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u s o at p m ta sta car lata ic c i r


EDITORIALI

“La creatività al potere!” Nell’attuale clima politico e sociale sembra quasi assurdo voler dedicare un numero di PASS al 68. Eppure, come lo avevamo deciso già tempo fa, abbiamo voluto proporvi un percorso sulle diverse strade tracciate nel periodo degli anni 60 e 70. Quarant’anni dopo, il 68. Di questo periodo effervescente cos’è rimasto? Oggi ci sembrano ben lontani la speranza di cambiare il mondo, la lotta per la pace, la spinta creativa che segnò tutte le arti negli anni 60-70, ma la violenza anche, i movimenti estremi, correnti vorticose di azione e di pensiero. Quegli anni e quelle lotte le conosciamo, le ammiriamo e le critichiamo, ma lo facciamo comodamente seduti in poltrona. Oggi si esprimono molte critiche ai movimenti di quegli anni, parlando di un fallimento, di una violenza che non è servita a nulla. A me sembra una rilettura semplicistica. Quando la redazione ha pensato di fare questo numero speciale, si è subito sollevato entusiasmo tra di noi. Il 68 ha segnato il mondo: culturalmente continua ad esercitare un’influenza dalla quale facciamo fatica a liberarci, basti vedere tutti i musicisti o artisti che continuano a copiare le creazioni di quell’epoca. I movimenti popolari hanno cambiato il futuro di tanti paesi del mondo. In Europa la lotta per i diritti dei lavoratori e delle donne ci permette oggi di godere dei suoi risultati. Non possiamo rileggere il 68 in chiave univoca, è un periodo di fuoco che ha molteplici visi. Ecco perché questo numero presenta tanti aspetti di questo tempo: troverete esperienze vissute, eventi, musica, cinema, ma anche la piaga tragica del terrorismo in Italia. Il titolo di questo editoriale ricorda una delle più belle grida degli studenti parigini nel Maggio francese. Buona lettura.. Juliette Tanti articoli, tanti argomenti di cui par-

PASSWORLD

PRIMO PIANO Serate per giovani sessantottini .................................................. 3 BREVI - PASSATO Curiosità dal ‘68 .............................................................................. 4 DOWN IN ALBION Il 1968 in Inghilterra, ”Di che cazzo parli?” ............................... 5 PACE, AMORE E MUSICA Il sesso nel sessantotto................................................................. 5 IL 1968 NEL MONDO Anno decisamente ricco di avvenimenti ............................... 6/7 COLPIRNE UNO PER EDUCARNE CENTO La degenerazione del ‘68: il caso terroristico italiano ........ 8/9 DON GIOVANNI? NO, FIGLIO DI PAPÁ Pasolini, contestazione studentesca ................................ 10/11 STUDENTI DI IERI MA PUR SEMPRE STUDENTI Breve storia del movimento studentesco .............................. 12

PASSATEMPO

IL CINEMA SESSANTOTTINO Gangster story, Lonesome cowboys, Woodtock, ecc ...... 13 TRE FILM PER RACCONTARTI IL ‘68 Recesnioni di tre film .................................................................. 14 L’ARTE E IL SESSANTOTTO Creatività universale .....................................................................15 PLAYLIST 60’s Experience ........................................................................... 15 LIBRI Tornavamo dal Mare ....................................................................15 SENTI COME SUONA IL SESSANTOTTO Hendrix, Doors, Beatles, Stones, Joplin.......................... 16/17 ANNI ‘70 A COLORI Breve excursus televisivo .......................................................... 17 NERO, RUBRICA DI PAROLE Una poesia e un racconto................................................... 18/19 PASSTYLE Revival e anni ‘60 ......................................................................... 19 APPUNTAMENTI DI MAGGIO E GIUGNO Associazioni, musica, cinema, conferenze ........................... 20

me e da Giuliano, il nuovo co-grafico di PASS. Ricordiamoci che il ‘68 è stato colore politico dei suoi protagonisti. Eugenio

grazie al contributo dellʼUniversità di Verona

PASS - Parola agli studenti Periodico mensile (o quasi) di informazione Registrazione Tribunale di Verona n° 1748 del 31.3.2007 Direttore responsabile: Angelo Perantoni Proprietario ed Editore: in attesa di passaggio. Redazione chiusa il 28 aprile 2008 PER I TESTI SI RINGRAZIANO: Paolo Perantoni, Giovanni Ghisu, Luigi Tasca, Juliette Ferdinand, Maurizio Miggiano, Federico Longoni, Erica Ganz, Enrica Innocente, Irene Pasquetto, Francesco Greco, Michele Tissi, Tommaso Scaramella, Clara Ramazzotti, Elisa Zanola, Fabrizio De Vincenzi. A tutti coloro che abbiamo dimenticato: grazie. Si ricorda che il contenuto del singolo articolo non definisce il pensiero della redazione. PER LE FOTOGRAFIE: Google, Flickr, Gettyimages, iStockphoto PER IL PROGETTO GRAFICO: Eugenio Belgieri e Giuliano Fasoli LA COPERTINA È DI: Giuliano Fasoli ed Eugenio Belgieri Grazie a tutti coloro che hanno collaborato, ma che sono stati dimenticati nei ringraziamenti. Stampato dala tipografia CIERRE - Sommacampagna, VR

lare, tanta creatività messa in campo da

un anno importante, a prescindere dal

prodotto

Inviate i vostri testi a PASS - pass.vr@libero.it - oppure consegnateli direttamente alla redazione. Gli scritti devono essere inediti e autografi, ogni manoscritto a noi pervenuto non verrà restituito. La redazione si riserva il diritto di apporre qualsiasi correzione o modifica, nonchè la decisione finale in merito alla pubblicazione.

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PRIMO PIANO

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SERATE PER GIOVANI SESSANTOTTINI QUANDO LA MILITANZA POLITICA ERA UNA SCUSA PER STARE INSIEME ( E DIVERTIRSI, ANCHE ) IRENE PASQUETTO

E’ giunta la sera dopo una giornata tra i libri e le lezioni, qualche lavoro occasionale, un giro a negozi, allenamento. Sono le 18.00 di un fine settimana, ma anche di un qualunque altro giorno, e il giovane medio veronese sente l’inevitabile bisogno di correre per celebrare quello che è diventato ed è sempre di più una moda, un must, un rito. Happy hours. Aperol- Spritz. Insomma è il momento dell’aperitivo! Impossibile non essere d’accordo sul fatto che oggi l’aperitivo è un chiaro e ricercato momento d’aggregazione per i ragazzi, che in quel momento hanno diciamo l’occasione per lasciarsi andare dopo lo studio e il lavoro, per vedere gli amici, parlare del più e del meno e divertirsi. Il tutto accompagnato da una bevanda alcolica, ma non troppo, dal simpatico colorino rosso- rosato. Il momento dell’aperitivo è sacro per molti: non si può mancare. Il grande successo dell’happy hour è dato anche alla fine astuzia nonché poderosa opera di merchandising fatta dai locali: prezzi ribassati, musica commerciale ad alto volume, feste organizzate. Fatto sta che funziona fin troppo. Ma non è sempre stato così. Nei tempi in cui le donne andavano in giro a manifestare urlando “l’utero è mio e me lo gestisco io”, cioè nel ‘68, erano altri i momenti e i luoghi d’aggregazione per i giovani. Lascio qui la parola a una donna matura oggi e quindicenne allora.

di aiutare gli altri. Oggi sembra tutto così scontato…invece è stato un percorso lungo per noi giovani di allora arrivare ad ottenere le famose otto ore lavorative giornaliere e ad avere sabato e domenica liberi. Qual è stato il momento che le è rimasto più impresso? Avevo 16 anni. Eravamo venuti a conoscenza di un gruppo di lavoratori e lavoratrici che venivano sfruttati in una fabbrica della nostra zona. Li contattammo e loro ci confermarono la situazione molto grave. Molti di questi lavoratori erano d’accordo sul fatto che si poteva cambiare la loro condizione. Ma tutti erano molto preoccupati e spaventati. Per quale motivo? Perché non volevano nuocere ai loro “padroni”, non volevano causare problemi. Erano convinti che richieste come avere uno stipendio adeguato e non lavorare la notte potessero ledere l’azienda. Non volevano dispiacere i titolari. Sembra una cosa assurda ai nostri occhi. Ma loro si sentivano immensamente grati verso l’azienda perché gli aveva dato un lavoro, così grati da non voler pretendere nulla, nemmeno i loro diritti. Nonostante ciò riuscimmo ad organizzare un incontro tra i lavoratori e i padroni dell’industria.

FOTO TRATTA DA: FLICKR.COM/SHALOM , AUTORE : SHALOM

Il fine settimana cosa facevate di solito con gli amici? Solitamente il fine settimana non si usciva più di tanto e sicuramente non frequentavamo locali notturni, quelle erano cose da grandi. Se ci trovavamo lo facevamo a casa di qualcuno, organizzavamo delle piccole feste private. Ma i nostri momenti di ritrovo fissi ogni settimana erano altri. Cioè quali? A 15 anni, proprio durante il 68, ci si trovava alcune sere durante la settimana nella casa “Don Milani” a Prada, fuori Verona. Lì, seguiti da degli adulti tra cui anche un parroco, parlavamo dei problemi dei lavoratori. Era il circolo Acli, in quegli anni molto attivo e organizzato. Eravamo in parecchi a militare in questo circolo. Cosa era veramente importante per voi? Volevamo che i giovani fossero informati dei loro diritti. A quei tempi la legge non tutelava i lavoratori, e molti erano sottopagati e costretti a sopportare orari di lavoro improponibili. Il problema reale era informarli, dovevano rendersi conto di essere delle persone prima che dei lavoratori. Erano argomenti molto impegnati per una ragazzina di 15 anni… Si. Io passavo così le mie sere. Però era bello stare insieme e pensare

E come andò a finire? Non si presentò nessuno. Fu una delusione immensa per me. Il gruppo Acli è un’associazione cattolica. Questo ha influenzato le vostre attività? Noi eravamo seguiti anche da un parroco che condivideva i nostri ideali. Solo successivamente hanno cominciato a presentarsi dei problemi:alcuni del gruppo volevano togliere la C di “Cattolico” dalla sigla dell’associazione. Questo perché si pensava che i lavoratori non dovessero avere una bandiera religiosa: i lavoratori erano tutti, di qualunque religione. Nei gruppi Acli infatti è cominciato a germogliare il germe che poi si sarebbe sviluppato nei movimenti laici come Avanguardia Operaia e Potere Operaio. Si è sempre parlato di politica comunque negli incontri, ma noi sostenevamo una politica del pensiero, non una politica partitica. Quanto è durata la sua attività da militante? Quando sono diventata un po’ più grandicella, verso i 17 anni, ho lasciato le serate alla Acli ed è cominciato il periodo del Cineforum, che in quegli anni andava molto tra i giovani ed era una bella occasione per farsi nuovi amici. Infatti è li che ho conosciuto mio marito e ci siamo fidanzati a 17 anni!Era un circolo culturale molto attivo e ci divertivamo molto. Questo è quello che facevamo noi. Un enorme differenza rispetto ai passatempi d’oggi.

