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NATURA VIVA
Animali e habitat a rischio estinzione
Quando l’età non conta: l’ultimo figlio di Gonzalo e Camilla Facce nuove | Wolf, addio alla saggezza del lupo
NATURAVIVA MAGAZINE
NUMERO 8
GEN.FEB. ‘17
Animali e habitat a rischio estinzione Periodico bimestrale edito da Parco Natura Viva srl Registrazione presso il Tribunale di Verona n° 1165 del 30 giugno 1995
Direttore responsabile Macri Puricelli Responsabile editoriale Elena Livia Pennacchioni press@parconaturaviva.it Hanno collaborato a questo numero Silvia Allegri, Telmo Pievani, Elena Livia Pennacchioni, Caterina Spiezio, Katia Dell’Aira, Marta Tezza, Macri Puricelli Comitato scientifico Cesare Avesani Zaborra, Katia Dell’Aira, Caterina Spiezio, Marta Tezza Progetto grafico Elena Livia Pennacchioni Archivio foto Elena Zambelli Contributo fotografico Archivio Parco Natura Viva, Cesare Avesani Zaborra, Giorgio Cortese, Giorgio Ottolini, Barbara Regaiolli, Bruna Zavattiero, Duisburg Zoo, Budapest Zoo, Zoobotànico di Jerez Immagine di copertina Hippopotamus amphibius Stampa Mediaprint srl via Brenta, 7 37057 San Giovanni Lupatoto Verona, Italia Copyright © Parco Natura Viva loc. Figara 40 - 37012 Bussolengo (VR) Tutti i diritti riservati. La riproduzione anche parziale e con qualsiasi mezzo, non è consentita senza la previa autorizzazione scritta dell’Editore.
Per parlare con la redazione press@parconaturaviva.it
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Sommario
Gen-Feb 2017
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Non solo coati rossi e nandù: sull’arca del Parco sale anche Neymar
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Quando l’età non conta: l’ultimo figlio di Gonzalo e Camilla Pag.13 #Animali&piante Renne e licheni, un legame a rischio
Pag.24 #Hotopic Sesta estinzione:
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Wolf, addio alla saggezza di un lupo
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Ibis eremita: in 98 oltre le Colonne d’Ercole
pensiamoci adesso di Telmo Pievani
Pag.28 #Ragazzi&natura Alternanza scuolalavoro, un’opportunità per i curiosi di natura
Pag.32 #Perglianimali Cavalli, le sfide per proteggerli
Pag.33 Animali alla ribalta
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#inviaggio: 150 anni dello zoo di Budapest
Editoriale
Conservazione delle specie e benessere animale al centro del 2017 Lo scorso ottobre a Puebla, in Messico, durante la 71a conferenza Waza, i rappresentanti dei migliori istituti zoologici del mondo si sono riuniti per confrontarsi sui temi più urgenti della ricerca e conservazione delle specie animali a rischio di estinzione. Si è partiti da un dato incoraggiante: la crescita esponenziale degli interventi che i giardini zoologici promuovono in situ per la conservazione delle specie animali. Solo per l’Europa, nel 2015, l’investimento ammonta a 42 milioni di euro l’anno. Intanto il Leibniz-Institut für Zoo-und Wildtierforschung (IZW), il più prestigioso istituto di ricerca sulla fauna selvatica europeo, ha presentato l’avvio del progetto “Saving from extinction”, che terminerà alla fine del 2017, il cui obiettivo è la catalogazione, in un unico database, di tutte le specie strappate all’estinzione dai giardini zoologici negli ultimi dieci anni: “Ad oggi, si contano oltre ad oggi se ne sono contate oltre cento. cento specie strappate Ma l’aspetto più importante riguarda il complesso tema del all’estinzione grazie miglioramento del benessere animale fuori dal suo contesto all’impegno dei parchi ambientale. I parchi zoologici intendono definire parametri condivisi zoologici” sui principi dell’Animal Welfare: la salvezza di una specie deve avvenire mantenendo sempre più elevati standard per soddisfare le esigenze biologiche delle singole specie. E di questo si parlerà al simposio di Detroit, in maggio, al quale interverrò come relatore per esprimere la posizione italiana su questo tema. Intanto al Parco Natura Viva fervono i preparativi per il nuovo anno alla ricerca di un continuo miglioramento nell’accoglienza, sia degli animali che dei visitatori. Tra le novità, oltre all’arrivo di nuove specie, l’impianto di fitodepurazione che permetterà il riciclo dell’acqua in un’ottica di diminuzione dell’impatto ambientale e un’ulteriore incentivazione nell’utilizzo di veicoli elettrici, con l’installazione di colonnine di ricarica per bici a pedalata assistita e per automobili. Siamo pronti, dunque, per una nuova stagione: buon 2017 a tutti voi.
#FACCENUOVE @parconaturaviva
Non solo
coati rossi e nandù: sull’arca del Parco sale anche Neymar di Elena Livia Pennacchioni
Neymar la giraffa, Nestore il kea, Beloka il fossa e i sei coati rossi: sono solo alcuni degli esemplari sbarcati nel 2016 al Parco Natura Viva di Bussolengo. Dopo qualche tempo di ambientamento, ognuno di loro si è dimostrato a proprio agio nel reparto di destinazione, in cui spesso ad aspettarli c’erano già “nuovi amici”.
Cosa c’è in foto Da sinistra: Neymar la giraffa durante uno dei suoi primi giorni d’ambientamento al Parco Natura Viva; un esemplare di coati rosso. NATURA VIVA MAGAZINE
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l Parco Natura Viva ha concluso il quarantesettesimo anno a difesa della biodiversità con l’abituale censimento, che ha chiuso il 2016 con il segno più: sono 195 le specie animali ospitate nei 5 continenti del Parco, 5 in più rispetto all’anno precedente. E sono arrivati anche nuovi esemplari appartenenti a specie già presenti, tra i quali El Griso, maschio di bradipo, Neymar la giraffa, Nestore il kea, Beloka il fossa e sei coati rossi: questo registra un totale di individui che supera le 1200 unità.
TRA LE SPECIE GIA’ PRESENTI
Cosa c’è in foto In alto: bradipi al Parco, durante un lento spostamento o una lieta dormita; Sotto: Tapu il kea, mentre distrugge un arricchimento preparato dallo staff.
Neymar è un giovane maschio di giraffa arrivato nell’agosto 2016 dallo zoo di Zlin, in Repubblica Ceca. Dopo qualche giorno di ambientamento in stalla, è andato a far compagnia ad Amos, Themba e Klaus, i tre maschi che già vivevano nella piana del Safari africano in condivisione con altri erbivori. Oggi, a distanza di qualche mese, i quattro si vedono passeggiare senza fretta tra gnu, buoi dei watussi e orici dalle corna a sciabola, sempre sotto lo sguardo attento dei sei gelada, le scimmie dell’Etiopia che godono il panorama dal loro altipiano. Neymar, Amos, Klaus e Themba sono Giraffe camelopardalis, oggetto di un declino in Africa che le ha ridotte del 40% negli ultimi 30 anni, per lo più a causa della perdita di habitat e della pressione antropica. Nestore il kea è un maschio arrivato da uno zoo tedesco nel marzo del 2016. Appartiene alla specie meglio conosciuta come la più abile distruttrice del mondo animale e come la più intelligente tra i pappagalli: i kea sono in grado di demolire pressoché ogni cosa impiegando l’arguzia e la curiosità, tanto che con loro lo staff del Parco deve ingegnarsi ogni giorno per inventare arricchimenti sufficientemente interessanti da stimolarne le spiccate capacità cognitive. A dispetto di qualche preoccupazione iniziale, complice la giovane età, non ci è voluto molto perché Nestore fosse accolto da Tapu e Wanaka, la coppia che già viveva al Parco. Ora, gli unici tre pappagalli kea a vivere in un parco zoologico italiano, si divertono insieme a distruggere i passeggini e le biciclette che lo staff offre loro e che spesso nascondono arachidi, carote e altre golosità. I kea sono diffusi solo sulle montagne dell’Isola del Sud in Nuova Zelanda. Le loro popolazioni sono minacciate dalla deforestazione e dalla persecuzione antropica, in quanto questa specie è considerata problematica dai coltivatori. A settembre 2016 sono arrivati anche 6 maschi di coati rosso, nati allo zoo di Zagabria. Si tratta di tre adulti e tre giovani nati nell’anno, arrivati per formare un nuovo gruppo sociale con il maschio che già viveva al Parco. I coati rossi sono dei procionidi distribuiti nelle regioni tropicali del Sud America, dalla Colombia e dal 7
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#FACCENUOVE Cosa c’è in foto A sinistra e sotto: esemplari di nandù allo zoo di Duisburg; A destra: disegno di Barbara Regaiolli che rappresenta alcuni nuovi arrivi della stagione 2016: un nandù, un coati rosso e un kea.
