InGenova - ponente aprile 2015

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ANNO 2 - N° 2 - Aprile 2015 - Magazine di cultura, informazione e tempo libero - Poste Italiane - Spedizione in abbon. postale - D.l. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 N°46) art.1 comma 1 D.C.B. - GENOVA - nr. 594 anno 2006

APRILE 2015

Michele, la storia della musica genovese

Campi, il più

grande orto collettivo

Giorgio Moiso:

esplosione di energia e colore in movimento

UN MUSICAL IN “Lingua Genovese”



Rivista realizzata con l a c o l l a b o r a z i o n e d i :

Sommario

numerodiaprile2015 PonenteMagazine M

La Liguria da guardare. ANTENNABLU

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grande orto collettivo

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esplosione di energia e colore in movimento

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evante Ligure “In-Let City Store”

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sger Jorn, oltre la forma

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rte Ovale & Gastronomia a Cogoleto

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il più francese dei vini italiani

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Marsiglia si tinge d’azzurro

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a Finalborgo

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Campi, il più

Giorgio Moiso: L

A A

Dolceacqua: E

Vini rari e… inquieti

APRILE 2015

ANNO 2 - N° 2 - Aprile 2015 - Magazine di cultura, informazione e tempo libero - Poste Italiane - Spedizione in abbon. postale - D.l. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 N°46) art.1 comma 1 D.C.B. - GENOVA - nr. 594 anno 2006

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ichele, la storia della musica genovese

Michele, la storia della musica genovese

caMpi, il più

grande orto collettivo

GiorGio Moiso:

esplosione di energia e colore in movimento

UN MUSICAL IN “LINgUA gENovESE”


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Michele, la storia della musica genovese “A spassu pe Zena” Dal parco dell’Acquasola, simbolo di un rispetto per la cultura genovese che deve rinascere, prende l’avvio un progetto che unisce tanti mostri sacri della canzone sotto la Lanterna

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asce a Genova, per le volontà unite di alcuni personaggi del mondo della musica, un progetto teatrale di grande rilevanza che percorrerà tutta la penisola. Michele, con l’apporto fondamentale di Giorgio Calabrese e Gianfranco Reverberi, si impegna a trasmettere ovunque il valore storico della canzone genovese, non solo dialettale, e della sua prosa profondamente riflessiva. In un’intervista nella quale percorre tutta la sua vita di cantante, l’interprete della celeberrima “Se mi vuoi lasciare” racconta la sua storia con grande partecipazione emotiva. Tutto inizia una sessantina di anni fa quando il giovane Michele, all’età di sette anni, ascolta per la prima volta una “squadra di canto” nell’entroterra di Genova. Rimane affascinano per la complessità del cantato, per la mancanza di strumenti, sostituiti egregiamente dalle voci, e per il profondo richiamo alle infinite possibilità riservate all’essere umano che esprime volontà piena e amore per la musica. Negli anni successivi, durante le estati in cui il padre lo

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I protagonisti della musica porta in campagna a Minceto, nei pressi di Ronco Scrivia, Michele continua il suo percorso di fascinazione diretto alla musica delle squadre di canto e si trova alloggiato presso una famiglia, i Repetto, i cui cinque figli (quattro maschi ed una femmina, “i figgi du Dria”) compongono una notevole squadra familiare con la copertura totale dei ruoli. Racconta Michele: “La sera, dopo che la Rosetta, moglie di “Dria”, ci aveva fatto assaporare il pesto, i cinque figli si disponevano a cantare dopo una lunga e faticosa giornata di lavoro nei campi”. Per il cantante è una tappa fondamentale della sua vita: impara volontà e impegno. “Ognuno dei cinque giovani ricopriva un ruolo, e tutti erano capaci, senza alcuno studio, di armonizzazioni sorprendenti”. In questo periodo di lui si forma quel cantante “naturale” che successivamente diverrà famoso. A diciassette anni si trova a cantare in un locale di Genova e viene notato da Gianfranco Reverberi, lo scopritore di tutti i cantanti genovesi, che ne riconosce il valore e lo porta con sé a Roma e a Milano, dove inizia la sua carriera che lo porterà poi in giro per il mondo. Il “Trallallero” e le sue origini, a bordo delle navi che avevano toccato i paesi arabi, sono un’essenza profonda della sua passione musicale. Il suo legame con questa particolare forma lo coinvolge talmente che una sera in cui si trova a Nervi, nella storica pizzeria della Simona, con un Beppe Grillo all’esordio sullo sfondo, ascolta due camerieri che canticchiano per i clienti mentre servono le pizze. Da questo incontro nascono i “Trilli”, che Michele lancia e di cui produce i primi dischi. Poi Michele ricorda “Piango, ma se tu vorrai”, il suo primo disco non distribuito, seguito subito dopo dal famosissimo “Se mi vuoi lasciare” edito da RCA e diffuso nel mondo intero. Ricorda con estrema umiltà il suo percorso affianco a persone eccezionali che, così come lui dice, gli hanno insegnato tutto della musica: non ha dubbi sui suoi tre grandi amori, il Trallallero, i cantautori genovesi e il rock and roll. Fra gli aneddoti più gustosi, le serate all’Apollo di Milano, di proprietà del campione mondiale di rock and roll Bruno Dossena, dove si esibivano Gianfranco Reverberi al vibrafono, Luigi Tenco al sassofono, Giorgio Gaber alla chitarra solista, Enzo Jannacci alla chitarra d’accompagnamento e Adriano Celentano alla voce. Michele chiude l’intervista introducendo il suo progetto “A spassu pe Zena”, che raccontiamo più avanti, e portando l’attenzione sui partecipanti ricordando l’esclusiva squadra di canto famosissima della Lanterna; la più nota cantante genovese, Franca Lai, che ha aderito con gioia al lavoro e della quale tesse ampie lodi per la sua “rasformazione; Franco Faloppi, cabarettista e autore con un ruolo vitale nel progetto e infine Dina Manfred, della quale tiene a sottolineare professionalità e volontà. “Dina Manfred è la cantante di un gruppo col quale lavoro spesso. E’ piemontese ed ha grandi qualità di interprete ma non aveva mai cantato in dialetto genovese; affascinata dal progetto, mi ha chiesto di provare e le ho imposto la qualità nell’uso del dialetto. Si è impegnata per mesi e il risultato è stato incredibile”. Nello spettacolo Dina Manfred interpreta l’angelo che scende nel parco dell’Acquasola e incontra Franca Lai, una barbona, per dar vita a ventiquattro canzoni inedite e intermezzi di prosa. Un ultimo ricordo Michele lo rivolge ad Aidano Smuker, che conobbe quando stava preparando i “Canti de casa me” - primo album dei Trilli - e lo presenta come il più grande conoscitore del canto genovese, in possesso di un monumentale archivio di nastri registrati in giro per la regione e curati con una esemplare passione.

