Luce serafica 4 2016 web

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Numero 4/2016 - Trimestrale - Poste Italiane S.p.a. - Spedizione in abbonamento postale - D.L.353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 2 - CNS/CBPA/sud/BENEVENTO/109/2007

Luceerafica S Rivista francescana fondata a Ravello nel 1925




SOMMARIO

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Luce Serafica 4/2016

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EDITORIALE Ci scrivono... “Nessuno è escluso dalla misericordia” ASSISI 30 ANNI DOPO “Guerra è vergogna...” “L’amore non è amato...” “Pace vuol dire: perdono, accoglienza...” Le religioni fontane di speranza L’Onu di Assisi 27 candele accese VIAGGI DEL SANTO PADRE Svezia Francesco e Lutero 500 anni dopo Dichiarazione congiunta Armenia Genocidio del XX secolo Georgia - Azerbaijan “Pax vobis” Terra benedetta Le religioni albe di pace Intervista a Mons. Giuseppe Pasotto SANTA MADRE TERESA DI CALCUTTA

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Giornata del Creato “Brama di profitto genera miserie” ICONOLOGIA E SPIRITUALITÀ DEL NATALE DI GESÙ

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Europa Asia America Medio Oriente Italia FRANCESCANESIMO Francesco e Chiara uniti nel Signore Insieme nei luoghi della memoria Gente di Lucania LIBRI - MUSICA - CINEMA Cristo si è fermato a Eboli EVENTI

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Editoriale Gianfranco Grieco

Le strade che partono da Assisi C’è un posto al mondo dove tutti possono ritrovarsi: Assisi, luogo che la serafica figura di san Francesco ha trasformato in un centro di fraternità universale.

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uante sono le strade che partono da Assisi verso i nuovi orizzonti della storia del nostro tempo? Dove vanno? Con quale compagnia vanno? Con quale messaggio evangelico e rivoluzionario si presentano alle nuove generazioni del mondo plurale, liquido e violento? Dopo 30 anni dallo storico evento di Assisi- 27 ottobre 1986- e dopo la celebrazione dell’anniversario con la presenza di Papa Francesco - 20 settembre 2016 – le domande non possono rimanere senza risposte. Assisi resta, Assisi continua, Assisi provoca, Assisi impegna, Assisi orienta. E’ pur sempre Santo Francesco insieme con Papa Francesco ad indicarci le strade. Due in uno. Due testimoni dell’amore misericordioso del Padre che percorrono le strade del mondo rinnovando il messaggio di pace e di bene, di fratellanza e di unita, di condivisione e di comunione tra i popoli che abitano la casa comune. Dal 1986 ad oggi lo Spirito di Assisi ha invaso e pervaso il mondo intero. I discepoli di frate Francesco sparsi per il mondo hanno predicato e testimoniato con la vita il Vangelo della pace, della misericordia, del perdono, della fraternità universale. Con i figli spirituali di Santo Francesco, Papa Francesco, la Comunità di Sant’Egidio, e tantissimi uomini e donne di buna volontà, hanno girato il mondo portando nelle piazze e nelle cattedrali la forza profetica dello Spirito di Assisi che scaturisce del cuore del Santo della fraternità universalecome amava invocarlo san Giovanni Paolo II che, alcuni mesi prima della celebrazione di quel grande evento affermava:” C’è un posto nel mondo dove tutti possono ritrovarsi: Assisi, luogo che la

serafica figura di san Francesco ha trasformato in un centro di fraternità universale”. Parlava dalla cattedra della basilica di san Paolo Fuori le Mura il 15 gennaio 1986, quando dava alle Chiese e al mondo lo storico annuncio dell’incontro assisano. E ad un gruppo di giovani francescani il 9 settembre di quell’anno indimenticabile il Papa che per 27 anni parlava con il cuore alle giovani generazioni riproponeva “ il sentiero comune che l’umanità è chiamata oggi a percorrere: riesaminare le nostre coscienze, ascoltare più fedelmente la loro voce, per purificare i nostri spiriti dal pregiudizio, dall’odio, dall’inimicizia, dalla gelosia e dall’invidia”. Non è anche questo lo Spirito di Asissi? Come Santo Francesco anche Papa Francesco cammina per le strade del mondo: dalla Terra Santa alla Turchia, dall’Amernia alla Georgia e all’ Azerbaijan sino alla Svezia per incontrare fratelli ebrei e musulmani, ortodossi e protestanti, buddisti e shintoisti, leader religiosi di tutti i popoli della terra madre, invitandoli a lavorare insieme per un futuro di non violenza, di giustizia, di pace, di perdono, di misericordia e di riconciliazione. Le soste oranti di Papa Francesco nelle sinagoghe e nelle moschee del mondo religioso globalizzato già indicano la strada per andare oltre lo Spirito di Assisi. Solo l’Onu delle religioni può dare certezze e speranze al nostro mondo in affanno che fatica a trovare la strada comune per risorgere a nuova vita.

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ci scrivono...

Kiev, 20 agosto 2016 Caro Padre Gianfranco, davvero bello ed edificante il ritratto che ha elaborato del Padre Bonaventura Mansi, con la ricca documentazione che l’accompagna. A me, cittadino adottivo di Ravello, ha toccato il cuore in modo speciale. Grazie e un abbraccio Claudio Gugerotti, Arcivescovo titolare di Ravello Nunzio Apostolico in Ucraina Roma, 5 settembre 2016 Carissimo Padre Gianfranco, Pace a te, e grazie del tuo sempre gentile ricordo! Il Beato Bonaventura da Potenza mi era un nostro frate sconosciuto e per le tua pubblicazioni mi sono avvicinato a lui sempre di più, con profitto, spero. Un caro saluto, con la mia riconoscenza e il mio ricordo nel Signore. Fra Joaquin Angel Agresta, Assistente generale Conferenza intermediterranea ministri provinciali- Cimp Roma, 29 agosto 2016 Carissimo Padre Gianfranco, La ringrazio per il gentile pensiero del volume sul Beato Bonaventura da Potenza, ne sono lusingato. E’ edificante constatare che fratelli come Lei, si dedicano a coltivare la storia e la visibilità del nostro amato Ordine. Appena avrò la possibilità approfondirò, tramite la lettura del Suo scritto, la personalità di questo nostro Venerato Confratello. Dio La benedica. Fra Maurizio Di Paolo OFMConv., procuratore generale dell’Ordine

La foto dei lettori di fra Lazzaro

Ravello, 26 ottobre 2016 Gentile Direttore, Seguo da sempre il lungo cammino di LUCE SERAFICA. La rivista entra nella mia famiglia sin dal 1925. Nella nostra residenza, il Beato è di casa e con lui tutti i confratelli che all’indomani della prima guerra mondiale si sono succeduti nel monumentale complesso francescano conventuale. Certo i volti con le stagioni cambiano, ma resta indelebile, la memoria di quanti in questi oltre 90 anni hanno lasciato il profumo del loro passaggio: Giuseppe e Antonio Palatucci, fra Ludovico Di Nardo, padre Bonaventura Mansi, padre Agostino Ciappetta, padre Andrea Sorrentino – per ricordare solo alcuni dei frati defuntiche il 5 dicembre scorso abbiamo ricordato nel XV anniversario della sua morte. Siamo felici in famiglia che ora il busto marmoreo del maestro scultore Silvio Amelio sia stato collocato nel parlatorio del chiostro,dopo gli anni in cui era a due passi dal campo sportivo. Il freddo, frate vento e sora acqua prima o dopo, avrebbero ferito a morte la scultura. Complimenti anche per il bel testo che avete fatto incidere sulla lapide che ricorda gli anni della lunga presenza del caro ed indimenticabile padre Andrea in mezzo a noi. La città di Ravello vorrebbe ora celebrare una giornata in memoria dei religiosi più significativi che hanno lasciato il segno della loro presenza nel corso del XX secolo. Speriamo di portare a compimento anche questo progetto. Grato per l’attenzione. Gino Schiavo

COMITATO DI REDAZIONE Orlando Todisco Edoardo Scognamiglio Salvatore Amato Iman Sabbah Emanuela Vinai Assunta Cefola Luigi Buonocore Emiliano Amato Boutros Naaman Mohammad Djafarzadeh Foto di copertina L’Osservatore Romano Hanno collaborato: Andrea Riccardi Gianfranco Grieco Card. Pietro Parolin Card. Peter Kodwo Appiah Turkson Luciana Siotto Francis Callaghan Mohammad Djafarzadeh Raffaele Di Muro

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Gianluca Biccini Leonardo Siniglalli Paolo Cattorini Gianluca Biccini


Domenica 20 novembre 2016, nella Solennità di Cristo Re dell’Universo, alle ore 10, sul Sagrato della Basilica Vaticana, il Santo Padre Francesco ha celebrato la Santa Messa con i tredici nuovi Cardinali provenienti da cinque continenti, con il Collegio cardinalizio, con gli Arcivescovi, con i Vescovi e i Presbiteri. All’inizio della Santa Messa ha proceduto al solenne rito di chiusura della Porta Santa della Basilica Vaticana. Il giorno prima, sabato 19 novembre 2016, nella Basilica Vaticana, ha tenuto Concistoro Ordinario Pubblico per la creazione di nuovi Cardinali, per l’imposizione della berretta, la consegna dell’anello e l’assegnazione del Titolo o della Diaconia. Nelle tre basiliche papali romane le Porte Sante sono state chiuse domenica 13 novembre. Il Giubileo della Misericordia si è così concluso con un universale abbraccio tra Papa Francesco, le Chiese sparse nel mondo ed i fedeli giunti a Roma per partecipare alle celebrazioni giubilari conclusive.

«Nessuno è escluso dalla misericordia”

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io, nel suo disegno d’amore, non vuole escludere nessuno, ma vuole includere tutti. Mediante il battesimo, ci fa suoi figli in Cristo, membra del suo corpo che è la Chiesa. E noi cristiani siamo invitati a usare lo stesso criterio: la misericordia è quel modo di agire, quello stile, con cui cerchiamo di includere nella nostra vita gli altri, evitando di chiuderci in noi stessi e nelle nostre sicurezze egoistiche. Nel brano del Vangelo di Matteo Gesù rivolge un invito realmente universale: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò risktoro» (11,28). Nessuno è escluso da questo appello, perché la missione di Gesù è quella di rivelare ad ogni persona l’amore del Padre. A noi spetta aprire il cuore, fidarci di Gesù e accogliere questo messaggio d’amore, che ci fa entrare nel mistero della salvezza. Questo aspetto della misericordia, l’inclusione, si manifesta nello spalancare le braccia per accogliere senza escludere; senza classificare gli altri in base alla condizione sociale, alla lingua, alla razza, alla cultura, alla religione: davanti a noi

c’è soltanto una persona da amare come la ama Dio. Colui che trovo nel mio lavoro, nel mio quartiere, è una persona da amare, come ama Dio. “Ma questo è di quel Paese, dell’altro Paese, di questa religione, di un’altra … È una persona che ama Dio e io devo amarla”. Questo è includere, e questa è l’inclusione. Quante persone stanche e oppresse incontriamo anche oggi! Per la strada, negli uffici pubblici, negli ambulatori medici … Lo sguardo di Gesù si posa su ciascuno di quei volti, anche attraverso i nostri occhi. E il nostro cuore com’è? E’ misericordioso? E il nostro modo di pensare e di agire, è inclusivo? Il Vangelo ci chiama a riconoscere nella storia dell’umanità il disegno di una grande opera di inclusione, che, rispettando pienamente la libertà di ogni persona, di ogni comunità, di ogni popolo, chiama tutti a formare una famiglia di fratelli e sorelle, nella giustizia, nella solidarietà e nella pace, e a far parte della Chiesa, che è il corpo di Cristo. Come sono vere le parole di Gesù che invita quanti sono stanchi e affaticati ad andare da Lui per trovare

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riposo! Le sue braccia spalancate sulla croce dimostrano che nessuno è escluso dal suo amore e dalla sua misericordia, neppure il più grande peccatore: nessuno! Tutti siamo inclusi nel suo amore e nella sua misericordia. L’espressione più immediata con la quale ci sentiamo accolti e inseriti in Lui è quella del suo perdono. Tutti abbiamo bisogno di essere perdonati da Dio. E tutti abbiamo bisogno di incontrare fratelli e sorelle che ci aiutino ad andare a Gesù, ad aprirci al dono che ci ha fatto sulla croce. Non ostacoliamoci a vicenda! Non escludiamo nessuno! Anzi, con umiltà e semplicità facciamoci strumento della misericordia inclusiva del Padre. La misericordia inclusiva del Padre: è così. La santa madre Chiesa prolunga nel mondo il grande abbraccio di Cristo morto e risorto. Anche questa Piazza, con il suo colonnato, esprime questo abbraccio. Lasciamoci coinvolgere in questo movimento di inclusione degli altri, per essere testimoni della misericordia con la quale Dio ha accolto e accoglie ciascuno di noi. Udienza giubilare, 12 novembre 2016

il messaggio giubilare 2015-2016

Universale abbraccio


Un atto di clemenza per i carcerati “

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n occasione dell’odierno Giubileo dei carcerati vorrei rivolgere un appello in favore del miglioramento delle condizioni di vita nelle carceri in tutto il mondo, affinché sia rispettata pienamente la dignità umana dei detenuti. Inoltre, desidero ribadire l’importanza di riflettere sulla necessità di una giustizia penale che non sia esclusivamente punitiva, ma aperta alla speranza e alla prospettiva di reinserire il

reo nella società. In modo speciale, sottopongo alla considerazione delle competenti Autorità civili di ogni Paese la possibilità di compiere, in questo Anno Santo della Misericordia, un atto di clemenza verso quei carcerati che si riterranno idonei a beneficiare di tale provvedimento” . PAPA FRANCESCO, dopo Angelus, domenica 6 novembre 2016

I detenuti sono 54.912

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econdo i dati del ministero della Giustizia, aggiornati al 31 ottobre, sono 54.912 i detenuti presenti nei 192 istituti di pena italiani, a fronte di una capienza complessiva di 50.062 posti. Gli stranieri detenuti sono 18.578, mentre le donne sono 2.300. Quelli in attesa di giudizio sono 9.826. Gli istituti più sovraffollati sono in Lombardia, nelle cui 18 carceri sono presenti 7.856 ospiti a fronte di una capienza di 6.120. Seguono Campania (6.919 detenuti per 6.112 posti) e Lazio (6.064 per 5.238 posti).

GIUBILEO E “VENERDÌ DELLA MISERICORDIA”

Chiusa Porta Santa dell'Ostello Caritas

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È stata quella dell’Ostello Don Luigi Di Liegro, della Caritas diocesana, una delle prime Porte Sante ad essere chiuse a Roma, sabato mattina 12 novembre. La celebrazione, è stata presieduta dal cardinale vicario Agostino Vallini. Oltre 12 mila sono state le persone passate attraverso la Porta Santa della Carità dell’Ostello dedicato a Don Luigi Di Liegro: pellegrini, volontari, gli stessi ospiti della struttura che, con la mensa dedicata a Giovanni Paolo II, accoglie centinaia di persone. La Porta, per la prima volta non quella di una cattedrale, era stata aperta il 18 dicembre dell’anno scorso da Papa Francesco. Cosa lascia la Porta Santa della Carità. Il cardinale vicario Agostino Vallini: “Rimane anzitutto un grande cammino di vita cristiana, di santità di vita, di rimessa in discussione, forse, anche di tanti comportamenti. Io vedo tante persone che soffrono, ma anche tante persone che aiutano. E’ cresciuta certamente, a me pare, la sensibilità verso i chi è nel bisogno. Certo, occorre fare ancora di più. Ognuno faccia un esame di coscienza e dica: 'Cosa posso fare io per gli altri?'. Perché la città siamo noi e quindi diamoci da fare!". In questi undici mesi, la Caritas diocesana ha accolto tutti coloro che hanno voluto fare del passaggio sotto la Porta Santa un’occasione di conversione, condivisione e servizio.

Vallini: Facciamo di più

enerdì 12 novembre 2016. Papa Francesco raggiunge la periferia romana per l’ultimo «Venerdì della Misericordia» e incontra sette famiglie, tutte formate da giovani che hanno lasciato il sacerdozio nel corso di questi ultimi anni . Un segno di vicinanza a chi ha compiuto una scelta spesso non condivisa da confratelli e da familiari. Papa Francesco è andato a trovare questi giovani: quattro della diocesi di Roma, dove sono stati parroci in diverse parrocchie della città; uno di Madrid e un altro dell’America Latina, che risiedono a Roma, mentre l’ultimo è della Sicilia L’incontro ha rappresentato l’ultimo appuntamento nell’ambito dei Venerdì della Misericordia che il Papa ha voluto ogni mese durante il giubileo della misericordia. La visita si è conclusa alle 17 e 20 circa. Nei “Venerdì della Misericordia” precedenti il Santo Padre ha visitato: una casa di riposo per anziani e malati in stato vegetativo (15 gennaio); una comunità per tossicodipendenti a Castelgandolfo (26 febbraio); Centro di Accoglienza per Profughi (Cara) di Castelnuovo di Porto (24 marzo, Giovedì santo, con Lavanda dei piedi); insieme al patriarca Bartolomeo e all’arcivescovo ortodosso di Atene Ieronimus, i profughi e migranti nell’Isola di Lesbo (Grecia, 16 aprile); comunità del «Chicco» per persone con grave disabilità mentale (Ciampino, 13 maggio); comunità «Monte Tabor» che ospita sacerdoti sofferenti per diverse forme di disagio e comunità dei sacerdoti anziani della diocesi di Roma («Casa San Gaetano»; 17 giugno); preghiera silenziosa ad Auschwitz-Birkenau (Polonia) e bambini malati all’ospedale pediatrico di Cracovia, la Via Crucis della Giornata mondiale della Gioventù con i giovani iracheni e coloro che vivono particolari situazioni di disagio (29 luglio); gruppo di donne ex prostitute (Roma, Pietralata) - progetto di recupero della Comunità Giovanni XXIII fondata da don Oreste Benzi (12 agosto); a Roma due strutture

ospedaliere per sottolineare l’importanza della vita dal suo inizio alla sua fine naturale: pronto soccorso e il reparto di neonatologia dell’Ospedale San Giovanni di Roma e l’hospice «Villa Speranza» (pazienti in fase terminale), struttura della Fondazione del Gemelli dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (16 settembre); «Villaggio Sos bambini», in zona Boccea, una casa famiglia che accoglie bimbi su segnalazione dei servizi sociali e del tribunale, in condizioni di disagio personale, familiare e sociale (14 ottobre). 8


Giornata mondiale di preghiera per la Pace “Sete di Pace. Religioni e Culture in dialogo”

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apa Francesco alle ore 10.55 di martedì 20 settembre partiva dall’eliporto vaticano per la visita ad Assisi per la Giornata mondiale di preghiera per la Pace nell’ambito dell’evento “Sete di Pace. Religioni e Culture in dialogo”, promosso dalla Diocesi di Assisi, dalle Famiglie Francescane e dalla Comunità di Sant’Egidio. All’atterraggio dell’elicottero, al campo sportivo “Migaghelli” a Santa Maria degli Angeli, il Papa veniva accolto da S.E. Mons. Domenico Sorrentino, Arcivescovo-Vescovo di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino, dall’On. Catiuscia Marini, Presidente della Regione Umbria, dal Dott. Raffaele Cannizzaro, Prefetto di Perugia e dalla Dott.ssa Stefania Proietti, Sindaco di Assisi. In auto il Papa raggiungeva il Sacro Convento di Assisi, accolto dal Custode Padre Mauro Gambetti; da Sua Santità Bartolomeo I, Patriarca Ecumenico di Costantinopoli; da Abbas Shuman, vice Presidente di Al Azhar (Egitto); da Sua Grazia Justin Welby, Arcivescovo di Canterbury; da Sua Santità Efrem II, Patriarca Siro-Ortodosso di Antiochia e dal Rabbino Capo di Roma, Riccardo Di Segni. Quindi, tutti insieme raggiungevano il Chiostro di Sisto IV, dove erano in attesa i Rappresentanti delle Chiese e Religioni Mondiali, e i Vescovi dell’Umbria. Il Santo Padre salutava singolarmente tutti i Rappresentanti. Alle ore 13, nel refettorio del Sacro Convento, si svolge il pranzo comune al quale partecipano anche 12 rifugiati provenienti da Paesi in guerra, attualmente accolti dalla Comunità di Sant’Egidio. Nel corso dell’incontro conviviale il Dott. Marco Impagliazzo, Presidente della Comunità di Sant’Egidio, ricorda il XV anniversario di Patriarcato di Sua Santità Bartolomeo I. «Ad Assisi preghiamo il "Dio di pace”». In ginocchio a pregare il Dio della pace, insieme, “oltre le divisioni delle religioni”, fino a sentire la “vergogna” della guerra e senza “chiudere l’orecchio” al grido di dolore di chi soffre. Lo spirito col quale il Papa partiva per Assisi è stato spiegato da Francesco stesso all’omelia della Messa celebrata prima della partenza a santa Marta. “Non esiste un dio di guerra”. La guerra, la disumanità di una bomba che esplode facendo morti e feriti, tagliando la strada “all’aiuto umanitario” che non può arrivare a bambini, anziani, malati, è solo opera del “maligno” che “vuole uccidere tutti”. Per questo, è necessario pregare, anche piangere per la pace,

tutte le fedi unite nella convinzione che “Dio è Dio di pace”. Non chiudiamo l’orecchio Il grande giorno di Assisi, 30 anni dopo Giovanni Paolo II, parte dalla piccola cappella di Casa S. Marta. “Oggi, uomini e donne di tutte le religioni, ci recheremo ad Assisi. Non per fare uno spettacolo: semplicemente per pregare e pregare per la pace”, sono le prime parole del Papa all’omelia. E ovunque, ricorda Francesco – come da lui chiesto in una lettera “a tutti i vescovi del mondo – oggi sono organizzati “raduni di preghiera” che invitano “i cattolici, i cristiani, i credenti e tutti gli uomini e le donne di buona volontà, di qualsiasi religione, a pregare per la pace”, giacché – esclama

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nuovamente – “il mondo è in guerra! Il mondo soffre!”: “Oggi la Prima Lettura finisce così: ‘Chi chiude l’orecchio al grido del povero, invocherà a sua volta e non otterrà risposta’. Se noi oggi chiudiamo l’orecchio al grido di questa gente che soffre sotto le bombe, che soffre lo sfruttamento dei trafficanti di armi, può darsi che quando toccherà a noi non otterremo risposte. Non possiamo chiudere l’orecchio al grido di dolore di questi fratelli e sorelle nostri che soffrono per la guerra”. La guerra parte dal cuore Noi la guerra “non la vediamo”, sostiene Francesco. “Ci spaventiamo” per “qualche atto di terrorismo” ma “questo non ha niente a che

assisi 2016 - 30 anni dopo

Papa Francesco... guerra è vergogna


fare con quello che succede in quei Paesi, in quelle terre dove giorno e notte le bombe cadono e cadono” e “uccidono bambini, anziani, uomini, donne …”. “La guerra è lontana?”, si chiede il Papa. “No! E’ vicinissima”, perché “la guerra tocca tutti”, “la guerra incomincia nel cuore”: “Che il Signore ci dia pace nel cuore, ci tolga ogni voglia

di avidità, di cupidigia, di lotta. No! Pace, pace! Che il nostro cuore sia un cuore di uomo o di donna di pace. E oltre le divisioni delle religioni: tutti, tutti, tutti! Perché tutti siamo figli di Dio. E Dio è Dio di pace. Non esiste un dio di guerra: quello che fa la guerra è il maligno, è il diavolo, che vuole uccidere tutti”.

Sentire la vergogna Di fronte a questo non possono esserci divisioni di fede, ribadisce Francesco. Non basta ringraziare Dio perché magari la guerra “non ci tocca”. “Sì, ringraziamo per questo – dice – ma pensiamo anche agli altri”: Pensiamo oggi non solo alle bombe, ai morti, ai feriti; ma anche alla gente – bambini e anziani – alla quale non può arrivare l’aiuto umanitario per mangiare. Non possono arrivare le medicine. Sono affamati, ammalati! Perché le bombe impediscono questo. E, mentre noi oggi preghiamo, sarebbe bello che ognuno di noi senta vergogna. Vergogna di questo: che gli umani, i nostri fratelli, siano capaci di fare questo. Oggi giornata di preghiera, di penitenza, di pianto per la pace; giornata per sentire il grido del povero. Questo grido che ci apre il cuore alla misericordia, all’amore e ci salva dall’egoismo.

“L’amore non è amato... Ho sete” Dopo il pranzo comune nel Sacro Convento, il Papa incontrava singolarmente Sua Santità Bartolomeo I, Patriarca Ecumenico di Costantinopoli; Sua Santità Ignatius Efrem II, Patriarca Siro-Ortodosso di Antiochia; Sua Grazia Justin Welby, Arcivescovo di Canterbury e Primate della Chiesa di Inghilterra; il Prof. Zygmut Bauman, Sociologo e Filosofo (Polonia); il Prof. Din Syamsuddin, Presidente del Consiglio degli Ulema, Indonesia; il Gran Rabbino David Rosen (Israele). Alle ore 16, i rappresentanti delle diverse religioni pregavano per la Pace in luoghi differenti di Assisi. Tutti i cristiani si riunivano nella Basilica Inferiore di San Francesco per una preghiera ecumenica, durante la quale venivano nominati tutti i Paesi in guerra e per ciascuno di essi veniva accesa una candela. Nel corso della celebrazione, il Santo Padre teneva la meditazione che pubblichiamo in questa pagina.

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i fronte a Gesù crocifisso risuonano anche per noi le sue parole: «Ho sete» (Gv 19,28). La sete, ancor più della fame, è il bisogno estremo dell’essere umano, ma ne rappresenta anche l’estrema miseria. Contempliamo così il mistero del Dio Altissimo, divenuto, per misericordia, misero fra gli uomini. Di che cosa ha sete il Signore? Certo di acqua, elemento essenziale per la vita. Ma soprattutto ha sete di amore,

elemento non meno essenziale per vivere. Ha sete di donarci l’acqua viva del suo amore, ma anche di ricevere il nostro amore. Il profeta Geremia ha espresso il compiacimento di Dio per il nostro amore: «Mi ricordo di te, dell’affetto della tua giovinezza, dell’amore al tempo del tuo fidanzamento» (Ger 2,2). Ma ha dato anche voce alla sofferenza divina, quando l’uomo, ingrato, ha abbandonato l’amore, quando – sembra dire anche oggi il 10


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assisi 2016 - 30 anni dopo

implorano pace i nostri fratelli e sorelle che vivono sotto la minaccia dei bombardamenti o sono costretti a lasciare casa e a migrare verso l’ignoto, spogliati di ogni cosa. Tutti costoro sono fratelli e sorelle del Crocifisso, piccoli del suo Regno, membra ferite e riarse della sua carne. Hanno sete. Ma a loro viene spesso dato, come a Gesù, l’aceto amaro del rifiuto. Chi li ascolta? Chi si preoccupa di rispondere loro? Essi incontrano troppe volte il silenzio assordante dell’indifferenza, l’egoismo di chi è infastidito, la freddezza di chi spegne il loro grido di aiuto con la facilità con cui cambia un canale in televisione. Di fronte a Cristo crocifisso, «potenza e sapienza di Dio» (1 Cor 1,24), noi cristiani siamo chiamati a contemplare il mistero dell’Amore non amato e a riversare misericordia sul mondo. Sulla croce, albero di vita, il male è stato trasformato in bene; anche noi, discepoli del Crocifisso, siamo chiamati a essere “alberi di vita”, che assorbono l’inquinamento dell’indifferenza e restituiscono al mondo l’ossigeno dell’amore. Dal fianco di Cristo in croce uscì acqua, simbolo dello Spirito che dà la vita (cfr Gv 19,34); così da noi suoi fedeli esca compassione per tutti gli assetati di oggi. Come Maria presso la croce, ci conceda il Signore di essere uniti a Lui e vicini a chi soffre. Accostandoci a quanti oggi vivono da crocifissi e attingendo la forza di amare dal Crocifisso Risorto, cresceranno ancora di più l’armonia e la comunione tra noi. «Egli infatti è la nostra pace» (Ef 2,14), Egli che è venuto ad annunciare la pace ai vicini e ai lontani (cfr Ef 2,17). Ci custodisca tutti nell’amore e ci raccolga nell’unità, nella quale siamo in cammino, perché diventiamo quello che Lui desidera: «una sola cosa» (Gv17,21).

Signore – «ha abbandonato me, sorgente di acqua viva, e si è scavato cisterne, cisterne piene di crepe, che non trattengono l’acqua» (Ger 2,13). È il dramma del “cuore inaridito”, dell’amore non ricambiato, un dramma che si rinnova nel Vangelo, quando alla sete di Gesù l’uomo risponde con l’aceto, che è vino andato a male. Come, profeticamente, lamentava il salmista: «Quando avevo sete mi hanno dato aceto» (Sal 69,22). “L’Amore non è amato”: secondo alcuni racconti era questa la realtà che turbava San Francesco di Assisi. Egli, per amore del Signore sofferente, non si vergognava di piangere e lamentarsi a voce alta (cfr Fonti Francescane, n. 1413). Questa stessa realtà ci deve stare a cuore contemplando il Dio crocifisso, assetato di amore. Madre Teresa di Calcutta volle che nelle cappelle di ogni sua comunità, vicino al Crocifisso, fosse scritto “Ho sete”. Estinguere la sete d’amore di Gesù sulla croce mediante il servizio ai più poveri tra i poveri è stata la sua risposta. Il Signore è infatti dissetato dal nostro amore compassionevole, è consolato quando, in nome suo, ci chiniamo sulle miserie altrui. Nel giudizio chiamerà “benedetti” quanti hanno dato da bere a chi aveva sete, quanti hanno offerto amore concreto a chi era nel bisogno: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). Le parole di Gesù ci interpellano, domandano accoglienza nel cuore e risposta con la vita. Nel suo “Ho sete” possiamo sentire la voce dei sofferenti, il grido nascosto dei piccoli innocenti cui è preclusa la luce di questo mondo, l’accorata supplica dei poveri e dei più bisognosi di pace. Implorano pace le vittime delle guerre, che inquinano i popoli di odio e la Terra di armi;


Pace vuol dire: Perdono, accoglienza, collaborazione Alle ore 17.15, tutti i partecipanti delle diverse religioni si incontravano in Piazza di San Francesco ad Assisi per la cerimonia conclusiva. Il Santo Padre raggiungeva il palco insieme con il Rabbino Abraham Skorka, Rettore del Seminario Rabbinico Marshall T. Meyer (Argentina); il Prof. Abbas Shuman, Vice-Presidente dell’Università Al-Azhar (Egitto) e il Molto Venerabile Gijun Sugitani, Consigliere Supremo della Scuola Buddista Tendai (Giappone). La cerimonia si apriva dai saluti di S.E. Mons. Domenico Sorrentino, Arcivescovo-Vescovo di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino, e di P. Mauro Gambetti, Custode del Sacro Convento di Assisi. Dopo l’introduzione del Prof. Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, portava la sua testimonianza una vittima della guerra in Siria, la signora Tamar Mikalli, fuggita da Aleppo; intervenivano poi il Patriarca Bartolomeo I; il Prof. David Brodman, Rabbino di Israele; il Molto Venerabile Koei Morikawa, Patriarca del Buddismo Tendai (Giappone) e il Prof. Din Syamsuddin, Presidente del Consiglio degli Ulema (Indonesia). Papa Francesco pronunciato il discorso che riportiamo di seguito:

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i saluto con grande rispetto e affetto e vi ringrazio per la vostra presenza. Ringrazio la Comunità di Sant’Egidio, la Diocesi di Assisi e le Famiglie Francescane che hanno preparato questa giornata di preghiera. Siamo venuti ad Assisi come pellegrini in cerca di pace. Portiamo in noi e mettiamo davanti a Dio le attese e le angosce di tanti popoli e persone. Abbiamo sete di pace, abbiamo il desiderio di testimoniare la pace, abbiamo soprattutto bisogno di pregare per la pace, perché la pace è dono di Dio e a noi spetta invocarla, accoglierla e costruirla ogni giorno con il suo aiuto. «Beati gli operatori di pace» (Mt 5,9). Molti di voi hanno percorso un lungo cammino per raggiungere questo luogo benedetto. Uscire, mettersi in cammino, trovarsi insieme, adoperarsi per la pace: non sono solo movimenti fisici, ma soprattutto dell’animo, sono risposte spirituali concrete per superare le chiusure aprendosi a Dio e ai fratelli. Dio ce lo chiede, esor-

tandoci ad affrontare la grande malattia del nostro tempo: l’indifferenza. E’ un virus che paralizza, rende inerti e insensibili, un morbo che intacca il centro stesso della religiosità, ingenerando un nuovo tristissimo paganesimo: il paganesimo dell’indifferenza. Non possiamo restare indifferenti. Oggi il mondo ha un’ardente sete di pace. In molti Paesi si soffre per guerre, spesso dimenticate, ma sempre causa di sofferenza e povertà. A Lesbo, con il caro Patriarca ecumenico Bartolomeo, abbiamo visto negli occhi dei rifugiati il dolore della guerra, l’angoscia di popoli assetati di pace. Penso a famiglie, la cui vita è stata sconvolta; ai bambini, che non hanno conosciuto nella vita altro che violenza; ad anziani, costretti a lasciare le loro terre: tutti loro hanno una grande sete di pace. Non vogliamo che queste tragedie cadano nell’oblio. Noi desideriamo dar voce insieme a quanti soffrono, a quanti sono senza voce e senza ascolto. Essi 12

sanno bene, spesso meglio dei potenti, che non c’è nessun domani nella guerra e che la violenza delle armi distrugge la gioia della vita. Noi non abbiamo armi. Crediamo però nella forza mite e umile della preghiera. In questa giornata, la sete di pace si è fatta invocazione a Dio, perché cessino guerre, terrorismo e violenze. La pace che da Assisi invochiamo non è una semplice protesta contro la guerra, nemmeno «è il risultato di negoziati, di compromessi politici o di mercanteggiamenti economici. Ma il risultato della preghiera» (Giovanni Paolo II, Discorso, Basilica di Santa Maria degli Angeli, 27 ottobre 1986: InsegnamentiIX,2 [1986], 1252). Cerchiamo in Dio, sorgente della comunione, l’acqua limpida della pace, di cui l’umanità è assetata: essa non può scaturire dai deserti dell’orgoglio e degli interessi di parte, dalle terre aride del guadagno a ogni costo e del commercio delle armi. Diverse sono le nostre tradizioni


vera natura della religione. È invece il suo travisamento e contribuisce alla sua distruzione» (Benedetto XVI, Intervento alla Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo, Assisi, 27 ottobre 2011: Insegnamenti VII, 2 [2011], 512). Non ci stanchiamo di ripetere che mai il nome di Dio può giustificare la violenza. Solo la pace è santa. Solo la pace è santa, non la guerra! Oggi abbiamo implorato il santo dono della pace. Abbiamo pregato perché le coscienze si mobilitino a difendere la sacralità della vita umana, a promuovere la pace tra i popoli e a custodire il creato, nostra casa comune. La preghiera e la collaborazione concreta aiutano a non rimanere imprigionati nelle logiche del conflitto e a rifiutare gli atteggiamenti ribelli di chi sa soltanto protestare e arrabbiarsi. La preghiera e la volontà di collaborare impegnano a una pace vera, non illusoria: non la quiete di chi schiva le difficoltà e si volta dall’altra parte, se i suoi interessi non sono toccati; non il cinismo di chi si lava le mani di problemi non suoi; non l’approccio vir13

tuale di chi giudica tutto e tutti sulla tastiera di un computer, senza aprire gli occhi alle necessità dei fratelli e sporcarsi le mani per chi ha bisogno. La nostra strada è quella di immergerci nelle situazioni e dare il primo posto a chi soffre; di assumere i conflitti e sanarli dal di dentro; di percorrere con coerenza vie di bene, respingendo le scorciatoie del male; di intraprendere pazientemente, con l’aiuto di Dio e con la buona volontà, processi di pace. Pace, un filo di speranza che collega la terra al cielo, una parola tanto semplice e difficile al tempo stesso. Pace vuol dire Perdono che, frutto della conversione e della preghiera, nasce dal di dentro e, in nome di Dio, rende possibile sanare le ferite del passato. Pace significa Accoglienza, disponibilità al dialogo, superamento delle chiusure, che non sono strategie di sicurezza, ma ponti sul vuoto. Pace vuol dire Collaborazione, scambio vivo e concreto con l’altro, che costituisce un dono e non un problema, un fratello con cui provare a costruire un mondo migliore. Pace significa Educa-

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religiose. Ma la differenza non è motivo di conflitto, di polemica o di freddo distacco. Oggi non abbiamo pregato gli uni contro gli altri, come talvolta è purtroppo accaduto nella storia. Senza sincretismi e senza relativismi, abbiamo invece pregato gli uni accanto agli altri, gli uni per gli altri. San Giovanni Paolo II in questo stesso luogo disse: «Forse mai come ora nella storia dell’umanità è divenuto a tutti evidente il legame intrinseco tra un atteggiamento autenticamente religioso e il grande bene della pace» (Id., Discorso, Piazza inferiore della Basilica di San Francesco, 27 ottobre 1986: l.c., 1268). Continuando il cammino iniziato trent’anni fa ad Assisi, dove è viva la memoria di quell’uomo di Dio e di pace che fu San Francesco, «ancora una volta noi, insieme qui riuniti, affermiamo che chi utilizza la religione per fomentare la violenza ne contraddice l’ispirazione più autentica e profonda» (Id., Discorso ai Rappresentanti delle Religioni,Assisi, 24 gennaio 2002: Insegnamenti XXV,1 [2002], 104), che ogni forma di violenza non rappresenta «la


zione: una chiamata ad imparare ogni giorno la difficile arte della comunione, ad acquisire la cultura dell’incontro, purificando la coscienza da ogni tentazione di violenza e di irrigidimento, contrarie al nome di Dio e alla dignità dell’uomo. Noi qui, insieme e in pace, crediamo e speriamo in un mondo fraterno. Desideriamo che uomini e donne di religioni differenti, ovunque si riuniscano e creino concordia, specie dove ci sono conflitti. Il nostro futuro è vivere insieme. Per questo siamo chiamati a liberarci dai pesanti fardelli della diffidenza, dei fondamentalismi e dell’odio. I credenti siano artigiani di pacenell’invocazione a Dio e nell’azione per l’uomo! E noi, come Capi religiosi, siamo tenuti a essere solidi ponti di dialogo, mediatori creativi di pace. Ci rivolgiamo anche a

chi ha la responsabilità più alta nel servizio dei Popoli, ai Leader delle Nazioni, perché non si stanchino di cercare e promuovere vie di pace, guardando al di là degli interessi di parte e del momento: non rimangano inascoltati l’appello di Dio alle coscienze, il grido di pace dei poveri e le buone attese delle giovani generazioni. Qui, trent’anni fa San Giovanni Paolo II disse: «La pace è un cantiere aperto a tutti, non solo agli specialisti, ai sapienti e agli strateghi. La pace è una responsabilità universale» (Discorso, Piazza inferiore della Basilica di San Francesco, 27 ottobre 1986: l.c., 1269). Sorelle e fratelli, assumiamo questa responsabilità, riaffermiamo oggi il nostro sì ad essere, insieme, costruttori della pace che Dio vuole e di cui l’umanità è assetata.

