Capitolo I Introduzione
Nell’estate del 1882 mi trovavo a bordo della Viking, una nave norvegese per la caccia alla foca che rimase intrappolata nel ghiaccio al largo della costa orientale della Groenlandia in una zona ancora inesplorata, o per la precisione da qualche parte nei paraggi della latitudine 66°50’ N. Restammo bloccati più di tre settimane e ogni giorno l’equipaggio era sempre più terrorizzato dalla deriva presa dalla nave verso il litorale roccioso. Alla luce del giorno, oltre le 25
distese di ghiaccio alla deriva, vedevamo risplendere vette e ghiacciai, mentre la sera e per tutta la notte, quando il sole si abbassava incendiando il cielo, la selvaggia bellezza dello scenario giungeva al suo apice. Durante il giorno, dalla coffa spesso capitava che il cannocchiale si volgesse a ovest e non c’è da stupirsi che la fantasia di un giovane si sentisse irresistibilmente attratta dalle bellezze e dai misteri di quel mondo sconosciuto. Meditavo di continuo per trovare il modo di raggiungere la costa, la stessa che in tanti avevano cercato invano di raggiungere, sino ad arrivare alla conclusione che doveva esserci un modo, magari non forzando una nave attraverso il ghiaccio – metodo utilizzato sino ad allora – ma attraversando a piedi la banchisa galleggiante e trainando una barca. A dire il vero, un giorno non seppi più trattenermi e proposi un tentativo di dirigermi verso la costa da solo, ma il progetto non approdò a nulla poiché il capitano era convinto che non dovesse essere permesso a nessuno di lasciare la nave per un lungo periodo di tempo. Al mio rientro, la rivista danese «Geografisk Tidskrift» mi chiese di scrivere un articolo nel quale espressi l’opinione che sarebbe stato possibile raggiungere la costa orientale della Groenlandia senza particolari difficoltà se la spedizione avesse forzato la via, sin dove il ghiaccio era praticabile, a bordo di una nave per la caccia alla foca, per poi abbandonarla e superare la banchisa sino alla costa. Con questo non voglio certo affermare che già a quel tempo avessi l’idea, più o meno visionaria, di penetrare dalla costa nell’entroterra, poiché fu solo in una successiva occasione che il progetto assunse la sua forma definitiva. Nel 1883, una sera d’autunno che ricordo come fosse ieri, ascoltavo senza grande interesse la lettura del giornale quando la mia attenzione fu risvegliata da un telegramma nel quale si annunciava che Nordenskjöld era tornato sano e 26
salvo dalla spedizione verso l’entroterra della Groenlandia e che non aveva trovato oasi ma solo infinite pianure di ghiaccio sulle quali si diceva che i suoi Lapponi avessero percorso con gli sci una distanza straordinaria in un tempo stupefacente2. Fu in quel momento che si accese la scintilla e si materializzò l’idea di una spedizione attraverso la Groenlandia, da costa a costa, con gli sci. Era il piano che in seguito fu presentato al pubblico e realizzato. In breve, la mia idea era che se un gruppo di bravi sciatori equipaggiato in maniera pratica e funzionale fosse partito dal lato destro, doveva per forza riuscire ad attraversare la Groenlandia: il punto di partenza era di estrema importanza. Se il gruppo fosse partito dal lato occidentale, come avevano fatto tutte le altre spedizioni, si poteva star sicuri che non ce l’avrebbe mai fatta. Avrebbe avuto tutte le comodità d’Egitto alle spalle e di fronte un deserto di ghiaccio inesplorato e la costa orientale, che è leggermente migliore. E se anche ce l’avesse fatta, avrebbe dovuto rifare lo stesso viaggio a ritroso per tornare a casa. Fu così che mi venne l’idea: l’unica via per un successo sicuro era quella di forzare un passaggio oltre la cintura di ghiaccio che galleggiava alla deriva, sbarcare sulla desolata costa orientale serrata dai ghiacci e da lì proseguire sino alla disabitata costa occidentale. In questo modo, bruciandosi tutti i ponti alle spalle, non ci sarebbe stato bisogno di incitare gli uomini, perché la costa orientale non avrebbe costituito un’attrattiva mentre davanti a loro ci sarebbe stata la costa occidentale con tutte le lusinghe e le attrattive della civiltà. Non c’era una rotta da decidere: l’unica parola era avanti e l’unico ordine “o la morte o la costa occidentale della Groenlandia”. 2
Nils Otto Gustaf Nordenskjöld (Hesselby, 6 dicembre 1869 – Göteborg, 2 giugno 1928), è stato un geologo, geografo ed esploratore svedese.