Il progetto Oggi, grazie al profondo desiderio dei due “esuli” Calabrese e Reverberi, nasce un progetto che si articola in ventiquattro canzoni inedite e brani di prosa che Michele, assieme ad altri validissimi interpreti della canzone genovese, porteranno ovunque. Giorgio Calabrese, paroliere delle canzoni, ci introduce alla vicenda: “La storia comincia con tre amici che discutono. Uno dice: “Tutto a questo mondo accade per caso o per necessità. Va bene, gente: visto che non ci pensa nessuno, mettiamo insieme noi una serata di canzoni in genovese”. “Ma con che programma?”, chiede uno. Togliamo i classici, ormai riservati alle squadre, che i più chiamano “trallallero” confondendo il genere con gli interpreti. Ci vuole qualche cosa di più moderno, più attuale. Altra strada possibile sarebbe il recupero della trivialità più bieca rifacendosi alle antiche chansons a boire, anche citando vigliaccamente Francois Villon per un tocco di culturale capace di dare lustro all’operazione. Ma vivendo noi in terra di cantautori, dove tutti si sentono autorizzati a poetare e musicare, rispondendo all’appello dell’arte senza essere stati chiamati, abbiamo finito per concludere: “Va bene, le le scriviamo da soli”. La voce solista ce l’abbiamo, una squadra per il colore locale anche, un gruppo di musicisti

Dina Manfred, la piemontese che grazie all’orgoglio e tanta volontà ha imparato il genovese meglio di tanti “liguri”.

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Giorgio Calabrese, in una foto del 1967.

con tanto di arrangiatore è li pronto a suonare. Se un tempo si sono cantati i “treuggi” (lavatoi) di Santa Brigida, allora simbolo di progresso, igiene e socializzazione perché non, oggi, Piazza delle Erbe, polo magnetico e cuore della movida genovese. Oppure cantiamo (o bofonchiamo in coro) il ballo di mezzanotte con l’invocazione ad una “moria” fulminea e silenziosa che venga di notte a portarseli via tutti: loro, gli altri, quelli che comandano. “Caterina”, dice un ritornello, “all’ombra dei salic, alleva somari, ne faranno assessori”. Diranno che si tratta di un ballon d’essai. Il repertorio non manca di certo, noi siamo pronti ad andare avanti. Il genovese è lingua musicalissima: i brasiliani, che hanno occupato un grande spazio in tutto il mondo musicale, dicono di loro stessi: “Noi parliamo così perché le prime navi dei conquistatori che sono arrivate avevano equipaggi in gran parte genovesi, che poi si sono stabiliti qui.Se no parleremmo anche noi come i portoghesi...” Per Gianfranco Reverberi, autore di tutte le musiche, “Genova è una strana città: non lascia indifferenti. Si può amare od odiare, ma se vivi lontano da lei ti prende il “mal di Genova”. Ricordi solo le cose belle e come nel caso mio, che ormai sono in giro per il mondo da troppi anni, subentra la sindrome dell’emigrante: vorresti fare tutto per la tua città! Purtroppo le delusioni non mancano, ma non è certamente questo il caso: il progetto è troppo divertente e poi ritrovarci

a collaborare con vecchi amici uniti dalla stessa passione è stato entusiasmante. In questo mestiere si devono fare solo le cose che piacciono; penso che se quello che fai non piace a te non puoi sperare che possa piacere agli altri. Se è vera questa antica teoria, questo progetto sarà un sicuro successo”. Neanche Elio Mereu, autore di alcune delle canzoni, si sottrae al sentimento comune: “Da molti anni vivo all’estero, ma quando si nasce a Genova si rimane genovesi nell’animo e nel sentimento tutta la vita. Ecco perchè con un po’ di fantasia e tanto amore per la mia città ho cercato di dire qualche cosa anch’io”. Francesco Ottone, paroliere di alcuni pezzi, ricorda “Ma se ghe penso”: “Sono passati tanti anni da quando nel 1925 è stata scritta la canzone simbolo di Genova. Da allora hanno fatto storia molte altre canzoni genovesi, da quelle dei Trilli a quelle di De Andrè, ma non sono le sole. Negli anni Cinquanta e Sessanta Gianfranco Reverberi, con Giorgio Calabrese ed altri autori, ha scritto, tanto per citarne qualcuna, “O Frigideiro” e “O Scioco”, rese famosissime da Bruno Lauzi, “Arrio”, “Madenn-a”, “Baexinn-a”, cantate da Natalino Otto e tante altre. Oggi Reverberi ha deciso di riprendere l’argomento, scrivendo nuove canzoni in dialetto; ha coinvolto anche me in questa divertente avventura e io ho collaborato più che volentieri, come faccio sempre. Ascoltando tutte le canzoni, alcune divertenti, altre commoventi, qualcuna nostalgica, è nata l’idea di scrivere uno spettacolo genovese che le contenga, sostenute da una trama divertente che le valorizzi. Lo facciamo per amore della città, delle sue tradizioni, della sua anima che si va disperdendo”. ““Vedrai che prima o poi qualcosa insieme facciamo”, mi dice da circa trent’anni il mio amico Michele” racconta Franco Faloppi, autore di testi e cantante “La speranza è sempre l’ultima a morire, e così è avvenuto. Il desiderio di cantare una o due canzoni in dialetto genovese ha sempre

Michele in una caricatura di Rosa Romanini

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I protagonisti della musica

Il Maestro Gianfranco Reverberi fatto parte dei miei progetti e grazie a Michele il sogno sta per diventare realtà. Il deus ex machina di tutto ciò è un genovese doc come Gianfranco Reverberi coadiuvato da altrettanti genovesi doc, che ha avuto l’idea o meglio la voglia matta di mettere in piedi un recital di canzoni inedite. Siamo sicuri che il cuore dei genovesi sarà messo a dura prova: emozioni ed ironia a non finire. Ma il mio desiderio di cantare è andato oltre: si è fatta strada anche la mia deformazione professionale di autore televisivo che non mi abbandona quasi mai e così, grazie alla benevolenza dei due patron, mi sono lasciato andare nella stesura del testo; un inedito che completa il progetto dialettale intolato “A spassu pe Zena”; un viaggio in prima classe interpretato e cantato dai quattro protagonisti dal sapore tutto nostrano”. Franco Faloppi è anche l’autore di un lavoro editoriale che uscirà a Natale e del quale vale la pena fare qualche accenno: “E’ un libro che parla degli anni ‘70, un periodo storico molto prolifico per lo spettacolo a Genova; intendo in particolare lo spettacolo di cabaret, una vera fonte di talenti e di personaggi come Grillo, Ricci, Solenghi che hanno animato la ribalta nazionale della tv di quegli anni fino ad oggi . E’ un viaggio nella memoria a ritrovare i luoghi , le discoteche, le sagre, le feste di piazza, le navi da crociera, le cantine dove questi personaggi si sono affaccendati, ognuno con il proprio repertorio, e dove dei giovani baldanzosi erano alla ricerca di un qualcosa vicino al successo, o almeno tentavano di abbandonare l’anonimato. E’ soprattutto una raccolta di aneddoti, un “dietro le quinte” che solo chi ha vissuto quel periodo può avere la faccia tosta di raccontare”. La lunga intervista di Michele è disponibile su dvd presso la nostra redazione.