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CURIOSITÁ DAL SESSANTOTTO

•ITALIA: OLTRE LA CONTESTAZIONE E I DISORDINI Escono

pezzi storici della musica italiana! Patty Pravo “ci fa girar” con Bambola! I Pooh invece 45 giri di Piccola Katty . Più prolifico il cantautore italiano Fabrizio De Andrè. In questo spazzatura escono nostrana ben tre granperiodo di successi. Ricordiamo Tutti morimmo a stento, pietra miliare della discografia italiana e uno dei primi esempi di concept album, ovvero composto da canzoni che rimandano allo stesso tema. Novità assoluta per i radioascoltatori sintonizzati sulla seconda rete della Rai quel lontano 4 gennaio 1968: Corrado Mantoni, in arte semplicemente “Corrado” conduce per la prima volta il programma radiofonico La Corrida. Per gli appassionati del fumetto nominiamo subito l’autore “Bonvi”, pseudonimo di Franco Bonvicini. In quel periodo vinse un concorso con Sturmtruppen destinata a diventare la serie satirica italiana più nota al mondo! Ebbe anche il tempo di creare Cattivik! Concludiamo con una curiosità per gli amici giuristi. L’articolo 559 del codice penale italiano prevedeva la pena di reclusione per la moglie adultera e per il correo/amante, diversamente succedeva per il marito adultero. Fortunatamente qualcuno richiamò l’attenzione alla norma che sanciva la parità dei coniugi e nel 1968, sottoposta la questione al vaglio della Corte, l’articolo 559 fu riconosciuto illegittimo! Come dire, un via libera ai tradimenti!concept album, ovvero composto da canzoni che rimandano allo stesso tema. Novità assoluta per i radioascoltatori sintonizzati sulla seconda rete della Rai quel lontano 4 gennaio 1968: Corrado Mantoni, in arte semplicemente “Corrado” conduce per la prima

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volta il programma radiofonico La Corrida. Per gli appassionati del fumetto nominiamo subito l’autore “Bonvi”, pseudonimo di Franco Bonvicini. In quel periodo vinse un concorso con Sturmtruppen destinata a diventare la serie satirica italiana più nota al mondo! Ebbe anche il tempo di creare Cattivik! Concludiamo con una curiosità per gli amici giuristi. L’articolo 559 del codice penale italiano prevedeva la pena di reclusione per la moglie adultera e per il correo/amante, diversamente succedeva per il marito adultero. Fortunatamente qualcuno richiamò l’attenzione alla norma che sanciva la parità dei coniugi e nel 1968, sottoposta la questione al vaglio della Corte, l’articolo 559 fu riconosciuto illegittimo! Come dire, un via libera ai tradimenti!

•NOBEL: I PRIMI NOBEL DEL SESSANTOTTO Per la

Pace: René Cassin, diplomatico francese, sostenitore della promozione dell’alfabetizzazione della lingua francese nelle scuole di Stato e nelle colonie. Per la Letteratura: Yasunari Kawabata, uno degli scrittori nipponici più famosi al mondo, morto suicida. Fu il primo scrittore giapponese a essere insignito del premio Nobel. Per la Medicina: Har Gobind Khorana, Marshall W. Nirenberg. Statunitensi, due biochimici e un biologo premiati per i loro importanti risultati nelle ricerche che hanno portato alla descrizione del meccanismo della sintesi proteica. Per la Fisica: Luis W. Alvarez, fisico statunitense di origine spagnola. Lo ricordiamo per aver scoperto il fenomeno causato dal campo magnetico terrestre. Il suo approfondimento sulla fisica delle particelle gli è valso il premio Nobel.

•SPAZIO: PREPARATIVI DI UN VIAGGIO LUNARE Gli

statunitensi lanciano il primo Apollo con equipaggio. Effettuano alcune orbite di controllo delle prestazioni della navicella e scattano numerose fotografie della Terra. A Dicembre gli astronauti si avvicinano alla Luna, l’Apollo 8 compie dieci orbite intorno ad essa ed atterra regolarmente. Seguirono altre missioni e con l’Apollo 10 si effettua una prova generale di allunaggio. Gli americani erano ormai pronti per la camminata lunare. La storia ci insegna che erano in due ad avere quella destinazione spaziale! Nello stesso periodo l’Unione Sovietica lanciava la Zond, una navicella sprovvista di equipaggio che effettuò molte riprese ed alcuni esperimenti biologici di rilievo. A seguire altre consistenti prove di viaggio ed incontri intercosmici da parte sovietica. Alla fine si sa: chi primo arriva prende il posto!

•GERMANIA: KASSEL, ARTE Documenta

è un’esposizione internazionale di arte contemporanea che si tiene ogni cinque anni a Kassel. Nel Sessantotto (Documenta IV) ci fu un’ edizione leggendaria che portò in Europa la luce delle correnti dell’arte statunitense. Tra le quali il Color - field Painting (espressionismo astratto), minimalismo, Fluxus. Siete curiosi di vederla? Il prossimo appuntamento è per il 2012!

•SUDAFRICA: CITTA DEL CAPO, MEDICINA Maggiore suc-

cesso per il secondo trapianto di cuore della storia. L’operazione fu eseguita il 2 gennaio 1968 da Barnard su un uomo che sopravvisse per 563 giorni (rispetto ai 19 giorni del primo trapianto!).

•FRANCIA: ORLEANS, LEGGENDE METROPOLITANE Nel giro di pochi giorni si sparge la voce infondata che alcuni negozianti ebrei fossero coinvolti nella tratta delle bianche. Pare che le ragazze venissero drogate e condotte in sotterranei verso stravaganti luoghi di prostituzione. Diceria che resiste nonostante in città non sia stata segnalata nessuna scomparsa o siano avvenuti episodi particolari inerenti al caso.

•ITALIA/2: ANTICHI ARTISTI Scoperta una

tomba affrescata a Paestum (470 ca. a.C., Museo archeologico, Paestum) importante centro della Magna Grecia. Si rivelò un importante contributo nella spiegazione della tecnica pittorica di quel periodo. Impressionanti disegni alle pareti, figure di Banchettanti e l’immagine del Tuffatore. Composizioni che dimostrano una nitida comprensione dell’anatomia, dell’espressione del volto e l’uso sobrio e intelligente di colori e linee da parte dei suoi autori.

•CALIFORNIA: STANTA CLARA, MULTIMEDIA Gordon Moore, Bob Noyce e Andrew Grove fondano Intel (da Integrated Eletronics), azienda leader nel settore della produzione di microprocessori e circuiti integrati. Attualmente oltre l’80% dei personal computer venduti al mondo usa processori Intel.


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DOWN IN ALBION FRANCESCO GRECO

francescogreco22@yahoo.it

Immaginate di prendere il tè con degli “attempati” sessantenni inglesi e di chiedere improvvisamente del ‘68. Probabilmente, vi squadrerebbero dall’alto delle loro birre, sopratutto quel tè che bevete con marziale britishness, e riguardo al sessantotto, la risposta non tarderebbe: ‘ What the hell are you talking about?’( t.d.a. ‘ Di che cazzo parli?’). Sì, perchè il termine sessantotto non fa parte della lingua di Sua Maestà, nè del lessico dei suoi sudditi. Almeno non con il significato che noi gli attribuiamo: il ‘68 non li tange e viene bollato come continental. E allora cosa fare? non potete che nascondere la tazzina e frugarvi nella testa. Ecco la parolina magica: Fab Sixties, I Favolosi Anni Sessanta. Fab 60s è vertiginosamente simile a Fab Four, i quattro ragazzi di Liverpool meglio conosciuti come ‘The Beatles’, un nome che riabilita le piccole piattole notturne, ma che è anche un omaggio alla beat-generation. Un perfetto portmanteaux che crea la leggenda. Un mito che sopravvive anche dopo lo scioglimento del gruppo nel 1970. Paul, John, Ringo e George sarebbero forse rimasti nomi sconosciuti ai più se sullo sfondo delle loro esibizioni non si stesse apparecchiando un intero movimento di costume: la pop culture. Il termine pop deriva da popular art, un movimento di artisti a cavallo tra Londra e gli States, che vogliono trasformare gli oggetti di più largo consumo in vere e proprie opere d’arte. Di qui Andy Warhol oltreoceano e in Francia la mithològie di Carl Barthe. Pop sono i pluricitati Beatles, come gli antagonisti Rolling Stones; pop è la bottiglia di Coca-Cola. Un nuovo termine si fa largo tra i giovani: cool, ripetuto sino allo sfinimento.

Qualsiasi cosa riguardasse lʼ essere “giovane e presente”, ebbe probabilmente inizio allora. (Andy Warhol) Il ‘63 è però l’anno cruciale: il conservatore MacMillan si dimette a causa dello scandalo Profumo, i laburisti vincono le elezioni con Wilson e l’album dei Beatles Please, Please Me raggiunge il primo posto in classifica. Nel frattempo, in una stradina al mezzo tra Regent Street e Piccadilly Circus, uno squattrinato stilista suona altre corde alla lira della pop culture, quelle della moda: è John Stephen, il geniale sarto di Carnaby Street. E’ l’uomo giusto al tempo giusto: le sue vetrine si compongono di abiti vistosi e dai colori vivaci, mutande rosse e gialle, che subito attraggono l’attenzione delle personalità più in vista all’epoca. A breve, gli abiti di Stephen diventeranno un must per la swinging generation. Due nomi emergono sopra tutti gli altri: Mary Quant e Biba. La prima rivoluzionerà il look femminile: sarà lei infatti a coniare il famoso Chealsea look, quello stile sbarazzino fatto di miniskirt (minigonna) e maglietta attillatissima. Nascono anche i romanzi di culto della pop culture. Una serie impressionante di titoli ancora in voga tra le nuove generazioni: Look Back in Anger di Osbourne, A Clock Work Orange (Arancia Meccanica) di Burgess, ed infine da oltreoceano On the Road di Kerouac. I Fab 60s cambiarono completamente la cultura britannica così come la si conosceva. Furono un decennio prodigioso. E se siete ancora convinti che abbia maggior valore sorseggiare un tè alle cinque, beh, forse non sarò io a dirvi che le più grandi rivoluzioni partono dalla testa.

