseguano la salvezza che è in Cristo Gesù, insieme alla gloria eterna". Gli eletti, perciò, possono essere trovati là dove i ministri di Cristo lavorano molto. Ora, mio lettore, se hai il privilegio di vivere un un tale luogo, potrai trovarvi il popolo favorito di Dio. Il giorno delle tue opportunità auree è giunto ed è tuo preciso dovere di rispondere alla chiamata che ti rivolgono i servitori di Cristo.
Una Parola rivestita di potenza Passiamo ora a qualcosa di più specifico. Non solo Dio manda i Suoi servitori in quei luoghi dove la Sua provvidenza ha collocato alcuni dei Suoi eletti, ma Egli pure riveste la Sua Parola di potenza e rende efficaci i loro sforzi. "Conosciamo, fratelli amati da Dio, la vostra elezione. Infatti il nostro vangelo non vi è stato annunciato soltanto con parole, ma anche con potenza, con lo Spirito Santo e con piena convinzione; infatti sapete come ci siamo comportati fra voi, per il vostro bene" (1 Tessalonicesi 1:4-5). Questo è un testo molto rilevante ed ogni suo elemento merita di essere esaminato con attenzione. Esso ci dice come l'Apostolo abbia ricevuto la certezza che i credenti di Tessalonica potevano essere contati fra il popolo eletto di Dio e come, per parità di ragioni, anch'essi potessero conoscere la loro elezione e rallegrarsi in essa. Questi dettagli ci sono stati trasmessi per nostra istruzione
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e se il Signore si compiacerà di darcene intelligenza spirituale, noi saremo su terreno sicuro e stabile. Per poterlo fare, però, dobbiamo riflettere, in spirito di preghiera, su ciascuna di queste parole. "Conosciamo, fratelli amati da Dio, la vostra elezione". Come poteva l'Apostolo sapere della loro elezione da parte di Dio? Osserviamo molto particolarmente come questa sua persuasione non gli sia stata trasmessa attraverso una qualche rivelazione immediata dal Cielo, né da una visione soprannaturale e nemmeno da un messaggio angelico. Non era stato neanche il Signore stesso ad informarlo direttamente al riguardo. No, egli si persuade di essere di fronte a degli eletti da quello di cui è testimone in mezzo a loro. È dai frutti visibili della loro elezione che li può chiamare "fratelli amati da Dio". In altre parole, egli traccia quegli effetti di grazia che erano stati operati in loro nel momento della loro conversione, alla loro fonte ultima, l'oceano dell'eterno amore di Dio da cui era proceduta. Sta proprio qui, come egli stesso ci indica, il corso che pure noi dobbiamo seguire al fine di accertarci della nostra predestinazione alla gloria. "Infatti il nostro vangelo non vi è stato annunciato soltanto con parole, ma anche con potenza". Non tutti coloro che pretendono di predicare l'Evangelo di fatto lo fanno. Supporre che essi lo facciano, equivarrebbe ammettere che vi siano altrettanti Evangeli quanto vi siano raggruppamenti e sentimenti fra la cristianità e tutti che pretendono che il loro sia il vero Evangelo, ad esclusione di ogni altro. È quindi questione della massima importanza che ciascuno di noi sappia effettivamente che cosa sia l'Evangelo di Cristo, e questo deve essere appreso dalle Sacre Scritture, sotto la guida dello Spirito di Dio. Nel mondo oggi vi sono molte contraffazioni, e la loro fraudolenza può solo essere scoperta pesandoli "con le bilance del santuario". È ugualmente necessario ed importante accettarci come debba da noi essere ricevuto l'Evangelo, se di esso si voglia avere permanente beneficio perché, secondo l'Apostolo, vi sono due modi per riceverlo. "il nostro vangelo non vi è stato annunciato soltanto con parole". Se l'Evangelo ci giungesse soltanto con parole, Dio lo lascerebbe 188
alla loro efficacia naturale o alla forza delle argomentazioni più persuasive alla mente umana. In molti luoghi moltitudini hanno udito l'Evangelo, eppure continuano a rimanere nell'idolatria e nell'iniquità, nonostante la professione di fede che esse fanno. Quando l'Evangelo ci giunge "soltanto con parole", esso raggiunge solo l'intelletto, la mente, ma non fa alcuna durevole impressione sulla coscienza e sul cuore. Di conseguenza, esso non può che produrre una fede simulata e presuntuosa, una fede inferiore persino a quella dei demoni, perché essi "credono e tremano" (Giacomo 2:19). È solo quando l'Evangelo ci giunge "anche con potenza", quella dello Spirito Santo, che esso viene ricevuto con fede vera e salvifica. È molto importante, quindi, verificare noi stessi su questo punto. Vi sono due estremi in cui si può cadere per mancanza di una giusta ricezione della Parola di Dio. Uno suppone essere di grado di esercitare la volontà e la capacità di eseguire le opere di giustizia sufficienti per raccomandarlo al favore di Dio. Egli così diventa: "zelante per voi, ma non per fini onesti" (Galati 4:17). Egli digiuna, prega, fa elemosine, frequenta la chiesa, ecc. e, dove ritiene di essere carente o di fallire, fa appello ai meriti di Cristo per sovvenire a queste deficienze. Questo, però, è come prendere un pezzo di stoffa nuova (la redenzione di Cristo) rattoppandone nella sua veste una giustizia legale, sperando così di pacificare una coscienza che si sente in colpa. Egli continua a svolgere i suoi "doveri religiosi" per tutto l'anno, senza mai raggiungere una conoscenza vitale ed esperienziale dell'Evangelo. Tutto il suo servizio non sono che opere morte. L'altro estremo è l'opposto di questo, ma ugualmente pericoloso. Invece di faticare al punto di esaurimento, non compiono opera alcuna. Più o meno consapevoli, come lo sono tutti gli esseri umani naturali, di essere peccatori, ed udendo della salvezza gratuita ottenibile in Gesù Cristo, essi l'accolgono, ricevendola con la mente soltanto ma non nella loro coscienza. Viene così generata una fede superficiale e presuntuosa e, con un solo salto di fede, ritengono di giungere alla sicurezza del Cielo. Come dice, però, Salomone, "L'eredità acquistata con precipitazione all'inizio, alla
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fine non sarà benedetta" (Proverbi 20:21). Questa gente sono grandi parlatori, si vantano molto della loro libertà dalla legge, ma essi stessi sono schiavi del peccato. Sono sempre lì ad imparare cose nuove, ma non giungono mai alla conoscenza della verità. Essi ridono di quelli che hanno paure e dubbi, eppure sarebbero proprio loro ad aver motivo d'aver paura. Ora, in evidente contrasto con entrambe queste classi, v'è chi riceve l'Evangelo non soltanto con parole, "ma anche con potenza, con lo Spirito Santo". Questa è una via di mezzo fra questi due estremi, un modo che è nascosto a tutti gli irrigenerati, perché: "l'uomo naturale non riceve le cose dello Spirito di Dio, perché esse sono pazzia per lui; e non le può conoscere, perché devono essere giudicate spiritualmente" (1 Corinzi 2:14). Quando Dio inizia " l'opera della fede, con potenza" (2 Tessalonicesi 1:11 Diodati) e conduce quell'anima in questa via di mezzo, all'inizio può non vederla e non comprenderla. Com'era stato con il padre di tutti i credenti, così è con tutti i suoi figli; quando Abramo era stato chiamato efficacemente, egli "ubbidì, per andarsene in un luogo che egli doveva ricevere in eredità; e partì senza sapere dove andava" (Ebrei 11:8). Coloro che nascono dallo Spirito sono condotti "per sentieri che non conoscono" (Isaia 42:16) e fintanto che davanti a loro l'oscurità è trasformata in luce e le cose storte raddrizzate, essi non possono comprendere le vie dello Spirito. Quando però questo è fatto, allora "la via del popolo" sarà "aggiustata" per loro (Isaia 62:10). La domanda più importante di tutte che mi debbo fare è allora: l'Evangelo mi è pervenuto soltanto con parole, o anche con potenza salvifica? Se è il primo di questi modi, allora è stato ricevuto senza che la mia coscienza ne fosse trafitta, disturbata, afflitta, perché questi sono i segni che la divina potenza opera nell'anima del peccatore quando ode l'Evangelo. Quando la Parola di Dio giunge a noi "con potenza" essa giunge come "una spada a doppio taglio", L'effetto sul cuore è quello di una spada affilata quando penetra in un corpo. Se la ferita è profonda, il dolore sarà molto acuto. Lo stesso con la Parola di Dio: quando tocca, anzi, trafigge una vita, essa la mette in questione facendole
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male, un male, però, salutare: "...è penetrante fino a dividere l'anima dallo spirito, le giunture dalle midolla; essa giudica i sentimenti e i pensieri del cuore" (Ebrei 4:12). Disse Giobbe: "Infatti le saette dell'Onnipotente mi trafiggono, lo spirito mio ne succhia il veleno; i terrori di Dio si schierano in battaglia contro di me" (6:4). Allo stesso modo Davide esclama: "Poiché le tue frecce mi hanno trafitto e la tua mano è scesa su di me" (Salmi 38:2). L'esperienza di Paolo è identica. Prima che lo Spirito applicasse la Legge al suo cuore, egli riteneva di essere vivo, ma, di fatto, era "morto" agli occhi di Dio. Quando però il comandamento davvero lo raggiunge in tutto il suo rigore, il peccato "si risveglia" in lui ed egli davvero "muore", si sente come morto, impotente. "Un tempo io vivevo senza legge; ma, venuto il comandamento, il peccato prese vita e io morii" (Romani 7:9). Il fatto è che lui, come ogni altro Fariseo, supponeva che la Legge dovesse limitarsi alla conformità esteriore delle regole stabilite, alla "lettera". Considerato in questa prospettiva egli si riteneva indubbiamente "a posto", con nulla di cui rimproverarsi. Quando però egli giunge, per l'opera efficace dello Spirito Santo in lui, a considerare la Legge come qualcosa che, lungi dal toccare solo l'esteriorità, lo metteva in questione fino nel profondo della sua anima, rivelando come fosse così in modo manifesto un inguaribile trasgressore, condannato senza appello, egli improvvisamente si scopre "morto" e questo lo porta a disperare di sé stesso. La Legge gli scandaglia l'anima tanto da portare alla luce la sua fondamentale corruzione, quella che prima gli era nascosta. Egli trova in sé stesso, come pochi altri, la condizione descritta in Marco 7:21-22: "...perché è dal di dentro, dal cuore degli uomini, che escono cattivi pensieri, fornicazioni, furti, omicidi, adultèri, cupidigie, malvagità, frode, lascivia, sguardo maligno, calunnia, superbia, stoltezza". Egli è costretto - per esperienza diretta - ad ammettere la verità di ciò che Cristo diceva. Il primo atto di fede porta un uomo o una donna a credere di trovarsi veramente nella condizione in cui la Scrittura lo/la descrive, cioè in quella di nemico di Dio (Romani 8:7), figlio d'ira (degno di morte, Efesini 2:3), sotto la maledizione di una legge violata (Galati 3:10), portato in servitù da Satana (2 Timoteo
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2:26). Sulla sua coscienza, così, cade un pesante fardello di peccato (Salmo 38:4), davvero quel che dice Isaia "gli empi sono come il mare agitato, quando non si può calmare e le sue acque cacciano fuori fango e pantano" (57:20). Questa condizione sfida ogni vano sforzo di uscirne con le proprie risorse, e lo incatena con pesanti catene: "Tutti quanti siamo diventati come l'uomo impuro, tutta la nostra giustizia come un abito sporco; tutti quanti appassiamo come foglie e la nostra iniquità ci porta via come il vento" (Isaia 64:6). Si ritrova legato mani e piedi, già "con il cappio al collo" a causa dei suoi peccati. È così che egli invoca Dio, grida a Lui con tutte le forze a sua disposizione, affinché Dio abbia pietà di lui e che, nella Sua misericordia, lo liberi da questa situazione. Non ha certo allora più bisogno di preghiere prefabbricate da recitare, ora grida: "O Dio, abbi pietà di me, peccatore!" (Luca 18:13). In che modo, così, Dio lo libera? Attraverso l'Evangelo che giunge a lui "con potenza e con lo Spirito Santo". Dio fa sì che egli ora si veda in una nuova luce, quella della sofferenza e morte di Suo Figlio, mediante il quale la giustizia che la Legge esige è soddisfatta e la Sua Legge è magnificata. La giusta ira di Dio su di lui può calmarsi, e una nuova via, quella della riconciliazione, si apre fra lui peccatore e Dio. È la funzione dello Spirito Santo quella di operare la fede nel cuore e di applicare il sangue redentore e la giustizia di Cristo alla coscienza, attraverso il quale il fardello del peccato e la legge vengono rimossi, l'amore di Dio è fatto conoscere, la pace viene impartita all'anima e la gioia al cuore. È così che lo stesso strumento che prima ferisce gravemente porta ora guarigione. È per questo che qui l'Apostolo aggiunge: "il nostro vangelo non vi è stato annunciato soltanto con parole, ma anche con potenza, con lo Spirito Santo e con piena convinzione". Questa "convinzione" è certezza - certezza della verità e autorità di Dio, il fatto che la grazia di Dio in Gesù Cristo viene perfettamente incontro al bisogno del peccatore per impartire poi ineffabile beatitudine. "Io pure mi rammento quando la verità raggiunse per la prima volta il mio cuore facendomi saltare di gioia, perché essa aveva portato via tutto il fardello che avevo
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addosso, mostrandomi la potenza salvifica di Cristo. Sono andato da Gesù così com'ero, ho toccato il bordo del suo mantello e sono stato guarito. Ho trovato che quanto dice la Parola di Dio non è fantasia, ma realtà. L'avevo ascoltata innumerevoli volte, ma quella volta Dio mi ha parlato come se suonasse un motivo su uno strumento musicale. Ora sentivo che questa parola riguardava proprio me ed operava su di me, come se Egli mettesse la Sua mano destra nel mio cuore. Mi ha portato prima di fronte al trono del giudizio di Dio e mi sono fermato là, udendo il tuono minacciare di essere ben presto colpito dai Suoi fulmini. Poi mi ha portato davanti al coperchio dell'Arca dove si spruzza il sangue della vittima sacrificale. Egli ve lo ha spruzzato e sono tornato a casa trionfante perché tutto il mio peccato era stato lavato via" (C. H. Spurgeon). "Conosciamo, fratelli amati da Dio, la vostra elezione" (1 Tessalonicesi 1:4). Come faceva l'Apostolo a sapere che quei Tessalonicesi erano nel numero degli eletti? Ce lo dice il versetto che segue: dai frutti visibili dell'elezione che potevano essere rilevati in loro. Identificando nella loro vita quegli effetti della grazia che erano stati operati in loro alla loro conversione, egli fa risalire gli stessi all'eterno proposito di misericordia che li riguardava. Vedi, caro lettore, lo stesso metodo per il quale Paolo poteva dire per quei credenti che "Dio fin dal principio vi ha eletti a salvezza mediante la santificazione nello Spirito e la fede nella verità" (2 Tessalonicesi 2:13) deve essere pure quello per il quale ogni cristiano oggi deve accertarsi della propria divina elezione. "Infatti il nostro vangelo non vi è stato annunciato soltanto con parole, ma anche con potenza, con lo Spirito Santo" (1 Tessalonicesi 1:5). Ogni cosa gira attorno a come il (vero) Evangelo sia stato ricevuto da noi: se solo con l'intelletto o se abbia raggiunto la coscienza ed il cuore, perché è solo in quest'ultimo caso che esso è stato ricevuto con fede salvifica. Quando la Parola di Dio ci giunge "con potenza", essa vi giunge come "una spada a doppio taglio" causando tagli, ferite, dolore e profonda distretta. Quando la
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Parola giunge a noi con potenza questo non è dovuto all'erudizione o all'eloquenza del predicatore, né alla carica emotiva con la quale è proclamata. Il fatto che siano ingaggiate profondamente le emozioni degli uditori fino a portarli alle lacrime, non è in sé stesso prova che l'Evangelo sia giunto a loro con divina efficacia: le emozioni possono essere suscitate da un abile attore che le sappia bene manipolare (e ci sono precise regole al riguardo che essi studiano nelle scuole di recitazione). Questo emozionalismo superficiale è evanescente e non comporta effetti spirituali durevoli. La prova è se noi davvero siamo affranti e piegati di fronte a Dio. Lo stesso pensiero viene espresso nel versetto che segue, come se questo fosse il dettaglio secondo il quale abbiamo particolarmente bisogno di essere messi alla prova: "...avendo ricevuto la parola in mezzo a molte sofferenze, con la gioia che dà lo Spirito Santo" (v. 6). Quanto priva di valore, vuota e superficiale è tanta cosiddetta evangelizzazione oggi se la confrontiamo con questo! Faremmo bene a rammentarci ciò che dice Cristo stesso quando descrive ciò che avviene al seme quando cade in un terreno pietroso: "Quello che ha ricevuto il seme in luoghi rocciosi, è colui che ode la parola e subito la riceve con gioia, però non ha radice in sé ed è di corta durata; e quando giunge la tribolazione o persecuzione a motivo della parola, è subito sviato" (Matteo 13:20-21). Molto diversa era la situazione di coloro che erano stati convertiti nel giorno di Pentecoste, perché la prima cosa che poteva essere rilevata in loro era che: "essi furono compunti nel cuore" (Atti 2:37)4. La nascita è preceduta dal travaglio e poi viene la gioia 5. Sono queste le questioni da considerare ed alle quali rispondere davanti a Dio: La Parola mi ha rimproverato e condannato? Mi ha spogliato da ogni compiacimento per me stesso e presunzione d'essere giusto? Ha infranto tutte le mie speranze portandomi a 4
In un'altra versione: "si sentirono trafiggere il cuore" (CEI).
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"La donna, quando partorisce, prova dolore, perché è venuta la sua ora; ma quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più dell'angoscia per la gioia che sia venuta al mondo una creatura umana" (Giovanni 16:21).
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prostrarmi come un criminale di fronte al trono della misericordia di Dio? "In questo luogo la gente viene ad udire sermoni e poi se ne esce dicendo l'uno all'altro: 'Ti è piaciuto?', come se fosse stato una performance teatrale, e uno risponde: 'Oh sì, molto bello'; e un altro: 'No, proprio non mi è piaciuto'. Pensate proprio al predicatore dell'Evangelo importi del vostro apprezzamento estetico? Pensate davvero che al servitore di Dio, se tali è veramente, importi che cosa pensate di lui? Veramente no. Se rispondete però: 'Ho proprio goduto quel sermone!' egli sarebbero piuttosto incline a rispondere: 'Allora deve essere proprio stato un sermone brutto ed infedele, altrimenti all'udirlo, avreste dovuto esserne arrabbiati... molto probabilmente mi è sfuggito qualcosa o non l'ho pronunciato bene, altrimenti la Parola avrebbe dovuto ferire la vostra coscienza come un coltello affilato. Avreste dovuto dire: 'Non penso che mi sia piaciuto. Stavo pensando come io sia innamorato di me stesso e mi compiaccia della mia buona condizione davanti a Dio. Questo è ciò che veramente mi interessa, non tanto se ha predicato bene. Un sermone che mi piace è quello che mi lusinga e mi fa stare bene con me stesso, non uno che mi condanni...'. Miei cari: è questo che pensate? È questo che vorreste udire da un sermone? Se andare in chiesa per voi è come andare ad assistere ad un concerto o ad un oratore che parla di questioni temporali, allora mancate delle evidenze dell'elezione; la Parola non ha raggiunto la vostra anima con potenza" (C. H. Spurgeon). Nei testi biblici citati prima da 1 Tessalonicesi 1:5-6, vi sono due dettagli da notare. Il primo è nell'espressione: "...e con piena convinzione". Quando la Parola di Dio raggiunge l'obiettivo che si prefigge nell'anima di una persona, tutti i suoi dubbi al riguardo della sua autenticità ed autorità sono rimossi, e non è più necessario argomentare per persuadere che l'autore di quella Parola è Dio. Allora tutto lo scetticismo dei razionalisti e dei
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critici "dell'alta critica" si scioglierebbero come neve al sole, se lo Spirito di Dio si compiacesse di applicare la Parola al loro cuore. Coloro che sono stati portati a sentire il bisogno impellente che hanno di Cristo e di quanto Egli possa rispondere alla loro disperata condizione, hanno "piena convinzione" di ciò che l'Evangelo afferma della Sua Persona ed opera. Qualunque cosa essi possano averne pensato prima, ora non hanno più alcun dubbio sulla Sua divinità assoluta, la Sua nascita verginale, la Sua morte vicaria, la Sua preminente dignità come Profeta, Sacerdote e Re. Tutte queste cose ora sono appianate, decise per sempre, e si dichiarerà con tale chiarezza e dogmatismo da scuotere e scandalizzare la sensibilità dei più altezzosi.