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Campi, il piu’ grande

orto collettivo Esperimento unico in Italia, arrivano i “contadini urbani”. In pochi mesi sono già state raccolte ben trecento adesioni I terreni in comodato d’uso da una società della famiglia Lavazza di Giulia Destefanis e Valentina Evelli

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a prima regola è come arrivarci: niente auto, nè veicoli privati a motore, possibilmente. La valenza ecologica del progetto sta anche nel viaggio in bus, e la fermata del 63 è proprio ai piedi del terreno. Siamo a Campi, nella collina che sale dietro ai capannoni dell’Ikea: dove sta nascendo un esperimento mai tentato prima in altri ambiti urbani, ovvero un gigantesco orto collettivo. I numeri? Sette ettari (7 ettari!) di terra indivisa, dove un’associazione (la Quattro Valli) organizza il lavoro, mentre i cittadini (saranno 300 ma le richieste sono state oltre 700) fanno gli ortolani e in cambio ricevono parte del raccolto. Ambientalismo e socialità sono gli ingredienti fondamentali per la nuova sfida della Genova “green”. A colpo d’occhio sembra solo un immenso bosco di acacie. Alberi, cespugli e piante infestanti sono cresciuti per decenni senza alcuna cura e a bordo strada ci sono ancora carcasse di auto abbandonate. Eppure in quella collina, proprio sopra i capannoni dell’Ikea, tra qualche mese ci saranno campi di insalata, patate e pomodori.

In alto a sinistra: concrezioni all’interno di una goccia. Miniera abbandonata, Val Graveglia. (Foto a “4 mani” con Cristian Umili). Qui sopra: entrata ai sottolivelli completamente allagata. Gambatesa, Val Graveglia.

Il punto di partenza di un progetto mai tentato prima, un orto collettivo grande quanto 12 campi da calcio su un terreno in comodato d’uso gratuito. «Questi sono i terrazzamenti in legno da cui partiranno le coltivazioni. Abbiamo abbattuto i primi alberi e ora via, tutto a salire finché non raggiungeremo lazonapianeggiante.Un’are aenorme, concessa da una società riconducibile alla famiglia Lavazza – racconta Andrea Pescino dell’associazione Quattro Valli che ha lanciato

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La Liguria e la terra l’iniziativa - Un orto per i contadini di città, quelli che hanno avuto esperienze fallimentari anche seminando l’insalata in giardino qui hanno una seconda chance». E a quanto pare non sono pochi. In pochi mesi sono arrivate più di 700 richieste. Alcuni si sono subito tirati indietro spaventati dall’impresa titanica così, alla fine, partiranno in 300. L’80% sono donne tra i 25 e i 40 anni ma ci sono anche ragazzi che hanno coinvolto i genitori e qualche genovese di esperienza che vuole trascorrere un po’ di tempo libero all’aria aperta. Il meccanismo è semplice. Non si tratta di una grande terreno che sarà diviso in piccoli appezzamenti, come accade già con gli orti urbani in molti municipi. Qui la terra è unica, si lavora fianco a fianco. Tante braccia per fare il lavoro che un contadino esperto farebbe in 12 ore con carichi di fatica ben diversi. E un risparmio che in tempi di crisi fa gola a molti. Bastano sei ore di lavoro settimanale per portare a casa frutta e verdura per una famiglia di quattro persone.«Con i piccoli orti personali basta una settimana di malattia o di vacanza per mandare a monte mesi di attività- spiega Andrea Pescino risalendo lentamente la collina- L’orto collettivo ha una differenza sostanziale: è un lavoro d’equipe, se manca qualcuno arriva un altro a svolgere lo stesso compito». E per gestirlo si programma una diaria settimanale, dalla semina alla legatura dei pomodori che viene inviata via mail a tutti i partecipanti: i primi che arrivano sanno cosa devono fare e chi viene dopo è il controllore di chi c’è stato prima. Non esistono vincoli di orari. In base al proprio tempo libero ogni contadino dà la propria disponibilità per qualche ora settimanale e viene inserito nei turni. Si parte con le lezioni di 40 tutor e subito dopo si passerà alla semina dell’insalata. Il lavoro pagato con banconote del circuito Scec «Partiremo con 40 tutor già nelle prossime settimane- rilancia Pescino – Saranno i primi a mettere piede nell’orto con un corso intensivo per l’agricoltura sinergica e le coltivazioni a bancali, cumuli di terra in cui si potrà seminare senza chinarsi. Poi saranno i tutor a insegnare quello che hanno imparato agli altri, finché entreremo a regime con tutti i 300 contadini urbani». E il cronoprogramma continua con la semina di insalata da raccogliere già a inizio estate. La monocoltura è abolita, pomodori seminati a fianco dei fagioli, così ogni verdura proteggere le altre allontanando i parassiti di quella vicina con l’effetto di un bosco naturale. E il raccolto? «Inizialmente avevamo pensato di dividerlo

con un sistema punti-ore lavoro ma era troppo complesso così abbiamo puntato sugli Scec – conclude il responsabile dell’associazione Quattro Valli- Un sistema di scambio per dare un valore concreto all’attività di tutti» . In pratica ogni ora di lavoro vale 7.5 Scec. Gli Scec sono banconote colorate, simili a quelle del Monopoli, che possono essere utilizzate all’interno di un circuito che a Genova comprende 125 negozi ma i contadini potranno usarli per pagare direttamente la verdura a cui sarà attribuito un valore (ad esempio un chilo di finocchi per uno Scec). «Un progetto ambizioso, è vero, ma la fatica non ci spaventa». La sfida green dell’orto collettivo è appena cominciata.

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Giorgio Moiso:

esplosione di energia e colore in movimento Uno dei maggiori artisti italiani conquista la Cina e la Corea con un’esplosione e fantasmagoria di colori

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iorgio Moiso, piemontese trapiantato a Savona, conquista anche l’estremo Oriente con la sua esplosione di colori e con un informale estremamente dinamico: non sono opere ferme ma vere forme in movimento. È bravissimo nelle sue performance, in cui l’artista è in contatto con l’opera attraverso il corpo, in una sorta di lotta amorevole con l’opera stessa. Lui stesso afferma che Pollock è sempre di lato all’opera, mentre lui

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entra col corpo dentro l’opera. Oltre ai cimenti pittorici in parallelo ha studiato musica: è infatti un valido jazzista e con la sua band si esibisce, come batterista, durante molte sue performance. La sua pittura è quella di un giovanissimo che trasmette energia all’ambiente, un folletto che dalla natura di un bosco entra sulla scena dell’arte con pennellate vigorose ed intense, gioiosamente materiche. Con uno scatenato e scanzonato senso dell’umorismo, gioca e si


Liguria artistica

In questa pagina, diverte con l’arte, in una continua performance che è la sua nella foto vita. Artista completo, vola dalla musica alla pittura, alla al centro, Giorgio ceramica, all’ideazione creativa e senza fine. La sua pratica Moiso immerso nel operativa nasce da un originale mix fra musica e pittura: colore. questa capacità di trasformare una jam session jazzistica in Nelle altre foto una “jam session pittorica” denota in modo singolarmente possiamo ammirare i originale la sua affermazione d’artista. meravigliosi “Tuffi di Colore” .