Appello di Pace Terminato il discorso del Santo Padre, tutti i presenti in Piazza San Francesco ad Assisi osservavano un momento di silenzio in memoria delle vittime della guerre e del terrorismo, quindi si dava data lettura dell’Appello per la Pace 2016, che i Capi religiosi consegnavano ai bambini, i quali lo portavano ai Rappresentanti delle Nazioni. Accesi i candelabri, i Rappresentanti delle Religioni firmavano l’Appello e si scambiavano un segno di pace. Conclusa la cerimonia, il Papa ripartiva in elicottero dal campo sportivo “Migaghelli” di Santa Maria degli Angeli per far ritorno in Vaticano. omini e donne di religioni diverse, siamo conU venuti, come pellegrini, nella città di San Francesco. Qui, nel 1986, trent’anni fa, su invito di Papa Giovanni Paolo II, si riunirono Rappresentanti religiosi da tutto il mondo, per la prima volta in modo tanto partecipato e solenne, per affermare l’inscindibile legame tra il grande bene della pace e un autentico atteggiamento religioso. Da quell’evento storico, si è avviato un lungo pellegrinaggio che, toccando molte città del mondo, ha coinvolto tanti credenti nel dialogo e nella preghiera per la pace; ha unito senza confondere, dando vita a solide amicizie interreligiose e contribuendo a spegnere non pochi conflitti. Questo è lo spirito che ci anima: realizzare l’incontro nel dialogo, opporsi a ogni forma di violenza e abuso della religione per giustificare la guerra e il terrorismo. Eppure, negli anni trascorsi, ancora tanti popoli sono stati dolorosamente feriti dalla guerra. Non si è sempre compreso che la guerra peggiora il mondo, lasciando un’eredità di dolori e di odi. Tutti, con la guerra, sono perdenti, anche i vincitori. Abbiamo rivolto la nostra preghiera a Dio, perché

doni la pace al mondo. Riconosciamo la necessità di pregare costantemente per la pace, perché la preghiera protegge il mondo e lo illumina. La pace è il nome di Dio. Chi invoca il nome di Dio per giustificare il terrorismo, la violenza e la guerra, non cammina nella Sua strada: la guerra in nome della religione diventa una guerra alla religione stessa. Con ferma convinzione, ribadiamo dunque che la violenza e il terrorismo si oppongono al vero spirito religioso. Ci siamo posti in ascolto della voce dei poveri, dei bambini, delle giovani generazioni, delle donne e di tanti fratelli e sorelle che soffrono per la guerra; con loro diciamo con forza: No alla guerra! Non resti inascoltato il grido di dolore di tanti innocenti. Imploriamo i Responsabili delle Nazioni perché siano disinnescati i moventi delle guerre: l’avidità di potere e denaro, la cupidigia di chi commercia armi, gli interessi di parte, le vendette per il passato. Aumenti l’impegno concreto per rimuovere le cause soggiacenti ai conflitti: le situazioni di povertà, ingiustizia e disuguaglianza, lo sfruttamento e il disprezzo della vita umana. Si apra finalmente un nuovo tempo, in cui il mondo globalizzato diventi una famiglia di popoli. Si attui la responsabilità di costruire una pace vera, che sia attenta ai bisogni autentici delle persone e dei popoli, che prevenga i conflitti con la collaborazione, che vinca gli odi e superi le barriere con l’incontro e il dialogo. Nulla è perso, praticando effettivamente il dialogo. Niente è impossibile se ci rivolgiamo a Dio nella preghiera. Tutti possono essere artigiani di pace; da Assisi rinnoviamo con convinzione il nostro impegno ad esserlo, con l’aiuto di Dio, insieme a tutti gli uomini e donne di buona volontà. 14


ANDREA RICCARDI FONDATORE DELLA COMUNITÀ DI SANT’EGIDIO

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i sono momenti belli, come stasera: si vede la pace nel cuore di tante religioni e persone. E’ consolante per chi ha sete di pace: popoli in guerra, in fuga dalla violenza o dal terrorismo, prigionieri, torturati, madri che vedono soffrire i figli, poveri e impoveriti dalla guerra. Le religioni sono davvero fontane di speranza per chi ha sete di pace. Grazie, allora, a tutti voi, agli amici di Assisi, a Papa Francesco che cammina con i cercatori di pace. Che i leader religiosi si mostrino assieme, invocando la pace, è un’immagine luminosa. Smaschera chi usa il nome di Dio per far la guerra e terrorizzare. Così fu trent’anni fa, nel 1986, quando Giovanni Paolo II ebbe il coraggio di un invito a chi, per millenni, era considerato estraneo. Tanti risposero. Non doveva essere un fatto isolato, come volevano alcuni prudenti: una santa stravaganza del papa. Un evento possibile solo in un’Assisi bella e cara come un presepe? Oppure solo in aule universitarie o sale-convegno? Non era così. L’evento è diventato storia: di città, periferie, popoli, anno dopo anno, sporcandosi di fango e dolore, ma anche caricandosi di attese e speranze. Sono trent’anni che camminiamo in questo spirito per il mondo. Abbiamo capito che ogni comunità religiosa, che prega, può liberare energie di pace. Dal 1986, le acque della pace sono debordate dalle fontane delle religioni, mischian-

dosi tra di loro per spegnere i conflitti. E’ lo spirito di Assisi. Quante storie! Ricordo il vescovo siriaco, Mar Gregorios. Qui nel 1986 e poi sempre con noi: credeva nel vivere insieme. Vescovo di Aleppo, città di convivenza interreligiosa, patrimonio dell’umanità dal 1986. Nell’aprile 2013, uscì da Aleppo con il vescovo Yazigi per una missione umanitaria. Non sono più tornati. Aleppo bombardata è ora un cumulo di macerie con scheletri di palazzi, dove abita la gente. Quanta sete di pace in Siria! Lì hanno fatto cinicamente la guerra, concentrando armi di ogni tipo: hanno ucciso la convivenza. Perché la guerra è follia di gente avida di potere e denaro. Quando si conosce il dolore della guerra, appare però un ideale per cui vivere: la pace. Molti lamentano oggi la perdita d’ideali e valori: ma c’è la pace! Non è riservata a politici, specialisti, militari: tutti possono essere artigiani di pace con la forza debole della preghiera

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e del dialogo. Così si sconfiggono i signori della guerra e gli strateghi. Dalle religioni, senza confusione ma senza separazione, può sgorgare un popolo di artigiani di pace. Era il sogno dell’86. Le religioni sono chiamate a maggiore audacia: fuori dagli schemi ereditati dal passato, dalle timidità e dalla rassegnazione. Tutti dobbiamo essere più audaci, perché il mondo ha sete di pace. Bisogna eliminare per sempre la guerra che è la madre di ogni povertà. Come è stato fatto con la schiavitù. L’audacia della pace è preghiera e dialogo. Il dialogo –diceva l’umile teologo ortodosso, Olivier Clément- “è la chiave della sopravvivenza del pianeta, in un mondo in cui si è dimenticato come la guerra non sia mai la soluzione chirurgicamente pulita che permette di espellere il male dal mondo. Il dialogo è il cuore della pace …”. Il dialogo svela che la guerra e le incomprensioni non sono invincibili. Niente è perduto con il dialogo. Tutto è possibile con la pace!

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Le religioni fontane di speranza per chi ha sete di pace


Assisi: le testimonianze dei cardinali Kasper e Montenegro In un mondo sfigurato dalla violenza, dalle guerre e il terrorismo, il dialogo è l’unica strada possibile che ha l’umanità. Ne è convinto il cardinale Walter Kasper, presidente emerito del dicastero per l’Unità dei Cristiani, intervistato da Massimiliano Menichetti: Il dialogo è l’unica risposta alla violenza che sperimentiamo oggi nel nostro mondo. Il dialogo può unire e guidare alla pace. Che cosa nasce da questa giornata di Assisi? Due cose: in primo luogo l’amicizia; l’amicizia è il collante di ogni società e senza amicizia non possiamo avere nulla. In secondo luogo, anche il valore della preghiera, perché la preghiera cambia il nostro cuore, e Dio può anche entrare nel cuore dell’altro e cambiarlo. E così la preghiera è fondamentale per la pace nel mondo. Nel mondo c’è il terrorismo: come si esce da questa spirale di violenza? Attraverso il dialogo e la preghiera. E si deve convincere gli altri che la violenza non è una soluzione ai problemi, ma questi possono essere risolti soltanto tramite il dialogo, la giustizia e la misericordia. Di speranza per il futuro dopo questo incontro di pace parla a Massimiliano Menichetti, il presidente della Caritas italiana, il cardinale Francesco Montenegro, Arcivescovo di Agrigento: Se la pace è una costruzione che il Signore vuole realizzare in questo mondo, dandoci poi tutto il materiale per poterla realizzare, credo che questi giorni siano un momento in cui dei mattoni in più sono messi per la costruzione di questa casa: una casa che deve accogliere tutti. “I rifugiati ci interpellano”: è il titolo della Tavola Rotonda da lei presieduta … Il titolo un po’ mi ha messo in difficoltà … Perché quali rifugiati ci interpellano? Quelli che sono riusciti a superare il mare e a venire nella nostra terra o ci interpellano quelli che sono rimasti per strada, quelli che sono morti? E quelli, oltre ad interpellarci, ci graziano; e noi non possiamo accettare le morti di altri uomini con quasi indifferenza o con un “poveretti” soltanto. È una storia che si mette di fronte alla nostra storia. E la lezione che ci danno i morti è che dobbiamo evitare che altri muoiano come loro. E allora siamo interpellati ad aiutare gli altri a vivere e questo diventa l’impegno di tutti. Che cos’è il dialogo? Il dialogo è la parola dell'altro che entra dentro di me e si deposita nel cuore. il dialogo è incontro di cuori: dove io metto in gioco il mio cuore, l’altro che mi parla con il suo e insieme tentiamo di trovare una soluzione. Questo incontro si fonda sulla preghiera: la preghiera è concreta? Le due “p” si confondono e si uniscono. Scrivo la “p” di preghiera e la “p” di pace e il risultato sarà lo stesso: tutti e due ci teniamo per mano.

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Il messaggio di Papa Francesco dalla città del santo della fraternità universale GIANFRANCO GRIECO

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entre i grandi della terra erano all’Onu di New York, Papa Francesco insieme con oltre 150 leader religiosi del mondo erano ad Assisi, la città di san Francesco per parlare di pace. “Non andiamo ad Assisi per dare uno spettacolo” –aveva avvertito in mattinata a santa Marta prima di prendere l’elicottero che lo portava verso la città del Subasio. “Siamo venuti ad Assisi – avvertiva subito- come pellegrini in cerca di pace. Portiamo in noi e mettiamo davanti a Dio le attese e le angosce di tanti popoli e persone. Abbiamo sete di pace, abbiamo il desiderio di testimoniare la pace, abbiamo soprattutto bisogno di pregare per la pace, perché la pace è dono di Dio e a noi spetta invocarla, accoglierla

e costruirla ogni giorno con il suo aiuto”. Parole forti, parole profetiche, parole vere, concrete, reali. Abbiamo letto anche quanto Obana ed altri hanno detto da quel leggio di marmo della sede della città della mela. Parole, solo parole … Si ritrovano per parlare, i grandi della terra, e dopo , sono più divisi di prima. Vedi il dramma della Siria. Prima i giorni del “Cessate il fuoco” della tregua, e poi si ricomincia a combattere. E tutto sembra solo finto! «Beati gli operatori di pace» (Mt 5,9)- gridava Papa Francesco - . “Molti di voi – sottolineava - hanno percorso un lungo cammino per raggiungere questo luogo benedetto. Uscire, mettersi in cammino, trovarsi insieme, adoperarsi per la pace: non sono solo movimenti fisici, ma soprattutto dell’animo, sono risposte spirituali concrete per superare le chiusure aprendosi a Dio e ai

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L’ONU DI ASSISI


fratelli. Dio ce lo chiede, esortandoci ad affrontare la grande malattia del nostro tempo: l’indifferenza. E’ un virus che paralizza, rende inerti e insensibili, un morbo che intacca il centro stesso della religiosità, ingenerando un nuovo tristissimo paganesimo: il paganesimo dell’indifferenza”. E, con il cuore carico di dolore, esclamava:”Non possiamo restare indifferenti. Oggi il mondo ha un’ardente sete di pace. In molti Paesi si soffre per guerre, spesso dimenticate, ma sempre causa di sofferenza e povertà. A Lesbo, con il caro Patriarca ecumenico Bartolomeo, abbiamo visto negli occhi dei rifugiati il dolore della guerra, l’angoscia di popoli assetati di pace. Penso a famiglie, la cui vita è stata sconvolta; ai bambini, che non hanno conosciuto nella vita altro che violenza; ad anziani, costretti a lasciare le loro terre: tutti loro hanno

una grande sete di pace. Non vogliamo che queste tragedie cadano nell’oblio. Noi desideriamo dar voce insieme a quanti soffrono, a quanti sono senza voce e senza ascolto. Essi sanno bene, spesso meglio dei potenti, che non c’è nessun domani nella guerra e che la violenza delle armi distrugge la gioia della vita”. “Noi non abbiamo armi – esclamava- Crediamo però nella forza mite e umile della preghiera. In questa giornata, la sete di pace si è fatta invocazione a Dio, perché cessino guerre, terrorismo e violenze. La pace che da Assisi invochiamo non è una semplice protesta contro la guerra, nemmeno «è il risultato di negoziati, di compromessi politici o di mercanteggiamenti economici. Ma il risultato della preghiera» (Giovanni Paolo II, Discorso, Basilica di Santa Maria degli Angeli, 27 ottobre 1986: InsegnamentiIX,2 [1986], 1252). Cerchiamo in 18


abbiamo pregato gli uni contro gli altri, come talvolta è purtroppo accaduto nella storia. Senza sincretismi e senza relativismi, abbiamo invece pregato gli uni accanto agli altri, gli uni per gli altri. San Giovanni Paolo II in questo stesso luogo disse: «Forse mai come ora nella storia dell’umanità è divenuto a tutti evidente il legame intrinseco tra un atteggiamento autenticamente religioso e il grande bene della pace» (Id., Discorso, Piazza inferiore della Basilica di San Francesco, 27 ottobre 1986: l.c., 1268). Continuando il cammino iniziato trent’anni fa ad Assisi, dove è viva la memoria di quell’uomo di Dio e di pace che fu San Francesco, «ancora una volta noi, insieme qui riuniti, affermiamo che chi utilizza la religione per fomentare la violenza ne contraddice l’ispirazione più autentica e profonda» (Id., Discorso ai Rappresentanti delle Religioni,Assisi, 24

Dio, sorgente della comunione, l’acqua limpida della pace, di cui l’umanità è assetata: essa non può scaturire dai deserti dell’orgoglio e degli interessi di parte, dalle terre aride del guadagno a ogni costo e del commercio delle armi”. Parole forti, parole dure, parole sincere che dovrebbero scuotere le intelligenze, le volontà, il cuore e l’anima dei potenti. Ma, quella di Papa Francesco, tolo l’entusiasmo e l’applauso del primo impatto, resta, purtroppo voce nel deserto del mondo! Da Assisi, Papa Francesco guardava il mondo con le sue piaghe infette dalla guerra. Sentiva i nomi dei Paesi in conflitto. Erano tanti. Erano molti!. Ma guardava anche ad intra quando diceva:”Diverse sono le nostre tradizioni religiose. Ma la differenza non è motivo di conflitto, di polemica o di freddo distacco. Oggi non

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gennaio 2002: Insegnamenti XXV,1 [2002], 104), che ogni forma di violenza non rappresenta «la vera natura della religione. È invece il suo travisamento e contribuisce alla sua distruzione» (Benedetto XVI, Intervento alla Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo, Assisi, 27 ottobre 2011: Insegnamenti VII, 2 [2011], 512). Non ci stanchiamo di ripetere che mai il nome di Dio può giustificare la violenza. Solo la pace è santa. Solo la pace è santa, non la guerra!” Per Papa Francesco “ Pace vuol dire Perdono che, frutto della conversione e della preghiera, nasce dal di dentro e, in nome di Dio, rende possibile sanare le ferite del passato. Pace significa Accoglienza, disponibilità al dialogo, superamento delle chiusure, che non sono strategie di sicurezza, ma ponti sul vuoto. Pace vuol dire Collaborazione, scambio vivo e concreto con l’altro, che costituisce un dono e non un problema, un fratello con cui provare a costruire un mondo migliore. Pace significa Educazione: una chiamata ad imparare ogni giorno la difficile arte della comunione, ad acquisire la cultura dell’incontro, purificando la coscienza da ogni tentazione di violenza e di irrigidimento, contrarie al nome di Dio e alla dignità dell’uomo”. E concludeva:” Noi qui, insieme e in pace, crediamo e speriamo in un mondo fraterno. Desideriamo che uomini e donne di religioni differenti, ovunque si riuniscano e creino concordia, specie dove ci sono conflitti. Il nostro futuro è vivere insieme. Per questo siamo chiamati a liberarci dai pesanti fardelli della diffidenza, dei fondamentalismi e dell’odio. I credenti siano artigiani di pacenell’invocazione a Dio e nell’azione per l’uomo! E noi, come Capi religiosi, siamo tenuti a essere solidi ponti di dialogo, mediatori creativi di pace. Ci ri-

volgiamo anche a chi ha la responsabilità più alta nel servizio dei Popoli, ai Leader delle Nazioni, perché non si stanchino di cercare e promuovere vie di pace, guardando al di là degli interessi di parte e del momento: non rimangano inascoltati l’appello di Dio alle coscienze, il grido di pace dei poveri e le buone attese delle giovani generazioni … Assumiamo questa responsabilità, riaffermiamo oggi il nostro sì ad essere, insieme, costruttori della pace che Dio vuole e di cui l’umanità è assetata”. Infine, l’appello di pace:” realizzare l’incontro nel dialogo; opporsi a ogni forma di violenza e abuso della religione per giustificare la guerra e il terrorismo; ancora tanti sono i popoli dolorosamente feriti dalla guerra; …. la guerra peggiora il mondo, lasciando un’eredità di dolori e di odi. Tutti, con la guerra, sono perdenti, anche i vincitori … La pace è il nome di Dio. Chi invoca il nome di Dio per giustificare il terrorismo, la violenza e la guerra, non cammina nella sua strada: la guerra in nome della religione diventa una guerra alla religione stessa. Con ferma convinzione, ribadiamo che la violenza e il terrorismo si oppongono al vero spirito religioso … Si apra finalmente un nuovo tempo, in cui il mondo globalizzato diventi una famiglia di popoli. Si attui la responsabilità di costruire una pace vera, che sia attenta ai bisogni autentici delle persone e dei popoli, che prevenga i conflitti con la collaborazione, che vinca gli odi e superi le barriere con l’incontro e il dialogo. Nulla è perso, praticando effettivamente il dialogo. Niente è impossibile se ci rivolgiamo a Dio nella preghiera. Tutti possono essere artigiani di pace; da Assisi rinnoviamo con convinzione il nostro impegno ad esserlo, con l’aiuto di Dio, insieme a tutti gli uomini e le donne di buona volontà”.


Una per ogni paese segnato da conflitti qui noi diciamo al mondo che è possibile diventare amici e vivere insieme in pace anche se siamo differenti”.

I rappresentanti delle confessioni cristiane si univano con il Papa nella preghiera per la pace. Un incontro suggellato da un momento toccante, accompagnato dal canto e dalla preghiera. Veniva accesa una candela per ciascun Paese che vive una situazione di guerra: dalla Siria al Gabon fino al Centro America. In tutto 27 candele per illuminare di speranza un mondo oscurato dalla guerra.

Il Venerabile Morikawa Tendaizasu, 257° patriarca giapponese del buddismo Tendai, ha invocato un mondo senza odio e disprezzo. “La storia - ha spiegato - ci ha mostrato che la pace conseguita con la forza sarà rovesciata con la forza” e I leader religiosi: lo spirito di Assisi è la risposta a che “l’odio non è cancellato dall’odio; l’odio può essere cancellato soltanto abbandonando l’odio”. tutte le guerre Nella celebrazione conclusiva dell’incontro risuonavano con forza le preghiere dei vari leader re- Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, ha affermato che “con la forza debole ligiosi e di una vittima della guerra. Tamar Mikalli, cristiana di Aleppo, giunta in Ita- della preghiera e del dialogo” si può sconfiggere lia con tutti i familiari grazie a degli "angeli", ai la guerra, “follia di gente avida di potere e de“Corridoi umanitari” di Sant’Egidio: ricorda com- naro”. “Dalle religioni, senza confusione ma senza mossa quando regnava la convivenza religiosa nel separazione - ha aggiunto - può sgorgare un posuo Paese prima di una guerra che ancora non ha polo di artigiani di pace”. Quindi l’appello: “Bisocapito perché sia scoppiata. La preghiera - afferma gna eliminare per sempre la guerra che è la madre - era l'unico sostegno che avevano sotto le bombe. di ogni povertà. Come è stato fatto con la schiaRipetevano sempre le parole di Gesù: "Venite a vitù”. me voi tutti che siete affaticati e oppressi". Poi Chiede di pregare per la Siria e per tutti i Paesi Prima di questi interventi avevano rivolto il loro martoriati dai conflitti. saluto il vescovo d’Assisi, mons. Domenico Sorrentino, e padre Mauro Gambetti, custode Generale Il Patriarca ecumenico di Costantinopoli Barto- del Sacro Convento di Assisi. lomeo ha invitato a “gesti coraggiosi” per aprire nuove vie al dialogo e alla collaborazione tra cul- Mons. Domenico Sorrentino ha parlato della proture e religioni. “Non ci può essere pace senza ri- fezia dello “spirito di Assisi”: “uno spirito di prespetto e riconoscimento reciproco - ha detto - ghiera, di concordia e di pace, che vuole essere non ci può essere pace senza giustizia, non ci può una risposta ad un mondo intristito da tante essere pace senza una collaborazione proficua tra guerre che talvolta, impropriamente, anzi in tutti i popoli del mondo”. Quindi, ha lanciato un modo blasfemo e satanico, agitano vessilli reliappello alla difesa della vita, alla solidarietà con i giosi. In questa Assisi in cui il giovane Francesco poveri e alla salvaguardia del creato. prese le distanze dallo spirito del mondo per essere tutto di Cristo e dei fratelli, divenendo uomo Il presidente del Consiglio degli Ulema indone- di pace, la nostra riflessione e la nostra preghiera siani, Syamsuddin, ha detto che l'islam è una re- hanno gridato ancora una volta un no alla cultura ligione di pace e ha parlato dei frutti concreti nati della guerra e un sì alla cultura della pace”. dagli incontri di Assisi: la collaborazione tra musulmani e Comunità di Sant’Egidio da cui è sca- Padre Mauro Gambetti ha parlato della profezia turito, per esempio, il processo di pace nella dell’umiltà di San Francesco di Assisi che nel 1219 regione filippina di Mindanao, a maggioranza a Damietta incontrò il sultano Malik al-Kamil: islamica. “L’umiltà consente di trasmettere e di percepire l’Infinito, l’Assoluto, l’Eterno, dinanzi al quale Il Rabbino israeliano David Brodman, sopravvis- tutti siamo nulla, un soffio, di pari dignità. Gli suto ai campi di concentramento nazisti, ha affer- umili si rispettano, si apprezzano, si valorizzano mato che “lo spirito di Assisi” è la risposta alla vicendevolmente”. E' dall'umiltà, dunque, che tragedia della Shoah e di tutte le guerre, “perché può nascere la vera pace. 21

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27 candele accese


Mons. Sorrentino: Costruiamo pace sulle orme di san Francesco Non dobbiamo assuefarci al “paganesimo dell’indifferenza”, L’arcivescovo di Assisi, mons. Domenico Sorrentino, rimarca uno dei punti centrali del discorso di Papa Francesco durante la Giornata di preghiera interreligiosa per la pace. Sono stati tre giorni in cui si sono accavallati tanti discorsi, ma sono stati tutti discorsi molto profondi. C’è stata tanta preghiera e alla fine la presenza di Papa Francesco ha dato veramente il sigillo a una iniziativa che da 30 anni costituisce veramente un filo di luce. E ce n’era bisogno in un momento in cui il mondo sembra così attanagliato da tanti motivi di conflittualità, tensione, guerra, terrorismo … C’era bisogno di dare una simile testimonianza così corale, bella e ad alto livello.

Stefania Proietti sindaco di Assisi

Il bilancio è assolutamente positivo! Assisi si è innalzata: credo sia stata questa la sensazione di tutti quelli che erano nelle piazze, che erano sopra a quel palco. Si è innalzata con questa preghiera potentissima per la pace, in tutti i posti che abbiamo sentito nel mondo, con la presenza di tutti questi leader religiosi e la presenza autorevolissima, riconosciuta da tutti, del Santo Padre. Credo che anche il cielo e il creato abbiano voluto sottolineare questo aspetto di luminosità, di sole. Adesso, noi amministratori di questa città ci sentiamo sulle spalle veramente la responsabilità grande – ma è un giogo leggero però – di tenere Assisi a questo livello, per farla diventare un richiamo per il mondo per la pace. Quella pace che non è solo portare pace e messaggi nei Paesi in guerra, ma pace che nasce dai cuori e dai gesti di ciascuno di noi.

Il Papa ha parlato di “paganesimo dell’indifferenza” come di una “piaga attuale”… Ha perfettamente ragione, perché, di fronte alle tante sofferenze e anche alle tante guerre, rischiamo tutti di assuefarci. Bisogna assolutamente convertirci dall’indifferenza: essere cristiani significa essere coinvolti. Come Dio lo è con noi, come Padre misericordioso, noi dobbiamo esserlo vicendevolmente con i nostri fratelli, e specialmente con quelli che soffrono. Il monito: “Non si strumentalizzi la religione per la violenza” e l’impegno a tutti affinché si lavori per la costruzione della pace … Credo sia la voce più forte che è risuonata in questa tre giorni e in modo particolare nell’ultimo giorno. Non è possibile pensare la violenza in nome di Dio: Dio è pace, Dio è amore, e non è possibile che qualcuno lo strumentalizzi per la guerra.

Concretamente come si fa? Lo ha detto il Papa: vincendo l’indifferenza! E’ il primo passo. Non cambiare canale quando vediamo bambini che muoiono, persone che rischiano la loro vita e quella dei loro figli per fuggire dalla miseria nera: a questo non si può rimanere indifferenti. Questo è il primo passo: questo schiaffo che dobbiamo dare a quella globalizzazione dell’indifferenza che un certo mondo ci vuole imporre. Da lì, poi, i passi vengono spontanei. Rinnovare la sobrietà dei percorsi di vita che vanno verso gli altri, verso la cura del Creato, verso la pace: lo hanno detto tutti i leader religiosi. Questo, però, è il primo passo concreto: vincere l’indifferenza e cominciare a camminare.

Per lei che cosa esce da questa città che fa parte della sua diocesi? Questa giornata, dopo 30 anni, ci dà uno slancio in più e ci rende ancora più responsabili. Ci siamo resi conto di quanto la voce di Assisi – il suo messaggio spirituale – sia significativo nel mondo e bisogna che noi ne siamo responsabili, perché non serve soltanto che sia la città di San Francesco, ma bisogna che sia anche la città di cristiani che vivono sulle sue orme. 22


d’accordo, perché cominciano a essere le prime e più numerose vittime del terrorismo.

Un bilancio fortemente positivo quello di questo Incontro di tre giorni ad Assisi per la pace. Così il presidente della Comunità di Sant’Egidio, Marco Impagliazzo. Un bilancio fortemente positivo. Dopo 30 anni, questo movimento dello Spirito di Assisi ha camminato, è cresciuto, ha toccato tante città del mondo e ha anche provocato pace. Penso a tante cose che sono avvenute in Africa, ma anche in Asia e, soprattutto, all’inizio, il crollo del Muro di Berlino. Un bilancio, dunque, destinato, per fortuna, a crescere positivamente, soprattutto con la spinta che il Papa oggi ci ha dato, chiedendo a tutti noi di essere artigiani di pace.

È sembrato quasi un ponte straordinario quello tra 30 anni fa, oggi e il futuro, quando anche Papa Francesco ha ribadito l’impegno che deve nascere da ognuno, anche nelle piccole cose per poter cambiare poi la globalità. Anche Bartolomeo I ha ripreso questo spunto forte… Sì, perché noi lavoriamo in realtà nella quotidianità e molti esponenti religiosi, le comunità, i movimenti lavorano ogni giorno nelle periferie della città, negli snodi dove avviene oggi la convivenza. Penso in particolare alle città europee tra popolazioni che si incrociano, che si mischiano. E questa novità della globalizzazione ha creato la necessità ancora più forte oggi di lavorare ogni giorno per la pace laddove viviamo.

Tutti i leader religiosi del mondo, anche il Papa, hanno ribadito: “Non si può giustificare la violenza con la religione, questa è una deformazione della religione”… Questo ormai è un dato fortemente acquisito, che qui ad Assisi ha avuto una sottolineatura particolare. Ogni guerra di religione è una guerra alla religione. Alcune frasi chiave: “Solo la pace è santa” – ha detto il Papa – “non c’è guerra santa”. Allora noi dobbiamo partire da questo, da questa consapevolezza che ormai sta abbracciando, ha abbracciato tutte le religioni. I nostri amici musulmani su questo sono pienamente

Questo testimone dove arriva, cosa porta? E’ veramente una grande gioia avere tra le mani questo testimone. Il prossimo incontro – è stato annunciato – sarà nelle città tedesche di Münster e di Osnabrück, nella Westfalia, simbolo della regione e della prima grande pace dell’età moderna in Europa. Porta in tutto il mondo, perché qui si parla di spirito e lo spirito soffia dove vuole. E noi oggi affidiamo questo spirito a tutti i leader religiosi ovunque essi vadano.

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assisi 2016 - 30 anni dopo

Sant’Egidio: bilancio positivo destinato a crescere


Padre Enzo Fortunato: da Assisi la risposta ai fondamentalismi Il Sacro Convento di Assisi dei Frati Minori Conventuali è stato il fulcro della Giornata di preghiera per la pace a 30 anni da quella convocata nello stesso luogo da Giovanni Paolo II. Il responsabile della sala stampa del convento, padre Enzo Fortunato, mette in risalto l’importanza delle ore trascorse in preghiera da Papa Francesco e dai leader religiosi nella città francescana: Io direi una giornata memorabile, che dovremmo “sfogliare” continuamente, per il dialogo interreligioso, per la costruzione della pace nella nostra società e nel mondo. Di fronte ad una guerra a pezzi, come l’ha definita Papa Francesco, da Assisi parte una “pace a pezzi”, lenta, faticosa, inesorabile e che raggiungerà il suo obiettivo. E poi i tre cammini che dovremmo percorrere: bisogna avere il coraggio di denunciare le situazioni di sopruso e di violenza e questa è stata la prima parte del discorso del Papa. Bisogna avere il coraggio di denunciare anche la strumentalizzazione della fede sulla violenza e il Papa ha citato il nome e il cognome di quelle situazioni in cui Dio viene utilizzato impropriamente. E alla fine, la frase che ha concluso il discorso la pace è una responsabilità universale, appartiene cioè a tutti ed è una realtà artigianale e ci impegna quotidianamente. Se questo è sul versante cristiano, sul versante islamico io credo che l’Indonesia, con il suo più alto rappresentante – più di

4 milioni e mezzo di islamici sono stati rappresentanti su questo palco, ed era un rappresentante ma poi c’erano 26 delegazioni – ha avuto il coraggio di dire che nell’islam c’è un problema ed è il problema delle giovani generazioni, che strumentalizzano la fede per la violenza. Detto qui ad Assisi credo che sia un grande monito per l’islam, ma anche una grande responsabilità. San Giovanni Paolo II disse anche questo: “L’impegno parte da tutti per la pace”. Qui si è aggiunto anche: “nella tutela del Creato”… E’ evidente, quando c’è la guerra si distrugge l’uomo e la casa comune, che è chiamata a custodire l’uomo e cioè la terra. Quindi, le cose vanno insieme e i leader religiosi lo hanno richiamato in maniera molto chiara. Anche Bartolomeo I, quando ha detto: “Noi dobbiamo riandare nelle case, dobbiamo far sì che nelle case non manchi né acqua e né pane”, ecco sono affermazioni forti che ci dicono che l’ambiente viene ferito profondamente dalla guerra. Cosa parte da Assisi, dunque? Da Assisi parte l’impegno concreto di ogni giorno per la pace. E direi che Assisi è la risposta ai fondamentalismi, è la risposta alla violenza. Assisi è pace. Il nome di Dio è pace. 24


LA CRONACA a avuto inizio lunedì 31 ottobre il 17° viaggio apostolico internazionale di Papa Francesco che si reca in Svezia in occasione della Commemorazione Comune Luterano-Cattolica della Riforma. L’aereo con a bordo il Santo Padre, partito verso le ore 8.30 da Roma - Fiumicino, è atterrato alle ore 10.45 all’aeroporto internazionale di Malmö. Papa Francesco è stato accolto dal Primo Ministro della Svezia, Sig. Stefan Löfven, e dalla Ministra della Cultura e della Democrazia, Sig.ra Alice Bah - Kuhnke. Erano inoltre presenti alcune autorità dello Stato e alcuni membri della Federazione Luterana Mondiale. Quindi ha avuto luogo la presentazione delle Delegazioni, l’esecuzione degli inni e gli onori militari. Al termine della cerimonia di accoglienza, il Santo Padre Francesco ha incontrato privatamente, in una sala dell’aeroporto internazionale di Malmö, il Primo Ministro della Svezia, Sig. Stefan Löfven. Quindi si è trasferito in auto alla Residenza Papale di Igelösa. Alle ore 13.35 il Santo Padre Francesco ha lasciato la Residenza di Igelösa e si è recato in auto al Palazzo Reale di Lund per la visita di cortesia ai Reali di Svezia. Al suo arrivo, alle 13.50, è stato accolto dal Re Carl XVI Gustav e dalla Regina Silvia. Quindi, dopo la presentazione delle rispettive Delegazioni, ha avuto luogo l’incontro privato. Al termine il Papa ha raggiunto a piedi la Cattedrale Luterana di Lund assieme ai Reali di Svezia. Alle ore 14.30 ha avuto luogo la Preghiera Ecumenica Comune nella Cattedrale Luterana di Lund. Al suo arrivo in Cattedrale, Papa Francesco è stato accolto dalla Primate della Chiesa di Svezia, l’Arcivescovo Antje Jackelén, e dal Vescovo cattolico di Stoccolma, S.E. Mons. Anders Arborelius, con i quali ha proceduto in processione verso l’altare centrale. Alla processione inoltre hanno preso parte alcuni rappresentanti della Lutheran World Federation (LWF). Nel corso della celebrazione, dopo i canti e le letture e dopo il sermone del Segretario Generale della LWF, Rev.do Martin Junge, il Santo Padre ha pronunciato l’omelia che riportiamo in alcuni significativi passaggi.

CAMMINIAMO INSIEME SULLA VIA DELLA RICONCILIAZIONE Abbiamo cominciato a camminare insieme sulla via della riconciliazione. Ora, nel contesto della commemorazione comune della Riforma del 1517, abbiamo una nuova opportunità di accogliere un percorso comune, che ha preso forma negli ultimi cinquant’anni nel dialogo ecumenico tra la Federazione Luterana Mondiale e la Chiesa Cattolica. Non possiamo rassegnarci alla divisione e alla distanza che la separazione ha prodotto tra noi. Abbiamo la possibilità di riparare ad un momento cruciale della nostra storia, superando controversie e malintesi che spesso ci hanno impedito di comprenderci gli uni gli altri. Gesù ci dice che il Padre è il padrone della vigna (cfr v. 1), che la cura e la pota perché dia più frutto (cfr v. 2). Il Padre si preoccupa costantemente del nostro rapporto con Gesù, per vedere se siamo veramente uniti a lui (cfr v. 4). Ci guarda, e il suo sguardo di amore ci incoraggia a purificare il nostro passato e a lavorare nel presente per realizzare quel futuro di unità a cui tanto anela. Anche noi dobbiamo guardare con amore e onestà al nostro passato e riconoscere l’errore e chiedere perdono: Dio solo è il giudice. Si deve riconoscere con la stessa onestà e amore che la nostra divisione si allontanava dalla intuizione originaria del popolo di Dio, che aspira naturalmente a rimanere unito, ed è stata storicamente perpetuata da uomini di potere di questo mondo più che per la volontà del popolo fedele, che sempre e in ogni luogo ha bisogno di essere guidato con sicurezza e tenerezza dal suo Buon Pastore. Tuttavia, c’era una sincera volontà da entrambe le parti di professare e difendere la vera fede, ma siamo anche consapevoli che ci siamo chiusi in noi stessi per paura o pregiudizio verso la fede che gli altri professano con un accento e un linguaggio diversi. Papa Giovanni Paolo II diceva: «Non dobbiamo lasciarci guidare dall’intento di ergerci a giudici della storia, ma unicamente da quello di comprendere meglio gli

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in terra di svezia

Francesco e Lutero 500 anni dopo


eventi e di diventare portatori di verità» (Messaggio al Cardinale Johannes Willebrands, Presidente del Segretariato per l’Unità dei Cristiani, 31 ottobre 1983). Dio è il padrone della vigna, e con amore immenso la nutre e la protegge; lasciamoci commuovere dallo sguardo di Dio; l’unica cosa che egli desidera è che rimaniamo uniti come tralci vivi a suo Figlio Gesù. Con questo nuovo sguardo al passato non pretendiamo di realizzare una inattuabile correzione di quanto è accaduto, ma «raccontare questa storia in modo diverso» (Commissione Luterana-Cattolica Romana per l’unità, Dal conflitto alla comunione, 17 giugno 2013, 16)…. Con gratitudine riconosciamo che la Riforma ha contribuito a dare maggiore centralità alla Sacra Scrittura nella vita della Chiesa. Attraverso l’ascolto comune della Parola di Dio nelle Scritture, il dialogo tra la Chiesa Cattolica e la Federazione Luterana Mondiale, di cui celebriamo il 50° anniversario, ha compiuto passi importanti. Chiediamo al Signore che la sua Parola ci mantenga uniti, perché essa è fonte di nutrimento e di vita; senza la sua ispirazione non possiamo fare nulla. L’esperienza spirituale di Martin Lutero ci interpella e ci ricorda che non possiamo fare nulla senza Dio. “Come posso avere un Dio misericordioso?”. Questa è la domanda che costantemente tormentava Lutero. In effetti, la questione del giusto rapporto con Dio è la questione decisiva della vita. Come è noto, Lutero ha scoperto que-

50 ANNI DI CAMMINO Purificare la memoria e restaurare l'unità dei cristiani. Erano questi gli obiettivi della commemorazione congiunta dei 500 anni dall'inizio della Riforma cui ha partecipato Papa Francesco. Sul tema, Fabio Colagrande, ha intervistato il pastore Heiner Bludau, decano della Chiesa evengelico luterana in Italia e mons. Franco Buzzi, prefetto della Biblioteca Ambrosiana e studioso della Riforma e il pastore Heiner Bludau. Le Chiese luterane hanno sempre celebrato i centenari della Riforma. E spesso queste celebrazioni sono state manifestazioni contro la Chiesa cattolica o addirittura manifestazioni nazionali. Invece, oggi, per la prima volta nella storia si è aperta la possibilità di celebrare

sto Dio misericordioso nella Buona Novella di Gesù Cristo incarnato, morto e risorto. Con il concetto di “solo per grazia divina”, ci viene ricordato che Dio ha sempre l’iniziativa e che precede qualsiasi risposta umana, nel momento stesso in cui cerca di suscitare tale risposta. La dottrina della giustificazione, quindi, esprime l’essenza dell’esistenza umana di fronte a Dio. Gesù intercede per noi come mediatore presso il Padre, e lo prega per l’unità dei suoi discepoli «perché il mondo creda» (Gv17,21). Questo è ciò che ci conforta e ci spinge a unirci a Gesù per chiederlo con insistenza: «Dacci il dono dell’unità perché il mondo creda nella potenza della tua misericordia». Questa è la testimonianza che il mondo sta aspettando da noi. Come cristiani saremo testimonianza credibile della misericordia nella misura in cui il perdono, il rinnovamento e la riconciliazione saranno un’esperienza quotidiana tra noi. Insieme possiamo annunciare e manifestare concretamente e con gioia la misericordia di Dio, difendendo e servendo la dignità di ogni persona. Senza questo servizio al mondo e nel mondo, la fede cristiana è incompleta. Luterani e cattolici preghiamo insieme in questa Cattedrale e siamo consapevoli che senza Dio non possiamo fare nulla; chiediamo il suo aiuto per essere membra vive unite a lui, sempre bisognosi della sua grazia per poter portare insieme la sua Parola al mondo, che ha bisogno della sua tenerezza e della sua misericordia.

questo evento in un’atmosfera di dialogo. La Federazione Luterana Mondiale ha lavorato tanto in questa direzione e adesso l’apertura delle celebrazioni alla presenza del Papa è un bellissimo segno che sottolinea questo impegno. Perché non solo ha un significato all’interno delle Chiese, ma anche al di fuori: lo stesso segretario generale della Federazione, Martin Junge, ha detto che ritiene la celebrazione congiunta a Lund un buon esempio per come superare i conflitti e che questo è importante in un mondo lacerato da guerre e conflitti, perché si racconta in questa occasione di un conflitto superato. Questa è una testimonianza comune per un futuro comune scaturito dal dialogo. Anche mons. Franco Buzzi sottolinea come questo anniversario

della Riforma sia il primo ad essere ricordato in epoca ecumenica … Questa è la grande novità e rappresenta un passo in avanti veramente formidabile, perché in realtà con questo si sottrae Lutero a una visione semplicemente di Chiesa legata alla nazione tedesca: con questo fatto si riconosce anche una grandezza e una universalità del modo di pensare di Lutero, che può essere condivisa, in parte, anche dalla Chiesa cattolica. Quindi commemorare insieme questo evento significa sottrarre al particolarismo l’evento della Riforma e prenderlo sul serio per quanto sia possibile; ed uscire da quella mentalità conflittuale, semplicemente contrappositiva per accogliere tutto ciò che di bello, di buono, di vero possiamo condividere insieme. Non cele-


centesimo anniversario della Riforma. Cinquant’anni di costante e fruttuoso dialogo ecumenico tra cattolici e luterani ci hanno aiutato a superare molte differenze e hanno approfondito la comNel corso della celebrazione della preghiera ecuprensione e la fiducia tra di noi. Al tempo stesso, menica comune, nella Cattedrale Luterana di Lund, il Santo Padre Francesco e il Vescovo Munib ci siamo riavvicinati gli uni agli altri tramite il comune servizio al prossimo, spesso in situazioni di Yunan, Presidente della LWF (Lutheran World sofferenza e di persecuzione. Attraverso il dialogo Federation) hanno firmato la Dichiarazione cone la testimonianza condivisa non siamo più estragiunta. imanete in me e io in voi. Come il tralcio nei. Anzi, abbiamo imparato che ciò che ci unisce non può portare frutto da sé stesso se non ri- è più grande di ciò che ci divide. mane nella vite, così neanche voi se non rimanete Dal conflitto alla comunione in me» (Gv 15,4). Mentre siamo profondamente grati per i doni spirituali e teologici ricevuti attraverso la RiCon cuore riconoscente Con questa Dichiarazione Congiunta, esprimiamo forma, confessiamo e deploriamo davanti a Cristo gioiosa gratitudine a Dio per questo momento di il fatto che luterani e cattolici hanno ferito preghiera comune nella Cattedrale di Lund, con l’unità visibile della Chiesa. Differenze teologicui iniziamo l’anno commemorativo del cinque- che sono state accompagnate da pregiudizi e con-

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briamo la divisione, ma celebriamo la volontà di un’unione, che significa il superamento di quella contrapposizione polemica che ha visto purtroppo i due schieramenti - addirittura per cinque secoli, e con tanto di teologia controversista – contrapporsi quasi alla cieca, perché alla fine, sulla base di tesi precostituite, quando il problema è quello di dire il contrario dell’altro, si va sempre alla ricerca di tutti gli argomenti, ma si arriva a una teologia un po’ costruita. Io credo che, anche al di là di alcune tesi rigide tanto nel campo della cosiddetta Controriforma quanto nel campo della cosiddetta ortodossia luterana stretta, ci si renda conto che ci sono ricchezze all’interno delle opere di Lutero che sono, appunto, spunti di fede e di dottrina profondamente

cristiana, che non possiamo in alcun modo trascurare. E quindi il fatto che il Papa si decida ad andare in Svezia per ricordare un evento doloroso, ma soprattutto per prospettare un futuro di gioia, di pace, di comunione, di unione in tutto ciò che è condivisibile, mi sembra un evento straordinario. Sui possibili frutti di questa commemorazione congiunta dell’anniversario della Riforma il pastore Bludau ha rilevato: Rende visibili i frutti del dialogo degli ultimi anni. Ce ne sono tanti! In Germania, per esempio, i vescovi cattolici e i vescovi luterani già da tanti anni si esprimono insieme ufficialmente su temi etici; e c’è una forte collaborazione tra parrocchie cattoliche e comunità luterane. Inoltre questa realtà della Germania

è una realtà poco conosciuta e quindi le celebrazioni di LundMalmö possono dare una ulteriore spinta per incentivare il dialogo anche nelle altre regione del mondo. Mons. Buzzi ha così commentato la presenza di Papa Francesco in Svezia per le commemorazioni del 500.mo della Riforma: Questa è un’iniziativa benedetta dal cielo. Lo vuole il cielo che ci sia questo incontro, questa volontà di colloquio, d’intesa, di fraternità, perché alla fine noi siamo tutti costituiti all’interno dell’unico Corpo di Cristo, grazie alla fede, grazie al Battesimo, grazie alla nostra vita che si svolge all’interno della Trinità. Argomento e tematica, quest’ultimo, che Lutero non si è mai sognato di mettere in discussione.

in terra di svezia

Dichiarazione congiuta


rigettando ogni forma di violenza. Dio ci chiama ad essere vicini a coloro che aspirano alla dignità, alla giustizia, alla pace e alla riconciliazione. Oggi, in particolare, noi alziamo le nostre voci per la fine della violenza e dell’estremismo che colpiscono tanti Paesi e comunità, e innumerevoli sorelle e fratelli in Cristo. Esortiamo luterani e cattolici a lavorare insieme per accogliere chi è straniero, per venire in aiuto di quanti sono costretti a fuggire a causa della guerra e della persecuzione, e a difendere i diritti dei rifugiati e di quanti cercano asilo. Oggi più che mai ci rendiamo conto che il nostro comune servizio nel mondo deve estendersi a tutto il creato, che soffre lo sfruttamento e gli effetti di un’insaziabile avidità. Riconosciamo il diritto delle future generazioni di godere il mondo, opera di Dio, in tutta la sua potenzialità e bellezza. Preghiamo per un cambiamento dei cuori e delle Il nostro impegno per una testimonianza comune menti che porti ad una amorevole e responsabile Mentre superiamo quegli episodi della storia che cura del creato. pesano su di noi, ci impegniamo a testimoniare insieme la grazia misericordiosa di Dio, rivelata in Uno in Cristo Cristo crocifisso e risorto. Consapevoli che il modo In questa occasione propizia esprimiamo la nostra di relazionarci tra di noi incide sulla nostra testi- gratitudine ai fratelli e alle sorelle delle varie Comonianza del Vangelo, ci impegniamo a crescere munioni e Associazioni cristiane mondiali che ulteriormente nella comunione radicata nel Batte- sono presenti e si uniscono a noi in preghiera. Nel simo, cercando di rimuovere i rimanenti ostacoli rinnovare il nostro impegno a progredire dal conche ci impediscono di raggiungere la piena unità. flitto alla comunione, lo facciamo come membri Cristo desidera che siamo uno, così che il mondo dell’unico Corpo di Cristo, al quale siamo incorporati per il Battesimo. Invitiamo i nostri compagni possa credere (cfr Gv 17,21). Molti membri delle nostre comunità aspirano a ri- di strada nel cammino ecumenico a ricordarci i nocevere l’Eucaristia ad un’unica mensa, come con- stri impegni e ad incoraggiarci. Chiediamo loro di creta espressione della piena unità. Facciamo continuare a pregare per noi, di camminare con esperienza del dolore di quanti condividono tutta la noi, di sostenerci nell’osservare i religiosi impegni loro vita, ma non possono condividere la presenza che oggi abbiamo manifestato. redentrice di Dio alla mensa eucaristica. Ricono- Appello ai cattolici e ai luterani del mondo intero sciamo la nostra comune responsabilità pastorale di Facciamo appello a tutte le parrocchie e comunità rispondere alla sete e alla fame spirituali del nostro luterane e cattoliche, perché siano coraggiose e popolo di essere uno in Cristo. Desideriamo arden- creative, gioiose e piene di speranza nel loro imtemente che questa ferita nel Corpo di Cristo sia sa- pegno a continuare la grande avventura che ci nata. Questo è l’obiettivo dei nostri sforzi ecumenici, aspetta. Piuttosto che i conflitti del passato, il dono che vogliamo far progredire, anche rinnovando il divino dell’unità tra di noi guiderà la collaborazione e approfondirà la nostra solidarietà. Strinnostro impegno per il dialogo teologico. Preghiamo Dio che cattolici e luterani sappiano te- gendoci nella fede a Cristo, pregando insieme, stimoniare insieme il Vangelo di Gesù Cristo, in- ascoltandoci a vicenda, vivendo l’amore di Cristo vitando l’umanità ad ascoltare e accogliere la nelle nostre relazioni, noi, cattolici e luterani, ci buona notizia dell’azione redentrice di Dio. Chie- apriamo alla potenza di Dio Uno e Trino. Radicati diamo a Dio ispirazione, incoraggiamento e forza in Cristo e rendendo a Lui testimonianza, rinnoaffinché possiamo andare avanti insieme nel ser- viamo la nostra determinazione ad essere fedeli vizio, difendendo la dignità e i diritti umani, spe- araldi dell’amore infinito di Dio per tutta l’umacialmente dei poveri, lavorando per la giustizia e nità. flitti e la religione è stata strumentalizzata per fini politici. La nostra comune fede in Gesù Cristo e il nostro battesimo esigono da noi una conversione quotidiana, grazie alla quale ripudiamo i dissensi e i conflitti storici che ostacolano il ministero della riconciliazione. Mentre il passato non può essere cambiato, la memoria e il modo di fare memoria possono essere trasformati. Preghiamo per la guarigione delle nostre ferite e delle memorie che oscurano la nostra visione gli uni degli altri. Rifiutiamo categoricamente ogni odio e ogni violenza, passati e presenti, specialmente quelli attuati in nome della religione. Oggi ascoltiamo il comando di Dio di mettere da parte ogni conflitto. Riconosciamo che siamo liberati per grazia per camminare verso la comunione a cui Dio continuamente ci chiama.