Il desiderio di essere come Cristo Ancora qui è detto: "Voi siete divenuti imitatori nostri e del Signore" (v. 6a). Ecco un altro segno di elezione: coloro che sono stati scelti dal Signore desiderano essere come Lui. "Voi siete divenuti imitatori nostri" non significa che essi siano diventati seguaci di Paolo, come altri lo possono essere di Sila o di Timoteo, ma che essi imitano questi eminenti evangelisti per quanto riguarda l'esempio che Cristo ci ha lasciato. Si può veramente dire che questo sia il test fondamentale dell'elezione? Assomigliamo noi a Cristo? Vorremmo onestamente assomigliargli? Allora questa è una sicura evidenza della nostra elezione. Viviamo noi "di ogni parola che proviene dalla bocca di Dio" (Matteo 4:4)? Cristo lo faceva. Portiamo noi ogni cosa in preghiera a Dio? Cristo lo faceva. Chiediamo noi che Dio benedica quelli che ci maledicono? Non che noi si sia privi di peccato o perfetti, no, ma seguiamo noi veramente Cristo anche se spesso lo perdiamo di vista? Se sì, allora non si tratta di un'indebita presunzione riconoscerlo e trarne conforto, se questo è pure accompagnato dall'essere ugualmente rattristati quando ci rendiamo conto quanto la nostra ubbidienza sia spesso inadeguata e il cuore ci duole per i nostri peccati.
La gioia "Con la gioia che dà lo Spirito Santo" (6c). Notate come questo testo qualifichi il concetto di gioia. Non si tratta di gioia carnale, ma di 196
gioia spirituale. Ed osservate pure come questo concluda la lista, perché è proprio nello stile del Signore quello di riservare il vino migliore per la fine. Ahimè, quanto pochi sono coloro che professano la fede cristiana che hanno anche solo una minima conoscenza esperienziale di questa gioia profonda e spirituale. La religione della vasta maggioranza della gente consiste nell'eseguire formalità religiose dalle quali non traggono alcun vero piacere. Quanta gente va in un luogo di culto semplicemente perché ritiene che una persona di rispetto lo debba fare, ma molto volentieri se ne starebbero alla larga. Non così per il cristiano nella sua migliore disposizione: va a rendere il culto che a Dio è dovuto, va per udire la voce di Colui che ama, cerca da esso un rinnovato segno del Suo amore, desidera crogiolarsi al sole della Sua presenza. Quando poi è favorito da una visitazione di Cristo, egli esclama con Giacobbe: «Com'è tremendo questo luogo! Questa non è altro che la casa di Dio, e questa è la porta del cielo!» (Genesi 28:17), un assaggio del Cielo stesso!
Impegnarsi a confermare la realtà della nostra elezione Concludendo ora le nostre osservazioni su questo aspetto affascinante del nostro argomento, non rimane che un versetto sul quale ponderare: "Perciò, fratelli, impegnatevi sempre di più a render sicura la vostra vocazione ed elezione; perché, così facendo, non inciamperete mai" (2 Pietro 1:10). Queste parole sono da sempre state l'oggetto delle abili manipolazioni dei maestri dell'errore. Nemici della verità le hanno pervertite al punto da far loro significare che il divino decreto dell'elezione sia qualcosa di provvisorio, condizionato agli sforzi del peccatore, "per vedere se ne sia degno"... Essi negano che la predestinazione di una persona alla vita eterna sia assoluta ed irrevocabile, insistendo che essa dipenda dalla nostra personale diligenza. In altre parole, è l'uomo stesso che si suppone debba decidere e determinare se il desiderio di Dio per lui si debba o non si debba realizzare. Non solo un tale concetto è assolutamente estraneo all'insegnamento delle Sacre Scritture, ma dire che la ratifica e la realizzazione dell'eterno proposito di Dio sia lasciata dipendere da qualcosa che provenga dalla creatura, 197
non è altro che pura e semplice bestemmia. Se fosse così questo non solo renderebbe incerta la nostra elezione, ma anche completamente senza speranza. "Impegnatevi sempre di più a render sicura la vostra vocazione ed elezione". Queste parole hanno pure presentato un vero problema a non pochi che appartengono al popolo di Dio. Essi rimangono perplessi e non comprendono bene in che modo sia necessario impegnarsi per "rendere sicura" la loro vocazione ed elezione. Persino quando questa difficoltà è appianata essi rimangono nel dubbio sul modo in cui debba manifestarsi questo impegno. Ah, amici miei, nelle Scritture, Dio si esprime spesso in modo tale da mettere alla prova la nostra fede, umiliare il nostro cuore, e spingerci ad inginocchiarci in preghiera. Forse potrebbe essere utile concentrarsi sui seguenti punti. •
In primo luogo, a chi questo testo si rivolge.
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In secondo luogo, l'ordine insolito in cui sono posti i termini "vocazione" ed "elezione".
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In terzo luogo, quale sorta di "impegno" o diligenza qui si intenda.
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In quarto luogo, in che senso noi si possa rendere "sicura" la nostra vocazione ed elezione?
I destinatari del testo 1. In primo luogo: a chi si rivolge questo testo? Se questo principio semplice, ma essenziale fosse debitamente applicato, si potrebbe evitare un gran numero di interpretazioni erronee. È infatti l'applicazione errata delle Scritture a portare molti completamente fuori strada. Quando il pane destinato ai figli viene gettato ai cani, i primi ne vengono privati ed i secondi ricevono del cibo che non è per loro e si rivela cibo sprecato. Prendere un'esortazione destinata ai credenti e farla propria, o meglio, appropriarsene indebitamente, rivolgendola a non credenti, vuol dire operare una violazione per la quale non esistono scusanti, eppure è stato fatto proprio questo con il versetto che stiamo esaminando. Non c'è proprio modo di 198
sbagliarsi sul destinatario legittimo di questa divina ingiunzione. Il versetto con il quale si apre questa lettera mette chiaramente in evidenza chi ne siano i destinatari: "Simon Pietro, servo e apostolo di Gesù Cristo, a coloro che hanno ottenuto una fede preziosa quanto la nostra nella giustizia del nostro Dio e Salvatore Gesù Cristo" (2 Pietro 1:1). Essa è destinata a credenti, tant'è vero che il testo si rivolge a "fratelli" ed è come tali che li esorta. Questa esortazione, quindi, è indirizzata a santi spiritualmente viventi, non a peccatori spiritualmente morti. Insegnare che le persone non rigenerate possano fare una qualsiasi cosa per assicurarsi la loro vocazione ed elezione, non solo manifesta colossale ignoranza, ma disonora la Parola di Dio. Quando si trasmette un messaggio da parte di Dio, infatti, il primo dovere dei Suoi ministri è quello di tracciare una chiara linea di demarcazione fra la Chiesa ed il mondo. Non farlo vuol dire far sì che molti figli del diavolo pretendano di essere alla pari del popolo di Dio. Se si fa attenzione al contesto in cui si trova un determinato testo biblico, si vedrà chiaramente a chi quel testo si rivolge, se ai figli degli uomini in generale oppure particolarmente ai figli di Dio. Il modo più semplice ed efficace per chiarire questo a chi lo ascolta è delineare attentamente il carattere (i segni di identificazione) degli uni e degli altri - si noti come l'Apostolo segua proprio questa via nei primi quattro versetti di questa lettera. 2. L'ordine di questi elementi, In secondo luogo, l'ordine insolito che qui troviamo di questi elementi, prima "vocazione" e poi "elezione". Sebbene a prima vista questo possa lasciare perplessi e sollevare una difficoltà, se si studia attentamente la questione si vedrà ben presto come essa supplisca una chiave importante per l'apertura di questa esortazione. Ciò che rende perplesso il lettore attento è perché mai qui "vocazione" venga prima di "elezione", perché abbiamo largamente dimostrato, nei capitoli precedenti, come la chiamata (vocazione) efficace sia conseguenza dell'elezione, la sua manifestazione. Romani 8:28, dichiara che i credenti sono "chiamati secondo il suo disegno". Allo stesso modo, in Romani 8:30, è detto: "quelli che ha predestinati li ha
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pure chiamati". Così pure troviamo: "Egli ci ha salvati e ci ha rivolto una santa chiamata, non a motivo delle nostre opere, ma secondo il suo proposito e la grazia che ci è stata fatta in Cristo Gesù fin dall'eternità" (2 Timoteo 1:9). Perché, allora, queste due cose sono invertite nel brano che stiamo considerando? Bisogna notare con attenzione che Romani 8:28-30 e 2 Timoteo 1:9, trattano degli atti di Dio, mentre 2 Pietro 1:10, menziona vocazione ed elezione in rapporto alla nostra diligenza o impegno. È soltanto notando debitamente queste distinzioni che possiamo sperare di giungere ad una giusta comprensione di molti dettagli delle Sacre Scritture. In Romani 8, l'Apostolo propone una dottrina, mentre in 2 Pietro 1:10, si tratta di un'esortazione, e c'è una precisa differenza fra le due cose. Quando la Scrittura espone le vie di Dio, esse sono presentate nel loro ordine naturale o logico (come in Romani 8:30), ma quando tratta dell'esperienza cristiana, l'ordine in cui apprendiamo la verità è precisamente quello che usa. Qui è lo stesso: dobbiamo prima accertarci di essere stati fatti oggetto di una chiamata efficace, perché a sua volta questo sarà prova della nostra elezione. L'ordine dei pensieri di Dio verso di noi è elezione e poi vocazione, ma nella nostra esperienza personale veniamo prima in contatto con la Sua chiamata e poi, tramite essa, comprendiamo come essa sia il risultato della nostra preliminare elezione. 3. In che cosa consiste questo impegno. In terzo luogo, in che cosa consiste l'impegno al quale qui siamo chiamati? Sono molte le persone che immaginano di aver ricevuto una chiamata efficace, ma si tratta semplicemente di fantasia: invece di impegnarsi diligentemente ed in spirito di preghiera al dovere qui richiesto, si concedono il beneficio del dubbio. Probabilmente molti sono abbastanza sinceri nella loro supposizione, ma sono sinceramente in errore. Sono stati infatti sviati dal loro ingannevole cuore. Non è infatti sufficiente adottare la dottrina dell'elezione come articolo del nostro credo. Come dice un inno cristiano:
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"Sebbene l'elezione di Dio sia una verità - ben poco conforto ne avrò - fintanto che Dio mi dice con la sua stessa bocca - che Egli mi ha scelto" (Joseph Hart, Gadsby's Hymnal, 31). ...e non ho alcun diritto o garanzia di attendermi che Egli lo farà fintanto che non avrò fatto ciò che mi chiede di fare il testo che stiamo considerando. Ciò che qui mi si richiede è prima di tutto di rendere sicura la "vocazione" che ho ricevuto da Dio. Questo può essere fatto accumulando e rafforzando le prove, le evidenze che io sono un Suo figlio nato di nuovo. A sua volta questo lo realizzo coltivando il carattere e la condotta di un santo. Come posso conseguirlo? Facendo uso dei mezzi di grazia che Dio ci ha provveduto, come la lettura quotidiana delle Sacre Scritture, meditando su quanto leggo; attraverso la preghiera segreta e fervente che Dio mi soccorra con la Sua grazia; coltivando la comunione con il popolo di Dio nella misura in cui la Sua provvidenza lo permetta; vigilando fedelmente sul mio cuore; evitando tutto ciò che non sia santo; mortificando il mio egoismo e dicendo di no ai desideri illeciti. Riceveremo ancora più aiuto in questo impegnandoci in qualcosa di ancora più specifico e che troviamo nei versetti precedenti al nostro. Nei versetti 1:5-7, veniamo esortati in questo modo: "Voi, per questa stessa ragione, mettendoci da parte vostra ogni impegno, aggiungete alla vostra fede la virtù; alla virtù la conoscenza; alla conoscenza l'autocontrollo; all'autocontrollo la pazienza; alla pazienza la pietà; alla pietà l'affetto fraterno; e all'affetto fraterno l'amore". Il versetto 10, esprime le stesse cose ma con parole diverse. In questo capitolo vi è un parallelismo sorprendente, e poi, al versetto 11, l'Apostolo fornisce il risultato di un tale impegno: "In questo modo, infatti, vi sarà ampiamente concesso l'ingresso nel regno eterno del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo". Ecco così come il nostro testo possa essere interpretato alla luce del suo contesto. Di quale impegno o diligenza so allora qui si parla? I versetti da 5 a 7, ce lo dicono: è coltivando le grazie spirituali che sono qui menzionate che potrò accertarmi della mia vocazione ed elezione. 201
4. "Rendere sicura" l'elezione? In quarto luogo, in che senso potremo "rendere sicura" la nostra vocazione ed elezione? In primo luogo si noti attentamente come in italiano quel "rendere" possa essere fuorviante. Non si tratta infatti di "far sì che sia sicura" come se dipendesse da noi, perché l'elezione è già stata assicurata ad ogni eletto dall'immutabilità dei propositi divini, "perché i doni e la vocazione di Dio sono irrevocabili" (Romani 11:29). Non si tratta nemmeno di qualcosa di futuro, perché qui si parla del godimento presente della nostra vocazione ed elezione, del fornirne le prove ai nostri fratelli e sorelle ora. L'idea qui è di "dar prova", di "accertarmi" della mia vocazione ed elezione, di dimostrare alla Chiesa come io ne sia il destinatario6. Uno può anche dirmi che crede nell'elezione e che è sicuro di essere stato chiamato da Dio e di essere fra gli eletti, ma fintanto che io non vedo di questo le evidenze nel suo carattere e condotta, le grazie spirituali indicate nei versetti 5-7, allora devo dirgli (come Paolo aveva fatto verso i Galati: "Sono perplesso a vostro riguardo!" (Galati 4:20). Allora qui si intende: "Confermate alla vostra coscienza ed agli altri che la vostra vocazione ed elezione è autentica comportandovi come figli di Dio. Due conseguenze. Infine, qui si indicano due conseguenze del mettere in pratica queste esortazioni. In primo luogo: "...perché, così facendo, non inciamperete mai" (v. 10). Coloro che si impegnano diligentemente a coltivare le grazie spirituali menzionate nei vv. 5-7, (confermando così a sé stessi e agli altri la loro vocazione ed elezione), non cadrete mai dal "piedistallo" della comunione con Dio; non cadrete dalla verità nelle false dottrine e nell'errore; non cadrete in peccati 6
Nell'originale questo versetto (traslitterato) recita: "dio mallon adelphoi spoudasate bebaian umōn tēn klēsin kai eklogēn poieisthai tauta gar poiountes ou mē ptaisēte pote". βέβαιος (bebaios) della stessa radice del nostro "base", significa: fondata, ferma e sicura. È come dire: mostrate che abbia fondamento, che in voi sia autentica, e non solo a parole... La versione inglese "New Living Translation" del 2007 rende questo versetto come: "Work hard to prove that you really are among those God has called and chosen", cioè: "impegnatevi a provare che davvero siete fra coloro che Dio ha chiamato e scelto".
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gravi, recando disonore alla vostra professione di fede; non arretrerete nel vostro cammino spirituale tanto da perdere il gusto per le cose spirituali; non costringerete Dio a disciplinarvi; non cadrete nello scoraggiamento tanto da perdere ogni certezza; non cadrete in condizione di inutilità spirituale. In secondo luogo, però: "In questo modo infatti vi sarà ampiamente concesso l'ingresso nel regno eterno del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo" (v. 11); esperienzialmente oggi e pienamente ed onorevolmente nel futuro. Questo è il risultato ed il premio dell'impegno e della diligenza7.
Sintesi Per riassumere... In che modo un vero credente si accerta di essere uno degli eletti di Dio? Beh, il fatto stesso che egli sia un cristiano autentico ne dà prova, perché credere in Cristo è la sicura conseguenza del fatto che Dio lo ha destinato a vita eterna ["...e tutti quelli che erano ordinati a vita eterna, credettero" (Atti 13:48)]. Per essere, però, più specifici, in che modo posso sapere di essere un eletto? •
In primo luogo, dalla Parola di Dio, in quanto essa ha fatto breccia con divina potenza nella mia anima, tanto da fare a pezzi il compiacimento che avevo di me stesso e farmi rinunciare ad ogni mia personale pretesa di giustizia.
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In secondo luogo, dal fatto che lo Spirito mi ha persuaso della mia condizione di deprecabile e colpevole perdizione in cui mi trovavo.
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n terzo luogo, avendomi rivelato quanto Cristo sia adatto e sufficiente per risolvere il mio caso disperato, mi ha impartito da parte di Dio quella fede che mi ha
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Il verbo in "vi sarà concesso" del v. 11, è lo stesso di "aggiungete" nel v. 5, cioè "ἐπιχορηγέω" (supplire): "ἐπιχορηγήσατε (supplite, attivo) ... ἐπιχορηγηθήσεται" (vi sarà supplito, passivo), "provvedete ... e vi sarà provveduto"!
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permesso di affidarmi completamente a Lui e in Lui solo trovare speranza e pace interiore. •
In quarto luogo, dai segni della nuova natura che sono presenti in me: amore per Dio, appetito per le cose spirituali, anelito verso la santità, il desiderio di essere conforme a Cristo.
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In quinto luogo, la resistenza che la mia nuova natura che c'è in me oppone alla vecchia fa sì che io odi il peccato e detesti me stesso nel commetterlo.
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In sesto luogo, evito diligentemente tutto ciò che è condannato dalla Parola di Dio, e sinceramente mi ravvedo ed umilmente confesso ogni trasgressione della stessa che io commetta. Se io fallisco a questo punto, certamente questo farà sì che nuvole oscure si accumulino sulla mia certezza, e tratterrà lo Spirito Santo dal darmene testimonianza.
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In settimo luogo, impegnandomi diligentemente a coltivare le grazie del carattere cristiano facendo uso di tutti i mezzi legittimi che possano promuoverlo.
È così che la conoscenza dell'elezione ha, per così dire, un "effetto cumulativo".
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9. L’Elezione: la sua felicità8 Magnifica il carattere di Dio In primo luogo, l'elezione magnifica il carattere di Dio. Essa esemplifica la Sua grazia. L'elezione rende noto il fatto che la salvezza è un dono che Dio elargisce liberamente, impartendolo gratuitamente secondo il Suo insindacabile beneplacito. Così deve essere, perché coloro che lo ricevono non sono, in sé stessi, né diversi né migliori di coloro che non lo ricevono. L'elezione contempla che pure vi sia chi debba soffrire l'inferno per mostrare come tutti meritino di perire. La grazia, però, interviene come una rete a strascico che raccoglie, da un'umanità in rovina, un piccolo gregge al fine d'essere, per l'eternità, monumento alla sovrana misericordia di Dio. L'elezione manifesta la Sua onnipotenza. Essa rende noto il fatto che Dio è onnipotente, che Egli governa e regna sulla terra, e dichiara che nessuno può supporre di resistere alla Sua volontà e frustrare i Suoi segreti propositi e sperare d'avere successo. L'elezione rivela Dio che infrange l'opposizione del cuore umano, sottomette l'inimicizia della mente carnale e, con irresistibile potenza, attira a Cristo i Suoi eletti. L'elezione confessa che: "Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo" (1 Giovanni 4:19) e che noi crediamo perché Egli ci ha reso volenterosi nel giorno della Sua potenza, com'è scritto: "Il tuo popolo si offrirà volenteroso nel giorno del tuo potere" (Salmo 110:3 ND). La dottrina dell'elezione attribuisce tutta la gloria a Dio. Essa nega nel modo più assoluto qualsiasi credito alla creatura. Essa nega che le persone non rigenerate siano in alcun modo capaci di preannunciare un pensiero retto, di generare un sentimento retto o dare origine ad una retta volizione. Essa insiste che è Dio colui 8
N. d. T. - Traduciamo con "felicità" (cosa, avvenimento che rende felice) il termine originale del Pink "blessedness" (come in: "the blessedness of election"), non trovando un adeguato corrispettivo in italiano. È il sentimento di gioia e di riconoscenza di chi si rende conto di essere stato fatto immeritatamente oggetto della grazia di Dio, come pure dal contemplare quanto questa dottrina dia gloria a Dio, e quindi sia desiderabile.