Venezuela fino all’Uruguay e al nord dell’Argentina. Sono ottimi arrampicatori e abili nuotatori che durante il giorno trascorrono la maggior parte del loro tempo andando alla ricerca di cibo. Sono animali prevalentemente terricoli, ma salgono sugli alberi per dormire, accoppiarsi e partorire. Anche i coati hanno una natura spiccatamente vivace: durante i primi giorni al Parco, i sei nuovi arrivati hanno scavato a terra, tolto la corteccia dai tronchi e si sono arrampicati da un ramo all’altro, nell’intento di conoscere meglio la loro nuova casa. Le popolazioni di coati rossi si trovano in declino in Sudamerica, anche a causa del consumo della loro carne da parte delle popolazioni locali. Insieme alla deforestazione, questo potrebbe minacciare la vitalità della specie.
NUOVE SPECIE, NUOVI ESEMPLARI Il Parco già ospitava gli struzzi africani, i casuari della Nuova Zelanda e gli emù australiani. In quanto a grandi uccelli non volatori, all’appello mancavano solo i nandù sudamericani. Ma sul finire del 2016 ecco che due esemplari non ancora adulti hanno fatto il loro ingresso al Parco Natura Viva. Il nandù comune è uno struzioniforme che nel corso dei millenni di evoluzione si è adattato a sopperire alla mancanza del volo. Essere capaci di volare infatti può essere un’ottima tecnica per sfuggire ai predatori, ma può dimostrarsi anche energicamente molto dispendiosa. Il nandù è diventato
Il Parco già ospitava struzzi africani, casuari della Nuova Zelanda ed emù australiani. In quanto a grandi uccelli non volatori, all’appello mancavano solo i nandù sudamericani. quindi tanto grande da essere difficilmente predabile: con il suo metro e trenta di altezza e i circa 25 chili di peso, il nandù è di certo il più grande uccello sudamericano che vive nelle pampas argentine e nelle rade boscaglie della Bolivia e del Brasile. Al Parco Natura Viva i due nuovi arrivati hanno preso posto in un reparto misto, che condividono con una famiglia di tapiri, anch’essi originari dell’America del sud: Irene, Rondel e la piccola Ester hanno accolto con curiosità i due nandù e ora li si può ammirare mangiare insieme frutta e verdura. Tra le specie arrivate nel 2016 che “prima non c’erano” anche nove amazzoni guance-verdi. Si tratta di pappagallini non più lunghi di 33
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centimetri, colpiti da un allarmante rischio di estinzione: considerati “endangered” dalla Lista Rossa IUCN a causa di deforestazione e catture illegali, nel giro di 20 anni hanno subito un declino del 77%. Le amazzoni guanceverdi abitano le pianure lussureggianti e le foreste del Sudamerica fino a 1.000 metri di altitudine. Qui i numeri della scomparsa risultano drammatici: negli anni ’70 si contavano circa 25 individui per chilometro quadrato, oggi la stessa superficie è abitata da appena 5,7 esemplari. Le coppie in grado di riprodursi nel proprio habitat naturale sono al massimo 4.000 e a questo ritmo, la specie potrebbe estinguersi completamente in una manciata di anni.
Cosa c’è in foto A destra e sinistra, Wolf in primo piano., inconfondibile con il suo muso biancastro.
Wolf,
addio alla saggezza di un lupo Wolf ha provato a resistere all’età che avanzava e ha continuato a gestire il suo branco fino a quando le forze glielo hanno permesso. Si è arreso in una domenica di giugno quando ha compreso che il suo ruolo non era più riconosciuto. Ora, dopo mesi dalla morte di Wolf, il branco è ancora “in crisi” con continue lotte di dominanza e sottomissione. di Caterina Spiezio NATURA VIVA MAGAZINE
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olf, il maschio alfa del branco di lupi del Parco, è un individuo che insieme ad altri ha rappresentato la storia del Parco Natura Viva. E anche ora che non c’è più, Wolf resterà per sempre il “lupo alfa” del branco di lupi del Parco. I lupi vivono in una struttura sociale complessa, con regole sociali importanti, dove ciascun individuo svolge un ruolo fondamentale. Perché il branco sia protetto e tutelato, ci deve essere cooperazione tra i componenti e soprattutto, ci deve essere una “guida”. Ciascun membro, seppur subordinato, ha una propria utilità nel ruolo che ricopre, conosce bene cosa fare e come comportarsi nelle diverse situazioni. Tutto ciò viene appreso crescendo nel branco, all’interno del quale a ciascuno è affidato un proprio compito da svolgere al meglio, aiutando gli altri nella gestione delle problematiche. Il maschio alpha, è l’individuo che deve gestire al meglio tutto il branco con scelte che ricadono sull’intero gruppo e che deve essere in grado di guidare con il consenso di tutti.
UN LUPO SPECIALE Parlando di maschio dominante in un branco di lupi bisogna necessariamente parlare di leader e parlando di leadership, non può che venire in mente Wolf! Wolf, infatti, non era “solo” il maschio dominante, ma era l’individuo la cui leadership era evidente in ogni comportamento e nel comportamento degli altri verso
Nonostante avesse superato i 14 anni di età, a dispetto di una vita media che in natura si aggira intorno ai 10, Wolf è sempre stato il leader del branco.
di lui: non aveva bisogno di colpo ferire per farsi rispettare e per farsi seguire dal branco, perché aveva dimostrato nel corso degli anni di essere in grado di tutelare, proteggere e guidare i suoi lupi senza necessariamente dover sfoggiare aggressività. Tutti alle grotte se Wolf si spostava, tutti accanto all’osservatorio per interagire con gli arricchimenti se a Wolf interessavano, nessuna aggressione se non si muoveva Wolf. Nonostante avesse superato i 14 anni di età, a dispetto di una vita media che in natura si aggira attorno ai 10, l’anziano Wolf era ancora forte e rispettato dalla maggior parte degli individui. All’interno del branco però negli ultimi tempi, un lupo un po’ più intraprendente degli altri si comportava in modo tale da poter “supporre” una propria candidatura come leader. Ma per essere un leader nel branco di lupi non serve la forza, non serve “alzare la voce”, non serve l’astuzia, ma serve la saggezza, attraverso la quale dimostrare di essere in grado di gestire il branco. Abbiamo seguito attentamente il branco di lupi e Wolf, in particolare nell’ultimo periodo della sua vita, proprio perché stava avvenendo qualcosa di strano. 11
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#UNODINOI Cosa c’è in foto
Le osservazioni comportamentali evidenziavano un aumento dei comportamenti agonistici all’interno del branco, con alcuni individui che non mostravano più una sottomissione attiva nei confronti di Wolf e che si comportavano quasi come se non ne riconoscessero più la leadership. Da qui abbiamo valutato la possibilità che avvenisse quel cambio di gerarchia che non avrebbe visto più Wolf come leader, ma che lo avrebbe fatto tornare uno fra tanti. Ma non era ancora stato individuato un lupo che potesse effettivamente prendere il suo posto, serviva ancora un po’ di tempo e un po’ di insegnamento: Wolf era ancora necessario al branco. Ma qualcuno pensava di no. Pensava, “stupidamente” - diremmo noi - che fosse arrivato il proprio momento.