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Solo nell’autunno del 1887 decisi di dedicarmi seriamente al piano. La mia idea originale era stata quella di realizzare la spedizione con mezzi privati ma dato che ero stato spinto da più parti a chiedere aiuto all’Università di Norvegia per reperire i fondi necessari e per dare alla spedizione un carattere pubblico e nazionale, acconsentii e inviai alle autorità una richiesta per una sovvenzione di cinquemila corone. La richiesta incontrò il favore più che caloroso del consiglio universitario e venne sottoposta al governo, di modo che potesse essere presa in considerazione dallo Storthing, l’Assemblea Nazionale. Il governo però fece sapere che non vedevano come si sarebbe potuto supportare il piano e un giornale si spinse addirittura a dire che non c’era una ragione concepibile per la quale il popolo norvegese dovesse pagare cinquemila corone per regalare a un privato un viaggio vacanza in Groenlandia. Quasi tutti quelli che sentirono parlare del progetto lo definirono una pura follia, chiedendo cosa potesse mai esserci nell’entroterra della Groenlandia, ormai convinti che o non avessi la testa del tutto a posto o che fossi semplicemente stanco di vivere. Per fortuna non fu necessario procurarmi l’aiuto del governo, dello Storthing o di chiunque altro. In quel periodo fu un gentiluomo di Copenaghen a offrirmi la somma necessaria. Il signor Augustin Gamél aveva già contribuito alla causa delle ricerche nell’Artico equipaggiando la spedizione Dijmphna3. Poiché l’offerta proveniva da uno straniero che neppure mi conosceva di persona per aiutare una spedizione considerata dalla generalità come il piano di un folle, mi sembrò talmente generosa che non esitai un istante ad accettarla. Pubblicai il progetto nel gennaio 1888 sulla rivista norve3
Spedizione artica danese sulla nave Dijmphna (1882-1883) che aveva cercato di arrivare a capo Čeljuskin nella Russia artica e che costituisce il punto più settentrionale del continente asiatico.
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gese «Naturen» in un articolo intitolato Gronlands Inlandsis (L’inlandsis in Groenlandia)4. Dopo aver raccontato la storia di alcuni precedenti tentativi di penetrare nell’entroterra della Groenlandia, descrissi l’idea in questi termini: “Ho intenzione di partire dall’Islanda all’inizio di giugno a bordo di una nave norvegese per la caccia alla foca insieme a tre o quattro dei migliori sciatori che riuscirò a trovare. Ci dirigeremo verso la costa orientale della Groenlandia per provare ad avvicinarci il più possibile al litorale a un’altezza di circa 66° di latitudine Nord. Mi sarebbe piaciuto sbarcare più a Nord, nelle regioni sconosciute del fiordo di Scoresby, ma sarebbe necessario avere una nave speciale e poiché probabilmente sarebbe difficile raccogliere fondi a tale scopo, ho per il momento rinunciato all’idea. Se la nostra nave non riuscisse a raggiungere la costa, anche se i cacciatori di foche che si sono spesso trovati vicini a quelle coste inesplorate non considerano impossibile l’eventualità di riuscirci, la spedizione abbandonerà la nave nel punto più estremo raggiunto fino a quel momento e percorrerà il ghiaccio sino alla terraferma. Nell’estate del 1884, per esempio, il ghiaccio era ridotto al minimo e le foche furono catturate in prossimità della riva. Allo scopo di attraversare le acque aperte che probabilmente troveremo vicino alla costa, traineremo una barca leggera con i pattini per il ghiaccio. La mia precedente esperienza mi dice che è possibile attraversare il ghiaccio. 4
Inlandsis è un vocabolo norvegese composto (inlands «entroterra» e is «ghiaccio»). In geografia fisica, descrive la grande massa dei ghiacci che nelle regioni polari copre estese aree territoriali come la parte interna della Groenlandia e il continente antartico. È l’Inlandsis al quale si riferisce Nansen nel corso di tutto il libro per descrivere il territorio sconosciuto che aveva costituito il grande problema dell’esplorazione artica sino alla sua spedizione del 1888. Per questa ragione nel testo italiano si è mantenuto il vocabolo comunemente usato dalla comunità scientifica, dagli esploratori, dai geologi e dai geografi.