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che opera in noi sia il volere che l'agire. Essa dichiara che ravvedimento e fede sono in sé stessi doni di Dio, non l'autonomo contributo del peccatore al costo della sua salvezza. Il suo parlare è "Non a noi, o Eterno, non a noi, ma al tuo nome dà gloria, per la tua benignità e per la tua fedeltà" (Salmo 115:1), come pure: "A lui, che ci ha amati, ci ha lavati dai nostri peccati nel suo sangue" (Apocalisse 1:5). I paragrafi precedenti l'autore li ha scritti quasi un quarto di secolo fa e non li ritratta né intende modificarli. "Il Signore opera una distinzione fra l'umanità colpevole secondo la sovranità della Sua grazia. 'Io non avrò più compassione della casa d'Israele in modo da perdonarla. Ma avrò compassione della casa di Giuda'. Forse non aveva peccato anche Giuda? Non avrebbe potuto il Signore abbandonare anche Giuda? Certo, avrebbe potuto giustamente anche farlo, ma Egli si compiace nell'essere misericordioso. I peccatori giustamente meritano il castigo che è loro dovuto: essi non credono in Cristo e quindi moriranno nei loro peccati. Dio, però, ha misericordia, secondo la grandezza del Suo cuore, di molti che non avrebbero potuto essere salvati altrimenti che da un'immeritata misericordia. Affermando, però, il Suo diritto regale, Egli dice: «Io avrò misericordia di chi avrò misericordia e avrò compassione di chi avrò compassione». La prerogativa della misericordia è solo nella sovranità di Dio e quella è la prerogativa che Egli esercita. Egli dona laddove Egli si compiace di donare ed Egli ha il diritto di farlo, dato che nessuno potrebbe pretendere nulla da Lui" (C. H. Spurgeon, "The Lord's Own Salvation", Osea 1:7). La citazione che abbiamo or ora fatto, rende sufficientemente chiaro che non è cosa da poco respingere questa parte benedetta dell'eterna verità, anzi, è cosa grave e seria il farlo. La Parola di Dio non è cosa dalla quale si possa scegliere ciò che più ci aggrada - scegliere le porzioni che ci sembrano più attraenti e disdegnare ciò che non si confà alla nostra ragione e sentimenti. 206
La Parola di Dio ci è data come un tutt'uno, e ciascuno di noi dovrà essere giudicato su quella base. Respingere la grandiosa verità che abbiamo qui trattato, è culmine dell'empietà, perché ripudiare l'elezione di Dio significa ripudiare il Dio dell'elezione. Significa rifiutare di piegarsi di fronte alla santità del Creatore. È orgoglio presuntuoso, insistere essere noi stessi a determinare il nostro destino. Non è altro che lo spirito di Lucifero, del quale è detto: "Tu dicevi in cuor tuo: «Io salirò in cielo, innalzerò il mio trono al di sopra delle stelle di Dio ... salirò sulle sommità delle nubi, sarò simile all'Altissimo»" (Isaia 14:13-14).
È centrale nel piano di salvezza In secondo luogo, la felicità di questa dottrina appare nel suo ruolo centrale nel piano della salvezza. Consideriamola dapprima dal lato di Dio. Una presentazione scritturale di questa grandiosa verità è indispensabile se si vuole riconoscere, onorare e fare propri gli atti distintivi del Dio trino. La salvezza non procede solo da una delle Persone divine, ma dagli eterni Tre. Jahvè, ha ordinato le cose in modo tale che ciascun membro della Santa Trinità debba essere magnificato e glorificato allo stesso modo. Dio Padre è il Salvatore del cristiano in modo tanto vero e reale di quanto lo sia il Signore Gesù Cristo, e così pure lo Spirito Santo - notate come in Tito 3:4, il Padre sia espressamente designato come "Dio nostro Salvatore" e in modo distinto da "Cristo Gesù nostro Salvatore" nel versetto 6. Se però questa preziosa dottrina viene omessa, tutto questo è ignorato e viene perduto di vista. La predestinazione appartiene al Padre, la propiziazione al Figlio, e la rigenerazione allo Spirito Santo. Il Padre origina la salvezza, il Figlio la effettua, e dallo Spirito Santo è portata a compimento. Ripudiare la prima significa sottrarre il fondamento stesso della salvezza. Consideriamola ora dal lato umano: l'elezione sta alla base stessa della speranza del peccatore. Per natura noi siamo tutti figli d'ira (Efesini 2:3). Smarriti come pecore, ognuno segue la sua propria via (Isaia 53:6). L'intera umanità è colpevole di fronte a Dio, tutti siamo sottoposti al giudizio di condanna da parte di Dio, giusto Giudice, e se fossimo lasciati a noi stessi, tutti 207
sarebbero ineluttabilmente implicati nella comune rovina. Siamo tutti "della stessa pasta" e continuando ad essere plasmati dalla mano della natura diventeremmo tutti "vasi per un uso ignobile" (Romani 9:21). È solo per la grazia di Dio che si può sperare di uscire da questa condizione (Romani 11:4-7). Gesù Cristo, il redentore dei peccatori, è Egli stesso l'Eletto così come Lo descrive il profeta (Isaia 42:1). Tutti coloro che sono destinati alla salvezza sono eletti in Lui, affidati a Lui dal Padre, scelti in Lui sin da prima della fondazione del mondo. È per realizzare la loro salvezza che Dio ha dato il Suo Figlio unigenito e che Gesù Cristo ha assunto la nostra natura dando la Sua vita come prezzo di riscatto. È per chiamare gli eletti che sono state date le Sacre Scritture, sono inviati i ministri di Dio, l'Evangelo è predicato e lo Spirito Santo è presente. È per realizzare l'elezione che uomini e donne sono istruiti da Dio, attirati dal Padre, rigenerati dallo Spirito Santo, resi partecipi di preziosa fede, fatti oggetto dello spirito di adozione, dello spirito di preghiera e dello spirito di santità. È in conseguenza della loro elezione che uomini e donne sono ubbidienti al'Evangelo, sono santificati dallo Spirito, e diventano santi ed irreprensibili dinanzi a Dio. Se non vi fosse stata alcuna elezione da parte di Dio, non vi sarebbe stata alcuna salvezza. Questa non è affatto un'affermazione arbitraria: "Come Isaia aveva detto prima: «Se il Signore degli eserciti non ci avesse lasciato una discendenza, saremmo diventati come Sodoma e saremmo stati simili a Gomorra»" (Romani 9:29). Peccatori perduti non possono salvare sé stessi. Dio non aveva alcun obbligo di salvarli. Quando Egli si compiace di salvare, Egli salva chi vuole. L'elezione non si pone solo come unica speranza di salvezza di un peccatore, ma accompagna pure ogni passo del progresso del cristiano verso il Cielo. Essa gli porta le buone notizie della salvezza. Egli gli apre il cuore per ricevervi il Salvatore. Essa è visibile in ogni atto di fede, in ogni sacro dovere ed in ogni preghiera efficace. Essa lo chiama. Essa lo vivifica in Cristo. Essa rende bella la sua anima. Egli lo corona con giustizia, vita e gloria. Essa contiene in sé la certezza preziosa che: "colui che ha
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cominciato in voi un'opera buona, la condurrà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù" (Filippesi 1:6). Non c'era nulla, nulla in loro tale da poter muovere Dio a scegliere il Suo popolo; ed Egli opera su di loro in modo tale da non permettere a niente ed a nessuno di fargli revocare la Sua scelta. Come indica chiaramente Romani 8:30, la predestinazione implica la glorificazione e quindi garantisce che all'eletto venga fornito tutto ciò che gli serve nel periodo fra le due.
La fonte d'ogni benedizione In terzo luogo, la felicità di questa dottrina appare dagli elementi essenziali che la definiscono. Ne menzioniamo i principali. In primo luogo, l'onore superlativo di essere stati scelti da Dio. In ogni scelta la persona che sceglie attribuisce valore a ciò che viene scelto. Essere scelto da un re ad occupare una posizione, un ufficio, essere chiamati a servire in un determinato impiego statale, gli dà una grande dignità. Così è nelle questioni spiritali. Era stato un onore per Tito essere scelto dalle chiese come compagno di viaggio di Paolo (2 Corinzi 8:19), che però il grande Iddio, il beato e unico sovrano, il Re dei re e Signore dei signori, scelga creature povere, disprezzabili, prive di valore e vili come noi, è qualcosa che va al di là della nostra capacità di capire. Riflettete su 1 Corinzi 1:26-29,e vedete come la questione vi venga trattata e come essa dovrebbe stupirci e renderci umili. Notate l'enfasi onorevole posta sul Signore Gesù Cristo: "Ecco il mio servitore che ho scelto; il mio diletto, in cui l'anima mia si è compiaciuta" (Matteo 12:18): la stessa posta su coloro che ne sono membra: "Se il Signore non avesse abbreviato quei giorni, nessuno scamperebbe; ma, a causa dei suoi eletti, egli ha abbreviato quei giorni" (Marco 13:20). Notevole è la conseguente eccellenza di questo. Essi sono gli eletti, coloro che Dio ha scelto. Non ne consegue forse alto valore, onore ed eccellenza? Gli eletti di Dio diventano di prima qualità: è l'atto di Dio a renderli tali. Osservate l'ordine di 1 Pietro 2:6: "una pietra angolare, scelta, preziosa", preziosa perché scelta. Prendete i più eminenti fra i santi di Dio. Qual è il loro più alto titolo ed onore? Questo: "per amor di Davide, mio servo, che io scelsi" (1 Re 11:34); "Aaronne, che aveva scelto" (Salmo 105:26); Paolo 209
"è uno strumento che ho scelto" (Atti 9:15); "una stirpe eletta, un sacerdozio regale, una gente santa, un popolo che Dio si è acquistato" (1 Pietro 2:9), cioè scelto. È importante perché è caro a Dio: "tu sei prezioso ai miei occhi,sei stimato e io ti amo" (Isaia 43:4). Ancora, notate la pienezza di tale privilegio: "Beato chi sceglierai e accoglierai, perché egli abiti nei tuoi cortili!" (Salmo 65:4); "...poiché lo ricolmi delle tue benedizioni per sempre" (Salmo 21:6), o, come dice la Diodati: "tu l'hai posto in benedizioni in perpetuo", cioè messo a parte per null'altro che benedizioni". Come lo esprime il Nuovo Testamento: "Benedetto sia il Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo, che ci ha benedetti di ogni benedizione spirituale nei luoghi celesti in Cristo. In lui ci ha eletti prima della creazione del mondo perché fossimo santi e irreprensibili dinanzi a lui" (Efesini 1:3-4). L'elezione, quindi, è la fonte di ogni benedizione. Gli eletti sono scelti in vista di essere posti nella più stretta comunione con Dio che sia possibile per delle creature, la più alta. Considerate pure il tempo in cui ci ha scelti: "fin dal principio" (2 Tessalonicesi 2:13). Dio ci ha amati sin da quando Egli era Dio, cioè da sempre e continuerà ad essere Dio per sempre (Salmo 90:2). Il Suo amore è altrettanto antico: "Sì, io ti amo di un amore eterno; perciò ti prolungo la mia bontà" (Geremia 31:3), e il Suo amore è come Lui, incausato, immutabile, infinito. La felicità dell'elezione appare ancora dal numero relativamente piccolo degli eletti. Il numero ristretto di coloro che godono di privilegi, lo magnifica ancora di più, come nel caso della preservazione di Noè e della sua famiglia: "...quando la pazienza di Dio aspettava, al tempo di Noè, mentre si preparava l'arca, nella quale poche anime, cioè otto, furono salvate attraverso l'acqua" (1 Pietro 3:20). Che contrasto questo con l'intero mondo degli empi, tutti periti! Lo stesso fatto è messo in evidenza da Cristo: "Non temere, piccolo gregge; perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il regno" (Luca 12:32). Il Suo disegno era quello di mostrare la maggiore misericordia di Dio che così pochi siano riservati a favori eterni e spirituali, mentre tutti gli altri non hanno che cose materiali e temporali come loro spettanza.
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Tutto questo dovrebbe imprimersi nel nostro cuore. Volgi i tuoi occhi, caro lettore, al mondo di oggi, guarda da ogni parte: che cosa vi scorgi? Non sei forse forzato a dire della presente generazione, non importa di quale nazione, che Dio l'ha lasciata camminare nella propria via (Atti 14:16)? Non dovremmo tristemente concluderne che gli uomini e le donne di questa nostra epoca si trovino nella condizione descritta da 1 Giovanni 5:19: "tutto il mondo giace sotto il potere del maligno"? Il numero ristretto di coloro che appartengono a Dio, davvero pochi, è come il fascio di frumento che si può tenere fra due mani rispetto alla grande messe dell'umanità. Non dimentichiamoci neppure che ciò che appare ora davanti ai nostri occhi non è che la realizzazione di ciò che era stato stabilito dall'eternità. Dio, sul trono dell'universo, non è un Dio deluso, frustrato e sconfitto. Egli ha le Sue vie: "Il SIGNORE cammina nell'uragano e nella tempesta, e le nuvole sono la polvere dei suoi piedi" (Nahum 1:3). Desideriamo ripetere come questo contrasto profondo dovrebbe avere un effetto molto grande sul nostro cuore. "Il fatto che pochi siano scelti e salvati, sì, e che molti di più siano lasciati a perire, dovrebbe suscitare in noi un apprezzamento straordinario per la misericordia e la grazia della salvezza. Il fatto che Dio, nella Sua provvidenza, investa così tanto ed usi così tanti mezzi esteriori per liberare solo pochi, cosa che non fa per molti altri che così periscono, non dovrebbe forse questo toccare ancora più profondamente il cuore delle persone che così sono preservate? Possiamo allora ancora meglio comprendere quanto valga "una così grande salvezza" (Thomas Goodwin). Tutto questo è prefigurato dalle tipologie e dalle ombre dell'Antico Testamento, come nel caso della piccola famiglia di Noè, l'unica risparmiata dal diluvio universale. Vediamo anche l'esempio di Lot, strappato da Sodoma per l'intervento di angelo. E perché? La Scrittura dice semplicemente: "...quegli uomini presero per la mano lui, sua moglie e le sue due figlie, perché il SIGNORE lo voleva risparmiare; lo portarono via, e lo misero fuori della città" (Genesi 19:16). 211
Notate quale profondo apprezzamento e riconoscenza Lot manifesti al riguardo: "Ecco, il tuo servo ha trovato grazia ai tuoi occhi e tu hai mostrato la grandezza della tua bontà verso di me, conservandomi in vita" (Genesi 19:19). C'è però anche da considerare questo: il nostro essere liberati dalla condizione di simile condanna in cui si trova l'umanità, non è esattamente la stessa di quella in cui si erano trovati i personaggi prima menzionati. Noè, infatti, "fu uomo giusto, integro, ai suoi tempi; Noè camminò con Dio" (Genesi 6:9). Di Lot, pure, è scritto: "...salvò il giusto Lot che era rattristato dalla condotta dissoluta di quegli uomini scellerati (quel giusto, infatti, per quanto vedeva e udiva, quando abitava tra di loro, si tormentava ogni giorno nella sua anima giusta a motivo delle loro opere inique)" (2 Pietro 2:7-8). Essi non erano colpevoli dei gravi peccati per i quali Dio aveva mandato il diluvio ed il fuoco. Quando però Dio ci ha destinati a salvezza, a differenza di loro, noi non eravamo né giusti né meritevoli di essa. Di fatto noi condividiamo pienamente la colpevolezza dell'umanità; noi non siamo in alcun modo migliori degli altri. È solo il puro e sovrano decreto di un Dio sovrano che si è proposto il nostro portarci da uno stato di peccato e di ira ad uno di grazia e di giustizia, null'altro. Ancora più stupefacente, quindi, è la misericordia di Dio verso di noi: Dio "distingue dagli altri" (1 Corinzi 4:7) coloro in cui rispetto agli altri "non c'è distinzione" (Romani 3:22)! Quale amore, quale ubbidienza di tutto cuore, quale lode quindi, noi dobbiamo a Dio!
Grandemente produttiva In quarto luogo, la felicità di questa dottrina appare nel fatto che essa, in chi la coglie autenticamente, produce santità. Secondo i divini propositi, gli eletti sono destinati a "una santa chiamata" (2 Timoteo 1:9). Nel compimento di questo proposito, essi sono fattivamente ed efficacemente portati alla santità. Dio li separa da un mondo empio. Egli scrive la Sua Legge nel loro cuore e pone su di loro il Suo sigillo. Essi sono resi partecipi della natura divina, rinnovati all'immagine di Colui che li ha creati. Essi diventano dimora di Dio, il loro corpo diviene tempio del Spirito Santo ed essi sono da Lui guidati. In loro è operata una gloriosa 212
trasformazione che cambia il loro carattere e la loro condotta. Essi lavano le loro vesti e le rendono candide nel sangue dell'Agnello. Per loro, le cose vecchie sono passate e ogni cosa diventa nuova. Dimenticando ciò che sta alle loro spalle, essi corrono verso la meta che sta loro di fronte. Essi sono re e sacerdoti per Dio e dovranno essere adornati con corone di gloria. Vi sono coloro che, nella loro ignoranza, dicono che la dottrina dell'elezione porti alla licenziosità, che si tratti di una credenza calcolata appositamente per produrre negligenza ed un senso di falsa sicurezza nel peccato. Una tale accusa è una bestemmia rivolta a Dio che ne è l'autore. Questa verità, come abbiamo ampiamente dimostrato, occupa una posizione prominente nella Parola di Dio, e quella Parola è santa e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia (2 Timoteo 3:16). Tutti gli Apostoli credevano a questa dottrina ed essi promuovevano la pietà senza incoraggiare minimamente un comportamento sregolato. È vero che questa dottrina, come ogni altra nelle Scritture, può essere pervertita da gente malvagia e posta ad un cattivo uso. Questo, però, militando contro la verità, serve solo a dimostrare fino a dove possa giungere la depravazione umana. Pure ammettiamo come persone non rigenerate possano sostenere intellettualmente questa dottrina e poi cadere in un'inerzia fatalistica. Neghiamo però nel modo più assoluto che un cuore che accolga questa dottrina possa produrre un tale effetto. Che fede, ubbidienza, e santità siano inseparabili conseguenze e frutti dell'elezione è evidentissimo dalle Scritture stesse (Atti 13:48; Efesini 1:4; 1 Tessalonicesi 1:4-7; Tito 1:1), e questo è stato pienamente dimostrato nei capitoli precedenti. Come potrebbe essere altrimenti? L'elezione implica sempre la rigenerazione e la santificazione, e quando un'anima rigenerata e santificata scopre di dovere il proprio rinnovamento spirituale solo alla divina sovrana predestinazione, come potrebbe non esserne profondamente grata? In quale altro modo potrebbe essa esprimere la propria gratitudine se non in una vita santa ed in una
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fruttuosa ubbidienza? Comprendere l'amore eterno di cui è stata fatta oggetto, risveglia in essa amore per Dio ed ogni qual volta esiste un sincero amore per Dio pure troviamo lo sforzo sincero di compiacergli in ogni cosa. Il fatto è che il senso spirituale della grazia elettiva di Dio è la motivazione più potente che ci sia di una pietà genuina. Se dovessimo entrare in dettagli sugli elementi principali della santità, questo capitolo si estenderebbe in modo indefinito. Considerare debitamente il fatto che non c'era nulla in noi a motivare Dio a fissare su di noi il Suo cuore, e che Egli ci vedeva solo come creature rovinate e meritevoli dell'inferno, ci rende umili più di ogni altra cosa. Renderci spiritualmente conto che tutti i nostri migliori interessi si trovino completamente in Dio, opera in noi sottomissione alla Sua sovrana volontà come nient'altro lo potrebbe fare. Cogliere con fede come Dio abbia posto su di noi il Suo cuore sin dall'eternità, scegliendoci come Suo tesoro particolare, opera necessariamente in noi disprezzo per il mondo. La conoscenza che i nostri confratelli e consorelle sono gli eletti e gli amati da Dio, evoca da parte nostra verso di loro ogni sorta di buoni e santi sentimenti. La certezza che il proposito eterno di Dio è immutabile e garantisce che ogni nostra necessità sia soddisfatta, è tale da fornirci un solido conforto in qualsiasi prova in cui potremmo trovarci.