Wolf in primo piano, insieme ad altri due lupi del branco; In basso a sinistra: Wolf; In basso a destra: un giovane lupo del branco.
ADDIO, WOLF! Wolf ha provato a restare nel branco sotto una forma diversa, ma non poteva accettare di non essere più “Wolf”, di non poter più ricoprire il suo ruolo di leader, di non essere più necessario per il branco. Allora, un po’ stremato dall’età e sentendosi non più accettato dal branco perché attaccato, si è lasciato andare restando sempre più in disparte. E così, il branco ha perso il suo leader e Wolf ha perso la sua vita.
UN BRANCO IN CRISI Ora, dopo mesi dalla morte dell’ultimo vero maschio alpha, il branco è ancora “in crisi”, con continue lotte di dominanza e sottomissione, con individui che vengono isolati e senza una chiara gerarchia. Il branco è allo sbando, non c’è una guida. Non tutti sono Wolf, che ha ricoperto il suo ruolo con saggezza e dedizione. Per essere Wolf devi avere autorevolezza, devi credere in quello che fai, non ti deve interessare il potere, ma ti deve interessare fare il meglio per il tuo branco. Con fatica, prima o poi qualcuno prenderà il posto di maschio dominante, probabilmente perché più forte di altri. Ma non sarà un leader perché non ha avuto la pazienza di aspettare che Wolf scegliesse il proprio successore a cui insegnare tutto ciò che lui aveva appreso nella sua lunga vita. NATURA VIVA MAGAZINE
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“Wolf ha provato a restare nel branco sotto una forma diversa, ma non poteva accettare di non essere più necessario”
#ANIMALI&PIANTE
U di Marta Tezza
Renne e licheni, un legame a rischio Perfettamente adattata a sopravvivere agli ambienti delle zone artiche e subartiche del Pianeta, la renna ci porta subito a pensare all’inverno e alle regioni più fredde della Terra.
na pelliccia per far fronte alle temperature gelide, zoccoli allargati che le permettono di procedere agevolmente su terreni innevati e un olfatto invidiabile che fa in modo che possano percepire la presenza di cibo anche sotto la copertura nevosa. Le renne sono splendidi animali erbivori, la loro alimentazione è costituita cioè da vegetali. Ma d’inverno, alle temperature polari in cui vivono, anche per loro può essere impegnativo trovare del cibo. Un alimento prezioso, una delle poche fonti di cibo in quel periodo, sono i licheni, organismi composti da un fungo e un’alga che vivono in simbiosi a formare un essere vivente unico. Si tratta di nutrienti molto importanti perché sono tra i primi organismi che si insediano anche sulle rocce, svolgendo la funzione di “pionieri” che preparano il substrato utile per la sopravvivenza di altri vegetali. Talune specie però possono accumulare le sostanze tossiche e trasmetterle quindi agli animali che se ne cibano, i quali, se la dose ingerita è eccessiva, possono avere problemi. A seguito del disastro di Chernobyl
del 1986, alcune specie di licheni nel nord della Scandinavia avevano accumulato così tanta radioattività, che le renne che si erano cibate di essi sono state considerate pericolose per il consumo umano. Diverse specie di licheni sono invece molto sensibili all’inquinamento dell’aria, tanto da essere considerate indicatori utili per valutare la salute di un ambiente: se presenti, esso è pulito, se invece diventano rari o scompaiono da un territorio, i livelli di inquinamento sono alti. È importante ricordare a questo proposito che le regioni artiche “raccolgono” l’inquinamento atmosferico generato nelle zone temperate, altamente industrializzate, del nord del mondo. Questo potrebbe mettere a rischio la sopravvivenza di molti licheni e di conseguenza, delle specie che dipendono da essi. Non solo le renne infatti, li utilizzano come cibo ma anche altri animali, alcuni occasionalmente, come varie specie di cervi, l’antilocapra, la capra delle nevi, l’alce. Tutti motivi che dovrebbero farci riflettere sulle connessioni che ci uniscono a organismi che vivono anche molto lontano da noi e su come le nostre azioni possono avere effetto sulla loro sopravvivenza. 13
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UN GIOCO “BESTIALE”! Questa pagina-gioco è stata ideata in collaborazione con l’Assessorato all’Istruzione del Comune di Verona in virtù della speciale diffusione del numero di gennaio - febbraio 2017 di “Natura Viva magazine” tra i bimbi delle scuole primarie e dell’infanzia.
L’inverno è un periodo difficile per gli animali, così per affrontare i mesi freddi, sono costretti a mettere in atto diverse strategie. C’è chi sostituisce il manto estivo con un soffice e folto mantello invernale, chi migra in paesi più caldi e chi cade in un profondo letargo, durante il quale la temperatura del corpo e la frequenza del battito del cuore e dei respiri si riducono, per sprecare meno energie.
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Alcuni animali in inverno devono andare in letargo per..... 1
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DEFINIZIONI: 1 - Durante il letargo rallenta quello cardiaco; 2 - Il nome dell’animale che ha una pelliccia estiva marrone sul dorso e biancastra sul ventre; in inverno il mantello è interamente bianco; solo l’estremità della coda rimane nera per tutto l’anno; 3 - Uno strato sotto pelle molto prezioso per proteggersi dal freddo; 4 - I mammiferi che vivono in luoghi freddi spesso le hanno piccole, ma ci sentono bene; 5 - Il leopardo delle nevi le ha molto larghe per non sprofondare nella neve; 6 - Il colore della pelle dell’orso polare; 7 - Vestirsi di un abito caldo e mimetico, trovare una tecnica per procacciarsi il cibo e ridurre il più possibile il movimento per non sprecare energia: tutte queste strategie possono anche essere chiamate….; 8 - Così si chiama la volpe, bianca d’inverno, che vive nei paesi nordici. SOLUZIONI: 1. Battito; 2. Ermellino; 3. Grasso; 4. Orecchie; 5. Zampe; 6. Nero; 7. Adattamenti; 8. Artica.
di Elena Livia Pennacchioni
Ibis eremita,
in 98 oltre le Colonne d’Ercole Estinto in Europa dal 1600 a causa della caccia indiscriminata, l’ibis eremita e’ tornato in Spagna con una popolazione stanziale di 98 individui. Tra di loro anche 4 esemplari partiti dal Parco Natura Viva nel 2016, che si aggiungono ai 7 già giunti a Cadice da Bussolengo due anni prima.