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Era il 1882 quando mi trovai in questa regione a bordo del Viking, che era rimasto intrappolato nel ghiaccio e per ventiquattro giorni andò alla deriva lungo la stessa costa dove ho intenzione di sbarcare; fu allora che ebbi numerose opportunità di conoscere la natura del ghiaccio e le condizioni della neve; spesso ci capitò di dover trainare la nostra barca sulla banchisa per lunghe distanze a causa dell’improvviso ammassarsi del ghiaccio. Credo dunque che con quel metodo avremo ogni probabilità di raggiungere la terraferma e mi piacerebbe che ciò accada a Nord di capo Dan, dove la costa non è mai stata esplorata dagli europei e offre motivi di interesse per il viaggiatore. Verso sud la costa è ormai relativamente nota, visto che nel 1884 la spedizione Konebaad del capitano Holm ha raggiunto un punto a Nord di Cape Dan svernando ad Angmagsalik, insediamento dei pagani eschimesi5 situato nelle vicinanze del promontorio. Dopo aver esaminato la costa sino a quando il tempo a nostra disposizione ce lo concederà, inizieremo la traversata dell’inlandsis appena possibile. Se raggiungeremo la terraferma a Nord di capo Dan, inizieremo l’ascesa dal fondo di uno dei fiordi vicini; se sbarcheremo più a sud, ci spingeremo sino al fondo del fiordo Sermilik prima di dedicarci al ghiaccio. Proveremo subito a risalire il più in alto possibile sulla nuda roccia, anche nel caso di forti pendenze, poiché quando saremo costretti a percorrere il ghiaccio lo troveremo più 5
Il popolo Eschimese, come è ancora oggi più facilmente ricordato, in realtà si è sempre chiamato popolo Inuit – “gli uomini”, abitatori di Alaska, Canada e Groenlandia. Nansen utilizza sempre il vocabolo in uso anche per gran parte del ventesimo secolo, offrendo descrizioni e osservazioni di notevole rilevanza. Nonostante i brevi contatti intercorsi durante la spedizione, nell’inverno 1888-1889, nell’attesa di poter ritornare in Norvegia, nella colonia danese di Godthaab, come descriverà nella parte finale del libro, ebbe modo di apprendere usi, costumi, lingua (che in Groenlandia è il kalaallisut, ovvero il groenlandese).
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regolare e pianeggiante, il che ci permetterà di sfuggire alle peggiori cascate di ghiaccio dei ghiacciai che si dimostrerebbero probabilmente difficili e pericolosi a causa della superficie irregolare. Una volta sul ghiaccio, punteremo la rotta verso Christianshaab, a Disco Bay, dove proveremo ad arrivare il prima possibile. Il vantaggio di puntare a Disco Bay invece che più a sud è che a nord troveremo probabilmente la neve in condizioni migliori. Inoltre, vicino a Disco Bay, dove il territorio non è frastagliato a causa dei fiordi, sarà relativamente facile trovare la direzione dell’abitato, mentre l’isola Disco al largo della costa che riusciremo a vedere grazie alle scogliere terrazzate di basalto, sarà un buon punto di riferimento che ci aiuterà a trovare uno dei due insediamenti di Jakobshavn o Christianshaab, entrambe a Disco Bay e a circa cinquantacinque chilometri di distanza tra di loro. La distanza dal punto della costa orientale dove intendo sbarcare a Disco Bay è di circa 670 chilometri. Se calcoliamo una percorrenza media giornaliera dai venticinque ai trentadue chilometri, che per uno sciatore è veramente poca cosa, la traversata non ci occuperà per più di un mese e se porteremo con noi provviste sufficienti per un periodo doppio, mi pare ci sia ogni probabilità di avere successo. Le provviste verranno trainate sulle slitte e oltre gli sci porteremo con noi anche le truger norvegesi e le racchette da neve canadesi, che possono essere più comode quando la neve è umida e inconsistente. Ovviamente, non mancherà la strumentazione necessaria per i rilevamenti”. L’articolo venne pubblicato e non ci si deve stupire delle proteste più o meno vibrate contro un progetto del genere, ognuna caratterizzata da una stupefacente ignoranza circa le diverse condizioni di considerevoli estensioni di ghiaccio e di neve, oltre che della reale possibilità del nostro attraver31
