La Vanita nel Silenzio degli Innocenti

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Tesina su Il silenzio degli Innocenti Tra “vanitas” e “memento mori” Tratto dall’omonimo romanzo di Thomas Harris pubblicato nel 1988, il film “Il silenzio degli innocenti” -del 1991- è stato diretto da Jonathan Demme -coprotagonisti Clarice Sterling (Jodie Foster) ed Hannibal Lecter (Anthony Hopkins)- ed è il primo film che fa parte di un “polittico” composto da 5 film riguardanti l'oramai famoso serial killer Hannibal Lecter (personaggio immaginario creato da Harris). Il film -pluripremiato con l'Orso di Berlino e ben 5 Oscar (film, regia, attore e attrice protagonisti, sceneggiatura non originale)- oggi, a buon diritto, fa parte dei migliori cento film americani e rientra certamente tra i 20 best horror/thriller movies di sempre. La particolarità di questo film è che, oltre ad essere considerato da più parti un capolavoro cinematografico, contiene parecchi riferimenti simbolici e messaggi inseriti al suo interno. Questa pellicola, infatti, oltre a parlare di una storia molto cruenta e di un personaggio violento, analizza in maniera psicologica la natura umana in riferimento alla paura della morte ma anche al piacere che l’essere umano prova di fronte ad essa e, ancor più, nel determinarla ed in maniera talmente feroce da sembrare inumana ed animalesca. Molti critici e psicologi hanno lavorato e analizzato quest’opera cinematografica traendo molteplici conclusioni; altri invece hanno addirittura ritenuto che incorporasse messaggi subliminali per la manipolazione della mente tant'è che il film è stato inserito nella lunga lista di lavori e personaggi storici della massoneria. Ovviamente non parleremo di questo ma cercheremo di analizzare l’opera in alcune sue sfaccettature e, in particolare, per i richiami artistici contenuti “tra le righe”, che richiamano alla mente una natura umana che si rapporta con la passione, la violenza sulle carni umane, la vita e la morte. Inizio cercando di analizzare più da vicino l’iconografia di questo film che, peraltro, viene enfatizzata già dalla locandina ufficiale. Da una rapida ma attenta osservazione si scorge il volto di una donna e, in corrispondenza della bocca, v'è appoggiata una falena con il disegno di un teschio sul dorso; ma, se si acuisce lo sguardo su quest'ultimo, si scorge che il teschio appare malformato e, zoomando adeguatamente, si scorgono 7 corpi di donne nude che risultano posizionati e contorti con una precisa logica, finalizzata proprio alla composizione della figura di questo teschio. Molti hanno scambiato questa immagine come un messaggio subliminale equivoco, sconcio e perverso. Ma proprio questa immagine, benchè difficilmente visibile ai più -quindi come nascosta-, è un richiamo palese ad un'opera del famosissimo


Salvador Dalì realizzata con la collaborazione del fotografo Philippe Halsman nel 1951. Quest’opera, dal titolo “In Voluptas Mors” (in castigliano: "La morte voluttuosa"), rappresenta l'idea del perfetto connubio tra sesso e morte che Salvador Dalì volle trasmettere. Con quest’opera metteva in piena contrapposizione la (futilità e la...) voluttà del piacere carnale, rappresentato dalle 7 modelle nude, con l’inevitabilità della morte -sempre presente- idealizzata con l’immagine del teschio, generata proprio dalla posizione e dalla costruzione ad arte realizzata con i corpi delle modelle. In effetti, la prima immagine che viene percepita dal nostro occhio non è il corpo di ogni singola modella ma il teschio (che rappresenta Thanatos, cioè la morte dal greco-) che non è altro che la risultanza delle diverse pose dei corpi femminili che suscitano ben altra idea e che, appunto, rappresentano la Voluptas (cioè piacere, eros e lussuria).Da qui il nome dell’opera, In Voluptas Mors.

Tornando alla locandina del film, va detto che non è casuale neanche la scelta di quel tipo di lepidottero messo sulla bocca della donna. La falena in questione (sulla cui parte dorsale del torace spicca una macchia biancastra con due punti neri che ricorda la forma di un teschio), viene denominata volgarmente “Sfinge dalla testa di morto” o “Acherontia”, con chiaro riferimento all'Acheronte, fiume della mitologia greca che il nocchiero Caronte attraversava con le anime dei morti per condurle nell’Ade (Regno dei Morti). Questo tipo di falena, tipica delle zone Afrotropicale, Mediterranea e dell'Asia Occidentale (Egitto,Kuwait,Arabia), nella cultura greco-romana era considerata messaggera di morte e sciagure non solo per il suo aspetto ma anche per il suono che produceva tagliando l'aria al suo passaggio, provocando fascino ed inquietudine. L’utilizzo della figura di questa falena è anche un altro richiamo a Salvator Dalì, presente nel suo cortometraggio di performance surrealista intitolato “Un chien andalou” (il cane andaluso) realizzato nel 1929 insieme al cineasta Luis Bunuel.