Pace, amore e musica: il sesso nel sessantotto ERICA GANZ keika84@hotmail.it

Libertà sessuale, ribellione e amore, sempre e ovunque. Il ‘68, ed il periodo che segue, furono sempre visti come l’epoca della trasgressione sessuale, della libertà, del fare l’amore piuttosto che la guerra. Queste ideologie provenivano dal mondo hippie, dai figli dei fiori, da quell’America che, al grido di Scott McKenzie e della sua San Francisco, intendeva portare alta la bandiera dell’amore libero. In Italia si parlò di orge, di occupazioni scolastiche a cui facevano seguito ritrovamenti considerevoli di preservativi. Questo in realtà pare essere ciò che i giornali ed il senso comune hanno voluto farci credere. Ma siamo sicuri che sia andata davvero così? L’epoca, o i genitori un po’ severi, volevano che le ragazze la sera tornassero a casa con la scusa della scomodità e dei pericoli che la situazione comportava. Il massiccio numero di studenti occupanti rendeva sicuramente la situazione poco adatta alla pratica dell’atto d’amore. Inoltre il contesto dal quale i militanti e i leader provenivano era prevalentemente comunista o cattolico, ambito quest’ultimo famoso per avere un’idea non propriamente libera della sessualità. Le idee cattoliche a riguardo sono risapute. Nei paesi comunisti come Cuba, la Cina e il Vietnam invece, per diversi motivi, l’avvento del socialismo portò con se’ un’ondata di moralizzazione sessuale molto forte. L’Italia, profondamente cattolica, subì l’influenza della Chiesa che cercò sempre di rassicurare i credenti sui valori più importanti come quelli che riguardano la sfera sessuale e il mantenimento dell’illibatezza soprattutto femminile. Ma vogliamo davvero vedere il ’68 in un modo così costrittivo? Forse in Italia l’eco che ci è arrivato e quello un po’ moralizzatore dei nostri genitori. Ma non dimentichiamo le vere orge di Woodstook, le coppie che in preda alla più sfrenata passione si rotolavano nel fango al ritmo di Freedom di Richie Havens per onorare i 3 giorni di pace, amore e musica più famosi della storia. In fondo vogliamo ricordarla così, con il sorriso sulle labbra: peace and love.

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IL

1968

GIOVANNI GHISU giovanni@frida.it

Il 1968 è un anno così ricco di avvenimenti da rendere impossibile la trattazione di tutti gli eventi che lo hanno caratterizzato in un solo articolo di giornale, e considerato il fatto che non ci saranno mai abbastanza libri ed enciclopedie per capire un periodo che tuttora è oggetto di feroci dibattiti tra storici e non, ho preferito inserire una rassegna di quegli episodi che per la loro valenza storico-culturale, più di altri hanno contribuito a incrinare i normali rapporti intrastatali e diplomatici. La prima grande notizia di portata mondiale viene comunicata a fine gennaio, ed è subito una notizia tragica: in Vietnam l’esercito regolare nordvietnamita e i Vietcong hanno sferrato un attacco a sorpresa che ha preso di sprovvista le truppe americane e che sarà noto come “l’offensiva del Tet”. Per la prima volta dal dopoguerra gli statunitensi si trovano di fronte allo spettro di una sconfitta militare. L’offensiva viene però contenuta e la situazione è riportata sotto controllo: i nordvietnamiti perdono 35.000 uomini contro i 3.900 dei filoamericani (di cui 1.100 ame-

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NEL

MONDO

ricani) ma l’impatto sull’opinione pubblica americana sarà, da lì in poi, devastante. L’America si rende conto che a differenza di quanto le è stato fatto credere fino ad allora, la guerra del Vietnam è tutt’altro che “quasi vinta”. Le deboli argomentazioni del Segretario alla Difesa McNamara e del Presidente Johnson, unitamente alle immagini di devastazione dei villaggi, fanno montare la sfiducia generale. Nel 1987 l’offensiva del Tet sarà lo sfondo di “Full metal Jacket” del regista Stanley Kubrick ed entrerà definitavene nell’immaginario comune. Marzo viene segnato da scontri di piazza contro le due superpotenze: in Giappone si manifesta contro la presenza della flotta nucleare americana, in Polonia contro l’oppressione sovietica. In Francia si manifesta a Nanterre in quello che sarà un preludio agli avvenimenti di Maggio. Gli americani, intanto, scoprono che a My Lay il loro esercito ha compiuto un vero e proprio massacro contro donne e bambini. Il 31 marzo l’ormai estremamente impopolare presidente Johnson annuncia che i bombar-

damenti sul Vietnam verranno sospesi, comunicando anche che rinuncerà a ricandidarsi per il secondo mandato. Il 4 Aprile scompare Martin Luther King. O meglio: viene fatto scomparire. Mentre con la moglie si trova in Tennessee su un balcone del Lorraine Motel di Memphis, il sogno dei neri americani viene spento da un colpo di pistola. Due mesi dopo a Londra James Earl Ray verrà arrestato con l’accusa di essere l’autore dell’omicidio. Dopo JFK l’America vede soccombere un altro grande riformista, ma i suoi ideali avranno fortunatamente un destino ben diverso da quello del loro primo promotore, e molti giovani degli anni ‘80 ricorderanno la sua battaglia al suono di Pride degli U2. Nel frattempo la contestazione arriva in Germania e in questo clima di tensione l’11 Aprile Rudy Dutschke, leader del movimento studentesco SDS, viene ferito da 3 colpi di pistola in un agguato tesogli da un tappezziere fanatico. I danni al cervello dovuti all’attentato lo porteranno a morire nel dicembre 1979 dopo un attacco epilet-


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tico nella sua vasca da bagno. Il 30 Aprile a New York la Columbia University, occupata ormai da un mese, viene fatta sgombrare con la forza dalla polizia; ma la rabbia per la coscrizione e per l’invio in Vietnam dei giovani che hanno i voti più bassi, è ancora alle stelle. Dopo l’esperimento di Nanterre, ai primi di Maggio in Francia si fa sul serio: a Parigi gli studenti occupano la Sorbona per protestare contro il sovraffollamento universitario. La polizia ha l’ordine di sgomberare la folla ma i lavoratori si aggregano nella protesta e studenti, operai, e persone di ogni classe bloccano la vita della Francia e mettono in serio pericolo il governo gollista. Il 13 Maggio 800.000 persone sfilano nel Quartiere Latino. Il 24 Maggio si sfiora l’insurrezione nazionale e si riunisce l’Assemblea Nazionale Francese. De Gaulle invita la popolazione a ristabilire l’ordine al fine di scongiurare una guerra civile e frattanto mobilita alcuni reggimenti militari. Il 30 maggio il Parlamento viene sciolto e vengono indette nuove elezioni. Non ci sarà una II Rivoluzione Francese ma ci vorrà del tempo affinché la spaccatura tra Stato e popolazione venga mitigata. E nel frattempo il Maggio francese ha fatto scuola in molti paesi. Il 5 Giugno Bob Kennedy è all’Ambassador Hotel di Los Angeles. Ci si saluta, ci si abbraccia, si brinda, si festeggia, si chiacchiera con i giornalisti che stanno girando la diretta. L’atmosfera è gioiosa perché Kennedy ha appena vinto le primarie del Partito Democratico e ormai la possibilità di vincere le elezioni si fa più concreta. E’ contrario alla guerra in Vietnam e sostenitore del movimento per i diritti civili di Martin Luther King; difficile che un paese stremato dalla guerra e scioccato per la recente morte del pastore luterano possa affidarsi nuovamente ai repubblicani e non a lui. Mentre la comitiva si trova nelle cucine vengono esplosi alcuni colpi di pistola e Bob si accascia a terra. Il grande comunicatore pronuncia la sua ultima frase: “Gli altri stanno tutti bene?”. Muore all’alba del 6 giugno, e l’America è sotto choc. Sembra, infatti, che per chi voglia ergersi a paladino del cambiamento sia pronto un copione già scritto. Sirhan B. Sirhan, un giordano, viene subito arrestato ma l’opinione pubblica ormai è dura da convincere: JFK, M.L. King, Bob Kennedy… qualcosa non torna. E le teorie del complotto governativo fioccano ancora oggi.

Anche il Vaticano intanto ha i suoi grattacapi. L’euforia della contestazione inizia a farsi sentire anche negli ambienti cattolici giovanili che si aspettano da parte del Papa un’apertura sulla contraccezione. Ma il 25 Luglio 1968 Paolo VI risponde pubblicando l’enciclica Humanae Vitae in cui ribadisce che matrimonio e procreazione sono legati inscindibilmente. L’aborto, la contraccezione e la sterilizzazione sono contrari alla dottrina della Chiesa sul matrimonio e restano pertanto inaccettabili. E tra Chiesa e fedeli si apre una nuova spaccatura. Nel frattempo è dall’inizio dell’anno che in Cecoslovacchia si respira un’aria nuova. Il nuovo segretario del Partito Comunista Cecoslovacco Alexander Dubcek ha dato il via al progetto di un socialismo dal volto umano che prevede il riconoscimento delle principali libertà politiche e civili, pur non mettendo in discussione né l’adesione del paese al patto di Varsavia, né la collettivizzazione. E’ da mesi che Brezhnev teme una possibile estensione della “rivoluzione” anche agli altri paesi del blocco, e il 21 Agosto, quando il congresso del partito si prepara a riconoscere ufficialmente le riforme, accompagnati da carri armati centinaia di migliaia di soldati dell’armata rossa e dei paesi confinanti invadono la Cecoslovacchia. Dubcek, consapevole di non poter far nulla per resistere alla soverchiante potenza militare messa in campo da Brezhnev, ordina all’esercito di non reagire e invita la popolazione a scendere in piazza per consegnare fiori al nemico. Le poche immagini che riescono a superare la cortina di ferro fanno il giro del mondo. Migliaia di cittadini circondano pacificamente i carri sovietici mentre i carristi li guardano sbigottiti, senza capire perché sono stati inviati in quel paese, che di pericoloso pare avere ben poco. L’occidente protesta, anche i partiti comunisti europei, che nel ’56 avevano giustificato la rivolta ungherese (all’epoca Giorgio Napolitano disse: “L’intervento sovietico ha non solo contribuito a impedire che l’Ungheria cadesse nel caos e nella controrivoluzione, ma anche alla pace nel mondo”. Dichiarazioni che rivedrà solo nel 2006) i partiti comunisti, dicevamo, questa volta condannano l’invasione, ma nel con-