Cosa c’è in foto Ibis eremita che volano nei pressi della scogliera di nidificazione a Cadice, in Spagna. Scatti di Zoobotànico di Jerez
S Cosa c’è in foto Esemplari di ibis eremita della colonia stanziale nella zona Cadice, sulla costa atlantica della Spagna. NATURA VIVA MAGAZINE
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ono 98 e stanziano sulle rocce della costa atlantica della Spagna, nei pressi di Cadice. Sono i primi ibis eremita della storia d’Europa ad aver costituito una colonia stabile dopo essere stati reintrodotti in natura a causa della loro scomparsa nel XVII secolo. La riuscita del “Proyecto eremita”, avviato nel 2003 grazie all’iniziativa dello Zoobotànico di Jerez in collaborazione con il Ministero dell’Ambiente spagnolo, è stata possibile solo grazie all’impiego di pulcini allevati negli zoo, unica speranza di salvezza per una specie scomparsa dagli habitat naturali. A volare tra di loro oltre le Colonne d’Ercole, ci sono anche 4 esemplari nati al Parco Natura Viva di Bussolengo, partiti per la Spagna nel settembre del 2016. E se a questi si aggiungono i 7 che hanno lasciato il Parco per le scogliere di Cadice nel 2014, la colonia stanziale spagnola può contare su un totale di 11 ibis eremita di provenienza italiana. Per le prime reintroduzioni in natura, lo staff dello Zoobotànico di Jerez ha adottato il metodo dei “genitori adottivi” già sperimentato in Austria dal Konrad Lorenz Institute. Gli esemplari allevati a mano e poi abituati a vivere nella colonia stanziale, tuttora riconoscono l’uomo grazie ad un “travestimento” utile a ridurre al minimo il legame e a mantenere negli uccelli un istinto selvatico naturale: i componenti dello staff che li monitora costantemente sono vestiti completamente di nero, ad eccezione di un casco da bicicletta che hanno sempre indosso, alla cui estremità è installata una finta testa di ibis eremita con tanto di becco rosa e il tipico ciuffo di piume nere. In questo modo, gli esemplari non hanno instaurato un legame di dipendenza con
In corsa contro l’estinzione l’uomo, ma con qualcosa che assomiglia molto ad un loro conspecifico. Oggi, a 12 anni dall’inizio del lavoro sul campo, arrivano ottime notizie sulla vitalità della colonia: nella stagione estiva del 2016, un totale di 20 coppie ha nidificato sulle scogliere della zona di Cadice, con un aumento di tre coppie rispetto all’anno precedente. Si sono involati 26 pulcini, uno in più del 2015, e prima che ogni piccolo fosse pronto al primo volo, è stato dotato di anello identificativo. Al termine del 2016 il bilancio è positivo, ma la prossima sfida sarà quella di riuscire a mantenere una popolazione stabile che cresca autonomamente nel numero di individui, senza che questo magnifico uccello abbia bisogno di essere aiutato dall’uomo per sopravvivere alla scomparsa.
L’ibis eremita in natura L’ibis eremita è classificato come “criticamente minacciato” nella lista rossa IUCN e in Europa centrale l’ibis eremita era presente fino al XVII secolo, prima che si estinguesse del tutto a causa della pressione venatoria. La sua popolazione selvatica ha subito un progressivo declino nel
corso dei secoli, in parte anche per cause naturali e dagli inizi del XX secolo l’ibis eremita è diffuso nel Mondo in due popolazioni disgiunte: la popolazione occidentale in Marocco che conta circa 120 coppie e la popolazione orientale in Siria e Turchia. Entrambe sono drammaticamente minacciate dalle attività umane, come la caccia o l’avvelenamento da pesticidi.
Il Parco natura viva per l’ibis Il Parco Natura Viva di Bussolengo ospita da molti anni una colonia di ibis eremita e collabora ad entrambi i progetti di reintroduzione in natura per questa specie attivi sul suolo europeo. Oltre a partecipare con alcuni esemplari al “Proyecto eremita” infatti, è l’unico partner italiano del progetto cofinanziato dall’Unione Europea “Reason for hope”, condotto dal gruppo di ricercatori austriaci del Waldrappteam. L’obiettivo è prevede di ristabilire una popolazione di ibis eremita in grado di migrare autonomamente dall’Austria alla Toscana nel periodo dello svernamento e tornare indietro nel periodo estivo.
La riuscita del “Proyecto eremita”, avviato nel 2003 grazie all’iniziativa dello Zoobotànico di Jerez in collaborazione con il Ministero dell’Ambiente spagnolo, è stata possibile solo grazie all’impiego di pulcini allevati negli zoo, unica speranza di salvezza per una specie scomparsa dagli habitat naturali.
#IBISFACT
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gli ibis eremita che fanno parte della colonia stanziale di Cadice in Spagna, reintrodotti grazie agli esemplari allevati negli zoo
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gli esemplari di ibis eremita nati al Parco Natura Viva e donati al “Proyecto eremita”
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i pulcini che si sono involati quest’anno dai nidi sulle scogliere della zona di Cadice
l’ultimo anno in cui in Europa fu certificata dagli ornitologi la presenza degli ibis eremita. Poi la scomparsa. 17
NATURA VIVA MAGAZINE
di Elena Livia Pennacchioni
Quando l’età non conta: l’ultimo figlio di Gonzalo e Camilla In una domenica di settembre nasce Popo, figlio inaspettato della coppia di ippopotami più anziana d’Europa: Gonzalo e Camilla, 40 anni lei e più di 45 lui.
#ZAMPEDAPRIMAPAGINA
Dalla copertina Popo, il piccolo ippopotamo nato alla fine di settembre al Parco Natura Viva.
@parconaturaviva
#IPPOPOTAMI IN PILLOLE Hippopotamus amphibius
Letteralmente “cavallo di fiume”, l’ippopotamo è il terzo mammifero vivente più grande dopo l’elefante africano e il rinoceronte. Misura fino ai 3,80 metri di lunghezza, per un altezza media di 1,50 m. Il peso varia da 1,4 a 4 tonnellate, con i maschi che tendono a diventare più grandi delle femmine. I denti degli ippopotami sono molto aguzzi e costituiti di avorio, come le zanne degli elefanti.
L’acqua
Con le zampe corte sembrano molto impacciati nei movimenti a terra, ma se necessario possono essere rapidi e veloci nella corsa. L’acqua però rimane il loro ambiente eletto e si dimostrano davvero degli ottimi nuotatori. Quando restano acquattati nei fiumi lasciano fuori dall’acqua solo occhi, narici e orecchie, che hanno la particolarità di essere sullo stesso piano della testa. Così possono permanere fermi in acqua per molto tempo a guardare cosa accade intorno, mimetizzandosi. Per questi motivi, gli ippopotami sono erbivori considerati una preda molto difficile anche dai grandi predatori africani, che difficilmente si spingono alla loro caccia.
Le altre specie
Gli ippopotami sono una specie “ombrello”, la cui sopravvivenza assicura anche quella di altre specie. Ne traggono vantaggio i pesci e le tartarughe che si nutrono con lo sterco dell’ippopotamo. Anche gli uccelli trovano un rifugio sicuro sul loro dorso.
#ZAMPEDAPRIMAPAGINA
L Cosa c’è in foto In pagina: una sequenza di foto che ritrae mamma Camilla e il suo piccolo Popo a pochi giorni dalla nascita. Durante i primi tempi, mamma e piccolo sono sempre insieme, molto spesso in acqua.
ui quarantaquattro anni, lei oltre quaranta: nonostante Gonzalo e Camilla siano due tra gli otto ippopotami più anziani d’Europa, alla fine di settembre hanno sorpreso tutti portando fuori dall’acqua il loro piccolo maschietto appena nato, mentre a stento riusciva a reggersi sulle zampe. A due settimane dalla nascita il peso del piccolo già sfiorava il quintale mentre il popolo dei social network lo ribattezzava Popo, che in lingua Swahili significa “farfalla”. Al Parco Natura Viva i due anziani genitori ippopotami hanno dato alla luce nel corso degli anni più di dieci figli, ma questo è stato probabilmente l’ultimo parto per mamma Camilla. La sua anzianità da primato però, non ha allentato nemmeno per quest’ultimo parto le cure esclusive che ha riservato al piccolo, al quale ha dedicato tutto il suo tempo, allattandolo in acqua e tenendolo al sicuro dalle curiosità del fratello maggiore Shombai, che ha dovuto fare i conti con il fatto di non essere più il piccolo del gruppo. Da un lato incuriosito, dall’altra un po’ geloso, Shombai in alcuni casi è stato allontanato da Camilla con decisione, soprattutto nelle prime settimane. Anche se venuto alla luce un po’ in ritardo rispetto alla stagione canonica dei parti che avviene tra luglio e agosto, Popo è cresciuto in fretta: nel giro di due settimane ha raddoppiato il peso alla nascita e il suo muso grande e un po’ sproporzionato, le orecchie piccole e le zampe corte, gli hanno garantito per un bel po’ un’aria tenera e un po’ goffa. Quanto al carattere, il piccolo ha saputo come agire: sin da subito si è dimostrato particolarmente audace e intraprendente, ha trascorso molto tempo fuori dal laghetto e spesso lo si è visto camminare a stento davanti a Camilla, tradendo i comportamenti
#ZAMPEDAPRIMAPAGINA canonici che vorrebbero i neonati trascorrere la maggior parte del tempo in acqua o seguendo la madre a stretto contatto. “Vulnerabile” secondo la Lista Rossa IUCN, il piccolo è uno dei 7 ippopotamini nati nel 2016 nei parchi zoologici d’Europa, dove questa specie conta 179 individui a mantenere vitale un patrimonio genetico a rischio: nell’Africa subsahariana, le popolazioni di questo mammifero anfibio sono in declino a causa della caccia illegale per la carne, per l’avorio di cui sono costituiti i loro denti e per la perdita di habitat naturale.