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Papa Francesco in Armenia Quel genocidio inaugurò il triste elenco delle immani catastrofe del XX secolo Nei giorni 24-25-26 giugno 2016 Papa Francesco compiva la visita apostolica in Armenia. Nel tardo pomeriggio del 24 incontrava le autorità politiche, i rappresentanti della Società Civile e del mondo della cultura e i membri del Corpo Diplomatico nel salone principale del Palazzo Presidenziale di Yerevan. Dopo il discorso del Presidente della Repubblica dell’Armenia Serzh Sargsyan, il Papa pronunciava il discorso che riportiamo.

È

per me motivo di grande gioia poter essere qui, toccare il suolo di questa terra armena tanto cara, fare visita ad un popolo dalle antiche e ricche tradizioni, che ha testimoniato con coraggio la sua fede, che ha molto sofferto, ma che è sempre tornato a rinascere. «Il nostro cielo turchese, le acque chiare, il lago di luce, il sole d’estate e d’inverno la fiera borea, […] la pietra dei millenni, […] i libri incisi con lo stilo, divenuti preghiera» (Elise Ciarenz, Ode all’Armenia). Sono queste alcune immagini potenti che un

vostro illustre poeta ci offre per illuminarci sulla profondità della storia e sulla bellezza della natura dell’Armenia. Esse racchiudono in poche espressioni l’eco e la densità dell’esperienza gloriosa e drammatica di un popolo e lo struggente amore per la sua Patria. Le sono vivamente grato, Signor Presidente, per le gentili espressioni di benvenuto che Ella mi ha rivolto a nome del Governo e degli abitanti dell’Armenia, e per avermi offerto la possibilità, grazie al Suo cortese invito, di contraccambiare la visita da Lei compiuta l’anno scorso in Vaticano, quando presenziò alla solenne celebrazione nella Basilica di San Pietro, insieme alle Loro Santità Karekin II, Patriarca Supremo e Catholicos di Tutti gli Armeni, e Aram I, Catholicos della Grande Casa di Cilicia, e a Sua Beatitudine Nerses Bedros XIX, Patriarca di Cilicia degli Armeni, recentemente scomparso. In quella occasione si è fatta memoria del centenario del Metz Yeghérn, il “Grande Male”, che colpì il vostro popolo e causò la morte di un’enorme mol-


titudine di persone. Quella tragedia, quel genocidio, inaugurò purtroppo il triste elenco delle immani catastrofi del secolo scorso, rese possibili da aberranti motivazioni razziali, ideologiche o religiose, che ottenebrarono la mente dei carnefici fino al punto di prefiggersi l’intento di annientare interi popoli. E’ tanto triste che – sia in questo come negli altri due - le grandi potenze guardavano da un’altra parte. Rendo onore al popolo armeno, che, illuminato dalla luce del Vangelo, anche nei momenti più tragici della sua storia, ha sempre trovato nella Croce e nella Risurrezione di Cristo la forza per risollevarsi e riprendere il cammino con dignità. Questo rivela quanto profonde siano le radici della fede cristiana e quale infinito tesoro di consolazione e di speranza essa racchiude. Avendo davanti ai nostri occhi gli esiti nefasti a cui condussero nel secolo scorso l’odio, il pregiudizio e lo sfrenato desiderio di dominio, auspico vivamente che l’umanità sappia trarre da quelle tragiche esperienze l’insegnamento ad agire con responsabilità e saggezza per prevenire i pericoli di ricadere in tali orrori. Si moltiplichino perciò, da parte di tutti, gli sforzi affinché nelle controversie internazionali prevalgano sempre il dialogo, la costante e genuina ricerca della pace, la collaborazione tra gli Stati e l’assiduo impegno degli organismi internazionali, al fine di costruire un clima di fiducia propizio al raggiungimento di accordi duraturi, che guardino al futuro. La Chiesa Cattolica desidera collaborare attivamente con tutti coloro che hanno a cuore le sorti della civiltà e il rispetto dei diritti della persona umana, per far prevalere nel mondo i valori spirituali, smascherando quanti ne deturpano il significato e la bellezza. A questo proposito, è di vitale importanza che tutti coloro che dichiarano la loro

fede in Dio uniscano le loro forze per isolare chiunque si serva della religione per portare avanti progetti di guerra, di sopraffazione e di persecuzione violenta, strumentalizzando e manipolando il Santo Nome di Dio. Oggi, in particolare i cristiani, come e forse più che al tempo dei primi martiri, sono in alcuni luoghi discriminati e perseguitati per il solo fatto di professare la loro fede, mentre troppi conflitti in varie aree del mondo non trovano ancora soluzioni positive, causando lutti, distruzioni e migrazioni forzate di intere popolazioni. È indispensabile perciò che i responsabili delle sorti delle nazioni intraprendano con coraggio e senza indugi iniziative volte a porre termine a queste sofferenze, facendo della ricerca della pace, della difesa e dell’accoglienza di coloro che sono bersaglio di aggressioni e persecuzioni, della promozione della giustizia e di uno sviluppo sostenibile i loro obiettivi primari. Il popolo armeno ha sperimentato queste situazioni in prima persona; conosce la sofferenza e il dolore, conosce la persecuzione; conserva nella sua memoria non solo le ferite del passato, ma anche lo spirito che gli ha permesso, ogni volta, di ricominciare di nuovo. In tal senso, io lo incoraggio a non far mancare il suo prezioso contributo alla comunità internazionale. Quest’anno ricorre il 25° anniversario dell’indipendenza dell’Armenia. È una felice circostanza per cui rallegrarsi e l’occasione per fare memoria dei traguardi raggiunti e per proporsi nuove mete a cui tendere. I festeggiamenti per questa lieta ricorrenza saranno tanto più significativi se diventeranno per tutti gli armeni, in Patria e nella diaspora, uno speciale momento nel quale raccogliere e coordinare le energie, allo scopo di favorire uno sviluppo civile 30


Visita al Memoriale di Tzitzernakaberd Sabato mattina 25 giugno Papa Francesco ha lasciato il Palazzo Apostolico di Etchmiadzin e si è trasferito in auto a Tzitzernakaberd per la visita al Complesso dedicato alla memoria delle vittime del Metz Yeghérn, il massacro del popolo armeno sotto l’impero ottomano del 1915. Alle ore 8.40, il Santo Padre e il Catholicos Karekin II che lo accompagnava sono stati accolti dal Presidente della Repubblica Serzh Sargsyan, e insieme hanno percorso a piedi l’ultimo tratto del viale che porta al Memoriale, tra due ali di bambini e giovani che mostravano ricordi e immagini dei martiri del 1915. All’esterno del monumento il Papa ha deposto una corona di fiori, soffermandosi in raccoglimento. Nella camera della fiamma perenne, il Santo Padre ha deposto una rosa bianca e pregato in silenzio, quindi tutti i presenti hanno recitato il Padre Nostro ognuno nella propria lingua. Il Papa e il Catholicos hanno benedetto l’incenso mentre il coro cantava l’Hrashapar. Dopo alcune letture bibliche il Santo Padre ha pronunciato una preghiera di intercessione. Papa Francesco, il Catholicos e il Presidente si sono quindi trasferiti alla terrazza del Museo. Lungo il percorso del giardino il Papa ha benedetto e innaffiato un albero posto a memoria della visita. Sulla terrazza erano presenti alcuni discendenti di perseguitati armeni che furono messi in salvo e ospitati a suo tempo a Castel Gandolfo da Papa Benedetto XV e poi da Papa Pio XI. Prima di congedarsi il Santo Padre ha firmato il Libro d’Onore del Memoriale, apponendo le seguenti parole: Parole scritte sul Libro d’Onore “Qui prego, col dolore nel cuore, perché mai più vi siano tragedie come questa, perché l’umanità non dimentichi e sappia vincere con il bene il male; Dio conceda all’amato popolo armeno e al mondo intero pace e consolazione. Dio custodisca la memoria del popolo armeno. La memoria non va annacquata né dimenticata; la memoria è fonte di pace e di futuro". 31

in terra di ARMENIA

sti importanti obiettivi, inaugurando per l’Armenia un’epoca di vera rinascita. La Chiesa Cattolica, da parte sua, pur essendo presente nel Paese con limitate risorse umane, è lieta di poter offrire il suo contributo alla crescita della società, particolarmente nella sua azione rivolta verso i più deboli e i più poveri, nei campi sanitario ed educativo, e in quello specifico della carità, come testimoniano l’opera svolta ormai da venticinque anni dall’ospedale “Redemptoris Mater” ad Ashotsk, l’attività dell’istituto educativo a Yerevan, le iniziative di Caritas Armenia e le opere gestite dalle Congregazioni religiose. Dio benedica e protegga l’Armenia, terra illuminata dalla fede, dal coraggio dei martiri, dalla speranza più forte di ogni dolore.

e sociale del Paese, equo ed inclusivo. Si tratta di verificare costantemente che non si venga mai meno agli imperativi morali di eguale giustizia per tutti e di solidarietà con i deboli e i meno fortunati (cfr Giovanni Paolo II, Discorso di congedo dall’Armenia, 27 settembre 2001: Insegnamenti XXIV, 2 [2001], 489). La storia del vostro Paese va di pari passo con la sua identità cristiana, custodita nel corso dei secoli. Tale identità cristiana, lungi dall’ostacolare la sana laicità dello Stato, piuttosto la richiede e la alimenta, favorendo la partecipe cittadinanza di tutti i membri della società, la libertà religiosa e il rispetto delle minoranze. La coesione di tutti gli armeni, e l’accresciuto impegno per individuare strade utili a superare le tensioni con alcuni Paesi vicini, renderanno più agevole realizzare que-


Ha toccato il cuore di tutti gli armeni

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umerosi i messaggi che Papa Francesco ha deposto nel cuore di tutti gli armeni sparsi nel Paese e nel mondo. Dopo aver reso omaggio a tutto il popolo martire , il Papa ha chiesto di custodire la memoria, fonte di pace e di futuro. Francesca Sabatinelli ha intervistato mons. Raphael Minassian, ordinario per gli armeni cattolici dell’Europa orientale. Il messaggio del Santo Padre è arrivato, è arrivato immediatamente nel cuore di tutto il popolo armeno, anche nella diaspora: parliamo di un messaggio che ha penetrato il cuore di 13 milioni di armeni nel mondo. Lui è venuto per il primo popolo cristiano, che durante tutti questi secoli è riuscito a resistere a tutte le tentazioni della vita di un popolo. Il genocidio è stato già proclamato il 12 aprile del 2015 e quindi non era questo né lo scopo, né la meta della visita del Papa. E’ piuttosto questo legame spirituale di un pastore verso il gregge di Gesù. La memoria del passato per disinnescare le vendette, gli scontri, per portare perdono e riconciliazione. Mons. Minassian, è stato potente questo messaggio del Papa … Ha perfettamente ragione, perché in questo messaggio c’era il lavoro per la pace, il lavoro dell’unità nella testimonianza evangelica. E questo viene proprio dal cuore del pastore che sa dove va e per quale scopo va. Questo messaggio è arrivato pure negli animi di tutti quelli che lo hanno incontrato, lo hanno sentito o lo hanno visto anche solo sullo schermo televisivo. Io non mi aspettavo di vedere questa gente, questo popolo così ardente nella sua fede, che è riuscito ad esprimerla completamente nella pura semplicità, nella sua povertà, con i sacrifici, però era presente. La presenza alla Messa del Santo Padre, del 25 giugno, si è basata su un sacrificio, perché voi non conoscete il popolo e come vive, vivono tutti nei villaggi, ma sono venuti, hanno lasciato le loro famiglie, le loro mucche, le loro pecore, il lavoro quotidiano, per venire a vedere e sentire e toccare il Papa. Questo è un segno molto popolare della fede popolare.

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Lei ha ringraziato più volte il Papa nei suoi interventi … E’ vero. Io ho usato il ringraziamento in tutte le mie parole, ma in ogni mio ringraziamento c’era un desiderio, un modo di esprimere e di chiedere di continuare questo legame. E’ stato fatto un primo passo, adesso tocca a noi. Il messaggio era per noi, per noi clero. E qui non faccio differenza fra armeno cattolico e apostolico, tutto il clero è chiamato al servizio delle anime. Questo passo del Santo Padre in Armenia è un richiamo al servizio profondamente attivo. Un primo passo che ha cambiato l’amicizia, la fratellanza tra il clero cattolico e apostolico. Questo lo abbiamo avuto: abbiamo cancellato tutto il passato con questa collaborazione assieme al servizio del Santo Padre, il Santo Padre è al servizio di tutto il popolo. In settembre la visita in Azerbaigian del Papa: ci si possono aspettare frutti? Primo: il Papa è libero di andare dove vuole. Secondo: anche il parlare con il nemico è un passo positivo per una pace internazionale. Io credo sempre all’ottimismo, perché in ogni contatto c’è un punto positivo. Difficile spostare questo ottimismo sul fronte della Turchia, dopo le critiche forti lanciate al Papa … La gente è libera di criticare e di esprimersi nel modo che vuole. Come padre spirituale di tutta la Chiesa cattolica nel mondo, il Papa ha il dovere di dire la verità e di andare avanti. La missione è quella di dire la verità. Noi dobbiamo difendere la gente che ha bisogno della nostra assistenza e poi gli altri sono liberi di esprimersi nel modo che vogliono. Non è una nostra preoccupazione cosa diranno di noi: la nostra preoccupazione è cosa dirà di noi il nostro Salvatore Gesù, se abbiamo compiuto il nostro dovere o no. Le altre cose sono secondarie … 32


RICCARDI

«Pax vobis» “

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ax vobis" era il motto del viaggio papale in Georgia, che si è svolto dal 30 settembre al 2 ottobre 2016 e ha toccato anche l’Azerbaigian. Le due parole, tratte dal capitolo 20 del Vangelo di Giovanni, sono riprodotte in due lingue, latino e georgiano, nel logo della visita. La scelta del tema della pace voleva sottolineare la coincidenza del viaggio con l’Anno della misericordia e rappresentava un richiamo alla pacificazione del mondo e di quella regione asiatica in particolare. Dialogo interreligioso e speranze per la pace Lo stesso Francesco, il 30 giugno 2016, nell’annunciare la visita durante l’Udienza giubilare, ne aveva indicato così gli obiettivi: “Da una parte valorizzare le antiche radici cristiane presenti in quelle terre – sempre in spirito di dialogo con le altre religioni e culture – e dall’altra incoraggiare speranze e sentieri di pace”. Sul logo del viaggio in Georgia è raffigurata una croce stilizzata, la cui forma ricorda la tradizionale croce di Santa Nino (Cristiana), che fu la più grande evangelizzatrice del Paese. I colori giallo e rosso richiamano quelli delle bandiere dello Stato della Città del Vaticano e della Georgia.

primo pomeriggio del 30 settembre. Dopo la cerimonia di benvenuto, alle 15 la visita di cortesia al presidente della Repubblica. Nel cortile del Palazzo presidenziale si svolgevano i discorsi di saluto con le autorità, la società civile e con il Corpo diplomatico. Presso il Palazzo del Patriarcato invece aveva luogo l’incontro con sua Santità e Beatitudine Ilia II, Catholicos e Patriarca di tutta la Georgia. L’abbraccio con la comunità assiro-caldea avveniva invece preso la chiesa cattolica di San Simone il tintore.

Subito dopo, la visita in Azerbaijan Il giorno dopo, sabato primo ottobre, il Pontefice presiedeva la Santa Messa nello stadio Meskhi; poi incontrava sacerdoti, religiosi e religiose presso la chiesa dell’Assunta. Toccante era la visita agli assistiti e con gli operatori delle opere di carità della Chiesa davanti al Centro di assistenza dei religiosi camilliani. Quindi, la visita alla cattedrale patriarcale Svietyskhoveli di Mskheta. Domenica 2 ottobre, dopo la cerimonia di congedo dalla Georgia, Papa Francesco si spostava in Azerbaigian. La visita in questi due Paesi rientrava in un viaggio pontificio nella regione caucasica che aveva la sua prima tappa in Armenia Il programma del viaggio in Georgia In Georgia, a Tbilisi, il Pontefice arrivava nel nel mese di giugno 2016.

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Georgia: terra benedetta L’aereo con a bordo Papa Francesco, partito venerdì mattina 30 settembre da Roma-Fiumicino, è atterrato poco prima delle 15.00 locali (le 13.00 ora di Roma) all’aeroporto internazionale di Tbilisi, dopo quasi quattro ore di volo. Papa Francesco è stato accolto dal Presidente della Georgia, Sig. Giorgi Margvelashvili, e dalla Consorte, nonché dal Catholicos Patriarca di tutta la Georgia, S.S. e Beatitudine Ilia II. Erano inoltre presenti alcune autorità dello Stato e un gruppo di fedeli con un coro. Due bambini, in abito tradizionale, hanno offerto al Papa un cesto d’uva. Dopo l’esecuzione degli inni, gli onori militari e la presentazione delle Delegazioni, il Santo Padre si è trasferito in auto al Palazzo Presidenziale di Tbilisi. Alle ore 15.30 il Santo Padre Francesco si è trasferito in auto al Palazzo Presidenziale di Tbilisi per la visita di cortesia al Presidente della Georgia, S.E il Signor Giorgi Margvelashvili. Papa Francesco è stato accolto dal Presidente all’ingresso del Belvedere. Dopo la fotografia protocollare, il Santo Padre ed il Presidente hanno raggiunto la Sala Presidenziale per l’incontro privato, concluso con lo scambio dei doni e la presentazione dei familiari. Al termine, il Papa ed il Presidente si sono trasferiti nel Cortile d’Onore del Palazzo. Alle ore 16.00, il Santo Padre Francesco ha incontrato le Autorità politiche, i rappresentanti della Società Civile della Georgia e i membri del Corpo Diplomatico nel Cortile d’Onore del Palazzo Presidenziale di Tbilisi. Dopo il discorso del Presidente della Georgia, Giorgi Margvelashvili, il Papa ha pronunciato questo primo discorso:

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reso possibili nel corso dei secoli sia i commerci che il dialogo e il confronto delle idee e delle esperienze tra mondi diversi. Come recita con fierezza il vostro inno nazionale: «La mia icona è la mia Patria, […] montagne e valli splendenti sono condivise con Dio». La Patria è come un’icona che definisce l’identità, traccia i lineamenti e la storia, mentre le montagne, innalzandosi libere verso il cielo, ben lungi dall’essere una muraglia insuperabile, danno splendore alle valli, le distinguono e le mettono in relazione, rendendole ognuna diversa dalle altre e tutte solidali con il cielo comune che le sovrasta e le protegge. Signor Presidente, sono trascorsi 25 anni dalla proclamazione dell’indipendenza della Georgia, la quale durante questo periodo, ritrovando la sua piena libertà, ha costruito e consolidato le sue istituzioni democratiche e ha cercato le vie per garantire uno sviluppo il più possibile inclusivo e autentico. Tutto questo non senza grandi sacrifici, che il popolo ha coraggiosamente affrontato per assicurarsi la tanto agognata libertà. Auspico che il cammino di pace e di sviluppo prosegua con l’impegno solidale di tutte le componenti della società, in modo da creare quelle condizioni di stabilità, equità e rispetto della legalità atte a favorire la crescita e ad aumentare le opportunità per tutti. Tale autentico e duraturo progresso ha come in-

ingrazio Dio Onnipotente per avermi offerto l’opportunità di visitare questa terra benedetta, luogo d’incontro e di vitale scambio tra culture e civiltà, che nel cristianesimo ha trovato, fin dalla predicazione di Santa Nino all’inizio del IV secolo, la sua più profonda identità e il fondamento sicuro dei suoi valori. Come affermò San Giovanni Paolo II visitando la vostra Patria: «Il cristianesimo è diventato il seme della successiva fioritura della cultura georgiana» (Discorso nella Cerimonia di Benvenuto, 8 novembre 1999: Insegnamenti XXII, 2 [1999], 841), e tale seme continua a produrre i suoi frutti. Nel ricordare con gratitudine il nostro incontro in Vaticano dell’anno scorso e le buone relazioni che la Georgia ha sempre mantenuto con la Santa Sede, ringrazio vivamente Lei, Signor Presidente, per il Suo gradito invito e per le cordiali parole di benvenuto che Ella mi ha rivolto a nome delle Autorità dello Stato e di tutto il popolo georgiano. La storia plurisecolare della vostra Patria manifesta il radicamento nei valori espressi dalla sua cultura, dalla sua lingua e dalle sue tradizioni, inserendo il Paese a pieno titolo e in modo fecondo e peculiare nell’alveo della civiltà europea; nel medesimo tempo, come evidenzia la sua posizione geografica, esso è quasi un ponte naturale tra l’Europa e l’Asia, una cerniera che facilita le comunicazioni e le relazioni tra i popoli, che ha 34


reciproco a vantaggio del bene comune. Ciò esige che ciascuno possa mettere pienamente a frutto le proprie specificità, avendo anzitutto la possibilità di vivere in pace nella sua terra o di farvi ritorno liberamente se, per qualche motivo, è stato costretto ad abbandonarla. Auspico che i responsabili pubblici continuino ad avere a cuore la situazione di queste persone, impegnandosi nella ricerca di soluzioni concrete anche al di fuori delle irrisolte questioni politiche. Si richiedono lungimiranza e coraggio per riconoscere il bene autentico dei popoli e perseguirlo con determinazione e prudenza, ed è indispensabile avere sempre davanti agli occhi le sofferenze delle persone per proseguire con convinzione il cammino, paziente e faticoso ma anche avvincente e liberante, della costruzione della pace. La Chiesa Cattolica – presente da secoli in questo Paese e distintasi in particolare per il suo impegno nella promozione umana e nelle opere caritative – condivide le gioie e le apprensioni del popolo georgiano e intende offrire il suo contributo per il benessere e la pace della Nazione, collaborando attivamente con le Autorità e la società civile. Auspico vivamente che essa continui ad apportare il suo genuino contributo alla crescita della società georgiana, grazie alla comune testimonianza della tradizione cristiana che ci unisce, al suo impegno a favore dei più bisognosi e mediante un rinnovato e accresciuto dialogo con l’antica Chiesa Ortodossa Georgiana e le altre comunità religiose del Paese. Dio benedica la Georgia e le doni pace e prosperità! 35

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dispensabile condizione preliminare la pacifica coesistenza fra tutti i popoli e gli Stati della Regione. Ciò richiede che crescano sentimenti di mutua stima e considerazione, i quali non possono tralasciare il rispetto delle prerogative sovrane di ciascun Paese nel quadro del Diritto Internazionale. Al fine di aprire sentieri che portino a una pace duratura e a una vera collaborazione, occorre avere la consapevolezza che i principi rilevanti per un’equa e stabile relazione tra gli Stati sono al servizio della concreta, ordinata e pacifica convivenza tra le Nazioni. In troppi luoghi della terra, infatti, sembra prevalere una logica che rende difficile mantenere le legittime differenze e le controversie – che sempre possono sorgere – in un ambito di confronto e dialogo civile dove prevalgano la ragione, la moderazione e la responsabilità. Questo è tanto più necessario nel presente momento storico, dove non mancano anche estremismi violenti che manipolano e distorcono principi di natura civile e religiosa per asservirli ad oscuri disegni di dominio e di morte. Occorre che tutti abbiano a cuore in primo luogo la sorte dell’essere umano nella sua concretezza e compiano con pazienza ogni tentativo per evitare che le divergenze sfocino in violenze destinate a provocare enormi rovine per l’uomo e la società. Qualsiasi distinzione di carattere etnico, linguistico, politico o religioso, lungi dall’essere usata come pretesto per trasformare le divergenze in conflitti e i conflitti in interminabili tragedie, può e deve essere per tutti sorgente di arricchimento


Le religioni albe di pace Concluso l’incontro privato, alle ore 17.45 il Santo Padre Francesco e lo Sceicco dei Musulmani del Caucaso, Allahshukur Pashazadeh, si sono trasferiti nella Sala principale della Moschea per l’incontro interreligioso con i rappresentanti delle altre Comunità religiose del Paese. Dopo il discorso dello Sceicco, il Papa ha pronunciato il discorso che riportiamo di seguito:

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rovarsi qui insieme è una benedizione. Desidero ringraziare il Presidente del Consiglio dei Musulmani del Caucaso, che con la sua consueta cortesia ci ospita, e i Capi religiosi locali della Chiesa Ortodossa Russa e delle Comunità Ebraiche. È un grande segno incontrarci in amicizia fraterna in questo luogo di preghiera, un segno che manifesta quell’armonia che le religioni insieme possono costruire, a partire dai rapporti personali e dalla buona volontà dei responsabili. Qui ne danno prova, ad esempio, l’aiuto concreto che il Presidente del Consiglio dei Musulmani ha garantito in più occasioni alla comunità cattolica, e i saggi consigli che, in spirito di famiglia, condivide con essa; sono anche da sottolineare il bel legame che unisce i Cattolici alla Comunità Ortodossa, in una fraternità concreta e in un affetto quotidiano che sono un esempio per tutti, e la cordiale amicizia con la comunità ebraica. Di questa concordia beneficia l’Azerbaigian, che si distingue per l’accoglienza e l’ospitalità, doni che ho potuto sperimentare in questa memorabile giornata, per la quale sono molto grato. Qui si desidera custodire il grande patrimonio delle religioni e al tempo stesso si ricerca una maggiore e feconda apertura: anche il cattolicesimo, ad esempio, trova posto e armonia tra altre religioni ben più numerose, segno concreto che mostra come non la contrapposizione, ma la collaborazione aiuta a costruire società migliori e pacifiche. Il nostro trovarci insieme è anche in continuità con i numerosi incontri che si svolgono a Baku per promuovere il dialogo e la multiculturalità. Aprendo le porte all’accoglienza e all’integrazione, si aprono le porte dei cuori di ciascuno e le porte della speranza per tutti. Ho fiducia che questo Paese, «porta tra l’Oriente e l’Occidente»

(Giovanni Paolo II, Discorso nella Cerimonia di benvenuto, Baku, 22 maggio 2002: Insegnamenti XXV,1 [2002], 838), coltivi sempre la sua vocazione di apertura e incontro, condizioni indispensabili per costruire solidi ponti di pace e un futuro degno dell’uomo. La fraternità e la condivisione che desideriamo accrescere non saranno apprezzate da chi vuole rimarcare divisioni, rinfocolare tensioni e trarre guadagni da contrapposizioni e contrasti; sono però invocate e attese da chi desidera il bene comune, e soprattutto gradite a Dio, Compassionevole e Misericordioso, che vuole i figli e le figlie dell’unica famiglia umana tra loro più uniti e sempre in dialogo. Un grande poeta, figlio di questa terra, ha scritto: «Se sei umano, mescolati agli umani, perché gli uomini stanno bene tra di loro» (Nizami Ganjavi, Il libro di Alessandro, I, Sul proprio stato e il passare del tempo). Aprirsi agli altri non impoverisce, ma arricchisce, perché aiuta a essere più umani: a riconoscersi parte attiva di un insieme più grande e a interpretare la vita come un dono per gli altri; a vedere come traguardo non i propri interessi, ma il bene dell’umanità; ad agire senza idealismi e senza interventismi, senza operare dannose interferenze e azioni forzate, bensì sempre nel rispetto delle dinamiche storiche, delle culture e delle tradizioni religiose. Proprio le religioni hanno un grande compito: accompagnare gli uomini in cerca del senso della vita, aiutandoli a comprendere che le limitate capacità 36


XI, 4.8.9); dall’altra parte, emergono sempre più le reazioni rigide e fondamentaliste di chi, con la violenza della parola e dei gesti, vuole imporre atteggiamenti estremi e radicalizzati, i più distanti dal Dio vivente. Le religioni, al contrario, aiutando a discernere il bene e a metterlo in pratica con le opere, con la preghiera e con la fatica del lavoro interiore, sono chiamate a edificare la cultura dell’incontro e della pace, fatta di pazienza, comprensione, passi umili e concreti. Così si serve la società umana. Essa, da parte sua, è sempre tenuta a vincere la tentazione di servirsi del fattore religioso: le religioni non devono mai essere strumentalizzate e mai possono prestare il fianco ad assecondare conflitti e contrapposizioni. È invece fecondo un legame virtuoso tra società e religioni, un’alleanza rispettosa che va costruita e custodita, e che vorrei simboleggiare con un’immagine cara a questo Paese. Mi riferisco alle pregiate vetrate artistiche presenti da secoli in queste terre, fatte soltanto di legno e vetri colorati (Shebeke). Nel produrle artigianalmente, vi è una particolarità unica: non si usano colle né chiodi, ma si tengono insieme il legno e il vetro incastrandoli fra di loro con un lungo e accurato lavoro. Così il legno sorregge il vetro e il vetro fa entrare la luce. Allo stesso modo è compito di ogni società civile sostenere la religione, che permette l’ingresso di una luce indispensabile per vivere: per questo è necessario garantirle un’effettiva e autentica libertà. Non vanno dunque usate le “colle” artificiali che costringono l’uomo a credere, imponendogli un determinato credo e privandolo della libertà di scelta; non devono entrare nelle religioni neanche i “chiodi” esterni degli interessi mondani, delle brame di potere e di denaro. Perché Dio non può essere invocato per interessi di parte e per fini egoistici, non può giustificare alcuna forma di fondamentalismo, imperialismo o colonialismo. Ancora una volta, da questo luogo così significativo, sale il grido accorato: mai più violenza in nome di Dio! Che il suo santo Nome sia adorato, non profanato e mercanteggiato dagli odi e dalle contrapposizioni umane. Onoriamo invece la provvidente misericordia divina verso di noi con la preghiera assidua e con il dialogo concreto, «condizione necessaria per la pace nel mondo, dovere per i cristiani, come per le altre comunità religiose» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 250). Preghiera e dialogo sono tra loro profondamente correlati: muovono dall’apertura del cuore e sono protesi al bene altrui, dunque si arricchi-

dell’essere umano e i beni di questo mondo non devono mai diventare degli assoluti. Ha scritto ancora Nizami: «Non stabilirti solidamente sulle tue forze, finché in cielo non avrai trovato dimora! I frutti del mondo non sono eterni, non adorare ciò che perisce!» (Leylā e Majnūn, Morte di Majnūn sulla tomba di Leylā). Le religioni sono chiamate a farci capire che il centro dell’uomo è fuori di sé, che siamo protesi verso l’Alto infinito e verso l’altro che ci è prossimo. Lì è chiamata a incamminarsi la vita, verso l’amore più elevato e insieme più concreto: esso non può che stare al culmine di ogni aspirazione autenticamente religiosa; perché – dice ancora il poeta –, «amore è quello che mai non muta, amore è quello che non ha fine» (ibid., Disperazione di Majnūn). La religione è dunque una necessità per l’uomo, per realizzare il suo fine, una bussola per orientarlo al bene e allontanarlo dal male, che sta sempre accovacciato alla porta del suo cuore (cfr Gen 4,7). In questo senso le religioni hanno un compito educativo: aiutare a tirare fuori dall’uomo il meglio di sé. E noi, come guide, abbiamo una grande responsabilità, per offrire risposte autentiche alla ricerca dell’uomo, oggi spesso smarrito nei vorticosi paradossi del nostro tempo. Vediamo, infatti, come ai nostri giorni, da una parte imperversa il nichilismo di chi non crede più a niente se non ai propri interessi, vantaggi e tornaconti, di chi butta via la vita adeguandosi all’adagio «se Dio non esiste tutto è permesso» (cfr F.M. Dostoevskij, I fratelli Karamazov, 37


scono e rafforzano a vicenda. La Chiesa Cattolica, in continuità con il Concilio Vaticano II, con convinzione «esorta i suoi figli affinché, con prudenza e carità, per mezzo del dialogo e della collaborazione con i seguaci delle altre religioni, sempre rendendo testimonianza alla fede e alla vita cristiana, riconoscano, conservino e facciano progredire i valori spirituali, morali e socio-culturali che si trovano in essi» (Dich. Nostra aetate, 2). Nessun «sincretismo conciliante», non «un’apertura diplomatica, che dice sì a tutto per evitare i problemi» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 251), ma dialogare con gli altri e pregare per tutti: questi sono i nostri mezzi per mutare le lance in falci (cfr Is 2,4), per far sorgere amore dove c’è odio e perdono dove c’è offesa, per non stancarci di implorare e percorrere vie di pace. Una pace vera, fondata sul rispetto reciproco, sull’incontro e sulla condivisione, sulla volontà di andare oltre i pregiudizi e i torti del passato, sulla rinuncia alle doppiezze e agli interessi di parte; una pace duratura, animata dal coraggio di superare le barriere, di debellare le povertà e le ingiustizie, di denunciare e arrestare la proliferazione di armi e i guadagni iniqui fatti sulla pelle degli altri. La voce di troppo sangue grida a Dio dal suolo della terra, nostra casa comune (cfr Gen 4,10). Ora siamo interpellati a dare una risposta non più rimandabile, a costruire insieme un futuro di pace: non è tempo di soluzioni violente e brusche, ma l’ora urgente di intraprendere processi pazienti di riconciliazione.

La vera questione del nostro tempo non è come portare avanti i nostri interessi - questa non è la vera questione -, ma quale prospettiva di vita offrire alle generazioni future, come lasciare un mondo migliore di quello che abbiamo ricevuto. Dio, e la storia stessa, ci domanderanno se ci siamo spesi oggi per la pace; già ce lo chiedono in modo accorato le giovani generazioni, che sognano un futuro diverso. Nella notte dei conflitti, che stiamo attraversando, le religioni siano albe di pace, semi di rinascita tra devastazioni di morte, echi di dialogo che risuonano instancabilmente, vie di incontro e di riconciliazione per arrivare anche là, dove i tentativi delle mediazioni ufficiali sembrano non sortire effetti. Specialmente in questa amata regione caucasica, che ho tanto desiderato visitare e nella quale sono giunto come pellegrino di pace, le religioni siano veicoli attivi per il superamento delle tragedie del passato e delle tensioni di oggi. Le inestimabili ricchezze di questi Paesi vengano conosciute e valorizzate: i tesori antichi e sempre nuovi di sapienza, cultura e religiosità delle genti del Caucaso sono una grande risorsa per il futuro della regione e in particolare per la cultura europea, beni preziosi cui non possiamo rinunciare. Grazie. Prima di lasciare la Moschea, il Papa ha rivolto ai presenti le seguenti parole: Grazie tante a tutti voi. Grazie tante per la compagnia … E vi chiedo, per favore, di pregare per me. 38


Ha portato nel Caucaso la gioia dell’incontro qualche passo in più”. Questo ha fatto bene anche se ci sono state delle dimostrazioni contro il Papa; però anche quelle il Papa le ha vissute molto serenamente. A un certo momento ero in macchina con lui quando abbiamo incontrato questa gente e lui diceva: “Beh, hanno bisogno proprio di una benedizione”, ha tirato giù il finestrino e ha detto: “Li saluto perché sono nostri fratelli”. E ha cominciato a benedire. Con molta serenità diceva: “Fate piccoli passi, non preoccupatevi: piccoli passi, piccoli passi”. E credo che sarà questo il compito che abbiamo noi.

Il viaggio di Papa Francesco in Georgia e Azerbaijan ha, non solo asciato tanta gioia nella piccola comunità cattolica dell’area, ma ha anche suscitato un generale sentimento di rispetto e stima, un’opportunità per rilanciare il dialogo in una terra spesso ferita da conflitti. Gabriella Ceraso ne ha parlato con mons. Giuseppe Pasotto, amministratore apostolico del Caucaso: È stata una visita intensa. In tanti ci siamo detti: “Ma che bello che è stato!”. Sono stati belli gli input che ci ha dato il Papa. Il mio compito sarà riprendere un po’ tutto per non lasciarli perdere, ma anzi per andarci un po’ più dentro.