creto, oltre ad accogliere le migliaia di profughi in fuga, in Occidente si può fare ben poco. L’alternativa sarebbe la guerra nucleare e del resto gli accordi di Yalta sono chiari: la Cecoslovacchia appartiene alla sfera sovietica. Con un colpo di spugna Dubcek e gli altri dirigenti comunisti “più liberali” vengono rimossi, e per ottenere dei governi liberi e dei diritti civili reali, i Cecoslovacchi dovranno aspettare l’ascesa di Gorbaciov. Mentre le truppe dell’armata rossa invadono la Cecoslovacchia, dall’altra parte del mondo, a Città del Messico, centinaia di migliaia di studenti universitari cercano di dar vita ad un “maggio francese messicano” per protestare contro il presidente Gustavo Diaz Ordaz. E’ infatti ad agosto che le manifestazioni si fanno sempre più pressanti, approfittando anche della presenza dei numerosi giornalisti venuti per la XIX Olimpiade che si terrà ad Ottobre. L’esercito, comunque, riesce ancora a disperdere i manifestanti. Per evitare grane durante le olimpiadi, Diaz Ordaz prova a giocare d’anticipo e fa occupare il campus dell’Università Nazionale Autonoma del Messico. Pessima scelta. Invece che diminuire, la protesta monta. Il 2 Ottobre 15.000 studenti provenienti da tutto il paese si riuniscono nella “Piazza delle Tre Culture” di Tlatelolco. L’esercito circonda la piazza con mezzi corazzati e apre il fuoco sulla folla inerme lasciando sul terreno centinaia di morti. Passerà alla storia come il massacro di Tlatelolco. Oriana Fallaci è presente all’evento e viene ferita: creduta morta viene portata all’obitorio cittadino, dove un prete si accorge che è ancora viva e la salva. Più volte la Fallaci ricorderà l’episodio come il momento più brutto della sua vita, denunciando nel contempo la cieca violenza di cui l’esercito si macchiò quel giorno. Sconcertante pensare che solo 10 giorni dopo seguiranno i Giochi Olimpici con relative gare e feste. Miracoli dei regimi. Le manifestazioni di metà Dicembre in Brasile, che costringono il governo a proclamare lo stato d’assedio e il bombardamento di Israele su Beirut il 28 Dicembre, ennesimo strascico della guerra dei 6 giorni, segnano la fine cronologica del 1968.

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COLPIRNE UNO PER EDUCARNE CENTO La degenerazione del ʼ68: il caso terroristico italiano PAOLO PERANTONI paul_eney@yahoo.it

“Mordi e fuggi. Niente resterà impunito. Colpirne uno per educarne cento. Tutto il potere al popolo armato”. Questo il credo delle Brigate Rosse, apparso, accanto alla stella a cinque punte e alla foto di Idalgo Macchiarini, dirigente della Sit-Siemens, sequestrato a Milano il 3 marzo 1972, per la prima volta sui giornali. In questa occasione le BR assurgono agli onori della cronaca, ma la loro nascita è ben più recondita e muove i suoi primissimi passi in quello speciale ambiente rivoluzionario del ’68 italiano, salvo ufficializzarsi l’8 settembre 1969 con la creazione del Collettivo Politico Metropolitano per opera di Renato Curcio e Mara Cagol. Occorre qui subito precisare che non si intende demonizzare il movimento sessantottino accreditandogli la colpa di aver fatto nascere il terrorismo degli anni di piombo, ma, a quaranta anni di distanza da quegli avvenimenti, è necessaria una pacifica analisi dei legami tra il movimento sessantottino e il terrorismo sia rosso che nero. Senza dover ripercorrere le fasi della protesta mondiale in generale ed italiana in particolare, occorrerà ricordare che il movimento mosse i primi passi non tanto in favore di una ideologia di sinistra, ma quanto per rispondere ad una situazione di insoddisfazione generale, in particolare giovanile, derivante dall’erosione dei valori tradizionali per mano di una nuova società opulenta, creata dal famoso boom economico iniziato nei primi anni ’60. Il disordinato processo di industrializzazione e di allargamento dei consumi creò, infatti, da un lato un innalzamento del livello materiale di vita e dall’altro un allargamento disomogeneo dei centri urbani verso la periferia industrializzata (in particolare nel settentrione) a cui si legava uno sradicamento culturale di larghe fasce della popolazione che colpirono con forte vigore le nuove generazioni. In questo humus sociale carico di insoddisfazione e insieme di attesa di un “mondo nuovo”, finalmente libero da ingiustizie, parallelamente cresce il rifiuto per il nuovo stile di vita proposto dalla cultura liberale predominante nell’Occidente democratico. Il modello utopico che va delineandosi, è quello “dell’altra parte del muro”, ovvero quello dell’utopia comunista dato che in quel preciso momento storico gli USA erano impantanati nel fango della resistenza comunista nord-vietnamita (sostenuta dall’ URSS), Ernesto “Che” Guevara e Mao Zedong conquistavano successi militari e fama nel mondo occidentale ed orientale. A questo mito di resistenza internazionale si univano poi gli strascichi mai dimenticati della guerra civile e della

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resistenza antifascista. Ma questo processo di “ideologizzazione” del movimento sessantottino fu cosa lunga; all’inizio, coabitavano tra i dimostranti le più disparate ideologie, per utilizzare un’analogia cromatica, diremo che il movimento fu rosso-bianco-nero ma che alla fine prevalse il rosso. Secondo lo studioso milanese, recentemente scomparso, Enzo Peserico, il movimento sessantottino ebbe essenzialmente due anime; c’era chi abbracciava la rivoluzione in interiore homine (il cui credo era “la vita come rivoluzione”) e chi, invece, la intendeva come rivoluzione politica (con il motto “la vita per la rivoluzione”). I primi, però, perseguendo uno stile di vita che rovesciava i legami tradizionali a favore di una vita sregolata e di continua lotta contro gli altri e contro se stessi, arrivarono a risolvere questo conflitto microsociale attraverso il nichilismo, la tossicodipendenza e in alcuni casi il suicidio. I secondi, invece, ebbero più “successo” a livello macrosociale, continuarono la loro rivoluzione attraverso due vie: la lotta politica (anche violenta, nelle piazze come nelle strade) e la lotta politica armata ovvero il terrorismo. Quest’ultimo tipo di lotta ebbe lunghi strascichi e mano a mano che il tempo passava, le proprie fila si ingrossavano anche per il passaggio dei più facinorosi della “lotta politica”. Le due macro tendenze vissero, da un lato in maniera autonoma, ma dall’altro si intrecciarono lungo il corso dei dieci lunghi anni di vita del movimento sessantottino italiano almeno fino al 1977 quando il “Nuovo Movimento” farà il proprio canto del cigno preoccupandosi di prendere le distanze dal fenomeno terroristico il quale, seguendo diverse strade e diverse ideologie, stava da dieci anni mettendo a ferro e a fuoco l’Italia intera ed in particolare il fragile governo di centrosinistra che doveva fare i conti anche con il più forte partito comunista europeo. Frattanto, come si diceva sopra, si andava a riacutizzarsi l’antica frattura della guerra civile tra destra e sinistra, tra fascisti e comunisti sia nelle piazze che negli attentati. Le cifre parlano chiaro, nel terribile ventennio ’69-’88 le vittime furono 428, incalcolabili i feriti e i danni; gli atti di violenza negli anni ’76-’80 furono ben 9673. Non è compito di questa analisi identificare chi fu a scagliare la prima pietra, ma di far prendere atto che la spirale di violenza non si fermò, bensì ebbe ad acutizzarsi. Il terrorismo di matrice nera, che contava circa 223 sigle ed organizzazioni, aveva una direzione esplicita: fermare l’avanzata rivoluzionaria (che in un primo tempo aveva osteggiato ma che poi, dive-


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nuta di matrice comunista, era diventata una minaccia) attraverso lo stragismo. Esso si macchiò di atroci stragi che vanno da Piazza Fontana nel 1969 alla stazione di Bologna nel 1980 all’attentato di Val di Sambro nel 1984 e fu spesso aiutato da un’ala deviante delle Forze Armate e del Servizio Segreto a cui, evidentemente, premeva più la minaccia rossa che quella nera anche alla luce dei delicati equilibri internazionali. Diversa direzione, e più interessante per la nostra analisi, ebbe il terrorismo di matrice rossa, poiché tentò di creare un fil rouge con la protesta di piazza in superficie e con la rivoluzione comunista in profondità. Secondo lo storico Luigi Bonanate, il “terrorismo rosso parlava al potere politico per interposta persona”; i terroristi infatti non volevano mandare un messaggio al governo (che consideravano una forza conservatrice e reazionaria) ma al popolo ed in particolare alla classe operaia, giudicata assopita e dimentica della matrice rivoluzionaria che avrebbe dovuto contraddistinguerla. Le azioni terroristiche, dunque, erano mirate a colpire i cosiddetti “lacchè dell’imperialismo” o il SIM (Stato imperialistico delle multinazionali) da un lato, e dall’altro di risvegliare le coscienze rivoluzionarie della classe operaia, rispetto alla quale i movimenti terroristici si consideravano un’avanguardia pronta a lasciare l’azione alla rivolta proletaria. Il terrorismo rosso, che contava circa 221 sigle diverse, è però strettamente legato alla più famosa di queste, ovvero le BR (Brigate Rosse). Questa organizzazione, fondata da Curcio e dalla Cagol, divenne la portabandiera della strategia della tensione di matrice rossa. Dal primo sequestro (con annesso processo proletario), datato 1972, con il quale abbiamo aperto questa breve analisi, la loro storia avanza con passo spedito; vengono sequestrati, il dirigente dell’Alfa Romeo, Mincuzzi (giugno 1973), il capo del personale della FIAT, Amerio (dicembre 1973), il giudice Sossi (aprile 1974). Questi eventi, a cui ne seguirono altri, portarono alla ribalta le BR e il loro modo di parlare, questo provocò una ferma reazione da parte delle forze democratiche e ad una profonda riflessione da parte del Partito Comunista Italiano. Esso, infatti, si trovò dinnanzi ad un grosso dilemma: i brigatisti erano “compagni che sbagliano” oppure erano veri e propri “avversari politici”? Il problema fu difficile da dipanare, tanto che all’inizio il PCI parlò di un complotto di neofascisti travestiti da rivoluzionari; ma quando fu chiara la natura della matrice, il partito scelse di rinunciare ad ogni simpatia rivoluzionaria con le BR (e perciò abbandonare ogni progetto di rivoluzione comunista nella penisola) per inforcare la strada legittimistica e democratica divenendo una delle forze più attive (insieme al sindacato CGIL) nell’opposizione allo “sbandamento politico” dei propri compagni. La repressione fu molto dura, nel 1974 Curcio (insieme a Franceschini) venne arrestato ma riuscì a scappare l’anno dopo grazie al blitz della Cagol nel carcere di Casale Monferrato. Pochi mesi dopo, la Cagol venne uccisa in uno scontro con i Carabinieri, e nel 1976 anche Curcio venne definitivamente arrestato ma la lotta dei brigatisti non finì con la “decapitazione” dei leader storici. Nel giugno 1976, a Genova,

