Numero 1/2017 - Trimestrale - Poste Italiane S.p.a. - Spedizione in abbonamento postale - D.L.353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 2 - CNS/CBPA/sud/BENEVENTO/109/2007
Rivista francescana fondata a Ravello nel 1925
Luceerafica S
Aleppo cittĂ morta
Papa Francesco 80 anni
La riforma della Chiesa
Quale futuro per i giovani del Sud
Fra Egidio è tornato a casa
Una riflessione-meditazione di Papa Francesco a par tire dalla Scrittura
Papa Francesco
MATTEO il Vangelo del compimento A cura di Gianffranco Venturi
Codice 9900-1 – Prezzo: € 24,00 Ordini: commerciale@lev.va • Tel. 06.698.81032 • www.libreriaeditricevaticana.va
SOMMARIO Luce Serafica 1/2017
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EDITORIALE Ci scrivono... 80 anni. Auguri Papa Francesco IL DOPO IL GIUBILEO Fermati, e fa’ memoria Il “viaggio” giubilare della misericordia Intervista all’arcivescovo Rino Fisichella Bilancio dello storico Agostino Giovagnoli “Alzati, va’ e non temere” Ecumenismo Papa Francesco e Kirill CHIESA IN CAMMINO La Chiesa da riformare Famiglia e vita Prospettive di cammino I Giovani - Sinodo 2018 L’università dialogo nelle differenze “Laudato si’” Grandi città a confronto Testimoni SGUARDI SUL MONDO 2017 Europa America Medio Oriente Asia Africa Italia FRANCESCANESIMO Il ritorno a casa di fra Egidio Ravello tre anni con Kolbe e Mansi Contemplazione francescana Trent’anni di Spirito di Assisi LIBRI Il nuovo libro intervista con Benedetto XVI Chiese rupestri a Matera “Amoris laetitia” Capitolo ottavo “Chi uccide i cristiani” EVENTI 2017
Editoriale Gianfranco Grieco
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Vogliamo un Paese normale Non possiamo permetterci di essere ingenui. Sappiamo che da varie parti siamo tentati di vivere in questa logica del privilegio che ci separa -separando, che ci esclude -escludendo, che ci rinchiude -rinchiudendo i sogni e la vita di tanti nostri fratelli. Papa Francesco, Omelia ai Vespri, 31 dicembre 2016
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terci il lusso di continuare a fare finta che non esistono”. D’altronde, ad attendere risposte concrete sono soprattutto le famiglie. Manca una politica di contrasto alle povertà, mentre si trovano 20 miliardi per salvare le banche. Annotava ancora mons. Galantino: “Ma ci rendiamo conto che continuare a ritardare una vita serena delle famiglie significa ritardare le condizioni perché questo nostro Paese cominci ad essere un po’ più pacificato e non stia in balia del primo populista che si alza? Il populismo non si combatte facendo altro populismo”. Inoltre, il segretario generale della Cei esprimeva giustamente preoccupazione per una possibile legge sul fine vita: “Una legge che riguarda l’eutanasia, che riguardi questo ambito particolare, la dichiarazione di fine vita, una legge che attribuisce tutto il potere all’autodeterminazione della persona, evidentemente non può essere accettata. Una legge che smonta quella sorta di alleanza tra paziente, medico e famigliari finisce per essere soltanto il trionfo, ancora una volta, dell’individualismo. A quando, quindi, un Paese normale dove ciascuno stia al suo posto unicamente per servire e per lavorare per il bene comune? Registriamo una invasione di campo che disturba. I politici facciano il loro dovere di politici; i magistrati servano e promuovano la giustizia; i sindacati lavorino per la crescita umana ed economica di chi fatica in fabbrica, nella scuola, nei cantieri. Manca, molto spesso, il senso dell’appartenenza, del sentirsi comunità. Troppe bandiere sventolano a vuoto. Ci accompagni, per il futuro da costruire, la forza e la dinamica culturale e spirituale che ha segnato la stagione più florida degli anni belli che abbiamo dietro alle spalle.
a ci vuole proprio tanta fatica per essere un Paese normale? Un amico cardinale latino americano che già da alcuni anni ha raggiunto l’altra sponda della vita, amava usare una parola a dir poco originale, che nella sua buona conoscenza della nostra lingua non corrisponde esattamente alla normale accezione che solitamente diamo. La parola è curiosa. Per noi ha un significato ben preciso, ma, in lingua spagnola, vuol dire molto di più. Forse, vuol dire anche incomprensibile, instabile, senza spina dorsale, oggi la pensa in un modo e domani in un altro, e così via … “Non è normale che in un Paese la magistratura debba supplire alla politica; si guardino i problemi del Paese, a cominciare dalla situazione della famiglie”. È quanto, in sostanza rilevava il 25 gennaio scorso il segretario generale della Cei, mons. Nunzio Galantino, nella conferenza stampa di chiusura del Consiglio permanente. Oltre 7 milioni sono stati stanziati per le diocesi colpite dal sisma. Un esempio concreto della vicinanza della Cei alla gente che soffre; una vicinanza che si fa ancor più concreta con la presenza in quei territori di tanti religiosi. Ma, questo non ha fatto notizia. È, come sempre, soprattutto l’attualità istituzionale a tenere banco. Per il segretario generale della Cei, Galantino, il fatto che tra Camera e Senato ci siano due leggi elettorali diverse, vuol dire che è dovuta intervenire la magistratura perché “la politica non ha fatto il suo mestiere”, e questo “non è normale”. L’alternativa sono le elezioni? “Le elezioni, - ha spiegato ancora - in qualsiasi momento avvengono, devono però essere il modo concreto attraverso le quale i nostri rappresentanti dicono: 'Se questi sono i problemi, noi vogliamo provare a risolverli', quindi non a rimandarli ancora. Molto spesso rimandare le elezioni significa anche rimandare i problemi per non sentirsi pressati dai problemi. I problemi sono tali in questo momento che non possiamo permet5
ci scrivono...
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La foto dei lettori
Far conoscere la splendida figura del Beato Bonaventura
Roma, 30 novembre 2016 Caro fra Gianfranco, il Signore ti dia pace! Tempo fa ho ricevuto una copia del libro:”Beato Bonaventura da Potenza: Itineranza e spiritualità, da scritto insieme al compianto fra Cristoforo bove, del quale nel testo sono raccolti i contributi apparsi sulla rivista:”Beato Bonaventura da Potenza”. Grazie di questo omaggio e del tuo impegno nel far conoscere la splendida figura del Beato Bonaventura. Fraternamente, Fra Marco Tasca Ministro generale
Da Assisi a Ravello
Assisi, Santo Natale 2016 Rallegrandomi per la recente pubblicazione “Beato Bonaventura da Potenza”, con gratitudine … Un caro ricordo. Fra Mauro Gambetti Custode del Sacro Convento e Comunità dei Frati Minori Conventuali
L’eminente personalità del Beato Roma, 12 dicembre 2016 Caro Padre Gianfranco, il Signore ti dia pace! Alcuni mesi fa ho ricevuto una copia della Sua pubblicazione:”Beato Bonaventura da Potenza. Itineranza e spiritualità”, che raccoglie anche del materiale scritto dal compianto Padre Cristoforo Bove sull’eminente personalità del Beato sepolto a Ravello. Questa mia è per dirLe grazie! So di arrivare con molto ritardo, ma la morte di mio padre, avvenuta nel mese di ottobre e gli impegni del mio servizio mi hanno impedito di scrivere prima. Lo faccio ora, alle soglie del periodo natalizio, cogliendo questa gradita occasione per porgerLe anche fraterni auguri di buone feste! Fraternamente Fra Roberto Brandinelli Guardiano del Convento dei Santi XII Apostoli
COMITATO DI REDAZIONE Orlando Todisco Edoardo Scognamiglio Salvatore Amato Iman Sabbah Emanuela Vinai Assunta Cefola Luigi Buonocore Emiliano Amato Boutros Naaman Mohammad Djafarzadeh Foto di copertina Nostro archivio
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Hanno collaborato: Hélène Destombes Francesca Sabatinelli Card. Kurt Koch Card. Lorenzo Baldisseri Gianfranco Grieco Mohammad Djafarzadeh Giorgio Tufano Leonardo Mollica
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Edoardo Scognamiglio Raffaele Di Muro Federico Lombardi Cettina Militello Adriana Masotti Nello Amato Gianni Bella
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«Fermati, e fa’ memoria» “
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a Chiesa vuole che noi facciamo memoria: “Fermati, e fa’ memoria. Guarda indietro, guarda la strada”. La memoria: questo atteggiamento deuteronomico che dà all’anima tanta forza. La memoria che la Scrittura stessa sottolinea come modo di pregare, di incontrare Dio. «Ricordatevi i vostri capi», ci dice l’autore della Lettera agli Ebrei (13,7). «Richiamate alla memoria quei primi giorni …» (Eb 10,32): la stessa cosa. E poi, nella stessa Lettera, quella schiera di testimoni, nel capitolo XI, che hanno fatto strada per arrivare alla pienezza dei tempi: “Fate memoria, guardate indietro per poter andare meglio avanti”. Questo è il significato della giornata liturgica di oggi: la grazia della memoria. Bisogna chiedere questa grazia: non dimenticare. È proprio dell’amore il non dimenticare; è proprio dell’amore l’avere sempre sotto gli occhi tanto, tanto bene che abbiamo ricevuto; è proprio dell’amore guardare la storia: da dove veniamo, i nostri padri, i nostri antenati, il cammino della fede… E questa memoria ci fa bene, perché rende ancora più intensa questa vigilante attesa del Natale. Un giorno quieto. La memoria che prende dall’inizio l’elezione del popolo: «Gesù Cristo, Figlio di Davide, Figlio di Abramo» (Mt 1,1). Il popolo eletto, che cammina verso una promessa con la forza dell’alleanza, delle successive alleanze che va facendo. Così è il cammino del cristiano, così è il nostro cammino, semplice. Ci è stata fatta una promessa, ci è stato detto: cammina alla mia presenza e sii irreprensibile come è nostro Padre. Una promessa che sarà piena, alla fine, ma che si consolida con ogni alleanza che noi facciamo con il Signore, alleanza di fedeltà; e ci fa vedere che non siamo stati noi a eleggere: ci fa capire che tutti noi siamo stati eletti. L’elezione, la promessa e l’alleanza sono come i pilastri della memoria cristiana, questo guardare indietro per andare avanti. Questa è la grazia di oggi: fare memoria. E quando noi ascoltiamo questo passo del Vangelo, c’è una storia, una storia di grazia, tanto grande; ma anche una storia di peccato. Nella strada sempre troviamo grazia e peccato. Qui, nella storia della salvezza ci sono grandi peccatori, in questa genealogia (cfr Mt 1,1-17), e ci sono dei santi. E anche noi, nella nostra vita, troveremo lo stesso: momenti di grande fedeltà al Signore, di gioia nel servizio, e qualche momento brutto di infedeltà, di peccato che ci fa sentire il bisogno della salvezza. E questa è anche la nostra sicurezza, per-
ché quando noi abbiamo bisogno di salvezza, noi confessiamo la fede, facciamo una confessione di fede: “Io sono peccatore, ma Tu puoi salvarmi, Tu mi porti avanti”. E così si va avanti nella gioia della speranza. Nell’Avvento abbiamo incominciato a percorrere questo cammino, aspettando in vigilante attesa il Signore. Oggi ci fermiamo, guadiamo indietro, vediamo che il cammino è stato bello, che il Signore non ci ha delusi, che il Signore è fedele. Vediamo anche che sia nella storia, sia nella nostra vita ci sono stati momenti bellissimi di fedeltà e momenti brutti di peccato. Ma il Signore è lì, con la mano protesa per rialzarti e dirti: “Vai avanti!”. E questa è la vita cristiana: vai avanti, verso l’incontro definitivo. Questo cammino di tanta intensità, in vigilante attesa che venga il Signore, non ci tolga mai la grazia della memoria, di guardare indietro tutto quello che il Signore ha fatto per noi, per la Chiesa, nella storia della salvezza. E così capiremo perché oggi la Chiesa fa leggere questo passo che può sembrare un po’ noioso, ma qui c’è la storia di un Dio che ha voluto camminare con il suo popolo e farsi, alla fine, un uomo, come ognuno di noi. Che il Signore ci aiuti a riprendere questa grazia della memoria. “Ma è difficile, noioso, ci sono tanti problemi…”. L’autore della Lettera agli Ebrei ha una frase bellissima per le nostre lamentele, bellissima: “Stai tranquillo, ancora non sei 8
80 anni arrivato a dare il sangue” (cfr 12,4). Anche un po’ di umorismo, da parte di quell’autore ispirato, per aiutarci ad andare avanti. Il Signore ci dia questa grazia”. Saluto al termine della santa Messa “Vorrei ringraziarvi per questa concelebrazione, per questo accompagnarmi in questo giorno: grazie tante! E Lei, Eminenza, Cardinale decano, per le Sue parole tanto sentite: grazie tante! Da alcuni giorni mi viene in mente una parola, che sembra brutta: vecchiaia. Spaventa, almeno, spaventa … Anche ieri, per farmi un dono, mons. Cavaliere mi ha regalato il De senectute di Cicerone - una goccia in più… Ricordo quello che ho detto a voi il 15 marzo [2013], nel nostro primo incontro: “La vecchiaia è sede di saggezza”. Speriamo che anche per me sia questo. Speriamo che ci sia così! Mi viene in mente anche quel poema … credo di Plinio: «Tacito pede lapsa vetustas» [Ovidio]: con passo silenzioso ti viene addosso la vecchiaia. È un colpo! Ma quando uno la pensa come una tappa della vita che è per dare gioia, saggezza, speranza, uno ricomincia a vivere. E mi viene in mente anche un’altra poesia che vi ho citato quel giorno a voi: «La vecchiaia è tranquilla e religiosa» – «Es ist ruhig, das Alter, und fromm» [Hölderlin]. Pregate perché la mia sia così: tranquilla, religiosa e feconda. E anche gioiosa. Grazie”. PAPA FRANCESCO, Omelia 17 dicembre 2016
HA DETTO “Oggi ci fermiamo, guadiamo indietro, vediamo che il cammino è stato bello, che il Signore non ci ha delusi, che il Signore è fedele. Vediamo anche che sia nella storia, sia nella nostra vita ci sono stati momenti bellissimi di fedeltà e momenti brutti di peccato. Ma il Signore è lì, con la mano protesa per rialzarti e dirti: “Vai avanti!”. E questa è la vita cristiana: vai avanti, verso l’incontro definitivo. Questo cammino di tanta intensità, in vigilante attesa che venga il Signore, non ci tolga mai la grazia della memoria, di guardare indietro tutto quello che il Signore ha fatto per noi, per la Chiesa, nella storia della salvezza. E così capiremo perché oggi la Chiesa fa leggere questo passo che può sembrare un po’ noioso, ma qui c’è la storia di un Dio che ha voluto camminare con il suo popolo e farsi, alla fine, un uomo, come ognuno di noi”. PAPA FRANCESCO, Omelia 17 dicembre 2016 9
Il “viaggio” giubilare della misericordia
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esù Cristo è il volto della misericordia del Padre. Sono le prime parole di “Misericordiae Vultus”, la Bolla di indizione del Giubileo Straordinario della Misericordia che si è concluso domenica 20 novembre. Significativa la data dell’apertura: l’8 dicembre 2015, a cinquant’anni dalla conclusione del Concilio Vaticano II e Solennità dell’Immacolata Concezione della Vergine Maria, così come quella di chiusura, la Solennità di Cristo Re dell’Universo, che coincideva con la fine dell’Anno liturgico, 20 novembre. Un Giubileo d'eccezione per molti aspetti, fra cui la presenza fin dall'inaugurazione di un Papa emerito, Benedetto XVI. Referente per l'organizzazione è stato mons. Rino Fischella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione. Ripercorriamo le tappe più significative. Il Buon Pastore che si carica l’uomo sulle spalle. Il logo del Giubileo è una catechesi simbolica di questo Anno Santo che vuole portare nel mondo l’amore di Dio. Una mission testimoniata dai tanti brani del Vangelo protagonisti: dal Figliol Prodigo al Buon Samaritano fino alla chiamata di Matteo. Una mission sintetizzata da motto stesso del Giubileo, “Misericordiosi come il Padre”. Il Giubileo Straordinario della Misericordia è infatti legato a doppio filo al Concilio Vaticano II: “era giunto il tempo di annunciare il Vangelo in modo nuovo”, sottolinea il Papa nella Bolla di indizione. Cuore dell’invito del Papa è, dunque, che i cristiani siano strumenti di misericordia. Il Papa apre la Porta Santa prima a Bangui e poi a Roma Oltre 20 milioni i pellegrini che sono venuti a Roma per un Giubileo che per la prima volta nella storia ha dato la possibilità di aprire la Porta della Misericordia anche nelle singole diocesi. E non sono finite qui le peculiarità di questo Anno Santo: Francesco ha aperto la Porta Santa prima che a San Pietro, a Bangui, nella Repubblica Centrafricana, il 29 novembre dello scorso anno. E dunque in un Paese lacerato dalla guerra civile, simbolo di quelle
periferie dove, per il Papa, bisogna andare e da lì guardare la realtà. Le opere di misericordia corporale e spirituale: gesti semplici ma rivoluzionari Una misericordia che si è fatta carne nei tanti eventi importanti che hanno scandito questo Giubileo, come il 12 giugno con la giornata dedicata ad ammalati e persone disabili, quando per la prima volta in Piazza San Pietro il Vangelo non è stato solo proclamato ma anche rappresentato da un gruppo di persone disabili intellettive per permettere che il testo venisse compreso anche dai pellegrini con problematiche di questo tipo. Il Papa non ha dimenticato i ragazzi, incontrati il 24 aprile, a cui ha chiesto un “programma” alto:"Fate come i campioni sportivi, che raggiungono alti traguardi allenandosi con umiltà e duramente ogni giorno. Il vostro programma quotidiano siano le opere di misericordia: allenatevi con entusiasmo in esse per diventare campioni di vita, campioni di amore! Così sarete riconosciuti come discepoli di Gesù”. Alle opere di misericordia corporale e spirituale, Francesco ha, infatti, dedicato diverse catechesi, spiegando che la vera rivoluzione culturale passa per gesti semplici, che ciascuno può fare: Spesso sono le persone più vicine a noi che hanno bisogno del nostro aiuto. Non dobbiamo andare alla ricerca di chissà quali imprese da realizzare. È meglio iniziare da quelle più semplici, che il Signore ci indica come le più urgenti. In un mondo purtroppo colpito dal virus dell’indifferenza, le opere di misericordia sono il miglior antidoto”. I Venerdì della misericordia Indimenticabili in questo Giubileo, le parole di Francesco tradotte in gesti, come con i Venerdì della misericordia. Basti pensare alle lacrime dei profughi quando è andato a incontrarli nell’isola di Lesbo o a quando è andato a trovare i neonati nel Reparto di neonatologia dell’ospedale San Giovanni di Roma, alcuni con necessità di cure intensive. Il Papa che stringe a sé un malato o un disabile: sono 10
il dopo giubileo socialmente esclusi, ha spiegato cosa sia accogliere:"… senza classificare gli altri in base alla condizione sociale, alla lingua, alla razza, alla cultura, alla religione: davanti a noi c’è soltanto una persona da amare come la ama Dio. Quello che trovo, nel mio lavoro, nel mio quartiere, è una persona da amare, come ama Dio. 'Ma questo è di quel Paese, dell’altro Paese, di questa religione, di un’altra' È una persona che ama Dio e io devo amarla”.
le istantanee che rimarranno impresse come icone di misericordia. Il Papa incontra le donne liberate dalla schiavitù della prostituzione così come i giovani sacerdoti che hanno lasciato il ministero, con le loro famiglie. Il Giubileo dei carcerati e dei socialmente esclusi Chi, poi, meglio dei carcerati può sentire la necessità di una carezza: Francesco li ha accolti, in mille, a San Pietro, il 6 novembre scorso e gli ha annunciato la misericordia di Dio da cui nessuno è escluso:“Non esiste luogo del nostro cuore che non possa essere raggiunto dall’amore di Dio. Dove c’è una persona che ha sbagliato, là si fa ancora più presente la misericordia del Padre, per suscitare pentimento, perdono, riconciliazione, pace”
La Porta Santa si è chiusa ma non il cuore misericordioso di Dio Un Giubileo segnato anche da forti eventi ecumenici e di dialogo interreligioso, dalla Giornata Mondiale della Gioventù come dalla canonizzazione di Madre Teresa di Calcutta, icona della misericordia, che si è chinata su ogni persona incontrata. Così come indimenticabili rimarranno i momenti dedicati a sacerdoti e volontari, famiglie e giovani. Francesco ha voluto parlare a tutti, cristiani e non, per mettere al centro della Chiesa e dell’annuncio cristiano la Misericordia, che non giudica ma perdona. Misericordia, in ebraico "rahamim", viene da "rehem", grembo materno: un amore dunque capace di generare così come la Misericordia rigenera. La Porta Santa dunque si sta per chiudere, ma non il cuore misericordioso di Dio, e, auspica il Papa, i nostri cuori.
I missionari della misericordia Un ulteriore tratto distintivo, voluto dalla Bolla stessa, è stato quello dei “Missionari della Misericordia”, speciali confessori con l’autorità di perdonare anche i peccati riservati alla Sede Apostolica. Il Papa li ha voluti come annunciatori della gioia del perdono. Un Giubileo Straordinario segnato dalle udienze giubilari di sabato mattina, con cui ha dato ai pellegrini la possibilità di incontrarlo oltre alle udienze generali del mercoledì, dedicate quest’anno per lo più alla Misericordia. Proprio nell’udienza giubilare, alla Vigilia dell’incontro con i
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Il Giubileo ha rimesso la misericordia al centro della Chiesa Il Giubileo straordinario della Misericordia si è chiuso con un bilancio assolutamente positivo: è il giudizio dell’arcivescovo. Rino Fischella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione. Hélène Destombes della Radio Vaticana ha rivolto al presule alcune domande: In eredità credo che lasci la grande gioia innanzitutto provocata dal mettere di nuovo al centro della vita della Chiesa la misericordia. La misericordia è innanzitutto fonte di gioia e in un momento così forte di incertezza, di precarietà, del non sapere quale sarà il prossimo futuro, avere la certezza di una speranza cristiana con la quale Dio viene incontro e non ti lascia mai solo, non ti abbandona, ma ti dà la consolazione della sua presenza e della sua vicinanza, credo che sia qualcosa che rimarrà ancora per lungo tempo nel cuore delle persone. Ci sono stati diversi Giubilei con delle tematiche precise durante tutto quest’anno: quali sono stati i momenti più forti? Ma certamente i volti della Misericordia sono tanti, non si possono contare. Direi che i segni più visibili di questa testimonianza sono quelli che in qualche modo sono diventati tangibili nei Venerdì della Misericordia. Papa Francesco, infatti, ha voluto dare dei segni, però sono dei segni che hanno toccato nuove povertà: penso al Papa che visita delle persone, dei giovani anche, che vivono in stato vegetativo e che la società di oggi rifiuta, non vuole neppure sapere della loro esistenza; penso al Papa che va in un hospice e, camera dopo camera, accarezza e abbraccia persone che nel giro di qualche giorno lasceranno questo mondo per l’incontro con il Signore, in una cultura che non vuole pensare alla morte o che relega la morte soltanto a una fiction… Sono tutti questi segni che a mio avviso scuotono, da una parte, una coscienza tiepida e indifferente però mostrano anche il grande impegno che tocca a ciascuno di noi.
Si può dire che Papa Francesco con quest’anno ha voluto risvegliare la Chiesa e darle un nuovo impulso mettendo in luce la sofferenza del corpo e dell’anima, chiamando alla conversione dei cuori? Per il programma pastorale di Papa Francesco è sufficiente riprendere tra le mani la Evangelii gaudium, dove la parola di conversione pastorale è all’ordine del giorno. La conversione pastorale è realmente un segno concreto di come la Chiesa senta il bisogno di mettersi in moto: cioè abbandonando sovrastrutture ormai incoerenti con il momento storico che viviamo e quindi abbandonare anche, soprattutto nell’Occidente, quelle forme di comodità o quelle forme di estrema organizzazione con le quali pensiamo di convertire i cuori. I cuori non si convertono con le sovrastrutture e neppure con ingenti risorse umane: il cuore lo si converte se c’è un annuncio credibile e se questo annuncio è accompagnato da uno stile di vita che è coerente. Quindi, la capacità che la Chiesa oggi si ritrova dinanzi è quella di "uscire", come dice Papa Francesco: cioè l’esigenza di non rimanere arroccata in quelle sicurezze di muraglie cinesi – che, ribadisco, soprattutto nell’Occidente le hanno dato false garanzie - ma invece di ripercorrere la strada di un cammino per incontrare personalmente chiunque si avvicini. E incontrando persone diverse deve sempre essere capace di dare credibilmente l’annuncio della Risurrezione di Gesù. 12
il dopo giubileo
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Giovagnoli Misericordia tema centrale anche dopo il Giubileo Con la chiusura della Porta Santa di San Pietro, si è concluso il Giubileo straordinario della Misericordia, annunciato da Francesco nel marzo del 2015 e iniziato l'8 dicembre 2015. “E’ un cammino che inizia con una conversione spirituale”, diceva allora il Papa spiegando che aveva pensato a un modo in cui la Chiesa avrebbe potuto rendere “più evidente la sua missione di essere testimone della Misericordia”. Per un bilancio di questo Anno Santo straordinario, Francesca Sabatinelli ha intervistato lo storico Agostino Giovagnoli. Credo che il bilancio più importante di questo Anno Santo sia quello di aver portato al centro della predicazione di tanti sacerdoti, della riflessione dei teologi, e via dicendo, il tema della misericordia. E questa è in qualche modo una riforma che è stata introdotta nel modo di pensare e quindi, poi, anche di essere, della Chiesa cattolica di tutto il mondo. Questo non è poco, è certamente un passo in avanti, che ha coinvolto tanti e che ha portato a comprendere qualcosa che poi è al centro anche del messaggio conciliare!
stato anche accolto da tutti ma, certamente, ha incontrato quelle resistenze che vogliono mantenere questo tema ai margini della vita di fede, della vita della Chiesa. Questa è certamente una questione cruciale di questo Pontificato, ed è anche un problema della Chiesa contemporanea, perché questo non è un messaggio che può essere archiviato, messo da parte, o inserito come tante altre cose, con la stessa importanza. Il povero è Cristo, l’incontro con il povero è esperienza di fede, dunque non è assolutamente qualche cosa di marginale. E credo che questo Anno Santo abbia contribuito molto a rendere questo discorso centrale per la fede di tanti.
Le ultime due domeniche giubilari sono state rivolte ai detenuti e poi ai senza fissa dimora, agli emarginati. Quanto di questo messaggio di carità, fortemente voluto da Papa Francesco, arriva a tutti quei fedeli che forse guardano con fastidio a queste categorie di persone, che sono gli ultimi, ma che sono stati gli “eletti” di quest’Anno Straordinario? Nella Evangelii Gaudium, Papa Francesco ha parlato dell’attenzione ai poveri, della scelta preferenziale per i poveri, come di qualche cosa che sicuramente avrebbe incontrato molte resistenze e molte difficoltà. È stato “profeta”, possiamo dire, perché certamente il suo messaggio è molto chiaro ed è, credo, arrivato ancora di più, durante questo Anno Santo della Misericordia, a tutti. E’
Questo è stato un "Giubileo delle periferie"; è stato aperto da Papa Francesco nella Repubblica Centrafricana, a Bangui; sono state aperte Porte Sante che per la prima volta non davano su cattedrali, su basiliche, come quella della “carità”, aperta all’ostello della Caritas di Roma di Via Marsala. Cosa ha significato questo per i fedeli? Io credo che la scelta del Giubileo “diffuso” sia stata la scelta di innestare lo straordinario nell’ordinario. 13
contri con i leader cristiani, i rappresentanti di altre Chiese, con il Patriarca Bartolomeo, e tanti altri incontri. Si è parlato di una “accelerazione del cammino ecumenico”. Anche la partecipazione alle celebrazioni per i 500 anni di Lutero va in questa direzione, così come il dialogo per la pace condiviso con altri leader religiosi ad Assisi: ecco, questi gesti indicano una volontà di imporre il Dio della misericordia, anche come riferimento fondamentale del percorso ecumenico. Questo, certamente, ha reso ancora più evidente la volontà di connettere il cammino di oggi della Chiesa con l’esperienza conciliare, ciò che il Papa ha richiamato come “inizio” di un percorso, che ha trovato in quest’Anno non una definitiva applicazione, perché certamente c’è ancora molto Quali gesti, quali immagini di Papa Francesco, da fare, ma un momento di certo tra i più signifinell’arco di questo Anno Giubilare, sono rimasti cativi di questo lungo proseguire, che sta portando la Chiesa a essere sempre più simile a quella più impressi e rimarranno più nella storia? I gesti più importanti sono stati certamente gli in- immaginata dai padri del Concilio.
Ecco, credo che l’idea che ha accompagnato questo Anno Santo sia che quest’ultimo non finisce nella sua eccezionalità e nella sua straordinarietà: deve prolungarsi. E in questo rientra anche la diffusione nelle periferie, anzi: è cominciato dalle periferie. In questo modo il Papa ha allargato il coinvolgimento di tutti coloro che non potevano venire a Roma per tanti motivi. Anche se io credo che non vada sottovalutato che comunque venti milioni di pellegrini sono venuti a visitare la città del Papa, questo sta a indicare che non si tratta di un banale decentramento, ma di una diffusione di uno spirito, di un’esperienza, di una direzione di cammino che, tuttavia, non incrina il senso dell’unità e della comunione cattolica.
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Vocazioni e santità: io sono una missione Nell’Aula Paolo VI, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in udienza, giovedì 5 gennaio 2017, i partecipanti al Convegno promosso dall’Ufficio nazionale per la Pastorale delle vocazioni della Conferenza episcopale italiana (CEI), sul tema “Alzati, va’ e non temere. Vocazioni e Santità: io sono una missione” (Roma, 3-5 gennaio 2017). Di seguito riportiamo il discorso che il Santo Padre ha consegnato ai partecipanti all’udienza.