Belli anche i momenti di vicinanza al Patriarca Elia … Sicuramente. Quando il Papa è partito sono andato a salutare il Patriarca e poi gli ho detto: “Santità, è stato contento della visita del Papa?”. Lui mi ha detto: “Non contento, contentissimo! E’ un uomo di Dio”. Quindi, certamente è nato un feeling e il Papa mi ha detto del Patriarca: “Ma sa quanto è buono questo Patriarca!”. Quindi il feeling c’è. E credo che l’impegno che si sono presi di pregare l’uno per l’altro darà qualche frutto.

Il Papa ha lasciato una parola sulla famiglia e il matrimonio, una parola per i religiosi e una parola per i giovani e il futuro: che cosa ha ritrovato anche della realtà georgiana nelle parole del Papa? È stata una grande catechesi, molto semplice, con al centro i temi della donna, della famiglia, degli anziani, dei nonni, del trasmettere la fede. A un certo momento ha detto anche: “La Chiesa è donna”. A me è piaciuto, perché la donna georgiana è molto forte: è proprio quella che mantiene la società; e mi piace che abbia valorizzato questa figura, nella società ma anche nella Chiesa. Questo ci farà un po’ lavorare sul tema della donna. E poi ha parlato anche sulla famiglia: è stato molto chiaro sulle divisioni in famiglia, sul divorzio, su chi ne fa le spese, sul gender, cioè tutti temi che per noi sono importanti, perché anche in vista del Sinodo abbiamo lavorato molto – siamo una piccola Chiesa – ma abbiamo lavorato molto bene.

Cosa dirà ai suoi fedeli per raccogliere tutto ciò che avete ricevuto? Una cosa che penso dirò è che quando ci ha parlato della consolazione ha dato un’immagine di Chiesa come la casa della consolazione e della carità, che non si chiude nel pessimismo, che guarda al di là delle difficoltà, che non si abitua alle cose che vanno così come devono andare, che si spende per fare un passo verso la fratellanza, l’amore disinteressato. Ecco: questo è bello perché nasce dalla consolazione. Ci diceva il Papa: “La consolazione non toglie i problemi, ma ci dà la forza di vivere i problemi”. Quando parlava di “piccolo gregge”, ci ha quasi messi sulle sue spalle, ci ha detto praticamente che bisogna, anche se siamo piccoli, guardando a Santa Teresa di Lisieux, che ci facciamo piccoli per far spazio a Dio e per far spazio all’altro. E forse la nostra Chiesa, proprio perché è piccola, può camminare su questa via.

Il Papa ha aiutato molto nel cammino ecumenico, non solo i cattolici … Beh, lui ha dato le fondamenta del cammino ecumenico che, credo, sono novità, più che per noi che ci siamo dentro da tanto tempo, per la Chiesa ortodossa. Quindi è stato un discorso forte, anche teologicamente forte, quello che ci ha dato. Mi sono trovato con alcuni vescovi ortodossi al termine della giornata e loro erano molto contenti. Mi dicevano: “Dobbiamo in qualche modo fare 39

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Mons. Giuseppe Pasotto:

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Per l’area del Caucaso, secondo lei, questa visita che cosa veramente può significare e cosa può lasciare? Il seme che lui lascia – e speriamo che cresca con il tempo è un’immagine: un Papa sereno, che “perde tempo” con i bambini, con la gente... E poi il discorso del non difendere niente. A me lo diceva personalmente: “Non abbiamo niente da difendere, noi siamo al servizio di Dio e degli altri”. Quindi, un uomo libero: ecco, libero. Questa è l’immagine che rimarrà – sono sicuro – anche nella Chiesa ortodossa.

«PACE A VOI» “SIAMO TUTTI FRATELLI” Questo viaggio è stato il proseguimento e il completamento di quello effettuato in Armenia, nel mese di giugno. In tal modo ho potuto – grazie a Dio – realizzare il progetto di visitare tutti e tre questi Paesi caucasici, per confermare la Chiesa Cattolica che vive in essi e per incoraggiare il cammino di quelle popolazioni verso la pace e la fraternità. Lo evidenziavano anche i due motti di quest’ultimo viaggio: per la Georgia “Pax vobis” e per l’Azerbaijian “Siamo tutti fratelli”. Entrambi questi Paesi hanno radici storiche, culturali e religiose molto antiche, ma nello stesso tempo stanno vivendo una fase nuova: infatti, tutt’e due celebrano quest’anno il 25° della loro indipendenza, essendo stati per buona parte del secolo XX sotto il regime sovietico. E in questa fase essi incontrano parecchie difficoltà nei diversi ambiti della vita sociale. La Chiesa Cattolica è chiamata ad essere presente, ad essere vicina, specialmente nel segno della carità e della promozione umana; ed essa cerca di farlo in comunione con le altre Chiese e Comunità cristiane e in dialogo con le altre comunità religiose, nella certezza che Dio è Padre di tutti e noi siamo fratelli e sorelle. In Georgia questa missione passa naturalmente attraverso la collaborazione con i fratelli ortodossi, che formano la grande maggioranza della popolazione. Perciò è stato un segno molto importante il fatto che quando sono arrivato a Tbilisi ho trovato a ricevermi all’Aeroporto, insieme con il Presidente della Repubblica, anche il venerato Patriarca Ilia II. L’incontro con lui quel pomeriggio è stato commovente, come pure lo è stata all’indomani la visita alla Cattedrale Patriarcale, dove si venera la reliquia della tunica di Cristo, simbolo dell’unità della Chiesa. Questa unità è corroborata dal sangue di tanti martiri delle diverse confessioni cristiane. Tra le comunità più provate c’è quella Assiro-Caldea, con la quale ho vissuto a Tbilisi un intenso momento di preghiera per la pace in Siria, in Iraq e in tutto il Medio Oriente.

La Messa con i fedeli cattolici della Georgia – latini, armeni e assiro-caldei – è stata celebrata nella memoria di Santa Teresa di Gesù Bambino, patrona delle missioni: lei ci ricorda che la vera missione non è mai proselitismo, ma attrazione a Cristo a partire dalla forte unione con Lui nella preghiera, nell’adorazione e nella carità concreta, che è servizio a Gesù presente nel più piccolo dei fratelli. E’ quello che fanno i religiosi e le religiose che ho incontrato a Tbilisi, come poi anche a Baku: lo fanno con la preghiera e con le opere caritative e promozionali. Li ho incoraggiati ad essere saldi nella fede, con memoria, coraggio e speranza. E poi ci sono le famiglie cristiane: quant’è preziosa la loro presenza di accoglienza, accompagnamento, discernimento e integrazione nella comunità! Questo stile di presenza evangelica come seme del Regno di Dio è, se possibile, ancora più necessario in Azerbaijian, dove la maggioranza della popolazione è musulmana e i cattolici sono poche centinaia, ma grazie a Dio hanno buoni rapporti con tutti, in particolare mantengono vincoli fraterni con i cristiani ortodossi. Per questo a Baku, capitale dell’Azerbaijian, abbiamo vissuto due momenti che la fede sa tenere nel giusto rapporto: l’Eucaristia e l’incontro interreligioso. L’Eucaristia con la piccola comunità cattolica, dove lo Spirito armonizza le diverse lingue e dona la forza della testimonianza; e questa comunione in Cristo non impedisce, anzi, spinge a cercare l’incontro e il dialogo con tutti coloro che credono in Dio, per costruire insieme un mondo più giusto e fraterno. In tale prospettiva, rivolgendomi alle Autorità azere, ho auspicato che le questioni aperte possano trovare buone soluzioni e tutte le popolazioni caucasiche vivano nella pace e nel rispetto reciproco. Dio benedica l’Armenia, la Georgia e l’Azerbaijian, e accompagni il cammino del Suo Popolo santo pellegrino in quei Paesi. Udienza generale 5 ottobre 2016 40


Santa Madre Teresa di Calcutta Domenica 4 settembre 2016, XXIII del tempo ordinario. Papa Francesco ha celebrato sul sagrato della Basilica Vaticana la Santa Messa con il Rito di Canonizzazione della Beata Teresa di Calcutta (1910-1997, al secolo: Gonxha Agnes Bojaxhiu), Religiosa, Fondatrice della Congregazione delle Missionarie della Carità e dei Missionari della Carità. Oltre centomila i fedeli ed i devoti di Nadre Teresa giunti dall’India, dall’Albania e da numerose altre parti del mondo. Generosa dispensatrice della divina misericordia hi può immaginare che cosa vuole il Signore?» (Sap 9,13). Questo interrogativo del Libro della Sapienza, che abbiamo ascoltato nella prima lettura, ci presenta la nostra vita come un mistero, la cui chiave di interpretazione non è in nostro possesso. I protagonisti della storia sono sempre due: Dio da una parte e gli uomini dall’altra. Il nostro compito è quello di percepire la chiamata di Dio e poi accogliere la sua volontà. Ma per accoglierla senza esitazione chiediamoci: quale è la volontà di Dio? Nello stesso brano sapienziale troviamo la risposta: «Gli uomini furono istruiti in ciò che ti è gradito» (v. 18). Per verificare la chiamata di Dio, dobbiamo domandarci e capire che cosa piace a Lui. Tante volte i profeti annunciano che cosa è gradito al Signore. Il loro messaggio trova una mirabile sintesi nell’espressione: «Misericordia io voglio e non sacrifici» (Os 6,6; Mt 9,13). A Dio è gradita ogni opera di misericordia, perché nel fratello che aiutiamo riconosciamo il volto di Dio che nessuno può vedere (cfr Gv 1,18). E ogni volta che ci chiniamo sulle necessità dei fratelli, noi abbiamo dato da mangiare e da bere a Gesù; abbiamo vestito, sostenuto, e visitato il Figlio di Dio (cfr Mt 25,40). In-

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somma, abbiamo toccato la carne di Cristo. Siamo dunque chiamati a tradurre in concreto ciò che invochiamo nella preghiera e professiamo nella fede. Non esiste alternativa alla carità: quanti si pongono al servizio dei fratelli, benché non lo sappiano, sono coloro che amano Dio (cfr 1 Gv 3,1618; Gc 2,14-18). La vita cristiana, tuttavia, non è un semplice aiuto che viene fornito nel momento del bisogno. Se fosse così sarebbe certo un bel sentimento di umana solidarietà che suscita un beneficio immediato, ma sarebbe sterile perché senza radici. L’impegno che il Signore chiede, al contrario, è

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quello di una vocazione alla carità con la quale ogni discepolo di Cristo mette al suo servizio la propria vita, per crescere ogni giorno nell’amore. Abbiamo ascoltato nel Vangelo che: «una folla numerosa andava con Gesù» (Lc 14,25). Oggi quella “folla numerosa” è rappresentata dal vasto mondo del volontariato, qui convenuto in occasione del Giubileo della Misericordia. Voi siete quella folla che segue il Maestro e che rende visibile il suo amore concreto per ogni persona. Vi ripeto le parole dell’apostolo Paolo: «La tua carità è stata per me motivo di grande gioia e consola-


zione, poiché il cuore dei credenti è stato confortato per opera tua» (Fm 7). Quanti cuori i volontari confortano! Quante mani sostengono; quante lacrime asciugano; quanto amore è riversato nel servizio nascosto, umile e disinteressato! Questo lodevole servizio dà voce alla fede - dà voce alla fede! ed esprime la misericordia del Padre che si fa vicino a quanti sono nel bisogno. La sequela di Gesù è un impegno serio e al tempo stesso gioioso; richiede radicalità e coraggio per riconoscere il Maestro divino nel più povero e scartato della vita e mettersi al suo servizio. Per questo, i volontari che servono gli ultimi e i bisognosi per amore di Gesù non si aspettano alcun ringraziamento e nessuna gratifica, ma rinunciano a tutto questo perché hanno scoperto il vero amore. E ognuno di noi può dire: “Come il Signore mi è venuto incontro e si è chinato su di me nel momento del bisogno, così anch’io vado incontro a Lui e mi chino su quanti hanno perso la fede o vivono come se Dio non esistesse, sui giovani senza valori e ideali, sulle famiglie in crisi, sugli ammalati e i carcerati, sui profughi e immigrati, sui deboli e indifesi nel corpo e nello spirito, sui minori abbandonati a sé stessi, così come sugli anziani lasciati soli. Dovunque ci sia una mano tesa che chiede aiuto per rimettersi in piedi, lì deve esserci la nostra presenza e la presenza della Chiesa che sostiene e dona speranza”. E, questo, farlo con la viva memoria della mano tesa del Signore su di me quando ero a terra. Madre Teresa, in tutta la sua esistenza, è stata generosa dispensatrice della misericordia divina, rendendosi a tutti disponibile attraverso l’accoglienza e la difesa

della vita umana, quella non nata e quella abbandonata e scartata. Si è impegnata in difesa della vita proclamando incessantemente che «chi non è ancora nato è il più debole, il più piccolo, il più misero». Si è chinata sulle persone sfinite, lasciate morire ai margini delle strade, riconoscendo la dignità che Dio aveva loro dato; ha fatto sentire la sua voce ai potenti della terra, perché riconoscessero le loro colpe dinanzi ai crimini – dinanzi ai crimini! - della povertà creata da loro stessi. La misericordia è stata per lei il “sale” che dava sapore a ogni sua opera, e la “luce” che rischiarava le tenebre di quanti non avevano più neppure lacrime per piangere la loro povertà e sofferenza. La sua missione nelle periferie delle città e nelle periferie esistenziali permane ai nostri giorni come testimonianza eloquente della vicinanza di Dio ai più poveri tra i poveri. Oggi consegno questa emblematica figura di donna e di con42

sacrata a tutto il mondo del volontariato: lei sia il vostro modello di santità! Penso che, forse, avremo un po’ di difficoltà nel chiamarla Santa Teresa: la sua santità è tanto vicina a noi, tanto tenera e feconda che spontaneamente continueremo a dirle “Madre Teresa”. Questa instancabile operatrice di misericordia ci aiuti a capire sempre più che l’unico nostro criterio di azione è l’amore gratuito, libero da ogni ideologia e da ogni vincolo e riversato verso tutti senza distinzione di lingua, cultura, razza o religione. Madre Teresa amava dire: «Forse non parlo la loro lingua, ma posso sorridere». Portiamo nel cuore il suo sorriso e doniamolo a quanti incontriamo nel nostro cammino, specialmente a quanti soffrono. Apriremo così orizzonti di gioia e di speranza a tanta umanità sfiduciata e bisognosa di comprensione e di tenerezza. PAPA FRANCESCO, Omelia, domenica 4 settembre 2016


della misericordia incapace di risollevarsi da sola. Come non rileggere alla luce della sua vicenda, le parole che Papa Francesco ci ha rivolto nella Bolla d’indizione del Giubileo della Misericordia, quando scrive: “Non cadiamo nell’indifferenza che umilia, nell’abitudinarietà che anestetizza l’animo e impedisce di scoprire la novità, nel cinismo che distrugge. Apriamo i nostri occhi per guardare le miserie del mondo, le ferite di tanti fratelli e sorelle privati della dignità, e sentiamoci provocati ad ascoltare il loro grido di aiuto. Le nostre mani stringano le loro mani e tiriamoli a noi perché sentano il calore della nostra presenza, dell’amicizia e della fraternità” (MV n. 15). Ma qual è il “segreto” di Madre Teresa? Non è certamente un segreto, perché l’abbiamo appena proclamato a voce alta nel Vangelo: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25, 40). Madre Teresa ha scoperto nei poveri il volto di Cristo “che si è fatto povero per noi per arricchirci con la sua povertà”(cf. 2Cor. 8,9) ed ha risposto al suo amore senza misura con un amore senza misura per i poveri. “Caritas Christi urget nos”, l’amore di Cristo ci spinge, the love of Christ impels us (2Cor. 5,14). Ella ha potuto essere un segno di misericordia tanto luminoso – “La misericordia è stata per lei ‘il sale’ che dava sapore a ogni sua opera e la ‘luce’ che rischiarava le tenebre di quanti non avevano più neppure le lacrime per piangere la loro povertà e sofferenza”, ha detto il Santo Padre nell’omelia di ieri – perché si è lasciata illuminare da Cristo, adorato, amato e lodato nell'Eucaristia, come lei stessa spiegava: “Le nostre vite devono essere continuamente alimentate dall'Eucaristia, perché, se non fossimo capaci di vedere Cristo sotto le apparenze del pane, non ci sarebbe possibile nemmeno scoprirlo sotto le umili apparenze dei corpi mal ridotti dei poveri” (cf. Teresa di Calcutta, L’amore che disseta, p. 16). Ella ben sapeva inoltre, che una delle forme più lancinanti di povertà consiste nel sapersi non amati, non desiderati, disprezzati. Una specie di povertà presente anche nei Paesi e nelle famiglie

dalla CITTÀ DELVaticano

CARD. PIETRO PAROLIN SEGRETARIO DI STATO

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adre Teresa amava definirsi “una matita nelle mani del Signore”. Ma quali poemi di carità, di compassione, di conforto e di gioia ha saputo scrivere quella piccola matita! Poemi di amore e di tenerezza per i più poveri dei poveri, ai quali ha consacrato la sua esistenza! Ella così riferisce la chiara percezione della sua “vocazione nella vocazione”, avuta nel settembre del 1946, mentre si trovava in viaggio verso gli Esercizi spirituali: “Aprii gli occhi sulla sofferenza e capii a fondo l'essenza della mia vocazione [...] Sentivo che il Signore mi chiedeva di rinunciare alla vita tranquilla all'interno della mia congregazione religiosa per uscire nelle strade a servire i poveri. Era un ordine. Non era un suggerimento, un invito o una proposta” (Cit. in Renzo Allegri, Madre Teresa mi ha detto, Ancora Ed., Milano, 2010). Madre Teresa “ha aperto gli occhi sulla sofferenza”, l’ha abbracciata con uno sguardo di compassione, tutto il suo essere è stato interpellato e scosso da questo incontro, che le ha – in un certo senso – trafitto il cuore, sull’esempio di Gesù, che si è commosso per la sofferenza della creatura umana, 43

santa madre teresa di calcutta

Santa


meno povere, anche nelle persone appartenenti a categorie che dispongono di mezzi e possibilità, ma che sperimentano il vuoto interiore di aver smarrito il significato e la direzione della vita o sono violentemente colpiti dalla desolazione dei legami spezzati, dalla durezza della solitudine, dalla sensazione di essere dimenticati da tutti o di non servire a nessuno. Ciò l’ha portata ad identificare i bambini non ancora nati e minacciati nella loro esistenza come “i più poveri tra i poveri”. Ciascuno di loro infatti dipende, più di qualsiasi altro essere umano, dall’amore e dalle cure della madre e dalla protezione della società. Il concepito non ha nulla di suo, ogni sua speranza e necessità è nelle mani di altri. Egli porta con sé un progetto di vita e di futuro e chiede di essere accolto e protetto perché possa diventare

ciò che già è: uno di noi, che il Signore ha pensato fin dall’eternità per una grande missione da compiere, quella di “amare ed essere amato”, come Madre Teresa amava ripetere. Ella, perciò, difese coraggiosamente la vita nascente, con quella franchezza di parola e linearità d’azione che è il segnale più luminoso della presenza dei Profeti e dei Santi, i quali non si inginocchiano a nessuno tranne che all’Onnipotente, sono interiormente liberi perché interiormente forti e non si inchinano di fronte alle mode o agli idoli del momento, ma si specchiano nella coscienza illuminata dal sole del Vangelo. In lei scopriamo quel felice e inseparabile binomio tra esercizio eroico della carità e chiarezza nella proclamazione della verità, vediamo la costante operosità, alimentata dalla profondità della con-

Lush Gjergji racconta la “notte oscura” di Madre Teresa Di Madre Teresa colpiva molto il sorriso. Ma dietro quella luce c'era spesso una grande sofferenza. Lo ricorda il suo biografo, il sacerdote albanese don Lush Gjergji, vicario generale della Chiesa in Kosovo, che ha conosciuto molto bene la religiosa. Questa Santa ha sofferto tanto, ha visto tante sofferenze e ha creato un tesoro: la sofferenza offerta al Signore. E soprattutto è un esempio straordinario di come, con la forza della fede e l’ispirazione dell’amore, si possa andare avanti anche nelle situazioni più difficili. Per Madre Teresa credere vuol dire cercare. Ha cercato costantemente: dalla prima chiamata per sei anni, dall’età di dodici anni fino ai diciotto. Ha continuato a cercare il Signore per diciotto anni come suora di Loreto. Ha cercato costantemente il Signore nel prossimo e il prossimo nel Signore. Per cui “credere” significa cercare: un’apertura su tutte le dimensioni. Infatti, lei non l’ha cercato solo nell’Eucaristia. Lei stessa mi diceva: “Sarebbe troppo poco per noi cristiani riconoscere e amare Gesù nell’Eucaristia”. Invece dall’Eucaristia si deve passare al tavolo dell’essere umano, anche lebbroso e moribondo. La speranza per Madre Teresa non era una parola vuota: sperare per lei significava dare senso e significato alla sofferenza, alla Croce, a tutti coloro che vivevano senza nessuna speranza. Lei è riuscita ad entrare nel buio di tutto quello che era l’assurdità di non avere alcun diritto, tranne quello di soffrire e morire senza nessuna dignità. Madre Teresa diceva: “Sono vissuti come animali, ma muoiono come angeli recuperando in extremis la dignità e il sorriso”. Una lunga parte della sua vita, Madre Teresa ha vissuto la cosiddetta “notte dello Spirito”… Le spiego con le parole che ha usato con me Madre Teresa. Io sapevo questa cosa, ma non ero autorizzato a renderla nota prima che il postulatore facesse una scelta dei brani (delle sue lettere). Questi sono tremendi: delle volte Madre Teresa sfida Dio e gli dice: “So che mi vuoi bene, ma non mi dai più il minimo segnale. Sono pronta anche ad entrare nell’Inferno pur di farti essere contenta”. E alla fine mi disse: “Adesso ti spiego cosa ha fatto il Signore con me”; e mi spiegò facendomi un esempio straordinario e semplicissimo. Come il gioco della mamma con il figlio o la figlia: la mamma si nasconde; allora il figlio comincia a cercarla. Ad un certo punto cresce sempre più l’ansia; alla fine comincia a chiamarla: “Mamma! Mamma dove sei?”, e poi esplode nel pianto perché non la trova. Allora la madre riappare e gli dice: “Ma figlio mio, eccomi, sono qui!”. “Così ha fatto Gesù per diversi anni con me – mi disse Madre Teresa – ha fatto questo gioco. E alla fine è Lui che mi ha detto: ‘Ma Teresa, sai che siamo sempre insieme’”. Quindi il suo misticismo straordinario ha dimostrato la fedeltà anche nel silenzio, nell’oscurità e nelle situazioni dove non aveva una risposta. Lei si confidava con Gesù dicendogli: “Per te Gesù, e con te Gesù”. Tutto per Gesù e tutto con Gesù. Mi ricordo anche che dopo aver fatto una lunga adorazione, mi prese per mano vedendomi che ero talmente perplesso dalla situazione, e alla fine mi disse: “Adesso andiamo a trovare i poveri”. Al ritorno, mi fece tornare nella cappella e adorammo insieme Gesù. Poi mi guardò con due occhi che sembravano due fari scrutatori e mi disse: “Ti piace il Gesù del nostro quartiere?”. Perché tutte le persone che lei salutava, accarezzava, e alle quali dava una mano e soprattutto una risposta, erano Gesù riconosciuto e amato: non solo nell’Eucaristia, ma nella sembianze dell’essere umano molto sofferente. Che cosa ci dice oggi Madre Teresa? Una semplice risposta di Madre Teresa: “Solo l’amore salverà il mondo”. Madre Teresa lo ha confermato: la più povera del mondo ha aiutato più di tutti noi il mondo, perché ha donato il proprio cuore e la propria vita. 44


INNO ALLA VITA La vita è un’opportunità, coglila. La vita è bellezza, ammirala. La vita è beatitudine, assaporala. La vita è un sogno, fanne una realtà. La vita è una sfida, affrontala. La vita è un dovere, compilo. La vita è un gioco, giocalo. La vita è preziosa, conservala. La vita è una ricchezza, conservala. La vita è amore, godine. La vita è un mistero, scoprilo. La vita è promessa, adempila. La vita è tristezza, superala. La vita è un inno, cantalo. La vita è una lotta, vivila. La vita è una gioia, gustala. La vita è una croce, abbracciala. La vita è un’avventura, rischiala. La vita è pace, costruiscila. La vita è felicità, meritala. La vita è vita, difendila.

AMA Ama finche’ non ti fa male, e se ti fa male, proprio per questo sara’ meglio. Perche’ lamentarsi? Se accetti la sofferenza e la offri a Dio, ti dara’ gioia. La sofferenza e’ un grande dono di Dio: chi l’accoglie, chi ama con tutto il cuore, chi offre se stesso ne conosce il valore. (Santa Madre Teresa di Caclutta) 45

santa madre teresa di calcutta

templazione, il mistero del bene compiuto nell’umiltà e senza stanchezze, frutto di un amore, che “fa male”. A questo proposito, ella affermò nel celebre discorso per il conferimento del Premio Nobel a Oslo l’11 dicembre 1979: “È molto importante per noi capire che l’amore, per essere vero, deve far male. Ha fatto male a Gesù amarci, gli ha fatto male”. E ringraziando i benefattori presenti e futuri disse: “Non voglio che mi diate del vostro superfluo, voglio che mi diate finché vi fa male”. A mio avviso queste parole sono come una soglia, varcata la quale, entriamo nell’abisso che avvolse la vita della Santa, in quelle altezze e in quelle profondità che sono difficili da esplorare perché ripercorrono da vicino le sofferenze di Cristo, il suo incondizionato dono d’amore e le ferite profondissime che dovette subire. E’ l’insondabile densità della Croce, di questo “far male” del bene fatto per amore di Dio, a causa dell’attrito che esso provoca nei confronti di tutti coloro che vi resistono, in ragione dei limiti delle creature, del loro peccato e della morte che ne è il salario. Ed è anche – come si evince dalle numerose lettere che indirizzò al suo Direttore spirituale – “la notte oscura della fede”, nella quale convivono l’amore bruciante per il Signore crocifisso e per i fratelli bisognosi di cure e di pane, una fede solida e pura e – al contempo – la tremenda sensazione della lontananza di Dio e del suo silenzio. Qualcosa di simile al grido di Cristo sulla croce: “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?” (Mt 27,46). Un’altra parola, delle sette pronunciate da Gesù durante la sua agonia sulla croce, Ella volle che fosse scritta in inglese in ogni casa della sua Congregazione, al lato del Crocifisso: “I thirst”, ho sete: sete di acqua fresca e limpida, sete di anime da consolare e da redimere dalle loro brutture e renderle belle e gradite agli occhi di Dio, sete di Dio, della sua presenza vitale e luminosa. “I thirst”: è questa la sete che ardeva in Madre Teresa, sua croce ed esaltazione, suo tormento e gloria. Ella in questa vita, per il bene compiuto, ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace e tanti altri riconoscimenti ed ha visto il fiorire della sua opera, soprattutto nelle Congregazioni delle Suore Mis-


«Non tutti possiamo fare grandi cose, ma possiamo fare piccole cose con grande amore. Non capiremo mai abbastanza quanto bene e capace di fare un sorriso». Madre Teresa di Calcutta sionarie della Carità e dei Fratelli Missionari della Carità che ha fondato per continuarla. Ora in Paradiso, con Maria Madre di Dio e tutti i Santi, riceve il ben più alto premio preparato per lei fin dalla fondazione del mondo, il premio riservato ai giusti, ai miti, agli umili di cuore, a coloro che, accogliendo i poveri, accolgono Cristo. Quando Madre Teresa passò da questa terra al Cielo, il 5 settembre 1997, per alcuni lunghi minuti Calcutta rimase completamente senza

luce. Lei su questa terra era un segno trasparente che indicava il Cielo. Nel giorno della sua morte il Cielo volle offrire un sigillo alla sua vita e comunicarci che una nuova luce si era accesa sopra di noi. Ora, dopo il riconoscimento “ufficiale” della sua santità, brilla ancora più vivida. Che questa luce, che è la luce intramontabile del Vangelo, continui ad illuminare il nostro pellegrinaggio terreno e i sentieri di questo difficile mondo!

Mons. Massafra: Madre Teresa, modello per cristiani e non credenti Avrebbe compiuto 106 anni, Madre Teresa. La santa, canonizzata il 4 settembre scorso, era nata il 26 agosto 1910 a Skopje, in Albania, da una famiglia di origine kosovara. La Chiesa albanese si è preparata a questo anniversario con particolare cura e con emozione attende che la “matita di Dio” venga riconosciuta ufficialmente per ciò che già è per cristiani e non, un modello straordinario di carità per gli ultimi degli ultimi. Don Davide Djiudjaj ha chiesto una riflessione a mons. Angelo Massafra, arcivescovo di Scutari: Un messaggio che noi albanesi, sia cattolici che non, ereditiamo da questa grande donna albanese santa è il suo amore a Cristo, e per chi non è cristiano di amore, di servizio ai fratelli più bisognosi proprio in nome di Dio. Perché altrimenti – dice Madre Teresa – potremmo essere come operai sociali, mentre tutto ciò che facciamo lo facciamo in nome di Dio, in nome di Cristo, per cui questo dà valore anche alle nostre attività. Mons. Massafra, Papa Francesco ha voluto fortemente la canonizzazione di Madre Teresa di Calcutta proprio nell’Anno del Giubileo, come esempio per tutti i credenti e gli uomini… Papa Francesco ha scelto questa data in questo Anno della Misericordia perché Madre Teresa dal secolo

scorso serve oggi, con le suore e i fratelli che vivono la sua spiritualità, le persone più povere tra i poveri, con sacrifici per gli altri. Questo dimostra appunto come l’uomo oggi abbia bisogno di questa spiritualità, per cui vivere l’amore di Cristo concretizzato nel servizio ai più poveri è l’impegno che dobbiamo assumere in quest’anno, cercando di vivere le opere di misericordia spirituali e corporali sull’esempio di Madre Teresa. Madre Teresa è stimata e rispettata da tutti i credenti senza distinzione: non solo dai cattolici ma anche dai musulmani, non solo in Albania ma in tutto il mondo. Questa dimensione della sua spiritualità cosa rappresenta per il mondo albanese e per il mondo intero oggi, come valore? Certamente, con la proclamazione a Santa di una delle sue figlie più gloriose, dimostra che il nostro popolo, un piccolo popolo che nei secoli passati è sempre stato oppresso, ha consapevolezza dei diritti e doveri di reciprocità dei doni che hanno i popoli gli uni riguardo agli altri, ognuno secondo la propria fede, insieme a tutti gli altri può e deve creare una nuova umanità. Ed è quello su cui sta insistendo da tempo Papa Francesco: è possibile essere fratelli e sorelle, tutti siamo figli dell’unico Dio il quale vuole che siamo una grande famiglia. 46



Usiamo misericordia verso la casa comune

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w âÇ tÇÇÉ wxÄÄt _tâwtàÉ f|Ë nità cristiane e alle altre Religioni perché la cura per la nostra casa comune unisce tutti noi in maniera profonda. Papa Francesco, nell’annunciare che anche la Chiesa Cattolica avrebbe celebrato un giorno di preghiera per il creato, ha ritenuto, così facendo, di offrire “ai singoli credenti ed alle comunità la preziosa opportunità di rinnovare la personale adesione alla propria vocazione di custodi del creato, elevando a Dio il ringraziamento per l’opera meravigliosa che Egli ha affidato alla nostra cura, invocando il suo aiuto per la protezione del creato e la sua misericordia per i peccati commessi contro il mondo in cui viviamo”. E’ in questa ottica che si pone il primo Messaggio del Santo Padre per la Giornata Mondiale di Preghiera del Creato durante quest’Anno Giubilare della Misericordia: noi esseri umani siamo chiamati a mostrare misericordia verso la nostra casa comune, a riconoscere e a pentirci per i peccati commessi contro il creato e a modificare la nostra

CARD. PETER KODWO APPIAH TURKSON PREFETTO DEL DISCASTERO PER IL SERVIZIO DELLO SVILUPPO UMANO INTEGRALE

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’anno scorso 2015 dopo la presentazione dell’Enciclica Laudato si’, Sua Santità Papa Francesco ha annunciato che la Chiesa Cattolica, seguendo il buon esempio dei nostri fratelli e sorelle ortodossi, istituiva la “Giornata Mondiale di Preghiera per la cura del Creato”. Questo in riconoscimento del ruolo guida del caro Patriarca Ecumenico Bartolomeo, il quale ha da tempo compreso come l’abuso dei doni della creazione da parte degli esseri umanai, costituisca un grave peccato. L’idea di una giornata di preghiera per la nostra casa comune è nata dal suggerimento del suo rappresentante, mio fratello, il Metropolita Ioannis di Pergamo il quale, l’anno scorso, con mia grande gioia, è venuto qui a Roma affiancandomi nella presentazione dell’Enciclica. Noi ci uniamo anche alle altre Comu48


laudato si’ E’ adesso che siamo chiamati a riconoscere questo peccato e a mettere profondamente in discussione il nostro stile di vita, soprattutto nel caso in cui esso rifletta un “desiderio disordinato di consumare più di quello di cui realmente si ha bisogno”. Un vero esame di coscienza ci porterebbe, inoltre, a riconoscere non solo le nostre debolezze individuali, ma anche le debolezze presenti a livello istituzionale. Utilizzando le parole di Papa Francesco, siamo partecipi “di un sistema «che ha imposto la logica del profitto ad ogni costo, senza pensare all’esclusione sociale o alla distruzione della natura»,1 Ciò coinvolge tutti noi in una maniera o in altra. Se il desiderio di pentirci è sincero, dobbiamo confessare i nostri peccati contro il Creatore, il creato e contro i nostri fratelli e sorelle, così che la “grazia misericordiosa di Dio che riceviamo nel Sacramento ci aiuterà a farlo”. Solo in questo modo, dice Papa Francesco, sa-

condotta di vita attraverso la grazia della misericordia di Dio. Il primo passo da fare in tal senso è riconoscere umilmente il male che stiamo arrecando alla terra con l’inquinamento, la vergognosa distruzione degli ecosistemi, la perdita della biodiversità e lo spettro del cambiamento climatico, che di anno in anno, sembra essere sempre più vicino e pericoloso. E’ necessario comprendere che quando arrechiamo un danno alla terra, facciamo del male ai poveri, infinitamente amati da Dio. Papa Francesco ci invita ad essere onesti con noi stessi e a prendere consapevolezza del nostro peccato, che è contro la creazione, contro i poveri e contro tutti quelli che non sono ancora nati. Questo significa esaminare le nostre coscienze e pentirci. Anche se non siamo abituati a considerare come peccato questo tipo di comportamento, Papa Francesco dice che esistono peccati “che finora non abbiamo saputo riconoscere e confessare”. 49


remo pronti a modificare e a cambiare il corso delle nostre esistenze sia in una dimensione individuale che istituzionale. A livello individuale, siamo chiamati ad una “conversione ecologica” da sperimentare nella nostra quotidianità, senza pensare che il nostro impegno, anche se fatto di piccoli gesti, non serva a nulla. La virtù, anche quella ecologica, può essere infatti contagiosa: il buon esempio di un singolo può incoraggiare molti altri a fare lo stesso. L’iniziativa individuale, però, per quanto importante essa sia, non è ancora abbastanza per un cambiamento di rotta. La conversione ecologica non riguarda solo l’individuo, ma anche la comunità. E’ fondamentale, infatti, che si convertano anche gli economisti e i politici, allontanandosi dall’ossessione egoistica di un guadagno elettorale o finanziario a breve termine, e andando verso un sincero apprezzamento del bene comune. Questo è evidente se consideriamo l’agenda dello sviluppo sostenibile. Papa Francesco elogia l’adozione degli Obiettivi Sostenibili di Sviluppo e l’Accordo di Parigi dell’anno scorso, sui cambiamenti climatici, ma affinché questa agenda abbia successo, è richiesta la ferma volontà politica e l’impegno eroico da parte del mondo economico e degli affari. Anche questo fa parte del “fermo proposito di cambiare vita” inteso da Papa Francesco. Ma questo cambiamento è già visibile? Stiamo veramente modificando il nostro stile di vita? Per quanto riguarda i cambiamenti climatici, la comunità internazionale ha tracciato una linea rossa due gradi più in basso rispetto all’attuale temperatura del globo terreste. Questo richiede l’abbandono dei carburanti fossili per un maggiore utilizzo delle energie rinnovabili entro il 2070. Si tratta di un impegno importantissimo. Ma la nostra società è veramente consapevole di cosa significhi e cosa comporterà arrivare a quest’obiettivo? Noi no. L’Accordo di Parigi pone due gradi come limite massimo e ci domanda invece di limitare l’innalzamento a 1.5 gradi. Il raggiungimento di tale obiettivo è enormemente più difficile e richiederà che il “fermo proposito di cambiare vita” diventi persino più forte. Siamo all’altezza del compito? Questa responsabilità è di tutti. Papa Francesco ritiene infatti che sia compito dei cittadini esigere che ciò avvenga e che si miri ad obiettivi sempre più am-

La preghiera delle Chiese cristiane Insieme, cristiani di tutte le chiese presenti in Europa, in preghiera per il Creato. E’ quanto invitano quest’anno a fare il Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee), la Conferenza delle Chiese europee (Kek) e la Rete cristiana europea per l’ambiente (Ecen) in una dichiarazione comune diffusa oggi dal titolo: “Tempo per la Creazione – Preghiamo insieme per apprezzare e avere cura del dono della creazione”. La Dichiarazione - riferisce l'agenzia Sir - è firmata da padre Heikki Huttunen, segretario generale della Kek, mons. Duarte da Cunha, segretario generale del Ccee, e dal rev. Peter Pavlovic, segretario dell’Ecen. Offrire preghiere per il dono della creazione “Ci troviamo ad affrontare sfide urgenti – scrivono i responsabili dei tre organismi europei – in termini di degrado ambientale e cambiamento climatico e, incoraggiati dalle parole della lettera enciclica di Papa Francesco Laudato si’, a riconoscere la nostra responsabilità condivisa. Invitiamo calorosamente tutti i cristiani europei, le Chiese membri della Kek e le conferenze episcopali del Ccee, le parrocchie, le comunità ecclesiali e ogni persona di buona volontà ad aderire al Tempo per la Creazione, a celebrare insieme il Tempo per la Creazione nell’ambito delle nostre rispettive tradizioni liturgiche, e a sostenere la comune fede cristiana in Dio Creatore. Vi esortiamo, ognuno nel proprio ambiente, a offrire preghiere per il dono della Creazione”. Rispettare la creazione significa anche esprimere rispetto per gli esseri umani “Secondo il Vangelo – fanno notare le Chiese -, la responsabilità nei confronti dell’ambiente non può mai essere separata dalla responsabilità verso gli altri esseri umani: verso il nostro prossimo, verso i poveri, o i dimenticati, il tutto in un vero spirito di solidarietà e di amore. Rispettare la creazione non significa soltanto proteggere e salvaguardare la terra, l’acqua e le altre componenti del mondo naturale. Consiste anche nell’esprimere rispetto per gli esseri umani che condividono quei doni e ne portano la responsabilità”. Il messaggio del Consiglio Mondiale delle Chiese Dal canto suo il rev. Olav Fykse Tveit, segretario generale del Consiglio Mondiale delle Chiese (Wcc), in un video messaggio che è stato diffuso oggi in occasione della Giornata mondiale del Creato afferma che “Come cristiani, abbiamo speranza. Crediamo che Dio non abbandona la creazione e che noi stessi possiamo diventare fari di quella speranza diffondendo i semi di un futuro diverso”. “Facciamo appello ai nostri governi – prosegue Tveit – perchè ratifichino l’accordo di Parigi; chiediamo indicatori alternativi di crescita che misurino meglio la salute delle comunità e degli ecosistemi. Possiamo disinvestire nei combustibili fossili e reinvestire in fonti alternative sostenibili”. 50


“La rovina e la distruzione di un monumento culturale di un Paese ferisce l’eredità universale dell’umanità”. E’ dedicato anche alla protezione dell’eredità culturale di un Paese il messaggio che quest’anno il Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I ha inviato per la Giornata di preghiera per la salvaguardia del Creato che si è celebrata il 1° settembre. Bartolomeo - riferiva l'agenzia Sir - è conosciuto nel mondo come il “Patriarca verde” per il suo impegno a favore dell’ambiente che da anni lo porta sui fronti più “caldi” del pianeta. Ambiente e cultura sono uniti e di uguale valore e interscambiabili Il messaggio 2016 affronta un tema particolare: Bartolomeo ricorda il Beato Simeone lo Stilita, “grande colonna della nostra Chiesa, il cui monumento – scrive -, come altri meravigliosi siti archeologici in Siria e in tutto il mondo, come quello famoso dell’antica Palmira, annoverati a livello mondiale, tra i principali monumenti di eredità culturale, hanno subito la barbarie e gli orrori della guerra”. Alla minaccia e alla distruzione della natura, il Patriarca sottolinea così “un pari problema significativo: la crisi della cultura, che durante gli ultimi anni risulta mondiale. D’altra parte – riflette Bartolomeo -, ambiente e cultura sono uniti e di uguale valore e interscambiabili”. Proteggere l'eredità culturale mondiale minacciata dai “conflitti bellici Il Patriarca ecumenico si rivolge a “tutti i responsabili” e ad “ogni uomo” perché proteggano “parallelamente” sia “l’ambiente naturale”, “in pericolo, a causa dei cambiamenti climatici” sia “l’eredità culturale mondiale minacciato dai “conflitti bellici”. E osserva: i tesori culturali, come monumenti religiosi e spirituali, espressione bimillenaria della mente umana, appartengono a tutta l’umanità e non esclusivamente ai paesi dentro i cui confini si trovano”. Rafforzare le misure di protezione e di conservazione ininterrotta dei propri monumenti “E’ dovere e compito di ogni essere umano, in modo particolare tuttavia di ogni Paese civile, di rafforzare le misure di protezione e di conservazione ininterrotta dei propri monumenti. Così è indispensabile che ogni Stato di diritto e di legalità costituito, eviti azioni, che colpiscono l’integrità dei suoi ‘monumenti universali’ e che alterano i valori intangibili che ognuno di essi rappresenta”.

per praticare le opere di misericordia in suo nome”. E’ questo il passo che segna la vera conversione ecologica, una vera internazionalizzazione della sensibilità ecologica. Noi siamo chiamati spiritualmente e concretamente a completare la nostra opera di misericordia con la cura per la nostra casa comune. Per concludere, questo Messaggio si pone come logica conseguenza alla Laudato si’ in quanto esso ci mostra come interiorizzare l’insegnamento dell’Enciclica nelle nostre vite e nel nostro mondo. Questo Messaggio ci chiede di dare vita alla Laudato si’! Siamo pronti a rispondere all’invito di Papa Francesco e alle sfide che esso comporta? _____________ 1 Discorso, II Incontro Mondiale dei Movimenti Popolari, Santa Cruz de la Sierra (Bolivia), 9 luglio 2015.

biziosi. Ad esempio, nella Laudato si’ Papa Francesco dice che la pressione sociale, intesa anche come boicottaggio di alcuni prodotti, può costringere gli uomini d’affari a riconsiderare l’incidenza della loro produzione sull’ambiente. Non dimentichiamoci della solidarietà in chiave globale. Per pagare del “debito ecologico” contratto con i paesi vicini più poveri, i paesi più ricchi dovrebbero fornire loro i supporti tecnici e finanziari di cui essi necessitano. La stessa logica anima anche il movimento di scoraggiamento dell'investimento in carburanti fossili. Auspicando questo cambiamento nelle nostre vite e nelle nostre istituzioni, Papa Francesco ci invita ad una nuova opera di misericordia. Egli dice: “Niente unisce maggiormente con Dio che un atto di misericordia, sia che si tratti della misericordia con la quale il Signore ci perdona i nostri peccati, sia che si tratti della grazia che ci dà 51

GIORNATA DEL CREATO

Messaggio del Patriarca Bartolomeo I


Cantalamessa: “brama di profitto genera miserie” “

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a sovranità dell’uomo sul cosmo” non è “trionfalismo” ma “assunzione di responsabilità verso i deboli, i poveri, gli indifesi”. Lo ha affermato padre Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa Pontificia, all’omelia dei Vespri per la Giornata mondiale di preghiera per la cura del Creato. La celebrazione, presieduta da Papa Francesco, si è tenuta nel pomeriggio del 1° settembre nella Basilica vaticana. Padre Cantalamessa ha ricordato che fra i compiti che l’uomo ha nei confronti del Creato centrale è quello della glorificazione di Dio per le sue opere e che l’insaziabile desiderio di accrescere i profitti, produce i guasti peggiori in termini di ambiente e miseria delle persone. Un ecologismo umano in funzione dell’uomo di oggi e del futuro. Parte da qui l’omelia, dai molti riferimenti alla Teologia e alla Scrittura, di padre Cantalamessa che si rifà alla lettura prima ascoltata di San Pietro Crisologo del V secolo D.C.. Il vescovo di Ravenna metteva in evidenza come l’uomo non debba disprezzare se stesso perché tutto - la notte, il cielo, la terra - è stato fatto per lui. Il pensiero cristiano, rileva padre Cantalamessa, non ha mai smesso di interrogarsi sulla trascendenza dell’uomo rispetto al Creato. Non trionfalismo ma responsabilità verso i deboli Dio creò, infatti, l’uomo come un “essere in relazione”, "essendo la Trinità una comunione d'amore".