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Nella foto accanto un articolare de “L’Appeso dei Tarocchi”.

Qui sotto lo studio dell’artista.

Qui sopra: L’Imperatore

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Dei grandi pannelli di ceramica, di suggestiva bellezza, iniziano il suo percorso negli arcani maggiori dei Tarocchi, che svuotati dal loro ancestrale significato simbolico acquistano in Moiso la dimensione da lui voluta di superba opera d’arte, specie nei pannelli dell’”Appeso”. Queste violente esplosioni materiche sono però dense di un importante cromatismo estetico. Ad Ellera, villaggio d’arte nei pressi di Albisola, troneggia su un muro uno stupenda ceramica di Moiso di grande dimensione,150x260, che rivela in pieno la sua grande capacità artistica, documentando la carriera di questo che è stato definito“pittore in preda al colore”.

L’artista con la tavola “Spazialità in Viola”

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Liguria artistica Chi è Giorgio Moiso Giorgio Moiso nasce a Cairo Montenotte (Savona) il 13 febbraio 1942. Muove i primi passi nel mondo dell’arte grazie al pittore Carlo Leone Gallo (1875-1960) dal quale apprende le tecniche della pittura. Parallelamente, sotto la guida di Gino Bocchino, jazzman savonese, inizia lo studio della musica come batterista. Nel 1968 si diploma presso il Liceo Artistico “Arturo Martini” di Savona. In quegli anni ha avuto modo di conoscere e di far proprio lo straordinario clima di apertura avanguardista degli artisti internazionali che frequentavano negli anni ‘60 Albissola Marina (Wilfred Lam, Asger Jorn, Lucio Fontana, Giuseppe Capogrossi, Piero Manzoni, Sergio Dangelo, Agenore Fabbri, Mario Rossello). Nel 1972 viene invitato da Mario De Micheli alla mostra “Il tema dell’uomo” nel Museo della Ceramica di Albissola Marina. Sempre nello stesso anno ad Albissola apre lo studio situato nella celebre piazzetta di Pozzo Garitta accanto all’atelier che fu di Lucio Fontana. Nel 1975 è invitato alla X Quadriennale di Roma, dove presenta due opere di grandi dimensioni dedicate al tema che gli è più caro in quegli anni: l’albero. Nel 1976 prende studio a Milano dove lavora per alcuni anni. Nel 1988 incontra a Venezia Mimmo Rotella, Pierre Restany e Arnaldo Pomodoro. Nel 1998 la passione per il jazz lo porta ad una svolta decisiva nel suo lavoro: far dialogare la musica con il gesto, il segno, il colore. Il richiamo alle geniali sperimentazioni degli anni Cinquanta e dei primi anni Sessanta - il gruppo giapponese Gutai, Mathieu, Fluxus - con l’aggiunta della matrice jazz danno vita a una miscela del tutto personale: la Live Performance Painting. Negli ultimi anni Moiso tende a privilegiare l’aspetto spettacolare della sua opera dando vita a delle live performance di successo, tra le quali ricordiamo quelle al Castello di Rivara, allo Spazio Mazzotta a Milano e alla Pinacoteca di Savona. La sua pratica operativa nasce da un originale mix fra musica e pittura e si ispira a una stagione creativa ormai quasi mitica, ma si precisa e cresce in termini di notevole attualità. È proprio questo felice connubio fra musica e pittura, questa capacità di trasformare una jam session jazzistica in una “jam session pittorica”, a caratterizzare in modo singolarmente originale la sua affermazione come artista. Nel 2009 realizza lo splendido “album” ‘Round midnight’, nel quale, attraverso 43 opere, mette in relazione i coevi movimenti artistici, bebop-pittura d’azione, cool jazz-minimalismo o cool art, free jazz-arte concettuale. Nel 2010 il più ambito riconoscimento per Moiso, l’Asian Museum of Art di Daejeon (Korea ) gli allestisce una grande mostra personale comprensiva di 11 sale espositive, “ Cosmography” sarà il titolo della mostra, della performance e del catalogo . Nel 2011, la RADO lo invita a Instanbul all’Esma Sultan Palace, dove realizza in performance un grande dipinto di 2 per 3m., su una superficie in plexiglass. Viene invitato inoltre alla 54° Biennale di Venezia Padiglione Italia-Torino. Nel 2012, la sua personale al Palazzo Ducale di Genova all’interno della rassegna “Come Quando Fuori Piove”.

Nella foto in alto a sinistra: spazialità in grigio. Al centro pagina: Moiso col grande pannello dei Tarocchi: L’Appeso

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è un marchio che intende sostenere le attività commerciali aggredite dagli OUT LET, riservando spazi di comunicazione dedicati che si propongono al “cliente tipo” dei FOC. In queste pagine, che saranno occupate dalle attività partecipanti, viene sviluppato un primo approccio conoscitivo del “nemico”...

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In occasione del centenario della nascita di Asger Jorn, la città di Albissola Marina e Savona ospitano una serie di mostre ed eventi dedicati al grande artista danese

di Diana Bacchiaz

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a mostra “Jorn Collection” (a cura di Luca Bochicchio e Sandro Ricaldone) sarà ospitata fino al 7 settembre nel rinnovato spazio espositivo nel centro storico di Albissola Marina, in Via dell’Oratorio (a ridosso della chiesa di N.S. della Concordia). La riapertura della sede come nuovo Centro Esposizioni / Exhibition Centre del MuDA Museo Diffuso Albisola ha infatti coinciso con il centenario della nascita dell’artista danese Asger Jorn (1914-1973), che ad Albissola Marina visse e operò, acquistando anche una casa-studio con giardino sulle colline albisolesi (oggi Casa Museo Jorn). Dopo l’apertura il 26 aprile della mostra multimediale La Fabbrice dei Sogni (Ceramiche San Giorgio, a cura di Simona Poggi per l’Associazione Culturale Arte Doc) e dopo l’apertura ufficiale della Casa Museo Jorn, il 3 maggio, con l’allestimento didattico-museale “Caro Asger… la casa è pronta” Berto (a cura di Luca Bochicchio), la mostra Jorn Collection presenta al pubblico un’ampia selezione delle opere d’arte donate da Jorn al Comune di Albissola Marina contestualmente al lascito della sua casa-museo. La mostra ha l’obiettivo di mostrare e illustrare al pubblico la complessità e l’immediatezza del linguaggio plastico e dell’immaginario mitico e fantastico che Jorn fu capace di concretizzare in circa quindici anni di sperimentazione con il medium ceramico presso le Ceramiche San Giorgio.