UNA SPECIE A RISCHIO
Cosa c’è in foto Al centro: mamma Camilla con il suo piccolo Sotto, da sinistra: mamma Camilla con il suo piccolo in acqua; il piccolo Popo che si tuffa in acqua autonomamente.
La parola “ippopotamo” significa “cavallo di fiume”: questa specie è generalmente distribuita lungo i fiumi delle savane e delle foreste in molti paesi di tutta l’Africa subsahariana, anche se attualmente è scomparsa dalla maggior parte del Sudafrica. Nonostante ci siano evidenti differenze regionali nella dimensione e distribuzione delle popolazioni, il declino dell’ippopotamo è stato confermato in circa metà dei 29 stati in cui vive. I paesi dell’Africa orientale, in cui gli ippopotami sono presenti con il numero maggiore, costituiscono la roccaforte della conservazione per questa specie. Al contrario, è la Repubblica Democratica del Congo ad aver registrato la più massiccia scomparsa di esemplari: l’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN) registra in questo Paese un declino del 95%, soprattutto a causa della pressione venatoria esercitata durante gli anni di guerra civile.
La goffa andatura e la conformazione fisica dell’ippopotamo sono conseguenza dell’adattamento alla vita acquatica: in caso di necessità può sopportare un’apnea che supera i 5 minuti. L’ACQUA, ELEMENTO VITALE La goffa andatura dell’ippopotamo è la conseguenza di un adattamento improntato alla vita acquatica, che garantisce al suo corpo la necessaria termoregolazione. La conformazione della testa è perfetta per consentire a questa specie di restare immerso a lungo: i grandi occhi, le narici e le orecchie, piccole e mobili, sono situati nella parte superiore del muso e sono le uniche parti del corpo che all’occorrenza, possono rimanere a pelo d’acqua. Di fronte alla necessità di restare immerso completamente invece, può mantenersi in apnea superando i 5 minuti senza respirare. Agilissimo nuotatore, l’ippopotamo è un animale molto territoriale che a dispetto della sua conformazione fisica, anche sulla terraferma sa farsi rispettare: in caso di necessità può raggiungere velocità considerevoli, fino a sfiorare i 30 km/h.
UNA SPECIE “OMBRELLO” L’alimentazione si svolge di notte a terra, sulle praterie che costeggiano l’acqua o in luoghi lontani anche parecchi
chilometri. Il nutrimento è costituito in gran parte da piante erbacee, ma anche da radici scavate nella terra morbida: in questo modo l’ippopotamo è in grado di tenere aperti i pascoli che vengono utilizzati da moltre altre specie, garantendo un apporto notevole al proprio ecosistema. Spargendo il suo sterco poi, concima le praterie e il fondo dei fiumi, dai quali di conseguenza altri animali traggono nutrienti. Il suo dorso è anche il luogo “di soggiorno” preferito di un bell’elenco di specie: uccelli, tartarughe d’acqua dolce e persino piccoli coccodrilli stazionano spesso “a cavallo” dell’ippopotamo.
GLI IPPOPOTAMI IN EUROPA Gonzalo e Camilla sono solo due dei 179 ippopotami ad essere ospitati in Europa. Grazie all’impegno di 69 parchi zoologici aderenti ad EAZA (Associazione Europea degli Zoo e degli Acquari), gli esemplari che vengono allevati fuori dall’habitat naturale di questa specie sono in grado di mantenere la preziosa variabilità genetica che in natura va scomparendo. 23
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HOT TOPIC
Cosa c’è in foto
Sesta estinzione:
pensiamoci adesso
di Telmo Pievani
Al Museo delle Scienze di Trento va in scena “Estinzioni. Storie di catastrofi e altre opportunità”, una mostra che racconta la crisi ecologica che stiamo vivendo partendo da ciò che ha scatenato le cinque estinzioni di massa precedenti, avvenute negli ultimi 500 milioni di anni. MUSE, fino al 26 giugno 2017.
A sinistra: Rappresentazione di un bambino intento a cacciare un moa gigante della Nuova Zelanda, specie estinta; Sotto: Foto di un leone berbero, specie estinta; A destra: un dodo, specie estinta, facente parte del percorso della mostra “Estinzioni”.
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l Museo delle Scienze di Trento si parla di estinzioni, umane e non umane. Perché? Grandi naturalisti come Edward O. Wilson e Niles Eldredge lo avevano scritto vent’anni fa: considerando i ritmi vertiginosi di scomparsa delle specie animali e vegetali indotti dalle attività umane, la biosfera sta attraversando un’“estinzione di massa”, cioè una catastrofe su scala globale che sta coinvolgendo seriamente gli ecosistemi naturali. Per la precisione si tratta della sesta estinzione di massa, dato che nel lontano passato geologico se ne sono registrate almeno cinque, le cosiddette “Big Five”, grandi ecatombi causate da super-eruzioni vulcaniche, oscillazioni climatiche e cambiamenti nella composizione dell’atmosfera, impatti di asteroidi sulla Terra, o da un intreccio di questi fattori.
LA “DE-FAUNAZIONE”: STIAMO SPOLPANDO IL PIANETA Scenari da “catastrofisti”? Calcoli apparsi su Nature e Science negli ultimi tre anni confermano questo scenario di rapida riduzione della biodiversità, anche tra i gruppi animali che si
ritenevano più resistenti come gli insetti, che invece a uno sguardo più attento sono in declino mediamente del 30% nella loro abbondanza. Perdiamo complessivamente ogni anno dalle 11.000 alle 58.000 specie, concentrate soprattutto nelle regioni tropicali. Il raggelante ma efficace termine coniato per questo fenomeno dal team di Stanford guidato da Rodolfo Dirzo è “de-faunazione dell’Antropocene”: stiamo spolpando il pianeta. Non possiamo cercare alibi nell’ignoranza perché le cause sono note, molteplici e interagenti: la deforestazione e la frammentazione degli habitat; la diffusione di specie invasive tramite viaggi e trasporti; la crescita della popolazione umana; l’inquinamento da attività agricole e industriali; lo sfruttamento intensivo attraverso la caccia e la pesca. A queste cinque attività antropiche bisogna ora aggiungere gli effetti del riscaldamento climatico, che cominciano a farsi sentire in particolare sui migratori a lunga distanza e sulle barriere coralline.
I PERICOLI DELLA SESTA ESTINZIONE
Dalla biodiversità dipende la salute degli ecosistemi, e dagli ecosistemi derivano beni e servizi che sono Il repertorio di reperti esposti al MUSE di Trento, con le storie che si celano essenziali per la nostra sopravvivenza e gratuiti, dietro ognuno di essi, permetterà di conoscere il destino delle specie più come la dispersione dei semi, i cicli dei nutrienti, carismatiche ormai scomparse e di addentrarsi fra le pieghe di vicende meno note, la fertilità dei suoli, la decomposizione, la qualità ma altrettanto illuminanti.