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10. L'elezione: i suoi oppositori Dovunque si presenti in modo scritturale la dottrina dell'elezione si può star certi che si incontrerà una fiera opposizione ed una indignata protesta. È stato così durante tutto il corso di quest'era cristiana e fra tutte le razze e le classi. Basta solo che si accenni alle alte prerogative di Dio, che si proclami la sovranità della Sua grazia, basta che si dica che noi siamo solo come argilla plasmata in vasi d'ira o in vasi di misericordia così come Dio ritiene opportuno, che subito si leveranno brusii di indignazione e cori di protesta. Se un predicatore insiste che la creatura decaduta non possa pretendere nulla dal suo fattore, che essa sta davanti a Lui come un criminale condannato e che non ha titolo ad altro che un castigo eterno; se tale predicatore dichiara che tutta la posterità di Adamo è così del tutto depravata che la loro mente è "inimicizia contro Dio" e quindi in stato di inveterata insubordinazione, che i loro cuori sono così corrotti da non avere desiderio alcuno per le cose spirituali, che le loro menti sono così completamente sotto il dominio del maligno da non potere volgersi al Signore, potete stare certi che quel predicatore sarà denunciato come oscurantista ed eretico. Questo, però, non dovrebbe minimamente sorprendere o turbare il figlio di Dio. Quando meglio si familiarizzerà con le Scritture, infatti, troverà come in ogni generazione i fedeli servitori di Dio siano stati sempre odiati e perseguitati, alcuni per aver proclamato una parte della verità, altri un'altra. Quando il sole brilla su un letamaio, un disgustoso odore ne sarà la conseguenza; quando i suoi raggi cadono sulle acque stagnanti di una palude, si moltiplicano i germi delle malattie. Di tutto questo forse ne ha colpa il sole? Certo che no. Lo stesso accade quando la spada dello Spirito colpisce alla radice l'orgoglio umano: essa lo rivela per quello che è. È allora che diventa palese come esso l'essere umano sia un essere decaduto e ripugnante, una creatura impotente. Quando la Parola di Dio lo colpisce, essa lo fa giacere nella polvere come un povero caduto in bancarotta per sua stessa colpa e lo dichiara interamente dipendente dal beneplacito del
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Dio sovrano. È allora che questa dottrina suscita un tumulto di proteste e lo sforzo determinato di far tacere un tale insegnamento, raggelante per la carne. La scomoda verità, infatti, non deve venire fuori: meglio illudere con le menzogne? Il metodo che di solito viene seguito da quelli che respingono questa verità è di travisarla. La dottrina dell'elezione è così grandiosa e gloriosa che per sopportare ogni opposizione essa deve essere pervertita. Coloro che la odiano non possono guardarla né parlarne come essa realmente merita. Essi trattano dell'elezione come se non implicasse la fede e la santità, come se essa non puntasse alla conformità con l'immagine di Cristo, sì, come se l'eletto di Dio potesse tranquillamente continuare a commettere ogni sorta di malvagità e, ciononostante, andare in Cielo; e come se il non eletto, non importa quanto virtuoso possa essere, o con quanto ardore desideri e si sforzi di essere giusto, debba necessariamente perire perché così è stabilito. Solo per suscitare pregiudizi contro di essa se ne traggono false conclusioni, se ne rappresentano grottesche parodie ed si usano tattiche prive di scrupoli. È con tali diabolici sforzi che i nemici di Dio cercano di distorcere e di distruggere questa dottrina benedetta. Essi la insudiciano di fango, cercano di sopraffarla con cose odiose e la presentano, allo sguardo indignato della gente come qualcosa solo da ripudiare e da abominare. Si parla così della "predestinazione" come un di un mostro creato e battezzato e poi da presentare al mondo come qualcosa solo da rigettarsi con orrore. Ecco così che moltitudini sono state private con l'inganno della porzione più preziosa della divina verità e alcuni dello stesso popolo di Dio sono stati portati a dubitare per un tempo ed infastiditi. Che i nemici giurati di Cristo oltraggino una dottrina insegnata da Lui e dai Suoi Apostoli c'è solo da aspettarselo; ma che coloro che professano d'essere Suoi amici e seguaci si uniscano per opporsi e vilipendere questa verità, serve solo per dimostrare l'astuzia di quell'antico serpente, il diavolo, che particolarmente gode quando riesce a persuadere i cristiani
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nominali a fare il lavoro sporco per lui. Che il lettore non si lasci impressionare da tale opposizione. La grande maggioranza di questi oppositori hanno poca o nessuna reale comprensione di ciò che a cui si oppongono. Essi solo largamente ignoranti di ciò che le Scritture insegnano su quest'argomento, troppo indolenti per intraprendere uno studio serio sull'argomento. Qualsiasi attenzione che prestano a questa dottrina è subito neutralizzata dal velo di pregiudizi che ostruisce la loro visione. Quando però tali persone esaminano la dottrina con sufficiente diligenza per scoprire che essa sola conduce alla santità - santità di cuore e di vita - allora essi raddoppiano i loro sforzi per toglierla di mezzo. Quando dei cristiani professanti fanno causa comune con i suoi detrattori, carità ci obbliga a concluderne che il loro atteggiamento sia dovuto al fatto che non abbiano compreso la dottrina. Essi guardano questa dottrina solo da un lato, la vedono con lenti distorte, la contemplano dal lato sbagliato. Essi non vedono come l'elezione sorga dall'amore eterno di Dio, che sceglie di estrarre e salvare, dall'umanità perduta, un certo numero di persone che altrimenti sarebbero state perdute, e che di queste persone ne fa un popolo volenteroso, ubbidiente e santo. Cercheremo ora di coprire l'intero ventaglio di obiezioni che sono state addotte contro la dottrina dell'elezione. La nostra discussione non sarebbe completa se le ignorassimo totalmente. Le opere dell'incredulità sono sempre molte e gli increduli non mancano di fantasia per farne sempre di nuove. Se il figlio di Dio dovesse occuparsi di tutte, non farebbe nient'altro tutto il giorno e sicuramente il suo tempo dovrebbe essere impegnato in qualcosa di più produttivo. Eppure crediamo che dovremmo almeno considerare brevemente quelle che il nemico suppone siano le più forti e, a suo dire, imbattibili. Non che noi ci proponiamo di convincerli e persuaderli dei loro errori. Desideriamo soltanto cercare di aiutare i nostri confratelli e consorelle che possono essere stati scossi da queste contestazioni o persino fatti cadere nel dubbio. Il nostro compito non è quello di confutare l'errore ma, con l'aiuto di Dio, quello di rendere i
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nostri lettori stabili nella verità. Per poterlo fare, però, è talvolta necessario smascherare le insidie del diavolo, mostrare quanto prive di fondamento siano le più astute fra le sue menzogne e cercare di rimuovere dalla mente del cristiano ogni effetto deleterio che possano avere avuto. Prima di iniziare questo compito sgradevole, però, dobbiamo rilevare come una qualsiasi mancanza di capacità, da parte nostra, per confutare le calunnie degli avversari, non è prova che la loro posizione sia inattaccabile. Come scrisse molto tempo fa il famoso apologeta Joseph Butler (1692-1752) nella sua "Analogy of Religion, Natural and Revealed, to the Constitution and Course of Nature" (1736), scrive: "Se una verità è stabilita, le obiezioni non sono nulla. La prima (cioè la Verità) è fondata sulla nostra conoscenza e l'altra sulla nostra ignoranza". Una volta stabilito che due più due fa quattro, non c'è manipolazione di sorta dei numeri che possa confutarlo. 'Non dobbiamo tollerare che ciò che sappiamo sia disturbato da ciò che non sappiamo', disse William Paley (1743–1805), il maestro di logica. Una volta che vediamo qualcosa chiaramente insegnato nelle Sacre Scritture, non dobbiamo permettere o ai nostri pregiudizi o all'antagonismo di altri, di scuotere la nostra fiducia o la nostra aderenza ad essa. Se siamo stati soddisfatti di vedere un 'Così dice il Signore’ sul quale poggiare i nostri piedi, non importa se non siamo capaci di combattere i sofismi e le argomentazioni che sono sollevate contro di esso. State certi che Dio è verace, anche se questo debba implicare che ogni uomo sia un bugiardo. I nemici più aspri contro la dottrina dell'elezione sono i papisti. 9 C'è da aspettarselo, perché la dottrina dell'elezione non può in alcun modo essere accordata con il dogma delle opere meritorie uno è diametralmente opposto all'altro. Tutti coloro che amano sé stessi e cercano di essere salvati attraverso le proprie opere, detesteranno la grazia sovrana e cercheranno di coprirla di disprezzo. D'altro canto, coloro che sono stati efficacemente resi umili dallo Spirito Santo e portati a rendersi conto come siano del tutto dipendenti dalla grazia discriminante dello Spirito Santo, 9
i cattolici-romani.
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non avranno alcun desiderio né pazienza con un sistema che pone la corona dell'onore sulla creatura. La storia rende ampia testimonianza al fatto che il Cattolicesimo detesta il nome stesso di Calvinismo. "C'è qualche speranza di guadagnare convertiti al Cattolicesimo da tutte le sétte meno che dal Calvinismo", disse una volta il cardinale inglese Henry E. Manning (1808-1892). Aveva ragione: come la nostra epoca degenerata rende piena testimonianza, mentre nessun Calvinista rigenerato potrà mai essere fatalmente ingannato dalle insidie della madre delle prostitute (Apocalisse 17:5), migliaia di "protestanti" arminiani le vanno a braccetto e corrono fra le sue braccia. È un fatto inconfutabile che il Calvinismo incontri sempre meno favore nei principali raggruppamenti protestanti: più la sovranità di Dio ed il Suo amore elettivo è estromessa dai loro pulpiti, più il Cattolicesimo fa progressi. Oggi, infatti, sia in Inghilterra che negli USA, esso sta facendo molti passi in avanti, non solo con nuovi convertiti, ma anche attraverso i "fraterni abbracci" che molti protestanti gli accordano. La cosa più triste di tutte è che oggi la vasta maggioranza di coloro che occupano i cosiddetti "pulpiti protestanti" ha assunto praticamente lo stesso approccio alla soteriologia del tipico Cattolicesimo romano. La loro insistenza sulla libertà dell'essere umano decaduto e la sua capacità di scegliere Dio e fare il bene, deve sicuramente riempire i papisti di grande gioia e soddisfazione - nel Concilio di Trento, infatti, essa lanciava i suoi anatemi a chi osava affermare il contrario. Fino a che punto si sia diffuso il lievito del Papismo lo si può vedere nella misura in cui gli "evangelici protestanti" che si oppongono alla dottrina dell'elezione, facciano uso esattamente delle stesse obiezioni usate dagli ecclesiastici italiani quattrocento anni fa.
Veniamo ora ad alcune delle obiezioni. Irragionevole? In primo luogo, ci dicono che la dottrina dell'elezione è irragionevole. Quando gli conviene, il Cattolicesimo romano fa finta di appellarsi alla ragione umana; altre volte, però, "la santa madre chiesa" chiede ai propri figli di chiudere gli occhi della loro mente ed accettare ciecamente 219
qualunque cosa essa ponga loro nel piatto da mangiare. Il Cattolicesimo romano, però, non è il solo a comportarsi a questo modo: moltitudini fra quelli che si considerano protestanti sono colpevoli della stessa cosa. Così pure quasi la prima reazione di coloro che non fanno alcuna professione religiosa, quando viene presentata loro questa verità, è più o meno di questo tenore: "Un concetto simile non mi attrae per nulla. Se c'è un Dio, e se Egli ha a che fare con la nostra attuale vita, io credo che Egli dia a tutti uguali opportunità, controbilanci le nostre buone opere rispetto a quelle cattive e sia misericordioso verso noi tutti. Dire che Egli fra le Sue creature abbia i Suoi favoriti, che Egli abbia già fissato prima della nostra nascita il nostro destino, beh, per me tutto questo è oltraggioso ed inaccettabile". A tale obiezione rispondiamo prima di tutto che la questione non può essere posta in quei termini. La prima domanda, infatti, che dobbiamo farci è un'altra: Che cosa dicono le Scritture al riguardo? Se esse chiaramente insegnano l'elezione, così come esse ampiamente fanno, per il figlio di Dio la questione è appianata una volta per sempre: essa è una verità da accettare. Potrebbe anche non comprenderla, ma sa che Dio non può mentire. Come disse lo stesso Signore Gesù: "La tua parola è verità" (Giovanni 17:17). A meno che vogliamo contestare Gesù e l'intera Bibbia, l'elezione è un dato di fatto. Se i nostri oppositori non accettano questo, allora non c'è terreno comune sul quale noi ci si possa incontrare: è del tutto futile continuare a discutere la questione. Il cristiano non deve permettere in nessuna circostanza di essere allontanato dalla posizione che occupa, cioè la rocca inespugnabile delle Sacre Scritture per scendere nelle paludi traditrici della ragione umana. Solo su un piano più alto, quello della Parola di Dio, si può resistere con successo agli attacchi di Satana. Questo era "il metodo" di Gesù stesso quando rispondeva vittoriosamente al tentatore. Rileggetevi Matteo 4. La Parola di Dio non giunge a noi cercando di essere accreditata rispetto ai canoni della ragione umana. Al contrario, esige che la ragione umana si pieghi all'autorità di Dio e riceva il suo contenuto inerrante senza mormorare. Essa ci ammonisce
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ripetutamente e con forza che se disprezziamo la sua autorità e respingiamo il suo insegnamento è solo a nostro danno. È sulla base di quella Parola che un giorno saremo pesati, misurati, giudicati. È parte dell'umana sapienza quella di sottomettersi e ricevere con riconoscenza le sue ispirate dichiarazioni. L'atto supremo di una retta ragione, mio lettore, è quella di sottomettersi senza riserva alla sapienza divina, accettare con la semplicità di un bambino, la rivelazione che per grazia Dio ci ha dato. Un qualsiasi altro e diverso atteggiamento è del tutto irragionevole - lo sconvolgimento dell'orgoglio. Dovremmo essere riconoscenti che l'Antico di giorni (Daniele 7:9 ND) si compiace di istruirci. La nostra seconda risposta alla menzionata obiezione è che, in una rivelazione scritta dal cielo, dovremmo attenderci di trovare molto che trascende le capacità limitare della nostra mente legata alla terra. A che sarebbe servito che Dio ci avesse comunicato qualcosa che già noi sappiamo? Le Scritture, inoltre, non ci sono date come palestra in cui esercitare la nostra ragione: ciò che esse richiedono è fede ed ubbidienza. La fede non è una cosa cieca e inintelligibile, ma fiducia nel suo Autore, la sicurezza che Egli è troppo saggio per errare, troppo giusto per comportarsi in modo ingiusto; e quindi che Egli è infinitamente degno della nostra fiducia e soggezione alla Sua santa volontà. Proprio perché la Parola di Dio è indirizzata alla fede, c'è molto in essa che è contrario alla natura, molto di misterioso, molto che ci lasci con domande in sospeso. La fede deve essere messa alla prova - la prova della sua genuinità. Inoltre, Dio si rallegra di onorare la fede: sebbene la Sua Parola non sia stata scritta per soddisfare la curiosità, e sebbene essa non dia risposta a molte domande, più fede si esercita, maggiore luce ci verrà accordata. Dio stesso è profondamente misterioso. "Ecco, questi sono solamente le frange delle sue opere. Quale debole sussurro di Lui riusciamo a percepire! Ma chi potrà mai comprendere il tuono della sua potenza?»" (Giobbe 26:14 ND); "Oh, profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio! Quanto inscrutabili sono i suoi giudizi e ininvestigabili le sue vie!" (Romani 11:33). Dobbiamo quindi attenderci che nella Bibbia vi
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siano "alcune cose difficili a capirsi" (2 Pietro 3:16). La creazione dell'universo dal nulla da parte di un semplice comando dell'Onnipotente, è cosa che la nostra mente limitata non può comprendere. L'incarnazione di Dio trascende la ragione umana: "Senza dubbio, grande è il mistero della pietà: Colui che è stato manifestato in carne" (1 Timoteo 3:16); che Cristo sia stato concepito e che sia nato da una donna che non aveva avuto rapporti sessuali con un uomo, non può essere spiegato con la ragione umana. La risurrezione del nostro corpo, migliaia di anni dopo essersi ridotto in polvere, è inesplicabile. Non è forse irragionevole, allora, respingere la verità dell'elezione perché la ragione umana non riesce a darsene un senso? Ingiusta? In secondo luogo, ci dicono che la dottrina dell'elezione sia del tutto ingiusta. I ribelli contro la sovranità suprema non esitano ad accusare Dio di ingiustizia perché Egli si compiace di esercitare i Suoi diritti e di determinare i destini delle Sue creature. Essi sostengono che tutti dovrebbero essere trattati sulla stessa base e che a tutti dovrebbe essere data la stessa opportunità di salvezza. Dicono che se Dio si mostra misericordioso ad uno e non altrettanto ad un altro, una tale parzialità sia grossolanamente ingiusta. A tali obiettori replichiamo con le affermazioni stesse della Sacra Scrittura e con esse li lasciamo: "O uomo, chi sei tu che replichi a Dio? La cosa plasmata dirà forse a colui che la plasmò: «Perché mi hai fatta così?» Il vasaio non è forse padrone dell'argilla per trarre dalla stessa pasta un vaso per uso nobile e un altro per uso ignobile?" (Romani 9:20-21). Sono però alcuni fra il popolo di Dio ad essere turbati da questa difficoltà. In primo luogo rammentiamo loro che Dio è tanto "luce" (1 Giovanni 1:5) quanto "amore". Dio è indicibilmente santo come pure infinitamente misericordioso. Come il Santo, Egli aborre ogni male e, come governatore morale delle Sue creature, è del tutto coerente con il Suo santo carattere che Egli manifesti il suo odio per il peccato. Come il Dio di ogni misericordia Egli è libero di impartire il Suo favore a chi non se lo meriterebbe, e così dare dimostrazione eterna che Egli è "il Padre 222
della misericordia". Ora, nell'elezione sono entrambi questi disegni ad essere inequivocabilmente realizzati. Nel passare oltre ai non eletti e nel condannarli, Dio dà piena prova della Sua santità e della Sua giustizia, dando loro ciò che spetta alla loro iniquità. Nel predestinare e nel salvare il Suo popolo eletto, Dio manifesta chiaramente le sovrabbondanti ricchezze della Sua grazia. Supponiamo che Dio avesse voluto la distruzione dell'intero genere umano. Sarebbe stato forse ingiusto nel farlo? Certo no. Non c'è alcuna ingiustizia nel comminare ai criminali la pena che meritano per avere infranto in modo sprezzante la legge. Che ne sarebbe stato, allora, della misericordia di Dio? Se Egli avesse esercitato null'altro che un'inesorabile giustizia, come un Dio offeso, allora ogni discendente del decaduto Adamo sarebbe stato inevitabilmente consegnato all'inferno. Ora, d'altro canto, supponete che Dio avesse deciso di aprire completamente le paratie della Sua misericordia e di portare tutta l'umanità, senza distinzione, in paradiso. Che cosa se ne dedurrebbe? Il salario del peccato è la morte - la morte eterna. Avendo, però, tutti peccato e, ciononostante, nessuno muore, quale evidenza ci sarebbe che la divina giustizia sia solo un vuoto modo di dire. Se Dio salvasse tutti i peccatori indistintamente, non inculcherebbe questo necessariamente la concezione che in fondo, il peccato, è cosa relativa? Se tutti fossero portati in Cielo, non dovremmo concluderne che questo ci fosse dovuto come un diritto? Dato che tutti sono colpevoli, forse che le mani della divina misericordia sono legate? Se non è così, se Egli esercitasse indiscriminatamente la Sua misericordia, non sarebbe Dio così obbligato a rinunciare alla Sua giustizia? Se Dio si compiace di manifestare la Sua misericordia verso alcuni alla quale, comunque, non ne avrebbero diritto, non potrebbe pure Egli manifestarsi giusto giudice infliggendo sugli altri il castigo a cui hanno titolo? Quale ingiustizia fa un creditore se condona ad uno il suo debito ed impone agli altri di pagarlo? Sono forse ingiusto se do la mia carità ad un mendicante e non faccio lo stesso verso tutti gli altri mendicanti? Allora il grande Iddio è meno libero di impartire i