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l termine del vostro Convegno di pastorale vocazionale, organizzato dall’Ufficio della Conferenza Episcopale Italiana, sono lieto di potervi accogliere e incontrare. Ringrazio Mons. Galantino per le sue cortesi parole; e mi congratulo per l’impegno con cui portate avanti questo appuntamento annuale, nel quale si condivide la gioia della fraternità e la bellezza delle diverse vocazioni. Davanti a noi si apre l’orizzonte e il cammino verso l’Assemblea sinodale del 2018, sul tema “Giovani, fede e discernimento vocazionale”. Il “sì” totale e generoso di una vita donata è simile ad una sorgente d’acqua, nascosta da tanto tempo nelle profondità della terra, che attende di sgorgare e scorrere all’esterno, in un rivolo di purezza e freschezza. I giovani oggi hanno bisogno di una sorgente d’acqua fresca per dissetarsi e poi proseguire il loro cammino di ricerca. «I giovani hanno il desiderio di una vita grande. L’incontro con Cristo, il lasciarsi afferrare e guidare dal suo amore allarga l’orizzonte dell’esistenza e dona una speranza solida che non delude» (Enc. Lumen fidei, 53). In questo orizzonte si colloca anche il vostro servizio, con il suo stile di annuncio e di accompagnamento vocazionale. Tale impegno richiede passione e senso di gratuità. La passione del coinvolgimento personale, nel saper prendervi cura delle vite che vi sono consegnate come scrigni che racchiudono un tesoro prezioso da custodire. E la gratuità di un servizio e ministero nella Chiesa che richiede grande rispetto per coloro di cui vi fate compagni di cammino. È l’impegno di cercare la loro felicità, e questo va ben oltre le vostre preferenze e aspettative. Faccio mie le parole di Papa Benedetto XVI: «Siate seminatori di fiducia e di speranza. È infatti profondo il senso di smarri-
mento che spesso vive la gioventù di oggi. Non di rado le parole umane sono prive di futuro e di prospettiva, prive anche di senso e di sapienza. [...] Eppure, questa può essere l’ora di Dio» (Discorso ai partecipanti al Convegno europeo sulla pastorale vocazionale, 4 luglio 2009). Per essere credibili ed entrare in sintonia con i giovani, occorre privilegiare la via dell’ascolto, il saper “perdere tempo” nell’accogliere le loro domande e i loro desideri. La vostra testimonianza sarà tanto più persuasiva se, con gioia e verità, saprete raccontare la bellezza, lo stupore e la meraviglia dell’essere innamorati di Dio, uomini e donne che vivono con gratitudine la loro scelta di vita per aiutare altri a lasciare una impronta inedita e originale nella storia. Ciò richiede di non essere disorientati dalle sollecitazioni esteriori, ma di affidarci alla misericordia e alla tenerezza del Signore ravvivando la fedeltà delle nostre scelte e la freschezza del “primo amore” (cf Ap 2,5). La priorità dell’annuncio vocazionale non è l’efficienza di quanto facciamo, ma piuttosto l’attenzione privilegiata alla vigilanza e al discernimento. È avere uno sguardo capace di scorgere la positività negli eventi umani e spirituali che incontriamo; un cuore stupito e grato di fronte ai doni che le persone portano in sé, mettendo in luce le potenzialità più dei limiti, il presente e il futuro in continuità col passato. C’è bisogno oggi di una pastorale vocazionale dagli orizzonti ampi e dal respiro di comunione; capace di leggere con coraggio la realtà così com’è con le fatiche e le resistenze, riconoscendo i segni di generosità e di bellezza del cuore umano. C’è l’urgenza di riportare dentro alle comunità cristiane una nuova “cultura vo15
pastorale vocazionale
«Alzati, va’ e non temere»
cazionale”. «Fa parte ancora di questa cultura vocazionale la capacità di sognare e desiderare in grande, quello stupore che consente di apprezzare la bellezza e sceglierla per il suo valore intrinseco, perché rende bella e vera la vita» (Pont. Opera per le Vocazioni, Nuove vocazioni per una nuova Europa, 8 dicembre 1997, 13b). Cari fratelli e sorelle, non stancatevi di ripetere a voi stessi: “io sono una missione” e non semplicemente “io ho una missione”. «Bisogna riconoscere sé stessi come marcati a fuoco da tale missione di illuminare, benedire, vivificare, sollevare, guarire, liberare» (Esort. ap. Evangelii gaudium 273). Essere missione permanente richiede coraggio, audacia, fantasia e voglia di andare oltre, di andare più in là. Infatti, “Alzati, va’ e non temere” è stato il tema del vostro Convegno. Esso ci aiuta a fare memoria di molte storie di vocazione, in cui il Signore in-
vita i chiamati ad uscire da sé per essere dono per gli altri; ad essi affida una missione e li rassicura: «Non temere, perché io sono con te» (Is 41,10). Questa sua benedizione si fa incoraggiamento costante e appassionato per poter andare oltre le paure che rinchiudono in sé stessi e paralizzano ogni desiderio di bene. È bello sapere che il Signore si fa carico delle nostre fragilità, ci rimette in piedi per ritrovare, giorno dopo giorno, l’infinita pazienza di ricominciare. Sentiamoci sospinti dallo Spirito Santo a individuare con coraggio strade nuove nell’annuncio del vangelo della vocazione; per essere uomini e donne che, come sentinelle (cf Sal 130,6), sanno cogliere le striature di luce di un’alba nuova, in una rinnovata esperienza di fede e di passione per la Chiesa e per il Regno di Dio. Ci spinga lo Spirito ad essere capaci di una pazienza amorevole, che non teme le inevitabili lentezze e resistenze del cuore umano. 16
La riforma, occasione per promuovere unità da Città del Vaticano
CARD. KURT KOCH PRESIDENTE DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA PROMOZIONE DELL'UNITÀ DEI CRISTIANI
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’incontro del Papa a Lund con i luterani - spiega il cardinale Koch - “non è stato soltanto accolto con gratitudine, ma ha incontrato anche critiche e opposizioni. Mentre, da parte cattolica, si è temuta una deriva protestante del cattolicesimo, da parte protestante si è parlato di un tradimento della Riforma”. Invece osserva - la commemorazione di questo anniversario “si presenta a entrambe le parti come un gradito invito a dialogare su ciò che i cattolici possono imparare dalla Riforma e su ciò che i protestanti possono trarre dalla Chiesa cattolica come arricchimento per la propria fede”, superando ogni tono fazioso e polemico. Innanzitutto, spiega il porporato, la pubblicazione delle tesi sulle indulgenze il 31 ottobre 1517 “non deve essere vista come l’inizio della Riforma che ha portato alla divisione dell’unità della Chiesa. Né le tesi vanno consi-
HA DETTO “Mentre camminiamo sulla via dell’unità, quest’anno ricordiamo in modo particolare il quinto centenario della Riforma protestante. Il fatto che oggi cattolici e luterani possano ricordare insieme un evento che ha diviso i cristiani, e lo facciano con speranza, ponendo l’accento su Gesù e sulla sua opera di riconciliazione, è un traguardo notevole, raggiunto grazie a Dio e alla preghiera, attraverso cinquant’anni di conoscenza reciproca e di dialogo ecumenico”. Papa Francesco, san Paolo fuori le mura, omelia dei vespri, 25 gennaio 2017
derate come un documento rivoluzionario; esse riflettevano anche una preoccupazione cattolica e si muovevano nel quadro di quanto poteva affermare la stessa teologia cattolica del tempo”. Martin Lutero allora “non voleva assolutamente la rottura con la Chiesa cattolica
“Amo ripetere che l’unità dei cristiani si fa camminando insieme, con l’incontro, la preghiera e l’annuncio del Vangelo”. Papa Francesco, 25 gennaio 2017
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ecumenismo
Card. Kurt Koch
e la fondazione di una nuova Chiesa, ma aveva in mente il rinnovamento dell’intera cristianità nello spirito del Vangelo. A Lutero premeva una riforma sostanziale della Chiesa e non una Riforma che portasse alla disgregazione dell’unità della Chiesa. Il fatto che, all’epoca, questa sua idea di riforma non abbia potuto realizzarsi è dovuto in buona parte a fattori politici. Mentre, all’origine, il movimento riformatore era un movimento di rinnovamento all’interno della Chiesa, la nascita di una Chiesa protestante è soprattutto il risultato di decisioni politiche”. Perciò – osserva il cardinale Koch – “poiché il rinnovamento di tutta la Chiesa era il vero scopo della riforma di Lutero, la divisione della Chiesa, la nascita di una Chiesa protestante e la separazione di comunità ecclesiali protestanti dalla Chiesa cattolica devono essere considerati non come un esito positivo della Riforma, ma come espressione del suo provvisorio fallimento”. La commemorazione del 2017 - sottolinea ancora il porporato - deve essere intesa dunque “come un invito a ritornare alla preoccupazione originaria di Martin Lutero” alla luce di tre concetti chiave. Il primo è la gratitudine per i 50 anni di intenso dialogo tra cattolici e luterani che ha portato alla Dichiarazione comune sulla dottrina della giustificazione firmata il 31 ottobre 1999 ad Augsburg: “Poiché proprio in merito alla questione centrale che stava a cuore a Martin Lutero, la questione che condusse nel XVI secolo alla Riforma e in seguito alla divisione della Chiesa, è stato possibile raggiungere
un consenso su ‘verità fondamentali’, questa dichiarazione può essere considerata come una vera e propria pietra miliare ecumenica”. Il secondo concetto chiave è il riconoscimento reciproco delle proprie colpe e il pentimento, in particolare per le guerre religiose scoppiate nel XVI e XVII secolo in Europa “che videro i cristiani combattere gli uni contro gli altri in scontri cruenti, tra i quali ricordiamo soprattutto la guerra dei Trent’anni, che trasformò l’Europa in un mare rosso di sangue”. “Un atto di pentimento pubblico deve pertanto essere parte integrante di un’autentica commemorazione della Riforma. E deve essere accompagnato da quella purificazione della memoria storica a cui ha appellato Papa Francesco dicendo: «Non possiamo cancellare ciò che è stato, ma non vogliamo permettere che il peso delle colpe passate continui a inquinare i nostri rapporti. La misericordia di Dio rinnoverà le nostre relazioni»”. Il terzo concetto chiave è la speranza che una commemorazione comune della Riforma possa permettere “di compiere ulteriori passi verso una comunione ecclesiale vincolante. Quest’ultima deve rimanere l’obiettivo di ogni sforzo ecumenico e, pertanto, è anche e precisamente a essa che deve mirare la commemorazione della Riforma. Dopo cinquecento anni di divisione, dopo aver vissuto per un lungo periodo in modo contrapposto o parallelo, dobbiamo imparare a vivere gli uni insieme agli altri vincolati più saldamente, e dobbiamo farlo già oggi”. 18
Un anno fa l’incontro a Cuba “
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ome per ogni evento storico, ci vorrà indubbiamente del tempo perché l’incontro de L’Avana e la Dichiarazione comune possano dare i loro frutti”. Ad un anno dall’incontro del Papa con Kirill, Patriarca di Mosca e di tutta la Russia, avvenuto a Cuba, il card. Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, ha partecipato all’Università di Friburgo, ad una commemorazione dello storico evento, insieme al metropolita Hilarion, presidente del Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne del patriarcato ortodosso. Il card. Koch nel suo intervento ha evidenziato tre possibili direzioni da percorrere, a partire dalla Dichiarazione comune: l’ecumenismo dei santi, l’ecumenismo culturale e l’ecumenismo dell’azione comune. Il primo ambito di ordine spirituale parte dal fatto che le due Chiese condividano una comune tradizione spirituale del primo millennio del cristianesimo. Oltre allo scambio di reliquie o di icone, che conferirebbe una dimensione più popolare e pastorale alla Chiesa e all’intensificarsi delle relazioni fraterne tra le due Chiese, si potrebbe aspirare ad un riconoscimento reciproco di alcuni santi affinché, come
sottolinea il Papa, intercedano per la piena unità della Chiesa. Il secondo ambito, quello culturale, sottolinea l’importanza del conoscere la cultura degli altri per riconoscerne i doni ed imparare gli uni dagli altri, come raccomanda Papa Francesco. Iniziative a questo proposito sono state le visite di studio reciproche a Roma e a Mosca di giovani sacerdoti ortodossi e cattolici per superare i pregiudizi ed avere uno scambio di idee sulle preoccupazioni pastorali. Dal 14 al 21 maggio dieci giovani sacerdoti ortodossi del
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patriarcato di Mosca sono stati ospitati a Roma mentre dal 26 agosto al 4 settembre dieci giovani sacerdoti cattolici hanno fatto una visita di studio a Mosca e a San Pietroburgo. Il terzo ambito sull’ecumenismo pratico concerne la situazione dei cristiani in Medio Oriente, la libertà religiosa, la solidarietà con i poveri, la famiglia e i giovani. Il card. Koch esprime quindi l’importanza dell’approfondimento delle relazioni bilaterali che potrà avere conseguenze positive sul dialogo teologico internazionale.
ecumenismo
Papa Francesco e Kirill
Alle ore 10.30 di giovedì 22 dicembre, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza i Cardinali e i Superiori della Curia Romana per la presentazione degli auguri natalizi. Nel corso dell’incontro, il Papa ha rivolto alla Curia Romana il discorso che riportiamo. orrei iniziare questo nostro incontro porgendo i miei cordiali auguri a tutti voi, Superiori, Officiali, Rappresentanti Pontifici e Collaboratori nelle Nunziature sparse nel mondo, a tutte le persone che prestano servizio nella Curia Romana, e ai vostri familiari. Auguri di un santo e sereno Natale e un felice anno nuovo 2017. Contemplando il volto del Bambino Gesù, sant’Agostino esclamò: «Immenso nella natura divina, piccolo nella natura di servo»1. Anche san Macario, monaco del IV secolo e discepolo di sant’Antonio abate, per descrivere il mistero dell’Incarnazione, ricorse al verbo greco smikruno, cioè farsi piccolo quasi riducendosi ai minimi termini: «Udite attentamente: l’infinito, inaccessibile e increato Dio per la sua immensa e ineffabile bontà ha preso un corpo e vorrei dire si è infinitamente diminuito dalla sua gloria»2. Il Natale, quindi, è la festa dell’umiltà amante di Dio, del Dio che capovolge l’ordine del logicamente scontato, l’ordine del dovuto, del dialettico e del matematico. In questo capovolgimento sta tutta la ricchezza della logica divina che sconvolge la limitatezza della nostra logica umana (cfr Is 55,8-9). Scrive Romano Guardini: «Quale capovolgimento di tutti i valori familiari all’uomo – non solo umani, ma anche divini! Veramente questo Dio capovolge tutto ciò che l’uomo pretende di edificare da
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sé»3. Nel Natale noi siamo chiamati a dire «sì», con la nostra fede, non al Dominatore dell’universo e neppure alle più nobili delle idee, ma proprio a questo Dio, che è l’umile-amante. Il beato Paolo VI, nel Natale 1971, affermava: «Dio avrebbe potuto venire vestito di gloria, di splendore, di luce, di potenza, a farci paura, a farci sbarrare gli occhi dalla meraviglia. No, no! È venuto come il più piccolo degli esseri, il più fragile, il più debole. Perché questo? Ma perché nessuno avesse vergogna ad avvicinarlo, perché nessuno avesse timore, perché tutti lo potessero proprio avere vicino, andargli vicino, non avere più nessuna distanza fra noi e Lui. C’è stato da parte di Dio uno sforzo di inabissarsi, di sprofondarsi dentro di noi, perché ciascuno, dico ciascuno di voi, possa dargli del tu, possa avere confidenza, possa avvicinarlo, possa sentirsi da Lui pensato, da Lui amato … da Lui amato: guardate che questa è una grande parola! Se voi capite questo, se voi ricordate questo che vi sto dicendo, voi avete capito tutto il Cristianesimo»4. In realtà, Dio ha scelto di nascere piccolo5, perché ha voluto essere amato6. Ecco come la logica del Natale è il capovolgimento della logica mondana, della logica del potere, della logica del comando, della logica fariseistica e della logica causalistica o deterministica. Proprio sotto questa luce soave e imponente del volto divino di Cristo bambino, ho scelto come
1 Sermo 187,1: PL 38,1001: «Magnus dies angelorum, parvus in die hominum … magnus in forma Dei, brevis in forma servi». 2 Hom. IV, 9: PG 34, 480. 3 Il Signore, Milano 1977, 404. 4 Omelia del 25 dicembre 1971. 5 Cfr San Pietro Crisologo, Sermo 118: PL 52, 617.
6 Santa Teresa di Gesù Bambino – l’innamorata della piccolezza di Gesù – nell’ultima sua lettera, del 25 agosto 1897, indirizzata a un sacerdote che le era stato affidato come “fratello spirituale”, scrisse: «Non posso temere un Dio che per me si è fatto così piccolo! Io lo amo! Infatti egli non è che amore e misericordia» (LT 266: Opere complete, Roma 1997, 606).
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riforma della curia
La Chiesa da riformare non lifting o maquillage
argomento di questo nostro incontro annuale la riforma della Curia Romana. Mi è sembrato giusto e opportuno condividere con voi il quadro della riforma, evidenziando i criteri-guida, i passi compiuti, ma soprattutto la logica del perché di ogni passo realizzato e di ciò che verrà compiuto. In verità, qui mi torna spontaneo alla memoria l’antico adagio che illustra la dinamica degli Esercizi Spirituali nel metodo ignaziano, ossia: deformata reformare, reformata conformare, conformata confirmare e confirmata transformare. Non v’è dubbio che nella Curia il significato della ri-forma può essere duplice: anzitutto renderla con-forme alla Buona Novella che deve essere proclamata gioiosamente e coraggiosamente a tutti, specialmente ai poveri, agli ultimi e agli scartati; con-forme ai segni del nostro tempo e a tutto ciò che di buono l’uomo ha raggiunto, per meglio andare incontro alle esi-
genze degli uomini e delle donne che siamo chiamati a servire7; al tempo stesso si tratta di rendere la Curia più con-forme al suo fine, che è quello di collaborare al ministero proprio del Successore di Pietro8 («cum Ipso consociatam operam prosequuntur», dice il Motu proprioHumanam progressionem), quindi di sostenere il Romano Pontefice nell’esercizio della sua potestà singolare, ordinaria, piena, suprema, immediata e universale9. Di conseguenza, la riforma della Curia Romana è ecclesiologicamente orientata in bonum e in servitium, come lo è il servizio del Vescovo di Roma10, secondo una significativa espressione di Papa san Gregorio Magno, ripresa dal capitolo terzo della costituzione Pastor Aeternus del Concilio Vaticano I: «Il mio onore è quello della Chiesa universale. Il mio onore è la solida forza dei miei fratelli. Io mi sento veramente onorato, quando a ciascuno di loro non viene negato il dovuto onore»11.
7 Cfr Lettera apostolica in forma di Motu proprio con la quale si istituisce il Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, 17 agosto 2016. 8 La Curia Romana ha la funzione di aiutare il Papa nel suo governo quotidiano della Chiesa, ossia nei suoi compiti propri che sono: a) conservare tutti i fedeli «nel vincolo di una sola fede e della carità» e anche «nell’unità della fede e della comunione»; b) «perché l’episcopato fosse uno e indiviso» (Conc. Vat. I, Cost. dogm. Pastor aeternus, Prologo). «Questo santo Sinodo, sull’esempio del Concilio Vaticano primo, insegna e dichiara che Gesù Cristo, Pastore eterno, ha edificato la Santa Chiesa e ha mandato gli apostoli, come egli stesso era stato mandato dal Padre (cfr Gv 20,21), e ha voluto che i loro successori, cioè i vescovi, fossero nella sua Chiesa pastori fino alla fine dei secoli. Affinché poi lo stesso episcopato fosse uno e indiviso, prepose agli altri apostoli il beato Pietro e in lui stabilì il principio e il fondamento perpetuo e visibile dell'unità di fede e di comunione» (Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, 18). 9 Difatti il Concilio Vaticano II, riguardo alla Curia Romana, spiega che «nell'esercizio della sua suprema, piena ed immediata potestà sopra tutta la Chiesa, il romano Pontefice si avvale dei dicasteri della curia romana, che perciò compiono il loro lavoro nel suo nome e nella sua autorità, a vantaggio delle Chiese e al servizio dei sacri pastori» (Decr. Christus Dominus, 9). Così, ci ricorda, anzitutto, che la Curia è un organismo di aiuto per il Papa, e precisa al tempo stesso che il servizio degli organismi della Curia Romana è sempre svolto nomine et auctoritate del medesimo Romano Pontefice. È per questo che l’attività della Curia viene adempiuta in bonum Ecclesiarum et in servitium Sacrorum Pastorum, cioè orientata sia verso il bene delle Chiese particolari, sia al
sostegno dei loro Vescovi. Le Chiese particolari sono «formate ad immagine della Chiesa universale, ed è in esse e a partire da esse che esiste la Chiesa cattolica una e unica» (Lumen gentium, 23). 10 «È, del resto, simile accordo fra il Papa e la Sua Curia una norma costante. Non solo nelle grandi ore della storia tale accordo rivela la sua esistenza e la sua forza; ma sempre esso vige, in ogni giorno, in ogni atto del ministero pontificio, come conviene all’organo d’immediata aderenza e di assoluta obbedienza, del quale il Romano Pontefice si serve per esplicare la Sua universale missione. Ed è questo rapporto essenziale della Curia Romana con l’esercizio dell’attività apostolica del Papa la giustificazione, anzi la gloria della Curia stessa, risultando dal rapporto medesimo la sua necessità, la sua utilità, la sua dignità e la sua autorità; infatti è la Curia Romana lo strumento di cui il Papa ha bisogno, e di cui il Papa si serve per svolgere il proprio divino mandato. Uno strumento degnissimo, a cui non è meraviglia se da tutti e da Noi stessi per primi, tanto si domanda, tanto si esige! La sua funzione reclama capacità e virtù somme, perché appunto è sommo l’ufficio suo. Funzione delicatissima, qual è quella d’essere custode o eco delle divine verità e di farsi linguaggio e dialogo con gli spiriti umani; funzione vastissima, qual è quella che ha per confine l’orbe universo; funzione nobilissima, qual è quella di ascoltare e di interpretare la voce del Papa e al tempo stesso di non lasciar a Lui mancare ogni utile ed obbiettiva informazione, ogni filiale e ponderato consiglio» (Paolo VI, Discorso alla Curia Romana, 21 settembre 1963). 11 Ep. ad Eulog. Alexandrin., epist. 30: PL 77, 933. La Curia Romana «trae dal pastore della Chiesa universale la propria esistenza e competenza. In effetti, essa in 22
forma, per questo, non ha un fine estetico, quasi si voglia rendere più bella la Curia; né può essere intesa come una sorta di lifting, di maquillage oppure di trucco per abbellire l’anziano corpo curiale, e nemmeno come una operazione di chirurgia plastica per togliere le rughe13. Cari fratelli, non sono le rughe che nella Chiesa si devono temere, ma le macchie!
tanto vive e opera, in quanto è in relazione col ministero petrino e su di esso si fonda» (Giovanni Paolo II, Cost. ap. Pastor Bonus, Introd. n. 7; cfr art. 1). 12 La storia attesta che la Curia Romana è in stato di permanente “riforma”, almeno negli ultimi cento anni. «Quella, infatti, annunciata il 13 aprile 2013 col comunicato della Segreteria di Stato giunge come quarta a cominciare da quella attuata da san Pio X con la costituzione Sapienti Consilio del 1908. Questa riforma si rendeva certo urgente nella prospettiva del nuovo ordinamento canonico, già in preparazione; più ancora, tuttavia, si mostrava necessaria già per la fine del potere temporale. La seguì quella realizzata dal beato Paolo VI con la Regiminis Ecclesiae Universae (1967), seguita alla celebrazione del Concilio Vaticano II. Lo stesso Papa aveva previsto un riesame del testo alla luce di una prima sperimentazione. Nel 1988 giunse la costituzione Pastor Bonus di san Giovanni Paolo II, che nell’impianto generale seguiva lo schema montiniano, ma inserisce una diversa classificazione dei diversi organismi e delle loro competenze in sintonia col CIC 1983. All’interno di questi passaggi fondamentali, si registrano altri importanti interventi. Benedetto XV, ad esempio, creò e inserì tra le Congregazioni romane quella per i Seminari (fino a quel momento sezione al-
l’interno della Congregazione Concistoriale) e le Università degli Studi (1915) e l’altra per le Chiese Orientali (1917: in precedenza era costituita come sezione nella S. Congregatio de Propaganda Fide).Giovanni Paolo II fece dei cambiamenti nell’organizzazione curiale anche successivamente a Pastor Bonus e, dopo di lui, significativi interventi li fece pure Benedetto XVI: si pensi all’istituzione del Pontificio Consiglio per la promozione della Nuova Evangelizzazione (2010), al trasferimento delle competenze sui Seminari dalla Congregazione per l’Educazione Cattolica a quella per il Clero e della competenza sulla Catechesi da quest’ultima al Pontificio Consiglio per la promozione della Nuova Evangelizzazione (2013). A ciò si aggiungeranno gli altri interventi di semplificazione, messi a punto nel corso degli anni e alcuni attivi sino ad oggi, con l’unificazione di più Dicasteri sotto un’unica presidenza» (Marcello Semeraro, La riforma di Papa Francesco, Il Regno, Anno LXI, n. 1240 - 15 luglio 2016, pp. 433 – 441). 13 In questo senso Paolo VI, il 21 settembre 1963, parlando alla Curia Romana, disse: «E’ spiegabile come tale ordinamento sia aggravato dalla sua stessa venerabile età, come risenta la disparità dei suoi organi e della sua prassi rispetto alle necessità e agli usi dei nuovi tempi,
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riforma ridella curia
Essendo la Curia non un apparato immobile, la riforma è anzitutto segno della vivacità della Chiesa in cammino, in pellegrinaggio, e della Chiesa vivente e per questo – perché vivente – semper reformanda12, reformanda perché è viva. E’ necessario ribadire con forza che la riforma non è fine a sé stessa, ma è un processo di crescita e soprattutto di conversione. La ri-
In questa prospettiva, occorre rilevare che la riforma sarà efficace solo e unicamente se si attua con uomini “rinnovati” e non semplicemente con “nuovi” uomini14. Non basta accontentarsi di cambiare il personale, ma occorre portare i membri della Curia a rinnovarsi spiritualmente, umanamente e professionalmente. La riforma della Curia non si attua in nessun modo con il cambiamento delle persone – che senz’altro avviene e avverrà15 – ma con la conversione nelle persone. In realtà, non basta una formazione permanente, occorre anche e soprattutto una conversione e una purificazione permanente. Senza un mutamento di mentalità lo sforzo funzionale risulterebbe vano16. È per questa ragione che nei due nostri precedenti incontri natalizi mi sono soffermato, nel 2014, avendo a modello i Padri del deserto, su alcune “malattie”, e nel 2015, partendo dalla parola “misericordia”, su una sorta di catalogo delle virtù necessarie a chi presta servizio in Curia e a tutti coloro che vogliono rendere feconda la loro consacrazione o il loro servizio alla Chiesa. La ragione di fondo è che, come per tutta la Chiesa, anche nella Curia il semper reformanda deve trasformarsi in una personale e strutturale conversione permanente17. Era necessario parlare di malattie e di cure perché ogni operazione, per raggiungere il successo, deve essere preceduta da approfondite diagnosi, da accurate analisi e deve essere accompagnata e seguita da precise prescrizioni.
In questo percorso risulta normale, anzi salutare, riscontrare delle difficoltà, che, nel caso della riforma, si potrebbero presentare in diverse tipologie di resistenze: le resistenze aperte, che nascono spesso dalla buona volontà e dal dialogo �sincero; le resistenze nascoste, che nascono dai cuori impauriti o impietriti che si alimentano dalle parole vuote del “gattopardismo” spirituale di chi a parole si dice pronto al cambiamento, ma vuole che tutto resti come prima; �esistono anche le resistenze malevole, che germogliano in menti distorte e si presentano quando il demonio ispira intenzioni cattive (spesso “in veste di agnelli”). Questo ultimo tipo di resistenza si nasconde dietro le parole giustificatrici �e, in tanti casi, accusatorie, rifugiandosi nelle tradizioni, nelle apparenze, nelle formalità, nel conosciuto, oppure nel voler portare �tutto sul personale senza distinguere tra l’atto, l’attore e l’azione18. L’assenza di reazione è segno di morte! Quindi le resistenze buone – e perfino quelle meno buone – sono necessarie e meritano di essere ascoltate, accolte e incoraggiate a esprimersi, perché è un segno che il corpo è vivo. Tutto questo sta a dire che la riforma della Curia è un delicato processo che deve essere vissuto con fedeltà all’essenziale, con continuo discernimento, con evangelico coraggio, con ecclesiale saggezza, con attento ascolto, con tenace azione, con positivo silenzio, con ferme decisioni, con tanta preghiera – tanta preghiera! -, con pro-
come senta al tempo stesso il bisogno di semplificarsi e decentrarsi e quello di allargarsi e abilitarsi a nuove funzioni». 14 Paolo VI, il 22 febbraio 1975, in occasione del Giubileo della Curia Romana, disse: «Noi siamo la Curia Romana, […] questa nostra coscienza, che vogliamo chiarissima non soltanto nella sua definizione canonica, ma anche nel suo contenuto morale e spirituale, impone a ciascuno di noi un atto penitenziale conforme alla disciplina propria del giubileo, atto che possiamo chiamare di autocritica per verificare, nel segreto dei nostri cuori, se il nostro comportamento corrisponde all’ufficio che ci è affidato. Ci stimola a questo interiore confronto innanzi tutto la coerenza della nostra vita ecclesiale, e poi l’analisi, che tanto la Chiesa, quanto la società fanno sul nostro conto, con esigenza spesso non obiettiva e tanto più severa quanto più rappresentativa è questa nostra posizione, dalla quale dovrebbe sempre irradiare un’esemplarità ideale […]. Due sentimenti spirituali perciò daranno senso e valore alla nostra celebrazione giubilare: un sentimento di sincera umiltà,
che vuol dire verità su noi stessi, dichiarandoci per primi bisognosi della misericordia di Dio» (Insegnamenti di Paolo VI, XIII [1975], pp. 172-176). 15 In questo senso, il susseguirsi delle generazioni fa parte della vita e guai a noi se pensiamo o se viviamo dimenticando questa verità. Quindi, l’alternanza delle persone è normale, necessaria e auspicabile. 16 Benedetto XVI, ispirandosi a una visione di santa Ildegarda di Bingen, durante il suo Discorso alla Curia del 20 dicembre 2010 ricordò che lo stesso volto della Chiesa purtroppo può essere «coperto di polvere» e «il suo vestito strappato». E per questo ho ricordato a mia volta che la guarigione «è anche frutto della consapevolezza della malattia e della decisione personale e comunitaria di curarsi sopportando pazientemente e con perseveranza la cura» (Discorso alla Curia Romana, 22 dicembre 2014). 17 Si tratta di intendere la riforma come una trasformazione, ossia un mutamento in avanti, un miglioramento: mutare/commutare in melius. 18 Cfr Omelia, Domus Sanctae Marthae, 1° dicembre 2016. 24
ALCUNI CRITERI GUIDA DELLA RIFORMA: Sono principalmente dodici: individualità; pastoralità; missionarietà; razionalità; funzionalità; modernità; sobrietà; sussidiarietà; sinodalità; cattolicità; professionalità; gradualità. 1- Individualità (Conversione personale) Torno a ribadire l’importanza della conversione individuale senza la quale saranno inutili tutti i cambiamenti nelle strutture. La vera anima della riforma sono gli uomini che ne fanno parte e la rendono possibile. Infatti, la conversione personale supporta e rafforza quella comunitaria.
Esiste un forte legame di interscambio tra l’atteggiamento personale e quello comunitario. Una sola persona può portare tanto bene a tutto il corpo o potrebbe danneggiarlo e farlo ammalare. E un corpo sano è quello che sa recuperare, accogliere, fortificare, curare e santificare le proprie membra. 2- Pastoralità (Conversione pastorale) Richiamando l’immagine del pastore (cfr Ez 34,16; Gv 10,1-21) ed essendo la Curia una comunità di servizio, «fa bene anche a noi, chiamati ad essere Pastori nella Chiesa, lasciare che il volto di Dio Buon Pastore ci illumini, ci purifichi, ci trasformi e ci restituisca pienamente rinnovati alla nostra missione. Che anche nei nostri ambienti di lavoro possiamo sentire, coltivare e praticare un forte senso pastorale, anzitutto verso le persone che incontriamo tutti i giorni. Che nessuno si senta trascurato o maltrattato, ma ognuno possa sperimentare, prima di tutto qui, la cura premurosa del Buon Pastore»19. Dietro le carte ci sono le persone. L’impegno di tutto il personale della Curia deve
19 Omelia in occasione del Giubileo della Curia Romana, 22 febbraio 2016; cfr Discorso di inaugurazione dei lavori del Concistoro, 12 febbraio 2015.
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riforma della curia
fonda umiltà, con chiara lungimiranza, con concreti passi in avanti e – quando risulta necessario – anche con passi indietro, con determinata volontà, con vivace vitalità, con responsabile potestà, con incondizionata obbedienza; ma in primo luogo con l’abbandonarci alla sicura guida dello Spirito Santo, confidando nel Suo necessario sostegno. E, per questo, preghiera, preghiera e preghiera.
competenza e con senso di collaborazione, per servirlo nel suo servizio ai fratelli ed ai figli della Chiesa universale e della terra intera»20.
essere animato da una pastoralità e da una spiritualità di servizio e di comunione, poiché questo è l’antidoto contro tutti i veleni della vana ambizione e dell’illusoria rivalità. In questo senso il beato Paolo VI ammonì: «Non sia pertanto la Curia Romana una burocrazia, come a torto qualcuno la giudica, pretenziosa ed apatica, solo canonistica e ritualistica, una palestra di nascoste ambizioni e di sordi antagonismi, come altri la accusano; ma sia una vera comunità di fede e di carità, di preghiera e di azione; di fratelli e di figli del Papa, che tutto fanno, ciascuno con rispetto all’altrui
3- Missionarietà21 (Cristocentrismo) È il fine principale di ogni servizio ecclesiastico ossia quello di portare il lieto annuncio a tutti i confini della terra22, come ci ricorda il magistero conciliare, perché «ci sono strutture ecclesiali che possono arrivare a condizionare un dinamismo evangelizzatore; ugualmente, le buone strutture servono quando c’è una vita che le anima, le sostiene e le giudica. Senza vita nuova e auten-
20 Paolo VI, Discorso alla Curia Romana, 21 settembre 1963. 21 «Il mandato d’evangelizzare tutti gli uomini costituisce la missione essenziale �della Chiesa, compito e missione che i vasti e profondi mutamenti della società �attuale non rendono meno urgenti. Evangelizzare, infatti, è la grazia e la �vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda. Essa esiste per �evangelizzare, […] � 26
la comunità dei cristiani non è mai chiusa in se stessa. In essa la vita intima — la vita di �preghiera, l’ascolto della Parola e dell’insegnamento degli Apostoli, la carità fraterna vissuta, il �pane spezzato — non acquista tutto il suo significato se non quando essa diventa �testimonianza, provoca l’ammirazione e la conversione, si fa predicazione e annuncio della �Buona Novella. Così tutta la Chiesa riceve la missione di evangelizzare, e
tico spirito evangelico, senza fedeltà della Chiesa Romana24, per evidenziare che ogni Dicastero ha alla propria vocazione, qualsiasi nuova struttura competenze proprie. Tali competenze devono essere rispettate ma anche distribuite con razionasi corrompe in poco tempo»23. lità, con efficacia ed efficienza. Nessun Dicastero, 4- Razionalità dunque, può attribuirsi la competenza di un altro Sulla base del principio che tutti i Dicasteri sono Dicastero, secondo quanto fissato dal diritto, e giuridicamente pari tra loro, risultava necessaria d’altra parte tutti i Dicasteri fanno riferimento una razionalizzazione degli organismi della Curia diretto al Papa.
l’opera di ciascuno è �importante per il tutto» (Id., Esort. ap. Evangelii Nuntiandi, 14-15). «Non possiamo più rimanere tranquilli, in attesa passiva, dentro le nostre chiese, è necessario passare da una pastorale di semplice conservazione a una pastorale decisamente missionaria» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 15). 22 Non bisogna perdere la tensione per l’annuncio a coloro che sono lontani da Cristo, perché questo è il primo compito della Chiesa (cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris missio, 34). 23 Esort. ap. Evangelii gaudium, 26. «Sogno una scelta missionaria [= missione paradigmatica] capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale [= mis-
sione programmatica] diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione» (ibid., 27). In questo senso, «ciò che fa cadere le strutture caduche, ciò che porta a cambiare i cuori dei cristiani, è precisamente la missionarietà», poiché «la missione programmatica, come indica il suo nome, consiste nella realizzazione di atti di indole missionaria. La missione paradigmatica, invece, implica il porre in chiave missionaria le attività abituali delle Chiese particolari» (Discorso ai Vescovi responsabili del CELAM, Rio de Janeiro, 28 luglio 2013). 24 Cfr Paolo VI, Cost. ap. Regimini Ecclesiae universae art. 1 §2; Giovanni Paolo II, Cost. ap. Pastor Bonus art. 2 §2.
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5- Funzionalità L’eventuale accorpamento di due o più Dicasteri competenti su materie affini o in stretta relazione in un unico Dicastero serve per un verso a dare al medesimo Dicastero una rilevanza maggiore (anche esterna); per altro verso la contiguità e l’interazione di singole realtà all’interno di un unico Dicastero aiuta ad avere una maggiore funzionalità (ne sono esempio i due attuali nuovi Dicasteri di recente istituzione)25. La funzionalità richiede anche la revisione continua dei ruoli e dell’attinenza delle competenze e delle responsabilità del personale e conseguentemente l’effettuazione di spostamenti, di assunzioni, di interruzioni e anche di promozioni.
del nostro tempo e si adattino alle necessità della Chiesa universale»26. Ciò era richiesto dal Concilio Vaticano II: «I Dicasteri della Curia Romana siano organizzati in modo conforme alle �necessità dei tempi, dei paesi e dei riti, specialmente per quanto riguarda il loro numero, il loro �nome, le loro competenze, i loro metodi di lavoro ed il coordinamento delle loro attività»27.
6- Modernità (Aggiornamento) Ossia la capacità di leggere e di ascoltare i “segni dei tempi”. In questo senso, «provvediamo sollecitamente a che i Dicasteri della Curia Romana �siano conformati alle situazioni
7- Sobrietà In questa prospettiva sono necessari una semplificazione e uno snellimento della Curia: accorpamento o fusione di Dicasteri secondo materie di competenza e semplificazione interna di singoli Dicasteri; eventuali soppressioni di Uffici che non risultano più rispondenti alle necessità contingenti. Inserimento nei Dicasteri o riduzione delle commissioni, accademie, comitati ecc., tutto in vista della indispensabile sobrietà necessaria per una corretta e autentica testimonianza.
25 «È da Roma oggi che parte l’invito all‘«aggiornamento» [… ], cioè al perfezionamento d’ogni cosa, interna ed esterna, della Chiesa. Roma papale oggi è ben altra, e, per grazia di Dio, tanto più degna e più saggia e più santa; tanto più cosciente della sua vocazione evangelica, tanto più impe-
gnata nella sua missione cristiana, tanto più desiderosa, suscettibile, perciò, di perenne rinnovamento» (Paolo VI, Discorso alla Curia Romana, 21 settembre 1963). 26 Motu proprio Sedula Mater, 15 agosto 2016. 27 Decr. Christus �Dominus, 9.
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10- Cattolicità Tra i collaboratori, oltre ai sacerdoti e consacrati/e, la Curia deve rispecchiare la cattolicità della Chiesa con l’assunzione di personale proveniente da tutto il mondo, di diaconi permanenti e fedeli laici e laiche, la cui scelta dev’essere attentamente effettuata sulla base della loro ineccepibile vita spirituale e morale e della loro competenza professionale. È opportuno prevedere l’accesso a un numero maggiore di fedeli laici specialmente in quei Dicasteri dove possono essere più competenti dei chierici o dei consacrati. Di grande importanza è inoltre la valorizzazione del ruolo della donna e dei laici nella vita della Chiesa e la loro integrazione nei ruoli-guida dei Dicasteri, con una particolare attenzione alla multiculturalità.
9- Sinodalità Il lavoro della Curia dev’essere sinodale: abituali le riunioni dei Capi Dicastero, presiedute dal Romano Pontefice29; regolari udienze “di tabella” dei Capi Dicastero; consuete riunioni interdicasteriali. La riduzione del numero dei Dicasteri permetterà incontri più frequenti e sistematici dei singoli Prefetti con il Papa ed efficaci riunioni dei Capi dei Dicasteri, visto che non possono essere tali quelle di un gruppo troppo numeroso. La sinodalità30 dev’essere vissuta anche all’interno di ogni Dicastero, dando particolare rilevanza al Congresso e maggiore frequenza almeno alla Sessione ordinaria. All’interno di ogni Dicastero è da evitare la frammentazione che può essere determinata da vari fattori, come il moltiplicarsi di settori specializzati, i quali possono tendere ad essere autoreferenziali. Il coor-
11- Professionalità È indispensabile che ogni Dicastero adotti una politica di formazione permanente del personale, per evitare l’“arrugginirsi” e il cadere nella routine del funzionalismo. Dall’altra parte, è indispensabile l’archiviazione definitiva della pratica del promoveatur ut amoveatur. Questo è un cancro. 12- Gradualità (discernimento) La gradualità è il frutto dell’indispensabile discernimento che implica processo storico, scansione di tempi e di tappe, verifica, correzioni, sperimentazione, approvazioni ad experimentum. Dunque, in questi casi non si tratta di indecisione ma della flessibilità necessaria per poter raggiungere una vera riforma.