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Cosa c’è in foto Reperti fossili conservati in mostra al Museo delle Scienze di Trento.
dell’acqua e dell’aria, l’impollinazione. Intervenire tardi sarà molto più dispendioso. Che fare? Secondo Edward O. Wilson, per bloccare questa tendenza dovremmo fare in modo che metà della superficie terrestre (fra terre emerse e oceani) conservi i suoi habitat naturali. Non è impossibile, ma i problemi che crescono lentamente sono i più difficili da fermare, per questo dobbiamo adottare tutte le misure di sensibilizzazione che mostrino la concretezza del fenomeno. Concretezza significa contatto fisico ed emozionale con la biodiversità, attraverso un’esperienza reale offerta a un pubblico ampio che spesso non
ha le risorse economiche per viaggi in regioni esotiche. Anche per questo, i parchi faunistici e i musei naturalistici hanno un ruolo culturale cruciale per diffondere consapevolezza sui pericoli della Sesta Estinzione.
“ESTINZIONI”, AL MUSE DI TRENTO Il percorso della mostra al Museo delle Scienze di Trento è arricchito da raffinate installazioni multimediali, video e animazioni originali, interviste e spazi interattivi. Fra i documenti inediti anche interventi filmati eccellenti, fra cui quello di Severn Cullis-Suzuki, la bambina divenuta oggi un’impegnata attivista ambientale, che nel 1992 “zittì” il mondo con il suo intervento all’ONU in difesa del futuro del pianeta. Questo corpus di testimonianze costituisce il filo narrativo di un progetto che, per la prima volta in Italia, mette in dialogo paleontologia e sociologia, biologia della conservazione ed economia offrendo un’analisi lucida e lontana dalla retorica delle dinamiche che rendono pericolosamente assimilabili i grandi eventi di crisi del passato all’epoca che stiamo vivendo.
Perdiamo complessivamente ogni anno dalle 11.000 alle 58.000 specie, concentrate soprattutto nelle regioni tropicali. Il raggelante ma efficace termine coniato per questo fenomeno è “de-faunazione dell’Antropocene”.
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ome in un viaggio nel tempo, si potrà ripercorrere la storia della vita anche al Parco Natura Viva, attraverso ricostruzioni accurate dei più spettacolari animali, ora estinti per sempre, che popolarono la Terra prima di noi. Si tratta di ricostruzioni a grandezza naturale e basate sulle più recenti scoperte scientifiche, frutto della collaborazione tra paleontologi, artisti e modellisti. Grazie alla collaborazione con il Museo di Storia Naturale di Milano e Cristiano Dal Sasso, uno dei più grandi paleontologi italiani, i modelli sono stati disposti in ordine cronologico: dai primi animali emersi sulla terraferma si scorgono i primi dinosauri, fino ad arrivare ai giganti del passato come lo spinosauro, il tirannosauro e ai grandi mammiferi. L’intero progetto del Parco delle Estinzioni è partito nel 2010 con alcuni esemplari tra i quali una femmina di indricoterio, il più grande mammifero terrestre mai esistito.
Lo spinosauro, un caso di studio Il team guidato da Cristiano Dal Sasso ha condotto uno studio speciale su uno dei ritrovamenti fossili più sensazionali di questi ultimi anni: si tratta di parte del cranio di uno spinosauro, il carnivoro più grande mai esistito sulla terraferma e rappresentato al Parco Natura Viva. Di questo gigantesco dinosauro infatti in passato era stato scoperto e documentato parte dello scheletro, ma mancava qualsiasi indicazione sulla forma della testa, rendendone complicata la ricostruzione. Finalmente pochi anni fa in Marocco è stato rinvenuto il pezzo mancante del puzzle, che è stato studiato in dettaglio al Museo di Storia Naturale di Milano con le più moderne tecniche di indagine. Così, è stato possibile ricostruire non solo la forma esterna del muso dello spinosauro, ma anche la struttura interna dei suoi organi di senso: oggi sappiamo che questo grande rettile era dotato di un sistema sensoriale simile a quello dei coccodrilli, che gli permetteva di percepire i movimenti delle prede nascoste nelle acque torbide dei fiumi e delle paludi.
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#RAGAZZI&NATURA
Alternanza scuola-lavoro, un’opportunità per i curiosi di natura di Katia Dell’Aira Cosa c’è in foto In entrambe le pagine: Ragazzi e bambini impegnati in attività di formazione al Parco Natura VIva.
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I ragazzi sono sempre molto curiosi nei confronti del mondo della natura e degli animali. Per avvicinare i giovani alle scienze naturali, assumono grande importanza i percorsi di formazione che permettono ai ragazzi di vivere una esperienza attiva, affinché l’interesse non rimanga solo una passione ma l’inizio di un percorso di studi e in seguito, di una professione.
#RAGAZZI&NATURA Nell’anno scolastico 2015/2016 hanno svolto il periodo di ASL 652.641 ragazzi e si prevede che per il prossimo anno scolastico i numeri salgano fino a 1.500.000
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l Parco Natura Viva è da anni impegnato nell’ambito della formazione di giovani interessati alla natura e alle scienze e vanta circa 280 studenti adolescenti che dal 2001 hanno svolto attività di tirocinio formativo-lavorativo o hanno partecipato a corsi estivi di formazione sotto la guida del Settore Educativo del Parco. Molti di loro hanno intrapreso in seguito una carriera scientifica e qualcuno è anche stato assunto al Parco come parte dello staff o come guida. Con l’entrata in vigore della legge di riforma del sistema scolastico, denominata “La Buona Scuola” del 2015, viene previsto che i ragazzi degli ultimi tre anni della scuola superiore svolgano un periodo di “Alternanza Scuola Lavoro” (ASL). Nel 2016 la richiesta di collaborazione da parte di studenti e istituti scolastici della provincia di Verona e non solo, è aumentata in maniera esponenziale. Ma in cosa consiste questa iniziativa? Il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca inquadra l’ASL come “una esperienza formativa innovativa per unire sapere e saper fare, orientare le aspirazioni degli studenti e aprire didattica e apprendimento al mondo esterno”. In pratica, con l’attuazione di questa normativa a tutti i ragazzi degli istituti superiori dal 3° al 5°anno, compresi i Licei, viene chiesto un numero considerevole di ore (fino a 400) di stage-tirocinio da svolgere al di fuori dell’ambito scolastico, come formazione e orientamento per le scelte future. Nell’anno scolastico 2014/2015, prima dell’obbligatorietà, gli studenti coinvolti in Italia erano 273.000 e il 54% delle scuole faceva alternanza. Nell’anno scolastico 2015/2016 hanno svolto il periodo di ASL 652.641 ragazzi, con un incremento del 139% e si prevede che per il prossimo anno scolastico i numeri salgano fino ad arrivare a circa 1.500.000 studenti. Il Parco Natura Viva, per far fronte all’aumentata richiesta, sta definendo delle specifiche convenzioni con alcuni istituti, per strutturare una proposta educativa completa e stimolante, in grado di informare gli studenti sul lavoro che si svolge in un moderno parco zoologico, orientandoli verso lo studio di materie scientifiche con forte connotazione ambientalista. Se sei interessato, consulta il referente ASL del tuo istituto scolastico, per verificare se è già in atto una convenzione col Parco, in caso contrario contatta direttamente il settore educativo per verificare l’eventuale disponibilità. 29
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#INVIAGGIO
di Silvia Allegri
Budapest, uno zoo urbano all’avanguardia Il Parco Natura Viva è costantemente in viaggio tra i “colleghi” d’Europa, perché il mondo della conservazione delle specie a rischio di estinzione è in continuo aggiornamento. Da nord a sud, andiamo dove i parchi zoologici del Vecchio Continente accolgono l’imperativo della modernità, senza perdere il fascino delle tradizioni storiche: è il caso del Budapest Zoo e dei suoi 150 anni di storia.