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Liguria artistica Chi è Asger Jorn Asger Jorn è stato uno dei protagonisti dell’arte d’avanguardia del ‘900. Alla fine degli anni ’50 la sua opera ottenne un importante successo internazionale e iniziò ad essere esposta e collezionata dalle più importanti gallerie di Parigi, Monaco, Copenhagen, Milano, Venezia e New York. Jorn giunse per la prima volta ad Albisola (Savona) nel 1954 su invito dei pittori milanesi Enrico Baj e Sergio Dangelo (Movimento Arte Nucleare). All’epoca Jorn aveva già alle spalle importanti esperienze artistiche internazionali in Europa. Jorn fu anche uno straordinario promotore di relazioni umane e intellettuali: fondò riviste (“Helhesten” e “Eristica”) e gruppi d’avanguardia (“Cobra”, “Bauhaus Immaginista” e “Internazionale Situazionista”), e scrisse centinaia di saggi sulla cultura popolare, sull’arte nordica e vichinga, sull’estetica e sulla teoria dell’arte e dell’architettura. Fautore e sostenitore di un’arte antirazionalista, spontanea e libera da condizionamenti, rifiutò il Guggenheim Prize mantenendo, tuttavia, stretti legami professionali e affettivi con artisti quali Wifredo Lam, Jean Dubuffet e Lucio Fontana, e con galleristi e mercanti come Carlo Cardazzo, Gianni Schubert e Otto Van de Loo. Nel 1957 acquistò un’antica casa colonica e un terreno in stato di abbandono sulle alture di Albissola Marina, nel quartiere dei Bruciati. Con l’aiuto dell’amico-operaio Umberto Gambetta, Jorn trasformò quello spazio in un’opera d’arte totale nella quale architettura, natura, arti decorative e plastiche compongono un’unità organica e senza soluzione di continuità. Nel 1973, poco prima di morire, Jorn lasciò in eredità la proprietà e la collezione d’arte al Comune di Albissola Marina perché venisse aperta al pubblico come museo.

Attraverso fotografie e pannelli didattici verranno inoltre esposti al pubblico documenti e testimonianze, in parte inediti, relativi al particolare rapporto che si instaurò fra Jorn, gli abitanti e gli artisti di Albissola Marina a partire dall’Incontro Internazionale della Ceramica organizzato alle Ceramiche Mazzotti nell’estate 1954. In mostra saranno presenti opere di artisti collezionati dallo stesso Jorn, come Erik Nyholm, Antonio Sabatelli e Mario Porcù, accanto a capolavori in ceramica provenienti dalle collezioni civiche e testimonianti il contesto nel quale Jorn lavorò negli anni albisolesi (opere di Lucio Fontana, Wifredo Lam e Agenore Fabbri). Il fondo Asger Jorn comprende anche un nucleo di terrecotte popolari e una serie di ceramiche decorate dai figli di Jorn nell’ambito degli esperimenti connessi al Movimento Internazionale per un Bauhaus Immaginista. Infine, una selezione di oltre cento documenti originali e rari, curata da Sandro Ricaldone, svilupperà in modo cronologico

Albisola Marina, anni 70, Ceramiche San Giorgio: Da sinistra Eliseo Salino, Asger Jorn, Giovanni Poggi, Silvana Priametto.

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il percorso intellettuale, teorico e organizzativo di Jorn in qualità di ricercatore e animatore di gruppi d’avanguardia da CoBrA all’Internazionale Situazionista. Le manifestazioni italiane per il centenario della nascita di Jorn, sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Italiana, sono promosse dal Comune di Albissola Marina, dal Comune di Savona e dalla Fondazione Cento Fiori, a cura dell’Archivio d’Arte Contemporanea Università di Genova, in collaborazione e con il patrocinio dell’Ambasciata di Danimarca a Roma, del Museum Jorn di Silkeborg, del Cobra Museum di Amstelveen, della Regione Liguria e dell’Università di Genova DIRAAS, con il contributo della Fondazione A. De Mari – Cassa di Risparmio Savona. Jorn Collection a cura di Luca Bochicchio e Sandro Ricaldone. Progetto architettonico di Pietro Millefiore con la collaborazione di Giorgio Gatto e Liliana Ladeluca. Progetto grafico di Michele Minetto.

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Liguria artistica

Gli orari PINACOTECA CIVICA piazza Chabrol 2, Savona visitabile lun-mar-mer 10-13.30 gio-ven 10-13.30/15.30-18.30 MuDA–Casa Jorn Via G. d’Annunzio 8 Albissola Marina (località Bruciati) mar 10-12 gio 15-17 sabato 10-12 /16-18 dom16-19 MuDA EXHIBITION CENTRE Via dell’Oratorio 32 Albissola marina Mar-sab 10-12/16-18 Dom 16-18 CERAMICHE SAN GIORGIO Viale matteotti 5 Albissola marina Lun-dom 9-11.30/15-18 Per info cultura @comune.albisolamarina.it musei@comune.savona.it

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di Virgilio Pronzati

Organizzata da “EventidAmare”, la mostra dedicata a Cristoforo Colombo ma anche alla cucina precolombiana

D

opo il successo ottenuto con le mostre d’arte alla Fortezza del Priamàr di Savona (PriamArt nel 2012, Prism Art nel 2013, PriamArt luglio-agosto 2014) e ImmaginArte al Palazzo Doria Spinola di Genova viste da migliaia di visitatori, ”EventidAmare”, Associazione Culturale ha realizzato recentemente, in collaborazione con il Comune di Cogoleto, l’evento “Colombo a Cogoleto”, inedita iniziativa dedicata al grande navigatore, comprendente la mostra artistica collettiva “Arte Ovale” e il convegno storico “La cucina precolombiana”. Entrando nel dettaglio, l’arte ovale esposta nella sala consigliare del comune di Cogoleto comprende quadri e sculture dalla forma ovale il cui soggetto è ispirato all’Uovo di Colombo. Una frase ormai conosciuta in tutto il mondo che sta a

Arte Ovale & Gastronomia a Cogoleto

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Food&Wine

significare che la soluzione di un quesito è più semplice di quanto si può credere. Diciannove opere di altrettanti artisti che, per ispirazioni ed estro, illustrano la vita e la storica impresa di Cristoforo Colombo, illustrate magistralmente dal critico giornalista Stefano Bigazzi. Nel convegno, presentato dal dottor Pietro Bellantone responsabile dell’Associazione EventidAmare, e siglato dagli interventi degli Assessori Michele Scarrone e Giorgio Bisio, si è parlato del profilo storico del Grande navigatore e della cucina che lo ha preceduto. Sul primo argomento, lo storico cogoletese Antonio Calcagno ha chiarito la querelle tra Cogoleto e Genova sulla reale patria podestà di Colombo. Le documentate dichiarazioni di Antonio Calcagno hanno sensibilmente colpito i genovesi presenti che, prima di oggi, davano per scontata la sua nascita a Genova. Su quest’ultima, non pochi storici ne attestavano la nascita più con ipotesi che certezze. Cogoleto, dagli studi e ricerche dello storico Calcagno fatti in archivi italiani e stranieri, risulta il vero luogo di nascita dello scopritore dell’America; lo stesso per inventati legami storici con le famiglie Colombo piemontesi, corse e di altre località. La parte gastronomica, relazionata da chi ha scritto, ha illustrato l’itinerario storico-gastronomico dei secoli scorsi, sui “mangiari” della cucina genovese e ligure e, in parte, della vicina Provenza, rilevandone la diversità tra quella dei nobili ed abbienti e quella del popolino. Con la scoperta del