28 Tra le funzioni del Segretario di Stato, quale primo collaboratore del Sommo Pontefice nell’esercizio della sua suprema missione ed esecutore delle scelte che il Papa fa con l’aiuto degli organi di consultazione, dovrebbe essere preminente la periodica e frequente riunione con i Capi Dicastero. In ogni caso sono di primaria necessità il coordinamento e la collaborazione dei Dicasteri tra di loro e con gli altri Uffici. 29 Cfr Giovanni Paolo II, Cost. ap. Pastor Bonus, 22. 30 Una Chiesa sinodale è una Chiesa dell’ascolto (cfr Discorso per la commemorazione del 50° dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi, 17 ottobre 2015; Esort. ap. Evangelii gaudium, 171). Tappe dell’ascolto per la ri-
forma della Curia sono state: 1. Raccolta di pareri nell’estate 2013: dai Capi Dicastero e altri; dai Cardinali del Consiglio; da singoli Vescovi e Conferenze Episcopali dell’area territoriale di provenienza; 2. Riunione dei Capi Dicastero del 10 settembre 2013 e del 24 novembre 2014; 3. Concistoro del 12-13 febbraio 2015; 4. Lettera del Consiglio dei Cardinali ai Capi Dicastero del 17 settembre 2014 per eventuali “decentramenti”; 5. Interventi di singoli Capi Dicastero nelle riunioni del Consiglio dei Cardinali per richiesta di proposte e pareri per la riforma del singolo Dicastero (cfr. Marcello Semeraro, La riforma di Papa Francesco, Il Regno, pp. 433 – 441).
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riforma della curia
dinamento tra di essi dovrebbe essere compito del Segretario o del Sotto-Segretario.
8- Sussidiarietà Riordinamento di competenze specifiche dei diversi Dicasteri, spostandole, se necessario, da un Dicastero ad un altro, per raggiungere l’autonomia, il coordinamento e la sussidiarietà nelle competenze e l’interconnessione nel servizio. In questo senso, risulta anche necessario il rispetto dei principi della sussidiarietà e della razionalizzazione nel rapporto con la Segreteria di Stato e all’interno della stessa – tra le sue diverse competenze – affinché nell’adempimento delle proprie mansioni essa sia l’aiuto diretto e più immediato del Papa28. Ciò anche per un migliore coordinamento dei vari settori dei Dicasteri e degli Uffici della Curia. La Segreteria di Stato potrà espletare questa sua importante funzione proprio nella realizzazione dell’unità, dell’interdipendenza e del coordinamento delle sue sezioni e dei suoi diversi settori.
ALCUNI PASSI COMPIUTI31 Menziono brevemente e limitatamente alcuni passi realizzati, in attuazione dei criteri-guida, delle raccomandazioni espresse dai Cardinali durante le Riunioni plenarie prima del Conclave, della COSEA, del Consiglio di Cardinali, nonché dei Capi Dicastero e di altre persone ed esperti.
glio dei Cardinali (Consilium Cardinalium Summo Pontifici) – il cosiddetto C8 diventato C9 a partire dal 1° luglio 2014 – primariamente per consigliare il Papa nel governo della Chiesa universale e sui altri temi relativi32, e anche con il compito specifico di proporre la revisione della Costituzione Apostolica Pastor Bonus33.
- Il 13 aprile 2013 è stato annunciato il Consi- - Con il Chirografo del 24 giugno 2013 è stata
31 Per approfondire i passi compiuti, le ragioni e gli scopi del processo di riforma si raccomanda di riferirsi in particolare alle tre Lettere Apostoliche in forma di Motu proprio con cui si è intervenuto sino ad oggi per la creazione, la variazione e la soppressione di alcuni Dicasteri della Curia Romana. 32 Il ritmo del lavoro vede impegnati i membri del Consiglio al mattino e al pomeriggio, per un totale ad oggi di 93 riunioni. 33 Le sessioni di lavoro del Consiglio sono state fino ad oggi più di sedici (in media, una ogni due mesi), così scandite nel tempo: I� Sessione: 1 – 3 ottobre 2013�;
II� Sessione: 3 – 5 dicembre 2013�; III Sessione: 17 – 19 febbraio 2014�; IV� Sessione: 28 – 30 aprile 2014�; V� Sessione: 1 – 4 luglio 2014�; VI Sessione: 15 – 17 settembre 2014�; VII Sessione: 9 – 11 dicembre 2014�; VIII� Sessione: 9 – 11 febbraio 2015�; IX� Sessione: 13 – 15 marzo 2015�; X� Sessione: 8 – 10 giugno 2015�; XI� Sessione: 14 – 16 settembre 2015�; XII� Sessione: 10 – 12 dicembre 2015�; XIII� Sessione: 8 – 9 febbraio 2016�; XIV� Sessione: 11 – 13 aprile 2016�; XV Sessione: 6 – 8 giugno 2016�; XVI� Sessione:� 12 – 14 settembre 2016�; XVII Sessione:� �12 – 14 dicembre 2016. 30
eretta la Pontificia Commissione Referente sull’Istituto per le Opere di Religione, per conoscere in modo più approfondito la posizione giuridica dello Ior e permettere una sua migliore «armonizzazione» con «la missione universale della Sede Apostolica». Il tutto per «consentire ai principi del Vangelo di permeare anche le attività di natura economica e finanziaria» e per raggiungere una completa e riconosciuta trasparenza nel suo operato.
organi giudiziari dello Stato della Città del Vaticano in materia penale. - Con il Chirografo del 18 luglio 2013 si è istituita la COSEA (Pontificia commissione referente di studio e di indirizzo sull'organizzazione della struttura economico-amministrativa)34, con il compito di studiare, di analizzare e di raccogliere informazioni, in cooperazione con il Consiglio dei Cardinali per lo studio dei problemi organizzativi ed economici della Santa Sede.
- Con il Motu Proprio dell’11 luglio 2013 si è provveduto a delineare la giurisdizione degli - Con il Motu Proprio dell’8 agosto 2013 è stato
34 Eretta il 18 luglio 2013 e soppressa il 22 maggio 2014, con la funzione di offrire il supporto tecnico della consulenza specialistica ed elaborare soluzioni strategiche di miglioramento, atte a evitare dispendi di risorse economiche, a favorire la trasparenza nei processi di acquisizione di beni e servizi, a perfezionare l’amministrazione del patrimonio mobiliare e immobiliare, a operare con sempre maggiore
prudenza in ambito finanziario, ad assicurare una corretta applicazione dei principi contabili e a garantire assistenza sanitaria e previdenza sociale a tutti gli aventi diritto: «ad una semplificazione e razionalizzazione degli Organismi esistenti ed ad una più attenta programmazione delle attività economiche di tutte le Amministrazioni vaticane» (Chirografo del 18 luglio 2013).
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istituito il Comitato di Sicurezza Finanziaria della Santa Sede, per la prevenzione e il contrasto del riciclaggio, del finanziamento del terrorismo e della proliferazione di armi di distruzione di massa. Il tutto per portare lo IOR e tutto il sistema economico vaticano all’adottamento regolare e all’adempimento completo, con impegno e diligenza, di tutte le leggi standard internazionali sulla trasparenza finanziaria35.
compiere la revisione (audit) dei Dicasteri della Curia Romana, delle istituzioni collegate alla Santa Sede – o che fanno riferimento ad essa – e delle amministrazioni del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano39.
35 Ad es. le Raccomandazioni elaborate dal Gruppo d'Azione Finanziaria Internazionale (GAFI). Oggi l’attività dello IOR risulta pienamente conforme alla normativa vigente nello Stato della Città del Vaticano in materia di antiriciclaggio e lotta al finanziamento del terrorismo. 36 L'A.I.F. è l’Ufficio di prevenzione e contrasto del riciclaggio dei proventi di attività criminose e del finanziamento del terrorismo (Statuto Capo 1, Art. 1, Par. 1); con il compito, tra l'altro, di sovrintendere al rispetto degli obblighi stabiliti in materia di prevenzione e di contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo, di emanare disposizioni di attuazione e di adottare istruzioni e provvedimenti di carattere particolare nei confronti dei soggetti sottoposti agli obblighi. 37 L’A.I.F. è stata istituita anche per rinnovare l’impegno della Santa Sede nell’adottare i principi e adoperare gli strumenti giuridici sviluppati dalla Comunità internazionale, adeguando ulteriormente l’assetto istituzionale al fine della prevenzione e del contrasto del riciclaggio, del finanziamento del terrorismo e della proliferazione delle armi di distruzione di massa. 38 Il Consiglio per l’Economia ha il «compito di sorvegliare la gestione economica e di vigilare sulle strutture e
sulle attività amministrative e finanziarie dei dicasteri della Curia romana, delle istituzioni collegate con la Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano» (Motu Proprio Fidelis dispensator et prudens, 1). 39 «L’Ufficio del Revisore Generale opera in piena autonomia e indipendenza d’accordo con la legislazione vigente e con il proprio Statuto, riportando direttamente al Sommo Pontefice. Sottopone al Consiglio per l’Economia un programma annuale di revisione nonché una relazione annuale delle proprie attività. Obiettivo del programma di revisione è quello di individuare le più importanti aree gestionali e organizzative potenzialmente foriere di rischi». L'Ufficio del Revisore Generale è l'istituzione che svolge la revisione contabile dei Dicasteri della Curia Romana, delle Istituzioni collegate con la Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano. L'attività dell'URG persegue l'obiettivo di fornire pareri professionali e indipendenti, in merito all'adeguatezza delle procedure contabili e amministrative (sistema di controllo interno) e la loro effettiva applicazione (compliance audit), nonché l'attendibilità dei bilanci dei singoli Dicasteri e Consolidato (financial audit) e la regolarità nell'utilizzo delle risorse finanziarie e materiali (value for money audit).
- Con Chirografo del 22 marzo 2014 è stata istituita la Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori per «promuovere la tutela della dignità dei minori e degli adulti vulnerabili, attraverso le forme e le modalità, consone alla - Con il Motu Proprio del 15 novembre 2013 è natura della Chiesa, che si ritengano più opporstata consolidata l’Autorità di Informazione Fi- tune». nanziaria (A.I.F.)36, istituita da Benedetto XVI con Motu Proprio del 30 dicembre 2010 per la - Con il Motu Proprio dell’8 luglio 2014 è stata prevenzione e il contrasto delle attività illegali trasferita la Sezione Ordinaria dell’Amminiin campo finanziario e monetario37. strazione del Patrimonio della Sede Apostolica - Con il Motu Proprio del 24 febbraio 2014 (Fi- alla Segreteria per l’Economia. delis dispensator et prudens) sono state erette la Segreteria per l’Economia e il Consiglio per - Il 22 febbraio 2015 sono stati approvati gli l’Economia38, in sostituzione del Consiglio dei Statuti dei nuovi Organismi Economici. 15 Cardinali, con il compito di armonizzare le - Con il Motu Proprio del 27 giugno 2015 è politiche di controllo riguardo alla gestione stata eretta la Segreteria per la Comunicazione economica della Santa Sede e della Città del con il compito di «rispondere all’attuale conteVaticano. sto comunicativo, caratterizzato dalla presenza e dallo sviluppo dei media digitali, dai fattori - Con lo stesso Motu proprio (Fidelis dispensa- della convergenza e dell’interattività» e anche tor et prudens) del 24 febbraio 2014 è stato di ristrutturare complessivamente, attraverso eretto l’Ufficio del Revisore Generale (URG), un processo di riorganizzazione e di accorpaquale nuovo ente della Santa Sede incaricato di mento di «tutte le realtà che, in diversi modi,
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- Con il Motu Proprio del 15 agosto 2016 (Sedula Mater) è stato costituito il Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita,richiamando anzitutto la finalità pastorale generale del ministero petrino: «Ci adoperiamo prontamente a disporre ogni cosa perché le ricchezze di Cristo Gesù si riversino appropriatamente e con profusione tra i fedeli».
- Con i due Motu Proprio del 15 agosto 2015 si è provveduto alla riforma del processo canonico per le cause di dichiarazione di nullità del matrimonio: Mitis et misericors Iesus, nel Codice dei Canoni delle Chiese Orientali; Mitis Iudex Dominus Iesus, nel Codice di �Diritto Canonico41. - Con il Motu Proprio del 4 giugno 2016 (Come una madre amorevole) si è voluto prevenire alla negligenza dei Vescovi nell’esercizio del loro ufficio, in particolare �relativamente ai casi di abusi sessuali compiuti su minori e adulti vulnerabili.
- Con il Motu Proprio del 17 agosto 2016 (Humanam progressionem) è stato costituito il Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, affinché lo sviluppo si attui «mediante la cura per i beni incommensurabili
40 «L’attuale contesto comunicativo, caratterizzato dalla presenza e dallo sviluppo dei media digitali, dai fattori della convergenza e dell’interattività, richiede un ripensamento del sistema informativo della Santa Sede e impegna ad una riorganizzazione che, valorizzando quanto nella storia si è sviluppato all’interno dell’as-
setto della comunicazione della Sede Apostolica, proceda decisamente verso una integrazione e gestione unitaria». 41 Con il Motu Proprio del 31 maggio 2016 De concordia inter Codices sono state mutate alcune norme del Codice di Diritto Canonico.
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riforma della curia
fino ad oggi, si sono occupate della comunica- - Con il Motu Proprio del 4 luglio 2016 (I beni zione», al fine di «rispondere sempre meglio temporali), seguendo come regola di massima importanza che gli organismi di vigilanza siano alle esigenze della missione della Chiesa». separati da quelli vigilati, sono stati meglio de- Il 6 settembre 2016 è stato promulgato lo Sta- lineati i rispettivi ambiti di competenza della tuto della Segreteria per la Comunicazione, en- Segreteria per l’Economia e dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica. trato in vigore lo scorso ottobre40.
della giustizia, della pace e della salvaguardia del creato». In questo Dicastero confluiranno, dal 1°gennaio 2017, quattro Pontifici Consigli: Giustizia e Pace,Cor Unum, Pastorale dei migranti e Operatori sanitari. Mi occuperò direttamente ad tempus della sezione per la pastorale dei migranti e rifugiati di tale nuovo Dicastero42. - Il 18 ottobre 2016 è stato approvato lo Statuto della Pontificia Accademia per la Vita. Questo nostro incontro è iniziato parlando del significato del Natale come capovolgimento dei nostri criteri umani per evidenziare che il cuore e il centro della riforma è Cristo (Cristocentrismo).
Chiese, tra popoli, all'interno delle famiglie, tra una parrocchia e un'altra: chi è il più grande tra di noi? Il mondo è piagato da ferite dolorose perché il suo grande morbo è: chi è il più grande? Ma oggi abbiamo trovato in te il nostro unico medicamento, Figlio di Dio. Noi e il mondo tutto non troveremo né salvezza né pace, se non torniamo a incontrarti di nuovo nella mangiatoia di Betlemme. Amen»43. Grazie, e vi auguro un santo Natale e un felice anno nuovo 2017!
Vorrei concludere semplicemente con una parola e con una preghiera. La parola è quella di ribadire che il Natale è la festa dell’umiltà amante di Dio. Per la preghiera ho scelto l’invocazione natalizia di Padre Matta el Meskin (monaco contemporaneo), che rivolgendosi al Signore Gesù, nato a Betlemme, così si esprime: «Se per noi l’esperienza dell’infanzia è cosa difficile, per te non lo è, Figlio di Dio. Se inciampiamo sulla via che porta alla comunione con te secondo questa piccola statura, tu sei capace di togliere tutti gli ostacoli che ci impediscono di fare questo. Sappiamo che non avrai pace finché non ci troverai secondo la tua somiglianza e con questa statura. Permettici oggi, Figlio di Dio, di avvicinarci al tuo cuore. Donaci di non crederci grandi nelle nostre esperienze. Donaci, invece, di diventare piccoli come te affinché possiamo esserti vicini e ricevere da te umiltà e mitezza in abbondanza. Non ci privare della tua rivelazione, l’epifania della tua infanzia nei nostri cuori, affinché con essa possiamo curare ogni orgoglio e ogni arroganza. Abbiamo estremo bisogno […] che tu riveli in noi la tua semplicità avvicinando noi, anzi la Chiesa e il mondo tutto, a te. Il mondo è stanco e sfinito perché fa a gara a chi è il più grande. C’è una concorrenza spietata tra governi, tra
[a braccio] Quando, due anni fa, ho parlato delle malattie, uno di voi è venuto a dirmi: “Dove devo andare, in farmacia o a confessarmi?” – “Mah, tutt’e due”, ho detto io. E quando ho salutato il Cardinale Brandmüller, lui mi ha guardato negli occhi e mi ha detto: “Acquaviva!”. Io, al momento, non ho capito, ma poi, pensando, pensando, ho ricordato che Acquaviva, terzo generale della Compagnia di Gesù, aveva scritto un libro che noi studenti leggevamo in latino, i padri spirituali ce lo facevano leggere, si chiamava così: Industriae pro Superioribus ejusdem Societatis ad curandos animae morbos, cioè le malattie dell’anima. Tre mesi fa è uscita una edizione molto buona in italiano, fatta dal padre Giuliano Raffo, morto recentemente; con un buon prologo che indica come si deve leggere, e anche una buona introduzione. Non è un’edizione critica, ma la traduzione è bellissima, ben fatta e credo che possa aiutare. Come dono di Natale, mi piacerebbe offrirlo ad ognuno di voi. Grazie.
42 «L’organismo sarà competente nelle questioni che riguardano migrazioni, bisognosi, ammalati e esclusi, emarginati, vittime di conflitti armati e catastrofi na-
turali, carcerati, disoccupati e persone la cui dignità è a rischio». 43 L’umanità di Dio, Qiqajon, Magnano 2015, 183-184. 34
pastorale delle famiglie nell’Amoris laetitia
L
a «Chiesa in uscita» è contemporaneamente «anche la Chiesa dalle porte aperte». È questa la realtà emergente dal cammino sinodale sulla famiglia che ha trovato piena espressione pastorale nell’esortazione apostolica Amoris laetitia. Lo ha spiegato il card. Lorenzo Baldisseri in una conferenza tenuta a Civitavecchia: le parole chiave del documento «accogliere, accompagnare, discernere e integrare», ha detto il segretario generale del Sinodo dei vescovi, sono un messaggio di speranza per tutte le famiglie, anche per quelle che vivono situazioni di difficoltà e di crisi,segnate dalla fragilità o dalle ferite Usato il metodo del discernimento Il porporato ha spiegato nei dettagli l’intero cammino sinodale, dalla consultazione del popolo di Dio recepita nell’instrumentum laboris, alla discussione «aperta e franca» delle due assemblee che ha portato alla relatio finalis, fino al documento del Pontefice. Un iter che è stato «l’attuazione pratica della maniera in cui Papa Francesco intende la sinodalità come esercizio permanente nella vita ecclesiale». Il metodo usato,è quello del "discernimento" che è stato la linea guida per affrontare gli innumerevoli casi che si sono presentati di fronte ai padri sinodali La normativa e la dottrina della Chiesa non subisce variazioni Amoris laetitia — ha sottolineato il segretario generale del Sinodo — usa il verbo discernere soprattutto nel capitolo ottavo, collocandolo nel titolo in mezzo ad altri due verbi: accompagnare e integrare la fragilità». Infatti «quando l’amore non corrisponde più alla forma del sacramento nuziale, la Chiesa si prende cura di queste persone ferite, perché possano ritrovare la via del Vangelo, alla luce del primato della grazia di Dio che mai abbandona». Di qui la dimensione dell’accoglienza. Ciò non significa, ha precisato il porporato, che «la normativa e la dottrina della Chiesa» subiscano variazioni o che essa non tenga conto «della riflessione morale tradizionale». Vale però il fatto che tenendo conto della «norma generale», le «situazioni particolari devono essere considerate nella loro specificità».
La delicata questione dei divorziati e risposati civilmente In questo senso l’Amoris laetitia traccia linee ben chiare riguardo, ad esempio, «la delicata questione dei divorziati e risposati civilmente», con le indicazioni sulla «possibilità della riconciliazione sacramentale e della recezione dell’eucaristia». Si tratta sempre di un «cammino» che favorisce «la maturazione di una coscienza illuminata». Ancora una volta, ha sottolineato il card. Baldisseri, si capisce come «un autentico processo di discernimento» sia «decisivo affinché l’accogliere e l’accompagnare, elementi tipici della Chiesa in uscita, non si limitino a una generica vicinanza alle persone, che — per quanto importante — lascia comunque ognuno nella propria situazione di partenza». Il discernimento, invece, «rende possibile che l’accogliere e l’accompagnare siano finalizzati al compimento di un cammino da percorrere insieme», con l’obiettivo «di “integrare” nella vita della Chiesa tutti coloro che essa avvicina o che le si avvicinano, secondo le possibilità, le tappe e le modalità proprie di ciascuno». L'importanza della preparazione dei fidanzati al matrimonio Aspetto conseguente di questa impostazione è poi la cura da mettere nella «preparazione dei fidanzati al sacramento nuziale» e nel loro accompagnamento dopo le nozze. È questo un elemento fondamentale per «evitare la deriva o il fallimento del matrimonio e della famiglia». Quello del «camminare insieme» è, del resto, proprio lo stile necessario in ogni situazione, anche in quelle più difficili nelle quali è richiesto di «accompagnare la fragilità e curare le ferite».
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famiglia e vita
Card. Baldisseri
Prospettive di cammino PAPA FRANCESCO
U
n secolo fa, il mondo si trovava nel pieno del primo conflitto mondiale. Una inutile strage1, in cui nuove tecniche di combattimento disseminavano morte e causavano immani sofferenze alla popolazione civile inerme. Nel 1917, il volto del conflitto cambiò profondamente, acquisendo una fisionomia sempre più mondiale mentre si affacciavano all’orizzonte quei regimi totalitari che per lungo tempo sarebbero stati causa di laceranti divisioni. Cent’anni dopo, tante parti del mondo possono dire di aver beneficiato di periodi prolungati di pace, che hanno favorito opportunità di sviluppo economico e forme di benessere senza precedenti. Se per molti oggi la pace sembra, in qualche modo, un bene scontato, quasi un diritto acquisito a cui non si presta più molta attenzione, per troppi essa è ancora soltanto un lontano miraggio. Milioni di persone vivono tuttora al centro di conflitti insensati. Anche in luoghi un tempo considerati sicuri, si avverte un senso generale di paura. Siamo frequentemente sopraffatti da immagini di morte, dal dolore di innocenti che implorano aiuto e consolazione, dal lutto di chi piange una persona cara a causa dell’odio e della violenza, dal dramma dei profughi che sfuggono alla guerra o dei migranti che periscono tragicamente. Vorrei perciò dedicare l’incontro odierno al tema della sicurezza e della pace, poiché nel clima di generale apprensione per il presente e d’incertezza e di angoscia per l’avvenire, nel quale ci troviamo immersi, ritengo importante rivolgere una parola di speranza, che indichi anche una prospettiva di cammino. Proprio alcuni giorni fa abbiamo celebrato la 50a Giornata Mondiale della Pace, istituita dal mio beato Predecessore Paolo VI «come augurio e come promessa – all’inizio del calendario che misura e descrive il cammino della vita umana nel tempo – che sia la Pace con il suo giusto e benefico equilibrio a dominare lo svolgimento della storia avvenire»2. Per i cristiani, la pace è un dono del
HA DETTO Nel corso dell’anno passato - 2016 - i rapporti fra i Vostri Paesi e la Santa Sede hanno avuto occasione di approfondirsi ulteriormente grazie alle gradite visite di numerosi Capi di Stato e di Governo, anche in concomitanza con i vari appuntamenti che hanno costellato il Giubileo straordinario della Misericordia, da poco conclusosi. Diversi sono stati pure gli Accordi bilaterali firmati o ratificati, sia di carattere generale, volti a riconoscere lo statuto giuridico della Chiesa, con la Repubblica Democratica del Congo, la Repubblica Centroafricana, il Benin e con Timor-Leste, sia di carattere più specifico come l’Avenant siglato con la Francia, o la Convenzione in materia fiscale con la Repubblica Italiana, recentemente entrata in vigore, ai quali si aggiunge il Memorandum d’Intesa tra la Segreteria di Stato e il Governo degli Emirati Arabi Uniti. Inoltre, nella prospettiva dell’impegno della Santa Sede a tener fede alle obbligazioni assunte dagli accordi sottoscritti, è stata data anche piena attuazione al Comprehensive Agreementcon lo Stato di Palestina, entrato in vigore un anno fa. 36
diplomazia visita al Tempio Maggiore di Roma o alla Moschea di Baku. Sappiamo come non siano mancate violenze religiosamente motivate, a partire proprio dall’Europa, dove le storiche divisioni fra i cristiani sono durate troppo a lungo. Nel mio recente viaggio in Svezia ho inteso richiamare l’urgente bisogno di sanare le ferite del passato e camminare insieme verso mete comuni. Alla base di tale cammino non può che esservi il dialogo autentico fra le diverse confessioni religiose. È un dialogo possibile e necessario, come ho cercato di testimoniare nell’incontro avvenuto a Cuba con il Patriarca Cirillo di Mosca, come pure nel corso dei viaggi apostolici in Armenia, Georgia e Azerbaigian, dove ho percepito la giusta aspirazione di quelle popolazioni a ricomporre i conflitti che da anni pregiudicano la concordia e la pace. In pari tempo, è opportuno non dimenticare le
Signore, acclamata e cantata dagli angeli al momento della nascita di Cristo: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama» (Lc 2,14). Essa è un bene positivo, «il frutto dell’ordine impresso nella società umana»3 da Dio e «non la semplice assenza della guerra»4. Non può «ridursi unicamente a rendere stabile l’equilibrio delle forze avverse»5, piuttosto esige l’impegno di quelle persone di buona volontà che «aspirano ardentemente ad una giustizia sempre più perfetta»6. In tale prospettiva esprimo il vivo convincimento che ogni espressione religiosa sia chiamata a promuovere la pace. L’ho potuto sperimentare in modo significativo nel corso della Giornata Mondiale di Preghiera per la Pace, tenutasi ad Assisi nel settembre scorso, durante la quale i rappresentanti delle diverse religioni si sono trovati per «dar voce insieme a quanti soffrono, a quanti sono senza voce e senza ascolto»7, come pure nel corso della mia 37
molteplici opere, religiosamente ispirate, che concorrono, talvolta anche con il sacrificio dei martiri, all’edificazione del bene comune, attraverso l’educazione e l’assistenza, soprattutto nelle regioni più disagiate e nei teatri di conflitto. Tali opere contribuiscono alla pace e danno testimonianza di come si possa concretamente vivere e lavorare insieme, pur appartenendo a popoli, culture e tradizioni differenti, ogniqualvolta si colloca al centro delle proprie attività la dignità della persona umana. Purtroppo, siamo consapevoli di come ancor oggi, l’esperienza religiosa, anziché aprire agli altri, possa talvolta essere usata a pretesto di chiusure, emarginazioni e violenze. Mi riferisco particolarmente al terrorismo di matrice fondamentalista, che ha mietuto anche lo scorso anno numerose vittime in tutto il mondo: in Afghanistan, Bangladesh, Belgio, Burkina Faso, Egitto, Francia, Germania, Giordania, Iraq, Nigeria, Pakistan, Stati Uniti d’America, Tunisia e Turchia. Sono gesti vili, che usano i bambini per uccidere, come in Nigeria; prendono di mira chi prega, come nella Cattedrale copta del Cairo, chi viaggia o lavora, come a Bru-
xelles, chi passeggia per le vie della città, come a Nizza e a Berlino, o semplicemente chi festeggia l’arrivo del nuovo anno, come a Istanbul. Si tratta di una follia omicida che abusa del nome di Dio per disseminare morte, nel tentativo di affermare una volontà di dominio e di potere. Faccio perciò appello a tutte le autorità religiose perché siano unite nel ribadire con forza che non si può mai uccidere nel nome di Dio. Il terrorismo fondamentalista è frutto di una grave miseria spirituale, alla quale è sovente connessa anche una notevole povertà sociale. Esso potrà essere pienamente sconfitto solo con il comune contributo dei leader religiosi e di quelli politici. Ai primi spetta il compito di trasmettere quei valori religiosi che non ammettono contrapposizione fra il timore di Dio e l’amore per il prossimo. Ai secondi spetta garantire nello spazio pubblico il diritto alla libertà religiosa, riconoscendo il contributo positivo e costruttivo che essa esercita nell’edificazione della società civile, dove non possono essere percepite come contraddittorie l’appartenenza sociale, sancita dal principio di cittadinanza, e la dimensione 38
spirituale della vita. A chi governa compete, inoltre, la responsabilità di evitare che si formino quelle condizioni che divengono terreno fertile per il dilagare dei fondamentalismi. Ciò richiede adeguate politiche sociali volte a combattere la povertà, che non possono prescindere da una sincera valorizzazione della famiglia, come luogo privilegiato della maturazione umana, e da cospicui investimenti in ambito educativo e culturale. Al riguardo, accolgo con interesse l’iniziativa del Consiglio d’Europa sulla dimensione religiosa del dialogo interculturale, che lo scorso anno ha messo a tema il ruolo dell’educazione nella prevenzione della radicalizzazione che conduce al terrorismo e all’estremismo violento. Si tratta di un’opportunità per approfondire il contributo del fenomeno religioso e il ruolo dell’educazione a una vera pacificazione del tessuto sociale, necessaria per la convivenza in una società multiculturale. In tal senso, desidero esprimere il convincimento che ogni autorità politica non debba limitarsi a garantire la sicurezza dei propri cittadini – concetto che può facilmente ricondursi ad un semplice 39
diplomazia
“quieto vivere” – ma sia chiamata anche a farsi vera promotrice e operatrice di pace. La pace è una “virtù attiva”, che richiede l’impegno e la collaborazione di ogni singola persona e dell’intero corpo sociale nel suo insieme. Come osservava il Concilio Vaticano II, «la pace non è mai qualcosa di raggiunto una volta per tutte, ma è un edificio da costruirsi continuamente»8, tutelando il bene delle persone, rispettandone la dignità. Edificarla richiede anzitutto di rinunciare alla violenza nel rivendicare i propri diritti9. Proprio a tale principio ho voluto dedicare il Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2017, intitolato: «La nonviolenza: stile di una politica per la pace», per richiamare anzitutto come la nonviolenza sia uno stile politico, basato sul primato del diritto e della dignità di ogni persona. Edificare la pace esige anche che «si eliminino le cause di discordia che fomentano le guerre»10, a cominciare dalle ingiustizie. Infatti, esiste un intimo legame fra giustizia e pace11. «Ma – osservava san Giovanni Paolo II – poiché la giustizia umana è sempre fragile e imperfetta, esposta com’è ai limiti e agli egoismi personali e di gruppo, essa va esercitata e in certo senso completata con il perdono che risana le ferite e ristabilisce in profondità i rapporti umani turbati. […] Il perdono non si contrappone in alcun modo alla giustizia [ma] mira piuttosto a quella pienezza di giustizia che conduce alla tranquillità dell’ordine, la quale […] è risanamento in profondità delle ferite che sanguinano negli animi. Per un tale risanamento la giustizia e il perdono sono ambedue essenziali»12. Queste parole, oggi più che mai attuali, hanno incontrato la disponibilità di alcuni Capi di Stato o di Governo ad accogliere il mio invito a compiere un gesto di clemenza verso i carcerati. A loro, come pure a quanti si adoperano per creare condizioni di vita dignitose per i detenuti e favorire il loro reinserimento nella società, desidero esprimere la mia particolare riconoscenza e gratitudine. Sono convinto che per molti il Giubileo straordinario della Misericordia sia stata un’occasione particolarmente propizia anche per scoprire la «grande e positiva incidenza della misericordia come valore sociale»13. Ciascuno può così contribuire a dare vita ad «una cultura della misericordia, basata sulla riscoperta dell’incontro con gli altri: una cultura in cui nessuno guarda all’altro con indifferenza né gira lo sguardo quando vede la sofferenza dei fratelli»14. Solo così si potranno
HA DETTO “Un secolo fa, il mondo si trovava nel pieno del primo conflitto mondiale. Una inutile strage1, in cui nuove tecniche di combattimento disseminavano morte e causavano immani sofferenze alla popolazione civile inerme. Nel 1917, il volto del conflitto cambiò profondamente, acquisendo una fisionomia sempre più mondiale mentre si affacciavano all’orizzonte quei regimi totalitari che per lungo tempo sarebbero stati causa di laceranti divisioni. Cent’anni dopo, tante parti del mondo possono dire di aver beneficiato di periodi prolungati di pace, che hanno favorito opportunità di sviluppo economico e forme di benessere senza precedenti. Se per molti oggi la pace sembra, in qualche modo, un bene scontato, quasi un diritto acquisito a cui non si presta più molta attenzione, per troppi essa è ancora soltanto un lontano miraggio. Milioni di persone vivono tuttora al centro di conflitti insensati. Anche in luoghi un tempo considerati sicuri, si avverte un senso generale di paura. Siamo frequentemente sopraffatti da immagini di morte, dal dolore di innocenti che implorano aiuto e consolazione, dal lutto di chi piange una persona cara a causa dell’odio e della violenza, dal dramma dei profughi che sfuggono alla guerra o dei migranti che periscono tragicamente”.
costruire società aperte e accoglienti verso gli stranieri e, nello stesso tempo, sicure e in pace al loro interno. Ciò è tanto più necessario nel tempo presente, in cui proseguono senza sosta in diverse parti del mondo ingenti flussi migratori. Penso in modo particolare ai numerosi profughi e rifugiati in alcune zone dell’Africa, nel Sudest asiatico e a quanti fuggono dalle zone di conflitto in Medio Oriente. Lo scorso anno la comunità internazionale si è confrontata con due importanti appuntamenti convocati dalle Nazioni Unite: il primo Vertice Umanitario Mondiale e il Vertice sui Vasti Movimenti di Rifugiati e Migranti. Occorre un impegno comune nei confronti di migranti, profughi e rifugiati, che consenta di dare loro un’accoglienza dignitosa. Ciò implica saper coniugare il diritto di «ogni essere umano […] di immigrare in altre comunità politiche e stabilirsi in esse»15, e nello stesso tempo garantire la possibilità di un’integrazione dei migranti nei tessuti sociali in cui si inseriscono, senza che questi sentano minacciata la propria sicurezza, la propria identità culturale e i propri equilibri politico-sociali. D’altra parte, gli stessi migranti non devono dimenticare che hanno il dovere di rispettare le leggi, la cultura e le tradizioni dei Paesi in cui sono accolti. Un approccio prudente da parte delle autorità pubbliche non comporta l’attuazione di politiche di chiusura verso i migranti, ma implica valutare con saggezza e lungimiranza fino a che punto il proprio Paese è in grado, senza ledere il bene comune dei cittadini, di offrire una vita decorosa ai migranti, specialmente a coloro che hanno effettivo bisogno di protezione. Soprattutto non si può ridurre la drammatica crisi attuale ad un semplice conteggio numerico. I migranti sono persone, con nomi, storie, famiglie e non potrà mai esserci vera pace finché esisterà anche un solo essere umano che viene violato nella propria identità personale e ridotto ad una mera cifra statistica o ad oggetto di interesse economico. Il problema migratorio è una questione che non può lasciare alcuni Paesi indifferenti, mentre altri sostengono l’onere umanitario, non di rado con notevoli sforzi e pesanti disagi, di far fronte ad un’emergenza che non sembra aver fine. Tutti dovrebbero sentirsi costruttori e concorrenti al bene comune internazionale, anche attraverso gesti concreti di umanità, che costituiscono fattori essenziali di quella pace e di quello sviluppo che intere nazioni e milioni di persone attendono ancora.