samento. A tale proposito non posso negarmi il piacere di riportare alcuni brani di una conferenza tenuta a Copenhagen da un giovane viaggiatore danese di ritorno dalla Groenlandia, pubblicata sulla rivista danese «Ny Jord» nel febbraio 1888: “Altri progetti non sono mai andati oltre la carta, come le proposte di attraversare l’inlandsis a bordo di mongolfiere portate avanti alla fine del secolo scorso. E tra questi progetti ancora sulla carta dobbiamo includere quello appena formulato dallo zoologo norvegese Fridtjof Nansen del museo di Bergen. Tanti sono gli elementi che attraggono del progetto di Nansen, come la proposta di partire dalla costa orientale e di attraversare l’entroterra sino agli insediamenti sull’altro versante invece di percorrere la via opposta, il tutto con gli sci come mezzo di trasporto, essendo egli stesso un bravo sciatore. Ma tutti coloro che riconoscono i meriti dell’idea di base, se sanno qualcosa del reale stato delle cose devono respingere qualsiasi ulteriore approvazione. Il metodo stesso con il quale Nansen propone di raggiungere la costa, e cioè di abbandonare il solido ponte della nave per strisciare come un orso polare da un traballante blocco di ghiaccio all’altro sino alla costa, dimostra una tale assoluta avventatezza da non meritare ulteriori critiche. Poniamo che la fortuna favorisca il coraggioso e che Nansen abbia raggiunto la costa della Groenlandia. Come farà a risalirla sino alla vera estensione pianeggiante dell’inlandsis? In altre parole, come farà a superare il limite esterno dove innumerevoli vette si ergono dalla coltre ghiacciata presentando con ogni probabilità in quasi ogni punto una barriera impenetrabile? La proposta di Nansen, scalare le elevate montagne costiere e discendere dalle vette sino all’estensione di ghiaccio che ostruisce la loro via, tradisce una asso32
luta ignoranza delle reali condizioni del terreno. La mia esperienza finisce dove si vede il litorale e non proverò a criticare l’idea di attraversare la tratta interna di ghiaccio con gli sci o la possibilità di portare abbastanza provviste e altre questioni del genere. Ma penso che esista una probabilità che questa parte del piano possa essere realizzata se Nansen riesce a superare il limite esterno del ghiaccio. C’è però una questione molto differente sulla quale credo non solo di essere qualificato a parlare ma di essere costretto a farlo. Sono del parere che nessuno, imbarcandosi in un’ impresa rischiosa e senza profitto, abbia il diritto morale di obbligare gli eschimesi della Groenlandia danese orientale a darsi da fare per tirarlo fuori dalle difficoltà in cui egli stesso si sia ingiustificatamente cacciato. I pochi tra noi che conoscono le condizioni della Groenlandia orientale non hanno dubbi che se il progetto di Nansen verrà portato avanti nella sua attuale forma e la nave non raggiungerà la costa ma lo aspetterà finché non sarà obbligato ad abbandonare il progetto, dieci a uno che egli sacrificherà inutilmente la propria vita e forse anche quella di altre persone, oppure dovrà trovare rifugio presso gli eschimesi per poi farsi guidare da loro lungo il litorale sino agli insediamenti danesi sulla costa occidentale. E io sostengo che nessuno ha il diritto di costringere i groenlandesi orientali a un lungo viaggio che sarebbe per tante ragioni deleterio”. Non c’è dubbio che questi passaggi siano stati scritti con le migliori intenzioni. Ciò non toglie che siano esempi classici del terrore quasi superstizioso con il quale molte persone, inclusi coloro che si atteggiano ad autorità e pretendono di possedere conoscenze specifiche in materia, hanno sempre considerato l’inlandsis della Groenlandia e in generale 33