Nuovo Mondo la cucina europea si è arricchita di colori, aromi e sapori sino allora sconosciuti. Infine si è terminato presentando le proposte per realizzare diverse “De.Co.” Denominazioni Comunali: prodotti alimentari salati e dolci e dell’artigianato (e oggettistica) locale, quale efficace mezzo per valorizzare globalmente il territorio. Un vero e proprio marketing territoriale. Significativi, oltre il patrocinio del Comune ospitante, della Regione Liguria, Provincia di Genova e CCIAA genovese, quelli delle Ambasciate di Spagna, Portogallo, Ecuador, Colombia, Bolivia, Panama e Venezuela. Molto gradito ai numerosi visitatori il buffet con varie golosità della Latte Tigullio di Rapallo. Gli artisti che hanno esposto le opere: Giorgio Angelini, Marina Bocchieri, Rosa Brocato, Franco Buffarello, Agostino Calcagno, Angela Careggio, Leonardo Alberto Caruso, Fausto Danielli, Arianna Defilippi, Gigi Degli Abbati, Maria Pia Fiorentini, Anna Marini, Enrico Merli, Paola Pastura, Matilde Porcile Pezzoni, Paola Rapetti, Franca Ruozzi, Marialuisa Seghezza e Ondina Unida.

Nella foto a sinistra un attento pubblico segue gli interventi. Qui sopra invece il tavolo dei relatori.

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Dolceacqua: il piùu’ francese dei vini italiani

Prima Doc ligure, il Dolceacqua potrebbe provenire dal sud della Francia, introdotto dai soldati dei Doria durante le frequenti scorribande fatte in Provenza. L’ultima degustazione in ordine di tempo a Genova, nel salone del C.U.E. di Virgilio Pronzati

Castello di Dolceacqua: Paolo Massobrio conduce la degustazione dei Dolceacqua. Sopra, in questa pagina, Castello di Dolceacqua.

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ubino con riflessi granati, dal bouquet intenso e persistente, ampio, fine, con netti sentori di fragolina e mora di bosco, ribes nero e rosa selvatica, e lievi di erbe aromatiche e di umori boschivi; dal sapore secco e sapido, caldo, con piacevole vena tannica, pieno ma snello, di buona persistenza, con gradevole e tipico fondo amarognolo. Colore, profumo e sapore, ricordano buoni vini prodotti col Pinot Noir. Anzi, dalla descrizione potrebbe benissimo essere un Beaune Premier Cru. Niente di tutto questo. Le caratteristiche organolettiche si riferiscono ad un buon Dolceacqua Doc Superiore. Non sono ovviamente tutti così: magari. Sebbene sia stato il primo vino ligure a essere insignito della Doc nel lontano 1972, il suo percorso qualitativo è stato lungo e difficile. Ancor oggi, a quasi quarantadue anni dal riconoscimento ministeriale, una parte seppur limitata di Dolceacqua non è esente da difetti, evidenti in particolare all’esame olfattivo. Più frequenti, sentori di ridotto e, nei casi più gravi, di feccino. Troppo spesso, parlandone con i produttori, si sen-

te dire che il Rossese è un vitigno difficile. Il vino ottenuto dalle sue uve durante e dopo la fermentazione è facilmente soggetto a questi difetti. Lo stesso lo dicono i produttori di Pinot Nero e Dolcetto. Un ritornello sempre in voga tra i produttori meno bravi. Ritornando al Dolceacqua Doc, la sua zona di produzione comprendente 14 comuni in provincia di Imperia, con epicentro in Val Nervia, possiede un’orografia difficile con forti pendenze e caratteristiche pedoclimatiche diverse da comune a comune. Anche gli impianti sono diversi. Da tradizionale e diffuso alberello si passa a quello a spalliera e a cordone speronato. Sul vitigno si è detto di tutto e di più: il clone o meglio i cloni sono riconducibili al Rossese Nero di Ventimiglia (l’altro è detto di Campochiesa). Basti pensare che poco più di mezzo secolo fa, oltre quelli innestati su Rupestris du Lot, si usava innestare su viti ibride e di San Geneis, un vitigno rustico da uve da tavola. Ancor oggi ci sono in zona vecchi ceppi di Rossese pre-fillossera. Definito autoctono, in quanto non presente nelle altre regioni italiane, il Rossese potrebbe provenire dal sud della Francia, introdotto dai soldati dei Doria durante le frequenti scorribande fatte in Provenza. Al riguardo, la D.ssa Anna Schneider, docente di Ampelografia presso la Facoltà di Agraria dell’Università di Torino, considerata una dei massimi esperti di Ampelografia italiana, sostiene che il Rossese è il Tibouren sono lo stesso vitigno. La conferma da genoma e marcatori comuni. Dal Dolceacqua scritto passiamo a quello assaggiato. Il dinamico Pier Ugo Tammaro, delegato Onav per Genova e provincia, si è superato. L’ultima delle moltissime iniziative (degustazioni, viaggi studio in Italia e in Francia e cene didattiche) è stata appunto incentrata sul Dolceacqua. Ben sette i vini di altrettanti produttori, di cui quattro presenti, guidati da Filippo Rondelli, patron dell’Azienda Agrituristica Terre Bianche di Dolceacqua, da anni premiato dalla Guida del Gambero Rosso per i suoi Dolceacqua Doc. La serata aperta e presentata da Pier Ugo Tammaro nel salone del C. U. E. (Centro Unificato dell’Esercito) di Genova e gremito di soci e non, è proseguita con la proiezione di numerose slides sulla zona di produzione del Dolceacqua (orografia, terreni, vitigno, crus e storia del vino) illustrate sapientemente da Filippo Rondelli che effettuava la degustazione dei vini con assente il produttore corredandola con notizie sul produttore e l’azienda. Il primo a degustare e presentare il proprio vino è stato Maurizio Anfosso dell’Azienda Agricola Kà Manciné di Soldano, seguito da Alessandro Anfosso dell’Azienda Vitivinicola Tenuta Anfosso di Soldano, Nino Perrino Testalonga Dell’Azienda Agricola Testalonga e Filippo Rondelli dell’Azienda Agrituristica Terre Bianche di Dolceacqua.

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Enogastrononomia I giudizi (miei) sui vini assaggiati: Degustazione Onav a Genova: da sinistra Nino Perrino (Testalonga), Maurizio Anfosso (Kà Manciné), Pier Ugo Tammaro, Alessandro Anfosso (Tenuta Anfosso) e Filippo Rondelli (Terre Bianche).