HA DETTO “Mi rimarrà sempre impresso il viaggio che ho compiuto nell’isola di Lesvos, insieme ai miei fratelli il Patriarca Bartolomeo e l’Arcivescovo Ieronymos, dove ho visto e toccato con mano la drammatica situazione dei campi profughi, ma anche l’umanità e lo spirito di servizio delle molte persone impegnate per assisterli. Né bisogna dimenticare l’accoglienza offerta da altri Paesi europei e del Medio Oriente, quali il Libano, la Giordania, la Turchia, come pure l’impegno di diversi Paesi dell’Africa e dell’Asia. Anche nel corso del mio viaggio in Messico, dove ho potuto sperimentare la gioia del popolo messicano, mi sono sentito vicino alle migliaia di migranti dell’America Centrale, che patiscono terribili ingiustizie e pericoli nel tentativo di poter avere un futuro migliore, vittime di estorsione e oggetto di quel deprecabile commercio – orribile forma di schiavitù moderna – che è la tratta delle persone”.
Sono perciò grato ai tanti Paesi che con generosità accolgono quanti sono nel bisogno, a partire dai diversi Stati europei, specialmente l’Italia, la Germania, la Grecia e la Svezia. Mi rimarrà sempre impresso il viaggio che ho compiuto nell’isola di Lesvos, insieme ai miei fratelli il Patriarca Bartolomeo e l’Arcivescovo Ieronymos, dove ho visto e toccato con mano la drammatica situazione dei campi profughi, ma anche l’umanità e lo spirito di servizio delle molte persone impegnate per assisterli. Né bisogna dimenticare l’accoglienza offerta da altri Paesi europei e del Medio Oriente, quali il Libano, la Giordania, la Turchia, come pure l’impegno di diversi Paesi dell’Africa e dell’Asia. Anche nel corso del mio viaggio in Messico, dove ho potuto sperimentare la gioia del popolo messicano, mi sono sentito vicino alle migliaia di migranti dell’America Centrale, che patiscono terribili ingiustizie e pericoli nel tentativo di poter avere un futuro migliore, vittime di estorsione e oggetto di quel deprecabile commercio – orribile forma di schiavitù moderna – che è la tratta delle persone. Nemica della pace è una tale “visione ridotta” dell’uomo, che presta il fianco al diffondersi dell’iniquità, delle disuguaglianze sociali, della corruzione. Proprio nei confronti di quest’ultimo fenomeno, la Santa Sede ha assunto nuovi impegni, depositando, formalmente lo scorso 19 settembre, lo strumento di adesione alla Convenzione delle 40
diplomazia Nazioni Unite contro la Corruzione, adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 31 ottobre 2003. Nella sua Enciclica Populorum progressio, di cui quest’anno ricorre il cinquantesimo anniversario, il beato Paolo VI ricordava come tali disuguaglianze provochino discordie. «Il cammino della pace passa attraverso lo sviluppo»16 che le autorità pubbliche hanno l’onere di incoraggiare e favorire, creando le condizioni per una più equa distribuzione delle risorse e stimolando le opportunità di lavoro soprattutto per i più giovani. Nel mondo ci sono ancora troppe persone, specialmente bambini, che soffrono per endemiche povertà e vivono in condizioni di insicurezza alimentare – anzi di fame –, mentre le risorse naturali sono fatte oggetto dell’avido sfruttamento di pochi ed enormi quantità di cibo vengono sprecate ogni giorno. I bambini e i giovani sono il futuro, sono coloro per i quali si la-
vora e si costruisce. Non possono venire egoisticamente trascurati e dimenticati. Per tale ragione, come ho richiamato recentemente in una lettera inviata a tutti i Vescovi, ritengo prioritaria la difesa dei bambini, la cui innocenza è spesso spezzata sotto il peso dello sfruttamento, del lavoro clandestino e schiavo, della prostituzione o degli abusi degli adulti, dei banditi e dei mercanti di morte17. Nel corso del mio viaggio in Polonia, in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù, ho avuto modo di incontrare migliaia di giovani, pieni di entusiasmo e di gioia di vivere. Di tanti altri ho però visto il dolore e la sofferenza. Penso ai ragazzi e alle ragazze che subiscono le conseguenze dell’atroce conflitto in Siria, privati delle gioie dell’infanzia e della giovinezza: dalla possibilità di giocare liberamente all’opportunità di andare a scuola. A loro e a tutto il caro popolo siriano va il mio costante pensiero, mentre faccio appello 41
alla comunità internazionale perché si adoperi con solerzia per dare vita ad un negoziato serio, che metta per sempre la parola fine al conflitto, che sta provocando una vera e propria sciagura umanitaria. Ciascuna delle parti in causa deve ritenere come prioritario il rispetto del diritto umanitario internazionale, garantendo la protezione dei civili e la necessaria assistenza umanitaria alla popolazione. Il comune auspicio è che la tregua recentemente firmata possa essere un segno di speranza per tutto il popolo siriano, che ne ha profonda necessità. Ciò esige anche che ci si adoperi per debellare il deprecabile commercio delle armi e la continua rincorsa a produrre e diffondere armamenti sempre più sofisticati. Notevole sconcerto destano gli esperimenti condotti nella penisola coreana, che destabilizzano l’intera regione e pongono inquietanti interrogativi all’intera comunità internazionale circa il rischio di una nuova corsa alle
armi nucleari. Rimangono ancora molto attuali le parole di san Giovanni XXIII nella Pacem in terris, allorché affermava che «saggezza ed umanità domandano che venga arrestata la corsa agli armamenti, si riducano simultaneamente e reciprocamente gli armamenti già esistenti; si mettano al bando le armi nucleari»18. In tale prospettiva, anche in vista della prossima Conferenza sul Disarmo, la Santa Sede si adopera per promuovere un’etica della pace e della sicurezza che vada al di là di quella paura e “chiusura” che condiziona il dibattito sulle armi nucleari. Anche per quanto riguarda gli armamenti convenzionali, occorre rilevare che la facilità con cui non di rado si può accedere al mercato delle armi, anche di piccolo calibro, oltre ad aggravare la situazione nelle diverse aree di conflitto, produce un diffuso e generale sentimento di insicurezza e di paura, tanto più pericoloso, quanto più si attraversano momenti di incertezza
sociale e cambiamenti epocali come quello attuale. Nemica della pace è l’ideologia che fa leva sui disagi sociali per fomentare il disprezzo e l’odio e che vede l’altro come un nemico da annientare. Purtroppo nuove forme ideologiche si affacciano continuamente all’orizzonte dell’umanità. Mascherandosi come portatrici di bene per il popolo, lasciano invece dietro di sé povertà, divisioni, tensioni sociali, sofferenza e non di rado anche morte. La pace, invece, si conquista con la solidarietà. Da essa germoglia la volontà di dialogo e la collaborazione, che trova nella diplomazia uno strumento fondamentale. Nella prospettiva della misericordia e della solidarietà si colloca l’impegno convinto della Santa Sede e della Chiesa cattolica nello scongiurare i conflitti o nell’accompagnare processi di pace, di riconciliazione e di ricerca di soluzioni negoziali agli stessi. Rincuora poter vedere che alcuni tentativi intrapresi incontrano la buona volontà di tante persone 42
che, da più parti, si adoperano attivamente e fattivamente per la pace. Penso agli sforzi compiuti nell’ultimo biennio per riavvicinare Cuba e gli Stati Uniti. Penso anche allo sforzo intrapreso con tenacia, seppure fra difficoltà, per terminare anni di conflitto in Colombia. Tale approccio intende favorire la fiducia reciproca, sostenere cammini di dialogo e sottolineare la necessità di gesti coraggiosi, che sono quanto mai urgenti anche nel vicino Venezuela, dove le conseguenze della crisi politica, sociale ed economica, stanno da tempo gravando sulla popolazione civile; o in altre parti del globo, a cominciare dal Medio Oriente, non solo per porre fine al conflitto siriano, ma anche per favorire società pienamente riconciliate in Iraq e in Yemen. La Santa Sede rinnova inoltre il suo pressante appello affinché riprenda il dialogo fra Israeliani e Palestinesi, perché si giunga ad una soluzione stabile e duratura che garantisca la pacifica coesistenza di
due Stati all’interno di confini internazionalmente riconosciuti. Nessun conflitto può diventare un’abitudine dalla quale sembra quasi che non ci si riesca a separare. Israeliani e Palestinesi hanno bisogno di pace. Tutto il Medio Oriente ha urgente bisogno di pace! Parimenti auspico la piena attuazione degli accordi volti a ristabilire la pace in Libia, dove è quanto mai urgente ricomporre le divisioni di questi anni. Allo stesso modo incoraggio ogni sforzo a livello locale e internazionale per ripristinare la convivenza civile in Sudan, in Sud Sudan e nella Repubblica Centroafricana, martoriate da persistenti scontri armati, massacri e devastazioni, come pure in altre Nazioni del continente segnate da tensioni e instabilità politica e sociale. In particolare, esprimo l’auspicio che il recente accordo firmato nella Repubblica Democratica del Congo contribuisca a far sì che quanti hanno responsabilità politiche si adoperino con solerzia per favorire la riconciliazione e il dialogo fra tutte le componenti della società civile. Il mio pensiero va, inoltre, al Myanmar affinché si favorisca una pacifica coesistenza e, con l’aiuto della comunità internazionale, non si manchi di assistere coloro che ne hanno grave e urgente necessità. Anche in Europa, dove non mancano le tensioni, la disponibilità al dialogo è l’unica via per garantire la sicurezza e lo sviluppo del continente. Accolgo pertanto con favore le iniziative volte a favorire il processo di riunificazione di Cipro – proprio oggi
riprendono i negoziati –, mentre auspico che in Ucraina si prosegua con determinazione nella ricerca di soluzioni percorribili per la piena realizzazione degli impegni assunti dalle Parti e, soprattutto, si dia una pronta risposta alla situazione umanitaria, che rimane tuttora grave. L’Europa intera sta attraversando un momento decisivo della sua storia, nel quale è chiamata a ritrovare la propria identità. Ciò esige di riscoprire le proprie radici per poter plasmare il proprio futuro. Di fronte alle spinte disgregatrici, è quanto mai urgente aggiornare “l’idea di Europa” per dare alla luce un nuovo umanesimo basato sulle capacità di integrare, di dialogare e di generare19, che hanno reso grande il cosiddetto Vecchio Continente. Il processo di unificazione europea, iniziato dopo il secondo conflitto mondiale, è stato e continua ad essere un’occasione unica di stabilità, di pace e di solidarietà tra i popoli. In questa sede non posso che ribadire l’interesse e la preoccupazione della Santa Sede per l’Europa e per il suo futuro, nella consapevolezza che i valori su cui tale progetto, di cui quest’anno ricorre il sessantesimo anniversario, ha tratto la propria origine e si fonda sono comuni a tutto il continente e travalicano gli stessi confini dell’Unione Europea. Eccellenze, Signore e Signori, edificare la pace significa anche adoperarsi attivamente per la cura del creato. L’Accordo di Parigi sul clima, entrato recentemente in vigore, è un segno importante del comune impegno per lasciare 43
diplomazia
HA DETTO “Purtroppo, siamo consapevoli di come ancor oggi, l’esperienza religiosa, anziché aprire agli altri, possa talvolta essere usata a pretesto di chiusure, emarginazioni e violenze. Mi riferisco particolarmente al terrorismo di matrice fondamentalista, che ha mietuto anche lo scorso anno numerose vittime in tutto il mondo: in Afghanistan, Bangladesh, Belgio, Burkina Faso, Egitto, Francia, Germania, Giordania, Iraq, Nigeria, Pakistan, Stati Uniti d’America, Tunisia e Turchia. Sono gesti vili, che usano i bambini per uccidere, come in Nigeria; prendono di mira chi prega, come nella Cattedrale copta del Cairo, chi viaggia o lavora, come a Bruxelles, chi passeggia per le vie della città, come a Nizza e a Berlino, o semplicemente chi festeggia l’arrivo del nuovo anno, come a Istanbul”.
a chi verrà dopo di noi un mondo bello e vivibile. Auspico che lo sforzo intrapreso in tempi recenti per fronteggiare i cambiamenti climatici trovi una sempre più vasta cooperazione di tutti, poiché la Terra è la nostra casa comune e occorre considerare che le scelte di ciascuno hanno ripercussioni sulla vita di tutti. Tuttavia, è evidente anche che ci sono fenomeni che superano le possibilità dell’azione umana. Mi riferisco ai numerosi terremoti che hanno colpito alcune regioni del mondo. Penso anzitutto a quelli avvenuti in Ecuador, in Italia e in Indonesia, che hanno provocato numerose vittime, e tuttora molte persone vivono in condizioni di grande precarietà. Ho potuto visitare personalmente alcune aree colpite dal terremoto nel centro Italia, dove, nel constatare le ferite che il sisma ha provocato ad una terra ricca di arte e di cultura, ho potuto condivi-
dere il dolore di tante persone, insieme al loro coraggio e alla determinazione a ricostruire quanto è andato distrutto. Auspico che la solidarietà che ha unito il caro popolo italiano nelle ore successive al terremoto, continui ad animare l’intera Nazione, soprattutto in questo tempo delicato della sua storia. La Santa Sede e l’Italia sono particolarmente legate da ovvie motivazioni storiche, culturali e geografiche. Tale legame è apparso in modo evidente nell’anno giubilare e ringrazio tutte le Autorità italiane per l’aiuto offerto nell’organizzazione di tale evento, anche per garantire la sicurezza dei pellegrini, giunti da ogni parte del mondo. Cari Ambasciatori, la pace è un dono, una sfida e un impegno. Un dono perché essa sgorga dal cuore stesso di Dio; una sfida perché è un bene che non è mai scontato e va continuamente conquistato; un impe44
diplomazia gno perché esige l’appassionata opera di ogni persona di buona volontà nel ricercarla e costruirla. Non c’è, dunque, vera pace se non a partire da una visione dell’uomo che sappia promuoverne lo sviluppo integrale, tenendo conto della sua dignità trascendente, poiché «lo sviluppo è il nuovo nome della pace»20, come ricordava il beato Paolo VI. Questo è dunque il mio auspicio per l’anno appena iniziato: che possano crescere fra i nostri Paesi e i loro popoli le occasioni per lavorare insieme e costruire una pace autentica. Da parte sua, la Santa Sede, e in particolare la Segreteria di Stato, sarà sempre disponibile a collaborare con quanti si impegnano per porre fine ai conflitti in corso e a dare sostegno e speranza alle popolazioni che soffrono. Nella liturgia pronunciamo il saluto «la pace sia
HA DETTO “Sappiamo come non siano mancate violenze religiosamente motivate, a partire proprio dall’Europa, dove le storiche divisioni fra i cristiani sono durate troppo a lungo. Nel mio recente viaggio in Svezia ho inteso richiamare l’urgente bisogno di sanare le ferite del passato e camminare insieme verso mete comuni. Alla base di tale cammino non può che esservi il dialogo autentico fra le diverse confessioni religiose. È un dialogo possibile e necessario, come ho cercato di testimoniare nell’incontro avvenuto a Cuba con il Patriarca Cirillo di Mosca, come pure nel corso dei viaggi apostolici in Armenia, Georgia e Azerbaigian, dove ho percepito la giusta aspirazione di quelle popolazioni a ricomporre i conflitti che da anni pregiudicano la concordia e la pace”.
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con voi». Con questa espressione, pegno di copiose benedizioni divine, rinnovo a ciascuno di Voi, distinti membri del Corpo Diplomatico, alle Vostre famiglie, ai Paesi che qui rappresentate, i miei più sinceri auguri per il nuovo anno. Al Corpo Diplomatico, 9 gennaio 2017 _____________________ 1 Benedetto XV, Lettera ai capi dei popoli belligeranti, 1° agosto 1917: AAS IX (1917), 423. 2 Paolo VI, Messaggio per la celebrazione della I Giornata Mondiale della Pace (1° gennaio 1968). 3 Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, 78. 4 Ibid. 5 Ibid. 6 Ibid. 7 Discorso nella Giornata Mondiale di Preghiera per la Pace, Assisi, 20 settembre 2016. 8 Cost. past. Gaudium et spes, 78. 9 Cfr ibid.
10 Ibid, 83. 11 Cfr Sal 85,11; Is 32,17. 12 Messaggio per la celebrazione della XXXV Giornata Mondiale della Pace: Non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono (1° gennaio 2002). 13 Lett. ap. Misericordia et misera, 20 novembre 2016, 18. 14 Ibid., 20. 15 Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris, 11 aprile 1963, 12. 16 Lett. enc. Populorum progressio, 26 marzo 1967, 83. 17 Cfr Lettera ai Vescovi nella Festa dei Santi Innocenti, 28 dicembre 2016. 18 Lett. enc. Pacem in terris, 11 aprile 1963, 60. 19 Cfr Discorso in occasione del conferimento del Premio Carlo Magno, 6 maggio 2016. 20 Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 26 marzo 1967, 87.
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la fede e il discernimento vocazionale da Città del Vaticano
quale segno della sua sollecitudine affettuosa verso di loro, perché come Egli dice: «vi porto nel cuore». Il Santo Padre nella sua missiva esorta i giovani a partecipare attivamente al cammino sinodale, perché il Sinodo è per loro e perché tutta la Chiesa si mette in ascolto della loro voce, della loro sensibilità, della loro fede, come anche dei loro dubbi e delle loro critiche. Li invita inoltre ad ‘uscire’, sull’esempio di Abramo, per incamminarsi verso la terra nuova costituita «da una società più giusta e fraterna» da costruire fino alle periferie del mondo. Ricorda loro Cracovia all’apertura della GMG (Giornata Mondiale della Gioventù) quando disse: «Le cose si possono cambiare? E voi avete gridato insieme un fragoroso sì». Questo “sì” nasce da un cuore giovane che «non sopporta l’ingiustizia e non può
CARD. LORENZO BALDISSERI SEGRETARIO GENERALE DEL SINODO DEI VESCOVI
S
ono lieto di rivolgermi ai Signori e alle Signore della Stampa e degli altri Mezzi di Comunicazione Sociale, per presentare oggi, dopo l’annuncio del tema il 6 ottobre scorso, il Documento Preparatorio, che il Sinodo dei Vescovi lancia alla Chiesa e al mondo, in preparazione della Celebrazione della sua XV Assemblea Generale Ordinaria, che si terrà nell’ottobre del 2018. Il tema è: I giovani, la fede e il discernimento vocazionale. Allo stesso tempo, anzi in primo luogo, mi onoro di comunicare che proprio oggi il Santo Padre rivolge una Lettera – che si rende pubblica – indirizzata direttamente ai giovani,
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sinodo 2018
I giovani
Papa Francesco scrive ai giovani arissimi giovani, sono lieto di annunciarvi che nell’ottobre 2018 si celebrerà il Sinodo dei Vescovi sul tema «I giovani, la fede e il discernimento vocazionale». Ho voluto che foste voi al centro dell’attenzione perché vi porto nel cuore. Proprio oggi viene presentato ilDocumento Preparatorio, che affido anche a voi come “bussola” lungo questo cammino. Mi vengono in mente le parole che Dio rivolse ad Abramo: «Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò» (Gen 12,1). Queste parole sono oggi indirizzate anche a voi: sono parole di un Padre che vi invita a “uscire” per lanciarvi verso un futuro non conosciuto ma portatore di sicure realizzazioni, incontro al quale Egli stesso vi accompagna. Vi invito ad ascoltare la voce di Dio che risuona nei vostri cuori attraverso il soffio dello Spirito Santo. Quando Dio disse ad Abramo «Vattene», che cosa voleva dirgli? Non certamente di fuggire dai suoi o dal mondo. Il suo fu un forte invito, una vocazione, affinché lasciasse tutto e andasse verso una terra nuova. Qual è per noi oggi questa terra nuova, se non una società più giusta e fraterna che voi desiderate profondamente e che volete costruire fino alle periferie del mondo? Ma oggi, purtroppo, il «Vattene» assume anche un significato diverso. Quello della prevaricazione, dell’ingiustizia e della guerra. Molti giovani sono
sottoposti al ricatto della violenza e costretti a fuggire dal loro paese natale. Il loro grido sale a Dio, come quello di Israele schiavo dell’oppressione del Faraone (cfr Es 2,23). Desidero anche ricordarvi le parole che Gesù disse un giorno ai discepoli che gli chiedevano: «Rabbì […], dove dimori?». Egli rispose: «Venite e vedrete» (Gv 1,38-39). Anche a voi Gesù rivolge il suo sguardo e vi invita ad andare presso di lui. Carissimi giovani, avete incontrato questo sguardo? Avete udito questa voce? Avete sentito quest’impulso a mettervi in cammino? Sono sicuro che, sebbene il frastuono e lo stordimento sembrino regnare nel mondo, questa chiamata continua a risuonare nel vostro animo per aprirlo alla gioia piena. Ciò sarà possibile nella misura in cui, anche attraverso l’accompagnamento di guide esperte, saprete intraprendere un itinerario di discernimento per scoprire il progetto di Dio sulla vostra vita. Pure quando il vostro cammino è segnato dalla precarietà e dalla caduta, Dio ricco di misericordia tende la sua mano per rialzarvi. A Cracovia, in apertura dell’ultima Giornata Mondiale della Gioventù, vi ho chiesto più volte: «Le cose si possono cambiare?». E voi avete gridato insieme un fragoroso «Sì». Quel grido nasce dal vostro cuore giovane che non sopporta l’ingiustizia e non può piegarsi alla cultura dello scarto, né cedere alla globalizzazione dell’indifferenza. Ascoltate quel grido che sale dal vostro intimo! Anche quando avvertite, come il profeta Geremia, l’inesperienza della vostra giovane età, Dio vi incoraggia ad andare dove Egli vi invia: «Non aver paura […] perché io sono con te per proteggerti» (Ger 1,8). Un mondo migliore si costruisce anche grazie a
piegarsi alla cultura dello scarto, né cedere alla globalizzazione dell’indifferenza». Li invita a scelte audaci e non dimentica quei giovani che «sono costretti a fuggire dal loro paese natale» a causa «della prevaricazione, dell’ingiustizia e della guerra». Per realizzare in maniera gioiosa e piena la loro vita, Papa Francesco stimola i giovani ad «intraprendere un itinerario di discernimento per scoprire il progetto di Dio» sulla loro vita e li affida a Maria di Nazareth, «una giovane (…) a cui Dio ha rivolto il Suo sguardo amorevole». Con le sue parole il Papa vuole imprimere una scultoria motivazione umana ed ecclesiale del prossimo Sinodo sui giovani, che sono compresi
nella fascia di età tra i 16 ed i 29 anni, nella consapevolezza che l’età giovanile richiede di essere adattata alle differenti realtà locali, come evidenziato dal Documento Preparatorio. Il documento è inviato ai Consigli dei Gerarchi delle Chiese Orientali Cattoliche, alle Conferenze Episcopali, ai Dicasteri della Curia Romana e all’Unione dei Superiori Generali e «dà avvio alla fase della consultazione di tutto il Popolo di Dio», con lo scopo di raccogliere informazioni circa l’odierna condizione dei giovani nei variegati contesti in cui essi vivono, per poterla discernere adeguatamente in vista dell’elaborazione dell’Instrumentum Laboris. È da tenere presente che esso è rivolto a tutti i
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sinodo 2018 voi, alla vostra voglia di cambiamento e alla vostra generosità. Non abbiate paura di ascoltare lo Spirito che vi suggerisce scelte audaci, non indugiate quando la coscienza vi chiede di rischiare per seguire il Maestro. Pure la Chiesa desidera mettersi in ascolto della vostra voce, della vostra sensibilità, della vostra fede; perfino dei vostri dubbi e delle vostre critiche. Fate sentire il vostro grido, lasciatelo risuonare nelle comunità e fatelo giungere ai pastori. San Benedetto raccomandava agli abati di consultare anche i giovani prima di ogni scelta importante, perché «spesso è proprio al più giovane
che il Signore rivela la soluzione migliore» (Regola di San Benedetto III, 3). Così, anche attraverso il cammino di questo Sinodo, io e i miei fratelli Vescovi vogliamo diventare ancor più «collaboratori della vostra gioia» (2 Cor 1,24). Vi affido a Maria di Nazareth, una giovane come voi a cui Dio ha rivolto il Suo sguardo amorevole, perché vi prenda per mano e vi guidi alla gioia di un «Eccomi» pieno e generoso (cfr Lc 1,38). Con paterno affetto, FRANCESCO, Dal Vaticano, 13 gennaio 2017
giovani del mondo nella più ampia dimensione e comprensione e partecipazione. Esso si pone in continuità con il cammino che sta percorrendo la Chiesa sotto la guida del Magistero di Papa Francesco. La centralità della gioia e dell’amore, più volte sottolineata nel testo, rimanda chiaramente all’Evangelii Gaudium e all’Amoris Lætitia. Non mancano i riferimenti anche alla Laudato si’, alla Lumen Fidei e all’insegnamento di Papa Benedetto. In particolare l’Amoris Laetitia, che riporta per 36 volte la parola “giovani”, sollecita tra l’altro a «trovare le parole, le motivazioni e le testimonianze che ci aiutino a toccare le fibre più intime dei giovani, là dove sono più capaci di
generosità, di impegno, di amore e anche di eroismo» (n. 40). Il documento si divide in tre parti. Nella prima invita a mettersi in ascolto della realtà. La seconda evidenzia l’importanza del discernimento alla luce della fede per arrivare a compiere scelte di vita che corrispondano realmente al volere di Dio e al bene della persona. La terza concentra la sua attenzione sull’azione pastorale della comunità ecclesiale. L’icona evangelica del “discepolo amato” introduce alle tre parti come breve presentazione del cammino. Il primo capitolo, intitolato “I giovani nel mondo di oggi”, fornisce elementi utili per con49
Le tre prossime GMG XXXII Giornata Mondiale della Gioventù, 2017 “Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente” (Lc 1,49) XXXIII Giornata Mondiale della Gioventù, 2018 “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio” (Lc 1,30) XXXIV Giornata Mondiale della Gioventù, 2019 (Panama) “Ecco la serva del Signore; avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1,38) Questi i temi scelti da Papa Francesco per il percorso triennale delle Giornate Mondiali della Gioventù, che culminerà nella celebrazione internazionale dell’evento, in programma a Panama per il 2019. Il cammino spirituale indicato dal Santo Padre prosegue con coerenza la riflessione avviata con le ultime tre Giornate Mondiali della Gioventù (2014-16), incentrate sulle Beatitudini. Come sappiamo, Maria è colei che tutte le generazioni chiameranno beata (cfr. Lc 1, 49). Nel discorso preparato per l’incontro con i volontari della GMG di Cracovia, Papa Francesco illustrava gli atteggiamenti della Madre di Gesù indicandola come modello da imitare. Poi, parlando a braccio in quell’occasione, il Santo Padre ha invitato i giovani a far memoria del passato, avere coraggio nel presente e avere/essere speranza per il futuro. I tre temi sopra annunciati mirano dunque a dare all’itinerario spirituale delle prossime GMG una forte connotazione mariana, richiamando al tempo stesso l’immagine di una gioventù in cammino tra passato (2017), presente (2018) e futuro (2019), animata dalle tre virtù teologali: fede, carità e speranza. Il cammino proposto ai giovani mostra anche un’evidente sintonia con la riflessione che Papa Francesco ha affidato al prossimo Sinodo dei Vescovi: I giovani, la fede e il discernimento vocazionale.
testualizzare la situazione giovanile nella realtà odierna, tenendo conto che il quadro tracciato chiede di essere adattato alle circostanze specifiche di ciascuna regione. In esso si tengono presenti «alcuni risultati delle ricerche in ambito sociale utili per affrontare il tema del discernimento vocazionale», così pure le
molteplici sfide che riguardano la cultura “scientista”, l’insicurezza, la disoccupazione, la corruzione, nonché i fenomeni dell’alcolismo, del gioco e della tossicodipendenza. Il secondo capitolo, centro del Documento, ha come titolo “Fede, discernimento, vocazione”. «La fede, in quanto partecipazione al modo di 50
sinodo 2018 vedere di Gesù (…), è la fonte del discernimento vocazionale», attraverso il quale «la persona arriva a compiere, in dialogo con il Signore e in ascolto della voce dello Spirito, le scelte fondamentali, a partire da quella sullo stato di vita». Solo un corretto discernimento permetterà al giovane di trovare davvero la sua
personale, unica, irripetibile ‘strada nella vita’. Questo percorso è ispirato dai tre verbi già utilizzati in Evangelii Gaudium 51: riconoscere (ciò che avviene nel proprio mondo interiore),interpretare (ciò che si è riconosciuto) e decidere (come «autentico esercizio di libertà umana e di responsabilità personale»). 51
Va chiarito che il termine ‘vocazione’ deve essere inteso in senso ampio e riguarda tutta la vasta gamma di possibilità di realizzazione concreta della propria vita nella gioia dell’amore e nella pienezza derivante dal dono di sé a Dio e agli altri. Si tratta di trovare la forma concreta in cui questa realizzazione piena può avvenire «attraverso una serie di scelte, che articolano stato di vita (matrimonio, ministero ordinato, vita consacrata, ecc.), professione, modalità di impegno sociale e politico, stile di vita, gestione del tempo e dei soldi, ecc.». La scelta di vita avviene nel segreto della propria coscienza. Lì ognuno ascolta la voce di Dio e con lui dialoga e alla fine decide. L’aiuto di altre persone, per quanto necessario,
non può mai sostituire questo dialogo intimo e personale. Il terzo capitolo, intitolato “L’azione pastorale”, pone l’accento sul significato che ha per la Chiesa «l’accompagnare i giovani ad accogliere la gioia del Vangelo» in un tempo, come il nostro, «segnato dall’incertezza, dalla precarietà, dall’insicurezza». L’attenzione è rivolta ai soggetti, ai luoghi e agli strumenti di questo accompagnamento. I soggetti dell’azione pastorale sono gli stessi giovani, sia come protagonisti, sia come recettori. La Chiesa chiede loro «di aiutarla ad identificare le modalità oggi più efficaci per annunciare la Buona Notizia». Occorrono persone di riferimento: in primo luogo i genitori, poi i pastori, i consacrati, gli insegnanti ed altre fi52
gure educative. Queste persone di riferimento devono essere «autorevoli, con una chiara identità umana, una solida appartenenza ecclesiale, una visibile qualità spirituale, una vigorosa passione educativa e una profonda capacità di discernimento». Poi l’attenzione sul ruolo e sulla responsabilità dell’intera comunità dei credenti. I luoghi dell’azione pastorale sono la vita quotidiana, le attività per i giovani, le GMG, gli eventi diocesani, le parrocchie, gli oratori, le università, le scuole cattoliche, il volontariato, le attività sociali, i centri di spiritualità, le esperienze missionarie, i pellegrinaggi, la pietà popolare. Non manca un affondo nel ‘mondo digitale’, che apre ad opportunità inedite, ma anche a nuovi pericoli.
Mons. Fabio Fabene Sotto Segretario generale del Sinodo dei Vescovi Il cammino di preparazione della XV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi prevede una serie di iniziative programmate dalla Segreteria Generale del Sinodo per accompagnare e sostenere l’approfondimento del Documento Preparatorio che avviene nelle Chiese particolari dei cinque Continenti. Tali iniziative intendono coinvolgere i giovani nell’itinerario sinodale, e nello stesso tempo far emergere la realtà del mondo giovanile nella diversità sociale e culturale delle diverse parti del mondo, affinché i giovani possano esservi realmente inseriti. Innanzitutto sembra importante coinvolgere i giovani nella fase preparatoria dell’Assemblea sinodale perché il prossimo Sinodo non vuole solo interrogarsi su come accompagnare i giovani nel discernimento della loro scelta di vita alla luce del Vangelo, ma vuole anche mettersi in ascolto dei desideri, dei progetti, dei sogni che hanno i giovani per la loro vita, come anche delle difficoltà che incontrano per rea53
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lizzare il loro progetto a servizio della società, nella quale chiedono di essere protagonisti attivi. L’ascolto dei giovani fa parte dell’autentica tradizione della Chiesa: infatti, come ricorda il Papa nella Lettera ai Giovani, nella sua Regola monastica San Benedetto invita l’abate a consultare anche i giovani prima di ogni scelta importante (cf. Regola di San BenedettoIII, 3). La motivazione di questa richiesta ha un carattere teologale, in quanto spesso il Signore sceglie proprio i più giovani per rivelarsi. In tal senso, anche San Giovanni Paolo II afferma rivolgendosi ai giovani: «Non è affatto più importante ciò che vi dirò: importante è ciò che mi direte voi. Me lo direte non necessariamente con le parole, me lo direte con la vostra presenza, con il vostro canto, forse anche con la vostra danza, con le vostre rappresentazioni, infine con il vostro entusiasmo» (Varcare la soglia della speranza, Milano 1994, 139-140). In quest’orizzonte la Segreteria Generale del Sinodo predisporrà un sito Internet per consultare i giovani attraverso un questionario sulle loro aspettative e la loro vita. Le domande riguarderanno tutti i giovani, perché, come si afferma nelDocumento Preparatorio, il progetto di Dio riguarda tutti i giovani e le giovani del nostro tempo, e tutti hanno diritto di essere accompagnati senza nessuna esclusione. Le risposte al questionario saranno la base per l’elaborazione dell’Instrumentum Laboris, insieme ai contributi che giungeranno dagli Organismi interessati. Attraverso il sito Internet i giovani potranno anche seguire le varie fasi di preparazione del Sinodo, gli interventi del Papa sui giovani e potranno condividere riflessioni ed esperienze sul tema del Sinodo. Nei giorni precedenti la prossima Domenica delle Palme, dal 5 all’8 aprile, la Segreteria Generale parteciperà all’Incontro internazionale sul tema «Da Cracovia a Panama. Il Sinodo in cammino con i giovani», organizzato, com’è consuetudine nel periodo tra una GMG e l’altra, dal Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita. In quell’occasione sarà presentato ai responsabili della Pastorale Giovanile delle Conferenze Episcopali il Documento Preparatorio e la dinamica della consultazione nelle Chiese particolari. La sera di venerdì 7 aprile si terrà presso la Sala Sinopoli dell’Auditorium “Parco della Musica” di Roma un concerto del GEN
Gli strumenti sono i linguaggi (privilegiando quelli più espressivi per i giovani), l’educazione, la preghiera, il silenzio, la contemplazione. Il Questionario che segue è parte integrante del documento, non è una semplice appendice. Esso si distingue pure in tre parti. La prima riguarda la raccolta di dati statistici. La seconda è composta dalle domande. La novità è costituita dal fatto che alle domande generali proposte a tutti indistintamente (in numero di 15), si aggiungono 3 domande specifiche per ciascuna area geografica, alle quali si richiede la risposta solo degli appartenenti al Continente interessato. La terza parte ha come oggetto la “condivisione delle pratiche”, secondo modalità che vengono chiaramente esposte. Lo scopo di questa parte, anch’essa una novità, è quello di arricchire tutta la Chiesa portando a conoscenza le esperienze, spesso di grande interesse, che si svolgono nelle diverse regioni del mondo affinché possano essere di aiuto a tutti. Gli elementi che emergeranno dalle risposte serviranno alla redazione dell’Instrumentum Laboris, documento consegnato ai padri sinodali prima dell’Assemblea.
Rosso e Verde. Ad esso sono invitati tutti i giovani e vi saranno testimonianze di giovani di diverse parti del mondo. Il luogo è stato scelto non a caso: esso vuole essere un “ponte” di dialogo e di coinvolgimento dei giovani credenti con tutti i loro coetanei. Sabato 8 aprile, invece, ci si riunirà nella Basilica di Santa Maria Maggiore per una Veglia di Preghiera in preparazione alla Messa della Giornata Mondiale della Gioventù, che, quest’anno come anche il prossimo, sarà celebrata a livello diocesano. La Basilica Liberiana è stata scelta per evidenziare la connotazione mariana del cammino verso la GMG di Panama del 2019, come emerge dai temi proposti per il prossimo triennio dal suddetto Dicastero competente. I canti della celebrazione in Piazza San Pietro saranno affidati al Coro della diocesi di Roma insieme ai rappresentanti di altri Cori provenienti da diverse diocesi italiane. Conformemente alla prima parte del Documento Preparatorio del Sinodo: “I giovani nel mondo di oggi”, si vuole promuovere anche una riflessione sulla realtà giovanile nel mondo contemporaneo. Per questo è in programma, per il mese di settembre, un Seminario di Studi, al quale saranno invitati specialisti di diversi Paesi, ma che sarà aperto a tutti coloro che vorranno parteciparvi. Sulla scia di quanto ha detto il Papa nell’Omelia del 31 dicembre 2016, ci si vuole interrogare sul “debito” che abbiamo verso i giovani, pensare come assumere la “responsabilità” verso le giovani generazioni e progettare itinerari educativi, luoghi e spazi perché siano realmente inseriti nella società, animando il presente e contribuendo a realizzare i loro sogni per un futuro più giusto e umano.