venne assassinato il procuratore generale Coco, nel 1977 venne sequestrato l’industriale Costa e nel novembre dello stesso anno venne ucciso il giornalista Casalegno. Nel frattempo iniziò a diffondersi la pratica della “gambizzazione” (si sparava al ginocchio della vittima rendendola storpia) verso coloro colpevoli di simpatizzare per il nemico. Dinnanzi a questo clima di terrore la risposta politica fu inefficace, mentre le BR ingrossarono le propria fila; nel 1977 però le BR iniziarono a perdere consenso sia tra i partiti simpatizzanti sia dal Movimento sessantottino che prese le distanze come ricordavamo poco fa. La crisi terroristica portò ad una fase di grande riforma politica ad opera dell’esponente della Democrazia Cristiana,Aldo Moro, che si batté per il famoso “compromesso storico” tra le parti politiche per far fronte alla minaccia estremistica. Le BR risposero il 16 marzo 1978 sequestrando Moro e facendolo trovare morto il 9 maggio sucessivo, ma non riuscirono ad impedire il cambiamento politico che essi stessi, paradossalmente, avevano contribuito a portare avanti. L’omicidio Moro, segnò la fine, non Opera della pittrice Anamaria Laurent immediata è vero, del terrorismo italiano, lo Stato non venne a patti con i terroristi decretando la morte del leader DC ma anche la rinascita dell’ordine pubblico.Vi furono altri eventi, come il sequestro Dozier nel 1981 (liberato dai NOCS nel gennaio 1982) e l’assassinio Tarantelli (1985) ma lo Stato resse, i capi storici rinnegarono la loro fede (l’ultimo fu proprio Renato Curcio nel 1993) facendo fallire la rivoluzione nata sulle piazze e proseguita con il piombo e il tritolo, che nemmeno il tentativo delle ultime BR del 2003 riuscì a riesumare.

APPROFONDIMENTI Libri e Film

Luigi Bonanate Terrorismo Internazionale Giunti, Firenze, 1994 e ristampe Enzo Peserico, Il sessantotto italiano (1968/1977) da: Dizionario del “Pensiero forte”, I.D.I.S. Sabino S. Acquaviva Guerriglia e guerra rivoluzionaria in Italia Rizzoli, Milano, 1979 Un film di Marco Bellocchio Buongiorno notte 01 distribution, 2004

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Don Giovanni? No ELISA ZANOLA

Siete figli di papà. E l’accusa di Pasolini rimane la stessa, due ventenni dopo. Del ’68 non ci resta che quel verso. Lo spirito si è perduto. La voglia di combattere, anche. Sopravvive solo quella condanna, acuita dalla negligenza lassista della nostra generazione servile. L’indifferenza ci ha inebriato, insieme a una supina accettazione che ci ammutolisce. Siamo la generazione degli inetti. Una possibile soluzione, nella figura di Don Giovanni. Non come amante, ma come studente. E rivoluzionario parricida. Scorrendo le pagine delle Anime del Purgatorio di Mérimée, un libello su una biografia romanzata di Don Giovanni, certi passaggi feriscono. E non per la straordinaria carica libertina del protagonista, per la sua impossibile ricerca del piacere. Quella può solo affascinare. Ferisce ammirare le bravate del protagonista e dei suoi compagni nell’università di Salamanca e vederli uniti da uno spirito che ci è ignoto. Studenti! E subito eccoli, pronti, dopo i bagordi e le nottate brave, a tirar fuori la spada per difendere un’ appartenenza, un orgoglio che li accomuna, una carica che li unisce. Si riconoscevano ed erano riconosciuti come un potere. L’occhio si sposta involontariamente sull’Università di Verona. E su noi studenti, irrimediabilmente divisi. Se gli studenti sessantottini del “Pci ai giovani!” di Pasolini erano pur sempre figli di papà, almeno quel senso di appartenenza che ci è sconosciuto, sapevano difenderlo. Noi ne siamo incapaci ma la nostra incapacità è pericolosa. Qualcuno ci chiama addirittura bamboccioni e noi ci limitiamo a scrollare le spalle. Un riferimento alla contemporaneità è qui d’obbligo, anche se mi limiterò a liquidare l’ormai logora e stra-abusata accusa di Padoa Schioppa con dei semplici dati. Il signorino Tommaso è figlio di un amministratore delegato. Dopo l’elitaria frequentazione del liceo classico, viene indirizzato nel tempio dello snobismo che è la Bocconi. Qui termina l’università nel 1966, non sia mai che il ’68 avesse potuto contagiarlo! E per evitare proprio la pericolosa contaminazione, se ne va a fare un master al Mit di Boston. Rientrato in Italia super qualificato, i soliti amici degli amici gli assicurano immediatamente cariche dirigenziali alla Banca d’Italia, con tanto di stipendio da urlo. Sicuramente non sarà rimasto nella casa dei genitori, ma altrettanto sicuramente, con i soldi del papino si sarà comprato una ben dignitosa dimora. Una delle poche alternative possibili, sembra suggerire implicitamente, sono le raccomandazioni, senza le quali è ben difficile in Italia trovare un posto di lavoro. Bella eredità ci trasmettono le generazioni precedenti! E fino a che punto arriva la nostra accettazione? Anche nel vederci accusati di bamboccionismo, dopo le prime polemiche, siamo ritornati a tacere. Abbiamo alzato un pò la voce, per abbassarla subito: cosa abbiamo fatto per dimostrare alle generazioni che ci precedono che la nostra non è solo la generazione dell’ubbidienza? Cosa facciamo per protestare contro la situazione castrante in cui precipita il nostro presente italiano e che rende impossibile un futuro? Siamo incapaci di organizzare scioperi e manifestazioni per risolvere la nostra situazione di precarietà. Incapaci di organizzare liste giovani che diano una ventata di novità alla paralisi politica

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attuale. E poi, che programma politico proporre, noi che non siamo abituati a decidere ma solo ad accettare quello che altri hanno deciso per noi? Così eccoci nella stessa situazione del finale reazionario del racconto di Mérimée, dove il protagonista, pentito del proprio peccato, si richiude in un monastero. Siamo irretiti in un convento e in un carcere che superano le dimensioni della cella estendendosi fino ad abbracciare l’intera realtà. Amici carcerati, forse è ora di svegliarci! Di essere arrabbiati, indignati, scandalizzati, di muoverci! E di reagire non come il personaggio di Mérimée: non rinchiudendoci nelle solitudini monasteriali delle nostre vite grigie, lasciando che la tecnologia ci faccia precipitare sempre di più in universi silenziosi solo in apparente dialogo con gli altri. Riuniamoci davvero, non solo con la maschera del web, mettiamoci in gioco in prima persona, riappropriamoci della presenza fisica e della parola! Un suggerimento su una reazione possibile, da un altro libro che narra sempre le peripezie di Don Giovanni: L’elisir di lunga vita di Balzac. Qui il protagonista, dopo


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No, figlio di papà... il parricidio, si fa cospargere dal proprio figlio con il miracoloso unguento che aveva sottratto al padre morente. Per l’imbecillità del figlio, che non ha terminato, colto dal terrore, l’unzione del padre, Don Giovanni non ha corpo. Ma la testa rimane e alla facile credulità della gente che lo propone santo, reagisce scagliandosi, da testa, sul cranio del parroco che celebra la Messa. Per farlo a brandelli. Questa la carica rivoluzionaria, non il ripiegamento intimistico del libro di Mérimée: è questo duplice parricidio, del padre e del prete, che dobbiamo imparare; metaforicamente, è ovvio. La violenza è sempre volgare e deprecabile. Ma dobbiamo scrollarci di dosso l’autorità di un potere che si presume, nella sua dittatura, incontestabile. A quarant’anni dalla grande contestazione studentesca, impariamo nuovamente il significato della protesta! Non arrendiamoci nel riconoscerci soli, impotenti e non limitiamoci ad usare in modo razzista quel foglio che si chiama laurea, per discriminare, con l’arroganza e l’orgoglio dei figli di papà, chi non ha l’opportunità di frequentare, come noi, le università. Una volta, come ricorda Moravia in una sua intervista, gli studenti che protestavano in qualche modo percepivano la colpa della loro ricchezza. Per noi, invece, possedere pare essere il solo orgoglio, l’unico riconoscimento di appartenenza. Così anche la laurea per noi diventa un fregio esterno, quasi un ornamento da abbinare con il nostro ultimo acquisto. E per discriminare chi non la possiede. In noi, la violenza consumistica si è tradotta in una competizione tragica dove anche i voti sul libretto e la laurea

sono i simboli di un tacito commercio. Così, inebriati dal fascino dell’avere, abbiamo dimenticato il valore reale di quell’immensa opportunità che è l’istruzione. E la frequentazione dell’Università non ci concede così la libertà e la consapevolezza che dovrebbero caratterizzare la nostra facile età: utilizziamo gli anni dell’università per imparare a ubbidire al sistema che ci domina, non per imparare a pensare. E se l’obiettivo delle università è quello di sfornare ubbidienti, cosa sarà di noi nel mondo del lavoro, nella vita? Saremo governati sempre da altri, da coloro che con l’intelligenza della crudeltà hanno capito che per dirigere basta elargire ai dominati la luccicante illusione del privilegio di possedere. Nei voti come nei beni che ci assediano. Per questo ci danno tutto. Per far sì di percepire le istituzioni come incontestabili; il potere, delle università e della politica, come incontrovertibile. Possono farlo perché ci manca il coraggio di unirci tra noi e ricordare cosa siamo. Tante solitudini egoistiche si possono domare con facilità, ma una giovane carica di studenti uniti, quella la temerebbero anche i padri di cui accettiamo di essere, colpevolmente, i figli.