1° Dolceacqua Doc Galeae 2012 dell’Azienda Agricola Kà Manciné di Soldano - Alcol: 13,5% - Lotto: 01/13 G Alla vista è limpido, di colore rubino carico e vivo. Al naso si presenta intenso, persistente, con leggero ridotto e sentori floreali, fruttati, vegetali e speziati di rosa selvatica, mora, ciliegia durona e fragolina di bosco mature, lieve vegetale d’umori boschivi, erbe aromatiche e pepe nero macinato. In bocca è secco, fresco e sapido, caldo, con piacevole tannicità, di buon corpo e persistenza. 2° Dolceacqua Doc 2012 dell’Azienda Agricola Testalonga di Dolceacqua - Alcol: 13,5% - Lotto: 210/1 Alla vista è sufficientemente limpido, di colore rubino con orlo granato. Al naso si presenta molto intenso e persistente, un po’ penetrante, con sentori fruttati, vegetali e speziati di mora, ciliegia e corbezzolo maturi e un po’ macerati, umori di legni boschivi (castagno), erbe aromatiche secche e lieve di pepe bianco. In bocca è secco, abbastanza fresco e sapido, caldo, un po’ astringente, pieno e persistente. 3° Dolceacqua Doc Superiore 2012 dell’Azienda Agricola Foresti di Camporosso - Alcol: 13,5% - Lotto: 305 Alla vista è limpido, di colore rubino vivo. Al naso si presenta intenso e persistente, discretamente fine, con sentori floreali, fruttati e speziati di rosa selvatica e fiori di campo, mora, ciliegia e fragola mature, e lieve di erbe aromatiche e macis. In bocca è secco, morbido ma sufficientemente fresco e sapido, lievemente tannico, caldo, di equilibrata struttura e persistenza. 4° Dolceacqua Doc Superiore Du Nemu 2012 dell’Azienda Agricola Luca Dallorto di Dolceacqua - Alcol: 13,5% - Lotto: S1113 Alla vista è limpido, di colore rubino vivo. Al naso si presenta intenso e persistente ma non schietto, con sentori fruttati, vegetali e speziati di piccoli frutti rossi selvatici (mora, fragola e ribes nero) maturi, erbe aromatiche (timo e rosmarino) e pepe nero. In bocca è secco, fresco e sapido, caldo, leggermente tannico, di buona struttura e persistenza. 5° Dolceacqua Doc Superiore Barbadirame 2011 della Cooperativa Riviera dei Fiori di Dolceacqua - Alcol: 14% Lotto: 13088 Alla vista è limpido, di colore rubino scarico con riflessi granati. Al naso si presenta intenso e persistente, composito, fine, con sentori floreali, fruttati e speziati di rosa selvatica appassita, mora e fragolina di bosco giustamente mature, erbe aromatiche quasi secche, e lieve di vegetale-balsamico e pepe bianco. In bocca e secco, sufficientemente fresco, sapido, molto caldo, con leggera tannicità, di media struttura ma persistente. 6° Dolceacqua Doc Superiore Poggio Pini 2011 dell’Azienda Vitivinicola Tenuta Anfosso di Soldano - Alcol: 14% Lotto: 11/8 Alla vista è limpido, di colore rubino con orlo tendente al granato. Al naso si presenta molto intenso e persistente ma non schietto, con sentori fruttati, vegetali e speziati di piccoli frutti rossi selvatici (ciliegia, lampone e fragola) maturi e un po’ macerati, erbe aromatiche balsamiche e pepe nero. In bocca è secco, fresco e sapido, molto caldo, piacevolmente tannico, pieno ma snello, di buona persistenza.

Vigneto di Rossese

7° Dolceacqua Doc Bricco Arcagna 2009 dell’Azienda Agrituristica Terre Bianche di Dolceacqua - Alcol: 13,5% - Lotto: A110BA alla vista è limpido, di colore granato scarico con orlo tendente all’aranciato. Al naso si presenta molto intenso e persistente, un po’ etereo, composito e complesso, abbastanza fine, con sentori floreali, fruttati, balsamici e speziati di rosa e iris appassiti, piccioli frutti rossi selvatici un po’ essiccati, erbe secche aromatiche e balsamiche, buccia secca d’arancia, cacao e liquirizia. In bocca è secco, appena fresco ma sapido, caldo, lievemente tannico, un po’ sottile ma discretamente persistente.

Comuni e crus del Dolceacqua Apricale; Baiardo; Camporosso: Luvaira, Migliarina, Pian del Vescovo, Trinceria, Monte Curto, Brunetti. Castelvittorio; Dolceacqua: Arcagna, Tramontina, Morghe, Rosa, Pozzuolo, Armetta, Ruchin, Cian da Marchesa, Peverelli, San Martino. Isolabona; Perinaldo: Curli, Savoia, Alpicella. Pigna; Rocchetta Nervina; San Biagio della Cima: Posaù, Luvaira, Nouvilla, Berna, Buscarra, Garibaudo, Crovairola. Soldano: Pini, Bramusa, Galeae, Beragna, Luvaira, Ferenghé, Foulavin, San Martino. Vallebona; Vallecrosia: Santa Croce. Ventimiglia: Piemattun, Roasso, Sette Camini. Alcuni numeri del Dolceacqua riferiti all’anno 2010: Vino prodotto: 223,55 ettolitri - Superficie vitata: 80,19 ettari - Resa ettolitri per ettaro: 38, 65.

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Medaglia d’oro -, Portfolio, GAZZAROLI Claudio.

E Marsiglia si

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Sotto il mare

A Giuseppe Piccioli Resta il primo premio Plongeurs d’Or e il primo premio Malacologia. Sugli scudi anche i documentaristi Daniele Iop, Manfred Bortoli e Massimo Boyer e Roberto Rinaldi per “U455”

Medaglia d’oro, “Serie Tematiche”, PICCIOLI RESTA Giuseppe.

di Ilva Mazzocchi Foto Gianni Risso - www.apneaworld.com

tinge d’azzurro 31 INGENOVA Magazine


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er la 40° edizione del Festival Mondial de l’Image SousMarine si sono incontrati a Marsiglia dal 31 ottobre al 3 novembre migliaia di appassionati provenienti da una cinquantina di nazioni, ed è stato un vero trionfo per la qualità e la quantità delle immagini presentate. Va subito reso onore agli organizzatori: Nausicaà, la Città di Marsiglia e la Federazione Francese Attività Subacquee. Puntuale e brillante, come sempre, la regia del Presidente Philippe Vallette e del direttore organizzativo Remi Attuyt. Sono state presentate migliaia di immagini per le quindici diverse tematiche dei concorsi che mettevano in palio un monte premi che ha superato i 35.000 euro. Ma il premio più bello per tutti è stato partecipare di persona per vivere la magica atmosfera del festival più bello e importante del mondo sottomarino. Grandi onori anche per gli italiani in concorso che hanno conseguito prestigiosi successi, secondo una decennale tradizione. Nel dettaglio segnaliamo i risultati più eclatanti:

“Serie Tematiche di 5 immagini”

1° premio Plongeurs d’Or a Giuseppe Piccioli Resta, secondo Domenico Roscigno e terzo Stefano Gradi. Stampe a colori, 1° il belga Bruno Van Saen, secondo il nostro Adriano Morettin.