Ed è proprio in questo senso che “l’uomo è ‘a immagine di Dio’”. Questo non significa un dominio indiscriminato dell’uomo sul resto del creato. Al contrario, si è di più una “persona veramente umana”, quanto meno si è “egoisti, chiusi in se stessi e dimentichi degli altri”: “La sovranità dell’uomo sul cosmo non è dunque trionfalismo di specie, ma assunzione di responsabilità verso i deboli, i poveri, gli indifesi. L’unico titolo che questi hanno per essere rispettati, in assenza di altri privilegi e risorse, è quello di essere persona umana. Il Dio della Bibbia - ma anche di altre religioni - è un Dio ‘che ascolta il grido dei poveri’”. Brama di profitti provoca danni all’ambiente e miseria umana L’Incarnazione ha, poi, portato una ragione in più per “prendersi cura del debole e del povero, a qualsiasi razza o religione appartenga”. Non 52

solo Dio si è fatto uomo, ma ha scelto di essere “povero, debole e indifeso”. E mentre prima erano stati sottolineati gli aspetti ontologici dell’Incarnazione, San Francesco, con la sua esperienza di vita, ha fatto fare questo passo avanti alla teologia: quello che ha commosso il Poverello D’Assisi è “l’umiltà e la povertà del Figlio di Dio”. “In lui dice - amore per la povertà e amore per il creato andavano di pari passo e avevano una radice comune nella sua radicale rinuncia a voler possedere”: “Il Santo Padre raccoglie questo messaggio quando fa dell’intima relazione tra i poveri e la fragilità del pianeta uno degli 'assi portanti' della sua Enciclica sull’ambiente. Cos’è, infatti, che produce, nello stesso tempo, i guasti peggiori dell’ambiente e la miseria di immense masse umane, se non l’insaziabile desiderio di alcuni di accrescere a dismisura i propri possedimenti e profitti?”.



Iconologia e spiritualità del Natale di Gesù “La Vergine ha aperto a Betlemme il giardino dell’Eden; da lei Cristo, nostro Dio, si è degnato nascere: incarnato infatti da lei per amore degli uomini, egli ci ha liberati dall’amaro gusto del peccato. Avendo trovato per suo mezzo la dolcezza (…) siamo diventati commensali del suo divino retaggio” Inno tratto dal Libro delle Cerimonie, scritto dall’imperatore Costantino Porfiriogenito (X° secolo) che i cantori recitavano mentre gli imperatori ricevevano gli auguri di Natale dai rappresentanti delle corporazioni, i demi

LUCIANA SIOTTO ICONOLOGA ED ICONOGRAFA

Origini molto antiche

I

n Oriente , come ci tramanda Clemente Alessandrino, morto circa nel 215, in una sua opera intitolata “Stromata”, alcuni fissavano la data del concepimento di Gesù al 20 aprile con la conseguente datazione della nascita nella notte tra il 5 e il 6 gennaio. Vari secoli dopo il patriarca di Costantinopoli Fozio, morto circa nel 897, tratta ancora della datazione e dice: “ La Madre di Dio avrebbe ricevuto l’annuncio della concezione del Signore nel mese di aprile, che gli ebrei chiamano Nisan, ed avrebbe partorito il Signore nostro Gesù Cristo nove mesi dopo, cioè il 5 di gennaio, a mezzanotte, vale a dire otto giorni prima delle Idi di gennaio (il 13 del mese). Ma questo contrasta con un’altra opinione la quale vuole che l’Annunciazione sia avvenuta non come si è detto, bensì il 25 marzo, e che abbia partorito il Salvatore non il 5 gennaio, ma qualche giorno prima delle Calende di gennaio (il 1 del mese).” Dicendo così mostra i computi che hanno dato origine alle differenti date del Natale ancora oggi presenti tra le Chiese di Oriente e quelle di Occidente. In Oriente infatti il Natale ancora oggi è fissato al 6 gennaio e viene celebrato unitamente alla festività

dell’Adorazione dei Magi (la nostra Epifania) ed a quella della Teofania del Giordano (il nostro Battesimo di Gesù al Giordano). Per quanto riguarda la data del 25 dicembre, che ancora oggi è la data della festività latina occidentale, al di là del computo, pare invece che la scelta fu determinata dalla Chiesa di Roma di favorire la conversione dei pagani facendo coincidere il giorno dedicato al “Sol invictus”, Mitra il vincitore delle tenebre, con la nascita del “Sol justitiae”, Cristo profetizzato da Malachia (Mal. 14,2). Questa complessa varietà di opinioni dimostra che nei primi secoli non esisteva una tradizione vera e propria intorno alla memoria del Natale, perché non era la data della nascita che interessava alla Chiesa quanto il fatto che con la sua venuta sulla terra Gesù Cristo avesse dato inizio alla redenzione; pertanto la Chiesa non ne celebrò la festa se non a cominciare dal IV° secolo circa quando iniziò il processo di “selezione per accentuazione”. Comunque nel Calendario romano la festa compare per la prima volta nel 354 mentre nel Calendario bizantino appare intorno agli anni 380-381 sotto il patriarcato di san Gregorio Nazianzeno che inizia a celebrarla nella chiesa dell’Anastasis e non in una chiesa dedicata alla Madre di Dio essendo la Natività considerata una festa despotica cioè riguardante il Signore. Qualche anno dopo san Giovanni Crisostomo (morto nel 407) si adoperava per introdurla ad An54


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tiochia, fino allora molto restia alla celebrazione della festa, decantandola come “fra tutte le feste la più veneranda e la più sacra, che potrebbe chiamarsi senza tema di errare la Metropoli di tutte le feste.” Quando la pellegrina Egeria si recò in Terra Santa la Natività veniva celebrata il 6 gennaio in due stazioni: una notturna nella Basilica costantiniana di Betlemme, che custodiva la grotta, ed una diurna a Gerusalemme. Molto belle sono le Omelie sulla Natività scritte proprio da San Gregorio; leggiamone uno stralcio: “Il Signore si mette per una seconda volta in comunione con l’uomo, e in comunione molto più straordinaria della prima, in quanto la prima volta Egli mi fece partecipare alla natura migliore, ora invece è lui che partecipa all’elemento peggiore. Questo fatto è più divino del primo; questo è più sublime dell’altro, per coloro che hanno senno.”

L'iconografia si basa sui Vangeli L’iconografia della Natività ha avuto origini molto antiche ma all’inizio ha rappresentato soltanto l’Adorazione dei Magi, dalla quale ha tratto origine l’icona della Madre di Dio in trono, ed in uno stile molto simbolico come si vede nelle catacombe romane del II° e III° secolo; compare nelle sue prime forme ed elementi nel VII° secolo definendosi completamente solo nel IX° secolo in quell’articolata composizione così come è arrivata fino ad oggi e comprendente il Bambino, la Madre di Dio, Giuseppe, la stella, la roccia, i magi, gli angeli, i pastori, il bagno del Bambino, la personificazione del dubbio, gli animali e la vegetazione ; lo schema generale è rimasto sempre lo stesso perchè a definirla non è stato il caso o una tradizione fine a se stessa ma un horos del Concilio di Nicea del 787, considerato la Magna Charta dell’iconografia, che dice: “L’arte appartiene al pittore, ma la maniera in cui ha da essere disposta è di pertinenza dei venerabili Padri”. L’iconografia si basa sui vangeli di Matteo (Mt.1, 1824; 2, 1-12) e di Luca (2, 1-20), sui testi di alcuni profeti tra cui i più utilizzati sono Isaia ed Ezechiele ma anche su alcuni scritti apocrifi tra i quali il Protovangelo di Giacomo, quello dello Pseudo Matteo, il Vangelo di Tommaso ed il Vangelo armeno dell’Infanzia di Gesù, un tardivo rimaneggiamento del Protovangelo di Giacomo; sono inoltre presenti inni di innografi del IV° e VI° secolo, tra i quali spicca per la sua poeticità Romano il Melode. Un piccolo accenno ai vangeli apocrifi: guardando l’icona si nota infatti che alcune scene ed alcuni per-

sonaggi non si trovano nei vangeli canonici ma solo in quelli apocrifi che peraltro erano considerati per quello che erano cioè composizioni semplici ed aneddotiche ma estremamente simboliche e che venivano lette, come spiegazioni o aggiunte didattiche, anche in chiesa: era quasi un continuare a parlare in parabole; dagli scritti di Origene e di Clemente Alessandrino si deduce il rispetto che questi vangeli godevano presso i fedeli tutti. San Francesco fece il suo primo presepe nel 1223 a Greccio avendo ben chiara l’icona della Natività con tutti i suoi simbolismi peraltro da tutti compresi. Nell’ Icona della Natività c’è l’Epifania di Dio: Dio si mostra a noi, che siamo altro da Lui, ci appare, come il verbo greco “epiphaìnein” chiaramente dice e come commenta san Gregorio Nazianzeno (329-390): “Dio si è manifestato nascendo, il Verbo prende spessore, l’invisibile si lascia vedere, l’intangibile diventa palpabile, l’intemporale entra nel tempo, il Figlio di Dio diviene figlio dell’uomo.”(Gregorio Nazianzeno, Sermone 38; PG 36,313B). L’evento tanto aspettato dai patriarchi e predetto dai profeti, davanti alla contemplazione dei presenti, così si lascia cantare: “Che cosa possiamo offrirti, o Cristo, poiché ti sei mostrato sulla terra per noi come uomo? Ognuna infatti delle tue creature ti porta la sua testimonianza di gratitudine: gli angeli ti offrono il canto, i cieli la stella, i Magi i loro doni, i pastori la loro meraviglia, la terra una grotta, il deserto una mangiatoia. Noi, invece, una Madre Vergine.”(Inno del Vespro di Natale attribuito ad Anatolio, VIII° secolo). Ogni icona ha una composizione geometrica e tutto si svolge intorno alla Croce che viene ad essere il fulcro della Rivelazione e della stessa composizione iconografica. Anche nell’icona della Natività c’è la croce : Se tracciamo idealmente un’asse verticale ed un’asse orizzontale, definendo due fasce che si intersecano, notiamo che l’icona si divide in una parte destra, una centrale ed una parte sinistra che incrociano una superiore, una centrale ed una inferiore; l’asse verticale sta ad indicare la Discesa “Nessuno è mai salito al cielo fuorchè il Figlio dell’uomo che è disceso dal cielo “ (Gv. 3, 13) e l’asse orizzontale sta ad indicare la realtà della vita umana: Cristo scende dal cielo ma, nello stesso tempo, viene dalla terra perché è nato da quella “terra vergine “ che è Maria, è “il fiore della radice di Jesse “ (Isaia 11,1) cioè il fiore della radice di quell’albero umano che era la famiglia di Davide (Jesse era il padre di Davide secondo la genealogia di Matteo). 56


data al Concilio di Efeso del 431. Fino al VI° secolo, secondo la testimonianza di san Giovanni Crisostomo, la Madre di Dio veniva raffigurata seduta: non era chiaro infatti come il concetto di verginità si potesse abbinare con il parto (lo stesso Sant’Agostino nega la verginità durante e dopo il parto) ma dopo che il concetto di verginità “prima, durante e dopo il parto”, indicato dalle tre stelle che

Partiamo dal centro e cioè dalla Madre di Dio. Se fissiamo lo sguardo notiamo che il centro esatto della croce è costituito da un quadrato al cui centro c’è il ventre di Maria ad indicare la nascita dal suo utero, secondo la più esatta traduzione greca dall’aramaico: dunque una vera nascita; ma il ventre è in diretta corrispondenza con la testa di Gesù ( secondo gli antichi la testa era sede dell’intelletto e della volontà) ad indicare il pensiero e la volontà, da parte di Dio, di nascere da dentro l’umanità. “Dio non agisce sull’uomo, ma in lui; non opera su Maria come un dono aggiunto, ma agisce all’interno stesso della collaborazione del divino e dell’umano” (P.Evdokimov). “Dio era infatti colui che da lei nacque, perciò la natura mutò il suo corso”(Theotokion alla Madre di Dio, tono I°). Partiamo proprio dalla Madre di Dio, dalla Theotokos cioè la Partoriente Dio, secondo la definizione di lei

rappresentano il segno della santificazione operata in lei dalla Trinità, non fu più messo in discussione (soprattutto per il contributo di san Giovanni Damasceno al Concilio Efeso del 431 che si basava su Isaia 7, 14; 11, 1) Maria viene rappresenta stesa su un letto a mostrare il mistero di un parto effettivo anche se indolore ed incorrotto. “Anche nel Mar Rosso venne un tempo descritta l’immagine della Vergine ignara di nozze. Là, Mosè, il divisore delle acque, qui invece Gabriele, il ministro del prodigio. Allora, Israele attraversò il mare senza bagnarsi ora la Vergine ha generato Cristo senza contaminarsi. Dopo il passaggio di Israele il mare rimase inattraversabile; l’Immacolata, dopo la nascita dell’Emmanuele, rimase incorruttibile” (Theotokion alla Madre di Dio, tono V°). “Raffigura la luce emanante dal roveto del Sinai. In esso, infatti, scorgiamo la premessa del mistero della Vergine dal cui parto è sorta sul mondo la luce di Dio.

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Dal Padre da cui è disceso Gesù ha preso il DNA divino, da Maria il DNA umano. Lo stesso canto di sant’Alfonso Maria dei Liguori “Tu scendi dalle stelle…” ce lo ricorda. L’asse orizzontale divide l’icona in tre fasce: in alto i Magi e gli angeli; al centro ancora angeli, la caverna, il Bambino, la Madre di Dio e i pastori; in basso Giuseppe, il Dubbio-Adamo, il gruppo del Bagno.


Questa lasciò intatto il roveto da cui proveniva come il parto non ha inaridito il fiore della sua verginità. “ (Gregorio Nisseno, II° 21, 119 ) In qualche tardiva icona (dal XIV° secolo in poi) è raffigurata inginocchiata ma questo avvenne per l’influenza che alcuni testi mistici occidentali ( in modo particolare quelli di Santa Brigida) ebbero sull’arte figurativa. Nella nostra icona è girata non verso il Bambino, come ci si aspetterebbe e come tutte le Natività occidentali raffigurano, ma verso il contemplante; sono da leggere in questa postura un elemento umano, uno spirituale ed uno teologico : Il primo elemento tutto umano è il rifiuto del parto che ogni donna prova subito dopo il parto, ma anche l’espressione del dispiacere di non poter offrire che poco al Figlio di Dio, come bene esprime Romano il Melode: “l’umana mestizia di una madre che voleva dare qualcosa di più al suo Signore e sembra dire: ¬¬ Quando Sara mise al mondo un bambino ricevette delle vaste terre in omaggio, io invece non ho un nido: mi è stata prestata questa caverna dove tu hai voluto abitare, mio piccolino, Dio prima dei secoli. “ (Romano il Melode XII, 3 ). Il secondo elemento presente, quello spirituale, è nella fatica del cammino che pure la Vergine ha dovuto affrontare per essere sorella e madre di Gesù “Ecco mia madre ed ecco i miei fratelli; perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre (Mt. 12, 49-50): l’adesione alla volontà del Padre espressa in quella del Figlio che si sarebbe realizzata nella croce e nella partecipazione alla sofferenza di tutta l’umanità. Il cammino di Maria, iniziato con il suo “fiat”, si concretizza proprio nel momento della nascita quando diventa realtà visibile il Figlio di Dio; così Maria inizia la sua “teognosi”, il suo cercare di comprendere, di prendere dentro di sé, insieme a sé, il Pensiero del Padre fatto realtà “Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore” (Lc. 2,19) e la posizione della mano sotto il mento rende visibile questo concetto. Questo atteggiamento di spiritualità ci introduce all’aspetto teologico perché il pensare su Dio, il pensare Dio il parlare con Dio è preghiera ma anche vera teologia. Ma l’elemento teologico più evidente è il suo essere girata “contro”; non è questo un gesto di chiusura (paradossalmente lo sarebbe se fosse girata verso il Figlio: lui e lei senza tutti noi) ma di apertura: è l’espressione ontologica della Trinità ed il simbolo di Essa: come la

Trinità manifesta l’Amore del Padre e del Figlio nello Spirito e per lo Spirito così il Figlio di Dio e la Madre manifestano l’Amore nell’uomo e per l’uomo. La sua mano destra è ricoperta dal mantello e questo è il segno di voluto asservimento alla volontà del Padre su di lei. Lei è pros, protesa verso l’uomo, lanciata verso l’uomo, diventando così figura della Chiesa e di questa Missionaria Lei è il Proskinitarion, il leggio su cui vengono adagiate le icone nelle chiese ortodosse, lei che è icona della Chiesa e qui, in questa icona, il leggio è il letto di porpora su cui è adagiata. Il lenzuolo di seta rossa, preso dal rituale dei parti delle imperatrici bizantine nella stanza regale detta Porfiria, è emblema della regalità ma è anche anticipazione della regalità della Passione, Morte e Resurrezione di Gesù la cui compartecipazione viene proprio prefigurata in questo mantello adagiato sulla roccia: è il mantello di porpora della passione, il mantello dello sposalizio: “Io ti ho amata di un amore eterno; perciò ti ho conservato il mio favore” (Ger. 2, 20) “Passai vicino a te e ti vidi mentre ti dibattevi nel sangue e ti dissi: Vivi nel tuo sangue e cresci come l’erba del campo. Crescesti e ti facesti grande e giungesti al fiore della giovinezza: il tuo petto divenne fiorente ed eri giunta ormai alla pubertà; ma eri nuda e scoperta. Passai vicino a te ti vidi; ecco la tua età era l’età dell’amore; io stesi il lembo del tuo mantello su di te e coprii la tua nudità; giurai alleanza con te, dice il Signore, e divenisti mia. Ti lavai con acqua, ti ripulii del sangue e ti unsi con olio….Così fosti adorna di oro e di argento; le tue vesti erano di bisso, di seta e ricami; fior di farina e miele e olio furono il tuo cibo; diventasti sempre più bella e giungesti fino ad essere regina. La tua fama si diffuse fra le genti per la tua bellezza, che era perfetta, per la gloria che io avevo posta in te, parola del Signore Dio”(Ez.6, 6-9; 13-14). Il sangue in cui noi ci dibattiamo è da Cristo stato assunto sulla croce, ma è il suo quello che annulla il nostro carico di peccato; e la regalità è la Sua di cui rende partecipe la Madre. Rivestita di un mantello morello, colore indicante la mescolanza dell’amore trinitario (il rosso) con il suo essere creatura (il verde) e con il mistero dell’essere (il blu), il mistero di una persona che unisce in sé il massimo della trascendenza con il massimo dell’immanenza, il Vero Dio ed il Vero Uomo, che lei ha tessuto nel suo ventre, è di grandi proporzioni rispetto alle altre persone e rispetto allo stesso Bambino, ma è pro58


La luce risplende fra le tenebre La caverna viene comunemente chiamata grotta ma il vangelo apocrifo dello Pseudo Matteo parla di “una spelonca sotterranea dove non c’era mai stata luce” ed Origène: “Egli è entrato nelle fauci e, come Giona nel ventre del cetaceo, ha soggiornato tra i morti, non perché vinto, ma per recuperare, quale novello Adamo, la dramma perduta: il genere umano. I cieli si inchinano fin nel profondo dell’abisso, nelle profonde tenebre del peccato. Fiaccola portatrice di luce, la carne di Dio, sottoterra dissipa le tenebre dell’inferno. La luce risplende fra le tenebre, ma le tenebre non l’hanno vista. “ La grotta perciò rappresenta gli Inferi che si aprono come le fauci di un drago che tenta di ingoiare il Bambino; l’Apocalisse ce ne parla: “Il drago si pose davanti alla donna che stava per partorire per divorare il Bambino” (Ap. 12 ,45). C’è una perfetta analogia con l’icona dell’Anastasis dove la caverna dell’Ade rappresenta il nulla, il freddo, le tenebre, l’illusione , il peccato; Sant’Anselmo parla del male come “assenza del dovuto bene”. Si può a questo punto accennare a come si produce il colore dando alla spiegazione di fisica ottica un’ in59

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terpretazione spirituale: il colore di ogni materia è prodotto dai raggi di luce trasportati da onde elettromagnetiche che, penetrando nella materia, a seconda della composizione chimica, vengono riemessi nei complementari dei vari spettri di luce; la materia cioè assorbe la luce e la riemette per quello che è; noi assorbiamo la luce di Cristo e la riemettiamo per quello di cui siamo capaci: noi siamo i colori di Cristo. Il nero invece non è un colore perché assorbe la luce ma l’inghiotte non riemettendola; è una mancanza di colore: diventa l’emblema di chi assorbe la luce ma non la riflette e non la rifrange. Il nero è il colore degli Inferi dove la luce invece di espandersi fuori viene inghiottita e sparisce; è quello che il demonio voleva fare: inghiottire fino ad annullare la luce di Cristo. In iconografia è usato solo ed esclusivamente per la roccia di Adamo nella Crocifissione, nell’Anastasis, nelle Mirrofore, nella Trasfigurazione e nella Natività; in tutte queste caverne il nero non è mai assoluto perché ad esso si aggiunge sempre un barlume di colore, o rosso o nero, un barlume di luce; perchè qui, il drago che cerca di divorare, di inghiottire, di fare proprio il Bambino che è il Tutto, mangiandolo, sappiamo che verrà sconfitto dal Tutto che riempie il Nulla e non viene da esso annullato o divorato: Le viscere della terra accolgono il seme della Divinità. Alcuni padri del deserto parlano di redenzione dello stesso demonio. Negli scritti apocrifi del Protovangelo di Giacomo Giuseppe facendo scendere dall’asino Maria perché era giunto il momento del parto e chiedendosi dove avesse potuto portarla perché il luogo era “deserto”, trovò lì un “grotta” e ve la condusse. E ancora, così si canta in un Inno alla Grande Ora I° di Natale “Non avevano trovato posto nell’albergo ed alla regina veniva additata una grotta come piacevole dimora” Ed infine il vangelo di Luca: “Ora mentre si trovavano in quel luogo (Betlemme), si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia perché non c’era posto per loro nell’albergo.”(Lc. 2, 6-7) Al centro della grotta, però, non troviamo una greppia o una culla ma una tomba, un sepolcro , la prefigurazione della morte. All’epoca di Gesù in Palestina non c’era l’abitudine di fasciare i bambini quindi l’accenno di Luca non è realistico ma simbolico.

prio la sua grandezza a dimostrare la specificità della sua natura e della sua persona che è il centro vitale dell’incarnazione e che, stando allo spartiacque tra l’Antico e il Nuovo testamento, li unisce definitivamente; il suo ventre infatti è l’emblema che produce simbolo, cioè l’unione con le viscere di Dio, l’elemento femminile e materno della Trinità, lo Spirito, che gli ortodossi non a caso chiamano Immì, Mammina. E’ posta in prossimità del cuore della montagna e questo cuore è una grotta, una caverna. Vale la pena puntualizzare il luogo di nascita di Gesù e per questo ci avvaliamo degli studi che gli archeologi francescani hanno condotto in Palestina: in realtà sappiamo che Giuseppe e Maria si erano rifugiati nel “Katalyma”, quel luogo situato tra la casa e la stalla che di solito era concesso come rifugio ai pellegrini. Molto bella è la lettura spirituale che se ne può dare: il Katalima non è una stalla, la dimora degli animali, ma neanche la casa: è il nostro luogo, quello della nostra vita, la nostra terra: non abitiamo nella materialità più totale senza percezione della nostra divinità ma non siamo ancora nella casa del Padre; siamo in un punto, precario e transitorio, che attraversiamo, così come precario e transitorio è stato l’evento della nascita di Gesù: sarebbe andato alla casa del Padre per e con tutti noi.


Perché allora Luca parla di fasce ? Le fasce sono le bende mortuarie, la prefigurazione della morte ma una prefigurazione epifanica, un “ecco” che desta i cuori , una rivelazione di tutto l’evento dell’economia della salvezza. “Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce” (Lc. 2, 12) Le fasce sono per i pastori segno di riconoscimento del Bambino (Lc. 2, 13). Come saranno il segno tangibile della resurrezione per le donne, Pietro e Giovanni davanti al sepolcro vuoto “..Simon Pietro..entrò nel sepolcro e vide le bende per terra…Allora entrò anche l’altro discepolo..e vide e credette” (Gv. 20, 6-8) Sappiamo però che non erano riusciti a bendare Gesù a causa della parasceve tanto che le donne, le Mirrofore, portatrici di unguenti, vanno il giorno seguente il sabato per compiere questo atto di amore; come pure sappiamo che non era in una stalla e quindi che non c’era una mangiatoia ed allora cosa ci ha voluto dire Luca? Con le fasce della nascita ma anche della morte ci ha annunciato la morte ma anche la resurrezione “ Il suo corpo fu come esca, gettato in braccio alla morte, affinchè mentre il drago infernale sperava di divorarlo, dovesse invece vomitare anche coloro che aveva già divorato”( san Cirillo di Gerusalemme, Catechesi, XII, 15).

Assume la carne... “…Assunse la carne per dare sovrabbondanti le sue grazie… Egli infatti precipitò la morte per sempre ed asciugò da tutti gli occhi le lacrime.” (G. Passarelli , Icone della dodici grandi Feste bizantine, Jaka Book). Una piccola nota di antropologia: anticamente l’abitudine di fasciare i neonati perché crescessero diritti, derivava proprio dalla considerazione della salvezza che Gesù con la sua morte e resurrezione ha portato al mondo: ” salus”, come salvezza-salute) Con la mangiatoia Luca ha espresso la grande valenza eucaristica dell’Evento della Natività che l’icona riproduce in immagine: la mangiatoia è il posto in cui la bestia torna sempre per mangiare, è il posto della sicurezza e della sopravvivenza. Ciascuno di noi ha il suo peccato in cui si rifugia sempre e dal quale attinge il cibo per la sua sopravvivenza credendo di prendere là la sua vita; torna alla sua mangiatoia come la bestia, ed è proprio là che va a nascere il Figlio dell’Uomo: è lì che si fa mangiare, è nel peccato dell’uomo che il Cristo depone il suo corpo. Nel deserto, quando rifiuta la tentazione ”Se sei Fi-

glio di Dio, dì che questi sassi diventino pane” (Mt. 4,3), ripercorre in un eterno presente, quello che già era prefigurato fin dalla nascita: il pane non si trova nel deserto del mondo ma nel deserto orrido dell’Ade e viene offerto dal demonio come pane di felicità: fosse pure pane di sopravvivenza non è certo pane di Vita. Cristo è lì, nel deserto degli Inferi, e aspetta che l’uomo Lo mangi al posto del peccato, che si nutra di Lui. La Roccia è spaccata causando un antro degli Inferi, una carie di peccato, che proviene dall’interno dell’umanità ma è proprio da questo “dentro”, da questo interno che il Bambino riempie il Nulla col suo Tutto. E’ raffigurato piccolo non per un realismo pittorico ma per esprimere l’emblema della Trasfigurazione: Cristo da un embrione, impronta dell’umana piccolezza e debolezza, raggiunge la Pienezza, si avvicina e si stringe a noi perché noi, stringendoci a Lui, possiamo ricevere la Sua Pienezza che, attraverso la Sua umanità, si rivela. Ma andiamo ancora avanti. “Il terzo giorno dopo la nascita del Signore Gesù Cristo, Maria uscì dalla grotta e, entrando nella stalla, pose il Bambino nella mangiatoia. Il bue e l’asino lo adorarono.” (Vangelo dello Pseudo Matteo, XIV°). Origene, riferendosi ad Abacuc 3,2 dice: “Tra due animali sarai riconosciuto” ed infatti intorno a Gesù ci sono il bue e l’asino (nell’iconografia russa spesso è il cavallo). Sant’Ambrogio e Sant’Agostino seguendo le Scritture identificano il bue-toro agli ebrei e l’asino-cavallo ai gentili; il paganesimo idolatra e la concupiscenza della carne valgono per tutti: “Ho generato dei figli e li ho cresciuti, ma essi si sono allontanati da me. Il bue conosce il suo proprietario e l’asino la greppia del suo padrone. Ma Israele non mi ha conosciuto, il mio popolo non mi ha compreso.” (Isaia 1, 2-3). Le parole di Gesù ce lo confermano: “In verità vi assicuro che neppure in Israele ho trovato una fede sì grande. Ora, dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e si assideranno alla mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, ma i figli del regno saranno gettati nelle tenebre esteriori, dove sarà pianto e stridore di denti.” (Mt. 8, 10-13). C’è però anche un’altra interpretazione da aggiungere: il bue ha sempre rappresentato l’abbondanza, la salvezza e la pace ; l’asino ed il cavallo sono sempre state cavalcature regali, l’asino in tempo di pace ed il cavallo in quello di guerra. 60


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metta una stella all’ingresso della nostra casa a simboleggiare che la nostra luce proviene dalla Luce di Cristo, che per noi si sono aperti i cieli. La porta della Trinità si apre, si riapre l’Eden, la piana irrigata e viene nuovamente dato l’accesso al Monte Sion, la montagna messianica: “Il monte del tempio del Signore sarà eretto sulla cima dei monti e sarà più alto dei colli… Egli (il Cristo) agiterà la mano verso il monte della figlia di Sion, verso il colle di Gerusalemme” (Isaia 2,2; 10, 32). “Non si farà più male, non si farà più guasto su tutto il mio santo monte, perché il paese sarà pieno della gloria del Signore.” (Isaia 7, 25). “ La montagna del Signore viene al mondo, oltrepassa e trascende ogni collina e ogni montagna, cioè l’altezza degli angeli e degli uomini” (G. Passarelli, o.c.) Questa montagna, questa roccia irrigata dallo spirito e che tutto irriga “Su ogni monte scorreranno canali e torrenti d’acqua” (Isaia 30, 21-23), è Cristo. Nell’icona la roccia termina con tre cuspidi, ad indicare la Trinità e quella centrale è Cristo . Tutte le parti dell’icona sono ricomposte riunificate, ricapitolate: la roccia unisce tutto. Tutto è ricapitolato in Cristo- Roccia -Pantocrator. La roccia è piena di sole, brillante, dorata: lo Spirito santo scende verticalmente come il solo del meriggio che non fa ombra (nelle icone non ci sono mai le ombre). La Gerusalemme celeste si fa vedere in Cristo e tutto il cosmo scoppia in una lode al Padre: “Se tu squarciassi i cieli e scendessi! Davanti a te sussulterebbero i monti” (Isaia 63, 19) ma i cieli si sono squarciati ed il Padre nel Figlio è sceso: la Redenzione cosmica è iniziata! Assistono a questo evento, oltre agli animali ed alla vegetazione, tutta la natura angelica accorsa per lodare col canto il Figlio di Dio reso uomo: sono attoniti perché mai avrebbero voluto vedere il Logos Sempiterno diventare uomo ed affrontare la morte ma contemporaneamente adorano, si inchinano e si mettono a servizio di Cristo: le mani coperte dal mantello (cocolle) li definiscono come i “grandi liturghi, i ministri della liturgia cosmica nuova; nel gruppo di sinistra si inchinano in adorazione ed in quello di destra sono pronti ad insegnare all’uomo la via nuova, la vita, la verità nuova.

Isaia inoltre ci dà una visione escatologica di speranza certa annunciando un’era di unione e di pace ecumenica universale: “I buoi e gli asini che lavorano la terra mangeranno la biada saporita ventilata con la pala e il vaglio “ (Isaia 30, 24). “Un fascio di luce discende sulla grotta e comprende in sé la stella che guida i Magi: è la luce che apparve ai gentili e fu nascosta ai giudei” (Ouspensky). Il fascio di luce nel suo percorso discende dal cielo alla terra e si suddivide in tre raggi diretti verso il Bambino: è l’unità e trinità di Dio che si manifesta come luce. Ma cos’è la stella? “Una forza invisibile che aveva assunto quell’aspetto”, secondo Giovanni Crisostomo;” Una virtù”, per Romano il Melode; o certamente “Un angelo del Signore”, sostiene Teodoro Studita (759-826) In iconografia è l’emblema dello Spirito Santo che unitamente a Maria fa sorgere in Israele il Re: “Una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele” (Nm. 24,17). “Stillate, cieli, dall’alto e le nubi facciano piovere il Giusto; si apra la terra e produca la salvezza e germogli insieme la giustizia” (Isaia 45, 8). I cieli si aprono, concetto di Teofania , si srotolano, il buio trinitario diventa sempre meno buio e sempre più visibile: simbolo del Mistero che scende dalle altezze e si fa vedere dagli occhi fisici dell’uomo. “E’ apparsa infatti la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini” (Tt 2, 11). La stella è il compimento della profezia di Isaia: “Sorgi! Sii raggiante perché la tua luce viene e spunta la gloria del Signore. Mentre le tenebre avvolgono la terra e l’oscurità si stende sui popoli, ecco su di te si leva il Signore e la sua gloria su di te si rivela. Le nazioni cammineranno alla tua luce ed i re allo splendore della tua aurora. Guarda: da tutte le parti si adunano e vengono a te, tu chiami i figli che giungono da lontano.” (Isaia 60, 1-4). Una piccola curiosità che mostra quale importanza gli ortodossi diano alla stella: nel rito della proscomidia, la preparazione dei doni, sopra l’agnello (prosfora) e appeso sopra il discos ( la nostra patena), c’è un asterisco, una stella ad indicare la luce che viene dall’alto. Se non si ha la possibilità di allestire un presepe, si


Nella fascia centrale, insieme agli angeli sono raffigurati i pastori: sono l’emblema dell’abbandono; la loro vita consiste nella totale e perenne ricerca di pascolo perché il loro gregge e loro stessi possano vivere; si spostano e camminano continuamente, senza mai essere certi di trovare il pascolo abbondante e rigoglioso, ma si fidano di Dio. Con loro non siamo in presenza di un semplicismo o di una povertà economica (ricordiamoci che il re Davide era un pastore), ma della “semplicità” di visione della vita. La ricerca dell’essenziale e del semplice ha fatto loro ascoltare gli angeli: hanno cercato il Signore ed hanno visto il frutto della giustizia. Non dobbiamo dimenticare però, nella fascia in alto a sinistra, il gruppo dei Magi. A piedi o a cavallo sono la rappresentazione iconografica della fede e della ragione. “Avevano osservato due anni prima in Persia una stella, raffigurante al centro l’immagine di una vergine che reggeva in seno un fanciullo coronato” (Giovanni di Hildesheim, La storia dei re magi, ed. A.M.

Di Nola, Firenze). ”Appena videro l’astro che guidava a Dio, tennero dietro al suo fulgore: l’ebbero come faro e con esso cercavano il potente sovrano e giunti in Palestina domandarono: Dov’è nato il re dei giudei?” (Inno Akatistos) ma i giudei non avevano compreso che la stella , visibile ai magi, era la via e la via era Cristo, “la stella luminosa del mattino” (Ap. 22, 16). Astronomi e matematici sono i santi e i giusti dell’Antico Testamento e rappresentano l’amore per la ricerca della verità e l’obbedienza ad una ispirazione spirituale. Dio si serve di noi che lo vogliamo servire usando gli stessi doni da Lui donatici: il dono della conoscenza degli astri diventa lo stimolo per seguire una “stella” e da questa si fanno guidare. Il loro è un cammino in salita: cavalcano dei cavalli che rappresentano la cavalcatura della guerra, della lotta; affrontano la fatica di una salita (ascesi): è un vero e proprio cammino spirituale contro l’assolutizzazione della ragione che la scienza tanto proclama, della propria intelligenza e delle proprie comodità ed infine trovano Dio. Un piccolo particolare che in questa icona non è presente ma in tante altre sì: quando sono a piedi portano degli “scrigni”, che il testo greco traduce dall’aramaico con “tesori”, “doni”: sono i doni che Dio stesso ha dato agli uomini perché possano trovarlo, doni dello Spirito Santo trasformanti e che vengono riofferti a Dio: la tradizione ed anche quella iconografica anticipano l’anafora eucaristica. “I figli dei Caldei videro nelle mani della Vergine Colui che con le sue mani plasmò gli uomini; comprendendo essere lui il Signore, benché avesse preso la forma di servo, si affrettarono ad onorarlo con un triplice dono, come l’inno dei Serafini che lo proclama tre volte Santo; e la Vergine, con affetto materno, strinse a sé il Salvatore e gli sussurrò: Ricevi, o mio Bambino, questa trinità di doni, ed accorda tre richieste a colei che t’ha messo al mondo: ti prego per l’aria, per i frutti della terra e per tutti quelli che abitano in essa. Riconciliali tutti.” (Romano il Melode). Ma andiamo avanti guardando e contemplando la fascia inferiore nella quale si trova il gruppo di Giuseppe e quello del Bagno del Bambino. Giuseppe è sempre posizionato in disparte ad indicare la sua non partecipazione alla generazione fisica; i suoi colori sono quelli della terra, della creaturalità: il verde e l’ocra; impersonifica l’uomo col suo dramma e la sua reazione di fronte al mistero: Leggiamo un testo, preso dal protovangelo di Giacomo, che ben ci mostra tutto ciò.

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niche di pelle e li vestì”(Gn. 3, 21): il loro razionalismo sterile li aveva resi nudi. Il significato di fondo resta lo stesso: Giuseppe non si affida subito e non accetta subito ed a priori il Mistero che lo circonda , e qui è tutta la sua creaturalità; il demonio, o dubbio che sia, lo stuzzica con un bastone dicendogli, come il mondo slavo tramanda nei suoi versi, : “Come questo bastone non può fiorire, così una vergine non può partorire” ma qui ci viene in aiuto proprio Romano il Melode: “Ora contemplo la verga di Aronne, che fiorì senza irrigazione. Isaia, il figlio di Amos, aveva esclamato:Ecco, spunterà un virgulto dal ramo di Jesse e, dalla radice, un fiore . Chi è il virgulto di Aronne e di Jesse? E’ Maria che, senza intervento d’uomo, dette frutto: così una vergine partorisce e dopo il parto rimane vergine.” Di fronte a Giuseppe vediamo il virgulto diventato arboscello. A destra notiamo l’ultimo elemento: Il bagno del Bambino. In un’omelia attribuita al patriarca Teofilo di Alessandria, databile al VI°-VII° secolo, l’autore riferisce una visione in cui la Vergine gli avrebbe raccontato ”Salimmo per il monte a questa casa deserta e vi entrammo, (…) trovammo un pozzo d’acqua perché potessimo lavare mio figlio e lo condussi verso il pozzo.