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Suoi doni a chi ritiene di doverlo fare? Prima che l'obiezione menzionata abbia forza alcuna, deve essere provato che ogni creatura (proprio perché è creatura) abbia titolo alla beatitudine eterna, e che quand'anche cadesse nel peccato e diventasse ribelle al suo fattore, Dio sarebbe moralmente obbligato a salvarla. Un tale obiettore si riduce proprio a queste assurdità. "Se l'eterna felicità è dovuta senza eccezione ad ogni essere umano, certamente gli è dovuta anche quella temporale. Se gli esseri umani hanno diritto alla maggiore, certamente hanno diritto pure alla minore. Se l'Onnipotente è tenuto, sotto pena di diventare ingiusto, di fare tutto ciò che può per rendere felice, nella vita che verrà ogni individuo, Egli sarebbe pure ugualmente tenuto a rendere felice ogni individuo in questa vita. Però, sono tutti felici quaggiù? Guardatevi intorno in questo mondo e poi dite di sì, se potete. Il Creatore è quindi ingiusto? Nessun altro che Satana potrebbe suggerirlo, nient'altro che le sue eco lo affermerebbero. Il Signore è un Dio di verità e senza iniquità. Egli è giusto e retto ... È misterioso l'ordine costituito delle cose? Sì, impenetrabilmente. Eppure, la misteriosità delle divine dispensazioni mette in evidenza non l'ingiustizia del sovrano Dispensatore, ma la superficialità della comprensione umana, e la miopia della vista umana. Che noi quindi, abbracciando e riverendo le dottrine bibliche della predestinazione e della provvidenza, si dia credito a Dio di essere infinitamente saggio, giusto, e buono, sebbene le Sue vie, per il presente siano a noi oscure e le Sue orme non conoscibili" (Augustus M. Toplady, autore di "Rocca eterna della fé"). Rileviamo, infine, come Dio mai rifiuti la Sua misericordia a chi umilmente presso di Lui la invoca. Dio invita i peccatori e dice loro: "Com'è vero ch'io vivo, dice il Signore, l'Eterno, io non mi compiaccio della morte dell'empio, ma che l'empio si converta dalla sua via e viva; convertitevi, convertitevi dalle vostre vie malvagie" (Ezechiele 33:11). Davanti a loro è preparato il banchetto dell'Evangelo: se essi 224
rifiutano di parteciparvi, se essi ne sono disgustati e se ne allontanano con disprezzo, il loro stesso sangue ricadrà su di loro. Che razza di "giustizia" è quella che esige che Dio porti in cielo presso di Sé coloro che Lo odiano? Se Dio ha operato in te il miracolo della grazia, e generato nel tuo cuore amore per Lui, che tu ne sia ferventemente riconoscente, e non disturbare la tua pace e gioia chiedendoti perché Egli non abbia fatto lo stesso con i tuoi compagni trasgressori. Rende inutile l’evangelizzazione? In terzo luogo, ci dicono che la dottrina dell'elezione renderebbe l'evangelizzazione priva di significato. Coloro che rifiutano di accogliere la dottrina della divina elezione amano dire che l'idea di Dio che ha scelto dall'eternità uno e passato oltre ad un'altra delle sue creature non onorandola della stessa scelta, ridurrebbe la predicazione dell'Evangelo ad una farsa. Essi sostengono che se Dio avesse predestinato una parte dell'umanità alla distruzione, l'offerta di salvezza loro rivolta non sarebbe fatta in buona fede. Intanto rileviamo come questa obiezione non metterebbe in questione solo il Calvinismo, ma, con la stessa forza, anche l'Arminianesimo. Chi sostiene che la volontà umana sia libera nega che i decreti divini abbiamo carattere assoluto, eppure essi affermano la divina preveggenza. Facciamo così loro la stessa domanda: Come potrebbe Dio, in buona fede, esortare uomini e donne a ravvedersi ed a credere all'Evangelo, quando Egli sa già in partenza che essi non lo faranno mai? Se l'Arminiano crede che la sua obiezione sia inconfutabile, pure troverà essere priva di risposta, sulla base dei suoi stessi principi, la nostra domanda. Qualunque difficoltà possa essere addotta a questo punto - e lo scrittore non intende minimizzarla - una cosa è chiara: a chiunque perviene l'Evangelo, Dio è sincero quando chiede a chi lo ode di sottomettersi a ciò che esso richiede, riceverne il lieto annuncio e per esso essere salvato. Che noi si comprenda o meno come questo possa essere così, non importa nulla: l'integrità del carattere di Dio deve essere mantenuta ad ogni costo. Il semplice fatto che non siamo in grado di discernere la coerenza e l'armonia fra due distinte linee di verità, certamente non ci autorizza a
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respingerne una di esse. La dottrina dell'elezione sovrana è chiaramente rivelata nelle Sacre Scritture; così pure lo è l'autenticità dell'offerta evangelica a tutti coloro che la ricevono: dobbiamo contendere tanto per l'una quanto per l'altra. Non creiamo forse noi stessi una difficoltà nel supporre che la salvezza sia il solo obiettivo, o persino il disegno principale della predicazione dell'Evangelo? Ci si può chiedere quali altri fini siano realizzati attraverso di esso. Indubbiamente le finalità della predicazione dell'Evangelo sono molte. Il primo fine dell'Evangelo, come in ogni altra cosa, è l'onore del grande Nome di Dio e la gloria di Suo Figlio. Nell'Evangelo, il carattere di Dio e l'eccellenza di Cristo sono rivelate più che in qualsiasi altra cosa. Che una testimonianza universale vi sia resa è infinitamente opportuno. Che tutti debbano conoscere le infinite perfezioni di Colui con il quale essi hanno a che fare, è infinitamente desiderabile. Dio, così, ne risulta magnificato e l'incomparabile valore di Suo Figlio è proclamato, anche se attraverso di esso non fosse salvato alcun peccatore e nessuno vi credesse. La predicazione dell'Evangelo, inoltre, è lo strumento stabilito, nelle mani dello Spirito Santo, attraverso il quale gli eletti sono portati a Cristo. Dio non disdegna di far uso di strumenti, ma si compiace di avvalersene. Colui che ha stabilito il fine, ha pure stabilito i mezzi che devono essere usati per raggiungerlo. È proprio perché i figli dio Dio sono "dispersi" (Giovanni 11:52) fra tutte le nazioni, che Egli ha comandato: "che nel suo nome si sarebbe predicato il ravvedimento per il perdono dei peccati a tutte le genti, cominciando da Gerusalemme" (Luca 24:47). È attraverso l'ascolto dell'Evangelo che essi sono chiamati fuori dal mondo. L'Apostolo afferma, parlando degli eletti, che "eravamo per natura figliuoli d'ira, come gli altri" (Efesini 2:3). Essi sono peccatori perduti che hanno bisogno di un Salvatore e, indipendentemente da Cristo, per loro non c'è salvezza. L'Evangelo, quindi, deve essere predicato e creduto da loro prima che essi si possano rallegrare nel fatto che i loro peccati siano perdonati. L'Evangelo, quindi, è il grande ventilabro di Dio
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(Matteo 3:12) che separa il grano dalla pula, raccogliendo così il primo nel suo granaio. I non eletti, inoltre, guadagnano molto dall'Evangelo, anche se esso non realizza la loro salvezza. Il mondo esiste per amore degli eletti, eppure tutti ne beneficiano. Il sole brilla sia sui malvagi che sui buoni, piogge ristoratrici cadono sui campi sia degli ingiusti come dei giusti. Dio, così, fa in modo che il Suo Evangelo raggiunga anche le orecchie dei non eletti, non solo quelle del Suo popolo favorito. Perché? Perché esso è uno degli agenti potenti in grado di tenere sotto controllo la malvagità dell'umanità decaduta. Milioni di persone, che pure attraverso di esso non raggiungono la vita eterna, ne ricevono un'influenza morale benefica, le loro concupiscenze sono imbrigliate, viene migliorato il corso esteriore della loro vita, e il mondo viene reso per i santi più vivibile. Mettete a confronto le società prive dell'Evangelo a confronto di quelle in cui esso risuona liberamente; nel caso di queste ultime si troverà una maggiore moralità quand'anche non vi fosse spiritualità. Bisogna infine rilevare che l'Evangelo è reso un autentico test per il carattere di tutti coloro che lo odono. Le Scritture dichiarano che l'essere umano è una creatura caduta, corrotta e che ama il peccato. Esse insistono sul fatto che la sua mente è inimicizia contro Dio, che essa ama le tenebre più che la luce, che essa non si sottometterà a Dio in ogni circostanza. Chi crede, però, in queste verità che tanto abbassano l'arroganza umana? La risposta che danno ad esse i non eletti dimostrano la verità della Parola di Dio. La loro continua impenitenza, incredulità e disubbidienza, rendono testimonianza della loro depravazione totale. Dio istruisce Mosè a recarsi presso Faraone per chiedergli che ad Israele sia permesso di andare a rendere culto a Jahvè nel deserto, eppure nel versetto seguente Egli gli dice: "...tu, con gli anziani d'Israele, andrai dal re d'Egitto e gli direte: 'Il SIGNORE, il Dio degli Ebrei, ci è venuto incontro; perciò lasciaci andare per tre giornate di cammino nel deserto, per offrire sacrifici al SIGNORE, nostro Dio'. Io so che il re d'Egitto non vi
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concederà di andare, se non forzato da una mano potente" (Esodo 3:18-19). Perché mai Dio manda Mosè dal Faraone se sa benissimo che egli non concederà loro di andare? Per rendere manifesta la durezza del cuore di Faraone, l'ostinazione della sua volontà, e la giustizia di Dio nel distruggere un tale miserabile. Distrugge la responsabilità umana? In quarto luogo, ci dicono che la dottrina dell'elezione distrugga la responsabilità umana. Gli Arminiani sostengono che se Dio avesse decretato e fissato la storia ed il destino di ogni essere umano, questo distruggerebbe la responsabilità umana, in tal caso l'essere umano non sarebbe altro che un robot programmato. Essi insistono come la volontà umana debba essere libera, ugualmente libera di scegliere o il bene o il male, altrimenti cesserebbe di essere un agente morale. Essi sostengono che a meno che una persona non sia libera da costrizioni e di fare secondo i propri desideri ed inclinazioni, essa non potrebbe essere giustamente considerata responsabile per le proprie azioni. Da questa premessa essi traggono le conclusioni che è sia la creatura e non il Creatore a scegliere e decidere il suo destino eterno, perché se i suoi atti sono determinati da sé stessa., essi non possono essere determinati da Dio. Questa obiezione è di fatto una discesa nelle regioni oscure della filosofia e della metafisica, un tentativo specioso del Nemico di condurci lontani dal campo della divina rivelazione. Fintanto che noi dimoriamo nelle Sacre Scritture, noi siamo al sicuro, ma non appena noi ricorriamo a ragionamenti su questioni spirituali, siamo certi di errare. Dio ha già reso noto tutto ciò che Egli ritiene necessario che noi sappiamo in questa vita, ed ogni tentativo di essere più intelligenti rispetto a ciò che è scritto, non è altro che follia ed empietà. Nelle Scritture è chiaro come il sole che l'essere umano - decaduto o non decaduto che sia - è un essere responsabile, che l'essere umano raccoglie quel che semina, che l'essere umano dovrà rendere conto a Dio di sé stesso ed essere giudicato in modo corrispondente. Non dobbiamo permettere a niente ed a nessuno di indebolire l'impressione che questi argomenti seri devono avere nella nostra mente. 228
La stessa linea di ragionamento è stata usata da coloro che respingono l'ispirazione verbale delle Sacre Scritture. Si sostiene che un tale postulato elimini interamente l'elemento umano nella Bibbia, che se noi insistiamo (come indubbiamente sta facendo lo scrittore in modo enfatico) che non solo i pensieri ed i sentimenti, ma anche lo stesso linguaggio sia divino, che ogni parola ed ogni sillaba dei manoscritti originali sia ispirata da Dio, allora gli scrittori umani usati per trasmettere la stessa, sarebbero semplicemente degli automi. Questo, però, sappiamo essere falso. Allo stesso modo, con la stessa dimostrazione della ragione, si potrebbe sostenere che Cristo non possa essere sia divino che umano, che se Egli fosse Dio, non potrebbe essere, nel contempo, un essere umano, e che Egli fosse veramente uomo, ne conseguirebbe che Egli non potrebbe essere Dio. Qual è il valore di tali ragionamenti, lettore mio, su questi argomenti? I libri della Bibbia sono stati scritti da esseri umani, scritti da loro con il libero esercizio delle loro facoltà naturali, in tale modo che l'impronta della loro personalità è chiaramente impressa nei diversi contributi che essi ci hanno lasciato. Ciononostante, essi non hanno originato nulla: "nessuna profezia venne mai dalla volontà dell'uomo, ma degli uomini hanno parlato da parte di Dio, perché sospinti dallo Spirito Santo" (2 Pietro 1:21). Essi erano tanto completamente controllati da Dio che nemmeno la più debole ombra di errore è presente nei loro scritti. Ogni cosa che essi avevano scritto non sono: "parole insegnate dalla sapienza umana, ma insegnate dallo Spirito" (1 Corinzi 2:13). Il Redentore è "Figlio dell'uomo", "simile ai suoi fratelli in ogni cosa" (Ebrei 2:17), eppure, per il motivo che la Sua umanità era stata assunta all'unione con la Sua divina persone, tutto ciò che Egli possedeva aveva un valore unico ed infinito. L'essere umano è un agente morale, che agisce secondo i desideri ed i dettami della sua natura. Al tempo stesso, però egli è una creatura pienamente controllata e determinata dal Creatore. In ciascuno di questi casi divino ed umano si fondono, si assimilano, ma il divino domina, eppure non ad esclusione dell'umano. "Guai al mondo a causa degli scandali! perché è necessario che avvengano degli scandali" (Matteo 18:7). Allora, sicuramente, si potrebbe
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obiettare, non si può incolpare una persona che sia causa di qualche scandalo, perché "è necessario che avvengano", o no? L'insegnamento di Cristo, però è diverso: "...ma guai all'uomo per cui lo scandalo avviene!" (Matteo 18:7). "Quando udrete guerre e rumori di guerre, non vi turbate; è necessario che ciò avvenga" (Marco 13:7). Orribili per quanto siano le guerre, "è necessario che esse avvengano", eppure questo non altera minimamente la terribile responsabilità di coloro per i quali esse avvengono. Allo stesso modo è necessario che vi siano eresie e divisioni: "...infatti è necessario che ci siano tra voi anche delle divisioni, perché quelli che sono approvati siano riconosciuti tali in mezzo a voi" (1 Corinzi 11:19), eppure i settari e gli eretici ne sono pienamente responsabili e ne dovranno rendere conto! L'assoluta necessità e la responsabilità umana, quindi, sono perfettamente compatibili, che noi si comprenda la loro coerenza oppure meno.
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11. L’Elezione: la sua pubblicazione L'accantonamento della predicazione dottrinale Durante le ultime due o tre generazioni, il pulpito ha dato sempre meno importanza alla predicazione dottrinale, fino a quest'oggi dove, con rare eccezioni, sembra che non trovi più spazio. Dai banchi il grido è stato prevalentemente da una parte: "Vogliamo esperienza viva, non arida dottrina", dall'altra: "Abbiamo bisogno di sermoni pratici, non di dogmi metafisici". Altri ancora sembrano dire: "Dateci Cristo, non la teologia". Triste a dirsi, si è prestato ascolto a tali richieste insensate. Diciamo "insensate" perché non esiste modo più sicuro della dottrina per verificare la legittimità di certe "esperienze", perché "le cose pratiche" non hanno un terreno solido su cui fondarsi se sono divorziate dalla dottrina biblica. Allo stesso modo Cristo: Cristo non può essere conosciuto se non è "predicato" (1 Corinzi 1:23), e certamente non può essere "predicato" se non nel quadro della dottrina corretta che non può semplicemente essere accantonata. Siamo così di fronte non a predicazioni "più utili", ma ad un deplorevole fallimento del pulpito, le cui cause principali vanno accreditate a pigrizia, alla ricerca di vacua "popolarità", "evangelizzazione" superficiale e squilibrata, ed amore per ciò che fa sensazione. Pigrizia. Preparare, mettiamo, una serie di sermoni sulla dottrina della giustificazione esige molto più impegno che preparare una serie di messaggi sulla preghiera, sulle missioni, o sul lavoro; richiede più tempo di confinamento del proprio studio. "Sermoni dottrinali" esigono una più vasta e profonda conoscenza delle Scritture, una maggiore disciplina della mente, un esame accurato degli scritti dei dottori della chiesa. Tutto questo è "troppo" per la maggior parte dei ministri di Dio (spesso troppo impegnati "nel sociale" o in questioni amministrative). Ecco così che scelgono la linea della minor resistenza, qualcosa di più facile. È proprio per la propensione a questa debolezza che i ministri in particolare vengono così esortati: "Applicati, finché io venga, alla lettura, all'esortazione, all'insegnamento ... Bada a te stesso e all'insegnamento;
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persevera in queste cose perché, facendo così, salverai te stesso e quelli che ti ascoltano" (1 Timoteo 4:13,16), come pure: "Sforzati di presentare te stesso davanti a Dio come un uomo approvato, un operaio che non abbia di che vergognarsi, che tagli rettamente la parola della verità" (2 Timoteo 2:15). Desiderio di popolarità. È naturale che il predicatore voglia compiacere il suo uditorio, ma lui desidera e mira a compiacere Dio: questa è la cosa più importante e spirituale. Nessuno può servire a due padroni. Come dichiara l'Apostolo: "Vado forse cercando il favore degli uomini, o quello di Dio? Oppure cerco di piacere agli uomini? Se cercassi ancora di piacere agli uomini, non sarei servo di Cristo" (Galati 1:10). Queste sono davvero parole importanti. Non condannano forse il predicatore che mira solo a riempire le chiese? Quale grazia ci vuole per nuotare contro la corrente dell'opinione pubblica e predicare ciò che non è accettabile per l'uomo naturale! D'altro canto, temibile è il destino di coloro che, determinati a conquistare il favore popolare, deliberatamente si astengono dal parlare di quelle porzioni della verità che pure sarebbero le più necessarie per i loro uditori: "Non aggiungerete nulla a ciò che io vi comando e non ne toglierete nulla, ma osserverete i comandamenti del SIGNORE vostro Dio, che io vi prescrivo" (Deuteronomio 4:2). Dobbiamo essere in grado di dire con Paolo: "...non vi ho nascosto nessuna delle cose che vi erano utili, e ve le ho annunciate e insegnate in pubblico e nelle vostre case ... Perciò io dichiaro quest'oggi di essere puro del sangue di tutti" (Atti 20:20,26). Una "evangelizzazione" superficiale e squilibrata. Molti predicatori degli ultimi 100 anni agivano come se il loro primo ed ultimo obiettivo della loro vocazione fosse la salvezza delle anime: ogni cosa doveva essere finalizzata a quell'obiettivo. Di conseguenza era messo da parte pascere il gregge esistente, mantenere una disciplina scritturale nella chiesa, ed inculcare la pietà pratica, e tutto questo in favore di ogni sorta di stratagemmi mondani e metodi carnali utilizzati in base al principio che il fine
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giustifica i mezzi! Ecco così che le chiese si riempivano di membri non rigenerati. In realtà questi predicatori ottenevano l'opposto di ciò che si prefiggevano. Il cuore indurito deve essere arato ed erpicato prima di diventare ricettivo al seme dell'Evangelo. È necessario istruire sul carattere di Dio, su ciò che esige la Sua legge, sulla natura e nefandezza del peccato, se si vuole porre un vero fondamento per l'evangelizzazione. È inutile predicare Cristo alle anime fintanto che non vedano e sentano il bisogno disperato che hanno di Lui. Amore per il sensazionale. Nei tempi più recenti, la corrente è cambiata10. [...] Prima di procedere oltre, rileviamo come le obiezioni più comunemente addotte contro la predicazione dottrinale, siano prive di senso. Si prenda, per esempio, il clamore per la predicazione esperienziale. In certi ambiti - abbastanza ristretti ma che si considerano i campioni dell'ortodossia ed i più alti esponenti della pietà vitale - si richiede una sorta di mappatura dettagliata delle varie esperienze di un'anima risvegliata sia sotto la legge che sotto la grazia - e qualsiasi altro tipo di predicazione, specialmente dottrinale, è disapprovato come se non fornisse altro che un involucro senza valore. Come ha scritto però in modo limpido un commentatore: "Sebbene le questioni dottrinali siano considerate da alcuni semplicemente la conchiglia della religione, e l'esperienza la sostanza viva al suo interno, bisogna rammentarsi che non si può raggiungere l'interno senza passare dall'esterno che pure la sostiene. Sebbene sia l'interno a dare valore alla conchiglia, la conchiglia è la guardiana del suo 10
Qui A. W. Pink parla dell'apocalitticismo prevalente nella sua generazione in cui, speculando sulla politica del tempo (era in corso la Seconda guerra mondiale) accostava questi avvenimenti alle profezie bibliche e alla fine dei tempi suscitando così un interesse che non può propriamente essere identificato come predicazione dell'Evangelo. Oggi l'amore per il sensazionale lo si trova altresì nelle speculazione apocalittiche di certe chiese o letteratura "evangelica" popolare, ma soprattutto nel sensazionalismo del carismaticismo e del pentecostalismo, dove molto si punta sui cosiddetti "doni dello Spirito Santo" e sulle guarigioni (ingannevoli) in un contesto teologico arminiano che ben poco ha a che fare con la predicazione dell'Evangelo biblico. NdT.