Premio Malacologia

1° Giuseppe Piccioli Resta. Premio Ocean Geographic Meduse a Domenico Roscigno a pari merito con Werner Thiele.

Medaglia d’oro, ”Serie Tematiche”, PICCIOLI RESTA Giuseppe.

Medaglia d’oro, Portfolio, GAZZAROLI Claudio

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Sotto il mare

Medaglia d’oro, Portfolio, AZZAROLI Claudio.

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Nei “cortometraggi” i noti documentaristi italiani Daniele Iop, Manfred Bortoli e Massimo Boyer, noto biologo marino di Savona hanno vinto la Palme d’Argent con il filmato “The trip” alle spalle della giapponese Ida Akihiko. Alessandro De Rossi e Federica Botta hanno vinto il premio Paul Ricard. Grande soddisfazione anche per Roberto Rinaldi, autore delle riprese subacquee del bel lungometraggio “U455” di Stéphane Begoin Zed (Francia) vincitore della Palme d’Or. Fra gli altri risultati da segnalare il Plongeur d’Or per gli audiovisivi al belga Luc Eeckhaut e il premio speciale della giuria al film Coelacanthe di Laurent Ballesta. L’Italia era presente anche con due stand: quello della nostra rivista In Genova e Liguria Magazine e www.apneaworld.com dove

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Sotto il mare abbiamo incontrato tanti VIP e amici fra i quali Daniel Mercier, Philippe Vallette, Martin Razi, Dominique Serafini, Frederic Di Meglio, Jean Michel Mille, Enrico Porfirione, Paolo Curto, Patrick Mouton, Remi Attuyt, Michael Aw, Blaise Schollenberger, Ariel Fuchs, Franco Capodarte, Settimio e Giordano Cipriani, Alberto Muro Pelliconi. Fra le novità più importanti presentate ricordiamo una sbalorditiva scafandratura per due telecamere in grado di fare riprese subacquee in 3D, resistente fino alla profondità di 150 metri, progettata dall’operatore subacqueo Roberto Rinaldi e realizzata dalla ditta Seacam. Degna di nota anche una nuova maschera munita di un innovativo sistema di ripresa e monitor 3D.

Nella foto a fianco: medaglia di bronzo, “Serie Tematiche” GRADI Stefano. Qui sotto: medaglia di bronzo, “Serie Tematiche” SCHMOLKE Uwe.

Medaglia di bronzo, Porfolio, SCHMOLKE Uwe.

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Medaglia d’argento, “Serie Tematiche”, ROSCIGNO Domenico. Medaglia d’argento, LECOEUR Grégory.

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Medaglia d’argento, “Serie Tematiche”, ROSCIGNO Domenico.

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Medaglia di bronzo, “Serie Tematiche”, GRADI Stefano. 38 INGENOVA Magazine


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Medaglia d’argento, Portfolio, LECOEUR Grégory.

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InGenova Wine

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Vini rari e… inquieti a Finalborgo Una scelta inusuale a Ca’ di Nì per la Festa dell’Inquietudine: 5.000 bicchieri serviti tra bianchi ta, rispettivamente sabato 17 dedicato ai vini bianchi rari, e e rossi quasi introvabili domenica 18 riservato ai vini rossi rari. Delle vere e proprie

Nella foto: il Delegato Regionale Onav Andrea Briano mentre guida la degustazione dei vini rossi rari

di Virgilio Pronzati

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a’ di Nì, splendida dimora storica all’interno delle mura medievali di Finalborgo, è stata teatro per quattro giorni (dal 15 al 18 maggio) di un esclusivo evento enoico che ha richiamato il pubblico delle grandi occasioni. Non Barolo, Brunello di Montalcino o Amarone, ma vini veramente rari e quasi introvabili, provenienti da varie regioni d’Italia. Essendo l’unica rassegna nazionale di questi tipi di vino, la partecipazione di tecnici, sommelier, onavisti ed enoappassionati ha superato le quattromila presenze. In degustazione 91 vini ottenuti da 57 diversi vitigni, prodotti da 55 aziende di quindici regioni. In testa con tredici vini il Piemonte, seguito da Friuli, Emilia Romagna e Puglia con dodici, Veneto con undici, Marche con sette, Liguria con sei, Trentino, Lombardia, Toscana e Sardegna con tre, Valle d’Aosta e Campania con due, Umbria e Calabria con uno. Oltre alle degustazioni ai banchi d’assaggio curate dai soci Onav savonesi, e altre direttamente dai produttori, si sono tenuti due laboratori di degustazione guida-

Cà de Ni: Enoappassionati al Banco d’assaggio dei vini rari

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lezioni sul vino tenute dal delegato regionale Onav Andrea Briano. A parte i vini assaggiati ai banchi dei produttori, oltre 5.000 bicchieri sono stati serviti al banco curato dall’Onav. L’originale e importante evento, svoltosi in occasione della Festa dell’Inquietudine, giunto con successo alla seconda edizione, è nato lo scorso anno da un’idea del Circolo degli Inquieti, e organizzato dalla Camera di Commercio di Savona in collaborazione con l’ONAV (Organizzazione Nazionale Assaggiatori di Vino e il Comune di Finale Ligure. Allestimento e regia della quattro giorni della Oro Argento Group di Finalborgo, azienda che firma le maggiori manifestazioni culturali e gastronomiche liguri. All’inaugurazione della rassegna il Sindaco di Finale Ligure Flaminio Richeri, l’Assessore al Turismo e Cultura Nicola Viassolo, il Presidente della Camera di Commercio di Savona Luciano Pasquale e il Presidente del Circolo degli Inquieti Elio Ferraris. Quest’ultimo, ideatore e regista della Festa dell’Inquietudine giunta alla settima edizione. Iniziativa dedicata a personaggi “inquieti” italiani e stranieri che si sono distinti nei vari settori dell’arte. Tra i vini rari e inquieti non è mancato il momento musicale, con l’esibizione del pianista iraniano Ramin Bahrami, premiato nel 2013 come Inquieto dell’anno.

I Vini da vitigni Inquieti presenti Albarossa • Aleatico • Arvesiniadu • Baratuciat • Barbarossa • Barsaglina • Bovale • Caprettone • Casetta • Catalanesca del Monte Somma • Centesimino • D’Alessano • Enantio • Famoso • Foglia Tonda • Fumin • Gamba Rossa • Garofanata • Grisola Gruajo • Incrocio Bruni • Lagarino • Lanzesa • Longanesi • Lumassina - Malbo Gentile • Malvasia Moscata • Mantonico • Maresco • Marzemina Bianca • Minutolo • Mornasca • Moscatello di Taggia • Nascetta • Nebbiolo di Dronero • Nera dei Baisi • Pedevenda • Pelaverga • Pelaverga Piccolo • Petit Rouge • Piculit Neri • Pignola Valtellinese • Pignolo • Quagliano • Rossese Bianco • Sciaglin • Spergola • Sussumaniello • Tazzelenghe • Tundè • Ucelut • Uva Pane • Veltliner • Verdeca • Vermentino Nero • Vernaccia Nera • Vespaiola


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