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“…Vedendo Maria incinta, si percosse il viso e si gettò a terra sul suo mantello e pianse amaramente dicendo: Con che faccia volgerò lo sguardo verso il Signore Iddio, che cosa dirò per lei poiché l’ho ricevuta vergine dal tempio del Signore Iddio e non l’ho custodita. Chi mi ha sorpreso? Chi mi ha compiuto questo male nella mia casa? Chi si è impadronito della Vergine mentre io ero lontano e l’ha profanata? Non è che ricomincia in me la storia di Adamo? Come infatti Adamo era in preghiera, il serpente venne e trovò Eva sola e la ingannò e la corruppe, così è avvenuto per me. E si alzò dal suo mantello e la chiamò e le disse: Tu, l’eletta di Dio, che cosa hai fatto? Hai abbandonato il Signore Dio tuo? Perché hai abbassato la tua anima, tu che sei stata allevata nel Santo dei Santi e che venivi nutrita dalla mano di un angelo? E piangendo amaramente lei rispose: Sono pura e non conosco uomo. E Giuseppe disse: Da dove è questo che è nel tuo seno?, e quella rispose: Viva il Signore mio Dio perché non conosco da dove è quello che è in me, e Giuseppe ebbe paura e si tenne lontano da lei chiedendosi che cosa fare di lei. Se nascondo il suo peccato, pensò dentro di sé, disobbedirò gravemente alla legge del Signore; e se la denuncerò ai figli di Israele, ho paura, per quello che in lei è stato concepito da un angelo, e tradurrò così un sangue innocente al potere della morte. Che cosa farò di lei? L’allontanerò da me segretamente. E scese su di lui la notte. L’avvolsero le tenebre, le tenebre della notte che avvolsero Giuda la notte del tradimento… Con il cuore in tumulto fra pensieri contrari il savio Giuseppe ondeggiava” (Inno Akatistos). Il suo atteggiamento è inizialmente di chiusura, di dubbio lacerante, ma le mani rivestite dal mantello indicano il servizio: avrebbe provveduto a lei ed al Figlio . Se notiamo bene, vediamo che la curva delle spalle, unitamente alla testa, termina nel ventre della Madre: siamo di fronte ad un dubbio ma anche ad un pensiero fisso sulla maternità della sua sposa, sulla sua fecondità , ed involontariamente porta Lei e il Figlio a Betlemme che vuol dire “Casa del pane”, Betlemme di Efrata che vuol dire “la fruttifera”, cioè la portatrice di frutti: la porta lì dove l’albero di Israele avrebbe prodotto il suo frutto. Di fronte a lui, rivestito di pelli di pecora, c’è una figura interpretata in svariati modi: la personificazione del dubbio, il demonio, il vecchio Adamo, amorevolmente rivestito di una tunica di pelle da Dio stesso dopo la caduta “Il Signore Iddio fece all’uomo e alla donna delle tu-


(…) Entrati all’interno della casa e sedutici, io e Giuseppe e Salome e il mio figlio diletto, Salome si aggirò e trovò così un bacino ed un’olla, come se fossero stati preparati per noi. Era sempre Salome che lavava mio figlio, mentre io gli davo il latte”. L’omelia ebbe larga diffusione ma non sappiamo in che misura abbia contribuito alla definizione dell’iconografia ma è plausibile affermare anche il contributo della cultura e dell’arte ellenistica con le celebrazioni delle nascite e dei bagni purificatori dei re e degli eroi. L’icona però è incentrata sulla narrazione dell’episodio relativo all’ostetrica ed il significato che la relazione sacramentale bagno-battesimo ha assunto per l’economia della salvezza; per capirlo leggiamo il brano del Protovangelo di Giacomo relativo all’episodio stesso, narrato in prima persona da Giuseppe che, lasciata Maria nella grotta, uscì a cercare un’ostetrica nella regione di Betlemme: “Vidi una donna discendere dalla collina e mi disse: Uomo dove vai? Risposi: Cerco una levatrice ebrea. E lei: Sei di Israele? Le risposi: Si. E quella mi domandò ancora: Chi è la donna che ha partorito nella grotta? Risposi: La mia promessa sposa. Allora mi chiese: Non è tua moglie? Le risposi: E’ Maria, quella che è stata allevata nel Tempio del Signore e l’ho ricevuta come sposa, ma non è mia moglie, ha concepito di Spirito Santo. La levatrice disse: E’ vero questo? Le risposi: Vieni e vedi. E l’ostetrica andò con lui. Si fermarono nel luogo della grotta ed ecco che una nube splendente copriva la grotta. L’ostetrica disse: Oggi è stata magnificata l’anima mia, perché i miei occhi hanno visto delle meraviglie e perché è nata la salvezza per Israele. Subito la nube si ritrasse dalla grotta, e nella grotta apparve una grande luce che gli occhi non potevano sopportare. Poco dopo quella luce andò dileguandosi fino a che apparve il Bambino: venne e prese la poppa di Maria, sua madre. L’ostetrica esclamò: Oggi è per me un gran giorno, perché ho visto questo nuovo miracolo. Uscita dalla grotta la levatrice incontrò Salome e le disse: Salome, Salome, ho da raccontarti un nuovo portento: un vergine ha generato, cosa che non ha scalfito la sua natura. E Salome rispose: Viva il Signore mio Dio: se non metterò il mio dito e non esaminerò la natura di lei non crederò che una vergine abbia partorito. Entrò l’ostetrica e disse a Maria: Mettiti bene, attorno a te c’è un non lieve contrasto. Salome mise il suo dito nella natura di lei e mandò un grido, dicendo: Guai alla mia iniquità ed alla mia incredulità, perché ho tentato il Dio vivo ed ecco che ora la mia mano si stacca da me, bruciata. E piegò le

ginocchia davanti al Signore, dicendo: Dio dei miei padri, ricordati di me che sono della stirpe di Abramo, di Isacco e di Giacobbe. Non fare di me un esempio per i figli di Israele, ma rendimi ai poveri. Tu, Padrone, sai infatti che nel tuo nome io compivo le mie cure e la mia ricompensa io la ricevo da te. Ed ecco apparirle un angelo del Signore, dicendole: Salome, Salome, il Signore ti ha esaudito: accosta la tua mano al Bambino e prendilo su, e te ne verrà salute e gioia. Salome si avvicinò e lo prese in braccio dicendo: L’adorerò perchè ad Israele è nato un gran re. E subito Salome fu guarita e uscì dalla grotta giustificata.” (Protovangelo di Giacomo, 19-20). La straordinarietà del parto realmente avvenuto viene confermata da due donne, i cui nomi ci vengono trasmessi da vangelo apocrifo di Tommaso: Zelomi e Salome; questo testo, nella sua semplicità narrativa, è denso di verità teologiche delle quali due sono importantissime: la perdurante verginità di Maria dopo il parto, comprovata anche ginecologicamente ”Dopo aver partorito Gesù fu trovata intatta” (Epifanio di Salamina, Panarion) e il carattere soprannaturale della sua maternità che Dio accompagnava con segni miracolosi (la guarigione della mano) nella donna incredula. La donna che Giuseppe aveva incontrato per prima, nel Protovangelo di Giacomo, si dichiara essere Eva; San Cirillo di Gerusalemme dà la stessa interpretazione: 64


Il silenzio di Maria La conseguenza fu che si considerò giusto che ad occuparsi del bagno del Bambino, fosse la prima donna incontrata, la progenitrice dell’umanità: Eva. Il silenzio di Maria in tutti questi ultimi dialoghi riguardanti un parto straordinario e il suo partorire da sola, così come ci viene tramandato, ci introducono nel Mistero che la scienza non può analizzare e decifrare ma che vengono consegnati alla fede. Il fonte battesimale rappresenta il sepolcro liquido, il seppellimento nella morte, lo stesso nel quale si è immerso Cristo al Giordano; l’inabbissamento, Katàbasis, negli Inferi, rappresentati dal mare (Ade,Inferi) e dall’acqua del fonte, con la conseguente risalita, Anàbasis, uscita e resurrezione, con il cambiamento dell’acqua mortifera in acqua di vita, espresso dalla brocca che versa acqua nuova,sono il battesimo di Cristo che dà al nostro battesimo la possibilità di essere e la rinascita dell’ onthos , dell’ essenza ontologica. Cristo ci consegna la nostra piccola porzione di Ade nella quale c’è sempre Lui che tramuta l’acqua mortale in acqua vitale: è la prima nota di ordine teologico di questo quadro; ma c’è una seconda nota, di ordine spirituale e che riguarda le tre venute di Gesù Cristo: la prima, che corrisponde al suo concepimento , alla sua nascita nella realtà del mondo e la sua morte al mondo; la seconda, che si avvererà con la Parousia e che riguarderà la morte definitiva del male; e una terza nascita, che sta in mezzo, e che consiste nel concepimento, nel parto di Gesù nella nostra vita e nella nostra morte al mondo: nascita nascosta e misteriosa come la prima, ma che diventa tramite noi

L'Icona Natale del Signore è di Luciana Siotto.

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manifesta e teofanica, cioè rivelatrice della presenza (Parousia) di Dio nel mondo. A conclusione della spiegazione parliamo dell’oro che spesso ricopre lo sfondo delle icone: rappresenta la luce taborica, quella del Monte Tabor, che emana dalla Trinità; nei manuali di pittura iconografica l’oro viene chiamato “ouranòs” cioè “i cieli” e spesso gli iconografi lo chiamano “Phos”,” luce”; è stato scelto perché in qualità di metallo non assorbe la luce ma la riflette immediatamente in tutta la sua brillantezza anche con poca luce, anche al buio esprimendo così tutto l’amore della luce divina. “La Gerusalemme celeste non ha bisogno né di sole né di luna perché è la gloria di Dio che la illumina” (Ap. 21, 23). L’ultimo elemento da spiegare è il bordo rosso, presente in quasi tutte le icone ed in alcune anche obbligatorio: rappresenta e ci ricorda il sangue dell’alleanza, non solo quello di Esodo 12, 7; 13: “Preso un po’ del suo sangue lo porranno sui due stipiti e sull’architrave delle case..il sangue sulle vostre case sarà il segno che voi siete dentro” o, sempre di Esodo 24,3-8: “Allora Mosè prese il sangue e ne asperse il popolo, dicendo: Ecco il sangue dell’alleanza, che il Signore ha concluso con voi…” ma anche Ezechiele 43, 20: “Prenderai di quel sangue e lo spanderai sui quattro corni (lati) dell’altare, sui quattro angoli della piattaforma e intorno all’orlo. Così lo purificherai e ne farai l’espiazione.” Quest’ultima citazione richiama Ezechiele 16 di cui abbiamo precedentemente parlato ed insieme alla quale sottolinea il concetto di talamo: questa, il talamo dell’altare l’altra, il talamo delle nozze ma tutte e due, il talamo della croce sul quale Dio, per mezzo del Figlio Suo, sposa definitivamente l’umanità intera, l’uomo intero, e con lui, il cosmo intero. Il sangue in cui noi ci dibattiamo è stato da Cristo sparso sulla croce, è stato da lui assunto ed è diventato il suo ma è diventato sangue divino, uscito dal suo costato e che annulla il nostro carico di peccato. Nell’incarnazione e nella nascita il Figlio di Dio e figlio dell’uomo diventa Nimphios, Sposo. Amen Chiudiamo questa contemplazione con un pensiero di Adol’f Ovcinnikov: “ La bellezza di un’icona non è una bellezza quotidiana, ma è un’ascesi verso il Creatore, un’arte di comunione ecclesiale che riporta al Creatore tutti quanti, esecutori e spettatori, in un’ unità dove è difficile stabilire chi sia l’autore, se l’artista o coloro che contemplano l’icona con le loro preghiere e la loro fede .”

“Sii benedetto, Signore Dio dei padri nostri, Dio di Israele, che oggi con la tua venuta hai operato la redenzione dell’uomo, che mi hai riabilitata e rialzata dalla mia caduta e mi hai reintegrata nella mia antica dignità. Adesso la mia anima si sente fiera e la mia speranza in Dio, mio Salvatore, ha sussultato” “La morte fu introdotta per opera di una vergine, Eva. Il demonio, infatti, non si permise di avvicinare l’uomo nel Paradiso: intuì la sua fortezza. S’accostò, invece, alla donna di cui aveva intravisto la debolezza. Essa era ancora vergine perché Adamo la conobbe solo dopo l’espulsione dal Paradiso. Era conveniente allora che la vita avesse origine di nuovo per opera di una vergine, o meglio da una vergine; quindi come il serpente fu messaggero dell’ inganno per Eva, così alla Vergine Gabriele arrecò la buona novella.” (san Cirillo di Gerusalemme, Catechesi XII, 5).


Sguardi sul mondo EU 201 RO 6 PA contro i muri

Unirsi

Affrontare con “spirito europeo” le problematiche del nostro tempo, abbattere i muri che dividono i popoli del Vecchio Continente. E’ l’esortazione rivolta da Francesco nel videomessaggio ai partecipanti all’incontro “Insieme per l’Europa” che, a Monaco di Baviera, ha riunito esponenti dei movimenti cristiani e delle Chiese. Il Papa sottolinea che l’Europa deve tornare ad essere un “continente aperto” che mette al centro la persona umana. “E’ ora di mettersi insieme per affrontare con vero spirito europeo le problematiche del nostro tempo”. Papa Francesco esordisce così nel suo videomessaggio per l’evento “Insieme per l’Europa”, trasmesso nella piazza centrale di Monaco di Baviera.

IRLANDA DEL NORD

Mons. Daly: ha servito la pace e la giustizia Si sono svolte nella Cattedrale di Sant’Eugenio a Derry, in Irlanda del Nord, il giorno 11 agosto, le esequie di mons. Edward Daly, vescovo emerito della città, spentosi l’8 agosto all'età di 82 anni, dopo una lunga malattia. A presiedere la celebrazione, mons. Donald McKeown, attuale vescovo di Derry. All’inizio della Messa, mons. Amaury Medina Blanco, incaricato della Nunziatura apostolica in Irlanda, ha letto un messaggio inviato da Papa Francesco. Il Santo Padre, esprimendo il proprio cordoglio per la scomparsa del presule, ha ricordato il suo “generoso” ministero episcopale “al servizio della pace e della giustizia”. Quindi ha manifestato la sua vicinanza alla famiglia e alla comunità di Derry. Mons. Daly è stata una delle figure simbolo dei 'Troubles', il conflitto nordirlandese. La fotografia che lo ritrae con un fazzoletto sporco di sangue sventolato per fermare i colpi dei paracadutisti britannici resta un’immagine indelebile del Bloody Sunday, la strage avvenuta nel 1972 a Londonderry dove furono uccise 14 persone. Allora Daly era parroco presso la St Eugene's Cathedral della cittadina nord-irlandese. Il vescovo di Derry, mons. Donal McKeown, lo ha definito “un sacerdote esemplare al servizio di Dio e della gente, impegnato a predicare il Vangelo della pace in tempi difficili e sempre disponibile verso gli altri”.

Muri di paura, aggressività ed egoismo dividono l’Europa Il Papa punta il dito contro quei “muri visibili” e “invisibili, che tendono a dividere questo continente”: “Muri che si innalzano nei cuori delle persone. Muri fatti di paura e di aggressività, di mancanza di comprensione per le persone di diversa origine o convinzione religiosa. Muri di egoismo politico ed economico, senza rispetto per la vita e la dignità di ogni persona”. Europa ha bisogno di cambiamento, ripartire da patrimonio cristiano L’Europa, prosegue il videomessaggio, “si trova in un mondo complesso e fortemente in movimento, sempre più globalizzato e, perciò, sempre meno eurocentrico”. Una situazione che richiede “coraggio” per affrontare queste sfide epocali: “Abbiamo bisogno di un cambiamento! L’Europa è chiamata a riflettere e a chiedersi se il suo immenso patrimonio, permeato di

cristianesimo, appartiene a un museo, oppure è ancora capace di ispirae la cultura e di donare i suoi tesori all’umanità intera”. Rivolgendosi ai movimenti cristiani, Francesco li incoraggia a “portare alla luce testimonianze di una società civile che lavora in rete per l’accoglienza e la 66


Brexit “Dobbiamo riflettere su quanto accaduto nei giorni tumultuosi di fine giugno 20016 e valutare con attenzione cosa è necessario fare adesso”. E’ l’accorato appello rivolto dal cardinale Vincent Nichols, presidente della Conferenza episcopale inglese e gallese (Cbcew) che in una nota esprime una ferma condanna dei gravi episodi di intolleranza contro immigrati comunitari verificatisi in questi giorni nel Paese. Dalla proclamazione dei risultati del voto sul "Brexit", in cui il "Leave" ha prevalso, più di cento aggressioni e intimidazioni a fondo razziale sono stati registrati in Gran Bretagna, in particolare contro la comunità polacca, la più numerosa fra gli immigrati di origine comunitaria. L’odio e il razzismo sono intollerabili “Questa ondata di razzismo e odio è inaccettabile e non va tollerata”, afferma l’arcivescovo di Westminster, che peraltro invita a non cedere alla paura e a confidare in Dio: “Se non lasciamo spazio alla Provvidenza, la società si chiude in se stessa e diventa molto più egocentrica e divisa”. Ascoltare la voce degli esclusi e superare le divisioni Il cardinale Nichols chiama quindi in causa le responsabilità dei leader politici britannici: “Sono certo che ogni leader debba riflettere sulla nostra capacità di ascoltare e dare voce a chi si sente senza voce. Dobbiamo recuperare il senso degli obiettivi del nostro vivere insieme”, che sono “il bene comune che non esclude nessuno. I politici, gli imprenditori e i banchieri devono ciascuno fare il proprio lavoro, ma l’obiettivo fondamentale – sottolinea il primate inglese – è di costruire un mondo in cui la forza sia usata per il servizio e nessuno sia escluso”. In questo senso, “la grande sfida che attende oggi chi guida la nostra Nazione è di parlare a tutti. Se, infatti, la vittoria al referendum continuerà a dividere il Paese, diventeremo una nazione sempre più debole e non saremo in grado di svolgere un ruolo sulla scena politica internazionale per affrontare i grandi problemi del mondo”. 67

sguardi sul mondo

Card. Nichols: inaccettabile razzismo anti-immigrati


Nagorno-Karabakh:

visita di solidarietà di Karekin II e Aram I Il Catholicos di tutti gli Armeni, Karekin II, e il Catholicos della Grande Casa di Cilicia, Aram I,hanno visitato insieme a metà aprile il Nagorno-Karabakh, la regione a maggioranza armena annessa da Stalin all'Azerbaigian, dove è riesploso violentemente il conflitto tra azeri e armeni. Lo riferisce un comunicato ufficiale del Catholicosato della Grande Casa di Cilicia, ripreso dall'agenzia Fides, in cui viene specificato che i due Capi della Chiesa apostolica armena hanno compiuto la loro visita “per portare il proprio sostegno alle forze armate armene e alla popolazione dell'Artsakh ( nome armeno con cui si indica la stessa regione). Il cessate il fuoco del 1993 violato da attacchi e scaramucce di confine La questione delle tensioni etnico -politiche intorno al Nagomo-Karabakh è riesplosa al momento della dissoluzione dell'Unione Sovietica. In quella regione a maggioranza armena, nel settembre 1991 il soviet locale, utilizzando la legislazione sovietica dell'epoca, aveva dichiarato la nascita della nuova Repubblica, dopo che l'Azerbaigian aveva deciso di uscire dall'Urss. Seguirono un referendum e le elezioni, ma nel gennaio dell'anno seguente la reazione militare azera accese il conflitto che provocò 30mila morti e si concluse con un accordo di cessate il fuoco nel 1993, da allora continuamente violato da attacchi e scaramucce di confine.

solidarietà verso i più deboli e svantaggiati, per costruire ponti, per superare i conflitti dichiarati o latenti”. L’Europa rimetta al centro la persona, sia famiglia di popoli Il Pontefice mette l’accento sulla storia dell’Europa fatta di un “continuo incontro tra Cielo e terra”, incontro “che ha da sempre contraddistinto l’uomo europeo”. E ribadisce che bisogna “tradurre i valori base del cristianesimo in risposta concreta alle sfide di un continente in crisi”: “Se l’intera Europa vuol essere una famiglia di popoli, rimetta al centro la persona umana, sia un continente aperto e accogliente, continui a realizzare forme di cooperazione non solo economica ma anche sociale e culturale”.

Gli ultimi scontri hanno causato 75 morti Gli scontri di marzo 2016 tra le forze azere e quelle delle autorità separatiste armene, sono i più gravi accaduti dalla metà degli anni Novanta ed hanno prodotto almeno 75 morti, con vittime anche civili, fino ad una tregua firmata martedì 5 aprile. Al riaccendersi delle tensioni non è estraneo lo scontro geo-politico che oppone Russia e Turchia (sostenitrice dell'Azerbaigian) negli scenari mediorientali.

Cristiani siano seme di speranza per l’Europa Dio, prosegue il Papa, “porta sempre novità” e bisogna essere aperti alle sue sorprese. “Fate che le vostre case, comunità, e città – riprende – siano laboratori di comunione, di amicizia e di fraternità, capaci di integrare, aperti al mondo”: “Insieme per l’Europa? Oggi è più necessario che mai. Nell’Europa di tante nazioni, voi testimoniate che siamo figli dell’unico Padre e fratelli e sorelle tra di noi. Siete un seme di speranza prezioso, perché l’Europa riscopra la sua vocazione di contribuire all’unità di tutti”.

La solidarietà con il Nagorno-Karabakh di Karekin II e Aram I Il Catholicos Karekin ha condannato “le operazioni aggressive e premeditate dell’Azerbaigian, lungo le frontiere del Nagorno-Karabakh nei confronti anche delle zone abitate da civili e da popolazioni pacifiche”, che “minano la stabilità della regione e annullano gli sforzi per comporre la diatriba della lotta”. Il 6 aprile anche il Catholicos Aram I ha espresso la sua solidarietà al popolo dell'Artsakh in una conversazione telefonica con Bako Sahkyan, Presidente della Repubblica del Nagorno Karabakh, Stato “de facto” non riconosciuto da alcun membro dell'Onu. 68


Religioni contro il terrorismo: solidarietà con i perseguitati “Accogliamo con favore l’incontro di Papa Francesco della Chiesa cattolica romana e del patriarca Kirill di Mosca e di tutta la Russia, che ha dimostrato la volontà dei leader religiosi di mettere da parte tutte le differenze e intraprendere un dialogo nel nome della pace”. E' quanto scritto nella Dichiarazione conclusiva della Conferenza internazionale “Religioni contro il terrorismo”, conclusasi il 1° giugno ad Astana, capitale del Kazakhstan. Solidarietà con la sofferenza delle comunità religiose perseguitate “Appoggiamo l’appello per una lotta globale e condivisa contro il terrorismo fatta dai capi delle due Chiese principali, prosegue il testo, in cui si riconosce l’importanza per la promozione del dialogo tra le comunità religiose e dell’incontro tra Papa Francesco e l’imam supremo dell’università islamica di Al-Azhar Ahmed El-Tayeb”. Alla conferenza hanno partecipato rappresentanti religiosi e politici provenienti da oltre 40 Paesi. Tra questi, una delegazione cattolica, guidata dal card. Josef Tomko, prefetto emerito della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli.

Greco cattolici ucraini: piena comunione con Papa Francesco “Siamo venuti per riaffermare la nostra comunione col Papa e per chiedere il suo aiuto per il popolo ucraino”. Lo ha detto Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk dopo l'incontro del Sinodo Permanente della Chiesa grecocattolica Ucraina con Francesco in Vaticano, svoltosi sabato 5 marzo. “Il Papa ci ha ascoltato”, ha detto l'arcivescovo Shevchuk che ha ricordato come Francesco sia considerato un’"autorità morale che parla della verità, una voce molto importante per il popolo ucraino". La Chiesa greco cattolica si è detta pronta a collaborare per il bene dell’intera nazione, in un piano che includa organismi internazionali e non. La guerra in Ucraina, causata dall’invasione russa, ha coinvolto 5 milioni di persone, provocato diecimila morti, migliaia di feriti e costretto due milioni di persone a vivere fuori delle loro case. Il conflitto ha provocato un pesante impoverimento della popolazione. “Facciamo si’ - ha affermato l'arcivescovo Shevchuk - che l’Anno della Misericordia diventi realtà anche per il popolo ucraino”.

Condanna di ogni forma di estremismo Tra i 28 punti della Dichiarazione – riporta l’agenzia Sir – vi è una ferma condanna di ogni forma di terrorismo ed estremismo violento, soprattutto quando “dietro il pretesto di un messaggio religioso, viola i diritti e le libertà”. Si esprime poi la solidarietà con “le comunità sofferenti in alcune zone del mondo”, l’impegno ad “eliminare le cause del terrorismo, tra cui povertà, fame, disoccupazione, instabilità e conflitti”. Donne e famiglie – sottolinea infine il testo - hanno un “ruolo particolare nell’educare i giovani”, “sempre più vulnerabili verso le ideologie estremiste”, e nella battaglia contro tali ideologie.

25 anni fa il ripristino delle strutture cattoliche in Russia Sono stati ricordati i 25 anni dal ripristino delle strutture cattoliche della Federazione russa, per volere di san Giovanni Paolo II. Era infatti il 13 aprile 1991. Dopo 70 anni di clandestinità la Chiesa cattolica in Russia trovò nuova vita. Intanto a seguito dello storico incontro all’Avana nel febbraio scorso tra Papa Francesco e il Patriarca russo Kirill il 6 e 7 2016 una delegazione bilaterale dell’arcidiocesi della Madre di Dio a Mosca e della Chiesa ortodossa russa ha visitato il Libano e la Siria per promuovere iniziative, coordinare gli aiuti e sostenere i cristiani in difficoltà.

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sguardi sul mondo

Europanews


6 1 20SIA Cina e Stati Uniti A ratificano l'accordo di Parigi sul clima La Cina e gli Stati Uniti hanno ratificato l’accordo per le riduzioni di gas serra raggiunto lo scorso dicembre a Parigi, durante la Cop21. Questa presa di posizione faciliterà l’entrata in vigore del testo prodotto dalla Conferenza sui cambiamenti climatici già entro la fine dell’anno. Sull’importanza di queste ratifiche, Eugenio Murrali ha sentito Matteo Mascia, coordinatore del Progetto etica e politica ambientali della Fondazione Lanza di Padova: E’ una notizia assolutamente positiva: non dimentichiamo che la Cina è il principale emettitore di gas serra a livello globale. La scelta della Cina rappresenta un elemento politico estremamente importante, che non potrà che essere da traino per altri Paesi. ma possiamo dire anche che ha un forte valore economico: l’adesione all’Accordo di Parigi presuppone mettere in campo obiettivi sempre più ambiziosi per quanto riguarda l’abbandono delle fonti fossili e lo sviluppo di fonti energetiche alternative. La Cina deve tagliare di molto le sue emissioni e aumentare anche le fonti di energia non fossili: è un obiettivo plausibile? Certo, è un percorso impegnativo, indubbiamente, tenendo conto che la Cina si è data un tempo, anche se nell’Accordo di Parigi è indicata una revisione e un impegno per raggiungere picchi di emissione al 2025. Se mettiamo insieme Cina e Stati Uniti, hanno ridotto le emissioni di CO2 in modo tale da compensare l’aumento di emissioni che è avvenuto, invece, da parte di altri Paesi dell’Asia e del Medio Oriente. E questo è un dato di fatto. Importanza hanno, ovviamente, sul fronte cinese, il forte inquinamento che caratterizza questo Paese: di recente, la Cina ha anche approvato una serie di normative contro l’inquinamento. I dati che abbiamo sono provvisori però ci dicono che complessivamente la Cina si sta muovendo nella giusta direzione. Dagli accordi che sono scaturiti dalle varie conferenze sul clima, spesso c’era un sistema di raggiungimento degli obiettivi oppure di multa qualora non si fossero raggiunti. Questo sistema rimane in piedi? Parigi ha un accordo universale perché ha visto 195 Paesi che hanno sottoscritto l’Accordo. Di questi 195 Paesi, 187 hanno presentato impegni concreti di riduzione delle emissioni e questi 187 Paesi rappresentano in qualche modo il 95% delle emissioni, su scala globale. Per il momento in molti hanno sottoscritto, ma la ratifica riguarda solamente un numero ristretto di Paesi. Detto questo, l’Accordo di Parigi non ha dettagliato quali siano le modalità di verifica e di controllo per quanto riguarda gli impegni nazionali: non ci sono, quindi, modalità di controllo e di sanzioni. Su questo fronte è chiaro che anche a livello internazionale bisogna che da qui ai prossimi passaggi – e il prossimo

passaggio è la Cop 22 che ci sarà in Marocco questo inverno e poi successivamente nel 2018 un primo punto di valutazione dell’Accordo di Parigi – bisogna lavorare, perché il Segretariato internazionale possa avere degli strumenti in grado di controllare e sanzionare. Cosa rappresenta la firma di Washington per il futuro del pianeta? E’ un po’ l’equivalente della Cina, sostanzialmente, cioè ha una forte valenza politica prima di tutto. Sappiamo che gli Stati Uniti d’America sono storicamente, tra i Paesi occidentali, quelli che hanno le maggior perplessità rispetto alla questione del cambiamento climatico, anche se il problema di fondo sarà vedere come andranno le presidenziali. E dopo, anche in questo caso, una forte valenza economica. Cioè, è chiaro che gli Stati Uniti d’America mettono in moto un percorso virtuoso che spingerà l’economia statunitense – e quindi l’economia mondiale – verso la decarbonizzazione. Cosa significherebbe a livello pratico raggiungere questa diminuzione delle temperature globali? Grandi cambiamenti, nel senso che se l’obiettivo sostanzialmente è -60% di emissioni al 2050, bisogna – per esempio – ripensare completamente il sistema dei trasporti. Per quanto nel giro di 10-15 anni l’auto ibrida o l’auto elettrica prenderanno sempre più piede in Europa e nel mondo, è evidente che dovrà essere potenziato in modo significativo il trasporto collettivo e quindi il trasporto su terra. In secondo luogo, un’altra trasformazione fortissima sarà legata alla questione edilizia e al riscaldamento e al raffreddamento delle nostre case: tutti saremo chiamati ad assumere iniziative per ridurre le emissioni correlate al riscaldamento o al raffreddamento domestico. Un terzo ambito nel quale saremo chiamati ad attuare un cambiamento è, per esempio, nelle attuali diete alimentari. Noi sappiamo quanto oggi il cibo incida fortemente sulla produzione di CO2 e di altri gas serra, e quindi sul cambiamento climatico. Sappiamo quanto, per esempio, emetta un kg di carne rispetto alla verdura … Saremo chiamati quindi a una trasformazione delle diete alimentari e a un regime di dieta differente, in cui ci sia meno consumo di carne e più consumo di verdura o di legumi: ricordiamoci che le Nazioni Unite hanno definito questo come l’anno mondiale dei legumi, proprio perché essi rappresentano un elemento fondamentale anche nella direzione della lotta al cambiamento climatico. Quindi, questo è un aspetto assolutamente interessante su cui saremo chiamati a impegnarci tutti e sul quale in qualche modo un contributo di sensibilizzazione è certamente venuto anche dalla recente Expo, che si è svolta in Italia e che aveva proprio al centro la questione della sostenibilità del cibo. 70


S

ostenere “il sistema commerciale multilaterale” opponendosi “al protezionismo”. Questo uno dei punti del documento finale del G20 di Hangzhou, svoltosi ai primi di settembre 2016 nella Cina orientale, redatto sotto la presidenza di Pechino. Oltre a definire l’emergenza migranti come “una sfida mondiale” - il cui peso finanziario “deve essere diviso tra tutti i membri dell'organizzazione” - e a impegnarsi a ratificare “al più presto” l'accordo di Parigi sul clima, le principali potenze industriali ed emergenti del mondo si impegnano pure a “stimolare una crescita inclusiva, solida, sostenibile” assieme all'occupazione, accordandosi inoltre per un forum globale per combattere la sovrapproduzione industriale. Ma, è stato sottolineato, la crescita rimane debole. Ce ne parla Riccardo Moro, docente di Politiche dello sviluppo all’Università Statale di Milano e presidente della Global Call to Action

Against Poverty (GCAP), intervistato da Giada Aquilino: Il tema della crescita è stato inseguito un po’ come un mito in questo anni, dal 2008 in avanti, per poter rilanciare l’economia, ricuperare i fatturati delle imprese e conseguentemente anche l’occupazione. A me sembra però che questo mito della crescita sia stato un po’ declinato senza qualificarlo, cioè senza preoccuparci realmente di quali settori avrebbero potuto consentire da un lato un recupero dell’occupazione, là dove si era ridotta, e dall’altro quali interventi avrebbero potuto orientare l’economia in una direzione più verde, economicamente sostenibile. Mi sembra che ci sia un punto nel documento finale che è di notevole interesse: è quello dell’attenzione alla sovrapproduzione industriale.

Su questo punto, come valutare l’intesa su un forum globale per combattere la sovrapproduzione industriale? Durante i lavori c’è stata una discussione con la Cina, a proposito della sovrapproduzione dell’acciaio: Pechino ha accettato un taglio dell'export... Gli attuali “modelli” di sviluppo non sono sostenibili perché non è possibile che i sette miliardi che siamo, domani probabilmente nove, consumino allo stesso ritmo in cui la parte ricca del pianeta sta consumando oggi. E non possiamo continuare a immaginare di inseguire il “mito” della crescita continuando a produrre, senza chiederci per chi produciamo e in che modo e quanto costi in termini ambientali questa produzione. Il problema però non è solo porre dei freni: il problema è capire anche quali sono le esigenze reali della parte meno fa-

sguardi sul mondo

No al protezionismo, si alla crescita inclusiva


vorita del pianeta e capire dove c’è una colossale inutilità nella produzione della parte ricca o destinata alla parte ricca del pianeta. Occorrono dunque riforme graduali e - qui sì, assolutamente - occorre un’intesa internazionale, occorre un esercizio di “governance”. Ben venga quindi un forum in tale direzione, perché questa è una delle sfide del futuro.

al G8. Il G8 ha sviluppato intorno a sé un processo politico estremamente elevato, con un’agenda sullo sviluppo, un’agenda sull’ambiente, un’agenda sull’agricoltura e su moltissimi altri temi. Il G20 finora non l’aveva ancora fatto. E’ ovvio che, di fronte alle dimensioni dell’economia mondiale, il G20 assuma un ruolo più rilevante di quello del G8. Sembrava quasi dimenticato, il G8, con la crisi finanziaria. Poi, con la crisi ucraina e il deterioramento delle relazioni con la Russia, il G7 è tornato ad avere un ruolo e l’anno prossimo avremo il G7 in Italia. Io credo che in questo momento non siano ancora maturi i tempi perché accordi intorno al G20 possano avere reale rilevanza politica, per cui francamente temo che questa discussione sulla migrazione, sui costi dell’accoglienza ai migranti rimanga una discussione ancora teorica.

Il peso finanziario dell’emergenza migranti dev’essere “diviso” tra tutti i membri dell’organizzazione, è stato detto. Di fatto, che aiuto può venire per esempio all’Europa? Di fatto, ogni volta che abbiamo costruito una formula tra Paesi che si parlano per coordinare le loro politiche economiche, poi abbiamo sempre dato un colore politico: questo è ciò che è successo al G7 e

Filippinenews

Speciale novena di preghiere per nuovo governo Duterte Una speciale novena di preghiera per i membri del nuovo governo delle Filippine guidato dal neo-presidente Rodrigo Duterte. E’ quanto ha chiesto arcivescovo di Manila, card. Luis Antonio Tagle, in vista della cerimonia di insediamento di Duterte svoltasi il 30 giugno 2016. Secondo quanto stabilito in una lettera circolare inviata ai sacerdoti, cappellani, superiori delle comunità religiose e scuole cattoliche un’”oratio imperata” hanno invitato a pregare tutti i fedeli presenti alle sante le Messe celebrate dal 21 al 29 giugno.

i problemi del Paese”. Interpellato sulla gestione del Presidente uscente Benigno Aquino III, l’arcivescovo di Manila ha affermato che non esiste un governo perfetto da nessuna parte nel mondo e che tutte le amministrazioni hanno realizzato qualcosa, ma che restano molte cose da affrontare. “Nessuno – ha detto - può sostenere di essere capace di risolvere tutto”. Previsto un documento dei vescovi su alcune recenti dichiarazioni di Duterte Nella stessa giornata del 30 giugno – riferisce l’agenzia Asianews - è previsto anche un documento dei vescovi filippini su alcune dichiarazioni polemiche di Duterte all’indomani del voto nei confronti della Chiesa. Il successore di Aquino ha inoltre annunciato di voler reintrodurre la pena di morte nel Paese e la “tolleranza zero” contro traffico di droga, dichiarazioni che hanno suscitato forti perplessità nell’episcopato che si è sempre battuto contro la pena capitale.

I governanti devono dare l’esempio In un’intervista rilasciata nei giorni scorsi - riferisce l’agenzia Cbcpnews - il card. Tagle ha inoltre esortato i futuri governanti ad essere all'altezza della fiducia ricevuta dagli elettori lo scorso maggio: la nuova amministrazione e gli altri eletti devono dare l'esempio e migliorare il modo di servire il popolo, ha detto esprimendo l’auspicio che i successori della precedente amministrazione “si impegnino per affrontare 72


Card. Tagle: sprechi alimentari, ingiustizia per i poveri “A

ssicurare che i frutti del lavoro umano non vadano perduti è una questione di giustizia”, così il cardinale Luis Antonio Tagle, presidente della Caritas Internationalis, intervenuto nel pomeriggio del 30 maggio al Consiglio della Fao riunito a Roma per dibattere su come ridurre la perdita di alimenti. “Una sfida delle sfide più importanti” per "garantire la sicurezza alimentare”, ha sottolineato mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede, che ha promosso l’incontro insieme alla rappresentanza dell’Iran presso la Fao. Un terzo del cibo prodotto nel mondo si perde o si spreca lungo la filiera alimentare, 1,6 miliardi di tonnellate di alimenti sottratti a chi nel mondo soffre la fame. Il 40% avviene nelle fasi di post-raccolta e lavorazione nei Paesi in via di sviluppo e nella distribuzione o per mano dei consumatori nei Paesi industrializzati. La soluzione a questa ingiustizia non è solo una questione tecnica, ha spiegato il cardinale arcivescovo di Manila, Luis Antonio Tagle:

Un problema così grande come la fame, come la distribuzione degli alimenti non è un problema tecnico solamente: è una crisi umana! E’ per questo che si deve cambiare la prospettiva, passando da una prospettiva puramente tecnica allo sviluppo integrale della persona umana e anche della società. Lo spirito di questo intervento è la solidarietà, la comunione del bene comune. Purtroppo, quanto l’approccio è puramente tecnico, il mercato e il profitto sono più importanti.

Si dice spesso che sia il mercato che comanda su tutto. Ecco, come sovvertire questa logica? Devono essere i governi, devono essere i popoli, deve essere la società civile? Sì, questo è però un processo di conversione e proprio per questa ragione è molto difficile, perché ogni persona è il governo. Ogni famiglia deve fare un esame di coscienza: “Quali valori operano nella nostra vita?”. Papa Francesco ha già detto che il cibo scartato è un cibo rubato ai poveri. E’ vero, perché nella nostra cultura di scarto non

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soltanto il cibo, ma anche l’acqua, i vestiti e valori sono scartati e il bene degli altri non entra nella coscienza.