Sono Federica, ho 24 anni e sono prossima alla laurea in Giurisprudenza presso lo stesso Ateneo. Sono impegnata anch’io nella Parrocchia di San Tommaso Moro, che nel proprio territorio comprende appunto la sede dell’Università Sapienza, l’Ateneo più grande d’Europa. Ciò favorisce la partecipazione alla vita parrocchiale di un folto numero di giovani: non solo studenti universitari, molti dei quali stranieri, ma anche tanti giovani lavoratori che gravitano in zona. In particolare, io sono responsabile della Scuola parrocchiale di formazione sociale e politica che, proprio sulle orme di San Tommaso Moro, patrono dei governanti e dei politici, coinvolge da oltre due anni circa sessanta universitari. Il nostro percorso di crescita, basato sulla Dottrina sociale della Chiesa, è volto alla formazione di una coscienza politica che ci permetta di “sporcarci le mani”, vivendo nella società non da spettatori ma da protagonisti attivi e consapevoli. Innanzitutto, vogliamo ringraziare di cuore Papa Francesco che, accogliendo le proposte dei Vescovi di tutto il mondo, ha deciso di convocare la prossima Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo sul tema dei giovani e, in particolare, della loro fede e del loro discerni-
Elvis Do Ceu e Federica Ceci Mi chiamo Elvis, ho 21 anni, sono di origini capoverdiane e studio Arti e Scienze dello Spettacolo presso la Facoltà di Lettere dell’Università Sapienza. Nella mia Parrocchia, San Tommaso Moro qui a Roma, sono catechista di un gruppo di giovani adolescenti, realtà entusiasmante che mi permette di essere “fratello maggiore” nella fede di ragazzi che cercano Cristo, accompagnati da chi crede e scommette sulle potenzialità che rendono unico il progetto di vita di ciascuno di essi. 54
munque fortemente desiderosi di attenzione e di risposte di senso. Siamo sicuri che sapranno “perdere tempo” con noi giovani, non solo per parlare, ma anche per ascoltare ciò che abbiamo da dire, con l’obiettivo di costruire insieme una Chiesa più “giovane e fresca” aperta al confronto e all’incontro. Inoltre, da giovani quali siamo, sperimentando quotidianamente nella nostra realtà la bellezza e la libertà di essere cristiani, desideriamo parlare ai cuori dei nostri coetanei in tutto il mondo, invitandoli a non chiudersi ma, al contrario, ad accogliere le opportunità che la Chiesa ci offre con la prossima Assemblea sinodale. Da ultimo, vogliamo lanciare un appello agli Organi di Stampa: vi chiediamo di dedicare maggiori spazi al mondo giovanile, mettendone in luce i tanti aspetti di positività e non solo gli elementi di debolezza e turbolenza. Aiutateci anche voi, con gli strumenti di cui disponete, a diventare protagonisti non solo di un futuro ancora da venire, ma anche e soprattutto di un presente che ci chiama già oggi a costruire la civiltà dell’Amore, mettendo a frutto i nostri talenti nei luoghi in cui siamo chiamati a vivere.
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mento vocazionale. Abbiamo già avvertito con forza l’attenzione dei Vescovi alle nostre famiglie in occasione dei due precedenti Sinodi, e adesso a maggior ragione gioiamo perché i nostri Pastori intendono parlare direttamente a noi giovani, rendendoci interlocutori privilegiati di una Chiesa in uscita e in dialogo con le nuove generazioni. Siamo grati per le parole di incoraggiamento, fiducia e stima che il Santo Padre ci rivolge all’inizio di questo nuovo cammino sinodale con la Lettera ai giovani che oggi viene resa pubblica e, più in generale, lo ringraziamo perché continuamente ci fa sentire al centro del Corpo vivente della Chiesa, credendo in noi e confidando nel nostro contributo all’edificazione, da una parte, di una comunità cristiana sempre meno ingessata e più accogliente e, dall’altra, di una comunità umana capace di promuovere la ricerca del bene comune mettendo al centro la persona. Nel momento in cui viene consegnato a tutte le Chiese del mondo il Documento Preparatorio del prossimo Sinodo, siamo convinti che i Vescovi si porranno in ascolto dei giovani delle loro Diocesi, anche di quelli che vivono più lontani dal mondo ecclesiale ma che sono co-
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Bregantini: “Impegnamoci a non lasciare nessuno alla porta” Mercoledì primo marzo è iniziata la Quaresima, il tempo liturgico che ci conduce alla Pasqua di Risurrezione del Signore: alle 16.30 il Papa ha guidato la liturgia stazionale cui è seguita la processione penitenziale, dalla basilica di sant’Anselmo all’Aventino verso la basilica di Santa Sabina, dove ha avuto luogo la celebrazione della santa messa con il rito di benedizione e imposizione delle Ceneri. Oltre ai cardinali e ai vescovi erano presenti i monaci benedettini e i padri domenicani. Con il Mercoledì delle Ceneri, la Chiesa entra nel cammino quaresimale portando quest’anno nel cuore l’invito del Papa ad aprirsi all’altro, soprattutto a quel fratello bisognoso, malato, solo, che mendica amore sulla soglia di casa nostra. Nel messaggio per la Quaresima del 2017, dal titolo “La parola è un dono, l’altro è un dono”, Francesco ha infatti insistito sulla necessità di uscire dall’egoismo, dal narcisismo, che ci rendono schiavi, per guardare davvero l’altro e nel suo volto riconoscere Cristo. Uno sforzo umanamente difficile, ma possibile con l’aiuto di Dio, che ogni cristiano, ogni uomo o donna di buona volontà è chiamato a compiere nello scenario attuale, segnato da crisi e contraddizioni profonde. La riflessione di mons. Giancarlo Bregantini, arcivescovo di Campobasso – Bojano: “Come diocesi abbiamo scelto la figura di Giona per aiutarci in questa Quaresima. E Giona è proprio l’icona di quello che il Papa ci ha detto nel suo messaggio quaresimale. Anche lui è combattuto tra due città: tra Ninive - l’impegno, la serietà, la fedeltà, il sacrificio - e Tarsis, che è il piacere la comodità, l’autoreferenzialità, la pigrizia… Direi che è estremamente necessario quello che il Papa ci ha chiesto: vivere l’appello di Dio per andare a convertire Ninive. E’ un mondo difficile, sono le periferie, le realtà drammatiche, gli ambienti presso le quali è necessario portare il Vangelo”. Al centro della riflessione quaresimale di Francesco, la parabola dell’uomo ricco senza nome, e del povero Lazzaro che non solo ha un nome ma anche un volto, una storia, è amato da Dio e perciò non può che essere una ricchezza inestimabile, per quanto la gente continui a considerarlo un rifiuto umano. Il monito del Pontefice è allora tanto più forte verso quell’un per cento della popolazione mondiale, contro il restante 99, che ha in mano tutto il denaro, idolo tirannico che ostacola la pace e porta alla costruzione di muri difficili mons. Bregantini: “Papa Francesco ci richiama a questa sobrietà di vita, a non lasciare nessuno alla porta. Anche se va detto che sempre più crescenti sono i poveri. Quindi sarà sempre più difficile gestire questo
gesto. Per cui bisognerà ancor di più in questa Quaresima allenarsi a non lasciarsi travolgere dalla paura o dall’immensità del numero dei poveri. Il primo livello è il livello spirituale: sentire che il povero chiede ciò che anche a lui spetta e che quindi l’elemosina è restituzione e non beneficenza. La seconda cosa è quella di andare a monte delle concause e cause che creano la povertà, a non fermarsi all’elemosina ma a dare all’elemosina il sapore anche della riflessione di natura culturale, sociale, in modo che si riprenda l’appello di 50 anni fa, quello di dire: le realtà africane devono essere favorite e la reciprocità dell’aiuto che io do lì alla fine favorisce anche me. Se avessimo ascoltato Paolo VI non avremmo i barconi oggi. Per cui, l’Europa oggi piange gli errori egoistici di chiusura che abbiamo fatto a suo tempo. Sviluppare l’altro non é perdere ma è guadagnare due volte: lui cresce e anch’io cresco con lui”. Per generare questo moto di cambiamento, fondamentale secondo il Papa è l’esperienza della Parola di Dio, perché chi non la vive e non la mette in pratica, di fatto non ama nemmeno Cristo e perciò disprezza il prossimo. In questo cammino di conversione tracciato dalla Quaresima, il Papa rinnova poi l’invito ad usare tutti quei “santi mezzi” che la Chiesa ci offre per purificarci: la preghiera, il digiuno, l’elemosina. La riflessione dell'arcivescovo Bregantini: “La Parola è fondamentale. Per esempio riaprire sempre di più la Bibbia, portarla nelle case, dare alla Via Crucis un sapore incarnato. La Parola di Dio che diventa nei cenacoli del Vangelo, nelle cucine e non solo tra l’incenso delle cattedrali. Ecco, queste sono le cose che la Quaresima chiede a noi di fare. Ma il primo digiuno è togliere la violenza, la cattiveria, il dito puntato. Isaia 58 che leggiamo in questi giorni è eloquentissimo. Queste sono parole da rimeditare nel cuore perché tutti noi sentiamo che la violenza che c’è dentro di noi, se noi riusciamo a vincerla attraverso la mitezza e la misericordia, è possibile realmente dare speranza e luce anche a casi estremi, come è avvenuto in questi giorni in Svizzera … Quanto avremmo voluto Madre Teresa accanto a questo giovane quarantenne in Svizzera, forse sarebbe ancora vivo …" Una celebrazione, quella delle Ceneri, vissuta nelle chiese e nelle parrocchie di tutto il mondo nel ricordo della fragile condizione umana, ma anche come momento culmine del pentimento e dell’impegno a percorrere una strada di luce e conversione, lungo la quale tendere la mano, per aiutare a rialzare chi è caduto, chi ha perso tutto. 56
Papa Francesco
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ari fratelli e sorelle, la Quaresima è un nuovo inizio, una strada che conduce verso una meta sicura: la Pasqua di Risurrezione, la vittoria di Cristo sulla morte. E sempre questo tempo ci rivolge un forte invito alla conversione: il cristiano è chiamato a tornare a Dio «con tutto il cuore» ( Gl 2,12), per non accontentarsi di una vita mediocre, ma crescere nell'amicizia con il Signore. Gesù è l 'amico fedele che non ci abbandona mai, perché, anche quando pecchiamo, attende con pazienza il nostro ritorno a Lui e, con questa attesa, manifesta la sua volontà di perdono (cfr Omelia nella S. Messa, 8 gennaio 2016). La Quaresima è il momento favorevole per intensificare la vita dello spirito attraverso i santi mezzi che la Chiesa ci offre: il digiuno, la preghiera e l'elemosina. Alla base di tutto c'è la Parola di Dio, che in questo tempo siamo invitati ad ascoltare e meditare con maggiore assiduità. In particolare, qui vorrei soffermarmi sulla parabola dell'uomo ricco e del povero Lazzaro (cfr Lc 16,19- 31). Lasciamoci ispirare da questa pagina così significativa, che ci offre la chiave per comprendere come agire per raggiungere la vera felicità e la vita eterna, esortandoci ad una sincera conversione. 1. L'altro è un dono La parabola comincia presentando i due personaggi principali , ma è il povero che viene descritto in maniera più dettagliata: egli si trova in una condizione disperata e non ha la forza di risollevarsi, giace alla porta del ricco e mangia le briciole che ca-
dono dalla sua tavola, ha piaghe in tutto il corpo e i cani vengono a leccarle (cfr vv. 20-21). Il quadro dunque è cupo, e l'uomo degradato e umiliato. La scena risulta ancora più drammatica se si considera che il povero si chiama Lazzaro: un nome carico di promesse, che alla lettera significa «Dio aiuta». Perciò questo personaggio non è anonimo, ha tratti ben precisi e si presenta come un individuo a cui associare una storia personale. Mentre per il ricco egli è come invisibile, per noi diventa noto e quasi familiare, diventa un volto; e, come tale, un dono, una ricchezza inestimabile, un essere voluto, amato, ricordato da Dio, anche se la sua concreta condizione è quella di un rifiuto umano (cfr Omelia nella S. Messa, 8 gennaio 2016). Lazzaro ci insegna che l’altro è un dono. La giusta relazione con le persone consiste nel riconoscerne con gratitudine il valore. Anche il povero alla porta del ricco non è un fastidioso ingombro, ma un appello a convertirsi e a cambiare vita. Il primo invito che ci fa questa parabola è quello di aprire la porta del nostro cuore all'altro, perché ogni persona è un dono, sia il nostro vicino sia il povero sconosciuto. La Quaresima è un tempo propizio per aprire la porta ad ogni bisognoso e riconoscere in lui o in lei il volto di Cristo. Ognuno di noi ne incontra sul proprio cammino. Ogni vita che ci viene incontro è un dono e merita accoglienza, rispetto, amore. La Parola di Dio ci aiuta ad aprire gli occhi per accogliere la vita e amarla, soprattutto quando è debole. Ma per poter fare questo è ne-
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cessario prendere sul serio anche quanto il Vangelo ci rivela a proposito dell'uomo ricco. 2. Il peccato ci acceca La parabola è impietosa nell'evidenziare le contraddizioni in cui si trova il ricco (cfr v. 19). Questo personaggio, al contrario del povero Lazzaro, non ha un nome, è qualificato solo come "ricco". La sua opulenza si manifesta negli abiti che indossa, di un lusso esagerato. La porpora infatti era molto pregiata, più dell'argento e dell'oro, e per questo era riservato alle divinità (cfr Ger 10,9) e ai re (cfr Gdc 8,26). Il bisso era un lino speciale che contribuiva a dare al portamento un carattere quasi sacro. Dunque la ricchezza di quest'uomo è eccessiva, anche perché esibita ogni giorno, in modo abitudinario: «Ogni giorno si dava a lauti banchetti» (v. 19). In lui si intravede drammaticamente la corruzione del peccato, che si realizza in tre momenti successivi: l'amore per il denaro, la vanità e la superbia (cfr Omelia nella S. Messa, 20 settembre 2013). Dice l'apostolo Paolo che «l'avidità del denaro è la radice di tutti i mali» (1 Tm 6, 10). Essa è il principale motivo della corruzione e fonte di invidie, litigi e sospetti. Il denaro può arrivare a dominarci, così da diventare un idolo tirannico (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 55). Invece di essere uno strumento al nostro servizio per compiere il bene ed esercitare la solidarietà con gli altri, il denaro può asservire noi e il mondo intero ad una logica egoistica che non lascia spazio all’amore e ostacola la pace...
L’UNIVERSITÀ
dialogo nelle differenze da Roma
NELLO AMATO NOSTRO SERVIZIO PARTICOLARE
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er la prima volta – venerdì 17 febbraio - Papa Francesco è entrato in un ateneo pubblico romano e subito chiarisce la sua idea di università: un luogo di “dialogo nelle differenze”. L’Università degli Studi Roma Tre, la più giovane della capitale italiana, con i suoi 25 anni di vita, lo accoglie con i propri giovani, una folta rappresentanza dei 40 mila iscritti, che lo attende nel piazzale antistante la sede di Via Ostiense: in lontananza si intravedono quelli che una volta erano gli edifici industriali della zona, nell’area proprio dove nel 1992 venne fondato l’ateneo. Appena arrivato, i saluti del rettore Mario Panizza e delle istituzioni universitarie. Francesco ascolta le domande rivoltegli da quattro studenti. Consegnando il discorso ufficiale, risponde a braccio, su temi che gli sono cari. È affiancato da una traduttrice nel linguaggio dei segni, per i non udenti. Su invito di Giulia, riflette sulla violenza, che nasce dal poco, per strada, in famiglia, nel nostro linguaggio: oggi – nota – c’è “violenza nell’esprimersi, nel parlare”, ci si dimentica perfino di “dare il buongiorno”:
“La violenza è un processo che ci fa ogni volta più anonimi: ti toglie il nome. Anonimi gli uni verso gli altri. Ti toglie il nome e i nostri rapporti sono un po’ senza nome: sì, è una persona quella che ho davanti, con un nome, ma io ti saluto come se tu fossi una cosa. Ma questo che noi vediamo qui, cresce, cresce, cresce e diviene la violenza mondiale. Nessuno, oggi, può negare che stiamo in guerra, e questa è una terza guerra mondiale a pezzetti, ma c’è. Bisogna abbassare un po’ il tono e bisogna parlare meno e ascoltare di più”. In un mondo in cui, nota Francesco, anche “la politica si è abbassata tanto”, perdendo il “senso della costruzione sociale, della convivenza sociale”, la prima medicina contro ogni violenza diventa quella del cuore “che sa ricevere”, in un dialogo che “avvicina”, nell’ascolto dell’altro: “La pazienza del dialogo. E dove non c’è dialogo, c’è violenza. Ho parlato di guerra: è vero, stiamo in guerra. E’ vero. Ma le guerre non incominciano là: incominciano nel tuo cuore, nel nostro cuore. Quando io non sono capace di aprirmi agli altri, di rispettare gli altri, di parlare con gli altri, di dialogare con gli altri: lì incomincia la guerra”. L’università, sottolinea, è invece il luogo "dove si può dialogare, dove c’è posto per tutti”, ognuno con il pro58
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pastorale universitaria
momento una certa “celerità”; Francesco evoca la “rapidazione”, termine coniato dagli olandesi – spiega, riallacciandosi ad un recente dialogo avuto coi gesuiti - per indicare la progressione geometrica in termini di velocità e che oggi può applicarsi al mondo della comunicazione: “Tante volte una comunicazione così rapida, così leggera, può diventare liquida, senza consistenza e questo è uno dei pericoli di questa società - questa non è una parola mia, la ‘società liquida’, l’ha detta Bauman da tempo -, la liquidità senza consistenza. E noi dobbiamo prendere la sfida di trasformare questa liquidità in concretezza”. Un “dramma”, quello della “liquidità”, che caratterizza pure l’economia, che non produce più “lavoro concreto” per i nostri giovani. Succede in Europa, evidenzia il Papa, dove aumenta la percentuale di disoccupazione per i ragazzi “dai 25 anni in giù”: “Questa liquidità dell’economia toglie la concretezza del lavoro e toglie la cultura del lavoro perché non si può lavorare, i giovani non sanno cosa fare”. Vengono sfruttati, cadono nelle dipendenze, vengono portati al suicidio o – osserva ancora Francesco – ad arruolarsi “in un esercito terrorista”. Serve, ripete, concretezza anche nell’economia, nel mondo come in
prio modo di pensare. Altri luoghi, osserva, dove ciò non avviene non possono essere considerati alla stessa stregua: “Le università di élite, che sono generalmente cosiddette università ideologiche, dove tu vai, ti insegnano questa linea, soltanto, di pensiero, questa linea ideologica e ti preparano a essere un agente di questa ideologia. Quella non è università: quella non è università. Dove non c’è dialogo, dove non c’è confronto, dove non c’è ascolto, dove non c’è rispetto per come la pensa l’altro, dove non c’è amicizia, dove non c’è la gioia del gioco, lo sport, tutto quello, non c’è università. Tutto insieme”. L’invito, rispondendo a Riccardo e a Niccolò, è dunque a “cercare sempre l’unità”, concetto “totalmente” diverso dall’uniformità. Per essere tale, afferma, “si fa con la diversità”, perché il pericolo di oggi - a livello mondiale - è concepire “una globalizzazione nella uniformità”. La via è quella di un modello - già citato dal Papa - preso a prestito dalla geometria, il poliedro: “C’è una globalizzazione poliedrica, c’è un’unità, ma ogni persona, ogni razza, ogni Paese, ogni cultura sempre conserva la sua identità propria. E questa è l’unità nella diversità che la globalizzazione deve cercare”. Anche nella comunicazione, rileva il Pontefice, c’è al
Europa. Quel continente, spiega, che è stato caratterizzato nella sua storia “da invasioni, migrazioni”: è stato fatto “artigianalmente”. Ed oggi invece teme di perdere la propria “identità” se - aggiunge - “viene gente di altra cultura”. Le migrazioni, ribadisce Francesco, “non sono un pericolo”, ma “una sfida per crescere”. Parla del viaggio a Lesbo – “ho sofferto tanto”, ricorda – e racconta di come Nour, la ragazza siriana che gli ha rivolto una delle domande, sia arrivata in Italia con la sua famiglia ed un altro piccolo gruppo di rifugiati a bordo del volo papale di rientro dall’isola greca. Quindi il Pontefice rivolge il proprio sguardo a chi fugge dall’Africa e dal Medio Oriente: “Perché c’è la guerra e fuggono dalla guerra, o c’è la fame e fuggono dalla fame. Ma quale sarebbe la soluzione ideale? Che non ci sia la guerra e che non ci sia la fame, cioè fare la pace o fare investimenti in quei posti perché abbiano risorse per lavorare e guadagnarsi la vita”. È un invito dunque, quello del Papa, a “non sfruttare”: lo rivolge ai “potenti” della Terra, come ai criminali che gestiscono i traffici dei “barconi” carichi di migranti, che fanno sì che il Mediterraneo si sia trasformato in un “cimitero”: “Non dimentichiamo questo: il nostro mare, il ‘mare nostrum’, oggi è un cimitero. Pensiamolo quando stiamo da soli, come se fosse una preghiera”. Il pensiero va quindi al viaggio a Lampedusa – “ho sentito che dovevo andare”, spiega – quando il fenomeno migratorio stava cominciando: oggi, constata, “è di tutti i giorni”. Quindi, come accogliere chi arriva? “Prima, come fratelli e sorelle umani: sono uomini e donne come noi. Secondo, ogni Paese deve vedere quale numero è capace di accogliere. E’ vero: non si può accogliere se non c’è possibilità. Ma tutti possono fare. Poi, non solo accogliere: integrare. Integrare, cioè ricevere questa gente e cercare di integrarli. Che imparino la lingua, cercare un lavoro, un’abitazione: integrare. Che ci siano organizzazioni per integrare”. È questo il significato di “porte aperte”, prosegue Francesco: “Loro portano una cultura, una cultura che è ricchezza, per noi. Ma anche loro devono ricevere la nostra cultura e fare uno scambio di culture. Rispetto. E questo toglie la paura. Ma, c’è la paura, sì; ma la paura non è soltanto dai migranti: i delinquenti che vediamo sui giornali, le notizie, sono nativi di qui, o immigrati, di tutto: c’è di tutto! Ma integrare è importante”. Il rischio è che succeda come in Belgio, dove - ricorda - gli autori della strage a Zaventem erano belgi, “figli
Un ateneo “senza recinti” Più di 2.500 persone, tra studenti, professori e personale dell’Università, si sono radunate nello spazio di fronte il rettorato per ascoltare le parole del Papa. Tanti giovani, ma anche professori, sono arrivati alle 6 di mattina per vedere il Papa da vicino. Questo è il più giovane ateneo romano e cerca di fare dello scambio tra culture un suo punto di forza. L’invito al dialogo, ad aprirsi, hanno stimolato tanti studenti. Queste le loro testimonianze: Mi ha impressionato come abbia compreso le difficoltà dei giovani neolaureati, disoccupati, e quindi cercare di mettersi nei loro panni per dare una mano anche con qualche parola.
Sicuramente ci ha dato un messaggio di speranza e una visione ottimistica del mondo. Siamo stati più attenti ai giovani, all’università, a quello che sarà il mondo domani. Il vigore con cui ha rimarcato il ruolo dell’università e la distinzione tra università ideologiche e università che seguono la terza missione con un altro approccio. Parole semplici ma di grande classe allo stesso tempo. Ci fa capire che sta tutto nelle cose semplici … Con il dialogo si sconfigge la violenza. Avere anche una pace interiore all’interno della famiglia porta anche la pace fuori. Proveremo a seguire direttamente l’insegnamento di oggi. Il rettore di Roma Tre Mario Panizza parla di un ateneo "senza recinti" che vuole dare la parola a tutte le culture, aperto a tutta la città: Non avere paura perché solo conoscendo si scongiura la paura. Vi ha dato una spinta ad aprirvi ancora di più all’esterno, questa visita? Ci apriamo abbastanza, sicuramente lo faremo sempre di più. Se uno non ascolta non riesce neanche a parlare. Questo mi sembra che sia proprio il segnale più importante, la traccia sia per i ragazzi che per noi educate anche da questo incontro per rilanciare il ruolo dell’università nella società italiana. di migranti, ma ghettizzati, non integrati”. Cita quindi l’esempio di accoglienza della Svezia nei confronti dei connazionali argentini. E conclude, prima dello scambio dei doni, riassumendo la propria “risposta alla paura”: “Quando c’è questo: accoglienza, accompagnare e integrare, non c’è pericolo con le migrazioni. Si riceve una cultura e si offre un’altra cultura”. 60
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bana”. Tra queste: una “pastorale evangelizzatrice audace e senza timori”, il “dialogo con la multiculturalità”, la forza della “religiosità popolare” e l’attenzione “ai poveri, agli esclusi, agli scartati”.
Attenzione per la pastorale urbana Il card. Sistach ha affermato che il Santo Padre è interessato al tema della pastorale nelle città fin da quando era arcivescovo di Buenos Aires. “Già d’allora - si legge nel comunicato dell’arcidiocesi di Barcellona – il card. Bergoglio aveva manifestato la preoccupazione della Chiesa per i grandi concentramenti urbani”. Nel suo discorso ai partecipanti al primo Congresso, infatti, il Papa aveva accennato alle difficoltà che, in quanto arcivescovo di una megalopoli come Buenos Aires, aveva dovuto affrontare e aveva invitato i vescovi ad approfondire “sfide e possibili orizzonti di una pastorale ur-
Acqua, inquinamento e rifiuti Il prossimo Congresso, che sarà “strettamente dedicato al mondo latinoamericano”, incentrerà i suoi lavori sugli insegnamenti di Papa Francesco sull’ecologia, alla luce dell’enciclica "Laudato si’". Gli interventi di esperti di tutto il mondo in ecologia, leader religiosi, rettori di prestigiose università e sindaci delle grandi città saranno alla base dei dibattiti che si svolgeranno in tavole rotonde e simposi. Tre saranno gli argomenti ecologici dai quali si prenderanno spunti per le riflessioni: il problema dell’acqua, le questioni relative all’inquinamento dei grandi agglomerati urbani e la gestione dei rifiuti. Il Congresso è promosso dalla Fondazione “Antoni Gaudí per le Grandi Città”, presieduta dallo stesso card. Sistach, con la collaborazione del card. Orani João Tempesta, arcivescovo di Rio di Janeiro.
io di Janeiro sarà la grande metropoli brasiliana che dal 13 al 15 luglio prossimi accoglierà il secondo Congresso internazionale delle grandi città dedicato all’Enciclica: “Laudato si’ sulla cura della casa comune". Il programma dell’evento è stato presentato al Papa, dal card. Lluís Martínez Sistach, arcivescovo emerito di Barcellona, organizzatore del primo incontro svoltosi a maggio e a novembre del 2014 nella città catalana.
Laudato sì
Grandi città a confronto
Renato Buzzonetti medico di quattro papi È
morto sabato notte 21 gennaio alle ore 2. 40 a Roma il medico che ha seguito quattro Papi: per ben 42 anni Renato Buzzonetti, archiatra pontificio emerito, è stato accanto a Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, restando però sempre un passo indietro, «sullo sfondo» come amava dire ricordando le parole che gli disse proprio Papa Montini. Buzzonetti era nato il 23 agosto 1924. Le esequie sono state celebrate lunedì 23 gennaio, alle 15.30, nella chiesa romana del Sacro Cuore del Suffragio in Prati. Aveva iniziato il suo servizio con Paolo VI nel settembre 1967, chiamato dal professor Mario Fontana, medico personale di Papa Montini e diretto superiore di Buzzonetti nella duplice veste di primario dell’ospedale San Camillo e di direttore dei Servizi sanitari della Città del Vaticano. Dal gennaio 1965 infatti era stato assunto in Vaticano con la qualifica di medico supplente, incaricato di occasionali sostituzioni e guardie notturne. Un servizio che aveva già svolto durante l’ultima sessione del concilio Vaticano II. La sera del 6 agosto 1978 era accanto a Paolo VI al momento della morte: i ricordi degli ultimi giorni di vita di Montini sono stati raccontati da Buzzonetti in un lungo articolo pubblicato sull’Osservatore Romano del 1° agosto 2014. Aveva constatato il decesso DI Giovanni Paolo I il 28 settembre 1978. Il 29 dicembre 1978 Giovanni Paolo II lo aveva nominato suo medico personale. E nel gennaio 1979 gli aveva affidato anche l’incarico di direttore dei Servizi sanitari dello Stato della Città del Vaticano. L’attentato al Pontefice, il 13 maggio 1981, costituì un’esperienza particolarissima nella vita del suo medico personale. Così come l’assistenza a Papa Wojtyła per il morbo di Parkinson, i cui primi sintomi ebbe modo di notare nel 1991. Buzzonetti era rimasto accanto a lui con particolare affetto soprattutto nell’ultimo periodo della sua vita, fino alla morte avvenuta il 2 aprile 2005. Quindi, nel
successivo mese di giugno, aveva dato le dimissioni, per limiti d’età, dall’incarico di direttore dei Servizi sanitari della Città del Vaticano, mantenendo però fino al gennaio 2009 il compito di medico personale di Benedetto XVI, il quarto Pontefice che Buzzonetti ha assistito personalmente. Era stato proprio Papa Ratzinger, uscendo dalla cappella Sistina appena eletto, a chiedergli di continuare a seguirlo come medico, proseguendo un rapporto di fiducia, tra medico e paziente, iniziato nel settembre 1991. Uomo di fede, Buzzonetti aveva delineato, in un’intervista pubblicata su L’Osservatore Romano del 17-18 maggio 2010, il profilo del «medico personale del Santo Padre» che, aveva precisato, «ha il compito fiduciario di vegliare sullo stato di salute del Pontefice, assistendolo nella prevenzione e nella cura delle malattie e, per quanto possibile, deve seguirlo nelle varie fasi della sua attività». Un ruolo delicato e pieno di responsabilità che ha sempre svolto con discrezione e con riservatezza, scegliendo di restare sempre «sullo sfondo» come gli riconobbe il Beato Paolo VI
Confidente di San Giovanni Paolo II sazione quasi fisica - è la morte di un uomo che lascia le chiavi del Regno dei Cieli, quelle chiavi di cui tutti abbiamo fatto tesoro e si presenta veramente povero al giudizio di Dio e a quello di tutta la Chiesa. Chi ha toccato il corpo del Papa morente ha toccato le sue piaghe che c’erano, di queste piaghe nessuno ha mai parlato, ma c’erano anche le piaghe vere, quelle che sanguinano, e non perché ci fossero fenomeni misteriosi.. erano fenomeni puramente medici, ma c’erano le piaghe e quindi il dolore delle piaghe. Chi ha ascoltato le sue ultime parole biascicate in polacco, porta dentro di sé un’esperienza che non si può cancellare ma nemmeno troppo facilmente comunicare agli altri.
Intervistato a suo tempo da Tiziana Campisi, il dottor Buzzonetti aveva definito san Giovanni Paolo II "testimone di una fede incrollabile sino al termine della sua vita terrena" e si era soffermato sul rapporto tra Papa Wojtyla e la sofferenza. Riascoltiamo le sue parole: Se è vero che il medico conosce la morte e deve, quanto più possibile, aiutare l’uomo a varcare questa soglia misteriosa, io ho sempre detto che assistere alla morte di un uomo fa sfiorare il mistero di Dio perché in effetti la morte di una creatura umana, in qualche maniera, è un’icona della passione e della morte del Signore. Però stare accanto ad un Papa che muore è qualcosa di più perché - io ne ho la sen-
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dal cuore grande ravamo in tanti lunedì 23 gennaio nella chiesa gotica del Sacro Cuore in Lungotevere Prati che celebra il centenario di vita (1917-2017) per dare l’estremo saluto al dottor Renato Buzzonetti, medico personale di quattro Papi: Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI. Parenti, cardinali, arcivescovi, vescovi, prelati, sacerdoti, amici e fedeli : tutti uniti nella preghiera per consegnare nelle mani di Dio l’anima di un credente, dalla statura robusta, alta. Senza far rumore, il dottor Buzzonetti, sapeva unire la sua storia personale con quella della famiglia; la sua professione con il servizio ai Papi, alla Chiesa, agli ultimi. Pur stando tra le persone che contavano in Vaticano e fuori, Buzzonetti, preferiva sempre il bisognoso, l’indigente. Dimostrava tutto questo, con semplicità, senza far rumore, fedele alla sua vocazione cristiana irrobustita, negli anni, soprattutto per quella vicinanza al ministero petrino che faceva lieta compagnia alla sua lunga vita: ben 92 anni, portati bene sino alla fine: sabato 21 gennaio 2017. Quando, a Natale, gli facevo la telefonata augurale, mi riferiva subito, che il giorno dopo, il 26 sarebbe stato ricoverato alla clinica Pio XI. Il 30 andavo da lui per l’ultima conversazione. Ricordi , preghiere, invocazioni, benedizioni. Prima del commiato gli baciavo la mano destra e lo benedicevo:”Mi verranno incontro san Giovanni Paolo II e il beato Paolo VI, quando il Signore mi chiamerà”- erano le parole che porterò sempre nel cuore. Con il dottor Buzzonetti ho avuto un rapporto privilegiato. Non per i miei meriti, ma per la straordinaria ricchezza del suo animo e del suo cuore. Il primo
maggio del 1982, aveva ricoverato mia madre Maria a san Camillo, e fino al giorno dell’attentato a Giovanni Paolo II - 13 maggio- ogni giorno si recava a trovarla. Dopo l’attentato la affidava al dottor Nicotra, altra figura esemplare di medico attento e premuroso. Poi , le attenzioni per il mio papà Rocco e il ricovero all’isola tiberina; poi le premure per mio nipote Ferruccio. Tanti gesti di tenerezza e di bontà, compiuti con samaritana dedizione. Dall’orizzonte personale e familiare a quello pontificale soprattutto con il servizio reso a san Giovanni Paolo II nei suoi 27 anni di pontificato, il passaggio era semplice e lineare, perché lui, Bozzonetti, era il medico di tutti, senza distinzione alcuna. Passava, con naturale disinvoltura, dal malato numero Uno all’ultimo, perché, da uomo di fede qual era, vedeva nell’uomo sofferente, il volto sofferente di Cristo. Esemplare era la sua presenza nei viaggi apostolici internazionali e nazionali. Era sempre lì ,a due passi, dal papa sofferente, per lenire, per quando possibile, la sua Croce. Due desideri, tra noi due, sono rimasti incompleti: il ritorno ad Assisi, e una vacanza a Ravello. Mi permettevo di ricordarglielo spesso. Ma tutto veniva rimandato in attesa della calda stagione. Ora, dal cielo, guarda ad Assisi e a Ravello, con quella visione francescana della vita, che ha contraddistinto tutto il suo pellegrinare per le strade nel mondo accanto a san Giovanni Paolo II e agli amici del seguito papale che condividevano con lui le fatiche del giorno. Nell’ora della celebrazione esequiale, trasformatasi in liturgia pasquale, anche il canto francescano Dolce sentire, dava senso alla fine terrena del dottor Buzzonetti, andato incontro al Padre in un giorno di sabato, senza tramonto.