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STUDENTI DI IERI MA PUR SEMPRE STUDENTI Brevissima storia del movimento studentesco quando ancora “snobbava” la politica FABRIZIO DE VINCENZI

Quando si parla di Sessantotto, soprattutto per chi non l’ha vissuto, si tende a criminalizzarlo per i fatti e gli eventi avvenuti successivamente; oppure, anche senza giudicarlo, lo si considera sempre come un punto di partenza e mai di arrivo (o meglio, di transizione).

Quando si cita il Sessantotto, tra parentesi si precisa spesso e volentieri l’arco di tempo che va dal 1968 al 1977; l’arco di tempo, cioè, in cui il movimento studentesco (inteso in senso generale) si aprì al mondo e alla società uscendo dalle aule sia per il cambiamento del singolare modo di relazionarsi sia per le analisi politiche che erano state raggiunte su tematiche legate alla guerra, al lavoro e alla società tutta e smise di essere studentesco. Ma tutto scaturì molto precedentemente da una condizione che sarebbe stata stretta a chiunque: quei giovani si trovarono nel pieno degli anni ’60 quando la società si allontanava sempre più dalla guerra mondiale per immergersi nel famoso boom economico che investì gente di ogni età ma che travolse la gioventù di allora. Da un punto di vista sociologico bisogna sottolineare come il ruolo dello studente in quegli anni, per la prima volta in assoluto, si sia accavallato alla condizione giovanile; in una scuola e in un’università che iniziavano ad essere di massa e non più d’élite. Ma questo cambiamento non ne riscontrò uno consequenziale a livello didattico e strutturale; ecco un primo contrasto. Nel 1967, ad esempio, La Sapienza di Roma, adibita per cinquemila studenti, ne ospitò ben sessantamila! Tutto partì, quindi, dall’analisi dei luoghi che quella generazione di giovani stava vivendo e nei quali si stava formando. Nel 1965 fu presentato un disegno di legge di riforma del sistema universitario, noto come “riforma Gui”. Questa fu incentrata sulla formazione dei dipartimenti tramite l’accorpamento degli insegnamenti e sull’istituzione di tre livelli di laurea; divenne oggetto delle proteste studentesche perché simbolo “dell’istituzionalizzazi one della selezione e della svalutazione del titolo di studio”e

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in più non prevedeva né adeguati strumenti di promozione del diritto allo studio, né organismi di controllo degli studenti sui processi formativi. Fu per questo che iniziarono le grandi manifestazioni e occupazioni che per la prima volta interessarono contemporaneamente diverse città ed atenei d’Italia. Il sistema formativo era considerato tradizionale nel modo di insegnare e nei contenuti e si cercarono così nuove forme anche auto-gestite di approccio e critica al sapere come gruppi di studio e “controcorsi”. Il movimento degli studenti chiedeva: nuovi diritti di partecipazione, lotta contro l’autoritarismo accademico (esercitato soprattutto con la selezione) e programmi gestiti dagli studenti, nei quali i professori sarebbero stati poco più che dei consulenti. I saperi acquisiti, accusati di nozionismo puro, erano avvertiti come distanti dalla realtà e dalla vita extra-universitaria. Ma ancora non si può parlare di un punto di partenza: l’analisi al sistema universitario fu preceduto dal riscontro di veri e propri disagi vissuti nella quotidianità accademica. A tal proposito l’occupazione del ’66 della neonata (e prima in Italia) Facoltà di Sociologia di Trento segnò senz’altro un precedente; in quel caso sotto accusa andò il mancato riconoscimento del corrispondente titolo di laurea e, fatto curioso, la contestazione trovò l’appoggio dalla popolazione trentina. L’anno successivo toccò a La Cattolica di Milano contro l’aumento del cinquanta per cento delle tasse, visto come un’ingiustizia sociale, in quanto rischiava di escludere dall’istruzione superiore i più poveri. Le differenze di classe, quindi, caratterizzarono fin da subito le idee e le mobilitazioni perché si ritrovavano anche tra gli studenti, in base alla famiglia di appartenenza o al lavoro che lo studente eventualmente svolgeva. Quando i protagonisti si relazionarono con le contestazioni

del resto del mondo e si scontrarono con la società italiana si determinò la politicizzazione anticapitalista del movimento che fino ad allora segnò un forte cambiamento culturale senza il quale, forse, avremmo ancora l’obbligo di indossare giacca e cravatta nelle normali ore di lezione.


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CINEMAMA SESSAN CINE SESSANTOTTINO TOTTINO

Quarant’anni fa, precisamente il 9 febbraio 1968, usciva nelle sale italiane “Gangster Story” di A. Penn, che racconta le vicende della coppia di rapinatori di banche più famosa d’America, Bonnie e Clyde. Il loro ribellismo anarchico contro l’ordine costituito e l’abbigliamento anni Trenta (basco, sciarpa, cappotto stretto in vita) influenzarono le nuove generazioni, mentre l’uso della violenza fisica e del sangue richiamavano le immagini della guerra in Vietnam trasmesse dalle tv. Ma questo fu solo il primo di una serie di film che rispecchiavano le idee rivoluzionarie e la voglia di libertà e cambiamento, che stavano scuotendo il mondo in quel periodo. Tra le quasi 300 pellicole che, durante il Sessantotto, furono proiettate nei cinema italiani, ancora infestati dal fumo delle sigarette, compaiono capolavori assoluti come “2001: Odissea nello spazio” di S. Kubrick, favola apocalittica sul destino dell’umanità, il burlesco “Hollywood Party” di B. Edwards e horror come “Rosemary’s Baby” di R. Polansky o “La notte dei morti viventi” di G. A. Romero, che visualizza la fine del mito americano. Dalla Francia arrivavano i lavori degli indiscussi maestri della Nouvelle Vague: “Baci rubati” di F. Truffaut, il terzo dei cinque film della saga Doinel, ambientato nella Parigi che, di li a poco, avrebbe ospitato barricate e cortei studenteschi, e “Week-end” di J. L. Godard, vero e proprio manifesto contro la borghesia neo-capitalistica tanto odiata dai sessantottini. Il Nuovo Cinema Tedesco realizzava capolavori come l’enigmatico “Artisti sotto la tenda del circo: perplessi” di A. Kluge, che nel 1968 vinse il Leone d’oro a Venezia, e lo scioccante “Scene di caccia in bassa Baviera” di P. Fleischmann. Dall’altra parte dell’Oceano, la “nuova Hollywood” era nettamente divisa: da un lato la ribellione contro una società falsa e ipocrita e la trasgressiva tematica sessuale de “Il laureato” di M. Nichols, accompagnato dalla

musica pop di Simon & Garfunkel, dall’altro la visione eroica della guerra in Vietnam in “Berretti verdi” di J. Wayne e R. Kellogg. Del 1968 è anche lo stravagante e provocatorio lungometraggio prodotto dalla Factory di Andy Warhol, “Lonesome cowboys”, una sorta di parodia di Giulietta e Romeo in versione western, che racconta con tono scanzonato le vicende di un gruppo di malviventi omosessuali. Per quanto riguarda il cinema italiano in quest’anno indimenticabile, esso può vantare una lista di grandi nomi: da Bernardo Bertolucci (“Partner”) a Pier Paolo Pasolini (“Teorema”), da Carmelo Bene (“Nostra Signora dei Turchi”) a Federico Fellini (“Tre passi nel delirio”), da Franco Zeffirelli (“Romeo e Giulietta”) a Roberto Faenza con il censuratissimo “H2S”, fino alla straordinaria interpretazione di Alberto Sordi in “Il medico della mutua” di Luigi Zampa. Il Sessantotto cinematografico, che comincia già qualche anno prima (la morte di Belmondo, la fuga di Antoine Doinel verso il mare, il matricidio de “I pugni in tasca”), proseguirà per una decina d’anni, portando sempre con sé una trasgressione trasversale e totale: contro l’autorità familiare e i valori della classe dominante borghese, contro il consumismo e l’alienazione industriale, contro la guerra e l’istituzione in tutte le sue forme, a favore della pace e della libertà sessuale. Ma quel formidabile anno, ricordato non soltanto per le rivolte studentesche e la guerra in Vietnam, ma anche per l’assassinio di Martin Luther King e Robert Kennedy o l’elezione dell’unico presidente degli Usa che sarà rimosso prima della fine del mandato (Nixon), fu (ed è tuttora) soprattutto oggetto di riflessione e spunto creativo per molti registi, che decisero di trattarne le tematiche in modi sempre nuovi ed originali. Numerosi sono i film ambientati alla fine degli anni Sessanta: tra i più noti vi

ENRICA INNOCENTE

sono “The Dreamers” di B. Bertolucci, la cui vicenda si svolge a Parigi nel febbraio 1968, “Les Amants réguliers” di P. Garrel, storia di un giovane poeta che partecipa alle barricate parigine e rifiuta la leva, “Fragole e sangue” di S. Hagmann e il recente documentario “Sessantotto – L’utopia della realtà” di F.V. Orgnani. Molti sono anche i film musicali, come “Woodstock” di M. Wadleigh, cronaca del concerto più famoso di tutti i tempi, punto di partenza della regista B. Kopple in “My Generation”, per rappresentare le successive edizioni del 1994 e 1999, o i musicals “Hair” di M. Forman e “Across the universe” di J. Taymor, sintesi storicizzate dei ribollenti anni delle contestazioni giovanili. Degni di nota sono, inoltre, “Easy Rider” di D. Hopper, viaggio on the road condito con musica pop, marijuana, hippies, pacifismo e crisi del mito americano, o “Bobby” di E. Estevez, che racconta le ultime ore del candidato alla presidenza degli Usa Robert Kennedy. Ma il tema in assoluto più abusato è sicuramente quello della guerra del Vietnam, affrontato, soprattutto come critica all’intervento Usa, da capolavori come “Platoon” e “Nato il 4 luglio” di O. Stone, l’indimenticabile “Full Metal Jacket” di S. Kubrick o “Goodmorning Vietnam”, nel quale la situazione drammatica contrasta con la buffoneria delle trasmissioni radiofoniche con cui il protagonista tiene alto il morale delle truppe. Il cinema è stato una componente fondamentale del tentativo sessantottino, non privo di eccessi ed errori, di migliorare il mondo. Per i giovani esso rappresentava non solo la possibilità di vedere grandi opere e discuterne durante i cineforum, ma soprattutto un’occasione di incontro e condivisione di idee, di discussione su temi quali la politica e la guerra, un rifugio da quegli aspetti della società che si volevano cambiare.