E’ molto importante questo incontro promosso dalla Santa Sede insieme con l’Iran. Ed è anche molto importante che la Chiesa possa entrare in dialogo con le istituzioni politiche? Sì, sì! E’ molto importante, ma non come un attore politico, ma come coscienza. Noi abbiamo i tesori dalla Parola di Dio, dalla grande tradizione cristiana e anche dalla Dottrina Sociale della Chiesa. Per me, è una grande gioia questo incontro con la Santa Sede e l’Iran: è anche una testimonianza per il mondo, per il mondo diplomatico e anche per il mondo della vita quotidiana e delle persone ordinarie. Quando si tratta di una questione di cibo, di fame, tutti noi – in questo mondo comune – dobbiamo lavorare insieme, musulmani, buddisti, induisti, cattolici e cristiani, perché la vittima della fame è una persona umana.

sguardi sul mondo

FAO


da New York

FRANCIS CALLAGHAN NOSTRO SERVIZIO

E’ il repubblicano Donald Trump il 45.mo presidente degli Stati Uniti. Questo l’esito della lunga giornata elettorale, di martedì 8 novembre 2016. Gli scrutini dei primi Stati hanno messo in evidenza la vittoria del miliardario sulla democratica Hillary Clinton. 290 i gradi elettori conquistati da Trump contro i 218 della candidata democratica. Appello all’unità e alla ricostruzione del Paese tra le sfide evidenziate nelle prime parole del neo eletto capo della Casa Bianca. “Mi impegno con ogni cittadino della nostra terra che sarò il presidente di tutti gli americani”. È un Trump diverso quello che appare agli americani e al mondo pochi minuti dopo l’ufficializzazione della sua elezione a 45.mo presidente degli Stati Uniti. Ringrazia il suo staff, i suoi cari, ringrazia anche Hillary Clinton, avversaria in questa difficilissima campagna elettorale. L’America dunque volta pagina. Trump incassa 290 dei grandi elettori necessari per essere eletto; ben 20 più del necessario, conquistando gli Stati chiave ed ottiene una vittoria nella quale neppure il suo partito repubblicano credeva. Hillary Clinton lo chiama e gli concede la vittoria; questi ricambia congratulandosi a sua volta con lei e lanciando un appello accorato: “È ora di unirci. L’America – promette Trump - deve tornare ad essere il Paese guida del mondo in campo politico, sociale ed economico”. Ma guardando al fronte interno americano, che cosa ha consentito a Donald Trump di battere Hillary Clinton, avendo contro il suo stesso partito repubblicano e il mondo dell’informazione? Paolo Mastrolilli, corrispondente dagli Stati Uniti per il quotidiano La Stampa ha rilevato: “Donald Trump, sin dal principio, è riuscito a parlare all’America profonda, soprattutto all’America dei bianchi della classe media, dei bian-

Il commento

6 CA 1 20 RI Donald Trump E alla Casa Bianca M A“Sarò il presidente di tutti gli americani” di Annalisa Perteghella Ricercatrice dell'Istituto per gli studi di politica internazionale

Stiamo assistendo alle immagini di un'America divisa: questo è il dato principale che è emerso dalle elezioni. C’è una larga parte dell’elettorato che non si riconosce nel presidente eletto, tant'è vero che Trump ha vinto la maggioranza dei collegi elettorali, ma non la maggioranza del voto popolare, che è stata invece vinta da Hillary Clinton. Stiamo anche assistendo ai risultati di una campagna elettorale sicuramente velenosa. Tutto questo non poteva, non può e non potrà nei prossimi mesi passare inosservato. Per cui, in un certo senso, è naturale quello che sta accadendo; naturale sì, ma non normale perché l’America è invece una democrazia solida e consolidata, in cui il problema della legittimità del presidente non è mai stata messa così tanto in discussione. Queste elezioni sono state viste in Europa come una sorte di campanello di allarme, una “wake-up call”, di cui si parlava però già dopo la Brexit, lo scorso giugno. Non mi sembra che l’atteggiamento europeo in questi mesi sia stato particolarmente costruttivo in questo senso. L’anno prossimo – il 2017 – è un anno di appuntamenti elettorali importantissimi per l’Europa: si vota in Francia, si vota in Germania e si rinnova il Parlamento olandese. Ci sono dei grossi movimenti antisistema e fortemente antieuropeisti che minacciano i cosiddetti partiti tradizionali. Al tempo stesso, però, vedremo e assisteremo ad una difficoltà da parte dei partiti tradizionali di presentarsi alle urne, l’anno prossimo, con una forte agenda europeista, perché l’Europa in questo momento non piace ai cittadini. Trump, in campagna elettorale, ha rimarcato di voler tornare all’isolazionismo e quindi sganciarsi un po’ dagli impegni multilaterali o perlomeno far pagare di più agli alleati la presenza degli Stati Uniti, dall’altra, poi, c’è l’incognita del come effettivamente e se sarà possibile, perché Trump non governerà da solo ed avrà anche un Congresso che – per quanto repubblicano – non la pensa esattamente come lui. Anche qui regna un po’ l’incognita. E’ stata naturale la telefonata di Trump a Park, la leader sudcoreana, perché in questo momento l’importante è rassicurare gli alleati, che si guardano un po’ intorno, circospetti, dalla Corea all’Europa.

chi senza istruzione universitaria, che hanno visto negli ultimi anni il Paese sfuggire dal loro controllo. Sono stati colpiti dalla crisi economica, dagli effetti della globalizzazione; temono l’immigrazione, temono che le minoranze conquistino il controllo del Paese; pensano anche che gli Stati Uniti si siano indeboliti sul fronte internazionale e che siano minacciati dal terrorismo islamico”. Il mondo intero guarda al 45.mo presidente degli Stati Uniti con l’incertezza e la curiosità di sapere anche quale sarà la politica estera del magnate, un tema che è rimasto sullo sfondo di questa campagna elettorale. L’americanista Ferdinando 74

Fasce, docente di Storia Americana all’Università di Genova sostiene al riguardo: "C’è una grandissima incognita, perché Trump ha sottolineato la propria intenzione di rilanciare quello che potremmo chiamare l’unilateralismo statunitense. Trump ha fortemente spinto sull’idea del protezionismo americano, sull’idea del 'facciamo per conto nostro; non rinnoviamo la logica dell’interdipendenza', e poi ancora sul disimpegno in più aree e più in generale, un rapporto di riduzione delle grandi strategie dell’interdipendenza, non senza allentamento delle tensioni sia nei confronti della Russia che nei confronti della Cina".


Fidel Castro ha compiuto 90 anni il 13 agosto 2016. In tutta l’isola caraibica sono stati organizzati spettacoli ed eventi per rendere omaggio all’anziano leader. Castro si è allontanato dalla vita pubblica da circa dieci anni, quando, dopo un intervento, aveva ceduto il potere al fratello Raúl, nominato presidente nel 2008. Da allora sono state avviate diverse riforme e la normalizzazione delle relazioni con la comunità internazionale. "Nell’apertura di Cuba al mondo e del mondo a Cuba" decisivo è stato il ruolo diplomatico della Chiesa cattolica, prima con lo storico viaggio di san Giovanni Paolo II nel 1998 e di Benedetto XVI e poi con la visita e l'azione di Papa Francesco che ha portato alla normalizzazione le relazioni tra Washington e L'Avana. Il 20 settembre 2015 Fidel aveva incontrato Papa Bergoglio nella sua residenza nella capitale cubana. Il comandante aveva donato al Papa una copia del libro "Fidel e la religione" di Frei Betto (1997) con la seguente dedica: "Per Papa Francesco in occasione della sua visita a Cuba con l'ammirazione e il rispetto del popolo cubano". L’ex presidente aveva posto a Papa Francesco alcune domande riferendosi in particolare alla difesa dell'ambiente e alla situazione attuale del mondo. Fidel Castro ha incontrato Papa Wojtyla nel 1996 in Vaticano e nel 1998 a Cuba e Benedetto XVI all’Avana nel 2012. Per tratteggiare il profilo di Castro e la situazione di Cuba in questa fase di disgelo, Marco Guerra ha raccolto il commento di Roberto Da Rin, esperto di questioni sudamericane del Sole 24 Ore: Castro è arrivato a 90 anni, innanzitutto lucido e in condizioni di salute discrete. Lui sta accompagnando un Paese che è profondamente trasformato, rispetto agli obiettivi che lui si era posto, anche se in realtà e nono-

stante le riforme, nonostante il disgelo con gli Stati Uniti, la maggior parte dei cubani continua a vivere in condizioni di ristrettezze palesi. Ovviamente, chi tra i cubani è agganciato al circuito del dollaro, e quindi del turismo, vive una situazione di privilegio, ma questa è una minoranza. Come è cambiato l’atteggiamento di Castro? C’è un socialismo reale che è si sbiadito? Il socialismo reale a Cuba non è mai esistito, semplicemente per il fatto che questo è un Paese tropicale e non è stato possibile trapiantare dei modelli economici ed esistenziali che invece hanno contraddistinto altre regioni. In questi dieci anni sono cambiate, effettivamente, delle cose, nel senso che se dal 2006, quando Fidel ha lasciato di fatto campo libero a Raúl, sono state avviate delle riforme economiche: ora ci sono più di 400 mila “cuentapropistas” – così si chiamano – ossia lavoratori autonomi che non sono dipendenti dello Stato e hanno avviato piccole attività commerciali. Questa fascia di piccoli commercianti si sta espandendo: questo è il dato più rilevante che si può constatare. Ciò che vale la pena rilevare è che sul tavolo rimangono dei problemi di carattere sostanziale: la doppia moneta è il primo; il secondo è il prosieguo delle riforme che sono affrontate ogni settimana, ma che con una potenziale vittoria

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di Trump – questo viene scritto nei giornali di tutto il mondo – potrebbero subire un arresto. Come ha contribuito la Chiesa cattolica all’apertura al mondo di Cuba? La Chiesa cattolica ha contribuito in maniera determinante, perché già Papa Wojtyla e l’attuale Papa Francesco – che in quel momento era arcivescovo a Buenos Aires – furono i grandi tessitori dei rapporti tra la Chiesa e Cuba, tanto che nel viaggio di Wojtyla questa missione venne preparata nei dettagli proprio dall’allora arcivescovo Bergoglio. La Chiesa ha indubbiamente svolto un ruolo rilevante. Ora, naturalmente il ruolo di mediazione che è stato svolto ha consentito il grande disgelo iniziato due anni fa, quindi con questo annuncio contemporaneo di Obama e Raúl Castro, Obama a Washington e Raúl a L’Avana, in cui si diceva: “Non siamo più nemici, ma siamo vicini”. Un dialogo, quello che Fidel Castro ha tenuto con la Chiesa cattolica fin dal disgelo, nei primi anni Novanta: un filo diretto che non si mai spezzato … Assolutamente: sì, c’è stato un filo diretto. E poi, non dimentichiamo che Fidel Castro ha studiato dai Gesuiti, che comunque Cuba naturalmente è un Paese in parte cattolico e quindi il terreno era abbastanza fertile.

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Fidel Castro: compie 90 anni decisivi gli incontri con tre Papi


In Sud Sudan l'impegno di Medici 2 A con l’Africa C u a m m FR016 IC A

Rimane critica la situazione sanitaria in Sud Sudan: la presenza di 14 mila sfollati in precarie condizioni igieniche nelle località di Lozoh e Witto ha portato a un aumento del numero di casi di malaria e dissenteria. Un funzionario dell’Onu ha parlato di 50 mila morti e 2,2 milioni di rifugiati e sfollati dall’inizio della guerra civile.Questa è la testimonianza di don Dante Carraro, direttore di Medici con l’Africa Cuamm, Ong che porta assistenza sanitaria agli sfollati di queste aree: La situazione sanitaria è aggravata dal fatto che il Paese non abbia ancora trovato una stabilizzazione. Quando dico “grave” intendo dire che il Sud Sudan si ritrova a non avere alcun ginecologo e una sola ostetrica per 20 mila mamme che partoriscono … Cosa fate, nel concreto, per migliorare la situazione sanitaria in queste aree nel breve periodo? Abbiamo un team di 4-5 persone che sono concentrate attualmente in quattro ospedali – quello di Yirol, quello Cuibet, quello di Lui e quello di Maper – per dare risposte sia in termini di prevenzione, sia in termini di assistenza e cura: in particolare per i parti della mamme, perché c’è un’altissima mortalità materna; e per i neonati e i bambini, perché c’è un’altissima mortalità infantile.

Chi sono i cosiddetti “gunshot” ossia gli “sparati”? Quando un Paese come il Sud Sudan, specie nella parte Nord, si ritrova ad avere kalashnikov, fucili di vari tipo in mano a ragazzi di 13-14

anni – e li ho visti con i miei occhi – è inevitabile che chi fa assistenza sanitaria si ritrovi ad avere anche questi “sparati”. Ti sparano perché hanno bevuto la birra e ti vogliono rubare la motoretta; ti sparano perché non hai dato loro una mancia; ti sparano per qualsiasi situazione, come sta capitando … In cosa consistono le campagne di cliniche mobili? Quando c’è un alto livello di insicurezza, com’è quello attuale attorno all’ospedale di Lui – faccio un esempio – dove hai 14 mila sfollati, è ovvio che i presidi normali del sistema sanitario saltano completamente: la gente lascia la casa, si concentra in una certa aerea che considera più sicura e vive là. Allora sono necessarie queste cliniche mobili, cliniche cioè che partono dall’ospedale e vanno fuori, che vanno direttamente nelle aree in cui questi sfollati si sono raccolti. Attraverso queste cliniche mobili riesci a continuare – seppur con tanta fatica – tutto il sistema di vaccinazione, perché se lo salti vuol dire che fra due anni o tre anni risalta 76

fuori la poliomielite o altre malattie … Facendo in questo modo, invece, riesci a raggiungere direttamente le persone, dando loro quell’assistenza sanitaria che altrimenti non saresti in grado di dare. Come si può intervenire sulla questione a livello internazionale? A livello internazionale io credo che vada posta l’attenzione in ogni tavolo e in ogni modo, perché non c’è dubbio che il Sud Sudan adesso abbia bisogno di tanto aiuto a livello diplomatico, che è però solo un livello: lì le diplomazie devono fare la voce pesante, devono condizionare gli aiuti ad una pace che deve essere trovata. E poi l’altro livello - se uno è quello diplomatico e istituzionale - è quello degli aiuti per la povera gente, perché non c’è dubbio che mentre i grandi Salva Kiir e Machar, i generali di turno e chi ha il potere in mano combattono, discutono e fanno la guerra, quella che invece soffre e rischia di essere abbandonata è la povera gente … Quindi un invito alla Comunità internazionale di avere a cuore queste urgenze.


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al 29 giugno al 2 luglio è stata promossa vicino a Beirut in Libano una sessione di formazione per personale diocesano in Siria impegnato nel servizio di carità nel contesto della crisi umanitaria siriana. Il percorso formativo, è stato promosso dal Pontificio Consiglio Cor Unum con la collaborazione di tre organismi cattolici di carità – Catholic Relief Service (CRS), Aid to the Church in Need (ACN) e Missio. Ad esso hanno partecipano 11 Vescovi, rappresentanti di istituti religiosi maschili e femminili, personale impegnato nell'attività caritativa dalla Siria, provenienti dalle diverse diocesi. Per Cor Unum era presente il Segretario Mons. Giampietro Dal Toso; anche il Nunzio apostolico nel Paese, S.E. Mons. Mario Zenari, accompagna i lavori. Il percorso è nato sulla base di una esigenza espressa da rappresentanti di organismi di carità e vescovi nel corso della terza riunione sulla crisi umanitaria in Siria, Iraq e nei paesi limitrofi, organizzata da Cor Unum il 17 settembre 2015. Obiettivo delle sessioni di lavoro in Libano, dunque, è stato ora quello di approfondire gli elementi di base per la predisposizione di progetti implementati dagli organismi di carità e dalle singole diocesi nazionali, impegnati nell’aiuto umanitario nel contesto della crisi del Medio Oriente. Il programma è stato articolato su più giornate e prevedeva , oltre alla formazione teologica, incontri specifici per i Vescovi e per i Religiosi. Inoltre si sono svolte sessioni indirizzate al personale tecnico delle diocesi, dedicate all’analisi delle metodologie progettuali nel campo umanitario. Le giornate dell’1 e 2 luglio si sono concentrate sugli aspetti più specifici del capacity building e project management, nonché sull’analisi delle fasi di realizzazione dei progetti: programmazione, pianificazione, implementazione, conclusione e rendicontazione. La crisi in Siria, Iraq e paesi limitrofi continua a essere al centro delle preoccupazioni della Santa Sede e della Comunità internazionale per la gra-

vità che si è prodotta a seguito della guerra. Secondo i dati disponibili, dal 2011 il conflitto in Siria avrebbe provocato finora circa 400 mila vittime e 2 milioni di feriti. Attualmente sono più di 12 milioni le persone bisognose di aiuto in Siria e oltre 8 milioni in Iraq; i rifugiati interni sono più di 6 milioni in Siria e più di 3 milioni in Iraq, mentre al meno 4 milioni sono i rifugiati siriani in tutta l’area del Medio Oriente: in particolare, 1,9 milioni in Turchia, 1,1 milione in Libano, più di 600 mila in Giordania. In base ai dati della prima “Indagine sull’aiuto umanitario delle entità ecclesiali nell’ambito della crisi siriana e irachena per l’anno 20142015”, prodotta da Cor Unum e presentata lo scorso settembre, risulta che nel 2015 le istanze della Chiesa cattolica hanno mobilitato più di 150 milioni di dollari a favore di un numero di beneficiari diretti vicino ai 5 milioni; mentre i settori di intervento prioritari sono stati finora: istruzione (più di 37 milioni di dollari); aiuto alimentare (più di 30 milioni di dollari); fornitura di beni non alimentari (circa 25 milioni di dollari); sanità (circa 16 milioni di dollari); sostegno per l’alloggio e il pagamento degli affitti (più di 10 milioni di dollari). Al momento è in corso l’Indagine relativa al periodo 2015-2016.

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sguardi sul mondo

libano

2 01 M OR ED 6 I I O E Il servizio di carità NT E


siria

Basta con qui Paesi che parlano di pace e poi vendono armi Il Papa incoraggia tutti “a vivere con entusiasmo quest’Anno della Misericordia per vincere l’indifferenza e proclamare con forza che la pace in Siria è possibile!”. L’invito è, dunque, di “pregare per la pace in Siria” con iniziative di sensibilizzazione in ogni ambito ecclesiale: “Alla preghiera, poi, seguano le opere di pace. Vi invito a rivolgervi a coloro i quali sono coinvolti nei negoziati di pace affinché prendano sul serio L'ipocrisia di chi parla di pace e alimenta la questi accordi e si impegnino ad agevolare l’accesso agli aiuti umanitari. Tutti devono riconoguerra Francesco chiede di essere al fianco della Caritas, scere che non c’è una soluzione militare per la impegnandosi per la costruzione di una società Siria, ma solo una politica”. più giusta e mette in guardia dall’ipocrisia di chi La pace in Siria è possibile, unire le forze a tutti parla di pace e alimenta la guerra: “Mentre il popolo soffre, incredibili quantità di i livelli denaro vengono spese per fornire le armi ai com- “La comunità internazionale – ribadisce – deve battenti. E alcuni dei paesi fornitori di queste pertanto sostenere i colloqui di pace verso la coarmi, sono anche fra quelli che parlano di pace. struzione dì un governo di unità nazionale”: Come si può credere a chi con la mano destra ti “Uniamo le forze, a tutti i livelli, per far sì che la pace nell’amata Siria sia possibile. Questo sì che accarezza e con la sinistra ti colpisce?”. sarà un grandioso esempio di misericordia e di Riconoscere che non c’è soluzione militare per amore vissuto per il bene di tutta la comunità inla Siria, ma solo politica ternazionale!”. La guerra in Siria “rattrista molto il mio cuore”. “La pace in Siria è possibile”. E’ quanto afferma con forza Papa Francesco in un videomessaggio di sostegno alla Campagna di Caritas Internationalis per la pace nel Paese. Il Papa parla delle indicibili sofferenze del popolo siriano e rivolge il pensiero alle comunità cristiane che sopportano ogni tipo di discriminazione.


Si è spento nella notte di martedì 27 settembre l’ultimo dei padri fondatori di Israele, Shimon Peres, 93 anni, dopo due settimane di ricovero in seguito ad un ictus. Passato alla storia per essere stato uno dei fautori degli accordi di Oslo nel 1993, ha ricevuto il premio Nobel per la Pace. I funerali si sono svolti venerdì 30 a Gerusalemme. Peres è stato sepolto tra i Grandi della Nazione nel cimitero del Monte Herzl a Gerusalemme. L’uomo della pace, protagonista in politica dalla nascita di Israele nel 1948, ministro, premier e infine presidente, esponente del Partito laburista. Peres passò da falco a colomba a partire dal 1977. Nato in Polonia ed emigrato da ragazzo in Palestina, entrò in politica dopo aver conosciuto per caso Ben Gurion facendo l’autostop. Spirito indomito, nonostante le diverse sconfitte elettorali si rialzava ogni volta. Centrale il suo impegno negli accordi di Oslo e il conseguente premio Nobel per la Pace del 1994, ricevuto assieme a Rabin e Arafat. Lui, che in precedenza aveva rifiutato qualsiasi compromesso con i Paesi arabi ostili ad Israele e autorizzato le prime colonie ebraiche nella Cisgiordania occupata, aveva poi compreso che l’obiettivo doveva essere chiaro: due Stati, Israele e Palestina, che convivono in amicizia e cooperazione. Terminato il mandato presidenziale nel 2014, era proseguito il suo impegno per il dialogo con la sua fondazione. Forti i contrasti con Netanyahu, negli anni crebbe sempre più la sua fama di uomo della riconciliazione. Indimenticabile l’incontro di preghiera per la pace in Vaticano con Papa Francesco, a cui partecipò nel 2014 assieme al presidente palestinese Mahmoud Abbas. Ricordiamo le sue parole: “Due popoli – gli israeliani e i palestinesi – desiderano ancora ardentemente la pace. Le lacrime delle madri sui loro figli sono ancora incise nei nostri cuori. Noi dobbiamo mettere fine alle grida, alla violenza, al conflitto. Noi tutti abbiamo bisogno di pace. Pace fra eguali”. Peres ha incontrato anche Benedetto XVI e san

Giovanni Paolo II. La sua morte conquistava l’attenzione dell’informazione così come dei leader mondiali che inviano messaggi di cordoglio. Il figlio, Chemi, ha ricordato così il suo messaggio: ''Ci ha ordinato di edificare il futuro di Israele con coraggio e saggezza e di spianare sempre strade per un futuro di pace''. Al mondo aveva insegnato infatti che “non c’è alternativa alla pace”. Janiki Cingoli è il direttore del Cipmo, il Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente, nel corso degli anni ha incontrato più volte Shimon Peres. Questo è il ricordo che ne ha fatto, riandando con la memoria al 1986: Ho incontrato la prima volta Shimon Peres quando ho accompagnato Giorgio Napolitano nel suo primo viaggio in Israele, che io avevo organizzato. L’incontro avvenne in un clima un po’ particolare: pochi giorni prima c’era stato l’attentato terroristico alla stazione dei bus e quindi noi ci aspettavamo di trovare un po’ di tensione. E invece, ci stupì il fatto che in qualche modo lui la considerava come una cosa che rientrava nella normalità: ‘Sì, loro hanno fatto l’attentato, noi abbiamo bombardato di là e quindi questa è la situazione che c’è’. Lui invece concentrò la sua attenzione sull’interesse che Israele aveva a riprendere i rapporti con l’Unione Sovietica, che erano stati congelati dopo la guerra del 1967. Napolitano, a quell’epoca, era responsabile internazionale del Partito comunista italiano. Tornato in Italia, poco dopo ebbe una missione a Mosca, pose la questione ai dirigenti di allora e, poco dopo, l’Unione Sovietica aprì i canali diplomatici con Israele. 79

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È morto Shimon Peres, ex presidente israeliano e Nobel per la Pace


Di Shimon Peres, oggi, si leggono tanti titoli: “lo stratega”, “il pragmatico”, e se ne sottolinea, giustamente, il particolare rapporto con Yitzhak Rabin. Chi era Shimon Peres? Come uomo politico, come presidente, come colui che, in seguito, è stato vissuto come l’anziano padre di ogni israeliano? Lui era un uomo di visione, aveva la visione dell’“Isfalur” (da Israel, Falestin e Urdùn) cioè Israele, Palestina e Giordania, un po’ come Benelux, nel Medio Oriente, un’area più vasta, tipo Unione Europea, anche elaborando progetti complessi, come quello del canale che unisce il Mar Morto al Mar Rosso, che dovrebbe unire, che è un’opera su cui lui ha centrato molto della sua attività e immaginazione, partendo dal ‘Centro Peres per la Pace’ che lui aveva fondato a Jaffa, il quartiere arabo di Tel Aviv. Lui è l’uomo dell’immaginario che rappresenta questa aspirazione complessiva del popolo israeliano per la pace. Direi che la sua popolarità dentro Israele, quando lui era in competizione elettorale, non è stata pari alla sua fama e alla sua levatura. Lui ha perso tutte le elezioni. Tra Rabin e Peres, Rabin era l’uomo che era in contatto con il popolo, Peres era quello che parlava, volava alto, ma forse il suo rapporto con la popolazione era meno forte. Lui non era semplicemente l’uomo che faceva i discorsi di pace, è l’uomo che ha fatto avanzare il progetto della bomba atomica, il fatto che Israele si munisse di armamento atomico. Quindi, lui era un uomo di pace, ma voleva che Israele avesse tutti i mezzi per difendersi. Da quando è stato eletto presidente, ovviamente, ha svolto una funzione importante: mantenere aperti i canali diplomatici anche quando il governo di Netanyahu li teneva chiusi. E’ stato quindi un simbolo di continuità e di apertura, però Israele oggi sta andando in una direzione diversa e in cui il conflitto israelo - palestinese ha iniziato a diventare più marginale nell’attenzione delle opinioni pubbliche internazionali e dei governi e questo ovviamente lascia aperto un problema che oramai la comunità internazionale tende più a maneggiare che risolvere. In relazione alla questione palestinese, per molte persone è stato difficile negli anni accostare la parola “pace” proprio a Peres … Lui è stato l’uomo che, insieme a Rabin, ha gestito i colloqui di Oslo, che hanno condotto all’Accordo di Washington. Il Nobel per la Pace è stato dato a

Papa: onoriamo eredità di Shimon Peres, uomo di pace Il Papa si è detto “profondamente rattristato” per la morte dell’ex presidente israeliano Shimon Peres. In un telegramma indirizzato all’attuale capo di Stato di Israele, Reuven Rivlin, Francesco rivolge le sue “sentite condoglianze” a tutto il popolo israeliano, ricordando con affetto il tempo passato con Peres in Vaticano e rinnovando il suo “grande apprezzamento” per i suoi “sforzi instancabili” a favore della pace. Il Pontefice auspica che la memoria di Shimon Peres ispiri tutti “a lavorare con sempre maggiore urgenza per la pace e la riconciliazione tra i popoli. In questo modo, la sua eredità sarà veramente onorata e il bene comune per il quale ha lavorato così diligentemente troverà nuove espressioni”, mentre “l'umanità si sforza di avanzare sul cammino verso una pace duratura”. Quindi conclude: “Con l'assicurazione delle mie preghiere per quanti sono in lutto, soprattutto per la famiglia Peres, invoco le benedizioni divine di consolazione e forza sulla nazione”.

Rabin e a lui non casualmente. Direi che lui era quello che elaborava e che portava avanti l’idea di pace, ma quello che avrebbe potuto realizzarla sul terreno era Rabin e non per caso l’hanno ucciso. Era un binomio anche pieno di rivalità, tuttavia era un binomio che funzionava finché i due c’erano. Quando la parte forte nel rapporto con il popolo, e anche con l’esercito, è venuta a mancare, l’altro è rimasto un po’ disancorato. Tra le ultime immagini di Peres, ricordiamo quelle che lo ritraggono nei giardini vaticani, con Papa Francesco e Abu Mazen, mentre viene piantato un albero di ulivo … E’ stato un atto estremo e credo che sia stato un miracolo quello che ha compiuto Papa Francesco. Perché Abu Mazen si rifiutava di incontrare qualsiasi dirigente israeliano, anche se i suoi rapporti con Peres storicamente sono stati sempre forti. Il fatto di averli lì riuniti, testimonia questa tensione verso la pace. Direi che è stato un ultimo contributo a mantenere viva questa aspirazione verso due Stati che vivano affianco uno all’altro. Tuttavia, è un’aspirazione che forse il governo israeliano e, per certi versi, anche l’Autorità Palestinese – con l’ondata di violenza che si è sviluppata negli ultimi mesi – non hanno raccolto a sufficienza. 80


Papa Francesco tra i terremotati

“Sono qui per portarvi speranza e preghiera”

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isita a sorpresa di Papa Francesco alle popolazioni vittime del terremoto del 24 agosto scorso, nel giorno della solennità si san Francesco d’Assisi, 4 ottobre. Ad Amatrice, Francesco ha visitato la scuola e poi si è avvicinato alla zona rossa. Il Papa si è recato anche ad Accumoli, a Pescara, ad Arquata del Tronto e a Norcia. “Vi sono vicino e prego per voi", andiamo avanti, l’incoraggiamento del Papa tra i terremotati che l'hanno accolto con gioia e gratitudine. E’ arrivato alle 9.10, a bordo di una golf con i vetri oscurati il Papa ad Amatrice, città simbolo del terremoto che ha colpito il Centro Italia, una visita la sua tenuta il più possibile riservata “per non disturbare”. Accompagnato dal vescovo di Rieti, mons. Domenico Pompili, è subito entrato nel locale della scuola provvisoria realizzata dalla Protezione civile del Trentino, un container dipinto di rosso, per incontrare alunni e insegnanti. Per il Papa i bambini

delle elementari hanno intonato il canto dell’amicizia e a lui hanno regalato i loro ricordi del dramma del sisma, soprattutto disegni. Poi all’esterno, circondato dalla gente, le parole di Papa Francesco: "Ho pensato bene nei primi giorni di questi tanti dolori che la mia visita, forse, era più un ingombro che un aiuto, che un saluto, e non volevo dare fastidio e per questo ho lasciato passare un pochettino di tempo affinché si sistemassero alcune cose, come la scuola. Ma dal primo momento ho sentito che dovevo venire da voi! Semplicemente per dire che vi sono vicino, che vi sono vicino, niente di più, e che prego, prego per voi! Vicinanza e preghiera, questa è la mia offerta a voi. Che il Signore benedica tutti voi, che la Madonna vi custodisca in questo momento di tristezza e dolore e di prova". E dopo la benedizione ancora il Papa ha voluto pregare l'Ave Maria con le persone presenti: "Andiamo avanti, sempre c’è un futuro. Ci

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sono tanti cari che ci hanno lasciato, che sono caduti qui, sotto le macerie. Preghiamo la Madonna per loro, lo facciamo tutti insieme. [Ave Maria…] Guardare sempre avanti. Avanti, coraggio, e aiutarsi gli uni gli altri. Si cammina meglio insieme, da soli non si va. Avanti! Grazie". Quindi il Papa ha abbracciato e salutato maestre, professori e studenti, il sindaco Sergio Pirozzi, le forze dell’ordine, i vigili del Fuoco, i sacerdoti. “Speranza” la parola rimasta di più nel cuore delle persone. Poi, camminando da solo lungo Corso Umberto I, l'arrivo nella zona rossa di Amatrice e l’impatto con le macerie in un grande silenzio. Il Papa si è avvicinato il più possibile agli edifici crollati da cui sporgono ancora materassi e oggetti di vita quotidiana, per un momento di preghiera personale. Ad accompagnarlo Luca Cari, responsabile comunicazione in emergenza dei Vigili del Fuoco che il Papa ha sa-

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lutato così: “Prego per voi …; il vostro è un lavoro doloroso. Vi ringrazio per quello che fate”. Poi il Papa ha chiesto di fare una foto con tutti gli altri vigili presenti perché, ha sottolineato, "sono quelli che salvano la gente". Quindi, con la stessa auto il trasferimento verso le zone terremotate nelle Marche, ma prima il Papa ha voluto recarsi a Rieti per far visita alla Residenza Sanitaria Assistenziale San Raffaele Borbona che accoglie malati cronici e non autosufficienti. Francesco ha salutato uno per uno tutti i 60 ospiti, una trentina dei quali anziani sfollati a causa del terremoto e ha pranzato con loro. Verso le 13 l’arrivo nella zona rossa di Accumoli dove il Papa è stato accolto dal capo della protezione civile Fabrizio Curcio e dal commissario per la ricostruzione Vasco Errani e dal sindaco, Stefano Petrucci. Il Papa è andato a salutare gli sfollati che erano ad attenderlo sulla piazza: "Preghi per noi Santo Padre, ne abbiamo bisogno", gli hanno detto. "Siete voi che dovete pregare per me - ha risposto Francesco - io vi sono vicino”. La visita alle vittime del sisma è proseguita a Pescara e poi ad Arquata del Tronto dove bambini e insegnanti hanno accolto Papa Francesco con le autorità e il vescovo di Ascoli Piceno mons. Giovanni D'Ercole. Nella tendopoli molto affollata ha salutato oltre 100 persone: "Buon pomeriggio a tutti voi, ha detto loro, io ho

voluto esservi vicino in questo momento e dire a voi che vi porto nel cuore e so, so della vostra sofferenza e delle vostre angosce e so anche dei vostri morti e sono con voi e per questo ho voluto oggi essere qui", e ha concluso: "adesso preghiamo il Signore perché vi benedica e preghiamo anche per i vostri cari che sono rimasti lì, e sono andati in cielo". Il desiderio di dare un segno visibile della sua vicinanza e partecipazione al dolore della gente colpita dal sisma, Papa Francesco l’ha coltivato a lungo annunciandolo già durante l’Angelus del 28 agosto a quattro giorni dal terremoto: “Appena possibile, aveva detto, spero anch’io di venire a trovarvi per portarvi di persona il conforto della fede, l’abbraccio e il sostegno della speranza cristiana”. Domenica scorsa, durante la conferenza stampa nel volo Baku - Roma, Francesco aveva detto che questa visita l’avrebbe fatta “privatamente, da solo, come sacerdote, come vescovo, come Papa. Ma da solo. Così voglio farla. E vorrei essere vicino alla gente”. Parroco Amatrice: Papa tra noi a sorpresa, toccati dalla sua vicinanza Ad Amatrice, il Papa ha incontrato i bambini della scuola allestita in tempi record, quindi si è recato nella zona rossa, tra le macerie del vecchio paese, e si è fermato tra la gente. Giada Aquilino ha raccolto la testimonianza di don Savino D’Amelio, parroco di Sant’Agostino 82

ad Amatrice, tra i presenti all’incontro con Francesco: Noi sacerdoti non lo sapevamo. Abbiamo visto un dispiegamento di giornalisti, radio, tv e vari operatori. Quando è arrivato, è andato direttamente incontro ai bambini. E’ stato molto bello, molto significativo. Il vescovo Pompili ha presentato, poi, alcuni sacerdoti presenti. E’ stato un gesto inatteso, improvviso, un po’ come il terremoto, che è arrivato quando non ce lo aspettavamo. Ha potuto cogliere qualche parola che il Papa ha detto ai bambini? Solo l’emozione. Il Papa ha detto: “Vicinanza e preghiera, questa è la mia offerta per voi”… Sì, le battute prima di rimettersi in macchina dopo la visita alla scuola. Poi ha invitato a pregare tutti noi che stavamo lì e abbiamo recitato l’Ave Maria. Qual è stata l’accoglienza tra la gente, quando il Papa ha invitato a guardare al futuro. “Bisogna guardare sempre avanti”, ha esortato… La reazione della gente è stata di emozione, vedendo solo anche qualche scorcio del passaggio del Pontefice. Il significato di questa visita del Papa, che si fa pastore tra la gente, il 4 ottobre, San Francesco … Sì, è molto significativo che abbia


La gente, dopo questa visita del Papa, come si sente? Quando finiscono questi eventi si ritorna un po’ alla normalità, a guardare in faccia alla realtà. La realtà adesso si complica sempre di più, rimuovendo le tende e – chi può rientrando nelle case, con tutte le paure. Ieri sera c’è stata un’altra scossa, infatti, e c’è gente che dorme con “un piede in fuga”, pronta a scappare. Ci sono poi situazioni più pesanti: persone che ancora non sanno dove devono andare, come devono collocarsi dopo la dismissione delle tende. Come, però, le persone con queste parole del Papa sono spinte veramente a guardare al loro futuro? Penso che la parola del Sommo Pontefice possa aiutare ad avere fiducia nella vita. Siamo dunque chiamati ad incarnare questa speranza che il Papa ha suscitato e ha comunicato con le sue parole. Pescara del Tronto: la gioia dei terremotati per l'abbraccio del Papa Ancora un gesto di vicinanza alle popolazioni colpite dal sisma nella visita di Francesco a Pescara del Tronto e ad Arquata del Tronto. Giada Aquilino ha raggiunto telefonicamente don Francesco Armandi, parroco di Pescara del Tronto e di altre tre frazioni terremotate: Il Papa è venuto ed è stato molto gentile: ha parlato con tutti, ha abbracciato i bambini, ha fatto le foto, anche con noi parroci terremotati. Dove ha incontrato il Papa? Nella tendopoli di Arquata del Tronto, frazione Borgo; davanti alla

“scuola”, che poi è una tenda installata per l’occasione. Il Papa, ai presenti, ha detto di conoscere bene la sofferenza e le angosce dei terremotati. Quale messaggio ha lasciato? Ha lasciato un messaggio di bontà, di coraggio: bisogna andare avanti. E’ una visita che ci può solo incoraggiare. Francesco ci ricorderà nelle sue preghiere e ci ricorderà anche materialmente. Qual è stata la reazione della popolazione, lì, nelle tende? E’ stata una reazione di contentezza, di gioia, per aver incontrato il Papa. Ha dato la mano a tutti, davvero. Nel giorno di San Francesco, il Papa è venuto tra i terremotati. Lei, che si chiama Francesco, cosa ricorderà di questa visita? Qui sono giorni di sofferenza. Però, in mezzo a questa sofferenza, sicuramente il Papa ha portato un alito di speranza per andare avanti, con coraggio e con fede, cercando di ricostruire quello che purtroppo il sisma ha distrutto. Sindaci di Amatrice e Accumoli: messaggio straordinario A salutare il Papa, tra le macerie di Amatrice, il sindaco della località reatina, Sergio Pirozzi. Davide Dionisi lo ha raggiunto al telefono: Questa è stata la visita più forte a li-

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vello emotivo. Come dissi il giorno dei funerali, la nostra fede ci insegna, ci trasmette speranza. Noi abbiamo la certezza che dopo la morte ci sia una vita. Per cui il messaggio straordinario è che, dopo la morte che noi abbiamo avuto, la visita del Papa rappresenta la vita, quella che verrà: torneremo a vivere nelle nostre case, nei nostri luoghi. Io gli ho detto queste cose e la cosa più bella è stata il suo abbraccio, a testimonianza di una vicinanza straordinaria non solo fisica, ma soprattutto emotiva. Lo ringrazio, quindi, perché ho visto negli occhi della mia gente la speranza: e non c’è cosa più bella di questa! Ad accompagnare il Pontefice nella zona rossa di Accumoli, anche il sindaco Stefano Petrucci. La sua emozione, dopo la tragedia del terremoto, raccolta da Davide Dionisi: Dopo avere subito una disgrazia del genere, avere qui Sua Santità per noi è un punto di forza. Qual è la situazione ad Accumuli? La comunità - circa 250 persone – si è collocata a San Benedetto del Tronto: famiglie con bambini, ragazzi e nonni; altre 350 persone hanno usufruito del contributo e si sono autonomamente sistemate presso parenti o in affitto o altro; e qui sono rimaste circa 50 persone, impiegate nelle attività agricole e nell’allevamento. Adesso dobbiamo

sguardi sul mondo

voluto condividere con noi la sua festa, senza dare spazio a nessuna manifestazione esteriore. Questa vicinanza, a partire dai bambini, è stata molto bella, molto significativa.


sistemarle, perché comunque ancora versano in una condizione di disagio, in quanto i container ad uso familiare non sono stati al momento forniti e arriveranno penso da qui ad una settimana. Attualmente sono presso amici, che hanno case agibili, o in qualche roulotte o caravan. Tra i feriti del sisma al San Raffaele di Borbona Nella sua visita alle zone terremotate, Papa Francesco si è recato anche alla Residenza Sanitaria Assistenziale “San Raffaele” di Borbona, in provincia di Rieti, dove ha salutato i pazienti ospitati nella struttura. Questa, la testimonianza di Alberto Bertolini, amministratore delegato del San Raffaele di Roma: Questa mattina è stata una cosa meravigliosa, nel senso che il Santo Padre inaspettatamente è venuto a far visita ai nostri ospiti ricoverati. Quindi è stato un momento di “gio-

iosa turbolenza”, una cosa che ha colto tutti inaspettatamente e ha riempito di speranza tutti coloro che stiamo ospitando nella nostra struttura: la maggior parte – almeno 50 – arrivano dalle zone terremotate a seguito del sisma che c’è stato nel mese di agosto. Dopo tanti disagi, amarezze, tristezze, questo squarcio di sole ha riempito tutti di una grandissima gioia. Ha potuto raccogliere qualche emozione dei presenti? Grande gioia, sorrisi … Quindi c’è stato veramente un momento di grandissima commozione e sono stati tutti molto contenti. Poi la solidarietà espressa dal Santo Padre è stata veramente tangibile, sentita da tutti. Il Papa ha pranzato con gli ospiti … Prima ha voluto far visita a tutti loro, nelle camere, poi ha voluto

pranzare con loro e c’è stato grande fermento per questa occasione e grande tripudio di gioia per aver potuto godere di questa presenza. I vostri ospiti chi sono? Sono anziani non autosufficienti che hanno bisogno di cure e non possono rimanere a domicilio, che hanno bisogno di cure non di carattere ospedaliero e quindi nella catena delle strutture sanitarie della Regione Lazio, come in quelle di tutte le altre Regioni, ci sono queste “Rsa” (residenze sanitarie assistenziali) che sono dedicate a tale tipologia di pazienti. Quale messaggio ha lasciato il Papa? E’ un messaggio di grandissima speranza: che tutte le sofferenze comunque possono essere superate se si volge lo sguardo in modo un po’ più allargato che non alle specifiche sofferenze personali.

Il vescovo di Rieti ai funerali ad Amatrice: “Il terremoto non uccide, uccide l’opera dell’uomo” Lutto nazionale e funerali solenni pieni di commozione martedì pomeriggio 30 agosto ad Amatrice, nel piazzale dell’Istituto Don Minozzi. La popolazione e le massime cariche dello Stato si sono ritrovate per l’ultimo saluto a 28 vittime delle 295 accertate dal terremoto di mercoledì 24 agosto. E’ stata la cittadinanza del piccolo borgo reatino raso al suolo a volere che il rito si svolgesse nel calore e tra gli abbracci di amici e conoscenti e non a Rieti come inizialmente stabilito per motivi tecnici. E così il dolore e la preghiera si sono fusi sullo sfondo di un paesaggio fatto ormai solo di macerie. E' stata una cerimonia toccante, a cui hanno preso parte le massime cariche dello Stato, ma anche, per volere del Papa, l’elemosiniere pontificio, mons. Konrad Krayewski, che ha consegnato alle famiglie delle vittime una corona del Rosario. Il vescovo di Rieti Domenico Pompili ha presieduto il rito. Si è lavorato notte e giorno sfidando il maltempo e la difficile viabilità perché i funerali delle vittime di Amatrice si svolgessero là dove ciascuno è vissuto. E così è stato. I nomi lentamente elencati dal vescovo di Rieti, sono di tutte le vittime dei paesi laziali sgretolati dal sisma, un pesante tributo di sangue che le 28 bare, ada-

giate sotto una tensostruttura stracolma, rappresentano. Spiccano anche due feretri bianchi, di Ivan, tre anni, e della sorellina Veralù, morti con i genitori e simbolo di tanti bambini che non ci sono più. Il dolore delle famiglie si sfoga così sotto lo sguardo attento dei volontari che non le lasciano mai sole e davanti al volto pietoso della Madonna della Neve qui venerata e posta accanto all’altare su un cumulo di sassi, simbolo della devastazione che il vescovo, mons. Domenico Pompili, ricorda nella sua omelia: “Dio non può essere utilizzato come il capro espiatorio”, afferma, al contrario, “è Salvezza”: “La domanda ‘dov’è Dio?’, non va posta dopo ma va posta prima e comunque sempre per interpretare la vita e la morte, come pure va evitato di accontentarsi di risposte patetiche e al limite della superstizione come quando si invoca il destino, la sfortuna, la coincidenza impressionante delle circostanze”. “Il terremoto ha altrove la sua genesi”, aggiunge mons. Pompili. “Esiste da quando esiste la terra e l’uomo non era neppure un agglomerato di cellule”, ha generato “paesaggi e montagne” che racchiudono in sé anche “elementi essenziali come l’acqua”. 84


HA SCRITTO

da Roma

“Perché l’Europa non accorre in Italia come fosse stata bombardata Sarajevo? Perché non invia subito i suoi monuments man, non convoca un vertice straordinario sul sisma e una conferenza mondiale di archi-star ( o di archi-non-star) per la ricostruzione di quello che non è solo un paesaggio italiano ma il cuore dell’identità europea? Mentre l’Inghilterra della Brexit celebra sul Gardian quel “ patrimonio distrutto in Umbria e nelle Marche che appartiene all’intera umanità”, non è partito alla volta delle zone terremotate nessun aereo targato Ue, con a bordo il presidente Juncker insieme al numero uno del consiglio europeo Tusk e ai vari ministri compreso il super-rigorista finlandese Katainen. Sarebbero potuti arrivare precipitosamente in mezzo alla polvere delle macerie e fermarsi davanti alla statua di san Benedetto il patrono d’Europa, ancora miracolosamente in piedi nell’aiuola di Norcia con le sue braccia alzate verso la rocca incombente e accanto la scritta:”Fermati o rupe”. Ma questa scena, che non avrebbe avuto nulla di retorico, nessuno l’ha vista. Forse perché, parafrasando il titolo di un celebre film, Dio c’è ma non vive a Bruxelles”. MARIO AJELLO Il messaggero, 2 novembre 2016, p.1-8.

