“Badate al senso e le parole andranno a posto per conto proprio” Lewis Carroll. “Il mio corpo era come un’arpa e le parole e i gesti di lei come dita sulle sue corde” James Joyce Ed è il Maxxi a dar corpo alle parole di Maurizio Nannucci attraverso testi che sfilano e catturano lo spettatore, seducendolo, come in un mondo meraviglioso. Simboli che recuperano la loro forza nella materialità e nella consistenza della scrittura, trovando concretezza nel neon. Testo, luce e colore, materiali stabili, resistenti, o effimeri, fluttuanti, sono distribuiti uniformemente in tutta la sua opera, in mostra al Maxxi, fino al 18 ottobre 2015. Una grande antologica racconta il suo lavoro in una mostra curata da Bartolomeo Pietromarchi, dal titolo «Where to start from» . L’artista, nato a Firenze il 20 aprile 1939, dopo aver studiato all’Accademia di Belle Arti a Firenze e a Berlino, lavora per diversi anni con gruppi di teatro sperimentale, disegnando scenografie. Definisce, nella prima metà degli anni ’60, gli elementi fondamentali della sua ricerca visiva esplorando le relazioni tra arte, linguaggio e immagine e creando i primi “Dattilogrammi”. Nello stesso periodo stabilisce rapporti con gli artisti del movimento Fluxus, si interessa alla poesia visuale e collabora con lo studio “S 2F M” (Studio di Fonologia Musicale di Firenze) nella produzione di musica elettronica, concentrandosi sull’uso della voce e delle parole finalizzato alla produzione di istallazioni sonore. Nel 1967, nella sua prima personale al Centro Arte Viva di Trieste, presenta i primi testi realizzati con lampade al neon. Collaborazioni, spinte dal suo interesse per il paesaggio architettonico ed ubano con vari architetti come Auer & Weber, Mario Botta, Massimiliano Fuksas e Renzo Piano. Installazioni permanenti, le Sue, all’Auditorium del Parco della Musica di Roma, all’Aeroporto di Fiumicino a Roma e alla Bibliothek des Deutschen Bundestages di Berlino.