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Tre Film per raccontarti i SIXTIES

Viaggiare in totale libertà, tanto per andare da qualche parte, ma sì, chissenefrega. Ho una moto, ho un amico affidabile (o quasi) e sono alla fine degli anni Sessanta. Per quale motivo dovrei fermarmi a New York o Seattle o San Francisco, sposarmi e vivere per altri cinquant’anni con un nugolo di figli e un’amante sull’altro lato della strada. Considerato come un film simbolo della vita “on the road”, la visione cinematografica di tutta una generazione beat (Kerouac docet) basata su musica e birra, non male insomma. Billy e Waytt sono l’esempio lampante che responsabilità, lavoro e banali routine quotidiane non vanno di pari passo con la parola “vivere”. Incontrare persone che non vedrai più, conoscere l’amore della tua vita per abbandonarlo dopo un giorno, una notte. Un vortice avventuroso e brulicante di hippies che visto oggi, dopo una notevole indigestione di “sixties” su tutti i fronti, potrebbe risultare il classico film di due alcolizzati libertini che, beati loro, se la spassano sulle Harley Davidson. Sciocchezze. “Easy rider” non cerca né moralismi né finali ma allucinanti e intermittenti esperienze di viaggio, spiritualità e solitudine da un lato, metafora sterminata della fuga dall’altro. Fuggire, poi, da cosa? Poco importa.Voglio conoscermi, perdermi, scappare da me stesso per poi riabbracciare il mio spirito e credere che il mio domani sarà un’alleluya. Buon viaggio. CLARA RAMAZZOTTI

La macchina da presa si sofferma su lei, Isabelle, e sul fratello gemello Théo. Edith Piaf malinconica ci saluta sul fermo immagine dei boulevard parigini. Matthew non esiste più, lontano, americano. E’ questa la fine ma l’apoteosi di “The Dreamers”, pellicola di Bertolucci tratta dall’omonimo libro di Gilbert Adair. Matthew, Isabelle, Théo. Nomi qualsiasi, protagonisti indiscreti dell’attraente Parigi sessantottina. Amano il cinema, discutono di politica Chaplin e Clapton, alternano vino francese a dischi graffianti di Janis Joplin mentre scorre sotto il balcone la folla, il cambiamento, nuova arte e vita. Accettano di essere piccoli ribelli nel nulla del loro mondo fatto di regole scritte sul muro. Mi soffermo su Isabelle e Théo perché ci spingono a superare i limiti della complicità e dell’affetto per amarli come personaggi ingenui e idealisti, non a caso sognatori. Matthew invece fugge dalla guerra in Vietnam, cerca in Francia ciò che Johnson non può offrirgli: liberté, égalité, fraternité. Cementificare gli anni Sessanta nelle parole droga alcol e Jimi Hendrix è banalmente noioso. Un tempo di tale passione, bellezza, lotta, slancio spirituale e politico, ricerca di un mondo meno sbagliato e incurante da non dover essere reso monotono. “The Dreamers” è capace di mostrare sessualità, gioco e cinema (Venere Bionda, Luci della città, Il cameraman) in un momento dove la priorità è uscire, distruggere, ricostruire. Apatia, se volete. Disinteresse un po’ comodo di tre viziati boccheggianti nei fumi della Cinémathèque, ma ingozzarsi di rock’n’roll e lanciare molotov sulla polizia convivono perfettamente nel nostro immaginario dunque perché rifiutarli? Io voglio ascoltare con loro la voce al TG di De Gaulle e ripensarci, a quegli anni, in cui non c’ero. «C’est une Révolte?» «Non, Sire, C’est une révolution». CLARA RAMAZZOTTI

Una vicenda sentimentale raccontata e commentata attraverso 33 canzoni dei Beatles, tra cui quella del titolo, che ne scandiscono le fasi e sottolineano gli stati d’animo dei personaggi. Jude vive con la madre e lavora come operaio presso i cantieri navali di Liverpool (patria della storica band). Sbarcato negli USA per cercare il padre naturale, mai conosciuto, incontra Lucy, incantevole studentessa di buona famiglia e sorella dello scapestrato Max. L’amore tra i due sboccia nella cornice del Greenwich Village, fulcro della nuova musica e della pop art, dove Jude verrà a contatto con realtà nuove, come l’amore libero, la droga, le contestazioni giovanili. La storia irrompe nelle vite dei protagonisti, determinando svolte e lacerazioni. Il racconto scorre fluido in un fitto intreccio di citazioni e riferimenti ai movimenti artistici, ai personaggi e agli eventi di quell’indimenticabile decennio: le fragole grondanti succo rosso sangue, appuntate da Jude su una tela bianca, alludono al suo cuore spezzato e alle vittime del Vietnam, la cantante Sadie ricorda Janis Joplin, il chitarrista Jo-Jo suona e si veste come Jimmy Hendrix. Ma gli Anni Sessanta sono anche quelli delle manifestazioni contro la guerra, represse a suon di manganellate, dell’assassinio di Martin Luther King, delle proteste per i diritti delle minoranze. Psichedelica la scena a bordo del pulmino del Dr. Robert, impersonato da Bono, originali le coreografie e i costumi, bravissimi gli interpreti, che cantano quasi tutte le canzoni dal vivo. Musical raffinato, fresco e creativo, purtroppo ignorato da molte sale. ENRICA INNOCENTE

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PASSATEMPO

1955: quattro cifre, una data significativa.

Asger Jorn, Piero Simondo e Pinot Gallizio fondano il “Laboratorio Sperimentale del Movimento Internazionale per un Bauhaus Immaginista”, parte la grande rincorsa di un filone artistico destinato a modificare la concezione stessa dell’idea di controcultura in Italia. Un filone, quello appena menzionato, che poi contribuirà alla nascita dell’ “Internazionale Situazionista”, sintesi di respiro europeo dell’esigenza di molti artisti di uscire allo scoperto e di rovesciare molti valori del passato. Può sembrare strano creare una relazione tra tale anno ed il periodo sessantottino, cronologicamente distanti, tuttavia è doveroso stabilire una connessione tra di essi. Gallizio, parodiando il noto assunto di Marx sulla religione, affermò che “l’arte è l’oppio del popolo” e cercò di connotare in maniera assolutamente alternativa lo status dell’artista stesso. Quest’ultimo divenne portatore di nuovi valori, basati sull’esigenza di instaurare un collegamento diretto tra ideologia ed impulso artistico. Con il progressivo scoppio dei movimenti sessantottini lunghi rotoli di tela invasero, allora, le strade, le piazze ed interi quartieri. La volontà di trasformare l’opera in qualcosa di vivo, di irrefrenabile e, al contempo, di costruttivo divenne preponderante. Ciò che costituì lo sfondo dei moti fu un esempio tangibile di stravolgimento immaginativo legato ad un nuovo spirito rivoluzionario. Intere zone furono letteralmente “rivestite” da manifesti, la cui matrice era riconoscibile grazie alla presenza netta di un’idea di fondo: porre l’immaginazione al potere e ricondurla indissolubilmente verso le ambizioni sociopolitiche. Con questo spirito si cercò di rendere l’opera artistica un qualcosa di aperto, di condivisibile e di valore assoluto. Molti artisti, come quelli dell’ “Atelier Populaire” di Parigi, si concentrarono, dunque, sulla realizzazione di manifesti che potessero rappresentare concretamente il disagio popolare e che potessero esternare l’esigenza di rendere l’arte una dimensione collettiva e non più esclusivamente elitaria. La cosiddetta “Arte della Guerriglia” ebbe il merito di condurre fuori dai musei l’espressività, facendo in modo che essa costituisse una condizione irrinunciabile per ogni uomo. I movimenti sessantottini tentarono, così, di avvalersi di queste nuove prospettive per ridefinire i termini stessi della creatività, non più estromettibile dalla realtà quotidiana.

PLAYLIST

CREATIVITÀ

UNIVERSALE

L’ARTE E IL ’68:

ERIC CAFFI

60’s EXPERIENCE DAVIDE SPILLARI

Quando sento i primi accordi indianeschi suonati dal mitico chitarrista dei Doors Robert “Robby” Alan Krieger in the end non posso fare a meno di immaginarmi in un’umida stanza di albergo a Saigon, e subito mi viene voglia di prendere una barca risalire l’adige e uccidere il colonnello Kurtz. Ma niente paura dalle onde del fiume sbucano i Beatles a bordo del loro Yellow Submarine , che mi dicono hey Jude, get beck,e io dico Help! Ma battute pietose a parte, nelle mie compilation private incise su sony cd vergini usando nero non può mai mancare il caro e vecchio Bob Dylan alias Robert Allen Zimmerman, The Times They Are A-Changin’ , Blowin’ in the Wind, Mr. Tambourine Man ecc ecc eccc…e mille e mille canzoni simbolo di un’ epoca e colonna sonora di parte delle mie giornate.

Tornavamo dal mare di Luca Doninelli

Libri

Garzanti, Milano 2004

a cura di: PAOLO PERANTONI

«Dal momento che non sai quello che vedrai, devi convincerti fin da ora che non vedrai niente. Per questo un politico da uccidere non è un uomo con altri due uomini di scorta: è l’obiettivo tre. La scorta comprende l’obiettivo uno e l’obiettivo due. C’è un disegno, ci sono delle sagome con sopra dei numeri» con queste sconcertanti parole Fly addestra Ester ad un omicidio politico. Ma chi è Fly? Questa domanda ossessiona una delle due protagoniste del libro, Irene, l’ignara figlia ventenne di Ester, una donna, quest’ultima, che non riesce a fare i conti con il proprio passato...il movimento sessantottino, la “svolta” brigatista, l’omicidio, il carcere, il parto, la vita di madre... In questo appassionante romanzo, Luca Doninelli (scrittore e critico teatrale), ha saputo mettere in scena, nella sua massima estremizzazione, il dramma generazionale tra genitori nostalgici e figli indifferenti agli ideali che mossero la lotta politica del ‘68. Lo scrittore mette in scena questo dramma con straordinario realismo e sprezzante caratterizzazione dei personaggi portanti, che muovono i loro passi tra l’indifferenza della realtà di tutti i giorni e il misterioso quanto lontano passato evocato tramite brevi flashback che rendono vivo e interessante il racconto. Lo stile di Doninelli si caratterizza per una splendida fusione tra sceneggiatura (a metà tra un dramma teatrale ed un film), romanzo storico e pagine di vera e propria poesia da dove si evincono rimandi a Rilke, Caproni e Hölderlin. Non posso che suggerirlo a tutti voi, io lo presi poco dopo aver conosciuto di persona Doninelli, alla presentazione proprio di questo libro e non mi sono pentito di averlo preso ma, soprattutto, di averlo letto.