l’attraversamento delle tratte di ghiaccio e di neve, anche di recente. L’autore dell’articolo citato, nel corso di svariati anni di esplorazioni, era passato lungo il margine dell’inlandsis ma pare che non gli sia mai venuto in mente di provare a fare un’incursione nelle zone interne. Già dai primi passi avrebbe sgomberato la mente da certe assurde allucinazioni, imparando dunque cosa significa veramente “una assoluta ignoranza delle reali condizioni del terreno”. In un altro articolo che, se possibile, tradisce un’ignoranza anche superiore, l’autore ha dichiarato che se Nansen in persona fosse stato abbastanza folle da compiere un simile tentativo non avrebbe comunque trovato nessuno disposto ad accompagnarlo. Anche in Inghilterra la stampa ha pubblicato articoli contrari al progetto della spedizione. Ma nonostante questi avvertimenti, e a dispetto dell’opinione generale che il progetto fosse pura follia, sono stati in tanti a esprimere il desiderio di unirsi a me. Ho ricevuto oltre quaranta richieste da gente di ogni estrazione e occupazione – soldati, marinai, agricoltori, uomini d’affari e studenti universitari. Tanti altri non hanno fatto richiesta ma hanno dichiarato che sarebbero stati più che disposti a venire e che avrebbero dato il proprio nominativo se la cosa fosse stata di una qualche utilità. E le domande non sono state inviate solo da norvegesi, perché ho ricevuto tante lettere anche da danesi, olandesi, francesi e inglesi. In ogni caso, non potevo accettare aspiranti che non fossero perfettamente avvezzi all’uso degli sci, oltre che uomini di provata forza e resistenza. Alla fine ho scelto tre norvegesi: Otto Sverdrup, capitano in pensione; Oluf Dietrichson, tenente della fanteria norvegese; Kristian Kristiansen Trana, agricoltore del nord della Norvegia. Dato che all’inizio avevo pensato di portare con noi delle renne mi ero immaginato che mi sarebbero tornati utili an34
che i lapponi, i quali possiedono il senso dell’orientamento e la capacità di adattamento a ogni genere di circostanza che simili figli della natura hanno come diritto di nascita, avevo scritto a persone ben note del Finnmark chiedendo di rintracciarmi un paio di lapponi di montagna6 disposti a unirsi alla spedizione. Avevo richiesto uomini con spirito di iniziativa, conosciuti per le loro capacità di scalatori con doti di resistenza oltre la media, e specificai che dovevano essere messi al corrente della pericolosa natura dell’impresa. Doveva essere chiaro che le probabilità di non tornare erano le stesse di quelle di tornare a casa e per questo dovevano essere scapoli di un’età compresa tra i trenta e i quaranta anni, dato che avevo stimato che a quell’età le energie del corpo e della mente sono più preparate per affrontare una simile impresa. Passò molto tempo prima che ricevessi una risposta. Nelle aree interne del Finnmark la posta viaggia senza fretta e viene trasportata oltre le montagne su slitte trainate da renne ogni due settimane. Mentre la data della nostra partenza si avvicinava, ricevetti infine una lettera che diceva che potevo avere due bravi uomini di Karasjok se ero disposto a pagarli generosamente. Accettai le loro condizioni telegrafando di venire immediatamente. Venni a sapere che si erano subito messi in viaggio e ovviamente ero estremamente ansioso di incontrarli. Dovevano arrivare un sabato sera, e mandai qualcuno alla stazione per incontrarli e condurli ai 6
La popolazione da noi chiamata lappone, in realtà si definisce Sami e anche qui vale il problema irrisolto creato dalla colonizzazione. Il nome della Lapponia è Samiland, terra generalmente sopra il circolo polare artico che attraversa la Norvegia, la Finlandia, la Svezia e la penisola di Kola in Russia). Quando Nansen scriveva, c’era un gruppo di Sami nomadi che seguiva la migrazione delle renne e che in Norvegia erano conosciuti come Fjeldlapper (lapponi di montagna). Nansen aveva scelto i due uomini per la spedizione proprio tra questi per la loro conoscenza dei terreni più impervi delle zone artiche dove erano nati e cresciuti.