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contenuto. Distruggete la prima e danneggerete anche la seconda". Se eliminiamo la dottrina, non ci sarà più nulla per mettere alla prova l'esperienza e ne conseguirà inevitabilmente il misticismo e il fanatismo. In altri ambienti si chiede una predicazione che tocchi "problemi pratici" e si suppone ed insiste che la predicazione dottrinale sia semplicemente teorica e non pratica. Un tale concetto tradisce una deplorevole ignoranza. "Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile [in primo luogo] a insegnare [la dottrina], [e poi] a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia" (2 Timoteo 3:16). Studiate le epistole paoline e vedete come quest'ordine sia mantenuto coerentemente. Romani 1-11, è strettamente dottrinale, 12-16, è fatto di esortazioni pratiche. Prendete un esempio concreto: in 1 Timoteo 1:9-10, l'Apostolo elenca una serie di peccati che la legge condanna senza appello, e poi aggiunge: "...e per ogni altra cosa contraria alla sana dottrina". Questo è chiara indicazione di come l'errore nei principi fondamentali abbia un'influenza estremamente negativa sulle cose pratiche, e questo in proporzione a come la dottrina di Dio non sia creduta e l'autorità di Dio respinta. È la dottrina che supplisce la motivazione per ubbidire ai precetti. In connessione con coloro che gridano: "Predicate Cristo, non la teologia", abbiamo a lungo osservato come essi non predicano Colui con il quale Dio ha stabilito un patto (Salmo 89:3), né come il Suo "eletto" in cui la Sua anima si rallegra (Isaia 42:1). Essi predicano un "Cristo" che è il prodotto della loro immaginazione, la creazione del sentimentalismo. Se noi predichiamo il Cristo delle Scritture dobbiamo presentarlo come il Servo di Dio scelto e prezioso (1 Pietro 2:4), "un agnello senza difetto né macchia, già designato prima della creazione del mondo" (1 Pietro 1:19-20), come Colui che "è posto a caduta e a rialzamento di molti ... come segno di contraddizione" (Luca 2:34), "pietra d'inciampo e sasso di ostacolo" (1 Pietro 2:4). Cristo non deve essere predicato come se fosse separato dalle Sue membra, ma come Capo del Suo corpo mistico - Cristo e coloro che Dio ha eletto in Lui, infatti,
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sono uno, eternamente ed immutabilmente uno. Non predichiamo un Cristo mutilato, ma secondo gli eterni consigli di Dio. Ancor meno gradito è predicare sulla dottrina dell'elezione. Ora, se la predicazione dottrinale è così impopolare come sembra, la dottrina dell'elezione lo è in modo particolare e preminente. I sermoni sulla predestinazione sono, con rare eccezioni, fortemente avversati e intensamente denunciati come negativi. "Sembra esserci un inevitabile pregiudizio nella mente umana contro questa dottrina e, sebbene la maggior parte delle altre dottrine sia ricevuta dai cristiani professanti, alcune con cautela, altre con piacere, questa sembra essere la più frequentemente ignorata e scartata. In molti nostri pulpiti sarebbe considerato il massimo fra i peccati e un tradimento predicare un sermone sull'elezione" (C. H. Spurgeon). Se questo era il caso a quei tempi, molto più lo è ora. Anche in circoli che si vantano della loro ortodossia, il solo menzionare la predestinazione è come sventolare uno straccio rosso di fronte ad un toro. Non c'è nulla che più in fretta susciti la manifesta inimicizia della mente carnale nella persona religiosa compiaciuta di sé stessa e nei farisei che vantano la propria giustizia di quanto lo faccia la proclamazione della sovranità di Dio e della Sua grazia discriminante. Indubbiamente pochi sono i predicatori rimasti che osano combattere con valore per la verità. Indicibilmente terribile è vedere fin dove sia giunto l'orrore e l'odio che hanno verso l'elezione, leader apertamente evangelici nei loro discorsi blasfemi contro questa benedetta verità: ci rifiutiamo di inquinare queste pagine citando brani dei loro empi discorsi. Alcuni sono giunti fino ad affermare che quand'anche la predestinazione sia rivelata nelle Scritture, essa sarebbe una dottrina pericolosa che crea dissensi e divisioni, e che quindi non dovrebbe essere predicata nelle chiese. Si tratta della stessa obiezione usata un tempo dal Cattolicesimo contro la diffusione
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della Parola di Dio nella lingua di tutti i giorni. Se dovessimo tagliare le pagine della Bibbia con delle forbici per eliminare da essa tutto ciò che non è accettabile per l'uomo naturale e quindi predicare sul rimanente, che cosa di fatto rimarrebbe? "...ma noi predichiamo Cristo crocifisso, che per i Giudei è scandalo, e per gli stranieri pazzia" (1 Corinzi 1:23). Dovrebbe forse il pulpito tacere su questo? Dovrebbero forse i servi di Dio cessare di proclamare la persona, l'ufficio e l'opera del Suo amato Figlio, semplicemente perché, per i reprobi, è "una pietra di inciampo ed un sasso di ostacolo"? Molte sono le obiezioni addotte contro questa dottrina da coloro che desiderano discreditarla. Alcuni dicono che non sia necessario predicare l'elezione perché è cosa misteriosa e le cose segrete appartengono al Signore. Essa, però, non è affatto un segreto, perché Dio l'ha chiaramente rivelata nella Sua Parola. Se essa non dovesse essere predicata a causa del suo carattere misterioso, allora, per la stessa ragione, non bisognerebbe predicare sull'unità della natura divina che sussiste in una Trinità di persone, e nemmeno la nascita verginale e tanto meno la risurrezione dei morti. Secondo altri, la dottrina dell'elezione indebolisce la carica missionaria ed evangelistica che dovrebbero avere le nostre chiese, anzi, persino la predicazione, vanificandola, a loro dire, del tutto. Se questo fosse il caso, anche la predicazione di Paolo era del tutto inutile, perché è piena di questa dottrina: leggete le sue epistole e troverete come egli proclamasse continuamente l'elezione, eppure mai leggiamo che egli cessasse di predicarla perché avesse reso inutili le sue fatiche. Paolo insegna che: "...infatti è Dio che produce in voi il volere e l'agire, secondo il suo disegno benevolo" (Filippesi 2:13), eppure noi non troviamo che, su questa base, egli cessasse di esortare i credenti e ad impegnarsi in ciò che piace a Dio, come pure ad operare essi stessi con tutte le loro forze. Se non riusciamo a comprendere come queste due cose vadano assieme, non c'è ragione di rifiutarsi di credere all'una o all'altra ed agire di conseguenza. Alcuni contestano l'elezione perché la sua predicazione scuoterebbe la
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sicurezza del credente e gli riempirebbe la mente di dubbi e di paure. Ma è soprattutto oggi che dovremmo essere riconoscenti per questa verità che, di fatto, manda in frantumi la compiacenza dei cristiani nominali e sospinge gli indifferenti ad esaminare sé stessi davanti a Dio. Con altrettanta ragione si potrebbe dire che la dottrina della rigenerazione non dovrebbe essere resa pubblica: è forse più facile assicurarsi che io sia veramente nato di nuovo che accertarsi che io sia uno degli eletti di Dio? No di certo. Suscettibile di abusi? Altri ancora insistono che l'elezione non dovrebbe essere predicata perché gli empi ne farebbero un uso sbagliato e potrebbero nascondere dietro ad essa il loro disinteresse e procrastinazione, sostenendo che se sono stati eletti alla salvezza, essi potrebbero per il momento anche vivere come più gli piace e fare il pieno di peccati. Una tale obiezione è puerile, infantile all'estremo. Quale verità, infatti, l'empio non sarebbe pronto a pervertire? Anche la grazia di Dio potrebbe essere facilmente trasformata in dissolutezza. Essi potrebbero usare la Sua misericordia e la Sua pazienza come pretesto per continuare a fare cose che non vanno. Gli arminiani ci dicono che predicare l'eterna sicurezza del cristiano incoraggia l''indolenza, mentre all'estremo opposto, gli iper-calvinisti obiettano che esortare le persone non rigenerate al ravvedimento ed alla fede non sia appropriato perché inculcherebbe l'idea che loro siano in grado di farlo. Non cerchiamo di essere savi al di là di quel ch'è scritto, ma predichiamo tutto il consiglio di Dio lasciando poi a Lui i risultati. Il servitore di Dio non deve farsi intimidire o frenare dal professare e proclamare la verità non adulterata. Il mandato oggi è lo stesso dato all'antico profeta Ezechiele: "Tu, figlio d'uomo, non aver paura di loro, né delle loro parole, poiché tu stai in mezzo a ortiche e spine, abiti fra gli scorpioni; non aver paura delle loro parole, non ti sgomentare davanti a loro, poiché sono una famiglia di ribelli. Ma tu riferirai loro le mie parole, sia che ti ascoltino o non ti ascoltino, poiché sono ribelli" (Ezechiele 2:6-7).
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Egli deve attendersi di trovare opposizione, specialmente da coloro che professano la fede cristiana a gran voce e si fortificano contro di essa. L'annuncio della scelta sovrana di Dio ha evocato lo spirito di malizia e di persecuzione sin dai tempi più antichi. Lo aveva fatto ai tempi di Samuele. Quando il profeta porta il suo annuncio a Iesse al riguardo dei suoi sette figli: «Il SIGNORE non si è scelto questi» (1 Samuele 16:10), l'ira dei suo primogenito si accende contro Davide: "Eliab, suo fratello maggiore, avendo udito Davide parlare a quella gente, si accese d'ira contro di lui e disse: «Perché sei sceso qua? A chi hai lasciato quelle poche pecore nel deserto? Io conosco il tuo orgoglio e la malignità del tuo cuore; tu sei sceso qua per vedere la battaglia»" (1 Samuele 17:28). Così accade quando Cristo stesso mette in evidenza come Dio avesse impartito la Sua grazia alla vedova di Sarepta e Naaman il Siro, eleggendoli, di coloro che erano al culto quel giorno in sinagoga è scritto: "tutti nella sinagoga furono pieni d'ira" (Luca 4:25-29) e cercavano di ucciderlo. Di fatto, l'odio stesso che solleva questa importante verità è una delle prove più convincenti della sua origine divina.
L'elezione deve essere predicata e resa pubblica Essa è in primo piano nelle Scritture. L'elezione deve essere predicata e resa pubblica, in primo luogo perché essa è portata in primo piano in tutte le Scritture. Non c'è un singolo libro della Parola di Dio nel quale l'elezione non sia o espressamente affermata, o sorprendentemente illustrata o chiaramente deducibile. Il libro della Genesi ne è pieno; la differenza che il Signore opera fra Nachor e Abramo, Ismaele ed Isacco, il suo amare Giacobbe ed odiare Esaù, sono solo alcuni esempi fra tanti. Nel libro dell'Esodo vediamo la distinzione che Dio fa fra gli egiziani e gli Ebrei. Nel libro del Levitico, la riconciliazione e tutti i sacrifici erano in favore del popolo di Dio, ed Egli non chiede di andare ed "offrirla" ai popoli circostanti. Nel libro dei Numeri Jahvè fa uso di Baalam per annunciare il fatto che Israele era "un popolo che dimora solo e non è contato nel numero delle nazioni" (23:9) e quindi egli è costretto a gridare: "Come sono
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belle le tue tende, o Giacobbe, le tue dimore, o Israele!" (Numeri 24:5). Nel libro del Deuteronomio è riportato: "Poiché la parte del SIGNORE è il suo popolo, Giacobbe è la porzione della sua eredità" (Deuteronomio 32:9). Nel libro di Giosuè contempliamo la misericordia discriminante del Signore di cui la prostituta Rahab è oggetto, quando l'intera sua città è destinata alla distruzione. Nel libro dei Giudici la sovranità di Dio appare negli improbabili strumenti attraverso i quali Egli opera vittorie per Israele: Debora, Gedeone, Sansone. In Ruth vediamo Orpah che dice addio a sua suocera e ritorna ai suoi dèi, mentre Ruth le è fedele ed ottiene un'eredità in Israele chi è che le ha fatte differire? In 1 Samuele, Davide viene scelto per il trono, preferito ai suoi fratelli più anziani. In 2 Samuele, apprendiamo del patto eterno che "...'egli ha stabilito ... ben regolato in ogni punto e perfettamente sicuro" (23:5). In 1 Re, Elia, diventa strumento di benedizione per una singola vedova scelta fra tante, mentre in 2 Re, solo Naaman, fra tutti i lebbrosi, è purificato. In 1 Cronache, è scritto: "voi, discendenza d'Israele, suo servo, figli di Giacobbe, suoi eletti!" (16:13); mentre in 2 Cronache, siamo portati a stupirci per la grazia di Dio che concede il ravvedimento a Manasse. Potremmo andare avanti in questo modo. I Salmi, o Profeti, i Vangeli e le Epistole sono tutte piene di questa dottrina, per chi ha occhi per vedere ed è privo di pregiudizi. L'Evangelo la esige. In secondo luogo, la dottrina dell'elezione deve essere predicata apertamente perciò l'Evangelo stesso senza di essa non può essere proclamato in modo scritturale. Ahimè, grandi sono le tenebre e così vasta è l'ignoranza che oggi prevale, che indubbiamente pochi sono coloro che percepiscono come vi sia una connessione vitale fra la predestinazione e l'Evangelo di Dio. Fermiamoci per un momento e riflettiamo seriamente su queste questioni: forse che il successo o il fallimento dell'Evangelo è una questione lasciata al caso? O, per metterla in un altro modo, forse che i frutti dell'impresa più stupefacente di tutte, la riconciliazione operata da Cristo - è lasciata alle
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contingenze del capriccio umano? Potremmo forse affermare che il Redentore "dopo il tormento dell'anima sua vedrà la luce e sarà soddisfatto" (Isaia 53:11) se tutto fosse lasciato a dipendere dalla volontà dell'essere umano decaduto? Ha forse Dio così poca considerazione per la morte di Suo Figlio che Egli ha lasciato nell'incertezza su quanti effettivamente da Lui saranno salvati? Il "vangelo di Dio" (Romani 1:1) può solo essere presentato in modo scritturale quando in esso il Dio trino è onorato e glorificato. Il "Vangelo" attenuato della nostra epoca degenerata confina l'attenzione dei suoi uditori al sacrificio di Cristo, mentre la salvezza prende origine dal cuore di Dio Padre ed è portata a compimento dall'opera di Dio lo Spirito. Tutte le benedizioni della salvezza sono comunicate secondo i decreti eterni di Dio, ed è per l'intera elezione della grazia (e per null'altro) che Cristo ha operato la salvezza. Il primo capitolo stesso del Nuovo Testamento annuncia che Gesù "salverà il suo popolo dai suoi peccati", non "ha la potenzialità di salvare il suo popolo dai loro peccati", ma che di fatto, in modo certo ed oggettivo li salverà. Ancora, non c'è mai stata una sola anima che abbia avuto beneficio dalla morte di Cristo che non sia in questa condizione perché lo Spirito non abbia applicato le sue virtù agli eletti. Chiunque, quindi, ometta l'elezione del Padre e le operazioni sovrane ed efficaci dello Spirito Santo, non sta predicando l'Evangelo di Dio, non importa quale reputazione egli possa avere di "conquistatore di anime". Abbiamo così denunciato l'insensatezza delle obiezioni che vengono rivolte contro la predicazione dottrinale in generale e le argomentazioni che sono sollevate contro la predestinazione in particolare. Abbiamo poi rilevato alcune fra le ragioni per le quali questa grandiosa verità debba essere resa pubblica. In primo luogo perché le Scritture, dalla Genesi all'Apocalisse ne sono piene. In secondo luogo perché senza di essa l'Evangelo stesso non può essere predicato in modo scritturale. Il grande mandato affidato ai servitori pubblici di Cristo, debitamente chiamati ed equipaggiati da Lui, recita così: "Andate per tutto il mondo, predicate il
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vangelo a ogni creatura" (Marco 16:15), non una parte soltanto di esso, ma l'Evangelo nella sua completezza. L'Evangelo non deve essere predicato a rate, ma nella sua interezza, tanto che ogni Persona della Santa Trinità vi sia debitamente onorata. Se l'Evangelo viene mutilato, se un ramo del sistema evangelico viene soppresso, non si può dire che l'Evangelo sia predicato. Cominciare a narrare l'Evangelo dal Calvario, o persino da Betlemme, significa cominciare a metà del racconto: dobbiamo iniziare il racconto dall'inizio, dai decreti eterni della grazia di Dio. Un noto Riformatore italiano la mette in questo modo: "L'Elezione è il filo d'oro che passa attraverso tutto l'ordito del sistema cristiano ... è il vincolo che tiene insieme tutto il tessuto. Senza di esso, esso è come un castello di sabbia che molto facilmente può essere distrutto. È il cemento che tiene unito e consolida l'edificio, anzi, l'anima stessa dell'intera struttura. Essa è così mescolata ed intrecciata con l'intero schema della dottrina evangelica che, se questa mancasse, essa si dissanguerebbe a morte. Un ambasciatore deve comunicare l'intero messaggio che gli è stato affidato. Non gli è concesso di ometterne parti come egli ritenga più opportuno, ma deve dichiarare tutto ciò che il Sovrano intende far conoscere, pienamente e senza riserve. Egli non deve dire né più né meno che le istruzioni della corte richiedono, altrimenti un tale messaggero cadrebbe in discredito e potrebbe persino perdere la sua testa. Che i ministri di Dio bene soppesino tutto questo" (Girolamo Zanchi,1562). L'Evangelo è un diritto. L'Evangelo, inoltre, deve essere predicato "ad ogni creatura", cioè a tutti coloro che sono inclusi nel ministero cristiano, sia Israeliti che pagani, giovani o vecchi, ricchi o poveri che siano. Tutti coloro che attendono all'amministrazione dei servitori di Dio hanno il diritto di udire l'Evangelo pienamente e chiaramente, senza che siamo privati di
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parte alcuna. Ora, una parte importante dell'Evangelo è la dottrina dell'Elezione: la scelta eterna, libera ed irreversibile di certe persone in Cristo a vita eterna. Dio sapeva che se il successo della predicazione di Cristo crocifisso fosse stato lasciato alle contingenze delle risposte date o non date di esseri umani decaduti, l'Evangelo stesso sarebbe stato disprezzato. Questo è chiaro da: "Tutti insieme cominciarono a scusarsi" (Luca 14:18). Per questo Dio ha determinato che un residuo dei figli di Adamo diventassero per sempre monumento della Sua misericordia e, di conseguenza, Egli ha decretato di impartire loro fede salvifica e ravvedimento. Questo è buona notizia indubbiamente: tutto è reso certo ed immutabile dalla sovrana volontà di Dio. Cristo è il supremo evangelista, ma troviamo come questa dottrina fosse sulle Sue labbra durante tutto il Suo ministero: "Io ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti, e le hai rivelate ai piccoli ... Se quei giorni non fossero stati abbreviati, nessuno scamperebbe; ma, a motivo degli eletti, quei giorni saranno abbreviati ... Allora il re dirà a quelli della sua destra: "Venite, voi, i benedetti del Padre mio; ereditate il regno che v'è stato preparato fin dalla fondazione del mondo" (Matteo 11:25;24:22;25:34); "Non vi rallegrate perché gli spiriti vi sono sottoposti, ma rallegratevi perché i vostri nomi sono scritti nei cieli" (Luca 10:20); "Tutti quelli che il Padre mi dà verranno a me; e colui che viene a me, non lo caccerò fuori ... voi non credete, perché non siete delle mie pecore ... Non siete voi che avete scelto me, ma sono io che ho scelto voi, e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; affinché tutto quello che chiederete al Padre, nel mio nome, egli ve lo dia" (Giovanni 6:37: 10:26; 15:16). Lo stesso è vero per il più grande degli Apostoli. Prendete la prima e principale fra le sue epistole, espressamente dedicata a spiegare "il vangelo di Dio" (Romani 1:1). Nel capitolo 8, egli descrive coloro che sono "chiamati secondo il suo disegno" (v.