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inareto e cupole azzurre che richiamano una moschea ottomana nella casa degli elefanti, ingresso in stile Art Nouveau, architettura in stile indiano nel reparto degli animali asiatici; ma anche percorsi didattici interattivi, avanguardia tecnologica, eventi culturali di respiro internazionale. Così si presenta ai visitatori il Budapest Zoo & Botanical Garden, uno dei giardini zoologici più antichi d’Europa. Questo parco appartiene alla particolare categoria degli zoo urbani storici, il cui capofila resta il Tiergarten Schönbrunn di Vienna. Esaurito il compito di pura esposizione al pubblico degli animali provenienti da spedizioni ed esplorazioni, come avveniva nei secoli passati, oggi questi zoo consentono alle persone metropolitane di avere una relazione permanente con il mondo naturale, quella relazione che viene cercata per istinto ma che ormai è spesso interrotta dalla frenesia della vita in ambienti artificiali.
Cosa c’è in foto In alto: la casa degli elefanti, Budapest Zoo; A destra: Toby, il rinoceronte bianco ospitato al Parco Natura Viva; Sotto: il piccolo rinoceronte nato nel 2007 allo zoo di Budapest grazie alla fecondazione assistita. NATURA VIVA MAGAZINE
UOMO E NATURA, UNA CONNESSIONE DA RISTABILIRE Proprio questa consapevolezza guida Miklós Persányi, direttore dello zoo dal 1994, biologo ed ex Ministro dell’Ambiente, ispiratore di attività di conservazione di specie come i cavalli di Przewalski. 30
Sin dall’inizio del suo mandato, Persányi ha promosso numerose iniziative volte alla riconnessione di cittadini e visitatori con l’ambiente naturale e alla sensibilizzazione sull’importanza della tutela dell’ambiente attraverso uno stile di vita rispettoso e consapevole. Ed è anche il motore di importanti ricerche scientifiche, con risultati straordinari. Proprio un’equipe medico-veterinaria di Budapest ha recentemente sperimentato una tecnologia finalizzata alla conservazione del rinoceronte. Il metodo consiste nel prelevare il seme a un esemplare in Sudafrica allo stato selvatico, riuscire a mantenerlo vitale per tutta la durata del viaggio, e utilizzarlo per l’inseminazione di femmine presenti nel giardino zoologico, dove nel 2007 è già nato un piccolo. Si è aperta quindi una nuova preziosa prospettiva in termini di conservazione.
PER I RINOCERONTI Il Parco Natura Viva s ta collaborando con il Budapest Zoo & Botanical Garden e intende ripetere questa procedura con alcuni rinoceronti che vivono nella riversa di Ongava, in Namibia, all’interno del progetto volto a contrastare il bracconaggio. I rinoceronti dovranno, infatti, essere addormentati per poter inserire il microchip nel loro corno, così che sia sempre rintracciabile. Nel frattempo verrà anche prelevato il seme da utilizzare per l’inseminazione artificiale.
BUDAPEST ZOO: UNA STORIA LUNGA 150 ANNI Lo scorso 7 agosto il Budapest Zoo & Botanical Garden ha compiuto 150 anni, e resta l’istituzione più visitata dell’intera Ungheria, con oltre un milione di presenze all’anno. La ricorrenza è stata l’occasione per riflettere sul potenziale di questo luogo, per il cui rilancio il governo ungherese ha deciso di investire oltre 100 milioni di euro. Durante il simposio, insieme alla visita dei diversi reparti, si è dato particolare risalto alla sezione della didattica, con un percorso ad hoc pensato per i responsabili dei progetti educativi,tra i quali era presente anche il Parco Natura Viva. 31
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#PERGLIANIMALI di Silvia Allegri
Cavalli: le sfide
per proteggerli
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Cosa c’è in foto In questa pagina: Cavalli di Prewalski al Parco Natura Viva; Nella pagina accanto: Famoso ritratto del rinoceronte Clara, opera di Jean-Baptiste Oudry del 1749.
n base alla media dei dati attualmente disponibili, nell’Unione Europea sono presenti circa sette milioni di equidi (ma è sicuramente un dato sottostimato), utilizzati per una molteplicità di scopi. Il mondo dei cavalli - celebrato nella 118° edizione di Fieracavalli svolta a Verona nel novembre 2016 - fornisce occupazione ad almeno 896mila persone nei paesi dell’Unione Europea; ha un valore di oltre 100 miliardi di euro annui e utilizza almeno 2,6 milioni di ettari di terreno. L’ampiezza del settore, unita ad struttura organizzativa frammentata, fa sì che le informazioni disponibili vengano spesso indirizzate verso gli aspetti o le attività più rilevanti, quali gli sport di alto livello e l’ippica. Ma gli equidi sono anche animali da lavoro di importanza fondamentale in alcune aree dell’UE (in particolare in Romania), mentre altri sono tenuti come animali domestici o come animali per il tempo libero. A volte maltrattati e spesso costretti a viaggi estenuanti che possono durare anche 35 ore, i cavalli più di qualsiasi altro animale vivono una condizione di ‘borderline’: se da un lato vengono considerati, per legge, animali da reddito, destinati alle competizioni sportive e/o al consumo alimentare, dall’altra sono visti e ‘vissuti’ come animali d’affezione a tutti gli effetti. E questa percezione del cavallo rientra in un fenomeno che vede, da alcuni anni, una crescita di attenzione al benessere animale da parte delle istituzioni, dei privati cittadini, delle associazioni. Ecco dunque la necessità di tutelare le specie domestiche e d’allevamento, in un’ottica di consapevolezza del grande valore degli animali. Della necessità di garantire a tutti i cavalli un’esistenza rispettosa si è parlato proprio in occasione della passata edizione di Fieracavalli, durante la tavole rotonde sulle normative nell’ambito di benessere del cavallo promosse su iniziativa del Ministero della Salute, ma anche all’incontro “Cavalli d’Europa: le sfide per proteggerli”. Si è discusso approfonditamente sulla necessità di fare ‘rete’ in Europa, per permettere agli equidi condizioni di vita idonee e dignitose. Tra i relatori un significativo contributo è stato dato da Sara Turetta, fondatrice e presidente di “Save the Dogs”, impegnata da anni nel soccorso di cani, ma anche asini e cavalli in Romania, e da Silvia Meriggi, investigatrice di “Animal’s Angels”, che ha illustrato le drammatiche condizioni dei trasporti degli equini fra i paesi europei.
L’ULTIMO CAVALLO SELVATICO Il Parco Natura Viva ospita tre esemplari di cavallo di Przewalski, ultima specie di Equus ferus o cavallo selvatico ancora vivente. Il suo nome deriva dall’esploratore russo Nikolai Przewalski, che scoprì la specie nella seconda metà del 1800. Il Cavallo di Przewalski compare oggi come “minacciato” nella Lista Rossa della IUCN: in passato era considerato “Estinto in natura”, ma grazie al progetto di reintroduzione compiuto dalla rete dei giardini zoologici europei negli anni ‘90, sopravvivono oggi in Mongolia più di 50 individui maturi.
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#ANIMALIALLARIBALTA
Clara, un
di Macri Puricelli
rinoceronte d’altri tempi
Questa è la storia antica di una rinoceronte e dello stupore che, nel Settecento, destò in Europa. Clara è la testimonianza di un’epoca in cui l’animale esotico era per gli umani un oggetto sconosciuto di meraviglia e ispirazione leggendaria. Dietro la storia di Clara, si nasconde un grande cambiamento sociale: dopo due secoli dalla sua avventura si è finalmente aperta la strada alla tutela delle specie selvatiche, grazie agli studi e ai progetti di conservazione.