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loro alloggi. Ma né quel giorno e neanche la domenica arrivarono dei lapponi e ci domandammo tutti cosa ne fosse stato di loro. Il lunedì mi fu detto che finalmente erano arrivati. Avevano viaggiato su un treno merci invece che su un normale espresso passeggeri. Mi precipitai ai loro alloggi, trovai la porta ed entrai: in mezzo alla stanza vidi un bel giovane più simile a un finlandese che a un lappone, mentre nell’angolo c’era un anziano con i capelli neri lunghi sino alle spalle e di bassa statura. Stava rannicchiato su un baule, dove aveva un aspetto anche più rachitico del normale, anche se più lappone dell’altro. Come entrai nella stanza, il più anziano piegò la testa e salutò con la mano alla maniera orientale, mentre il più giovane mi salutò normalmente. Il vecchio conosceva poco il norvegese e conversai quasi esclusivamente con il giovane. Chiesi come stavano e perché erano arrivati sul treno merci. «Noi non comprendiamo i treni, e poi costava un po’ meno.» «Bene, e quanti anni avete?» «Io ho ventisei anni e Ravna ne ha quarantacinque» fu la risposta. Bell’affare, visto che avevo dato l’ordine di trovare due uomini tra i trenta e i quarant’anni. “«Immagino siate entrambi lapponi di montagna.» «Oh no! Solo Ravna sta in montagna, io sono di Karasjok.» Il che era anche peggio, dato che avevo chiarito che dovevano essere lapponi di montagna. «Ma non hai paura di fare questo viaggio?» dissi io. «Sì, abbiamo molta paura e la gente ci ha detto che la spedizione è talmente pericolosa che non torneremo a casa vivi. Dunque sì, siamo veramente spaventati.» Era un pessimo affare, dato che i due poveretti non avevano mai saputo la verità circa l’impegno preso. Stavo davvero per rimandarli a casa ma era troppo tardi per trovare qualcun altro. Così, visto che dovevo tenerli con me, era meglio consolarli, perciò spiegai che gli erano state raccontate solo un mucchio di fesserie. 36
Non aveva senso scoraggiarli in partenza, visto che avrebbero comunque perso gran parte dell’entusiasmo nel giro di poco tempo. Anche se non avevano l’aspetto forte e asciutto che avevo desiderato, mi sembravano persone di buon carattere e degne di fiducia: qualità che infatti hanno poi dimostrato di avere. E in quanto alla resistenza si sono dimostrati di poco, se non per niente, inferiori a noi. Per altri aspetti non mi furono particolarmente utili, soprattutto rispetto alle qualità che mi ero aspettato di trovare in loro, e infatti non vennero mai utilizzati per scopi ricognitivi. Balto, il giovane lappone, quando fece ritorno a casa scrisse un breve racconto delle sue esperienze che è stato tradotto in norvegese dal professor Friis di Kristiania, e mi riprometto di includere nel mio racconto alcuni passaggi che mi sembrano caratteristici. Dopo aver descritto il suo viaggio dal Finnmark e aver raccontato di come la gente li scoraggiava informandoli, tra le altre cose, che ero solo un maniaco, ecco cosa scrive: “Il 14 aprile lasciammo Trondhjem e il 16 arrivammo a Kristiania. Nansen aveva mandato una persona alla stazione ad attenderci. Era Sverdrup, che venne da noi e ci chiese: siete voi i due uomini che partono con Nansen? Rispondemmo che eravamo noi. Allora Sverdrup ci disse che anche lui partiva con Nansen ed era venuto a incontrarci per quello scopo. Venite con me, disse, e ci portò in un albergo, che si trova al numero 30 di Toldbodgaden. Un’ora dopo Nansen e Dietrichson vennero a incontrarci. Fu una cosa veramente meravigliosa incontrare Nansen, il nuovo capo. Era un estraneo ma il suo volto brillava nei nostri occhi come quello dei genitori che avevamo lasciato a casa; il suo viso mi sembrò subito amabile, proprio come il benvenuto che ci diede. Tutti gli estranei furono molto gentili e amichevoli con noi due 37
lapponi a Kristiania e da quel momento fummo più contenti e andò tutto per il meglio”. Poiché nel corso del racconto saremo in compagnia dei cinque uomini già citati sopra, la cosa migliore da fare adesso è presentarli adeguatamente. Inizierò dai miei compatrioti e andrò in ordine di età.