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28) e che, per questo sono "preconosciuti" e "predestinati a essere conformi all'immagine del Figlio suo, affinché egli sia il primogenito tra molti fratelli" (v. 29). L'intero capitolo 9, è dedicato a questa dottrina: là si spiega la differenza che Dio fa tra Ismaele ed Isacco, fra Esaù e Giacobbe, vasi d'ira e vasi di misericordia. Là ci dice che Dio "fa misericordia a chi vuole e indurisce chi vuole" (v. 18). Queste cose non sono state scritte a poche persone in qualche angolo oscuro, ma indirizzate ai credenti di Roma, "il che era, in effetti, come portare questa dottrina sul palcoscenico del mondo intero, stampando su di essa un imprimatur universale e rendendola pubblicamente nota ai credenti di tutta la terra" (Girolamo Zanchi). Essenziale al concetto stesso di grazia. La dottrina dell'elezione deve essere predicata, in terzo luogo, perché senza di essa la grazia di Dio non può essere considerata tale. Le cose oggi sono arrivate ad un punto tale che il resto di questo capitolo dovrebbe essere realmente dedicato a delucidare ed ampliare questo importante punto, ma dobbiamo accontentarci di brevi osservazioni. Oggi nel mondo cristiano vi sono migliaia di evangelisti arminiani che negano la predestinazione, direttamente o indirettamente, e che pure immaginano di magnificare la grazia di Dio. La loro idea è che Dio, per la Sua grande bontà ed amore, abbia provveduto la salvezza in Cristo per l'intera famiglia umana, e che questo sia ciò che Egli desidera e persegue. È loro persuasione che Dio estenda a tutti la Sua offerta di salvezza attraverso il messaggio dell'Evangelo affinché sia liberamente accolto da tutti coloro che lo odono, e che la gente lo possa accettare o rifiutare. Tutto questo, però, non ha nulla a che fare con il concetto di grazia. La grazia di Dio e il merito umano che se ne renderebbe degno, sono fra di loro concetti diametralmente opposti come il polo nord ed il polo sud. Non così, però, per la "grazia" dell'arminiano. Se la grazia fosse semplicemente qualcosa che mi viene offerto, qualcosa che io debba accogliere se desidero che mi faccia del bene, ma che posso anche respingere, allora l'atto stesso di
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accoglierla diventerebbe un atto meritorio e io avrei motivo di vantarmene. Se qualcuno rifiuta quella grazia ed io l'accolgo, allora dev'essere (dato che è completamente in causa il libero arbitrio dell'uditore) che io sia più sensato e intelligente di loro, o perché il mio cuore è più malleabile e disponibile del loro, o perché la mia volontà è meno ostinata della loro, e se mi si chiede: "Chi ti distingue dagli altri?" (1 Corinzi 4:7), allora l'unica risposta verace da dare è che io sono stato a fare qualcosa che mi ha distinto e quindi metto sulla mia testa la corona dell'onore e della gloria. A questo alcuni potrebbero replicare: Noi crediamo che il cuore dell'uomo naturale sia duro e la sua volontà ostinata, ma Dio, nella Sua grazia, manda lo Spirito Santo, e Egli fa prendere coscienza gli esseri umani del loro peccato, tanto che nel giorno in cui li visita, Egli ammorbidisce il loro cuore e cerca di attrarli a Cristo; eppure, anche così, sarebbero sempre loro a dover rispondere a queste "dolci seduzioni" e cooperare con la sua "influenza di grazia". È qui che essi abbandonano il terreno che si tratti di una questione completamente affidata alla volontà umana. Anche in questo caso, però, abbiamo nulla di meglio di una farsa della grazia divina. Quelli stessi che dicono così, pure affermano che molti fra coloro che sono così influenzati dallo Spirito, vi resistono e periscono. Coloro che sono salvati, in ultima analisi, devono la loro salvezza al fatto che essi stessi si sono avvantaggiati dell'opera dello Spirito - sono loro che avrebbero "cooperato" con Lui. In tale caso l'onore sarebbe da dividere fra le operazioni dello Spirito e quello che io ho fatto per avvalermene. Questo, però, non è affatto "grazia". Precognizione soltanto? Vi sono poi anche altri che cercano di smussare i lati affilati della spada dello Spirito, e che dicono: Io credo nella dottrina della predestinazione, ma non come la insegnano i Calvinisti. Una sola parola qui serve per sciogliere per noi il nodo: "precognizione". L'elezione divina sarebbe basata sulla precognizione. Dio ha previsto chi si sarebbe ravveduto dai suoi peccati ed accettato Cristo come suo salvatore, e su questa
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base Dio li ha eletti a salvezza. Qui ancora sono i meriti umani ad essere trascinati dentro. La grazia non sarebbe gratuita ma legata alla "decisione" della creatura. Un tale concetto carnale capovolge l'ordine stesso della Scrittura, la quale insegna che la divina precognizione è basata sul proposito di Dio - Dio prevede ciò che avverrà perché Egli stesso è Colui che ha decretato ciò che deve avvenire. Notate attentamente l'ordine in Atti 2:23 e Romani 8:28 (l'ultima affermazione) e 29: "quest'uomo, quando vi fu dato nelle mani per il determinato consiglio e la prescienza di Dio, voi, per mano di iniqui, inchiodandolo sulla croce, lo uccideste"; "Or sappiamo che tutte le cose cooperano al bene di quelli che amano Dio, i quali sono chiamati secondo il suo disegno. Perché quelli che ha preconosciuti, li ha pure predestinati a essere conformi all'immagine del Figlio suo, affinché egli sia il primogenito tra molti fratelli". Dov'è che le Sacre Scritture parlano di Dio che prevedrebbe o preconoscerebbe il nostro ravvedimento e la nostra fede espressi come "liberi atti della nostra volontà"? Nella Scrittura si tratta sempre di precognizione di persone e mai di atti: "Quelli che ha preconosciuto", non "quel che ha preconosciuto". La Scrittura, però, non dice forse: "Chiunque vuole può venire", sì, ma da dove viene questa disponibilità nel caso di coloro che rispondono affermativamente all'invito dell'Evangelo? L'essere umano, nella sua condizione naturale è del tutto indisposto, come dichiara Cristo: "...eppure non volete venire a me per aver la vita!" (Giovanni 5:40). Qual è dunque la risposta? Questa: "Il tuo popolo si offrirà volenteroso nel giorno del tuo potere" (Salmo 110:3 ND). È il potere, la potenza di Dio e nient'altro che rende disponibile chi disponibile non è, che prevale sulla sua inimicizia ed ostinazione, che sospinge o "attira" ai piedi di Cristo Gesù. La grazia di Dio, lettori miei, è molto più che un amabile concetto da cantare: è la potenza onnipotente, una dinamica invincibile, un principio vittorioso su ogni resistenza. "La mia grazia ti basta" (2 Corinzi 12:9), dice Dio, e questo non richiede da parte nostra ulteriore assistenza. "Ma per la grazia di Dio sono quello che sono" (1 Corinzi 15:10), e non per la mia cooperazione, dice l'Apostolo.
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La grazia di Dio ha fatto molto di più che rendere possibile la salvezza dei peccatori: essa rende certa la salvezza di coloro che Dio ha scelto. Essa non solo provvede loro salvezza, ma li porta in stato di salvezza, e lo fa in modo tale che l'onore di questo non sia condiviso con la creatura. La dottrina della predestinazione abbatte la "libera volontà" e i meriti umani così come un tempo Dio aveva abbattuto a terra il dio Dagon, facendolo cadere con la faccia a terra (1 Samuele 5:3). Essa, infatti, ci dice che se noi abbiamo di fatto voluto e desiderato fare nostri i meriti di Cristo e la salvezza tramite Lui, è così perché Dio ha operato in noi il volere e l'operare secondo il Suo beneplacito. Per questo ci gloriamo solo nel Signore e diamo a Lui solo la lode. Questo scrittore non aveva cercato il Signore, ma l'odiava e l'avversava, cercava di bandirlo dai suoi pensieri. Il Signore, però, è venuto alla ricerca di lui, lo ha fatto cadere a terra come Saulo di Tarso, sottomesso la sua spregevole ribellione e l'ha reso volenteroso nel giorno del Suo potere. Questa sì che è grazia - sovrana, stupefacente e trionfante grazia! Essa abbatte le pretese umane. In quarto luogo, la dottrina dell'elezione deve essere resa pubblica perché abbassa ed umilia l'arroganza umana. Gli arminiani immaginano di farlo dichiarando come la famiglia umana sia totalmente depravata, eppure essi, al tempo stesso, si contraddicono insistendo sulla capacità umana di atti spirituali. Il fatto è che la "depravazione totale" sulle loro labbra è semplicemente un'espressione teologica che essi ripetono come pappagalli perché essi non comprendono né credono alle sue temibili conseguenze pratiche. La Caduta ha influito radicalmente e corrotto ogni parte e facoltà del nostro essere, e quindi se l'essere umano è, com'è, totalmente depravato, ne consegue necessariamente che, a causa del peccato, la nostra volontà è completamente asservita. Così come l'apostasia umana da Dio è risultata nell'oscuramento della sua intelligenza spirituale, nella contaminazione dei suoi sentimenti, nell'indurimento del suo cuore, così pure ha portato la sua volontà in completo asservimento a Satana. L'essere umano non
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può liberarsi da sé più di quanto lo possa un verme sotto i piedi di un elefante. Uno dei segni che distinguono chi appartiene al popolo di Dio è che, come dice l'Apostolo, "non mettiamo la nostra fiducia nella carne" (Filippesi 3:3), e nulla è maggiormente calcolato per portarli in quella condizione che la verità dell'elezione. Mettete da parte la divina predestinazione, e la salvezza diventerà contingente, tanto che non sarà più né per sola grazia, né per sole opere, ma per una nauseante loro miscela. Chi crede di poter essere salvato senza l'elezione, deve per forza mettere una qualche fiducia nella carne, per quanto fortemente lo voglia negare. Basta solo essere persuasi di avere una qualche capacità nel potere della nostra volontà a contribuire anche solo in minima parte alla nostra salvezza che noi rimaniamo di fatto nella "fiducia carnale", e quindi non siamo stati veramente umiliati davanti a Dio. È solo quando siamo portati a disperare di noi stessi, ad abbandonare ogni speranza nelle nostre capacità, che davvero guarderemo fuori da noi stessi per essere liberati. Quando la verità dell'elezione viene divinamente applicata al nostro cuore, siamo portati a renderci conto che la salvezza dipende soltanto dalla volontà di un Dio sovrano, che "Non dipende dunque né da chi vuole né da chi corre, ma da Dio che fa misericordia" (Romani 9:16). Quando siamo portati ad accogliere la verità che: "senza di me non potete far nulla" (Giovanni 15:5), è allora che il nostro orgoglio riceve la sua ferita mortale. Fintanto che in qualche modo noi coltiviamo l'idea folle che possiamo da parte nostra dare una mano nell'opera della nostra salvezza, non ci sarà alcuna speranza in noi. Quando però ci rendiamo conto di essere solo come argilla nelle mani del vasaio per essere plasmati da Lui o come vasi ad onore o come vasi a disonore secondo il Suo beneplacito, allora rinunceremo alla nostra forza, dispereremo di potere aiutare noi stessi, e pregheremo attendendo le potenti operazioni di Dio. Allora non sarà invano che pregheremo ed attenderemo.
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Il mezzo designato della fede. In quinto luogo, l'elezione deve essere predicata perché è un mezzo divinamente designato di fede. Uno dei primi effetti prodotti in coloro che prendono seriamente questa dottrina è di stimolarli ad accertarsi diligentemente davanti a Dio se essi siano da contarsi fra gli eletti oppure no. In molti casi questo porta alla scoperta dolorosa che la loro professione di fede è vuota, priva di valore, che essa si fonda, nella migliore delle ipotesi, su qualche "decisione" fatta anni prima in condizioni di particolare emotività. Non c'è nulla di più calcolato per rilevare una falsa conversione che una presentazione scritturale dei segni che caratterizzano la nuova nascita. Coloro che sono predestinati a salvezza sono oggetto di un'opera miracolosa della grazia nel loro cuore, e questo è molto diverso dall'atto per il quale uno "si decide" per Cristo o diventa membro di una qualche chiesa. È richiesto molto più che una fede naturale per unire l'anima al Cristo soprannaturale. La predicazione dell'elezione opera come il correggiato, lo strumento utilizzato per battere il grano sull'aia, e che serve per separare il grano dalla pula: "la fede viene da ciò che si ascolta, e ciò che si ascolta viene dalla parola di Cristo" (Romani 10:17), e come può "la fede degli eletti di Dio" (Tito 1:1) essere generata e rafforzata se si sopprime la verità dell'elezione? La divina predestinazione non prescinde dall'uso di mezzi, ma ne assicura la continuazione e l'efficacia. Dio si è impegnato ad onorare coloro che Lo onorano, ed è la predicazione che porta maggior gloria al Signore quella che Egli maggiormente benedice. Oggi questo non è sempre evidente, ma sarà reso pienamente manifesto nel Giorno che verrà, quando si vedrà quanto Cristianesimo sarà considerato oro, argento, pietre di valore, legno, fieno, paglia... (1 Corinzi 3:12). La salvezza e la conoscenza della verità sono inseparabilmente connesse. Dio infatti, "il quale vuole che tutti ... vengano alla conoscenza della verità" (1 Timoteo 2:4), ma com'è possibile giungere ad una conoscenza salvifica della verità, se la parte più vitale e basilare di essa viene loro celata?
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Stimola alla santità. In sesto luogo, l'elezione deve essere predicata perché stimola alla santità. Quale più potente incentivo ci può essere alla pietà che un cuore sopraffatto dal senso della sovrana e stupefacente grazia di Dio! Il rendersi conto che Egli ha rivolto verso di me il Suo cuore dall'eternità rendendomi oggetto del Suo favore peculiare, che Egli mi ha scelto fra molti quando io non ero certamente degno di ricevere sguardo alcuno d'attenzione, che Egli mi ha scelto per farmi oggetto del Suo peculiare favore, affidandomi a Cristo, scrivendo il mio nome nel libro della vita e, a tempo opportuno, portandomi dalla morte alla vita concedendomi comunione vitale con il Suo caro Figlio, questo indubbiamente mi riempie di gratitudine e fa sì che io cerchi di onorarlo e di compiacergli. L'amore elettivo di Dio per noi, genera in noi amore sconfinato per Lui. Non c'è motivazione più dolce o più potente come la "costrizione" dell'amore di Dio: "infatti l'amore di Cristo ci costringe" (2 Corinzi 5:14). Promuove lo spirito della lode. In settimo luogo, l'elezione deve essere predicata perché promuove lo spirito della lode. Dice l'Apostolo: "Ma noi dobbiamo sempre ringraziare Dio per voi, fratelli amati dal Signore, perché Dio fin dal principio vi ha eletti a salvezza mediante la santificazione nello Spirito e la fede nella verità" (2 Tessalonicesi 2:13). Come potrebbe essere altrimenti? La gratitudine deve pure esprimersi nell'adorazione. Un senso della grazia elettiva e dell'amore eterno di Dio ci porta a benedirlo più di ogni altra cosa. Cristo stesso lodava e ringraziava il Padre per la Sua grazia discriminante: "Io ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti, e le hai rivelate ai piccoli" (Matteo 11:25). La gratitudine del cristiano fluisce abbondante a causa dell'opera rigenerante e santificante dello Spirito; è attizzata nuovamente dall'opera redentrice ed intercessoria di Cristo; essa però si eleva ancora più in alto quando ne contempla la causa prima - la sovrana grazia del Padre
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- che ha programmato l'intera nostra salvezza. Dato che l'elezione è motivo di grande rendimento di grazie verso Dio, essa deve essere liberamente predicata al Suo popolo.
Una dottrina atta a consolare Rende stabile il cristiano. Il valore di questa dottrina benedetta appare in tutta la sua adeguatezza e sufficienza nello stabilire e stabilizzare il vero cristiano nella certezza della sua salvezza. Quando le anime rigenerate sono messe in grado di credere che la glorificazione degli eletti è così infallibilmente fissata negli eterni propositi di Dio che è impossibile che qualcuno di loro perisca, e quando essi sono posti scritturalmente in grado di percepire che essi stessi appartengono al popolo eletto di Dio, quanto rafforza e conferma questo la loro fede! Una tale sicurezza non è presuntuosa - sebbene qualsiasi altra lo possa certamente essere perché la persona autenticamente convertita ha il diritto di considerare sé stessa appartenente a quella favorita compagnia, dato che lo Spirito Santo non vivifica altri se non quelli che erano stati predestinati dal Padre e redenti dal Figlio. Questa è "la speranza che non confonde" (Romani 5:5 NR), perché non potrà sortire in delusione se è coltivata da coloro nel cui cuore l'amore di Dio è sparso dallo Spirito Santo (Romani 5:5). La santa certezza che sorge dalla fiduciosa comprensione di questa grandiosa verità è presentata con forza dall'Apostolo nei versetti finali del capitolo 8 di Romani. Là ci assicura che: "...quelli che ha predestinati li ha pure chiamati; e quelli che ha chiamati li ha pure giustificati; e quelli che ha giustificati li ha pure glorificati" (Romani 8:30). Un inizio di tal fatta assicura una tale fine: una salvezza che prende origine dal passato è resa compiuta nell'eternità futura. Da tali grandi premesse Paolo trae la sua conclusione: "Se Dio è per noi chi sarà contro di noi?" (v. 31), e ancora: "Chi ci separerà dall'amore di Cristo? Sarà forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?" (v. 35). Se tali preziosi torrenti sorgono da questa fonte, quant'è grande la follia e quanto grave è il peccato di coloro che vorrebbero soffocare questa dottrina! La
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sicurezza eterna delle pecore di Cristo non può essere preservata in tutta la sua forza fintanto che non la fondiamo sui decreti di Dio. Quanto atti a mettere in dubbio la loro perseveranza finale i credenti titubanti, perché le pecore (sia naturali che spirituali) sono timide e mancano di fiducia in sé stesse. Non è così per le capre selvatiche e testarde: conformemente al loro modello, queste ultime sono piene di fiducia carnale e di vanagloria. Il credente autentico, però, è consapevole della propria debolezza, vede la propria peccaminosità, si rende conto della sua incostanza ed instabilità. Non per nulla è scritto: "Adoperatevi al compimento della vostra salvezza con timore e tremore" (Filippesi 2:12). Inoltre, quando vedono che così tanti, avendo cominciato bene, non fanno più così, così tanti che dopo aver fatto una bella e promettente confessione "hanno fatto naufragio quanto alla fede" (1 Timoteo 1:19), la vista stessa della loro apostasia fa sì che essi mettano seriamente in questione la propria condizione e la loro fine ultima. È per rendere stabile il loro cuore che Dio ha rivelato nella Sua Parola che coloro che sono posti in grado di vedere in sé i segni dell'elezione si rallegrino nella certezza della loro eterna beatitudine. Consola il servitore di Dio. Rileviamo inoltre quale effetto stabilizzante abbia la comprensione di questa grandiosa dottrina per l'autentico servitore di Dio. Quante cose ci sono che lo potrebbero far scoraggiare: il piccolo numero di quelli che si avvalgono del suo ministero e l'opposizione a quelle porzioni della verità che maggiormente esaltano Dio ed abbassano l'essere umano, la scarsezza di frutti visibili del suo lavoro, l'accusa proferita da alcuni dei suoi superiori o amici più stretti che se continua su tali linee, si ritroverà ben presto con più nessuno che lo stia ad ascoltare, i suggerimenti di Satana che Dio stesso disapprova i suoi sforzi, che egli non sia altro che un fallimento e che farebbe bene a darsi ad altre attività: queste ed altre considerazioni ancora hanno la potente tendenza a riempirlo di sgomento o tentarlo di abbassare le vele e lasciarsi portare dalla
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corrente del sentimento popolare. Sappiamo di che cosa stiamo parlando, perché siamo personalmente passati attraverso questo sentiero pieno di spine. A questo veleno di Satana, Dio, nella Sua grazia, ha provveduto un antidoto, un efficace cordiale atto a ravvivare gli spiriti abbattuti dei Suoi servitori dolorosamente provati. Qual è? La conoscenza che il loro Maestro non li ha inviati per scagliare le loro frecce per aria, ma per essere strumenti nelle Sue mani per portare a compimento i Suoi decreti eterni. Sebbene Egli li abbia inviati per predicare l'Evangelo a tutti coloro che sono disposti a prestare loro ascolto, Egli ha pure reso chiaro nella Sua Parola che non è nelle Sue intenzioni che essi tutti o gran parte di essi siano salvati attraverso tale attività. Egli ha reso noto che il Suo gregge è "un piccolo gregge" (Luca 12:32), che "anche al presente, c'è un residuo eletto per grazia" (Romani 11:5), che "molti" saranno trovati percorrere la via larga che conduce alla perdizione, e che solo "pochi" camminano sulla via stretta che conduce alla vita. È per chiamare fuori dal mondo questo residuo eletto e per pascerlo e renderlo stabile, che Dio principalmente utilizza i Suoi servitori. È la debita comprensione e fede personale in questo che tranquillizza e stabilizza il cuore del ministro di Dio: nulla più di questo può farlo. Quando egli trova il suo riposo nella sovranità di Dio, nell'efficacia dei Suoi decreti, nell'assoluta certezza che i decreti di Dio saranno pienamente realizzati, che egli viene rassicurato che in qualunque cosa Dio lo abbia impiegato quel lavoro, grazie a Lui, sarà compiuto senza fallo e che nessuno, né uomo né diavolo, potrà impedire che si realizzi. Sgomentato dalla rovina che lo circonda, umiliato dai propri tristi fallimenti, ciononostante egli percepisce che i piani di Dio si realizzeranno in modo certo e sicuro, infallibilmente. Coloro che il Padre ha predestinato giungeranno alla fede ["tutti quelli che erano ordinati a vita eterna, credettero" (Atti 13:48)], coloro per i quali Cristo è morto saranno salvati ["Ho anche altre pecore, che non sono di quest'ovile; anche quelle devo raccogliere ed esse ascolteranno la mia voce, e vi sarà un solo