MOHAMMAD DJAFARZADEH ARCHITETTO E STORICO

I

tre terremoti del 24 agosto, del 26 e del 30 ottobre 2016 hanno distrutto paesi e città delle Regioni Lazio, Umbria e Marche lasciando cumuli di case e di chiese distrutte. Migliaia di famiglie hanno perduto tutto insieme con i loro cari. Ben 296 i morti. Le ferite resteranno profonde nel corpo e nell’anima. Tutti sappiamo come l’Italia sia un Paese soggetto ai terremoti. Penultimo, in ordine tempo, quello disastroso dell’Abruzzo con il suo epicentro nella città de L’Aquila. Ma, lo Stato e gli organi competenti non sono in grado di prendere iniziative concrete per evitare o per lo meno diminuire le drammatiche conseguenze. Anni fa, veniva approvata una legge nazionale che obbligava tutti i Comuni a verificare lo stato di stabilità degli edifici nelle aree della loro competenza attraverso il cosiddetto Fascicolo dei Fabbricati. Qualificati professionisti sono stati incaricati di eseguire questo compito, senza accertare la loro capacita e le loro conoscenza al riguardo. Bastava compilare un software dove non erano neanche sufficienti gli accertamenti da fare per individuare se, per davvero, un edificio si trovava in uno stato di stabilità e relativamente resistente non solo ad un terremoto ma anche agli eventuali cedimenti del terreno sottostante o strutturale. Perciò le indagini effettuate e i pareri dei tecnici non erano assolutamente attendibili. Dopo circa un anno dall’entrata in vigore di questa legge, improvvisamente si fermava tutto, forse perché qualche autorità reputava che questo tipo di indagine fosse inutile. Il provvedimento, di per sé, non era sbagliato ma, come spesso succede, metterlo in pratica era complicato, causa l’incompetenza di chi aveva stabilito le regole e la metodologia in fase di esecuzione per la verifica di stabilità degli edifici. Molto frequente era la scelta inadeguata dell’impresa incaricata per opere di ristrutturazioni e di

consolidamenti degli edifici accompagnati da amministratori corrotti che mettono in repentaglio la vita delle persone, venendo molto spesso a mancare i controlli sulla esecuzione e sulla qualità delle opere. Invece, appena succede un terremoto e altri eventi catastrofici, inizia la caccia alle streghe per trovare i colpevoli che avevano accertato o consolidato, guarda caso, solo gli edifici pubblici, scuole e ospedali, come se le case crollate sulla testa della gente non fossero importanti, e, i monumenti distrutti non fossero perdite di un patrimonio inestimabile. Non bastano lacrime e promesse, molto spesso non mantenute, per limitare i danni in futuro. Non basta l’individuazione di qualche colpevole per 85

terremoti

Dal ventre dalla terra dal cielo cadano bombe


rendere l’Italia più sicura nei confronti delle catastrofi naturali. Tutti noi siamo in lutto per chi ha perso il padre, la madre, figli, i nonni e tutto il loro avere, ma la nostra solidarietà e le nostre donazioni non sono sufficienti per consolare i loro dolori e non sono sicuramente sufficienti per ridare loro una casa e un lavoro e far rivivere la loro città rasa al suolo. Non mancano esempi e testimonianze dei dopo terremoti, dopo alluvioni, dopo paesi seppelliti dal fango a causa di speculazioni e la distruzione dei territori. Tra gli sfollati accatastati nelle tende per lungo tempo, sono tanti che abbandonano tutto e tentano di immaginare in un altro posto; fuggire dalle disgrazie in un stato di disperazione per continuare a sopravvivere. Tutto ciò accade sotto i nostri occhi e noi siamo inermi di fronte a sconvolgimenti di carattere naturale. Mancano sempre soldi per ricostruire ma non mancano mai per la distruzione. Non mancano mai per comprare le armi, per acquistare i sistemi offensivi dell’ultime generazioni e non mancano mai i soldi per tenere in piedi i dittatori compiacenti. Per non parlare del costo previsto per la costruzione di un muro a Calais da parte del governo inglese, per un costo di due milioni di sterline pari a duecento sessanta milioni di euro, per bloccare l’immigrazione. Era solo pochi anni fa che l’occidente protestava contro Israele per la costruzione di un muro in Cisgiordania per bloccare il passaggio ai palestinesi e ora si alzano altri muri in Europa per bloccare i disperati, prima in Ungheria, anche quella fortemente contestata dagli stessi europei, e ora in Inghilterra. Forse non possiamo fare niente per evitare i terre-

moti provocati dal sottosuolo, ma sicuramente possiamo fare molto per terremoti provocati dai bombardamenti e la distruzione di intere nazioni con milioni di morti e milioni di disperati costretti a uggire e ad emigrare. Anche questi disperati sono essere umani come le vittime di altri terremoti. Mentre le vittime dei terremoti legati alla natura ricevono giustamente la solidarietà da parte di tutti noi, altre vittime di terremoti dal cielo e dalla terra sono prevalentemente esclusi prima dal nostro immaginario sentimentale e dalla nostra solidarietà. Questa massa di persone che fugge dalle città distrutte, ci danno solo problemi e, spesso, viene giudicata pericolosa e, a volte, terrorista. Vengono accatastate nei lager chiamati “luoghi di accoglienza”; vengono trattate come merci di scambio dando miliardi di euro alla Turchia per tenerle chi sa in quale condizione. La riflessione che dovremmo farci tutti è questa: facciamola finita con le guerre, con la produzione delle armi, con il sostegno materiale e militare ai dittatori, con i tentativi di rovesciare regimi poco graditi, invadere altri paesi per esportare “la democrazia”….. e utilizziamo quei miliardi insieme ai miliardi dati e da dare alla Turchia, possiamo porre fine alla disperazione di tutti i terremotati dagli eventi naturali e dalle guerre. Avremmo perfino una eccessiva disponibilità economica e potremmo garantire un futuro più sicuro ai nostri figli in qualsiasi nazione, di qualunque colore delle pelle. Salveremo così la nostra terra maltrattata e, molto spesso, disprezzata. 86


Francesco e Chiara uniti nel Signore RAFFAELE DI MURO DOCENTE DI SPIRITUALITÀ FRANCESCANA

ercare insieme la volontà di Dio: è il cuore dell’amicizia tra i due santi ed è il punto di riferimento del loro cammino. Si tratta di percorrere insieme, sostenendosi reciprocamente, la via della conversione e della santificazione, di vivere costantemente orientati verso il bene dell’altro, senza strumentalizzazioni ed all’insegna della massima sincerità ed onesta nei rapporti: è questo, il grande insegnamento fornito all’uomo ed alla donna di oggi da Chiara e Francesco. E’ emblematico come i due santi sono l’uno per l’altro segno dell’amore misericordioso di Dio, nonché mediazione della sua volontà. Francesco, uomo di Dio, aiuta la giovane Chiara a comprendere la sua vocazione ed a seguirla con perseveranza e con fedeltà. Ella, a sua volta, contribuisce in modo decisivo al suo discernimento in chiave apostolica che sostiene con la sua preghiera nascosta ed efficace. Insieme sono cercatori dell’amore dell’Altissimo e del loro progetto di vita. Questo è un elemento della loro amicizia che deve, a giusto titolo, considerarsi all’interno di una dimensione marcatamente soprannaturale. Il loro cammino insegna che si è veramente amici nel Signore se prevale il desiderio di aiutarsi a vivere al meglio la propria sequela. E’ fondamentale la fede di entrambi nel credere che il loro incontro non è frutto semplicemente di un loro desiderio, ma che vi è un piano più grande delle loro persone e delle loro umane aspettative che Dio consegna a loro. Uniti nel Signore compiono una strada all’insegna della penitenza, evidenziando il ruolo della povertà come elemento introduttivo alla contemplazione ed all’unione mistica. Essi offrono un significativo insegnamento nel sottolineare la direzione verso la quale devono andare, le motivazioni ed i gesti quotidiani perché l’espropriazione materiale e spirituale possa essere portatrice di abbondanti risultati nello Spirito. L’itinerario penitenziale per i due santi gioca un ruolo fondamentale a proposito della comune ricerca della volontà di Dio ed è uno dei pilastri circa i contenuti della loro amicizia spiri-

tuale. Quali, i contenuti della penitenza di Chiara e di Francesco? Dobbiamo prendere in considerazione le loro intenzioni di fondo, gli obiettivi finali e le modalità attraverso le quali perseguono verso una autentica amicizia spirituale. I due santi percorrono una comune via che ha come motivazione di fondo l’amore per il Signore da coltivarsi in modo prioritario su ogni cosa . Per raggiungere questo obiettivo è necessario un percorso ascetico nel quale domina il distacco dalle attrattive del mondo. La finalità è l’unione sponsale con Cristo che rappresenta l’obiettivo fondamentale del loro cammino. Essi condividono questo ideale e si aiutano con la preghiera e con le esortazioni a perseguirlo fino in fondo. Entrambi raggiungono la fase mistica a coronamento di questo itinerario di comune santificazione. La povertà è caratterizzata da un livello sponsale ed escatologico. Da un lato, questo consiglio evangelico aiuta a stare con Gesù, a godere della sua presenza, del suo amore e dell’unione con lui, favorendo la vita mistica e di contemplazione, dall’altro permette di vivere in modo profondo la propria fede proiettati costantemente verso la vita eterna, liberi da ogni ostacolo terreno. Il vero tesoro dell’uomo è Cristo Gesù: vale la pena rinunciare a tutto ciò che è appartenenza al mondo e vivere solo per lui. I due santi sono uniti nella ricerca del progetto di Dio su 87

FRANCESCANESIMO

C


di loro e sono insieme anche nel viverlo fino in fondo, con uno stile improntato all’essenzialità e ad un affetto che si trasforma in aiuto concreto per il fratello o la sorella che sono in cammino. Camminare insieme cercando le vie di Dio, procedere uniti nella ricerca di sequela autentica del Signore, trovare uniti la strada verso l’unione con lui e procedere in una sequela che vuol dire testimonianza di vita evangelica ed imitazione della sua kenosi: questa è l’amicizia spirituale di Chiara e Francesco. Essi sono uniti dal grande desiderio di se-

guire e di imitare Cristo povero e crocifisso e il loro essere amici rappresenta il modo per raggiungerla, lo stimolo per perfezionare sempre più il personale cammino, la propria ascesi e la qualità della preghiera. Insieme cercano il Signore, la sua volontà, il suo progetto ed il suo amore trasformandosi interiormente andando dietro Lui con perseveranza e fedeltà. Entrambi sono stati toccati dall’amore misericordioso di Dio che si manifesta povero ed umile in Cristo Gesù e, uniti in Lui, cercano la strada per una risposta a tanta benevolenza da parte del-

l’Altissimo. Il cuore di Chiara e Francesco vibra al solo pensiero della povertà del Signore, rispetto alla quale essi non possono restare indifferenti e, dopo averla meditata e contemplata, cercano di farla diventare concreta e palese nel loro quotidiano cammino. Lo Spirito Santo che agisce incontrastato nell’amicizia di Chiara e di Francesco e nella realizzazione del loro discernimento. È il “compagno inseparabile” del santo e della sua pianticella, il sostegno e la luce nella comune ricerca del volto di Dio, altissimo e santo.

Il card. Sandri consacra vescovo padre Pizzaballa Si è tenuta nel pomeriggio di sabato 10 settembre presso la Cattedrale di Bergamo il solenne rito di ordinazione episcopale di padre Pierbattista Pizzaballa, dell'Ordine dei Frati Minori, che Papa Francesco ha nominato, il 24 giugno scorso, amministratore apostolico del Patriarcato di Gerusalemme dei Latini, elevandolo in pari tempo alla sede titolare di Verbe con dignità di arcivescovo. Ha presieduto la celebrazione il card. Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, coadiuvato da S.B. Fouad Twal, patriarca emerito di Gerusalemme, e da mons. Francesco Beschi, vescovo di Bergamo. Lo stemma episcopale scelto da mons. Pizzaballa rappresenta la città di Gerusalemme, mentre il motto è Sufficit tibi gratia mea (Ti basta la mia grazia) (2Cor 12, 9). Nell’omelia il card. Sandri ha detto che l’unico strumento nelle nostre mani per evitare che i cristiani “emigrino dal Medio Oriente o vengano fatti uscire da progetti non chiari” è trovare sempre “forme antiche e nuove per essere Chiesa in uscita, che ha a cuore la promozione di spazi di incontro e riconciliazione”. Allora, la comunità cristiana “che chiede di essere preservata, sostenuta e protetta, continuerà a essere dono per tutti, per coloro che abitano quei luoghi da secoli”, ma anche per i pellegrini e per le migliaia di lavoratori migranti che ormai ne fanno stabilmente parte. Riferendosi in particolare a padre Pizzaballa, il porporato ha indicato nel vescovo un uomo bisognoso di una “speranza affidabile per la propria vita e il proprio destino”, grazie anche alla “solidarietà concreta” di quanti, da tutto il mondo, si impegnano nel sostenere la vita delle Chiese in Terra Santa. In quella regione, dove il nuovo presule ha vissuto e “servito da ventisei anni, il Verbo fatto carne — ha detto il cardinale prefetto — ci ha fatto conoscere il desiderio di Dio, la salvezza per l’umanità. Lì colui che è la parola del Padre ha portato a pienezza la rivelazione”. Non bisogna perdere la consapevolezza – ha sottolineato - che in quei luoghi, “sotto le macerie frutto dei peccati, delle violenze e delle miopie di molti uomini e di molti poteri del mondo”, è rimasta “la sorgente posta da Dio, che zampilla per dare sollievo e fecondità”: la presenza stessa di Gesù. Il cardinale prefetto ha fatto notare come tanti in Terra Santa, e particolarmente nel territorio del Patriarcato latino, hanno ancora “sete di giustizia e di pace: dimensioni fondamentali del vivere umano, che prima ancora che rivendicate come diritto dagli altri devono essere desiderate e operate nei rapporti dentro la Chiesa e tra le Chiese, oltre che con i credenti ebrei e musulmani”. Rivolgendosi ancora a padre Pizzaballa, ha ricordato che essere vescovo per la Chiesa latina che è in Gerusalemme, “amministrandola a nome e per conto del Santo Padre, come pure guidando l’assemblea degli ordinari cattolici di Terra Santa, è compito senz’altro arduo”; ma potrà essere vissuto pieno “di gioia e di serena determinazione, perché ancorati nella parola del Signore e non nei nostri progetti umani”. Questa parola infatti non è “incatenata né messa in fuga, ma efficace e porta frutto”. Con il porporato hanno concelebrato una trentina tra arcivescovi e vescovi, tra i quali i nunzi apostolici in Israele, Palestina, Giordania, Libano, Cuba, Singapore e Canada. Tra i presenti anche l’arcivescovo di Akka dei greco-melkiti, l’arcivescovo maronita di Haifa, il vicario apostolico dell’Arabia e quello di Istanbul, oltre ad alcuni vescovi nativi di Bergamo. Era presente inoltre una delegazione ecumenica, con l’arcivescovo Nektarios, inviato dal patriarca greco-ortodosso di Gerusalemme. Numerosi i frati minori, in particolare quelli provenienti dalla Custodia di Terra Santa. 88


La Chiesa francescana di Papa Francesco

GIANLUCA BICCINI GIORNALISTA DE L’OSSERVATORE ROMANO

Quanto di Francesco d’Assisi troviamo nella vita e nel magistero di Papa Bergoglio? Cosa hanno in comune il Poverello e il Pontefice che ha scelto di chiamarsi con il suo nome? A queste domande risponde padre Gianfranco Grieco nel volume : La Chiesa francescana di Papa Francesco ( Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2016, pagine 144, euro 16). Innanzitutto, in Francesco d’Assisi c’è l’esigenza e la capacità di andare all’essenziale, al nucleo fondamentale del Vangelo. Ciò si realizza attraverso l’adesione alla Parola di Dio, nel riconoscimento della sua autorità e nell’accoglierla come regola di vita e di comportamento. La stessa tensione spirituale che troviamo in Ignazio di Loyola, i due punti di riferimento del primo Pontefice gesuita della storia. «Papa Francesco — scrive l’autore — ha capito bene sin dal momento della sua elezione alla Cattedra di Pietro che è santo Francesco a rendere credibile il cristianesimo dinanzi al mondo e dinanzi alla storia». Esattamente, per quella radicalità evangelica e per quel voler vivere pienamente la povertà che gli permette di essere libero da ogni intralcio del mondo per meglio servire Dio e gli uomini. È proprio quel desiderio di vedere una Chiesa povera per i poveri che accomuna il santo di Assisi e Papa Bergoglio. Oltre alla povertà, l’autore prende in esame gli altri specifici carismi francescani che nascono dalla predicazione “scalza” e itinerante del Poverello: pace, provvidenza, mansuetudine, distacco, farsi dono. Ma anche quel rispetto e quell’amore verso il creato, immagine e opera di Dio da tutelare e ammirare, che ha trovato ampia eco nell’enciclica Laudato si’, il cui titolo riporta le prime parole del celebre Cantico delle creature. Ben tredici volte il santo viene citato nel documento pontificio, tanto da far affermare a padre Grieco che legando e commentando questi tredici passi si può comporre la prima enciclica francescana che ha segnato la storia della Chiesa e dell’umanità dal 1224, anno in cui venne composto il Cantico. (GLB)

Intervista a padre Marco Tasca ministro generale Ofm Conv. Non capita a tutti di incontrare Papa Francesco per ben tre volte in meno di qualche settimana, in luoghi distanti tra loro quasi millecinquecento chilometri. Ma può accadere se si è Ministro generale di un Ordine religioso il cui nome del fondatore è stato scelto come modello per il pontificato. E così padre Marco Tasca, ministro generale dei frati minori conventuali, il 29 luglio ha ricevuto Francesco davanti alla cella di san Massimiliano Kolbe ad Auschwitz e il successivo 4 agosto lo ha di nuovo salutato nel cortile della basilica di Santa Maria degli Angeli, in occasione della visita del Pontefice alla Porziuncola di Assisi. E il 20 settembre nella basilica papale di san Francesco ad Assisi per il 30.mo anniversario dello storico incontro promosso da san Giovanni Paolo II il 27 ottobre 1986. In quest’intervista il Ministro generale confida le proprie impressioni. Cominciamo da Assisi. Quali momenti l’hanno colpita maggiormente? Il Papa si è fatto “pellegrino tra i pellegrini” per pregare alla Porziuncola, questa realtà che da ottocento anni dispensa grazia, misericordia, pace. Un gesto, il suo, di grande significato. Attraverso il quale il Papa dice che pregare alla Porziuncola è una via da percorrere per arrivare alla pace, alla riconciliazione, alla misericordia. Noi come ministri generali abbiamo scritto una lettera a tutte le realtà della famiglia francescana per spiegare il significato della Porziuncola. E in questa lettera un po’ ci vergogniamo, perché tante volte non ci prendiamo cura delle realtà faticose, di guerra, di sfruttamento che colpiscono l’umanità e di tutte quelle che non ci aiutano a camminare come uomini di pace. All'incontro era presente anche Qader Mohd, imam di Perugia. Cos’è successo? C’è stato uno scambio estremamente breve, ma è stato bello vedere il Papa che tendeva la mano all’imam. Venivamo da una domenica in cui proprio ad Assisi abbiamo vissuto un’esperienza profetica di incontro tra cristiani e musulmani e vedere il Pontefice che va incontro a quest’uomo per instau-

rare un momento di dialogo, credo che sia importante per tutti. In particolare per noi francescani. Il Papa ci ha detto che questa è la strada: fare ponti. È il modo cristiano per affrontare anche le sfida di oggi. Per quanto riguarda Auschwitz, lei ha potuto salutare il Papa lontano dalle telecamere. Cosa ha fatto nei luoghi in cui morì san Massimiliano Kolbe?

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FRANCESCANESIMO

Insieme sui luoghi della memoria


Il provinciale di Cracovia ed io non siamo entrati con Francesco nella cella 18. Eravamo all’ingresso prima che scendesse le scale, ma abbiamo notato che era molto pensoso, aveva il volto commosso: gli abbiamo stretto la mano, ma nessuna parola. Questo silenzio ad Auschwitz e a Birkenau di fronte alle tragedie che vi si sono consumate credo sia l’atteggiamento più consono. Perché altrimenti le parole possono snaturare il senso e la comprensione di quanto accaduto. Mi hanno colpito il silenzio e la preghiera del Papa. E anche quando ha incontrato i sopravvissuti alla terribile tragedia della shoah, ha rimarcato un aspetto importante: più che fare proclami il Pontefice vuole incontrare una per una le persone che hanno sofferto. Insomma la ricerca del dialogo, della relazione. E lo stesso ha fatto a Birkenau, con i 25 giusti delle nazioni, che si sono opposti all’orrore anche a rischio della vita. Il Papa ancora una volta, come mezzo di evangelizzazione, ha scelto l’incontro non tanto con le idee ma con la vita di chi ha sofferto. E tra quelli che hanno pagato il prezzo più alto troviamo anche padre Kolbe? C’è una sua frase che ne sintetizza l’esistenza: «Solo l’amore crea. L’odio distrugge». Anche il Papa dice che se rispondiamo all’odio con l’odio non costruiremo niente. Per una significativa coincidenza la visita si è svolta nel 75° anniversario del giorno in cui padre Kolbe si offrì al posto di un prigioniero condannato a morte. Giovanni Paolo II e Paolo VI hanno detto non che morì, ma che diede la vita. Perché nel gesto di san Massimiliano c’è una scelta di fondo: siccome non c’era nessuna dignità umana, lui si è opposto alla violenza, al sopruso, all’odio, alla negazione della vita, offrendo la propria vita. Per questo anche nella cella della fame, Papa Francesco non ha fatto discorsi. Per aiutare anche noi oggi a comprendere che solo con la vita saremo capaci di dare una testimonianza credibile. Qual è l’attualità del messaggio di padre Kolbe a 75 anni dal suo martirio? Se nella festa ricordiamo solo il martirio, rischiamo di mettere in secondo ordine proprio la vita di questo uomo, di questo francescano conventuale, di questo sacerdote cattolico, che è stato un giornalista, un missionario, animatore infaticabile di 700 frati. Ha avuto una fantasia creativa incredibile nell’annunciare il vangelo. Ed è bello ricordare anche tutta la sua vita piena di passione per Dio e per il suo regno. Ciò conferma ulteriormente il legame di questo pontificato con la spiritualità f ra n c e s c a n a . Esattamente. Nella prima “Regola” il Poverello di Assisi ha scritto, al capitolo sedicesimo, come i frati devono andare in missione. E ha introdotto

Il nuovo padre custode di Terra Santa Fr. Francesco Patton è il nuovo Custode di Terra Santa. Egli succede a fr. Pierbattista Pizzaballa che ha guidato la Custodia negli ultimi dodici anni. È stato nominato dal Governo generale dell’Ordine dei Frati Minori ed approvato dalla Santa Sede a norma degli Statuti Pontifici che reggono questa entità dell’Ordine Francescano. Fra Patton, nato a Vigo Meano, nella diocesi di Trento, il 23 dicembre 1963, appartiene alla Provincia “S. Antonio dei Frati Minori” dell’Italia del Nord. Oltre all’italiano, parla inglese e spagnolo. Ha emesso la prima professione religiosa il 7 settembre 1983 e quella solenne il 4 ottobre 1986. Ha ricevuto l’ordinazione presbiterale il 26 maggio 1989. Nel 1993 ha conseguito la licenza in Scienze della comunicazione presso l’Università Pontificia Salesiana di Roma. Ha svolto diversi servizi all’interno della sua Provincia di origine e all’interno dell’Ordine. È stato due volte Segretario generale del Capitolo generale OFM (2003 e 2009), Visitatore generale (2003), Ministro provinciale della Provincia “S. Vigilio” di Trento (2008-2016), Presidente della Conferenza dei Ministri provinciali d’Italia e Albania (COMPI, 2010-2013). Numerosi gli incarichi fuori dell’Ordine: Membro del Consiglio Presbiterale Diocesano e della Segreteria dello stesso Consiglio Pastorale Diocesano dell’Arcidiocesi di Trento; Docente di scienze della comunicazione sociale presso lo Studio Teologico Accademico Tridentino; Collaboratore del Settimanale Diocesano, della radio Diocesana e di Telepace Trento. Dal 1991 è iscritto all’albo giornalisti del Trentino – Alto Adige come pubblicista. un concetto semplice: dovete testimoniare di volervi bene. Insomma anche qui al centro c’è la vita. Ora, otto secoli dopo pure Papa Francesco insiste su questo: la testimonianza della bellezza del vivere come fratelli, la bellezza della comunione. Io vedo una grossa connessione tra la spiritualità francescana e il metodo missionario della Evangelii gaudium che Papa Francesco sta portando avanti. Un secondo aspetto invece rimanda all’Anno santo della misericordia. Il poverello di Assisi chiese l’indulgenza della Porziuncola, perché aveva un programma: «Voglio mandarvi tutti in Paradiso». Mi sembra che questo sia lo stesso sogno del Papa: che tutti possano incontrare il Vangelo del Dio buono e misericordioso, del Dio accogliente e che viene incontro ad ogni uomo. 90


A Bob Dylan il Nobel per la letteratura 2016

LEONARDO SINIGLALLI SCRITTORE E POETA

È Bob Dylan il vincitore del premio Nobel per la Letteratura 2016. L’Accademia Reale di Svezia nella motivazione ufficiale del riconoscimento afferma che Dylan ha creato una nuova espressione poetica nell'ambito della tradizione della grande canzone americana". La scelta di Bob Dylan, al secolo Robert Allen Zimmerman, 75 anni, è sicuramente condivisa da gran parte di quella generazione, che, tra gli anni ’60 e ’70, si trovò sulle spalle il fardello della ricerca di nuovi ideali sui quali basare la società del futuro, ideali che, in parte vennero cantati dal folk singer americano, che a sua volta si era ispirato ai cantautori che già sventolavano la bandiera del pacifismo, della difesa dei diritti umani e dell’ambiente. Al Congresso eucaristico, il 27 settembre 1997, incontrò insieme con altri artisti san Giovanni Paolo II. E, dopo averlo salutato, fu proprio il Papa, riprendendo il testo di “Blowin’ in the wind”, a dare la risposta all’interrogativo che la canzone pone: “Io sono la via, la verità e la vita”. Questa la conclusione del Pontefice, che Dylan invece nel noto brano aveva lasciato portare lontano dal vento.

G

irano tanti lucani per il mondo, ma nessuno li vede, non sono esibizionisti. Il lucano, più di ogni altro popolo, vive bene all’ombra. Dove arriva fa il nido, non mette in subbuglio il vicinato con le minacce e neppure i «municipiu» con le rivendicazioni. È di poche parole. Quando cammina preferisce togliersi le scarpe, andare a piedi nudi. Quando lavora non parla, non canta. Non si capisce dove mai abbia attinto tanta pazienza, tanta sopportazione. Abituato a contentarsi del meno possibile si meraviglierà sempre dell'allegria dei vicini, dell’esuberanza dei compagni, dell’eccitazione del prossimo. Lucano si nasce e si resta. Gli emigranti che tornano dalla Colombia o dal Brasile, dall’Argentina o dall’Australia, dal Venezuela o dagli Stati Uniti, dopo quaranta anni di assenza non raccontano mai nulla della vita che hanno trascorso da esuli. Rientrano nel giro della giornata paesana, nei tuguri o nelle grotte, si contentano di masticare un finocchio o una foglia di lattuga, di guardare una pignatta che bolle, di ascoltare il fuoco che farnetica. E di uscire all’aurora se hanno un lavoro o un servizio da compiere, uscire all’oscuro per tornare di notte. Non si tratta di una vocazione alla congiura o alla rapina ma di una istintiva diffidenza verso il sole. Dove c’è troppa luce il lucano si eclissa, dove c’ è troppo rumore il lucano s’ infratta. Non si fa in tempo a capire questo animale, a fare un passo di strada insieme, che già fugge alla svolta. Per andare dove? Gli amici che hanno qualche dimestichezza coi lucani hanno capito la strategia, li fanno cuocere nel loro brodo. C’è un tratto caratteristico dei lucani, un tratto sfuggito ai viaggiatori, da Norman Douglas a Carlo Levi, sfuggito ai benefattori, da Adriano Olivetti a Giara Luce, e forse agli stessi sociologi. Il lucano non si consola mai di quello che ha fatto, non gli basta mai quello che fa. Il lucano è perseguitato dal demone della insoddisfazione. Parlate con un contadino, con un pastore, con un vignaiolo, con un artigiano. Parlategli del suo lavoro. Vi risponderà che aveva in mente un’altra cosa, una cosa diversa. La farà un’altra volta. Come gli indù, come gli etruschi egli pure pensa che la perfe-

zione non è di questo mondo. E difatti, scolari e bottai, tagliapietre e sarti, muratori e fornaciari si fanno seppellire ancora con tutti gli arnesi. Essi pensano di poter compiere l’Opera in un’altra vita. Quando avranno pace. Non trovano in terra le condizioni necessarie per poter fare il meglio che sanno fare. Strana etica. L’ultimo tocco, il lucano non lo troverà mai. Eppure nella nitidezza del disegno ti parrà di intravvedere l’opera compiuta. Manca un soffio. Questo è un popolo che l’esattezza ha spinto alle soglie dell’insensatezza. Come una gallina che s’impunta davanti alla riga tracciata col gesso l’intelligenza dei lucani si distoglie per un niente, si blocca appena sente volare una mosca. (Da Il ritratto di Scipione e altri racconti, Mondadori, Milano 1975, p. 165- 166)

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LETTERATURA

Gente di Lucania


libri

Nelle pieghe di una civiltà millenaria PAOLO CATTORINI

«Di notte, a Roma, si sente il ruggito dei leoni. Non si sa da dove venga, né che cosa eventualmente lo simuli, ma il ruggito c’è, dolce e selvaggio assieme. E poi c’è il rumore del mare, come di roche sirene, come lo sbadiglio di chissà quale porto». Lo splendido inizio de L’Orologio (1950) depone per la finezza percettiva di Carlo Levi (1902-75), per la sua fluidità immaginativa e abilità diagnostica nei confronti di ciò che affascina o minaccia il corpo della città, l’indipendenza delle anime, la passione politica. Levi sente quei suoni umbratili, ricorda le urla dei folli nell’infermeria del carcere, tende l’orecchio ai primi rintocchi della liberazione post-bellica. Ascoltare, interpretare, agire: sono le componenti «mediche» di una personalità artistica, che fu messa alla prova in Basilicata, al di là di Eboli, in quella bianca regione d’argilla, quasi una luna maligna, infettata dalla malaria, dimenticata dallo Stato, spettralmente disillusa, eppure genialmente intuitiva, avvinghiata alla vita, retta da una miracolosa arguzia, da una coriacea fedeltà alla terra. Levi studiò medicina, ma a 26 anni aveva già abbandonato la Clinica medica universitaria di Torino. Ad Aliano, a Grassano, nei luoghi del confino politico impostogli dai fascisti nel 1935, la povera gente scopre le sue doti, reclama le sue cure, lo promuove a taumaturgo, perché lui non è un «medicaciucci», è un «cristiano bono»,cioè un uomo vero, interessato al prossimo. Levi è in angoscioso imbarazzo: non è aggiornato, manca di perizia e di distacco scientifico, si confronta con arcani rituali magici. Eppure questo imprevisto volontariato, questa quotidiana carità lo trasformano, lo incarnano nelle piaghe di una millenaria ingiustizia, lo sprofondano nell’immaginario di una comunità assediata dalla fame, dai fantasmi di briganti, dall’ubiquità della morte. Nessuno toglie gli stendardi funebri, appesi alle porte dei defunti, prima che il tempo li abbia sbiancati. Levi impara tra i tuguri la tenacia, con cui egli stesso, divenuto quasi cieco nel 1973 per distacco retinico, continuerà a disegnare su uno speciale telaio e a comporre le trame del postumo Quaderno a cancelli.

Il libro raccoglie i contributi del Convegno scientifico svoltosi a Lecce nel 2013, esplora elementi di attualità dell’artista torinese, che fece scoprire nel 1945 (l’anno di pubblicazione di Cristo si è fermato a Eboli) la miseria della civiltà contadina lucana. Sono soprattutto gli scritti di Rosalba Galvagno e di Guido Sacerdoti (anch’egli medico e pittore, prematuramente scomparso) a documentare l’istanza riparativa che impegnò Levi in una duplice lotta contro il male: da un lato, egli si occupava di febbri infettive, disinfettava fistole e piaghe incancrenite, distribuiva consigli igienici; dall’altro, creava mondi di racconti, deponeva sulla tela un’untuosa materia vitale, con una pennellata ondulata, sensuale, carezzevole, infiammata. Istruttivo è in tal senso il confronto (istituito dal saggio di Luca Beltrami) fra la tavolozza ligure (sin da bambino Levi frequentò Alassio e la interiorizzò come madre amorosa), in cui l’azzurro e il rosa trasfigurano la gamma cromatica di ulivi e carrubi esuberanti, porcospini festosi, corpi umani accoglienti, e — per contrasto — le tinte impoverite di giallo e viola di un Sud pagano, la scabra patina oleosa, da cui prendono forma gli occhi timidi e scavati dei braccianti, la malinconia ferita delle madri, le teste di pecora scuoiate. L’etica della liberazione coincide ancora una volta con un’indagine estetica. Prendersi cura degli ultimi, empatizzare con le ansie degli oppressi, far esplodere il mito nella storia significa osare una scrittura nuova — a metà tra memoriale, saggio, dramma — e abbozzare coraggiose prospettive visive, rivalutare nel disegno una bellezza innocente e offesa. «Vivere con gli uomini e le donne di lì come erano», dice Levi, lo condusse a tradurre in parole, colori e linee lo statuario mutismo di quelle persone, a dar loro un volto in cui potessero riconoscersi inviolabilmente degne, finalmente vive. “CRISTO SI È FERMATO A EBOLI» di CARLO LEVI, a cura di ANTONIO LUCIO GIANNONE, Pisa, ETS, 2015, 202, € 22,00. 92


Tante volte Bud ha raccontato la sua vita divisa a metà, diceva, da “due successi”. I tempi di quando era ancora Carlo Pedersoli e volava in vasca, nuotatore un po’ più filiforme, senza barba e capace di abbattere senza pugni la barriera del minuto nei 100 sl. E i tempi del cinema, che scoprì la potenza drammatica e soprattutto comica di quel fisico massiccio nella parodia degli “spaghetti-western” di Trinità.

Dopo “Cantate Domino”, album di debutto del Coro della Cappella Musicale Pontificia “Sistina” su Deutsche Grammophon, arriva una nuova incisione interamente dedicata ad uno dei più celebri e raffinati compositori di musica sacra: Giovanni Pierluigi da Palestrina (1525-1594). Il CD include 14 brani, tra cui tre prime registrazione mondiali assolute: la celebre “Missa Papæ Marcelli” - nella prima edizione a stampa del 1567 - e due Mottetti inediti: “Veritas mea et misericordia mea” e “Iubilate Deo”. La registrazione è stata realizzata interamente all’interno della Cappella Sistina sotto la direzione del maestro Massimo Palombella. Georg Gänswein Arcivescovo, Prefetto della Casa Pontificia

“Io devo credere in Dio” Curiosamente, molta filmografia dei Bud Spencer e del suo amico Terence Hill ha a che fare con titoli di ispirazione “spirituale” – “Dio perdona io no”, i “Quattro dell’Ave Maria”, il citatissimo “Anche gli angeli mangiano fagioli”, “Porgi l’altra guancia”… Si può dire, in effetti, che l’uomo che ha preso per finta a cazzotti la vita facendo ridere tanti non ha mai fatto a pugni con Dio, che anzi ha sempre più preso sul serio. E, a differenza di tanti suoi colleghi che fingono allergie al sacro perché il vero cinema è laico, Bud non lo ha mai nascosto: “Io devo credere che c’è una persona, che nel mio caso è Dio. Ma perché, nel momento in cui io, da adulto, capisco che siamo in un mare di cose, enormi più di noi, io mi devo attaccare a Dio. Con la speranza che, dal momento in cui lui mi chiama, capisco tutto, perché oggi non si capisce niente...”.

Bud Spencer A pugni con tutti tranne che con Dio “Papà è volato via serenamente alle 18.15. Non ha sofferto, aveva tutti noi accanto e la sua ultima parola è stata grazie”. Così il figlio Giuseppe ha annunciato la scomparsa avvenuta il 27 sera all’età di 86 anni di Bud Spencer, al secolo Carlo Pedersoli, uno degli attori più amati dal pubblico italiano e internazionale. Nato a Napoli, borgo Santa Lucia, il 31 ottobre 1929, Bud è stato prima campione di nuoto e poi di incassi al cinema, spesso in coppia con Terence Hill. Nei suoi circa 130 film ha incarnato la figura dell’eroe manesco dal cuore d’oro. Le solenni esequie si sono svolte a Roma - Piazza del Popolo, basilica di santa Maria in Montesanto. Lui le ali ce le aveva davanti, senza piume e con nocche coriacee grosse così, pronte a essere mulinate come le altre, ma con effetti molto meno celestiali. Per il resto Bud Spencer è stato il più grosso degli angeli che mangiano quei fagioli che tutti adesso ricordano, il classico gigante burbero e buono che si può solo amare, chiedere ai bambini di tre generazioni. “Primo, se io sto dormendo e mi svegliano all’improvviso, mi viene da piangere. Secondo, quando mi viene da piangere, io m’arrabbio. Terzo, quando mi arrabbio, mi alzo, scendo e divento intrattabile …”. (da “Pari e dispari”)

Eroe e galantuomo Diceva Pirandello: “È molto più facile essere un eroe che un galantuomo. Eroi si può essere una volta tanto; galantuomini, si deve essere sempre”. Grazie Bud, per essere stato sempre galantuomo. Anche se per noi resterai per sempre, anche un eroe. Così, come in vita, il gigante buono ha unito nell’addio mondi diversi che gli hanno voluto veramente bene.

Ettore Bernabei, storico dg della Rai È morto il 13 agosto all’età di 95 anni Ettore Bernabei, storico direttore della Rai dal 1961 al 1974 e grande interprete del “servizio pubblico”. Si è spento all’Argentario, dove era in vacanza con la famiglia. Nato a Firenze il 16 maggio 1921 Bernabei era un cattolico praticante e padre di 8 figli. Direttore de "Il Popolo", quotidiando della Democrazia Cristiana nel 1956, dopo la direzione generale della Rai è a capo di Italstat e da ultimo produttore televisivo di successo con la "Lux Vide". Al suo ricordo è legata l'epoca d'oro della Tv italiana e i grandi sceneggiati come l'Odissea e il Gesù di Nazareth di Franco Zeffirelli. “La Tv può ricondurre miliardi di uomini e donne sulla via del vero e del giusto”, aveva detto nella lectio magistralis tenuta alla Pontificia Università Lateranense nel giorno del suo 90 esimo compleanno. (M.R.)

La coppia che spacca Sessant’anni di ciak e mai un cazzotto dato a uno che non lo meritasse davvero. In coppia con l’altro compare d’avventura – più angelico di lui nelle fattezze ma non meno tosto – Bud ha prestato a lungo un torace e due spalle enormi alla figura dell’uomo manesco ma leale in un’epoca in cui il cinema andava avanti a giustizieri vendicativi e sanguinari. Un’interpretazione che il pubblico non ha smesso di applaudire, chiedere al resto del mondo dove da decenni la coppia “Bud&Terence” continua a vivere di entusiasmi propri.

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musica - CINEMA

Da Carlo a Bud

Missa Papæ Marcelli - Motets della Cappella Musicale Pontificia “Sistina”


E V E N T I 2016

Roma- Chiesa di santa Dorotea, 3 ottobre 2016, presentazione del volume di padre Gianfranco Grieco:"La Chiesa francescana di Papa Francesco".

Ravello 26 ottobre festa liturgica del Beato Bonaventura da Potenza. Ravello Statua di san Massimiliano Maria Kolbe collocata sull'altare dell'Immacolata a ricordo della lunga sosta estiva compiuta da san Massimiliano dal 4 giugno al giorno 8 luglio 1919

22 ottobre incontro del cardinale sepe con i ministri provinciali a Napoli.

forum sulla Sicurezza online.... Interviene l'ing. Francesco Santonastaso...

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Pellegrinaggio del Centro Studi a S. Rita da Cascia e Assisi.




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