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Otto Sverdrup è nato il 31 ottobre 1855 nell’azienda agricola di Haarstad a Bindalen, nell’Helgeland. Ulrik Sverdrup, suo padre, faceva parte di una vecchia famiglia norvegese ed era proprietario di boschi e fattorie. Abituato sin dall’infanzia a vagabondare tra boschi e montagne per le sue escursioni con ogni genere di clima, ha appreso velocemente a badare a se stesso e a camminare da solo. Ha anche imparato presto a usare gli sci, e in una regione scoscesa e impraticabile come quella di Bindalen è naturalmente diventato uno sciatore attivo e intelligente. All’età di diciassette anni è andato per mare, viaggiando per molti anni a bordo di navi americane e norvegesi. Dal 1878, quando ha superato l’esame obbligatorio a Kristiania, ha navigato da secondo ufficiale. È di questo periodo il naufragio con una goletta norvegese al largo delle coste scozzesi, circostanza nella quale ha saputo dimostrare di che stoffa è fatto, ed è stato soprattutto grazie alla sua freddezza e perseveranza che l’equipaggio è stato tratto in salvo. Da allora, ha navigato come capitano di goletta e di piroscafo, e ha trascorso un’intera stagione di pesca a bordo di un peschereccio al largo delle coste del Nordland. Negli ultimi anni è quasi sempre rimasto a casa con il padre, che nel frattempo ha venduto la proprietà di Bindalen e si è trasferito a sud nella azienda agricola di Trana, vicino a Stenkjer. Qui ha fatto ogni genere di lavoro, nel bosco, sul fiume, facendo navigare il legname, come fabbro e pescando in mare, dove è rimasto un insuperabile capitano. A Göteborg, dove alcuni anni fa cercavano qualcuno per guidare il sottomarino Nordenfelt attraverso il mare del Nord sino all’Inghilterra, nonostante la ricompensa offerta non si era trovato nessuno disposto a intraprendere la rischiosa missione. È stato allora che casualmente è apparso Sverdrup a offrire immediatamente i suoi servigi. Dopo aver convinto un parente ad accompagnarlo come mac39
chinista, i due hanno proposto di condurre la strana imbarcazione attraverso il mare del Nord senza ulteriori aiuti. L’idea di Sverdrup era sportiva ma all’ultimo momento le autorità hanno cambiato idea e l’imbarcazione è stata trasferita al traino. È chiaro che un uomo di questo genere fosse fatto apposta per una spedizione come la nostra. Nel corso della sua vita errabonda e movimentata ha appreso come trovare la strada in qualsiasi genere di situazione e non mi serve aggiungere che non lo abbiamo mai visto difettare in freddezza o iniziativa.
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Oluf Christian Dietrichson è nato a Skogn, vicino a Levanger, il 3 maggio 1856, figlio del dottore di quella regione, Peter Wilhelm Krejdal Dietrichson. Ha studiato a Levanger, Trondhjem e Kristiania, entrando nel 1877 da cadetto nella scuola militare, dove nel 1880 ha ricevuto il brevetto di sottotenente nella brigata Trondheim, per poi essere promosso al grado di tenente nel 1886. La scorsa estate è stato promosso a capitano. È sempre stato un assiduo sportivo e grazie a un ottimo allenamento ha migliorato e sviluppato la sua costituzione già forte. Negli ultimi anni, ogni inverno ha compiuto lunghe escursioni con gli sci attraverso le zone più remote della Norvegia meridionale, ha attraversato quasi tutte le nostre valli, da Skien nel sud a Trondheim nel nord, e non ci sono molte persone in giro che hanno visto così tanto del nostro paese in inverno. Le acquisizioni della sua formazione militare sono tornate molto utili alla spedizione. Praticamente da solo ha tenuto il diario meteorologico e i risultati dei rilevamenti e delle mappe sono da attribuire a lui. Ha atteso a questi doveri con ammirevole devozione e abnegazione e il merito di un tale lavoro portato a termine in simili circostanze verrà pienamente apprezzato da coloro che hanno vissuto esperienze come questa. Compiere i rilevamenti e tenere un diario meteorologico con esattezza e puntualità, a temperature inferiori ai 30° sotto zero, quando sei esausto o nei momenti in cui la morte e la distruzione sembrano vicine, o scrivere quando le dita sono così gonfie e ferite dal gelo da rendere quasi impossibile reggere una matita, richiede un carattere e un’energia al di fuori dal comune. Kristian Kristiansen Trana non aveva più di ventiquattro anni quando si è unito alla spedizione, dunque notevolmente al di sotto dell’età che consideravo adatta per affrontare un’impresa del genere: ma vista la sua audacia, la forza e 41
l’eccesso di entusiasmo dimostrato, non ho esitato a ingaggiarlo dietro raccomandazione di Sverdrup. Non ho avuto motivo di pentirmi della scelta. È nato il 16 febbraio 1865 nella azienda agricola di Trana, che al momento è di proprietà del padre di Sverdrup e dove è stato principalmente occupato nel lavoro forestale anche se, essendo stato in mare un paio di volte, poteva anche essere un tuttofare. Si è dimostrato affidabile e costante e quando Kristian ci diceva che avrebbe preso lui in mano la situazione, ho sempre saputo che avrebbe fatto bene.