Nel film Il Silenzio degli Innocenti vi è la presenza di questo lepidottero nella scena dell’autopsia del cadavere dal quale viene estratto perché occludeva l’esofago impedendo così la respirazione e determinando la morte. Non è casuale l’utilizzo di questo preciso tipo di falena introdotta nella gola della vittima, poiché determina l’occlusione delle vie aeree, impossibilità di respiro e, quale portatrice di morte, determina la conseguente privazione della vita. Nel film, quindi, la falena viene simbolicamente utilizzata come firma dal serial killer; chiara analogia con la simbologia storica attribuita allo stesso animale come descritta precedentemente, quale messaggera di morte e sciagure. Peraltro, anche l'artista contemporaneo Jan Fabre utilizza, per esempio, gli insetti all’interno delle sue opere; suo preferito lo scarabeo stercorario, uno degli insetti più evocativi e venerato sin dagli antichi egizi. “Il più antico computer del mondo, al quale dovremmo imparare a prestare più ascolto, gusci di memorie più antiche del corpo umano.” (Jan Fabre) In molte culture lo scarafaggio è simbolo di morte e di metamorfosi ed è per questi diversi motivi che l’artista contemporaneo ne fa così largo utilizzo soprattutto nelle opere intitolate “l’Ange de la metamorphose”. La presenza della Volputas all’interno del film è accentuato dall’instabilità mentale dell'antagonista del film, il serial killer soprannominato Buffalo Bill. La malattia mentale del serial killer viene resa nota nel film solo nella parte conclusiva; egli uccideva le donne per poi scuoiarle ed utilizzarne i lembi di pelle migliori per realizzare un rivestimento o vestito da far indossare al suo corpo che riteneva orripilante e di cattivo aspetto ma, soprattutto, sentiva non suo e non voluto. L’antagonista di Clarice sostanzialmente era un transgender che non si sentiva a suo agio con il proprio corpo e la voglia di essere una donna era quindi tale che provava addirittura piacere sessuale quando utilizzava la pelle delle sue vittime su sè stesso, sentendosi solo così una vera donna. E’ proprio in questa visione distorta e deviata della mente umana che il film gioca, utilizzando la “Sfinge dalla testa di morto” come simbolo riconoscitivo e messaggera del nostro assassino e la metamorfosi che egli stesso attua sul proprio corpo attraverso la morte delle sue vittime che con il loro corpo -o la parte migliore e più utile per luigli permettono di dare nuova vita e forma voluta al proprio corpo.


Per quanto sopra, quindi, nulla è stato dato al caso od è inserito per il puro piacere di manipolare la mente o il pensiero delle persone; quindi, se è vero che sono messaggi “subliminali” è pur vero che trattasi di riferimenti storici, artistici e culturali; non altro. Ritornando al film: "Il Silenzio degli Innocenti" può essere visto come una lunga seduta psicanalitica dove la dicotomia tra sano/malato, bene/male, vita/morte è messa in scena attraverso lo spazio e gli elementi profilmici; la prigione, l'ospedale psichiatrico, la casa di Buffalo Bill, l'obitorio, l’FBI. Un forte richiamo storico e culturale presente all’interno del film, inoltre, è quello che il Dott. Lechter propone alla protagonista. La “semplicità intellettuale” di cui parla Lechter richiamando Marco Aurelio è un riferimento all’aphateia descritta dall’imperatore romano, che descrive come l’aspirante saggio non deve fuggire al male, ma abituarsi a guardarlo in faccia per poterlo neutralizzare, restando così immune al suo fascino. E’ proprio quello che succede durante il film, quando l’investigatrice Clarice (il bene) parla con Lechter (il male), gli sguardi contrapposti sono diretti e intensi, come se entrambi cercassero di leggere l'anima l’uno dell’altro e, nonostante lo sguardo profondo e malato del dott. Lechter che rappresenta il male, la nostra protagonista riesce a contrastarlo, non vi si sottomette, ma indaga a sua volta l’essere malefico di fronte a lei, emerso dalle tenebre della sua cella in cui è segregato, per dare delle risposte e la verità sul volto del male che, del resto, è l'unico scopo che lei deve raggiungere anche nella storia del film. Come possiamo notare il film è carico di messaggi celati che bisogna decriptare per capire il vero senso dei gesti presenti nelle inquadrature, del significato delle parole e dei comportamenti dei vari personaggi. E’ un film che si basa sulla natura che l'uomo cerca solitamente di tenere più nascosta e che si trova dentro il cervello, spesso nelle parti meno note o più dimenticate e, forse, anche oltre. Si basa su un’analisi del suo funzionamento dal punto di vista psicologico e che nello stesso tempo analizza -in maniera per niente celata- il ruolo e la funzione della Vanitas all’interno dell’esistenza umana. Un costante ammonimento alla effimera e fugace condizione dell’uomo stesso nel quale il male è sempre nascosto o isolato, ma sempre in agguato e spinge verso di sè per poi nutrirsi della nostra carne mortale ed il suo volto non è un teschio anonimo e immobile ma si materializza ed ha il volto di un altro essere umano. Una persona colta ma caratterizzata da uno sguardo indagatore e penetrante e da una voce a tratti anche calma e suadente, fors'anche ipnotica, ma sempre pronto a nutrirsi della carne mortale: Hannibal Lechter.


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