Che tipo di paziente era Giovanni Paolo II? Era un paziente buono, si faceva visitare, collaborava, raccontava con esattezza i suoi disturbi, anzi era molto attento e vigile sui suoi malesseri piccoli e grandi perché voleva guarire presto e voleva aiutare il medico a trovare il bandolo della matassa dei suoi disturbi. Certo, come tutti i malati, non amava le iniezioni endovenose, però il resto della terapia, che poi è anche quella più pesante, più difficile da sopportare, lo accettò senza fare difficoltà fino alla tracheotomia. Si fece spiegare da me in cosa consistesse e quale era lo scopo, e dopo qualche minuto di riflessione e di silenzio diede il suo benestare.
Che cosa invece lei ha imparato da Karol Wojtyla? Anzitutto a fare meglio il medico, cioè a ricordarmi che ogni malato ha gli stessi privilegi e diritti che può aver un Papa, nel senso che dinnanzi al medico, tutti i malati, i più poveri, i più dimenticati, sono anch’essi fratelli miei e figli di Dio. La sostanza è che il medico serve l’uomo, questo ho imparato. Poi dal Papa Giovanni Paolo ho appreso il suo grande spirito di fede, questa fede di acciaio che lo ha sostenuto in tutta la vita nei capitoli che ci hanno raccontato i libri, i film … questa fede veramente incrollabile che lo portava ad accettare e sopportare, non solo il male fisico, ma anche la difficoltà di un ministero estremamente impegnativo e anche rischioso.
da Roma
GIANFRANCO GRIECO
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testimoni
Quando muore un amico
Sguardi sul mondo EU 201 RO 7 Parolin a Davos PA “Se vogliamo la pace dobbiamo lavorare per la giustizia”
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l cardinale segretario di Stato Pietro Parolin è intervenuto al 47° Forum Mondiale dell’Economia a Davos, in Svizzera. Il porporato ha partecipato ad una conversazione parlando in particolare degli obiettivi dell’attività diplomatica della Santa Sede nel mondo, della crisi dell’Unione Europea, le migrazioni, il disarmo. Con Papa Francesco, diplomazia vaticana più attiva L’attività diplomatica della Santa Sede è aumentata molto, anzitutto per la personalità di Papa Francesco: questo è chiaro! Ha assunto un ruolo grande di leader, di guida nelle sfide globali presenti. Ed è riconosciuto come un leader globale. Quando riceviamo in Vaticano le delegazioni dei diversi Stati o delle diverse organizzazioni, normalmente riconoscono questo ruolo del Papa. Questo è stato molto chiaro, per esempio, nella Conferenza di Parigi sui cambiamenti climatici. Questa è dunque una delle ragioni per cui la diplomazia vaticana è più attiva oggi. Lottare contro povertà,costruire ponti,lavorare per la pace Il Santo Padre, dopo la sua ele-
zione, ha dato tre obiettivi alla diplomazia vaticana. Il primo: lottare contro la povertà. Il secondo: costruire ponti. Molto volte, quando gli chiedono cosa fare in situazioni difficili, quando ci si trova in situazione di conflitto e di scontro, lui risponde dicendo: “Dialogo, dialogo, dialogo!”. Il terzo obiettivo è quello di raggiungere la pace nel mondo. E seguendo queste tre linee, stiamo cercando di intervenire nelle situazioni in cui è possibile intervenire. Con la libertà religiosa si promuovono tutti i diritti Per queste ragioni uno dei principali obiettivi dell’azione della Santa Sede è proteggere, difendere e promuovere la libertà religiosa che è il primo dei diritti umani. Se la libertà religiosa è protetta anche gli altri diritti umani vengono tutelati e promossi. Sentiamo veramente che non stiamo lavorando solo per la libertà della Chiesa o solo per la libertà dei cattolici: quando parliamo di libertà religiosa stiamo facendo qualcosa per tutti! E questo è interesse di tutti, di tutti i credenti, appartenenti alle diffe64
renti religioni ed è il cuore dell’azione della Santa Sede. Vorrei aggiungere anche un punto importante: non si tratta solo di difendere e promuovere i diritti dei credenti ma, vorrei dire, che si tratta di difendere e proteggere la stessa persona umana, difendere i diritti della persona. Vorrei specialmente sottolineare che c’è una dimensione che non può essere tralasciata o dimenticata se vogliamo salvare l’umanità oggi: è la dimensione trascendente della persona. La persona non può essere ridotta soltanto a unadimensionemateriale:senonpreserviamoquestadimensioneilfutur odell’umanitàèveramentemoltoscuro. Ridare un'anima all'Europa Per quanto riguarda l’Unione Europea, dobbiamo riconoscere che sta vivendo un periodo di crisi. Vorrei sottolineare anzitutto che l’Unione Europea ha portato grandi benefici al continente europeo e non dovremmo dimenticarlo. Secondo: stiamo vivendo un periodo di difficoltà e secondo noi è necessario dare oggi nuovamente – e lasciatemi usare questa parola – un’anima all’Europa.
Non relegare la religione alla sfera privata Io penso che sia necessario tornare oggi ai Padri Fondatori, perché i Padri Fondatori erano persone di grandi e profonde convinzioni, che volevano un’Europa fatta di persone, di idee, di una idea comune, e non soltanto un’Europa fatta di mercati e di economia. In questo senso vorrei anche sottolineare l’importanza della religione: la religione non può essere relegata ad una dimensione privata. Non si tratta soltanto di una dimen-
sione legata ai sentimenti delle persone: la religione ha qualcosa da dire anche sulla scena pubblica. Certamente in dialogo con tutti le altre fedi. Noi non chiediamo e non pretendiamo certo alcun privilegio per la Chiesa cattolica. Viviamo in una società pluralistica, caratterizzata da tante religioni, ed è importante che le autorità riconoscano il ruolo pubblico che la religione può dare alla vita. In questo senso possiamo anche dire una parola riguardo al terrorismo, specialmente il terrorismo che può essere una espressione del credo religioso: noi pensiamo che sia una chiara manipolazione della religione. Il Santo Padre ha detto tante volte che la fede in Dio non può essere ricondotta a questi terribili atti contro le persone e contro l’umanità.
Immigrazione: no a paure e a chiusure La questione dell’immigrazione: la grande sfida oggi è come rendere le differenze non una fonte di scontro ma di arricchimento reciproco. C’è la paura di perdere la propria identità, ma la chiusura e la non accettazione dell’altro sono attitudini che ci impoveriscono e non ci fanno progredire. Occorre lavorare insieme e l’Europa purtroppo non riesceadelaborareunapoliticacomunesullemi grazioni.Disarmonuclearenfine, ancora la pace. La pace è frutto della giustizia. Se vogliamo la pace dobbiamo lavorare per la giustizia. In questo senso, stiamo riflettendo con la comunità internazionale sulla moralità del concetto di deterrenza nucleare. Ancora una volta dobbiamo dire che una pace costruita sulla paura non è pace.
SPECIALE NATALE 2016
Un’anima all’Europa! Forse mi ripeto ancora e ancora, ma questo è un punto molto, molto importante: riconoscere la persona in ogni sua dimensione. Il rischio oggi è quello di ridurre la persona soltanto ad una dimensione economica e materiale.
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Presidente “L’America prima di tutto”
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Monito di Francesco “Sue decisioni siano guidate dai valori spirituali ed etici”
onald Trump ha giurato venerdì 20 gennaio come 45.mo Presidente degli Stati Uniti. Nel suo discorso ha affermato con forza: "L'America prima di tutto". Oggi - ha aggiunto - il "potere torna al popolo". Poi le due linee guida: "Comprate americano, assumete americani". Come primo atto presidenziale ha firmato un decreto che taglia i costi della Riforma sanitaria di Obama, la cosiddetta 'Obamacare'. Venerd’ e santo 21, non sono mancate le proteste con manifestazioni che a volte sono degenerate in scontri con la polizia: oltre 200 gli arresti. Massimiliano Menichetti ha intervistato Paolo Mastrolilli, corrispondente dagli Stati Uniti per il quotidiano La Stampa: Il Presidente Trump ha fatto un discorso in linea con ciò che diceva durante la campagna elettorale. Molti si aspettavano che sarebbe cambiato una volta alla Casa Bianca, invece ha dimostrato che quelle erano effettivamente le sue idee, le idee con cui intende governare gli Stati Uniti. In sostanza ha detto che il suo progetto è quello di rifare grande l’America, rilanciando l’economia, restituendo il governo al popolo e anche sul piano internazionale mettendo l’interesse dell’America al primo posto, “America first”. E’ convinto che con questa strategia riesca a rilanciare l’America, a farle avere successo, tanto dal punto di vista economico, quanto dal punto di vista della presenza sulla scena internazionale. Quindi in questa maniera pensa forse di unificare il Paese, nel senso che avendo successo poi anche le persone che non l’hanno votato si convinceranno a seguire la sua leadership.
“Le invio i miei cordiali auguri assicurandole che pregherò Dio l’Altissimo perché le doni sapienza e forza nell’esercizio del suo alto incarico”. Così Papa Francesco nel messaggio che ha inviato a Donald Trump, in occasione del suo insediamento come 45° Presidente degli Stati Uniti d’America. “In un tempo in cui la nostra famiglia umana è tormentata da gravi crisi umanitarie che richiedono risposte politiche lungimiranti e unite” scrive Papa Francesco, “prego affinché le sue decisioni siano guidate dai ricchi valori spirituali ed etici che hanno plasmato la storia del popolo americano e l’impegno della nazione per l’avanzamento della dignità umana e della libertà in tutto il mondo”. “Sotto la sua guida - scrive ancora il Papa - possa la statura dell’America continuare a misurarsi soprattutto per la sua preoccupazione per i poveri, gli esclusi e i bisognosi che come Lazzaro attendono di fronte alla nostra porta”. Il messaggio del Papa a Donald Trump si conclude con l’invocazione a Dio perché “doni la sua benedizione di pace, concordia e prosperità materiale e spirituale” al neo Presidente e alla sua famiglia e a tutto il popolo americano.
Tante le proteste nella giornata di insediamento. Si vede ancora la spaccatura che c’era durante la campagna elettorale … La spaccatura è rimasta, gli Stati Uniti sono un Paese diviso e chiaramente l’elezione di Trump, almeno al momento, non è riuscita a curare questa divisione che però è precedente a lui, e che va avanti da circa 20 anni. Trump è un Presidente di minoranza, lo hanno votato poco più di 60 milioni di americani, certamente meno della metà degli aventi diritto. E 66
Di cosa ha bisogno l’America adesso? Secondo Trump - è quello che lui ha detto in maniera informale ai suoi collaboratori - ha bisogno di successo economico. Ha detto che la cosa fondamentale su cui si baserà il successo della sua presidenza è il rilancio dell’economia e soprattutto il lavoro. E’ vero che la disoccupazione è bassa, sotto il 5% ma secondo lui molti americani sono insoddisfatti perché o non cercano più il lavoro oppure quello che hanno non gli dà abbastanza sicurezza, non gli dà la possibilità di realizzare il sogno americano, di vivere meglio di come facevano i propri genitori. Lui punta soprattutto su questo. E poi naturalmente sulla sicurezza, infatti ha detto che l’obiettivo principale della sua amministrazione sarà quello di sradicare l’islam
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radicale e il terrorismo che produce in tutto quanto il mondo. Siamo abituati a vedere un’America che vive e interpreta la democrazia anche con le grandi proteste, ma anche un’America che poi si ricompatta sotto la bandiera: qual è l’America di oggi? Trump ha fatto l’appello al patriottismo, ha detto: potete essere bianchi, neri, marroni, potete essere repubblicani o democratici, ma alla fine quello che ci unisce è il patriottismo, l’adesione alla stessa bandiera. In questo momento però non ho l’impressione che ci sia questo denominatore. Il patriottismo, la fedeltà agli Stati Uniti, alla bandiera, ai valori americani probabilmente esistono nel fondo del cuore di tutti quanti gli abitanti di questo Paese, ma quelle che emergono di più sono le divisioni, le differenze politiche che sono state accentuate durante la scorsa campagna elettorale. Questa effettivamente è la sfida di Donald Trump. La divisione del Paese esisteva prima che lui arrivasse ma si è accentuata adesso. E certamente se lui non riesce a ricompattare il Paese, se lui resta solamente il Presidente dei 60 milioni di americani che lo hanno votato, questo rischia di diventare un problema serio per la tenuta degli Stati Uniti e per il loro successo economico e nella politica estera.
sguardi sul mondo
in più ha anche perso il voto popolare rispetto a Hillary Clinton, con tre milioni di consensi in meno. Quindi è in una posizione veramente difficile. I sondaggi dicono che la sua popolarità è al 40%, quindi è abbastanza bassa. E da qui deve cercare di partire per riconquistare tutta quanta questa fetta di americani che non lo hanno votato e non accettano addirittura la sua elezione. Trump per avere successo deve diventare il Presidente di tutti gli americani, non può restare solo il Presidente di coloro che lo hanno votato.
OBAMA: “Yes we did” ‘
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es we did’: l’ultimo saluto del 44.mo presidente uscente degli Stati Uniti Barak Obama, nella sua Chicago, in un clima di forte commozione, dove 8 anni fa, nella leggendaria notte elettorale, aveva gridato, conquistando la Casa Bianca lo slogan ‘Yes we can’. ‘Yes we did’, ce l’abbiamo fatta, ha sottolineato con orgoglio Obama il 10 gennaio 2017, perché “oggi l’America è un Paese migliore”, ha detto, rivendicando quelle che secondo lui, ma forse non per gli americani che hanno preferito Trump alla Clinton, sono state grandi conquiste civili, tra queste la legalizzazione delle nozze gay, il salvataggio dell’industria automobilistica, la lotta allo Stato islamico. Ha parlato poi del futuro del Paese, assicurato che lavorerà per il bene degli Stati Uniti anche fuori della Casa Bianca per salvaguardare i principi di libertà, uguaglianza, democrazia, che in questa fase la minaccia del terrorismo rischia di intaccare, mettendo in guardia dal discriminare i musulmani d’America e le minoranze, a partire da quella afroamericana. Un richiamo anche ai cambiamenti climatici: negarli – ha detto – sarebbe tradire le generazioni future e lo spirito del Paese. Infine il monito a non imitare la Russia e la Cina, “potenze rivali” che non possono eguagliare la nostra influenza sul mondo - ha lanciato il suo affondo Obama - a meno che non molliamo quello in cui crediamo e ci trasformiamo in un Paese che fa il prepotente con i vicini più piccoli. Ultimo omaggio alla consorte Michelle, “la mia migliore amica”, che mi ha “reso orgoglioso”. Sul discorso del presidente Barack Obama, Massimiliano Menichetti ha intervistato l’americanista Ferdinando Fasce, docente di Storia Contemporanea all’Università di Genova: Credo che, pur considerando i limiti, i problemi, le opacità del doppio mandato di Obama, non si possa non convenire con il fatto che quando Obama dice ”Yes we did” non è lontano dalla realtà. Sul piano internazionale
ha ragione ad affermare che ha riportato a casa la maggioranza delle truppe, ha ragione a ricordare l’accordo sul nucleare con l’Iran e la non meno importante iniziativa sul cambiamento climatico. Sul piano interno spiccano la riforma sanitaria con luci ed ombre, soprattutto sulla questione dell’aborto, e poi il lavoro … Non mancano le ombre sulla riforma sanitaria, ma oggi venti milioni in più di statunitensi hanno accesso alle cure. Obama eredita da John W. Bush non solo due guerre, ma una recessione che non si vedeva dal 1922 con una disoccupazione che viaggiava sulle doppie cifre. Oggi la disoccupazione - di nuovo pur con limiti, lavori temporanei, problemi … - si attesta a poco più del quattro percento. Cosa succederà adesso che il neo presidente eletto Trump in sostanza ha già fatto capire che smantellerà molto di ciò che ha fatto Obama puntando su un ulteriore rilancio dell’occupazione? Premettiamo che Trump ha abilmente giocato su sacche di scontento che ci sono: sacche di difficoltà, di sofferenza, di povertà. Come possa aiutare questi strati con le sue politiche è ancora da vedere. Adesso abbiamo avuto alcune uscite significative, come questi impegni da parte delle imprese dell’auto … Bloccare la produzione in Messico ed investire sul territorio statunitense … Rispetto a questo vedo due facce. Il fatto indubbiamente positivo è che ci sono investimenti, però vedo anche che è una procedura che non passa attraverso un’esplicita, trasparente contrattazione, ma c’è Trump che manda tweet e gli imprenditori che si allineano. Qui, mi pare che ci siano dei problemi dal punto di vista del rapporto tra economia e politica in una liberal democrazia. 68
“Lo scorso anno la comunità internazionale si è confrontata con due importanti appuntamenti convocati dalle Nazioni Unite: il primo Vertice Umanitario Mondiale e il Vertice sui Vasti Movimenti di Rifugiati e Migranti. Occorre un impegno comune nei confronti di migranti, profughi e rifugiati, che consenta di dare loro un’accoglienza dignitosa. Ciò implica saper coniugare il diritto di «ogni essere umano […] di immigrare in altre comunità politiche e stabilirsi in esse»15, e nello stesso tempo garantire la possibilità di un’integrazione dei migranti nei tessuti sociali in cui si inseriscono, senza che questi sentano minacciata la propria sicurezza, la propria identità culturale e i propri equilibri politico-sociali. D’altra parte, gli stessi migranti non devono dimenticare che hanno il dovere di rispettare le leggi, la cultura e le tradizioni dei Paesi in cui sono accolti”. Papa Francesco, al corpo diplomatico, 9 gennaio 2017
Ci saranno nuovi equilibri oppure è tutta una partita da giovare sia sul fronte interno che su quello esterno? È una partita ancora tutta da giovare perché non bisogna trascurare la complessità della macchina repubblicana e l’imprevedibilità di Trump. 69
sguardi sul mondo
HA DETTO
Guardando alla politica internazionale, posizioni simili tra i due rispetto alla Cina, ma sulla Russia Trump accorcia una distanza … Obama aveva preso le distanze per la politica aggressiva di Mosca; Trump ci si riconosce meglio perché gli sembra di poter instaurare un rapporto di nuovo da leader che direttamente può contrattare essendosi riconosciuto in una qualche lunghezza d’onda con Putin. Ma qui poi bisogna veder le dinamiche geopolitiche reali. Più continuità probabilmente c’è rispetto alla Cina, anche se ancora dovremo vedere perché non bisogna dimenticare che questo atteggiamento di dichiarato neo protezionismo trumpiano potrebbe suscitare, e in parte ha già suscitato, delle reazioni negative.
Quale Siria per il futuro
201 ME 7 OR DIO IEN TE
da Roma
MOHAMMAD DJAFARZADEH ESPERTO DI POLITICA MEDIORIENTALE
S
pesso ci chiediamo che cosa sta succedendo in Siria. Ma ci chiediamo, anche che sta succedendo in Iraq, in Afghanistan, nello Yemen, in Sudan,…, e non riceviamo quasi mai una risposta convincente. Non ho nemmeno io una risposta del tutto convincente, ma vorrei dire quali sono delle cause e perche permane una indifferenza dei governi e purtroppo dell’opinione pubblica nei confronti di questa e altre guerre in corso in una area cosi strategica. Dopo la caduta del muro di Berlino - 1989 - e “la fine” della guerra fredda, che tanto fredda non è mai stata, basta ricordarsi, in tanto, della guerra di Corea e poi di Vietnam e altre ancora, fu iniziato l’espansione del neocolonialismo per cambiare l’assetto e l’equilibrio precedente, stabilito a Yalta tra le potenze vincitrice della seconda guerra mondiale, attraverso della cosi detta Globalismo. Fu allora che la finanza mondiale ha deciso di escludere definitivamente la politica dalla scena mondiale, entrando prepotentemente in ogni parte della pianeta per svolgere da sola il ruolo non solo economico ma anche quello strategico, basato esclusivamente sul profitto a tutti i costi. Infatti dove hanno trovato e trovano la resistenza sul loro camino usano i politici, puramente di facciata, come manovalanza
per giustificare gli interventi militari con gli slogan tipo “interessi vitali” e, da un po’ di tempo, con la parola d’ordine “difendere la sicurezza” o “mantenere la pace”. Il patto per la pace tra Hitler e Mussolini costò milioni di morti e la distruzione di buona parte dell’Europa, dell’Asia, dell’Africa. Anche oggi gli interventi militari si fa in nome della pace e della sicurezza. Come in tutte le guerre, anche in Siria, le potenze e altri paesi coinvolti direttamente o indirettamente, si affrontano e si giustificano in nome della democrazia, contro le dittature e per la sicurezza, mentre, di fatto tendono di estendere le proprie sfere di interessi economici e strategici. In Siria ci sono due alleanza, malgrado differenti motivazioni, che combattono tra di loro al costo del massacro della popolazione e la distruzione di uno paese come avvenuto e avviene in da tempo nei paesi asiatici e africani. La Russia di Putin, fa capo all’alleanza che sostiene Bashir Assad, in quanto considera la Siria come l’ultimo baluardo della sua area di influenza, dopo aver perso l’Iraq e la Libia, per non essere tagliata completamente fuori da una zona strategica, ma sopratutto, per dimostrare da una parte ai paesi della zona che non intende rinunciare alla sua presenza e, nello stesso tempo, non lascerà la su70
premazia strategica e l’economica agli Stati Uniti e ai suoi alleati sulla scala mondiale. Ma troviamo in questa alleanza anche l’Iran, già sostenitore del padre Hafez Assad, che partecipa direttamente con dei reparti del proprio esercito. Ma l’Iran segue anche un’altro obiettivo, ossia, combattere indirettamente l’Arabia Saudita e le sua volontà di ottenere la supremazia nel Golfo Persico. Non a caso la forte protesta dell’Arabia Saudita per la presenza dell’Iran a tavola di negoziato sulla Sira in Ginevra e recente lo scontro sulla produzione di petrolio. Fanno parte anche miliziani Hezbollah libanesi, alleati finanziati da sempre dall’Iran contro l’Israele, che secondo le notizie del New York Times dai fonti israeliani che ” utilizzano sul territorio della Siria i VTT - Veicoli per Trasporto Truppe, in inglese APC - modello M113, , forniti dagli americani al governo libanese”. Nel fronte opposto troviamo altri paesi che si affacciano sul Golfo Persico: in testa l’Arabia Saudita, ma anche il Katar, gli Emirati Arabi, che sostengono i cosiddetti ribelli moderati siriani, un gruppo minoritario, a causa di forte presenza dell’ Isis e di frangi di Al Qaida collusi con gruppi estremisti siriani. Questi paesi, in realtà, combattono indirettamente con-
dollari in armamenti, oltre le proprie produzioni di bassa qualità, acquistando caccia e missili dalla Russia, dalla Cina e caccia F5E produzione americana sui mercati neri”. Mentre, secondo International Business Times: “L’Arabia Saudita ha speso solo nel 2012 circa 34 miliardi di dollari, Emirati Arabi 13 miliardi di dollari e l’Oman, solo nel 20014, 1.4 miliardi di dollari per acquisto di 18 caccia F16”. Tutti clienti delle industrie degli armamenti degli Usa, dell’Inghilterra, della Francia, della Germania e dell’Italia. A proposito del traffico internazionale d’armi, la notizia riportata dai giornali italiani è molto significativa: è stata arrestata per traffico d’armi la coppia italiana Anna Maria Fontana e Mario Di Leva di san Giovanni a Cremano. L’altra persona coinvolta è Andrea Pardi, amministratore delegato della Società Italiana Elicotteri srl. Il traffico d’armi comprende elicotteri, fucili d’assalto e missili terra aria, di fabbricazione italiana e di altri nazioni, e sarebbero state vendute in Nigeria, Somalia, Sudan, Libia, Iran.
Queste mire economiche e strategiche e queste folle spese militari, sono le vere cause della minaccia per la pace e la convivenza tra i popoli di tutto il mondo di fede e religioni diversi. I belligeranti della prima guerra mondiale erano indifferenti agli appelli del Papa Benedetto XV, altrettanto, gli interventisti in Afghanistan e in Iraq, ai impegni pacifici di Papa Giovanni Paolo II negli incontri ad Assisi con rappresentanti di tutte e religioni, seguito poi, con il Papa Ratzinger e recentemente con il Papa Francesco. Appelli e preghiere, anche da parte delle autorità religiose di altre fedi, che prendono distanza, denunciando chi strumentalizza la religione per altri scopi e per fomentare l’ odio fratricida, risultano vani. Perfino i mezzi di comunicazione continuano a diffondere delle giustificazioni, strumentalizzati dai guerrafondai ad uso e agli interessi propri e dai più sanguinosi bande dei mercenari che falsamente in nome della fede uccidono milioni di persone cospargendo odio e rancore nelle nostre coscienze.
Missione ad Aleppo
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er incarico del Santo Padre, dal 18 al 23 gennaio, il Segretario Delegato del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, Mons. Giampietro Dal Toso, ha svolto una visita ad Aleppo, insieme al Card. Mario Zenari, Nunzio Apostolico in Siria, e al Consigliere della Nunziatura, Mons. Thomas Habib. Si è trattato della prima visita ufficiale da parte di Rappresentanti della Santa Sede dopo la fine delle ostilità ad Aleppo. La delegazione ha potuto incontrare le comunità cristiane e i loro pastori, che hanno espresso gratitudine al Papa per la sua costante sollecitudine verso l’amata Siria. Inoltre ha fatto visita a istituzioni di carità cattoliche e ad alcuni campi di rifugiati. In 71
particolare si è dato avvio ad un centro di assistenza umanitaria gestito da Caritas Aleppo nel quartiere di Hanano. Nel corso della missione si è partecipato a un momento di preghiera ecumenico organizzato in occasione della settimana per l’unità dei cristiani e si sono verificate le condizioni di alcune strutture
sguardi sul mondo
tro l’Iran loro avversario nello scenario strategico del Golfo Persico. È presente anche la Turchia, nostalgico dell’impero Bizantino, altro candidato per ottenere la supremazia nell’area, che utilizza la Siria per combatte i Kurdi siriani alleati dei Kurdi in Turchia. La presenza degli Stati Uniti, della Francia e dell’Inghilterra, già dall’inizio della guerra civile siriana a sostegno dei “ribelli moderati” e contro il regime di Assad, segue la strategia per cacciare i russi definitivamente da questa area, ma ora a seguito dell’espansione dell’Isis, in apparenza uniti a combattere questa banda dei terroristi. Perche in apparenza? In quanto non raggiungono nessun accordo, né sul cessato fuco e né nei loro incontri formali. Oltre la questione strategica, dal 2011 il mercato per la vendita degli armi in quest’area è assolutamente fiorente: Fiumi di armi, in buona parte offensive, acquistate con delle cifre astronomiche dai paesi del Golfo: Secondo Bonn International Center of Conversion, “l’Iran spende annualmente circa 6.3 miliardi di
ospedaliere cattoliche, alla alla martoriata popolazione luce di un futuro progetto di siriana. Negli incontri con gli ricostruzione e rimessa in organismi di carità cattolici, infine, è emersa l’importanza opera delle stesse. Inoltre vi dell’assistenza da questi forsono stati incontri con rappresentanti dell’Islam, dunita a beneficio di tutta la porante i quali si è sottolineata la polazione siriana. Con il sostegno della Chiesa univerresponsabilità delle religioni nell’educare alla pace e alla risale e grazie al generoso contributo della comunità conciliazione. Nel corso della internazionale, tale aiuto visita le autorità civili e religiose hanno reso omaggio alla potrà intensificarsi in futuro delegazione, manifestando per far fronte alle crescenti particolare gratitudine per il necessità delle persone. Tra le gesto del Santo Padre di elevare alla dignità cardi- immediate urgenze, vanno specialmente segnalate nalizia il Rappresentante Pontificio nel Paese e ri- quelle relative ai bisogni alimentari, al vestiario, alconoscendo in esso la speciale vicinanza del Papa l’educazione, all’assistenza sanitaria e agli alloggi.
2017 ASIA
Sri Lanka
Al via l’Anno dedicato all’apostolato dell’isola
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a Chiesa srilankese ha proclamato il 2017 Anno di San Giuseppe Vaz, apostolo dello Sri Lanka e primo santo del Paese canonizzato da Papa Francesco durante il viaggio pastorale del 2015 gruppi etnici, virtù che San Giuseppe Vaz ha incarnato in pieno”.
L’inaugurazione ufficiale presieduta dal card. Malcom Ranjitha Colombo L’anno – riportano le agenzie Ucanews e Asianews – è stato inaugurato il 14 gennaio con una celebrazione presieduta dal card. Malcom Ranjith, arcivescovo di Colombo nella cattedrale di Santa Lucia a Kotahena della capitale. “San Giuseppe Vaz - ha detto ai presenti il porporato - è stato uno straordinario esempio di riconciliazione per i tamil e i singalesi in Sri Lanka. Egli non solo parlava entrambe le lingue, ma ha vissuto in modo pacifico con i membri delle due etnie”.
Dal 31 marzo la reliquia collocata nella basilica di Nostra Signora di Tewat Nel giorno di inaugurazione dell’Anno, una reliquia del Santo (un mantello di cotone blu) è stata esposta per la devozione in due luoghi di culto: dalle 6 di mattina alle 4 di pomeriggio, presso il santuario di sant’Antonio di Kochchikade; dalle 4.30 di pomeriggio alle 9 di sera nella cattedrale di santa Lucia, dove era stata portata in processione. Dal prossimo 31 marzo la reliquia verrà collocata nella basilica di Nostra Signora di Tewatte, il santuario mariano nazionale. Per l’occasione è stato annunciato anche l’inno ufficiale, il brano “Vandaneeyawu, Pujaneeyawu” composto da J.K.S. Perera. Il cardinale ha invitato i vescovi e i sacerdoti presenti a promuovere il canto in tutte le parrocchie delle diocesi durante l’anno.
Un’occasione per promuovere l’armonia etnica e religiosa L’arcivescovo di Colombo ha precisato che l’Anno di San Giuseppe Vaz sarà un’occasione per fare conoscere il ”coraggioso lavoro per lo Sri Lanka e per i cattolici nel mondo. Particolare attenzione – ha detto verrà data alla lotta contro la povertà e alla crescita dell’armonia religiosa tra le differenti religioni e i 72
Sud Sudan
Appello per migliaia di sfollati della missione Rii-menze
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hiedo aiuto per 7 delle 22 parrocchie della mia diocesi che sono state colpite dalle violenze che imperversano nell’area” scrive all’agenzia Fides mons. Barani Eduardo Hiiboro Kussala, vescovo di Tombura-Yambio, nel Sud Sudan, dove il conflitto tra il Presidente, Salva Kiir, e l’ex vice Presidente, Riek Machar, ha fatto esplodere una serie di conflitti etnici in diverse zone del Paese. Violenze riesplose per attacco contro militari dell'Spla Tra queste zone c’è l’area di Tombura-Yambio dove - come spiega mons. Kussala - le violenze sono esplose quando intorno al 28 dicembre 2016 i militari dell’Spla (Movimento di Liberazione del Popolo Sudanese, la formazione guerrigliera di Kiir che è diventato l’esercito regolare del Sud Sudan dopo l’indipendenza nel 2011) sono stati attaccati sulla strada verso Ibba da giovani armati. Secondo fonti ufficiose, nell’agguato i militari dell’Spla hanno perso una notevole somma di denaro e personale chiave dei loro quadri dirigenziali; questo fatto ha reso i soldati dell’Spla estremamente aggressivi e pieni di rabbia. La gente dice che un elicottero speciale è stato mandato da Juba per raccogliere i morti. L’incidente ha causato una vera e propria catastrofe umanitaria Quello che è successo dopo è stata una vera e propria catastrofe umanitaria - afferma mons. Kussala -. I militari dell’Spla hanno inseguito coloro che li avevano assaliti intorno a Yambio, sulla strada di Maridi. Per questo molti civili sono stati coinvolti 73
nel conflitto a fuoco o volontariamente uccisi dai militari. Non è possibile sapere il numero esatto dei morti attraverso le organizzazioni umanitarie, e noi stessi in diocesi non abbiamo dati sicuri perché è molto difficile poter raggiungere le zone interessate” Gli sfollati hanno perso tutto “La nostra diocesi insieme ad altre agenzie umanitarie, coordinate dalla Commissione municipale che si occupa degli aiuti, sta registrando gli sfollati nei Campi profughi presso la Yambio Primary School dove alcuni hanno trovato accoglienza” racconta il vescovo. La maggioranza degli sfollati ha perso tutte le provviste di cibo, mentre le loro case sono state bruciate o saccheggiate. In migliaia stanno raggiungendo la missione per questo c'è bisogno di aiuto Nella Stazione missionaria Rii-menze, Nostra Signora Assunta, migliaia di sfollati hanno trovato rifugio nel compound della missione. Le donne, i bambini e gli anziani dormono in chiesa e nelle aule della scuola. Il loro numero aumenta ogni giorno, perché la gente che può farlo esce dal bosco e raggiunge la missione. Mons. Kussala chiede l’invio di aiuti per assistere queste persone. “Qualsiasi donazione per sostenere la popolazione di Rii-menze sarà ricevuta con riconoscenza e gratitudine. Io stesso ho vissuto per due anni in questa parrocchia e quindi conosco personalmente molti di loro. È veramente doloroso e sento una profonda tristezza nel cuore al vedere tanta violenza e sofferenza imposta agli innocenti” conclude il vescovo.