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gregge, un solo pastore" (Giovanni 10:16)], coloro che lo Spirito vivifica saranno efficacemente preservati fino alla fine ["E ho questa fiducia: che colui che ha cominciato in voi un'opera buona, la condurrà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù" (Filippesi 1:6)]. Quando un ministro di Dio riceve un messaggio da recapitare in nome del suo Maestro, egli può avere l'incrollabile fiducia nella Sua promessa: "...così è della mia parola, uscita dalla mia bocca: essa non torna a me a vuoto, senza aver compiuto ciò che io voglio e condotto a buon fine ciò per cui l'ho mandata" (Isaia 55:11). Essa "andrà a buon fine", non "forse andrà a buon fine"! Può darsi che essa non realizzi ciò che il predicatore vorrebbe o nella misura desiderata, ma non c'è in terra o all'inferno potere alcuno che possa impedire l'adempimento della volontà di Dio. Se Dio ha stabilito che una certa persona debba essere portata alla conoscenza salvifica della verità dopo aver udito un particolare sermone, non importa quanto immersa nel peccato quell'anima possa essere, o con quanta forza recalcitri contro i pungoli della sua coscienza, egli giungerà a dire, come l'antico Paolo, "Signore, che vuoi che io faccia?". Qui troviamo un sicuro punto di appoggio per il cuore del ministro di Dio. Qui è proprio dove Cristo stesso aveva trovato maggiore consolazione, perché quando le nazioni lo avevano disprezzato e respinto, Egli consolava Sé stesso con il fatto che: "Tutti quelli che il Padre mi dà verranno a me" (Giovanni 6:37). Incoraggia la preghiera. Il valore di questa dottrina appare ancora nel fatto che essa provveda reale incoraggiamento ad anime che pregano. Non c'è nulla che possa promuovere uno spirito di santa audacia al trono della grazia di Dio quanto il rendersi conto che Dio è il nostro Dio e che noi siamo il popolo del quale Egli si prende cura. Essi sono il Suo tesoro particolare, la pupilla dei Suoi occhi, ed essi possono stare certi di avere anche le sue orecchie... "Dio non renderà dunque giustizia ai suoi eletti
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che giorno e notte gridano a lui? Tarderà nei loro confronti?" (Luca 18:7). Certamente Egli lo farà, perché essi sono i soli che Lo supplichino con umiltà, presentando a Lui le loro richieste in sottomissione al Suo sovrano beneplacito. O lettori miei, quando ci poniamo in ginocchio a pregare, non c'è nulla più del fatto che Dio ha rivolto verso di noi il Suo cuore dall'eternità che possa ispirarci fervore e fede. Dato che Dio ha scelto di amarci, forse che Egli rifiuterebbe di ascoltarci? Prendiamo coraggio, allora dalla nostra predestinazione per rendere le nostre suppliche ancora più intense. "Sappiate che il SIGNORE si è scelto uno ch'egli ama; il SIGNORE m'esaudirà quando griderò a lui" (Salmo 4:3)."Sappiate che gli stolti non impareranno, e quindi essi devono sentirsi ripetere sempre le stesse cose, soprattutto quando si tratta di un'amara verità quella che si insegna loro, cioè il fatto che i pii sono gli eletti di Dio, e, per grazia peculiare, essi sono messi a parte e separati dal resto dell'umanità. L'elezione è una dottrina che la persona non rigenerata non può sopportare, ciononostante, essa è una verità gloriosa e ben attestata, una dottrina che dovrebbe consolare il credente quand'è tentato. L'elezione è la garanzia della salvezza compiuta, un argomento per aver successo presso al trono della grazia. Colui che ci ha scelti per Sé stesso certamente presterà ascolto alle nostre preghiere. Gli eletti di Dio non saranno condannati né il loro grido rimarrà inascoltato. Davide era re per decreto divino, e noi siamo il popolo del Signore nell'identica maniera. Diciamo allora in faccia ai nostri nemici che essi stanno combattendo contro Dio ed il destino, quando essi cercano di sovvertire la nostra anima" (C. H. Spurgeon). Fornisce importante istruzione e guida alla preghiera. Non solo una conoscenza della verità fornisce incoraggiamento alle anime che pregano, ma essa fornisce pure importante istruzione e guida nel pregare stesso. Le nostre richieste dovrebbero essere in
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armonia con la verità divina. Se noi crediamo nella dottrina della predestinazione, noi dovremmo pregare in questa prospettiva. Il linguaggio che usiamo dovrebbe essere in accordo con il fatto che crediamo esistere una compagnia di persone scelte in Cristo già da prima della fondazione del mondo, e che era per loro, e solo per loro, che Egli ha sofferto ed è morto. Se noi crediamo nella redenzione particolare (piuttosto che nella riconciliazione universale) noi dovremmo implorare il Signore Gesù ed intercedere per coloro che Egli si è acquistato con il travaglio della Sua anima. Questo ci permetterà di avere nella nostra mente una giusta comprensione della realtà e sarà di esempio appropriato anche per altri che ci ascoltano. Ai nostri giorni si sentono nelle preghiere di molti espressioni davvero deplorevoli, del tutto ingiustificabili, sì, che sono totalmente opposte alla volontà o Parola di Dio. Quanto spesso dal pulpito moderno si elevano preghiere per la salvezza di tutti i presenti e il capofamiglia chiede che nessuno nella sua casa sia escluso dalla gloria eterna. A che scopo tutto questo? Forse che stiamo dando istruzioni al Signore su chi salvare? Non equivocate questo, non siamo contro al pastore che preghi per la sua comunità, per i suoi genitori o per la sua famiglia; ciò che contestiamo è quel pregare che sia in diretta opposizione alla verità dell'Evangelo. La preghiera deve essere subordinata ai divini decreti, altrimenti ci renderemmo colpevoli di ribellione. Quando preghiamo per la salvezza di altri, dovrebbe essere sempre con la riserva "se essi sono fra i Tuoi eletti", o "se questa è la Tua volontà sovrana", o altre simili riserve. Il Signore Gesù Cristo in questo ci ha lasciato un perfetto esempio - in questo come per qualsiasi altra cosa. Nella Sua grande preghiera sacerdotale riportata in Giovanni 17 Egli dice: "Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per quelli che tu mi hai dati, perché sono tuoi" (v. 9). Il Signore Gesù conosceva tutta la buona volontà e il compiacimento del Padre verso i Suoi eletti. Egli sapeva che l'atto dell'elezione era sovrano ed irreversibile - questo era chiaro nella Sua mente. Egli stesso sapeva di non potere
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aggiungere agli eletti una sola persona in più. Egli sapeva di essere stato inviato dal Padre a vivere ed a morire per loro, e solo per loro. E in perfetto accordo con questo Egli dichiara: "Io prego per loro; non prego per il mondo". Se Cristo stesso ha lasciato fuori dalla Sua preghiera "il mondo", se Egli non ha pregato per i non eletti, nemmeno dovremmo farlo noi! Dobbiamo imparare da Lui e seguire le Sue impronte, e, invece di esserne risentiti, essere contenti di come la sovrana volontà di Dio si compiace di fare. Essere sottomessi alla volontà di Dio è la lezione più difficile che dobbiamo imparare. Per natura noi siamo determinati a fare la nostra propria volontà e siamo risentiti di tutto ciò che non sembra assecondarla. Quando i nostri piani sono sconvolti, quando le nostre speranze più care sono infrante, quando i nostri idoli sono abbattuti, questo suscita l'inimicizia della carne. È necessario un miracolo della grazia per portarci ad accettare ciò che Dio si è compiaciuto di darci, per dire di tutto cuore: «Egli è il SIGNORE: faccia quello che gli parrà bene» (1 Samuele 3:18). Per fare accadere questo miracolo, Dio si avvale di mezzi. Egli imprime sul nostro cuore un senso efficace della Sua sovranità, così che siamo portati a renderci conto che Egli ha diritto assoluto e senza riserve a fare con le Sue creature tutto ciò che Egli ritiene meglio. Nessun'altra verità ha una maggiore influenza nell'insegnarci questa lezione vitale che la dottrina dell'elezione. Una conoscenza salvifica del fatto che Dio ci ha eletto a salvezza genera in noi la disponibilità verso di Lui, in tutto ciò che ci riguarda, a dire: "Non la mia volontà, ma la tua sia fatta" (Luca 22:42). Ora, sulla base di tutte queste considerazioni, chiedo al lettore se non sia forse vero che la dottrina dell'elezione debba essere chiaramente e liberamente proclamata? Se la Parola di Dio ne è colma, se l'Evangelo non può essere predicato in modo scritturale senza di essa, se la grazia di Dio non può essere mantenuta quando essa è soppressa, se la sua proclamazione abbassa l'essere umano fino nella polvere, se è il mezzo divinamente designato della fede, se è un potente incentivo per la promozione della
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verità, se sollecita l'anima allo spirito della lode, se stabilisce il cristiano nella certezza della sua eterna sicurezza, se fornisce stabilità al servitore di Dio, se supplisce incoraggiamento alle anime che pregano e preziose istruzioni per la preghiera stessa, se opera in noi dolce sottomissione alla volontà di Dio; allora rifiutarsi di dare ai figli di Dio questo prezioso pane semplicemente per paura che i cani lo addentino e ce lo portino via, oppure privare il gregge di questo essenziale ingrediente del loro nutrimento semplicemente perché le capre non lo digeriscono, sarebbe veramente assurdo.
In che modo questa dottrina dovrebbe essere resa pubblica? Ora, in conclusione, poche parole su come questa dottrina dovrebbe essere pubblicata. 1. In quanto dottrina fondamentale. In primo luogo, essa dovrebbe essere predicata in quanto dottrina di base, fondamentale. Non si tratta di una dottrina accidentale o secondaria, ma una dottrina che ha importanza fondamentale, e quindi non dovrebbe essere lasciata in un angolo e trattata il più rapidamente possibile e con una sorta di vergogna "se c'è tempo". La predestinazione si pone al fondamento stesso dell'intero schema della grazia di Dio. Questo è chiaro da Romani 8:30, dove essa è menzionata prima della chiamata efficace, della giustificazione e della glorificazione: "...e quelli che ha predestinati li ha pure chiamati; e quelli che ha chiamati li ha pure giustificati; e quelli che ha giustificati li ha pure glorificati". È chiaro ancora dall'ordine seguito da Efesini 1, dove l'elezione (v. 4) precede l'adozione, la nostra accoglienza nell'amato Figlio di Dio, e al nostro avere redenzione nel Suo sangue (vv. 5-7). Il ministro di Dio, quindi, deve rendere chiaro a chi l'ascolta che Dio prima ha scelto un popolo per essere il Suo particolare tesoro, e poi ha mandato Suo Figlio per redimerli dalla maledizione della legge infranta, ed ora Egli dona il Suo Spirito per vivificarli e per portarli alla gloria eterna.
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2. Deve essere predicata senza paura. In secondo luogo questa dottrina deve essere predicata senza timore. I servitori di Dio non devono lasciarsi intimidire né lasciarsi dissuadere dall'adempiere a questo compito da una qualsiasi forma di opposizione. Il ministro dell'Evangelo è così esortato: "Sopporta anche tu le sofferenze, come un buon soldato di Cristo Gesù" (2 Timoteo 2:3). Soldati che hanno paura del nemico o che fuggono davanti ad esso, non rendono un buon servizio al loro re. Lo stesso vale per coloro che sono ufficiali del Re dei re. Quanto era coraggioso al riguardo l'Apostolo Paolo! Quanto valorosi erano per la verità Lutero e Calvino; e i migliaia di credenti che sono stati bruciati sul rogo per aver aderito a questa dottrina. Che nessuno di coloro che Cristo ha chiamato a predicare l'Evangelo nasconda questa verità per timore dell'uomo, perché il Maestro ha detto chiaramente: "Se uno si sarà vergognato di me e delle mie parole in questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell'uomo si vergognerà di lui quando verrà nella gloria del Padre suo con i santi angeli" (Marco 8:38). 3. Deve essere predicata umilmente. In terzo luogo, deve essere predicata umilmente. Essere intrepidi non significa dover essere predicata ampollosamente, in modo esagerato. Quando il ministro di Dio si trova davanti al suo popolo essi devono percepire dal suo comportamento che egli è giunto loro dopo essere stato nella camera delle udienze dell'Altissimo, che il timore di Jahvè è nella sua anima. Predicare sulla sovranità di Dio, sui Suoi eterni decreti, sul Suo eleggere alcuni e passare oltre ad altri, è questione troppo solenne per essere portata avanti nell'energia della carne. C'è una felice via di mezzo fra un atteggiamento servile e pieno di scuse e l'adottare lo stile di uno spavaldo piazzista. La serietà non deve degenerare in volgarità. È con "mansuetudine" che dobbiamo istruire gli oppositori: "...Deve istruire con mansuetudine gli oppositori nella speranza che Dio conceda loro di ravvedersi per riconoscere la verità" (2 Timoteo 2:25).
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4. Deve essere predicata in modo equilibrato. In quarto luogo, l'elezione deve essere predicata in modo proporzionato. Sebbene il fondamento è della massima importanza, esso è di poco valore se su di esso non si edifica una sovrastruttura. La pubblicazione dell'elezione deve aprire la strada alle altre verità cardinali dell'Evangelo. Se si predica una qualsiasi dottrina in modo esclusivo, essa è distorta. Bisogna preservare il necessario equilibrio nella nostra presentazione della verità. Sebbene nessuna parte di essa debba essere omesso, nessuna parte deve pure ricevere indebita prominenza. È un grande errore suonare l'arpa pizzicando solo una corda. La responsabilità umana deve essere presentata in modo altrettanto forte della sovranità di Dio. Se da un canto il ministro di Dio non deve lasciarsi intimidire dagli arminiani, d'altro canto non deve nemmeno fare il verso agli ipercalvinisti, che fanno obiezioni all'appello rivolto ai non convertiti di ravvedersi e di credere all'Evangelo ["Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; ravvedetevi e credete al vangelo" (Marco 1:15)]. 5. Deve essere predicata in modo esperienziale. In quinto luogo, la dottrina dell'elezione deve essere predicata in modo esperienziale. Questo è il modo in cui gli Apostoli ne trattavano, com'è chiaro nell'esortazione: "Perciò, fratelli, impegnatevi sempre di più a render sicura la vostra vocazione ed elezione; perché, così facendo, non inciamperete mai" (2 Pietro 1:10). Come possiamo fare questo, però, se non veniamo istruiti sulla dottrina dell'elezione, istruiti sulla sua natura e sull'uso che dobbiamo farne? La verità dell'elezione può essere di scarso conforto per un credente, a meno che non abbia la fondata certezza che egli sia uno del popolo eletto di Dio; e questo è possibile solo accertandoci di possedere (in una qualche misura) i segni scritturali di appartenenza al gregge di Cristo. Dato che su questo punto del nostro argomento abbiamo già trattato in modo esteso, non aggiungeremo qui altro. Possa il Signore usare queste parole per la Sua gloria e per la benedizione dei Suoi cari santi. FINE
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Arthur Pink: lineamenti biografici (da Wikipedia, l’enciclopedia libera) Arthur Walkington Pink, evangelista e teologo, nasce a Nottingham (Inghilterra) il 1 aprile 1886. Un'esperienza di conversione all'età di 22 anni lo porta all'impegno cristiano. Sebbene nato in una famiglia cristiana, precedentemente alla sua conversione si interessa attivamente di teosofia, concezione che godeva di una certa popolarità nell'Inghilterra del tempo. Le preghiere e la paziente opera di persuasione di suo padre per avvicinarlo alla fede cristiana attraverso la lettura della Bibbia, hanno successo. Lo colpisce particolarmente e lo porta a Cristo, facendogli rinunciare alla teosofia il versetto biblico di Proverbi 14:12: “C'è una via che all'uomo sembra diritta, ma essa conduce alla morte”. Desiderando approfondire la conoscenza della Bibbia, Pink si trasferisce in America per studiare al Moody Bible Institute. Nel 1916 si sposa con Vera E. Russell, del Kentucky. Si trasferiscono poi nel Colorado, in California e poi in Inghilterra. Dal 1925 al 1928 guida come pastore due comunità evangeliche battiste in Australia e, in seguito, diverse negli USA . Nel 1932 pubblica una rivista mensile di studi biblici dal titolo Studies in the Scriptures che conseguirà ampia circolazione nel mondo fra cristiani di lingua inglese, sebbene non fossero stampate che un migliaio di copie. Nel 1934 Pink ritorna in Inghilterra e si impegna prevalentemente nello scrivere libri ed opuscoli di impostazione calvinista e neo261
puritana, per i quali consegue una popolarità che giunge fino ai nostri giorni, intrattenendo una vasta corrispondenza con cristiani di tutto il mondo. Muore il 15 luglio 1952 in Scozia, sull'isola di Lewis a Stornoway dove si era ritirato. Dopo la sua morte, le sue opere sono ripubblicate da numerose case editrici, come la Banner of Truth Trust, Baker Book House, Christian Focus Publications, Moody Press, Truth for Today, e raggiungono un pubblico molto vasto, rendendolo uno degli scrittori evangelici più influenti della seconda metà del XX secolo. I suoi scritti hanno promosso la diffusione della predicazione espositiva. È solo dopo la sua scomparsa che le opere di Arthur Pink conseguono la loro notorietà di cui oggi godono e sono apprezzate tanto da porsi alla sorgente stessa del moderno movimento neo-calvinista. È lo studio indipendente della Bibbia che lo convince di quanto sia difettosa gran parte dell'evangelizzazione moderna. Pink ripropone con zelo e perseveranza la letteratura riformata e puritana classica in un tempo in cui essa era generalmente ignorata e ne sostiene i principi. Il progressivo declino spirituale della sua nazione, la Gran Bretagna per lui era l'inevitabile conseguenza della prevalenza di un "vangelo" che né feriva (attraverso la viva consapevolezza del peccato, né guariva (attraverso la rigenerazione). Profondamente imbevuto di conoscenza biblica, Pink raramente si scosta dall'insistere sui concetti biblici fondamentali di grazia, giustificazione e santificazione. Arthur Pink non può essere identificato con una chiesa o denominazione particolare del mondo protestante o evangelicale in genere. Le sue vicende e scritti testimoniano del profondo sentimento di delusione che gli ispirano le chiese e denominazioni delle quali ha esperienza nel corso della sua vita. Per un po' di tempo opera nell'area delle chiese battiste, sia generali che particolari, le assemblee dei fratelli e la Chiesa libera di Scozia, ma non aderisce a nessuna. La radicalità delle sue persuasioni calviniste e il parrochialismo delle denominazioni, contribuisce al 262
suo isolamento. Coltiva, però, numerosissimi contatti epistolari con cristiani di tutto il mondo di diversa estrazione che lo apprezzano e individualmente lo sostengono. I suoi autori preferiti rimangono nell'ambito del Puritanesimo classico: Matthew Henry, John Owen, Thomas Manton, John Flavel e Thomas Goodwin.
Opere di Arthur Pink •
The Antichrist
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The Atonement
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Attributes of God
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The Beatitudes and the Lord's Prayer
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The Christian Sabbath
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Christmas
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Comfort for Christians
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The Doctrine of Justification
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The Decrees of God
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The Doctrine of Reconciliation
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The Doctrine of Salvation
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The Doctrine of Sanctification
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The Doctrine of Revelation
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The Divine Covenants
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The Divine Inspiration of the Bible
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Eternal Security
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Exposition of John
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Exposition of Hebrews
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Gleanings in Genesis
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Gleanings in Exodus
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Gleanings in Joshua
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Gleanings from Paul (copyright 1967 by The Moody Bible Institute of Chicago, Ninth printing, 1970)
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Gleanings in the Godhead
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A Guide to Fervent Prayer
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The Holy Spirit
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Interpretation of the Scriptures
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Letters of A. W. Pink
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The Life of Elijah
•
The Life of David
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The Patience of God
•
Practical Christianity
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Profiting from the Word
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The Redeemer's Return
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The Seven Sayings of the Savior on the Cross
•
Studies on Saving Faith (first published in Studies in the Scriptures)
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The Satisfaction of Christ
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The Sovereignty of God
•
Spiritual Union and Communion
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Spiritual Growth
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The Total Depravity of Man
INDICE PREFAZIONE 3 La Dottrina dell'Elezione 7 INTRODUZIONE 7 1. L’ELEZIONE: LA SUA FONTE 17 2. L’ELEZIONE: L’ELETTO PER ECCELLENZA 27 3. L’ELEZIONE: LA SUA VERITÀ 47 4. L’ELEZIONE: LA SUA GIUSTIZIA 67 5. L’ELEZIONE: LA SUA NATURA 87 6. L’ELEZIONE: IL SUO DISEGNO 107 1. Perché fossimo santi 107 2. Perché diventassimo Suoi figli 109 3. Perché fossimo salvi 114 4. Per appartenere a Cristo 116 7. L’ELEZIONE: LA SUA MANIFESTAZIONE 127 8. L’ELEZIONE: I SUOI EFFETTI 165 9. L’ELEZIONE: LA SUA FELICITÀ 205 10. L'ELEZIONE: I SUOI OPPOSITORI 215 11. L’ELEZIONE: LA SUA PUBBLICAZIONE 231 ARTHUR PINK: LINEAMENTI BIOGRAFICI 261 OPERE DI ARTHUR PINK 263
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