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Samuel Johannesen Balto è un lappone di Karasjok. Quando si è unito a noi aveva ventisette anni. Di media statura, non ha i tratti tipici di un lappone e infatti viene dai cosiddetti lapponi fluviali, che in genere sono di una certa taglia e hanno molto sangue finlandese nelle vene. Ha trascorso quasi tutta la vita a lavorare nei boschi, ma per svariati anni ha anche partecipato alla stagione della pesca oltre ad avere aiutato anche a seguire le renne con i lapponi di montagna, trascorrendo una parte di quel periodo al servizio di Ravna. Ăˆ un tipo intelligente e vivace, che ha portato a termine tutto quello che ha affrontato con grande energia: in 43
questo senso è stato molto diverso dal suo amico Ravna. Ha dimostrato anche doti di resistenza, è sempre stato disponibile a dare una mano per qualsiasi incombenza, rivelandosi di grande aiuto per tutti noi. E infine, la sua prontezza di lingua e un norvegese stentato hanno fatto di lui lo spirito allegro della spedizione. Ole Nielsen Ravna è un lappone di montagna che viene dalla zona di Karasjok e quando si è unito alla spedizione aveva quarantacinque o quarantasei anni, visto che lui stesso non era sicuro della propria data di nascita. Aveva trascorso una vita nomade in tenda e aveva vagato con le sue renne nelle lande desolate delle montagne del Finnmark. Il suo gregge, quando partì per la Groenlandia, non era numeroso e contava dai 200 ai 300 capi. Era l’unico componente sposato della spedizione e aveva lasciato a casa una moglie e cinque figli. Come ho già detto, non ne ero a conoscenza, visto che avevo insistito che tutti i miei compagni fossero scapoli. Come tutti i lapponi di montagna, era soprattutto pigro e quando non eravamo in movimento nessuna occupazione gli procurava più piacere dello starsene seduto in un angolo della tenda a gambe incrociate a fare assolutamente niente, dopo essersi scrollato di dosso la neve. Raramente lo si è visto al lavoro a meno che non gli fosse stato espressamente richiesto. Era di bassa statura ma sorprendentemente forte e capace di una grande resistenza, anche se è sempre riuscito a risparmiare le sue riserve di energia. Quando siamo partiti sapeva ben poco norvegese, ma proprio per questa ragione le sue osservazioni erano estremamente comiche e ci hanno fatto divertire tantissimo. Non sapeva scrivere e non aveva confidenza con uno strumento moderno come l’orologio. Sapeva però leggere e il suo libro preferito era il Nuovo Testamento in lappone, dal quale non si è mai separato. 44
I due lapponi erano venuti solamente per guadagnare dei soldi, come hanno dichiarato loro stessi: nella loro mente non c’era spazio per la curiosità e l’avventura. Al contrario, avevano paura di ogni cosa e si spaventavano per un nonnulla, cosa che non deve stupire se teniamo a mente quanto poco sapessero di tutta la faccenda. Il fatto che non tornarono ignoranti come alla partenza lo si capirà dalle osservazioni di Balto che citerò in seguito. Ravna e Balto erano di buon carattere e amichevoli; la loro dedizione è stata spesso commovente e mi sono affezionato molto a entrambi.
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