sguardi sul mondo
201 AFR 7 ICA
7 A 1 20ALI IT Ricostruire i cuori ancor prima delle case Alle ore 11.30 di giovedì 5 gennaio, nell’Aula Paolo VI, il Santo Padre Francesco ha incontrato i fedeli delle zone terremotate del Centro Italia, accompagnate dai loro Vescovi e presbiteri. Nel corso dell’udienza, il Papa ha rivolto ai presenti un discorso a braccio, la cui trascrizione riportiamo di seguito:
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o scritto qui le due testimonianze che abbiamo ascoltato, e ho sottolineato qualche espressione, qualche parola, che mi ha toccato il cuore, e di questo voglio parlare. Una parola che è stata come un ritornello, quella del ricostruire. Quello che Raffaele ha detto molto concisamente e molto forte: “Ricostruire i cuori ancor prima delle case”. Ricostruire i cuori. “Ricostruire – ha detto Don Luciano – il tessuto sociale e umano della comunità ecclesiale”. Ri-costruire. Mi viene in mente quell’uomo che ho trovato, non ricordo in quale dei paesi che ho visitato in quella giornata [quando si è recato nei luoghi terremotati, il 4 ottobre 2016], ha detto: “Per la terza volta incomincerò a costruire la mia casa”. Ricominciare, non lasciarsi andare – “ho perso tutto” – amareggiare … Il dolore è grande! E ricostruire col dolore … Le ferite del cuore ci sono! Qui, alcune settimane fa, ho incontrato la piccola Giulia, con i suoi genitori, che aveva perso il fratello, con la sorellina … Poi ho incontrato quella coppia di sposi che ha perso i gemellini … E adesso incontro voi che avete perso gente della vostra famiglia. I cuori sono feriti. Ma c’è la parola che abbiamo sentito oggi da Raffaele: ricostruire i cuori, che non è “domani sarà meglio”, non è ottimismo, no, non c’è posto per l’ottimismo qui: sì per la speranza, ma non per l’ottimismo. L’ottimismo è un atteggiamento che serve un po’ in un momento, ti porta avanti, ma non ha sostanza. Oggi serve la speranza, per ricostruire, e questo si fa con le mani, un’altra parola che mi ha toccato. Raffaele ha parlato delle “mani”: il primo abbraccio con le mani a sua moglie; poi quando prende i
bambini per tirarli fuori dalla casa: le mani. Quelle mani che aiutano i famigliari a liberarsi dai calcinacci; quella mano che lascia il suo figlio in braccio, nelle mani di non so chi per andare ad aiutare un altro. “Poi c’era la mano di qualcuno che mi ha guidato”, ha detto. Le mani. Ricostruire, e per ricostruire ci vogliono il cuore e le mani, le nostre mani, le mani di tutti. Quelle mani con le quali noi diciamo che Dio, come un artigiano, ha fatto il mondo. Le mani che guariscono. A me piace, agli infermieri, ai medici, benedire le mani, perché servono per guarire. Le mani di tanta gente che ha aiutato a uscire da questo incubo, da questo dolore; le mani dei Vigili del Fuoco, tanto bravi, tanto bravi... E le mani di tutti quelli che hanno detto: “No, io do del mio, do il meglio”. E la mano di Dio alla domanda “perché?” – ma sono domande che non hanno risposta, la cosa è andata così. Un’altra parola che è uscita è la ferita, ferire: “Noi siamo rimasti lì per non ferire di più la nostra terra”, ha detto il parroco. Bello. Non ferire di più quello che è ferito. E non ferire con parole vuote, tante volte, o con notizie che non hanno il rispetto, che non hanno la tenerezza davanti al dolore. Non ferire. Ognuno ha sofferto qualcosa. Alcuni hanno perso tanto, non so, la casa, anche i figli o i genitori, quel coniuge … Ma non ferire. Il silenzio, le carezze, la tenerezza del cuore ci aiuta a non ferire. E poi si fanno miracoli nel momento del dolore: “Ci sono state riconciliazioni”, ha detto il parroco. Si lasciano da parte antiche storie e ci ritroviamo insieme in un’altra situazione. Ritrovarsi: col bacio, con l’abbraccio, con l’aiuto mutuo …, anche con il pianto. Piangere da soli fa bene, è un’espressione 74
HA DETTO “Vorrei anche rinnovare la mia vicinanza alle popolazioni dell’Italia Centrale che ancora soffrono le conseguenze del terremoto e delle difficili condizioni atmosferiche. Non manchi a questi nostri fratelli e sorelle il costante sostegno delle istituzioni e la comune solidarietà. E per favore, che qualsiasi tipo di burocrazia non li faccia aspettare e ulteriormente soffrire!” Papa Francesco, dopo Angelus , 29 gennaio 2917
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E c’è un’altra parola che è stata detta due volte soltanto, un po’ di passaggio, ma era un po’ il nocciolo di queste due testimonianze: vicinanza. “Siamo stati vicini e rimaniamo vicini l’uno all’altro”. E la vicinanza ci fa più umani, più persone di bene, più coraggiosi. Una cosa è andare soli, sulla strada della vita, e una cosa è andare per mano con l’altro, vicino all’altro. E questa vicinanza voi l’avete sperimentata. E poi un’altra parola che si è perduta nel discorso, ricominciare, senza perdere la capacità di sognare, sognare il riprendersi, avere il coraggio di sognare una volta in più. Queste sono le cose che più hanno toccato il cuore delle due testimonianze, e per questo ho voluto prendere le vostre parole per farle mie, perché nella vostra situazione il peggio che si può fare è fare un sermone, il peggio. Soltanto, [ho voluto] prendere quello che dice il vostro cuore e farlo proprio e dirlo con voi, e fare una riflessione un po’ su questo. Voi sapete che vi sono vicino. E vi dico una cosa: quando mi sono accorto di quello che era accaduto quella mattina, appena svegliato ho trovato un biglietto dove si parlava delle due scosse; due cose ho sentito: ci devo andare, ci devo andare; e poi ho sentito dolore, molto dolore. E con questo dolore sono andato a celebrare la Messa quel giorno. Grazie per essere venuti oggi e in alcune udienze di questi mesi. Grazie per tutto quello che voi avete fatto per aiutarci, per costruire, ricostruire i cuori, le case, il tessuto sociale; anche per ricostruire [riparare] col vostro esempio l’egoismo che è nel nostro cuore che non abbiamo sofferto questo. Grazie tante a voi. E sono vicino a voi.
sguardi sul mondo
davanti a noi stessi e a Dio; ma piangere insieme è meglio, ci ritroviamo piangendo insieme. Queste sono le cose che mi sono venute al cuore quando ho letto e sentito queste testimonianze. Un’altra frase, detta anch’essa da Raffaele: “Oggi la nostra vita non è la stessa. È vero, siamo usciti salvi, ma abbiamo perso”. Salvi, ma sconfitti. È una cosa nuova questa strada di vita. La ferita si guarisce, le ferite guariranno, ma le cicatrici rimarranno per tutta la vita, e saranno un ricordo di questo momento di dolore; sarà una vita con una cicatrice in più. Non è la stessa di prima. Sì, c’è la fortuna di essere usciti vivi, ma non è lo stesso di prima. Poi, Don Luciano ha fatto accenno alle virtù, alle virtù vostre: “Voglio testimoniare – ha detto – la fortezza d’animo, il coraggio, la tenacia e insieme la pazienza, la solidarietà nell’aiuto vicendevole della mia gente”. E questo si chiama essere “ben nati”, non so se in italiano si usa questo [modo di dire], in spagnolo si usa “bien nacido”, nato bene, una persona che è nata bene. E lui, come pastore, dice: “Sono orgoglioso della mia gente”. Anch’io devo dire che sono orgoglioso dei parroci che non hanno lasciato la terra, e questo è buono: avere pastori che quando vedono il lupo non fuggono. Abbiamo perso, sì, abbiamo perso tante cose: casa, famiglie, ma siamo diventati una grande famiglia in un altro modo.
rande la gioia e la commozione per i circa sette mila terremotati del Centro Italia, presenti questa mattina all’udienza con Papa Francesco nell’Aula Paolo VI. Queste, le loro emozioni raccolte da Marina Tomarro:
Da dove viene, signora? Noi siamo originari di Accumoli. Papa Francesco ha sottolineato l’importanza di ricostruire prima i cuori e poi le case: ma di cosa avete bisogno voi, adesso? Sicuramente è stato un messaggio di speranza che aiuterà tutti noi che siamo stati qui, oggi, ad andare avanti e a cercare di recuperare la voglia di ricostruire e di riprendere il percorso così come era prima del terremoto. Abbiamo bisogno di tante cose: basta guardare la gente, lo sguardo della gente, che è distrutto perché vede perse tutte le certezze. L’unica cosa vera che abbiamo ritrovato in questa situazione è l’umanità, la vicinanza … Abbiamo scoperto un lato che non pensavamo esistesse. Invece, proprio l’umanità della gente, gente che è venuta da tutta Italia e ci ha portato il suo amore e il suo affetto, che ci hanno dimostrato in tutti i modi. Questo è stato un grande valore riscoperto. Il Papa ha parlato anche dell’importanza del piangere insieme per ritrovarsi. Quanto è importante in questo momento la comunità, il fatto di affrontare il dolore di ciò che si è perso? Credo che sia una cosa fondamentale: la speranza; se manca la speranza, manca tutto, secondo me. E quindi tutto, tutto: in questo momento, tutto è necessario. Tanto ormai è stato tutto tolto; qualsiasi cosa venga, è benvenuta. Lei da dove viene? Da Fonte del Campo, Accumoli. Signora, quanto è importante, oggi, sperare? Sperare per ricostruire … Tanto. Tanto, perché è l’unica cosa a cui possiamo aggrapparci in questo momento. Con la speranza, avere la forza di ricominciare. Io sono una volontaria e penso comunque che il futuro si costruisca tutti insieme. Quindi, chiunque faccia la propria parte: anche chi da lontano può donare qualcosa, lo faccia perché in questo momento un aiuto economico è la base. Sappiamo tutti quanto costi costruire una casa e soprattutto, aiutateci – aiutate. Chi può, aiuti. Chi ha aiutato, grazie. Chi può, aiuti ancora.
Sindaco Petrucci, lei ha portato qui parte della popolazione di Accumoli. Cosa vuol dire per voi essere qui, oggi, all’udienza con Papa Francesco? E’ importante perché sicuramente ci ridarà morale, il morale a una popolazione che ha subito tanti traumi: anche dopo il 24 agosto, noi eravamo già con un piede nella ripartenza e il 30 ottobre purtroppo il morale è venuto giù di nuovo, perché i nostri paesi sono stati completamente rasi al suolo. Moralmente è stata un’esperienza devastante. Quali sono le esigenze della popolazione, oggi? Le priorità che ci siamo date sono comunque quelle di riportare la popolazione sul territorio nei villaggi provvisori; contestualmente, stiamo portando via le macerie dai centri urbani e salvaguarderemo quei pochi beni culturali che sono rimasti in piedi. Il Papa vi ha detto di guardare avanti: in che modo si parla di speranza a una popolazione, a persone che molto spesso hanno perso tutto? Sicuramente la speranza gliela diamo nel momento in cui non disgreghiamo le comunità: dobbiamo tenere unite le comunità perché insieme sicuramente avremo una forza maggiore, sia per reagire sia per potere andare avanti. Questa è l’unica speranza. Commissario Errani, che cosa vuol dire essere qui, oggi, per queste persone, e a che punto è la ricostruzione? Di cosa hanno bisogno, oggi? Questo è un messaggio di grande speranza, di grande forza, di fiducia. Il Santo Padre è un riferimento: è stato nelle zone del terremoto, è sempre stato vicino a queste persone, quindi è molto, molto importante. Poi, la ricostruzione è incominciata; avrà dei tempi, ma l’importante è – appunto – interpretarla con fiducia e speranza.
Papa Francesco
Terremotati La speranza di guardare avanti G
Essere qui, oggi, per loro cosa vuol dire? Essere confermati nella fede. Dove la terra trema, fa danni, la vita e il destino ti segnano, comunque ti fa vedere che Dio non ti abbandona e poi c’è comunque il senso di unità di questo popolo.
Vicino alle vittime
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ei giorni scorsi, il terremoto e le forti nevicate hanno messo nuovamente a dura prova tanti nostri fratelli e sorelle dell’Italia centrale, specialmente in Abruzzo, Marche e Lazio. Sono vicino con la preghiera e con l’affetto alle famiglie che hanno avuto vittime tra i loro cari. Incoraggio quanti sono impegnati con grande generosità nelle opere di soccorso e di assistenza; come pure le Chiese locali, che si prodigano per alleviare le sofferenze e le difficoltà. Grazie tante per questa vicinanza, per il vostro lavoro e l’aiuto concreto che portate. Grazie! E vi invito a pregare insieme la Madonna per le vittime e anche per quelli che con grande generosità si impegnano nelle opere di soccorso. Angelus, 22 gennaio 2017
Padre, da dove viene? Sto a Sant’Angelo, una frazione di Amatrice, in un container, per fare assistenza religiosa e umana ai fratelli colpiti dal terremoto. 76
Quale futuro per i giovani del Sud? da Napoli
GIANNI BELLA NOSTRO SERVIZIO PARTICOLARE
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i è tenuto a Napoli nei giorni 8-9 febbraio il convengo «Chiesa e lavoro. Quale futuro per i giovani nel Sud?». All’incontro svoltosi alla Stazione marittima, promosso e organizzato dalle Conferenze episcopali di Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna, hanno partecipato numerosi vescovi , rappresentanti delle regioni ecclesiastiche,m autorevoli esponenti del Governo , della istituzioni locali, della imprenditoria, delle organizzazioni sindacali e dei movimenti del laicato cattolico che operano nel mondo del lavoro. Le due giornate di analisi e di studio – ha detto il cardinale arcivescovi di Napoli Sepe – “oltre ad essere un segno di attenzione, di vicinanza e di prossimità ai giovani ha presentato loro alcune proposte concrete, non nella presunzione di poter risolvere la “questione lavoro”, ma nel desiderio di voler offrire un segno, una testimonianza di vita, uno sforzo di convergenza verso politiche attive del lavoro e dell’innovazione, un richiamo alla solidarietà sociale ed umana che, partendo dai bisogni primari dei poveri tra di noi, non chiuda comunque le porte ai poveri che arrivano da lontano”. La Chiesa italiana ha sempre
avuto grande attenzione nei confronti della «questione meridionale». Basti ricordare la lettera I problemi del Mezzogiorno, firmata nel 1948 da numerosi vescovi di diocesi del Sud, che a rileggerla oggi presenta numerosi profili di attualità, a cominciare dalla forte sensibilità per le tematiche sociali. Un documento che avrebbe ispirato nel 1989 un altro testo, questa volta di tutto l’episcopato italiano Chiesa italiana e Mezzogiorno: sviluppo nella solidarietà, nel quale si legge tra l’altro: «Il problema della disoccupazione giovanile meridionale si configura – per ragioni economiche, sociali e morali – come la più grande questione nazionale degli anni ’90». Basterebbe sostituire la data per mantenere intatta la “freschezza” della denuncia, ripresa, insieme a una valutazione critica del periodo intercorso, nel testo del 2010 – Per un Paese solidale. Chiesa italiana e Mezzogiorno -, pubblicato dopo il Convegno «Chiesa nel Sud, Chiese del Sud», che vide per la prima volta riuniti a Napoli le comunità ecclesiali del Meridione con i rispettivi Vescovi. Tutti questi pronunciamenti hanno sempre messo in evidenza i mali del Sud: disoccupazione, mancanza di infrastrutture, investimenti pubblici sbagliati, clientele e presenza molte volte soffocante della criminalità organizzata. Nel Sud, con ritmi sempre cre77
scenti e pochissime eccezioni, i tassi di disoccupazione giovanili sono schizzati in alto, ben più di quelli della popolazione complessiva, e gran parte degli Istituti di ricerca e delle Istituzioni hanno rivolto una preoccupata attenzione alla comprensione e al trattamento del “problema dei giovani nella crisi”. In questo contesto, la specifica situazione dell’Italia meridionale è venuta configurandosi come particolarmente problematica: in primo luogo, per il valore più elevato assunto dagli indicatori di difficoltà occupazionale (tassi di disoccupazione superiori, maggior divario con gli adulti, più lunga durata dei periodi di stasi lavorativa), ma anche per un insieme di altri indici di difficoltà quali la sicurezza sul lavoro, la legalità, la giustizia, il “gap” scolastico, la criminalità. “Di fronte ad un quadro così complesso - ribadiscono- “noi Vescovi del Sud (Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna) non possiamo e non vogliamo tacere. I giovani del Sud Italia sono le prime vittime della crisi economica e occupazionale che sta colpendo il Mezzogiorno del nostro Paese”. Questa situazione di incertezza sta trasformando il loro rapporto con il mondo del lavoro in maniera radicale. Infatti, pur di trovare un impiego, quasi l’85% dei nostri giovani si dichiara disposto a trasferirsi in qualsiasi regione italiana o addirittura all’estero (il 50% del
sguardi sul mondo
Chiesa e lavoro
campione). Sono loro la nuova generazione di migranti. Non possiamo continuare a sprecare l’intelligenza, il talento e la creatività dei nostri ragazzi A progettare di andarsene, infatti, sono ancor più i laureati e gli studenti, mentre i più rassegnati a rimanere sono i cosiddetti neet, ovvero i giovani che non studiano e non lavorano. Il rischio, quindi, è quello di impoverire non solo quantitativamente ma anche qualitativamente la presenza delle nuove generazioni nelle regioni meridionali, andando ad erodere la componente che maggiormente può contribuire alla rinascita del territorio. La sfida, allora, è quella di costruire condizioni per rimanere : molti giovani emigrati sarebbero disposti a tornare in presenza di un processo solido e credibile di miglioramento a cui possano contribuire da protagonisti”. Ecco perché vescovi e comunità ecclesiali, hanno sentito ancora una volta la necessità di riunirsi, non perché crediamo di avere delle risposte o delle ricette “miracolose” su un problema così complesso e, per certi aspetti, globalizzato, ma perché sentiamo con crescente preoccupazione il bisogno di stare dalla parte dei giovani, futuro del nostro territorio e dell’intero Paese. Significative restano le parole pronunciate da Papa Francesco nell’omelia del Te Deum di fine anno: «Abbiamo creato una cultura che, da una parte, idolatra la giovinezza cercando di renderla eterna, ma, paradossalmente, abbiamo condannato i nostri giovani a non avere uno spazio di reale inserimento, perché lentamente li abbiamo emargi-
nati dalla vita pubblica obbligandoli a emigrare o a mendicare occupazioni che non esistono o che non permettono loro di proiettarsi in un domani». Per opporci a questa situazione – ha proseguito Sepe – “sentiamo l’urgenza e la necessità di coinvolgere non solo i fedeli, ma anche istituzioni, associazioni di categoria e sindacati, per collaborare assieme al recupero e alla valorizzazione del territorio, favorendo una consapevolezza più attenta ai comportamenti etici e agli interessi generali della cittadinanza. Non abbiamo bisogno di tanti 78
individualismi o di una mentalità privatistica ma di una sinfonia delle differenze e di un lavoro corale. È segno dell’intelligenza della carità inventare nuove forme, attingendo alla sapienza della Dottrina sociale della Chiesa, per offrire nuove opportunità di lavoro, per rigenerare il tessuto sociale ed economico, per recuperare il senso ultimo del lavoro umano, per riflettere sulle sue forme. È quanto si è fatto a Napoli, nel tentativo umile ma forte di restituire, a chi non ha più fiducia e non vede la luce alla fine del tunnel, speranza e futuro”.
l termine dell’omelia pronunciata per A l’Epifania, l’arcivescovo di Napoli, cardinale Crescenzio Sepe, ha usato dure parole per l’agguato dello scorso 4 gennaio, in pieno centro storico, che ha provocato il ferimento di tre senegalesi e una bambina. Parlando dei problemi della città, il porporato ha poi annunciato la concessione in comodato d’uso di sette case delle Chiesa di Napoli ad altrettante famiglie in difficoltà. Su questa iniziativa e la situazione nel capoluogo campano incontriamo il cardinale Crescenzio Sepe, intervistato da Marco Guerra: Non si può pensare di abbassare la testa, con questi guappi, i quali si fanno forza solo perché portano una pistola e chiedono il pizzo anche a questi poveretti nostri fratelli che si guadagnano un pezzo di pane per sfamare i propri figli! E’ vergogna perché questi giovani che hanno infranto tutte le regole e non badano a niente e a nessuno sono schegge impazzite: come si fa a non provare dolore, a non provare vergogna innanzitutto per loro, perché la loro è una vita sbandata, una vita senza senso, una vita senza futuro. E poi, soprattutto, danno di una città che vuole riscattarsi un’immagine che non è quella della stragrande maggioranza della gente. Sono dei vigliacchi che si fanno forza della loro irresponsabilità pur di guadagnare qualche soldo per le loro sfrenate ambizioni. Sono proprio di questi giorni le polemiche sul cambiamento di Napoli e sulla narrazione che si fa di questa città. Lei che idea si è fatto di queste polemiche, su come dev’essere raccontata Napoli? Ma … io non scendo nella polemica: quelle sono cose piuttosto personali. Dico che noi non dobbiamo abbassare la testa; noi non dobbiamo cedere ai soprusi e alle prepotenze. E l’esempio ci viene proprio anche da questi fratelli che sono stati minacciati. E’ un esempio forte, che va seguito, che va imitato. Non dobbiamo mai cedere il territorio nelle mani di questi forsennati. E allora, in nome della nostra dignità e della nostra libertà, noi siamo in grado di poter – facendo opere di bene, opere di carità, opere di solidarietà – vincere, veramente vincere il male facendo del bene. Ecco: a tal proposito, tra i segni di speranza l’arcivescovado ha dato in comodato d’uso sette appartamenti ad altrettante famiglie in difficoltà. Può raccontarci di che cosa si tratta? Sì, poiché c’erano tante persone che abitano nelle case che sono di proprietà della diocesi, avevo accennato che avrei voluto donare loro gratuitamente queste case, in modo che anche quei pochi soldi che davano per l’affitto avrebbero potuto essere risparmiati. Si tratta di famiglia più indigenti di altre famiglie, famiglie in crisi in maniera speciale. E allora ho detto: tutti coloro che abitano nelle nostre case e che si trovano in condizioni economiche tali da non poter neanche dare quel tanto di contributo, noi facciamo loro un comodato d’uso per dieci anni, per cui possono continuare ad abitare senza dare nessun contributo, senza alcun impegno economico nei nostri riguardi. Abbiamo trovato le prime sette famiglie ma continueremo ancora. Tutti coloro che si trovano in condizioni particolari, difficili, noi continueremo a dare gratuitamente in comodato queste case. Quindi, Napoli si scopre sempre ricca di solidarietà con un grandissimo cuore. Questi segni di speranza fanno guardare con ottimismo al 2017? Assolutamente sì! Ma ci sono tutti i sacerdoti nelle parrocchie, soprattutto, i Movimenti, ci sono volontari … adesso, per esempio, diamo le medicine gratis, cioè chi ci porta le ricette mediche e non può pagare, noi compriamo la medicina e la diamo gratuitamente. Oppure qualcuno ha bisogno di qualche visita un po’ speciale: c’è un corpo di medici specialisti nelle varie branche della medicina che lo visita, lo cura e nei casi speciali, con un comodato che abbiamo fatto con l’Università statale Federico II di Napoli, anche per approfondire eventuali diagnosi particolari. Insomma, diciamo che facciamo quello che possiamo: nel nome di Cristo e per dire che è una Chiesa che è vicina soprattutto agli ultimi, ai più abbandonati, a quelli più trascurati. 79
sguardi sul mondo
Card. Sepe: No ai soprusi, il male si vince con il bene
SCONTRO SULLA CITTÀ Saviano De Magistris
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uoi vedere, caro Saviano, che ti stai costruendo un impero sulla pelle di Napoli e dei napoletani? Stai facendo ricchezza sulle nostre fatiche, sulle nostre sofferenze, sulle nostre lotte. Che tristezza. Non voglio crederci». Lo scriveva nel giorno dell’Epifania – 6 gennaio 2017- il sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, in un post su Facebook in cui criticava la posizione assunta da Roberto Saviano in relazione all'agguato di camorra che coinvolgeva una bambina e tre ambulanti. In un'intervista, infatti, lo scrittore aveva sottolineato come, a suo giudizio, nulla stesse cambiando in città, alla luce degli ultimi episodi di cronaca. E la replica di Saviano, sempre su Facebook, non si faceva attendere: «Il sindaco De Magistris si rivolge a me in un lungo post su Facebook, ma come sempre non dice nulla sul merito delle questioni, è per
questo che è un populista, definizione politica nella quale credo che tutto sommato si riconosca» De Magistris: nella mia vita mi sono ispirato a Borsellino «Caro Saviano - si leggeva ancora nel post del sindaco di Napoli - mi occupo di mafie, criminalità organizzata e corruzione da circa 25 anni, inizialmente come pubblico ministero in prima linea, oggi da sindaco di Napoli. Ed ho pagato prezzi alti, altissimi. Non faccio più il magistrato per aver contrastato mafie e corruzioni fino ai vertici dello Stato. Non ti ho visto al nostro fianco». «Nella mia vita – aggiungeva - mi sono ispirato al magistrato Paolo Borsellino al quale chiesero perché fosse rimasto a Palermo, ed egli pur sapendo di essere in pericolo rispose che Palermo non gli piaceva e per questo era rimasto per cambiarla. Chi davvero - e non a chiacchiere
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- lotta contro mafie e corruzione viene dal Sistema fatto fuori professionalmente ed in alcuni casi anche fisicamente». Saviano: il sindaco è infastidito dalla realtà «Sindaco De Magistris – scriveva Saviano nella sua replica - quando le mistificazioni della sua amministrazione verranno al pettine, a pugnalarla saranno i tanti lacchè, più o meno pagati, dei quali si circonda per mistificare la realtà, unico modo per evitare di affrontarla». «Due sparatorie in pieno centro – continuava lo scrittore e una bambina di 10 anni ferita in un luogo affollatissimo della città: ma il sindaco è infastidito dalla realtà, a lui non interessa la realtà, a lui interessa l'idea, quell'idea falsa di una città in rinascita: problema non sono le vittime innocenti del fuoco della camorra, problema è che poi Saviano ne parlerà». E «il contesto nel quale nascono e crescono le organizzazioni criminali - aggiungeva - da quando lui è sindaco non solo non è mutato, ma ha preso una piega più grottesca: ora la camorra in città è minorenne». «Ma di tutto ciò - proseguiva Saviano - il sindaco non ama parlare e detesta che lo facciano altri: pare che la città sia ridotta al salotto di casa sua, a polvere da nascondere sotto al divano».
da Napoli
GIORGIO TUFANO NOSTRO SERVIZIO PARTICOLARE
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ntrando nella Chiesa dell’Immacolata al Vomero, da oltre 25 anni si può notare una lapide che ricorda: Questo tempio semplice e pervaso di luce è anche memoria e immagine di fra Egidio Imperato, dei Frati Minori Conventuali, che fervorosamente lo vagheggiò e con impegno instancabile e la collaborazione dei fratelli nella fede eresse in onore della Madre Immacolata. Oggi, alla destra dell’entrata, è stata aggiunta un’altra lapide che attesta la presenza delle spoglie di fra Egidio. È come se fosse ritornato a casa, nella Chiesa che egli si è adoperato ad edificare pietra su pietra. Il vivo desiderio dei confratelli e della comunità parrocchiale si è realizzato con un lungo iter che prevedeva la richiesta alle competenti autorità civili e religiose, per ottenere l’autorizzazione alla tumulazione delle spoglie in una cripta preparata alla base del campanile: al Sindaco del Comune di Napoli, al Governatore della Regione Campania e al Card. Crescenzio Sepe, Arcivescovo di Napoli. Il Decreto Dirigenziale n. 332 (3 novembre 2016) della Giunta Regionale della Campania ha reso possibile, infine, la «tumulazione privilegiata». Così, nella serata del 10 dicembre scorso i resti mortali di fra Egidio sono stati accolti in piazza Immacolata dal Ministro provinciale, fra Edoardo Scognamiglio, e dalla comunità religiosa locale nel silenzio di una folla commossa, composta in gran parte dai «ragazzi», ormai uomini con famiglia, che fra Egidio raccolse nel «Collegio liturgico»; essi hanno dato e continuano a dare un notevole contributo alla formazione cristiana delle giovani generazioni. Previamente, era stata allestita una mostra di foto lungo le pareti della chiesa per ripercorrere gli anni del dopoguerra. L’idea di una nuova Chiesa, nel quartiere che nasceva, maturò nel centenario del dogma dell’Immacolata (1954). In un clima di ricostruzione, fra Egidio, insieme alla comunità e alle famiglie residenti, pensò e realizzò una Chiesa che nutrisse la fede nel cuore del Vomero, oltre ad alleviare le sofferenze dell’uomo ferito dalla guerra e sostenere i bisogni delle famiglie con un punto di riferimento ecclesiale. Il sogno lungamente
accarezzato e per il quale molto pregato, lavorato e sofferto è ora una realtà. Nato a Portici il 2 gennaio 1914, fra Egidio (Gennaro, al Battesimo) consacrò la sua giovinezza con la professione religiosa nell’Ordine dei Frati Minori Conventuali, prima nel convento di san Lorenzo Maggiore e poi nel conventino della Piccola Pompei al Vomero. Visse la sua consacrazione religiosa non solo chiedendo i mattoni necessari alla costruzione della nuova chiesa, ma anche aprendo il cuore dei fedeli alla speranza, alla Parola di Dio e alla sua misericordia. L’opera iniziò con la cappellina di salita Arenella e proseguì con l’erezione dell’attuale chiesa; non mancarono difficoltà di ogni genere, su di un territorio dove ogni piccolo spazio veniva conteso da imprenditori diversi e disposti a tutto; ma i lavori furono portati a termine con il contributo generoso della popolazione del quartiere, che si adoperò, poi, per intitolare all’Immacolata la piazza antistante con una statua della Vergine, collocata su una delle colonne recuperate dalla demolizione della stazione ferroviaria di Napoli. Concluse la sua vita terrena il 6 novembre 1988 nel convento dell’Immacolata da lui fondato. Le sue spoglie, dopo 28 anni di riposo nel cimitero di Portici, hanno preso definitiva dimora nella cripta appositamente preparata per lui all’entrata della Chiesa e riposano ora in mezzo a noi. La chiesa dell’Immacolata al Vomero in Napoli, da lui lasciata incompiuta, vede oggi l’ opera portata a completamento.
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francescanesimo
Il ritorno a casa di fra Egidio
Caro fra Egidio ben tornato... da Napoli
LEONARDO MOLLICA PARROCO DELL’IMMACOLATA AL VOMERO
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arissimo fra Egidio, innanzitutto, bentornato nella tua casa. Sento di inneggiare al Signore con l’antifona pasquale: “Questo è il giorno che ha fatto il Signore rallegriamoci ed esultiamo”. Mi viene facile leggere nell’evento veramente straordinario che stiamo vivendo, una chiara linea della provvidenza per esternare, quasi fosse una liberazione, tutta la mia gioiosa gratitudine al Signore, alla Madonna ed anche a fra Egidio, per avermi accompagnato in questi lunghi e laboriosi anni nel cercare di portare a buon fine un sogno che si evolse presto in promessa e si fece, in breve tempo, ar-
dimentoso progetto e che, oggi, per provvidenziale coincidenza, riconsegno realizzato proprio a fra Egidio. Tutto nasceva nel lontano 1982, nella piccola e modesta stanza di fra Egidio in uno dei tanti colloqui tra sognatori (fra Egidio lo ricorderà). In quegli anni Fra Egidio, pur ormai quasi cieco e stanco, riusciva a tener dietro, ad ogni cosa come se fosse guidato da un radar. Faceva tutto a memoria: preparazione dell’altare – distribuzione della comunione – cucinare nei giorni festivi – suonare nelle novene, benedizioni eucaristiche e festività – teneva aggiornato il libro delle messe e la contabilità della chiesa e della casa … Insomma proprio tutto, lasciandosi stimolare ancora dall’entusiasmo e guidare dagli occhi del cuore e della fede. 82
Preziosa e determinante era il contributo di molti suoi collaboratori. Questi, che godevano la sua piena fiducia, erano i suoi occhi e le sue mani. come non ricordare (ne ricordo solo alcuni e chiedo scusa se non cito tanti altri): Carmine Galardo (Carminiello) – Pasquale Franco – Eligio Aldieri – Mario Rouge - Raffaele De Cristoforo – Amedeo Ruggiero – Tonino Mingione – Gianni Migliaccio - Pietro e famiglia Di Cresce –Gianni e famiglia Villone – Michele Giaculli.. - ecc… e le tante brave donne: Ida Pietrolongo –Caterina Toscano – Maria Maffei - Lella di Cresce – Maria e famiglia Malatesta … eccsempre a suo servizio per la cura della biancheria della chiesa e alla collaborazione per qualsiasi attività inerente. Il mio arrivo in questa comunità,
mano e il sufficiente sostegno morale. Fu molto contento e tenerissimo, ed io decisi in cuor mio, con lo stile di un serio giuramento con me stesso, di mettercela tutta e portar a buon fine il suo progetto. Mi sorrise e, percepii che in cuor suo, mi benedisse, ben sapendo quanto onerosa ed incosciente fosse la mia sfida. Oggi, però, con gioia e con somma gratitudine al Signore e all’Immacolata, affido, alla sensibilità di tutti, il valutare quel passo incosciente di oltre 30 anni fa nel segno della provvidenza, con quest’oggi storico: 10 Dicembre 2016, coincidente con il “ritorno a casa di Fra Egidio”! Era, evidentemente, scritto da qualche parte che fra Egidio, pur impegnandoci per anni per farlo rientrare a casa, doveva aspettare esattamente 28 anni prima di rientrare e continuare ad essere l’anima della sua creatura perché, ormai, non più, come da lui stesso denominata, “incompiuta”, ma finita e
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HA DETTO Sorella morte “Così, sotto la misericordia divina, e ancor più alla luce del mistero pasquale, la morte può diventare, come è stato per san Francesco d’Assisi, “nostra sorella morte” e rappresentare, per ogni uomo e per ciascuno di noi, la sorprendente occasione di conoscere la speranza e di incontrare il Signore. Che il Signore ci faccia capire questo legame fra preghiera e speranza. La preghiera ti porta avanti nella speranza e quando le cose diventano buie, occorre più preghiera! E ci sarà più speranza”. Papa Francesco, udienza generale, 18 gennaio 2017 rifinita e con gusto in ogni sua parte. So, caro fra Egidio, che se la comunità dei tuoi frati, in questi 28 anni, è riuscito a tradurre in realtà i tuoi sogni è perché sono stati, anche da te, guidati, assistiti, benedetti e sovvenzionati dalla stessa provvidenza che ti permise sognare questo complesso ed osare nella fede. Ora, caro fra Egidio, a nome della comunità dei frati e dell’intera Comunità Parrocchiale dell’Immacolata, mentre ti manifesto la gioia del “BENTORNATO A CASA”, ti riconsegno il comando e la guida della Comunità. Non a caso abbiamo voluto che la tua fissa dimora fosse allestita in un posto che più adeguatamente esprimesse, anche nella statica, il tuo tornare ad essere il fondamento della struttura - istituzione Chiesa che è “Sacramento di Salvezza”. Caro fra Egidio, sii, quindi, oggi come e più di allora, l’umile frate che accoglie, che ascolta, che guida e continua a prendersi cura della sua creatura che si riflette e riconosce nelle pietre vive che formano la Comunità della Chiesa dell’Immacolata. Ben tornato a casa.
francescanesimo
dopo una esperienza di Curia Provinciale per cui ben conosciuto da lui, rallegrò non poco il suo animo e allargò molto il suo cuore aprendolo alla speranza nel futuro. Raccolsi tanto dalla sua esperienza di vita e fui, indegnamente, depositario di larghe aperture d’animo e spazi intimi che facevano la sua preoccupazione per cui lo rendevano non proprio contento, non abbastanza gratificato. Tra le tante cose condivise, mi parve raccogliere quella che faceva maggiormente la sua amarezza: il non poter far più nulla per portare a termine, in tutti i suoi particolari, la Chiesa e il Convento dell’Immacolata. Era, infatti, un’opera bella, nella sua linea progettuale, ma incompiuta. “Sono fatto vecchio, - diceva -, sono stanco. Ora tocca a voi giovani continuare”. Raccolsi con commozione la sua amara confessione, la feci mia portandomela dietro per qualche giorno per poi ritornare da lui per confortarlo ed assicurargli il completamento dell’opera se mi avesse dato una
Ravello tre anni con P. Kolbe e fra Antonio Mansi da Ravello
GIANFRANCO GRIECO NOSTRO SERVIZIO PARTICOLARE
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i rincorrono gli eventi kolbiani in questo anno che ricordiamo il centenario delle apparizioni a Fátima; il 75.mo anniversario della morte di san Massimiliano Maria Kolbe ( 14 agosto 1941- 2016); centenario della fondazione della Milizia dell’Immacolata ( 1917- 2017); centenario della morte 1918- 2018 di fra Antonio Mansi di Ravello cofondatore con fra Massimiliano del movimento mariano a san Teodoro; centenario della lunga sosta a Ravello del novello sacerdote Massimiliano Kolbe che dal 4 giugno al giorno 8 luglio 1919 sostava nella città della divina costiera per conoscere la famiglia Mansi e trovare documenti e testimonianze per scrivere una prima biografia su fra Antonio: queste le scadenze che ci attendono nei prossimi tre anni 2017-’18-’19. Siamo tutti invitati a fare un cammino a ritroso
guardando, nel contempo, al futuro, in compagnia con persone che con la loro permanenza a Ravello hanno santificato e benedetto i giorni della loro dimora tra le nostre chiese, le nostre case e le nostre strade lasciando il profumo francescano e mariano del loro passaggio. Partiamo da fra Antonio Mansi, fratello maggiore di fra Bonaventura entrambi sepolti nella nostra chiesa di san Francesco. Fra Antonio nato a Londra nel 1896 ritornava a Ravello nel 1904 per entrare giovanissimo nell’Ordine serafico per poi approdare a Roma dove, nel collegio serafico internazionale, incontrava fra Massimiliano. Tra i due sbocciava un rapporto spirituale singolare. A loro due si aggiungevano altri come padre Quirico Pignalberi, padre Enrico Granata , padre Pietro Pal. Insieme, la sera del 17 ottobre 1917, si consacravano a Maria Immacolata e proponevano all’Ordine serafico l’urgenza di votarsi alla Vergine divenendo “ cosa” e “ proprietà” della Madre Re-
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È morto padre Faustino Ossanna È morto, all’età di 96 anni, a Pedavena (Belluno), padre Faustino Ossanna, ex docente di teologia morale presso la Pontificia facoltà teologica San Bonaventura - Seraphicum, dove fondò anche il Cineforum, luogo di approfondimento culturale che ebbe fra i primi ospiti Roberto Rossellini e Pier Paolo Pasolini. Nato il 22 agosto del 1920 a Sfrutz (Trento) aveva compiuto gli studi teologici nel Collegio dei frati minori conventuali di via San Teodoro a Roma e, sempre nella capitale, era stato ordinato presbitero il 16 marzo del 1946. Grande amante dello studio, aveva conseguito cinque lauree. Dopo aver esercitato il suo ministero presbiterale, fra l’altro, a Padova, a Roma - basilica dei santi Pietro e Paolo all’Eur, e a Parigi, nel 1977 tornò al Seraphicum come docente. Collaboratore de L’Osservatore Romano, nella quaresima del 1979 fu chiamato a predicare gli esercizi spirituali da papa Giovanni Paolo II che, il 30 novembre 1989, lo nominò Esaminatore apostolico del clero romano. I funerali si sono svolti il 31 dicembre, alle ore 11, nella parrocchia del suo paese natale. Durante tutto l’ottavario la statua di padre Massimiliano collocata accanto a quella dell’Immacolata ha fatto lieta compagnia al Beato e a quei fedeli e devoti che hanno avuto la sensibilità spirituale di unire queste presenze che danno lustro alla nostra storia passata ed aprono nuovi orizzonti mariani verso il futuro, in compagnia di padre Massimiliano Kolbe e di fra Antonio Mansi.
