I diari di Rubha Hunish

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9 giugno 2002. Oslo e l’Urlo.

È il 1893. Edward Munch, a passeggio con un amico a pochi passi da Christiania, si sente colpito da un’entità spirituale, una visione. Decide di tornare in quel luogo per dipingere, tratteggiare, dare corpo, mostrare al mondo l’esperienza di quell’attimo che non gli è sfuggito. La sua Norvegia è quella della borghesia della futura Oslo, un piccolo mondo ancora sotto il re di Svezia, dove grandi personaggi come Fridtjof Nansen stanno per arricchire la dotazione visionaria che questo Nord sa infondere ai propri figli. La Norvegia non è una potenza militare né un impero. La Norvegia è una terra di uomini riflessivi che si muovono secondo le regole della Terra. È la carta vincente. Edward Munch dipinge Skrik, l’urlo. Sta per compiere trent’anni. Dipingere è una dannazione e una salvezza, un impulso e una necessità, la terra di Norvegia è per lui il pianeta della sofferenza e il porto dal quale partire per non tornare ai dolori e agli incubi incoffessabili. Sfugge spesso la follia per un soffio: ne percorre i confini, sprofonda nella tundra dove il pantano della depressione non si asciuga mai. La serenità sfugge tra le sue dita come l’aurora boreale agli occhi di chi la cerca con troppa ostinazione. Quando rimane in piedi, si adopera per lasciare i suoi messaggi, esprimersi, domandare, affermare: in realtà non chiede nulla, se non di esistere con la legittimità di tutti gli altri. Viaggia senza mappe in un mondo che gli è estraneo perché in quel mondo solo lui ha accettato di muoversi


senza protezioni. Quel giorno, camminando con l’amico, Edward capisce che per un momento la sua immaginazione ha saputo reggere di nuovo l’impatto poderoso del paesaggio, di quel territorio che regolarmente torna a visitare i tratti del suo stile. Ha sentito la luce intensa, il bagliore di una forza che sfronda qualsiasi dubbio e sventola la propria esuberanza in luoghi capaci di accoglierla, interstizi di vita dove lo spazio si adagia sul tempo mimetizzandosi con le forme e i contorni di figure che noi uomini possiamo cogliere e riprodurre. Ma dura un attimo, e quando passa fa male. Edward Munch vede e sente cose così grandi da rendere tutto più complicato per la coscienza del suo tempo. Per un miracolo che non cessa mai di ripetersi, quello che Edward Munch torna a immortalare in uno spazio preciso è tutto il creato: l’immagine si innalza da un luogo conosciuto e si tuffa, come la luce, nell’anima di chi guarda. In un altro luogo umano, questa volta sconosciuto, trova una corrispondenza, ma per lui il costo dell’operazione è una solitudine che invece di diminuire cresce inarrestabile e si allarga come i corsi d’acqua dell’Hardangervidda al disgelo, rovesciandosi verso l’orizzonte. L’ondulazione della terra è la stessa dei terminali percettivi di Skrik: filamenti di infinitezza che passano per le fibre ottiche, gorgheggi di suoni impossibili che entrano direttamente nel luogo dove si fabbricano i sogni e dove risiede la conoscenza istintiva di cose che sono la storia della vita e dell’uomo. L’urlo è uno specchio che non riflette: la sua superficie ingoia le certezze invitando a non respingere l’uragano che continua a viaggiare dal


cuore allo stomaco, come se fosse un figlio malvagio. Edward Munch siede nel suo studio e trova i nomi più semplici per le cose più difficili pur di attrarle sulla superficie di una tela. Per lui la terra accetta di diventare colore puro, gli promette fuochi e acque cristalline. E glieli dona, ma in cambio vuole l’innocenza dei suoi territori interiori. Edward Munch è la terra e il cielo, una bellezza disperata e urlante perché ancora troppo potente e incontrollabile. Munch è l’uomo prima dell’uomo, il colore prima del colore. Egli sa che se potesse arginare questo flusso non vedrebbe più niente, allora preferisce continuare a tornare in quel luogo dove riesce a osservare e conservare tutto negli occhi, così aperti al racconto della vita. Il mare sciacqua i secoli, il fuoco arde la notte norvegese, il porto di Oslo accoglie i suoi esploratori con amore. Edward chiude gli occhi e torna alla terra.



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