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i lei si innamorarono re e regine, villani e mercanti, bambini e vecchi. Di lei parlò e scrisse un continente intero che per 17 anni le rese omaggio in mille e una città. Di lei ornarono quadri, dipinti, ceramiche i più grandi artisti del secolo. E mentre re e regine, villani e mercanti, vecchi e bambini facevano la fila per incontrarla, lei viaggiava. Attraversando oceani, mari, fiumi e laghi. Oltrepassando montagne e scavalcando colline. Fu un vero e proprio Grand Tour. Lei si chiamava Clara. Ed era una rinoceronte. Il suo primo lungo viaggio iniziò a Calcutta, in India, e si concluse in Olanda. Era il 22 luglio 1741 quando il capitano olandese Douwemount Van der Meer arrivò in Olanda con un cargo che trasportava la giovane rinoceronte indiana. A quell’epoca Clara aveva due o forse tre anni quasi interamente trascorsi fra gli umani. Clara aveva infatti pochi mesi quando sua madre venne uccisa da cacciatori dalle parti di Assam, nel nord est dell’India. Oggi verrebbe salvata, nutrita e protetta in un ambiente il più possibile vicino alle esigenze di un animale nato selvatico. Ma a quell’epoca, e fino all’inizio del Novecento, il rinoceronte era solo un animale da cacciare e da sfruttare. Non esisteva alcuna consapevolezza del suo essere una creatura senziente. Nel 1908 a Kaziranga, una delle zone preferite dai rinoceronti, la popolazione era così scesa a soli 12 esemplari. Due anni dopo, finalmente, in India ne venne
proibita la caccia. Il rinoceronte indiano è la specie che si è ripresa meglio dalle condizioni critiche in cui si trovava. A partire dal centinaio di esemplari rimasti agli inizi del Novecento, la sua popolazione è notevolmente aumentata, sebbene sia ancora minacciata soprattutto dalla caccia illegale per il suo corno. Clara, piccola orfana, venne adottata dal direttore della Dutch East India Company. E ben presto trovò il suo modo di vivere fra gli umani, unica sua chance di sopravvivenza, coccolata come un animale domestico. Ma Clara crebbe e ci si rese conto che sarebbe stato presto impossibile continuare a tenerla a gironzolare per casa. Fu così che venne venduta a Van der Meer. Nel 1741, insieme sbarcarono a Leiden. E anno dopo anno, Clara venne esposta ad Hannover, Berlino, Francoforte, Breslavia, Vienna, Regensburg, Stoccarda, Zurigo, Berna, Basilea, Dresda, Lipsia, Kassel, Versailles, Marsiglia, Napoli, Roma, Firenze, Bologna, forse Verona. Era fine gennaio 1751 quando, in pieno Carnevale, Clara arrivò a Venezia. Qui a immortalarla fu Pietro Longhi in ben due dipinti . Dopo Venezia, Van der Meer era ormai un uomo ricchissimo e sentì il bisogno di fermarsi un po’ . Solo dopo qualche anno decise di andare alla conquista della Gran Bretagna. Clara e Van der Meer arrivarono a Londra nel 1758. Ma non fecero ora a ripetere il successo degli anni precedenti. Improvvisamente Clara morì. Avrà avuto vent’anni: aveva deciso di fermarsi, per sempre. 33
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RECENSIONI “BESTIALI” @parconaturaviva
L’ULTIMO LUPO L’ultimo lupo (Wolf Totem), film del 2015 diretto da Jean-Jacques Annaud, basato sul romanzo “Il totem del lupo”, di Jiang Rong.
“
Puoi mettere al guinzaglio un cane, un orso, una tigre e persino un leone, ma un lupo no, mai”. Il lupo è un animale dotato di forza morale, lungimiranza, coesione sociale, giusta dose di aggressività, coraggio. Un animale capace di una fierezza che ci colpisce nel profondo. L’ultimo lupo, firmato dal regista francese Jean-Jacques Annaud - molto amato per Sette anni in Tibet – di questa magia racconta. 1969, siamo in piena rivoluzione culturale e Chen Zhen, giovane studente di Pechino, viene inviato nelle zone interne della Mongolia per insegnare a una tribù nomade di pastori. A contatto con una realtà così diversa dalla propria, in un deserto sconfinato e dalla bellezza mozzafiato, Chen scopre di esser lui quello che ha molto da imparare: sull’esistenza, sulla comunità, sulla libertà, sul senso di responsabilità e soprattutto sul lupo, la creatura più riverita delle steppe. Sedotto dal complesso e quasi mistico legame che i pastori hanno con il lupo e affascinato dall’astuzia e dalla forza dell’animale, Chen ne cattura un cucciolo e decide di addomesticarlo. Il forte rapporto che si crea tra i due sarà però minacciato dalla decisione di un ufficiale del governo di eliminare a qualunque costo tutti i lupi della regione. Il suo sarà davvero l’ultimo lupo. Disponibile in Dvd, on demand e anche su Youtube.
a cura di Macri Puricelli
LA TIGRE John Vaillant, La tigre, Einaudi 2012
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l suo ruggito è come un terremoto che sembra provenire da ogni direzione. Ma quando vuole, può essere silenziosa come la neve che cade: quando tu riesci a vederla, lei ti ha già visto cento volte. È la tigre siberiana, il predatore piú intelligente e letale del pianeta. Dopo l’uomo ovviamente. Tigri siberiane come Luva e Amka che vivono qui nel Parco. Una specie minacciata e inserita nella Lista Rossa della IUCN, ma che, negli ultimi 6 anni, ha fortunatamente incrementato il numero gli esemplari che vivono in natura. Di questo mitico animale racconta John Vaillant nel suo La Tigre (Einaudi). Siamo ai confini della Siberia, nel Primorje, vicino a Vladivostock, verso i confini con la Cina. Una storia vera che Vaillant, fra cronaca e ricerche storiche, ricostruisce con avvincente maestria. Una mattina Jurij Trush, un veterano dell’esercito sovietico ora a capo dell’Ispettorato Tigre, riceve una chiamata allarmante: un uomo, piú volte sospettato di bracconaggio, è stato assalito nei dintorni di Sobolonje, piccola comunità di tagliaboschi nel cuore della foresta. Siamo nella taiga, nell’estremo oriente siberiano, in un luogo che è una prova generale di inferno nascosta sotto la superficie di uno dei territori piú belli, sconosciuti e affascinanti del pianeta. Il Primorje è anche l’ultimo santuario della tigre dell’Amur. Simbolo del fallimento dell’umanità per la sua capacità di distruzione. Inizia cosí il racconto di un’incredibile e spaventosa caccia alla tigre, dei giorni passati nella foresta e nella tundra siberiane sotto la perenne minaccia della belva, delle gesta dell’animale che arriverà ad assediare l’intero villaggio. E dell’uomo destinato ad affrontarla. Una storia in cui la tigre è vittima di bracconieri e di illegali commerci con i vicini cinesi, disposti a pagarla a peso d’oro. Dove la tigre ricorda e uccide chi tradisce. Dove la tigre è maestra e terrore. Ma dove la natura e le sue creature sono ancora più forti. NATURA VIVA MAGAZINE
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AGENDA ANIMALE
4 MARZO 2017: IL PARCO NATURA VIVA RIAPRE AL PUBBLICO! Il Risveglio della Natura Nel primo mese della primavera 2017, il Parco Natura Viva riapirà al pubblico e celebrerà il risveglio della Natura. Insieme a grandi e piccini, in marzo festeggerà la Giornata Internazionale delle Foreste mentre in occasione della Festa della Donna, dedicherà a tutte le visitatrici una promozione speciale. E per finire il mese in bellezza, durante il weekend di Pasqua inviterà tutti i bambini a caccia... di uova!
TI ASPETTIAMO! www.parconaturaviva.it
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Il giro del mondo in 250 specie.
TUTTO IL MONDO IN UN PARCO 42 ettari di verde e Collina Morenica, oltre 1.500 animali di 250 specie selvatiche provenienti da ogni parte del mondo, una serra tropicale, uno zoo safari e un percorso dedicato ai Dinosauri. Tutto in un Parco, per conoscere il passato, incontrare il presente e capire come proteggere il futuro della nostra meravigliosa Natura.
Parco Natura Viva. Ricerca, tutela, divertimento. Perché ogni specie è speciale.
BUSSOLENGO · VERONA
w w w. p a r c o n a t u r a v i v a . i t