Contemplazione francescana al femminile RAFFAELE DI MURO DOCENTE DI SPIRITUALITÀ FRANCESCANA
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a parola contemplare, che significa guardare a lungo con stupore e con ammirazione,si compone di due parole: cum e templum. Cum, vuol dire con ed indica simultaneità e contemporaneità, comunanza e unione. Templum, esprime lo spazio celeste, la porzione di cielo che lo sguardo può contenere ovvero il tempio dedicato alla divinità. Le due parole,insieme, esprimono il
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significato di abitare questo spazio celeste o il tempio. In concreto, la contemplazione è la ricerca, da parte dell’uomo, della presenza di Dio nei gesti sacri (la preghiera e la meditazione, ad esempio) e negli eventi di ogni giorno. A volte, questa operazione può risultare complicata per mancanza di applicazione o di tempo e, per questo, si registra la rinuncia da parte di molti credenti.
francescanesimo
gina dell’Ordine dei Minori. Moriva a Roma il 31 ottobre 1918, all’età di 22 anni fra Antonio. La febbre spagnola consumava troppo presto i suoi giovani anni. Padre Kolbe, sacerdote francescano conventuale, ucciso nel famigerato campo di concentramento di Auschwitz il 14 agosto 1941 all’età di 47 anni è stato un grande apostolo dell’Immacolata. Per lei ha fondato due vere città mariane:la prima, nel 1927 in Polonia e la seconda, nel 1930 in Giappone. Ancora oggi, a 75 dalla sua morte martiriale, le due città mariane continuano a riproporre alla Chiesa e al mondo globalizzato il suo messaggio, attraverso una editoria moderna e lungimirante ed un servizio pastorale da rendere all’interno di ogni nazione con le caratteristiche proprie dei popoli che entrano a fare parte della comunità cattolica. Moriva nel campo di concentramento al posto di un papà di famiglia, lasciandoci un messaggio che soprattutto oggi diventa sempre più credile:”Solo l’amore crea!”. Lo scorso anno, all’inizio dell’ottavario in memoria del Beato Bonaventura, oltre a fare memoria di lui e delle opere di misericordia corporale e spirituale, è stata fatta venire dalla Niepokalanów polacca una statua di san Massimiliano donata dal padre provinciale dei frati minori conventuali di Cracovia. A portarla a Ravello erano il polacco padre Roman, penitenziere della basilica di san Pietro e padre Rocco Rizzo, rettore del Collegio dei penitenzieri vaticani.
Chiara d’Assisi ci svela, mediante la sua esperienza spirituale e i suoi scritti, che questa operazione non è affatto impossibile. A tal riguardo, ecco le sue parole rivolte ad Agnese di Praga nella Terza Lettera (12-14: FF 2888-2889): «Colloca i tuoi occhi davanti allo specchio dell’eternità, colloca la tua anima nello splendore della gloria, colloca il tuo cuore in Colui che è figura della divina sostanza, e trasformati interamente, per mezzo della contemplazione, nell’immagine della divinità di Lui. Allora anche tu proverai ciò che è riservato ai soli suoi amici, e gusterai la segreta dolcezza che Dio medesimo ha riservato fin dall’inizio per coloro che lo amano». Per Chiara contemplare vuol dire fissare il suo sguardo sul Cristo, lasciarlo riposare su di Lui con ferma consapevolezza. La contemplazione non avviene con gli occhi, ma con lo spirito. In questo moto, volontà, affetto, intelletto vengono coinvolti. Si ha, successivamente, l’ingresso nella dimensione del piacere, attraverso una dolcezza svelata e fatta gustare da Gesù. In Chiara la trasformazione, ottenuta mediante la contemplazione, conduce alla dolcezza che Dio riserva ai suoi amici. Il cammino della contemplazione concepito da Chiara investe tutto l’essere. Tutto l’essere è impegnato in questo processo, la persona, con tutte le sue facoltà, è chiamata a riposarsi nel Cristo. Riposare nel Cristo vuol dire accogliere con serenità quanto Egli ha detto e fatto per farlo diventare “vita” propria, esperienza di fede. La Santa di Assisi intende collocare il suo essere in Cristo per fare Pasqua con lui, vuole ridursi al vuoto per lasciare spazio all’opera dello Spirito Santo. San Giovanni Paolo II, rivolgendosi ad Assisi, alle Clarisse rilevava: «L’ itinerario contemplativo di Chiara, che si concluderà con la visione del ‘Re della gloria’ (Proc. IV,19: FF 3017), inizia proprio dal suo consegnarsi to-
talmente allo Spirito del Signore, alla maniera di Maria nell’Annunciazione: inizia cioè da quello spirito di povertà (cfr. Lc 1,48) che non lascia più nulla in lei se non la semplicità dello sguardo fisso in Dio. Per Chiara la povertà - così amata e così citata nei suoi scritti - è la ricchezza dell’anima che, spogliata dei propri beni, si apre allo ‘Spirito del Signore e alla sua santa operazione’ (cfr. Reg. S. Ch. X,10: FF 2811)» (Giovanni Paolo II, 2 Lettera alle Claustrali Clarisse in occasione dell’VIII centenario della nascita di Santa . Chiara, 2). Chiara è la contemplativa della concretezza. La sua esperienza, infatti, appare viva, concreta, praticabile, come quella di Francesco. Ella, anche con gli insegnamenti del Poverello, impara a raggiungere tutti i fratelli in difficoltà con la forza della preghiera e della contemplazione. Infatti, secondo Giovanni Paolo II «la vita di Chiara, sotto la guida di Francesco, non fu una vita eremitica, ma contemplativa e claustrale”. Intorno a lei, che voleva vivere come gli uccelli del cielo e i gigli del campo (Mt 6,26.28), si radunò un primo nucleo di sorelle, contente di Dio solo. Questo “piccolo gregge” […] non nutriva alcun timore (cfr. Lc 12,32): la fede era per esse motivo di tranquilla sicurezza in mezzo ad ogni pericolo. Chiara e le Sorelle avevano un cuore grande come il mondo: da contemplative intercedevano per l’intera umanità» (Ivi, 6). La contemplazione vissuta da Chiara spinge i cristiani di tutti i tempi ad imitare e seguire il Signore in tutti gli eventi della vita terrena, soprattutto nel momento del dolore anche se con la prospettiva della gloria eterna. Il contemplare fa crescere il desiderio di conformarsi a chi si ama. Il processo contemplativo della Santa d’Assisi si conclude, dunque, con la sequela di Cristo nella sofferenza, nella morte e nella gloria. Chiara insegna al cristiano di oggi che l’esperienza contemplativa può essere sperimentata da tutti coloro che cercano la presenza di Dio nella propria vita e per questo intraprendono un cammino spirituale impegnativo. Quanto ella sperimenta e le considerazioni da lei realizzate non sono valide solo per chi vive in epoca medievale, ma anche per chi oggi intende porre il Signore come punto di riferimento assoluto della ropria vita e desidera la comunione profonda con Lui. Cosa ci impedisce di sostare e riposare al cospetto di Cristo - cuore del nostro cuore - di scoprire la sua presenza in ogni evento della nostra vita e di imparare ad amare con l’intensità che Egli dimostra e chiede? Chiara ci insegna che tutto questo è possibile, con tanta buona volontà. Nulla è precluso a chi si lascia condurre dalla carità divina. 86
Trent’anni di Spirito di Assisi
come spiega Mario Marazziti, portavoce della Comunità di sant’. Egidio, presente ad Assisi e che ogni anno organizza incontri internazionali di preghiera per la Pace “Nell’86 era il tempo della Guerra Fredda, si parlava ancora di guerra nucleare e le minacce di guerra erano molto forti. Dunque San Giovanni Paolo II ebbe questa intuizione profetica di richiamare la responsabilità non solo dei cattolici ma di tutti i cristiani e di tutte le religioni a lavorare e soprattutto a pregare per la pace. L’intuizione di Giovanni Paolo II è stata fondamentale se pensiamo agli anni successivi, quantomeno quando c’è stato uno sfruttamento dei temi religiosi per giustificare la violenza terrorista. E qui nuovamente lo spirito di Assisi entra in campo per dire che la vera anima delle religioni è la pace, il vero DNA delle religioni - del cristianesimo, dell’islam, dell’ebraismo, delle religioni orientali - è la pace”. Giovanni Paolo II organizzò ad Assisi altri due incontri di dialogo interreligioso nel 1993 e nel 2002, così come Benedetto XVI nel 2011 e Francesco lo scorso 20 settembre. Ognuno di questi Pontefici ha portato il suo contributo allo “spirito di Assisi”. Ancora Paolo Fucili: In qualche modo ogni Papa ha dato un po’ la sua coloritura. Mi viene in mente la giornata del 2011 con Benedetto XVI, in cui ha invitato anche rappresentanti del mondo della cultura, atei, agnostici … Questo per sottolineare che la ricerca della pace è qualcosa che riguarda tutta la famiglia umana. Si può dire che tutto il Pontificato di Francesco è un Pontificato in cui c’è stato grandissimo spazio per i temi del dialogo. Quello che penso abbia aggiunto lui è stata la sua figura, la sua capacità di tessere rapporti umani molto spontanei, molto cordiali, quindi chissà che non si possa ripetere questo incontro. 87
FRANCESCANESIMO
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oco più di trent’anni fa, nell’ottobre del 1986, San Giovanni Paolo II ebbe l’intuizione di riunire ad Assisi i leader di tutte le religioni in nome della pace nel mondo. Da allora si sono svolti altri quattro incontri, l’ultimo dei quali lo scorso settembre con Papa Francesco. Il libro “Pace, in nome di Dio. Lo spirito di Assisi tra storia e profezia”, scritto dal vaticanista di Tv 2000 Paolo Fucili, ne racconta la genesi e gli sviluppi. Il volume, pubblicato da Tau Edizioni, è stato presentato a Roma. Mai prima del 27 ottobre dell’86 gli esponenti delle più diffuse religioni del mondo si erano ritrovati insieme nello stesso luogo. L’occasione per gli oltre sessanta partecipanti fu la Giornata mondiale di preghiera per la pace, indetta da Giovanni Paolo II ad Assisi. Lontano da ogni sincretismo religioso – una delle critiche mosse all’evento - l’incontro di Assisi aveva tra i suoi presupposti il dialogo ecumenico e la dichiarazione Nostra Aetate del Concilio Vaticano II. Si calava in un contesto, quello della Guerra fredda, in cui la religione era in secondo piano nel dibattito pubblico e in cui la parola “pace” era più nominata dai regimi comunisti, che Papa Wojtyla ben conosceva, che dal mondo occidentale. Spiega Paolo Fucili, autore del volume: “Chiaramente oggi il vissuto religioso riveste un’importanza che 30 anni fa non aveva. Per scrivere questo libro ho consultato anche giornali dell’epoca. C’è una cosa che mi ha sorpreso: oggi come oggi chiunque metterebbe in prima pagina un evento del genere, sarebbe la prima notizia del giorno. C’erano giornali, il giorno dopo, il 28 ottobre dell’86 dove per trovare la cronaca dell’evento di Assisi dovevi andare a pagina 3, 4, se non 5 addirittura … La religione chiaramente oggi ha acquisito un’altra importanza”. L’audacia del gesto di Giovanni Paolo II, che aveva progressivamente ampliato la partecipazione a quello che aveva originariamente immaginato come un incontro fra i soli cristiani, rivelerà la sua fondatezza negli anni successivi,
Il nuovo libro intervista con Benedetto XVI FEDERICO LOMBARDI PRESIDENTE
DEL CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE DELLA FONDAZIONE VATICANA JOSEPH RATZINGER-BENEDETTO XVI
Il nuovo libro intervista delle conversazioni di Benedetto XVI con Peter Seewald, in libreria e nelle edicole in diverse lingue dal 9 settembre 2016, è certamente per molti una sorpresa, ma possiamo ben dire una bella sorpresa. Una sorpresa nel senso che, data la chiara scelta di Benedetto XVI di dedicarsi ad una vita ritirata di preghiera e riflessione, forse non ci saremmo aspettati ora la pubblicazione di una nuova lunga conversazione con un giornalista. Una bella sorpresa nel senso che, superato il primo stupore, la tranquilla lettura del testo ci offre alcune perle molto preziose e di grande valore, altre utili e interessanti. Le perle più preziose sono, a nostro avviso, due, contenute nella Prima Parte e nel capitolo finale della Terza Parte del libro. La prima e principale è la commovente testimonianza dell’esperienza spirituale dell’anziano pontefice emerito “in cammino per giungere al cospetto di Dio” (225). Insomma, Benedetto XVI parla serenamente di come sta vivendo nel raccoglimento e nell’orazione l’ultima tappa della sua vita. Giovanni Paolo II ci aveva dato la sua preziosa testimonianza di come portava nella fede la condizione della grave sofferenza della malattia. Benedetto XVI ci dà quella dell’uomo di Dio anziano, che si prepara alla morte. Lo fa con toni umili e umani, riconoscendo che la debolezza fisica gli rende difficile di restare sempre, come vorrebbe, nelle “regioni alte dello spirito” (23). Ci parla del grande mistero di Dio, ci parla dei grandi interrogativi che hanno accompagnato la sua vita spirituale e continuano ad accom-
pagnarla, diventando forse ancora più grandi, come la presenza di tanto male nel mondo. Ci parla in particolare di Gesù Cristo, vero centro focale della sua vita, che “vede proprio davanti” a lui, “sempre grande e misterioso”, e del fatto che “molte parole del Vangelo le trovo ora, per la loro grandezza e gravità, più difficili che in passato” (26). L’anziano pontefice vive l’avvicinarsi alle soglie del mistero “non abbandonando la certezza di fondo della fede e rimanendo, per così dire, immerso in essa”. “Ci si rende conto che bisogna essere umili, che se non si capiscono le parole della Scrittura, si deve aspettare finché il Signore le schiuda alla nostra comprensione” (27). Egli parla serenamente dello sguardo sulla vita passata e del “peso della colpa”, del rimpianto per non aver fatto abbastanza per gli altri, ma anche della fiducia nell’amore fedele di Dio, del fatto che al momento dell’incontro “lo pregherà di essere indulgente con la sua miseria” e della convinzione che nella vita eterna “sarà davvero giunto a casa” (28). Oltre a questa vera perla fondamentale, a nostro avviso l’aspetto più importante del libro, a un diverso livello – inferiore ma pure rilevante – va apprezzata la risposta chiara e serena a tutte le elucubrazioni immotivate sulle ragioni della sua rinuncia al pontificato, come se fosse stata causata dalle difficoltà incontrate a seguito di scandali o complotti. Di tutto ciò ora, sollecitato dalle domande di Seewald, Benedetto in prima persona fa piazza pulita con decisione, in modo ci auguriamo definitivo, parlando del cammino di discernimento con cui è giunto davanti a Dio alla decisione e della serenità con cui, una volta presa, la ha comunicata e attuata 88
senza alcuna incertezza e non se ne è mai pentito. Insiste sul fatto che la decisione è stata presa non sotto la pressione di difficoltà incalzanti, ma anzi, proprio quando queste erano sostanzialmente state superate. “Io ho potuto dimettermi proprio perché riguardo a quella vicenda era ritornata la serenità. Non si è trattato di una ritirata sotto la pressione degli eventi o di una fuga per l’incapacità di farvi fronte” (38). Ma a parte la risposta alle interpretazioni infondate, dalle parole di Benedetto risultano ribadite con chiarezza anche le motivazioni vere della rinuncia, e ciò con tale naturalezza che esse appaiono assolutamente ragionevoli e convincenti. In certo senso – ci sia permesso dirlo – la rinuncia da parte del Papa, quando sia effettivamente inadeguato all’esercizio della sua responsabilità nel governo della Chiesa per lo scemare delle forse fisiche e psichiche, si presenta come doverosa e “normale”. Pur restando evidentemente sovrana la libertà di ogni Papa in merito, non si può non costatare che la decisione di Benedetto ha offerto un modello di discernimento ed ha aperto concretamente – possiamo dire anche in questo caso “definitivamente” ? – una possibilità di scelta più facilmente percorribile per tutti i suoi successori.
Perle di cultura e di bellezzza CETTINA MILITELLO TEOLOGA
I
I nostro presente appare dolorosamente segnato da un movimento irrefrenabile che spinge uomini e donne, al sud come al nord, a cercare altrove più umane condizioni di vita e, in palese opposizione, lo segna la pretestuosa rivendicazione della propria identità come argine appunto al movimento, al rimescolamento di popoli e culture, segno evidente di una complessa transizione. Non sembri strano il collocarsi di questa appassionata ricerca sulle proprie radici nell'evidente scelta di campo circa una declinazione altra della identità, quale è resa possibile dalla fede. Accostare le chiese rupestri di Matera e tentare una lettura estetico -teologica, anzi mistagogica; della Cripta, più a torto che a ragione denominata del peccato originale;, svela infatti l‘incredibile ricchezza che scaturisce dal crogiolo culturale, dall’aprirsi fecondo a influssi molteplici, unificanti e qualificanti, e tuttavia nativamente diversi e complessi. L’essere umano è costitutivamente in itinere. La sua stanzialità è sempre provvisoria. Ciò che l’ha condotto ad abitare un luogo conduce prima o poi anche altri a scoprirne la bellezza. Vincente allora è la capacità di accogliere chi si pone in cammino e faticosamente si ferma, e chiede di abi-
tare insieme a noi, compartendo aria, terra, acqua, risorse tutte. Vincente è il rimettersi di nuovo in cammino, metaforicamente o materialmente, alla ricerca, prima o poi vincente anch'essa, di una novità culturale. Matera offre un singolare spaccato di stanzialità e di itineranza. Stanzialità è quella duttile delle sue rocce, abitate sin dai tempi più antichi. Itineranza è quella di quanti vi approdano e dalla sua singolare ricchezza traggono ispirazione, aggiungendo però il loro peculiare fardello, la loro peculiare storia. Le chiese rupestri attestano una comunità cristiana residenziale, capace di abitare la plastica nudità del sasso; e di riproporre in esso la propria immagine di Chiesa. Sempre e comunque infatti le chiese del popolo di Dio sono la casa che esso abita non diversamente dalle case proprie e che decora e adorna proiettando la coscienza che ha di sé come comunità in cammino nella storia. Quale comunità cristiana ha abitato la Cripta del peccato originale? Perché l’ha segnata di colori e di immagini nel modo che ci è stato quasi miracolosamente restituito? Perché il chiamarla anche la Grotta dei cento santi? L’autrice prova a rispondere a queste non facili domande. Prova a dare una connotazione della comunità monastica che l’ha abitata. Dico prova perché 89
MARIA PINA RIZZZI, Chiese rupestri a Matera. Per una lettura della cripta del “peccato originale”, Libreria Editrice Vaticana, 2016, p. 120, 25,00 euro.
non è facile dare risposte definitive e decifrare una volta per tutte quanto lo spazio e le immagini suggeriscono .L’ obiettivo resta quello di approfondire e porre in evidenza presenze che facciano emergere le profonde radici cristiane di un patrimonio ancora soltanto in parte conosciuto. Chi visita la Cripta resta senza fiato sedotto dalla sua incredibile ricchezza iconografica. Difficile, se non impossibile, invece, malgrado i restauri, cogliere se ci sia o meno un programma iconografico unificante. Difficile identificare una volta per tutte i fruitori di tanta meraviglia E tuttavia un elemento certo c’è ed è proprio quello della interazione culturale. Sì la Cripta del peccato originale dice una lunga sedimentazione iconografica. Dice l’intreccio tra il mondo latino e quello bizantino. Dice l’iti-
libri
Chiese rupestri a Matera
SCAFFALE 2017
neranza dei monaci e degli iconografi non meno che dei gruppi umani che nei modelli dell’iconografia cristiana svelano la loro identità in itinere. Non entro nel merito delle interpretazioni proposte. Plaudo sicuramente al coraggio del percorrere una via tutt’altro che facile, anzi decisamente arrischiata e insicura. L ‘Autrice manifesta a un tempo la sua fede. Si espone come donna credente che ha tesaurizzato il Vaticano II e che ne ha vissuto le difficoltà di ricezione. Si espone come membro di una comunità
che con fierezza rivendica la sua storia e così facendo sconvolge il pregiudizio di chi la storia pensa come una sorta di linea diritta, fondamentalmente endogena, una sorta di binario che circoscritto a quelli che hanno diritto a percorrerlo, quasi non ci fossero non solo stazioni ma neanche ospiti e visitatori, infiltrati e clandestini, essi stessi protagonisti della medesima storia. Certamente la Cripta riporta all’Arché della comunità cristiana, al suo credo arcaico; il disegno di Dio creatore. Per difficile che sia decodificarla,
FRANCESCO PAOLO DE CEGLIA, Il segreto di san Gennaro. Storia naturale di un miracolo napoletano, Einaudi, p.410, 32 euro. .............................. SANDRA POZZI ROCCO, Diplomazia e amore cristiano nel mondo. La vita di S.E. Mons. Carmine Rocco, Nunzio Apostolico, Sette Città, 2016, 22,00 euro. .............................. MARIO DE BONIS, Monsignor Donato De Bonis. Mezzo secolo di sacerdozio con cinque Papi. Dal Monte Vulture al Colle Vaticano, Teramo 2016, p.142 s.i.p. .............................. Franco Di Spirito ( a cura di ), La Basilica di San Tammaro. La fabbrica e i recenti restauri Grumo Nevano, Inizative editoriali, 2016, p.136. .............................. Pontificia Facoltà Teologica dell'Italia Meridionale Sezione S. Tommaso D'AquinoNapoli, Nicola Ciavolino a vent'anni dalla scomparsa: il presbitero, lo studioso, l'archeologo. Atti del Convengo di studi Napoli, 9 maggio 2015, in Campania Sacra, Rivista di storia sociale e religiosa del Mezzogiorno, volume 46-47. Anni 20152016, Napoli 2016, p. 202.
l'umanità vi appare nella sua storia primordiale, quella in cui Dio la pone in essere a sua immagine. Dobbiamo supporre, come avviene in tante altre chiese coeve che il progetto iconologico fosse quello dell ‘Esamerone? E davvero la presenza di Adamo ed Eva con valenza post - lapsaria qualifica il programma iconografico più ancora del mito della loro creazione? E come si lega questa successione con le rappresentazioni iscritte nelle absidi? Quale tipo di comunità mona90
stica vi si raccoglieva in preghiera? Qual è la simbolica liturgica dell’acqua inseparabilmente unita ancestralmente con la cavità della roccia metafora del grembo e perciò dell'insorgere di (nuova) vita? Donde scaturisce la magnifica Basilissa, bella quanto mai e bellamente adorna? Qual è il significato dei fiori purpurei sparsi a profusione sulle pareti della Cripta, tanto che sarebbe stato assai più indovinato chiamarla Cripta del tappeto fiorito;, sino a far parlare di un pittore dei fiori? Maria Pina Rizzi cerca le analogie in iconi coeve e lo fa con grande impegno, anche se è difficile stabilire contiguità, ad esempio, tra un rotolo di exultet e una pittura rupestre, tra una scultura e una icona... E al di là della legittimità scientifica dei raccordi, al di là del passaggio più volte operato da
iconografia a iconologia, resta la fatica del ricercare e del fare emergere un ordito, una interconnessione complessa, un respiro di Chiesa e perciò di credenti che si specchiano nella narrazione iconica delle loro chiese, luogo del loro raccogliersi e riconoscersi come assemblea liturgica, luogo del far memoria della trama tutta della historta salutis. Più e più volte l’ Autrice è davvero felice in questo gioco di connessioni e di sfumature. Valgano per tutte le suggestioni delle pagine 85 e ss., il gioco simbolico del cistus creticus, purpureo emblema di Cristo. Ma oltre queste e altre felici allusioni, resta l’ intendimento ben palesato alla fine della introduzione. «La preoccupazione, scrive l’ Autrice, è stata sempre quella di poter offrire un contributo a partire dal patrimonio della Chiesa, della Sacra Scrittura, della Divina 91
Liturgia, dei Padri, della Tradizione» (p. 13). E aggiunge che la finalità principale e originaria è quella di far comprendere, attraverso un linguaggio liturgico e mistagogico, quanto l’arte abbia contribuito alla diffusione del messaggio cristiano. Concordo con l’Autrice nel dire che questo testo non esaurisce il tema trattato, ma offre lo spunto e l’incoraggiamento per proseguire in una direzione purtroppo né coltivata né rispettata, ma intrinsecamente autentica nella misura in cui a fare la differenza è la fede. Un’ opera d’arte nata per la liturgia non può essere pensata a prescindere. Le chiese non sono un museo, ma, appunto, un luogo abitato da comunità credenti che vanno rispettate nel diritto nativo di dar ragione, sempre e comunque, della loro speranza.
“Amoris Laetitia” come leggere il capitolo ottavo ADRIANA MASOTTI GIORNALISTA DELLA RADIO VATICANA
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resentazione alla Radio Vaticana del volume: “Il capitolo ottavo della Esortazione Apostolica Post Sinodale Amoris Laetitia” scritto dal card. Francesco Coccopalmerio, presidente del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi. All’incontro con i giornalisti mons. Maurizio Gronchi, professore ordinario di Cristologia all’Urbaniana e consultore della Congregazione per la Dottrina della Fede, il vaticanista Orazio La Rocca, e don Giuseppe Costa, direttore della Libreria Editrice Vaticana che ha pubblicato il testo. L’ottavo capitolo della Amoris Laetitia, dedicato alle unioni irregolari è certamente quello che ha suscitato più interesse e interrogativi riguardo all’Esortazione apostolica post sinodale. La domanda cruciale è se una pastorale più attenta alle singole persone, improntata ad accompagnare, discernere e integrare la fragilità sia in contrasto con la Dottrina tradizionale della Chiesa. Il vaticanista Orazio La Rocca, invitato alla presentazione del testo del card. Coccopalmerio ha commentato: “I dubbi sollevati, mi avevano creato un po’ di interrogativi. Tra questi che la dottrina viene ferita. Invece no: il cardinale con questo testo spiega con una forma di didattica molto penetrante che la dottrina non viene intaccata; viene preservata. Ma, le persone ferite sono figlie della Chiesa che si apre come una madre”.
Esistono serie condizioni per l’eventuale accesso ai Sacramenti dei divorziati risposati, spiega mons. Gronchi illustrando come il card. Coccopalmiero aiuta a comprendere ciò che il Papa scrive in “Amoris Laetitia”: Le cose in più che dice il cardinale si trovano a pagina 27 e a pagina 29 del libretto. Sono esattamente: “…la Chiesa dunque potrebbe ammettere alla Penitenza e all’Eucarestia i fedeli che si trovano in unione non legittima, i quali però verifichino due condizioni essenziali: desiderano cambiare situazione, però non possono attuare il loro desiderio”. E a pagina 29: “ … è esattamente tale proposito l’elemento teologico che permette l’assoluzione e l’accesso all’Eucarestia, sempre ripetiamo, in presenza dell’impossibilità di cambiare subito la condizione di peccato”. Queste sono le espressioni con le quali il cardinale fa un passo interpretativo nella linea dell’Esortazione.
Che cosa significa questo? Che una coppia che si trova in una seconda unione illegittima deve avere coscienza di non essere in una situazione regolare e voler cambiare? Cambiare qui è inteso come il desiderio di conversione. Non si specifica se questo significhi tornare alla situazione precedente, magari commettendo una nuova colpa, questo lo dice il cardinale; non si specifica se questo vuol dire cercare di astenersi dai rapporti coniugali come indicato dalla “Familiaris consortio” al n. 84. Si parla di conversione. E quindi il proposito di essere più conformi a Cristo rende legittimo, perché è il proposito, l’accesso alla grazia santificante dei sacramenti. Questo non contraddice la dottrina dell’indissolubilità, perché si sa di non essere conformi al Vangelo, e non contraddice la dottrina del pentimento, come neppure la dottrina della grazia santificante. Queste sono le espressioni del cardinale. Il titolo dell’ottavo capitolo di Amoris Laetitia è “Accompagnare, discernere e integrare la fragilità”. Lei ha detto che questo potrebbe essere un modello culturale anche per la società … Esattamente, anche per la politica. Che cosa significa per una comunità civile, sociale, politica, farsi carico delle situazioni di maggiore fragilità? Penso agli immigrati, ai poveri, ai disabili, alle persone socialmente escluse … questo è il compito di ogni società, della politica, della Chiesa. Pensiamo che cosa significa questo per l’economia, per i rapporti internazionali ecc … Tornando alla Chiesa, viene fuori l’immagine della Chiesa come 'ospedale da campo' che però non è un’alternativa alla sicurezza della dottrina tradizionale … No, perché la Chiesa è sempre stata comunque il rifugio dei peccatori. “Non sono venuto a giudicare, ma a dare la vita”. Bisogna capire se Gesù è considerato assolutamente il centro, e la sua morte e resurrezione è il centro della dottrina, intorno al quale gli aspetti dottrinali si corredano secondo una gerarchia di verità, oppure se mettiamo al centro qualche aspetto che invece sta alla periferia. Il Papa mette in evidenza molte volte l’importanza delle periferie quando si tratta di situazioni di marginalità. Quindi invita ad un decentramento. Ma è interessante che a volte questo discorso vale anche a rovescio: ci sono certe periferie dottrinali che si fanno diventare centri, dimenticando che il centro è Gesù. 92
Nello Scavo sui perseguitati del nostro tempo hi uccide i cristiani?”, “Perché il cristia- ropa. Ho seguito il viaggio per centinaia di chi“ nesimo è oggi il culto più odiato del pia- lometri di alcuni gruppi di cristiani siriani che
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neta?” Sono alcune domande che si pone provavano, attraverso i Balcani, ad entrare in Nello Scavo nel suo nuovo libro “Perseguitati”, Europa per cercare di costruirsi una possibilità edito da Piemme. Il volume è un’indagine “sul di vita, di sopravvivenza, rispetto alla strage campo” realizzata dal giornalista di Avvenire nei continua che avviene in Siria. Questi cristiani luoghi dove i cristiani sono vittime di persecu- venivano regolarmente respinti; penso a Paesi zioni e umiliazioni di ogni genere, dal Medio cristiani come l’Ungheria nel quale è stato Oriente all’America Latina. Una realtà terribile, eretto un muro. Questi ragazzi non riuscivano spesso ignorata dai grandi media, nonostante che a spiegarsi come fosse possibile che dei Paesi il 75% delle violenze perpetrate contro una reli- cristiani respingessero degli altri cristiani progione riguardi proprio i cristiani. Con Alessan- venienti da zone di guerra. dro Gisotti, Scavo si sofferma sui punti più Colpisce veramente leggere le persecuzioni, le significativi del suo libro: violazioni, l’umiliazione più totale che viene L’idea del libro è nata dopo molti viaggi, repor- perpetrate a nei confronti delle donne cristiane tage che avevo scritto per Avvenire, nel corso in tante parti del mondo … dei quali mi ero misurato tante volte con la sof- Quello che accade soprattutto in Medio ferenza, anche l’eroismo, di tanti cristiani per- Oriente è davvero impressionante. Le testimoseguitati. Così ho deciso poi di continuare in nianze raccolte tolgono davvero il respiro. Vi questo percorso andando nei luoghi, laddove è, questo va detto, in una parte della cultura fosse possibile, nei quali queste comunità vi- islamica di queste terre islamizzate, un totale vono questo martirio quotidiano. Provo a fare disprezzo della figura femminile. Le donne criqualche esempio: ci sono dei Paesi nei quali ai stiane, in questo senso, non hanno alcun diritto cristiani non è permesso studiare, altri nei a vivere una vita normale. Ho trovato perfino i quali, invece, le condizioni di lavoro sono documenti di alcune corti islamiche che hanno estremamente infime. Poi ci sono realtà più re- regolamentato la schiavitù delle donne cricenti; penso soprattutto a quello che sta acca- stiane. Ma si è arrivati al punto di un mujaheddendo in Siria, laddove decine di migliaia di din che si "innamora" di una donna cristiana cristiani si trovano letteralmente a fare gli sposata. Questo uccide il marito con il pretesto schiavi nei campi di lavoro in Turchia. Ho in- di uno scontro in zona di guerra e subito dopo, contrato anche dei bambini piccolissimi, tra gli acquisterà la donna quasi come fosse trofeo di otto e i 12 anni, che lavorano da schiavi in al- guerra e naturalmente, dopo averla utilizzata, cune sartorie turche dove, ironia della sorte, la metterà in vendita al mercato degli schiavi producono, tra l’altro, le tute mimetiche che che si svolge ogni settimana. poi vengono vendute ai militari dell’Is, i responsabili della sparizione dei cristiani da Che cosa vuoi dare a chi leggerà? Soprattutto a un Occidente un po’ assopito che è forse troppo quelle terre. lontano, un po’ indifferente al fatto che c’è Un’altra cosa che colpisce di questo libro, è che gente che per andare la domenica a Messa riha una visione il più globale possibile. Tu sot- schia la vita … tolinei come la situazione, per motivi diversi, Spero anche di poter fornire delle storie di spesia grave anche in Asia, in Africa, in America ranza, perché dentro a questi racconti a questi Latina appunto, … reportage ci sono anche le vicende di tanti criSì, anche in Europa! Bisogna dire una cosa: al- stiani che sono stati aiutati, per esempio, da cune volte i cristiani sono utilizzati come tro- molti musulmani a fuggire o a esser protetti in feo in una guerra tra gruppi islamici. Ci sono zone di guerra o di quei tanti cristiani che non delle realtà nelle quali fazioni sciite e fazioni hanno accettato la logica dello scontro e che sunnite si contendono spazi di potere e la corsa per questo riescono comunque a testimoniare a dimostrare di essere più forti viene svolta uc- un’idea di cristianesimo radicalmente legata al cidendo cristiani; quindi "più cristiani uccido, Vangelo. Ovunque le comunità cristiane si più dimostro di essere forte". Questo solo per tenta di spazzarle via, queste ricrescono più fare un esempio. Ma c’è anche il caso dell’Eu- forti di prima.. 93
libri
“Chi uccide i cristiani”
E V E N T I 2017
Caserta, 18 gennaio 2017 - Celebrazione ecumenica per la settimana di preghiera per l’unità dei cristiani
Malta, 27 gennaio 2017 Incontro con le suore di Clausura
Samar, Filippine: il Padre provinciale fra Edoardo Scognamiglio insieme all’economo P. Angelo Palumbo in visita alla comunità dei frati
94 Maddaloni, 25 febbraio 2017 - Forum sulla Famiglia presso il Centro Studi Francescani