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SENTI COME SUONA IL SESSANTOTTO FEDERICO LONGONI

Nel 1968 i negozi di dischi erano un posto meraviglioso: pieni di 45 giri in vinile freschi di stampa, pronti da mettere sul giradischi e farli girare sulla puntina, con quel tipico fruscio di sottofondo. Se fossi un ventenne di quell’anno rivoluzionario, i dischi che avrebbero fatto da colonna sonora alle mie giornate sarebbero stati questi. Bookends - Simon & Grafunkel. Per questi due giovani ragazzi, il 1968 fu un anno memorabile. Oltre all’enorme successo avuto con la colonna sonora del film Il Laureato, nel mese di marzo pubblicano Bookends, che in pochi giorni raggiunge la vetta delle chart di mezzo mondo. Nell’album, oltre all’indimenticabile Mrs. Robinson, (che era già stata pubblicata in una versione leggermente diversa l’anno precedente), compare un altro inno per i giovani del periodo, America, una dolce ballata autobiografica che ha dimostrato la grande capacità narrativa di Simon & Garfunkel. Gli altri brani del disco sono dei brevi racconti che parlano di amicizia, come Old Friends, di vecchiaia, come Voices Of Old People (che in realtà è un intermezzo solo parlato, un dialogo tra due anziani) e della società in crisi, come nella conclusiva Save The Life Of My Child. Simon & Grafunkel, con questo loro splendido Bookends, hanno dato una speranza a tutti quei giovani americani che credevano nella possibilità di vivere in un mondo migliore anche solo con le note una dolce ballata folk. Electric Ladyland – The Jimi Hendrix Experience. Ucciso da una dose letale di barbiturici nel 1970, Hendrix è diventato una pietra miliare della storia del rock, e ha infiammato con il suo innovativo approccio alla chitarra elettrica i giovani hippie di tutto il mondo. Il brano principale del doppio album è senza dubbio Voodoo Chile, un blues elettrico della durata di quindici minuti, che esprime al massimo la genialità nell’uso della chitarra da parte di Jimi, tanto da farlo sembrare posseduto dal diavolo (famoso l’assolo di chitarra di questa canzone suonato con i denti sul palco di Woodstock nel 1969). Altri capolavori all’interno di Electric Ladyland sono Gypsy Eyes, brano dedicato alla madre di Jimi morta quando lui era solo un bambino; House Burning Down, canzone in cui il grande Hendrix simula con la sua chitarra il crollo della casa protagonista del brano, e la celeberrima All Along The Watchtower, cover di uno splendido pezzo di Bob Dylan. Waiting For The Sun - The Doors. Il terzo album della band di Jim Morrison esce nell’estate del 1968, è, con i suoi sentimenti contrastanti, fatti di pura poesia e malinconia, ma anche di veloci chitarre e scatenati organetti, uno delle prove più ambiziose del quartetto californiano. Il brano di apertura, Hello I Love You, è un perfetto esempio dell’abilità di Ray Manzarek nel suonare l’organo Hammond che spesso era lo strumento dominante nelle canzoni dei Doors. Affascina la leggerezza di Love Street, ottimo sottofondo musicale per la calda estate del 1968; mentre in Five To One la band dà il meglio di sé: la voce di Jim è calda e selvaggia, la batteria è talmente ripetitiva e violenta da non riuscire a stare fermi un secondo e la chitarra scorre come un fiume di lava per tutta la durata della canzone. La migliore band che sia mai esistita sul nostro pianeta (almeno questo è il mio parere), si scioglie prematuramente dopo la morte di Jim Morrison, avvenuta nel 1971 a Parigi quando il cantante aveva solo 27 anni. Cheap Thrills - Janis Joplin. Suonato insieme ai Big Brother And The Holding Company (cioè la band che ha lanciato Janis nel mondo della musica ingaggiandola come loro vocalist principale), vede la luce nell’aprile del 1968. Brani come Summertime, un classico di Gershwin trasformato in un vero capolavoro grazie al particolare tono vocale di Janis e al riff di chitarra acido e distorto, e come Piece Of My Heart, altro indimenticabile pezzo blueseggiante reso ancor più straordinario dalle emozioni che la voce di Janis fa scaturire, Cheap Thrills divenne in breve tempo disco d’oro, superando il milione di copie vendute. L’unico brano registrato dal vivo è la lunga ballata Ball And Chain, il pezzo che chiude il disco, nel quale la cantante esprime al meglio le sue innate doti canore e che fa diventare l’intero Cheap Thrills una colonna sonora indispensabile per tutti quei giovani che nel 1968 si battevano per la libertà, la giustizia e la pace. The White Album – The Beatles. Nonostante il disco in realtà s’intitolasse The Beatles, subito divenne il White Album per via della copertina completamente bianca, senza nessuna scritta. Tra le canzoni da citare ci sono sicuramente Happiness Is A Warm Gun, uno dei capolavori dei quattro di Liverpool, e While My Guitar Gently Sweep, una struggente ballata scritta da Geroge Harrison che instaura nell’ascoltatore un forte senso di vuoto interiore (mi permetto di consacrare questa canzone la migliore che i Beatles abbiano mai fatto). Altro gioiello di questo doppio album è Helter Skelter, durissimo brano accusato dalla critica di aver ispirato gli efferati omicidi compiuti da Charles Manson (avvenuti in California nel 1969 durante un rito satanico tenuto dallo stesso Manson). Con questo doppio album, i Beatles riuscirono per la prima volta ad abbattere lo stereotipo del genere pop, mescolando i più disparati generi uno con l’altro e creando uno stile completamente innovativo nel modo di fare musica.

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PASSATEMPO

Beggars Banquet - Rolling Stones. Diretta rivale dei Beatles, la band di Mick Jagger pubblica nel 1968 il disco più arrabbiati e cattivi del periodo. L’apertura è affidata all’intramontabile Sympathy For The Devil, con quel ritmo di samba e quelle percussioni ossessive che hanno fatto di questo brano un vero capolavoro. In Let It Bleed è il basso a farla da padrone, mentre il piano detiene il potere nella successiva Jigsaw Puzzle. Ma la canzone che più di ogni altra in questo album dei Rolling Stones rappresenta la ribellione del 1968 è Street Fighting Man, con un riff di Keith Richards che abbatterebbe anche un muro, una batteria che riproduce la marcia dei soldati e un testo tra i più politici mai scritti dalla band inglese. Le “pietre rotolanti” sono gli unici che dopo una lunghissima carriera riempiono ancora gli stadi di tutto il mondo e gli unici, che anche a ridosso dei settant’anni, riescono ancora ad avere l’energia che avevano ai tempi di Beggars Banquet. La rivoluzione del 1968 e tutto ciò che ne è conseguito non sarebbero stati la stessa cosa senza questa splendida musica. Tanti degli artisti citati hanno dato la forza ai giovani di parteciparvi attivamente, occupando piazze e battendosi per dei valori che ancor’oggi sono ritenuti di primaria importanza. A Jim, Jimi, e a tutti gli altri che ci hanno fatto provare delle emozioni così forti con le loro parole e la loro musica, non resta che dire grazie.

TOMMASO SCARAMELLA

ANNI 70 A COLORI

Verso la fine degli anni ’70, in un clima politico-sociale fortemente turbato dalle note vicende degli anni di piombo, si fa largo in Italia la tv a colori. Questa piccola grande innovazione, che sarà destinata a incrementare la fortuna del mezzo televisivo, contribuì a renderci finalmente contemporanei e moderni (almeno davanti alla tv) nonostante il colore fosse già utilizzato negli Stati Uniti e in altre parti d’Europa da quasi un decennio. E così il primo febbraio del 1977 la Rai, allora unico soggetto televisivo che disponeva di due reti, iniziò ufficialmente la regolare messa in onda full-color, interamente a colori, a partire dalla sigla di inizio trasmissioni che si tinse di azzurro, così come lo storico segnale orario delle 20. Il passaggio dal bianco e nero al colore però non fu istantaneo, ci vollero ancora un paio d’anni per aggiornare in modo definitivo le attrezzature della tv di Stato e per diffondere i nuovi televisori a colori nelle case degli italiani. Ci fu anche chi si oppose alla novità, è il caso del senatore repubblicano Ugo La Malfa che in un’interrogazione parlamentare sollevò il timore di una possibile spinta verso il consumismo e l’inflazione; il dibattito tuttavia spianò la strada in maniera definitiva al progresso. Le nuove immagini colorate avevano un fascino irresistibile, tanto che non era raro ritrovarsi ad ammirare i nuovi televisori a colori esposti nelle vetrine di molti negozi. Il 1977 è anche l’anno di nascita di alcuni telefilm storici: chi non ricorda le avventure di “Furia”, il celebre “cavallo del west”, oppure i protagonisti di “Happy Days” che ci introducevano in un mondo ancora sconosciuto fatto di hamburger e Coca Cola? E nasceva anche “90° minuto”, l’immancabile approfondimento calcistico per un’Italia che finalmente poteva distinguere i colori delle maglie dei giocatori. Il successo evidentemente fu enorme, verso la fine degli anni ’70 ormai ogni famiglia italiana disponeva di un televisore attorno al quale ci si riuniva ogni sera. L’appuntamento divenne un rituale quotidiano che influenzò profondamente la vita e i costumi dei telespettatori. Oltre ad intrattenere la televisione svolse anche un importante e riconosciuto ruolo di educazione nazionale: agli inizi del ’900 in Italia gli analfabeti erano circa il 40%, verso la fine degli anni ’70 invece il numero scese al 5%. La tv influì soprattutto nel modo di parlare degli italiani, cosa che avviene ancora oggi con la diffusione di termini tecnici, di neologismi e di un buon numero di luoghi comuni verbali legati alla cronaca e al linguaggio della politica. Oggi il progresso ci offre una tv sempre più avanzata dal punto di vista tecnologico, con un’attenzione estrema alla perfezione dell’immagine che arriva nelle nostre case. Che cosa ci resta del passato? Forse la nostalgia per quell’ingenuità che è propria di tutte le cose appena nate, che solo l’esperienza può aiutare a superare. E la consapevolezza che purtroppo la perfezione estetica di oggi non è sempre sinonimo di capacità professionale.

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NERO

rubrica di

parole

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INVIATE I VOSTRI RACCONTI, POESIE,CITAZIONI A: gigiimbriago@yahoo.it gigiimbriago@

a cura di luigi tasca

Care sorelline e cari fratellini di Università questa è Nero: rubrica di parole. ’68: l’attesa di altri momenti: l’amore, la libertà, la passione, il desiderio di un giorno nuovo. Diverso da quel che è stato ieri.

Notte chiara Cristalli bohemi nella notte, luminosi guardano, quasi che freddi e ardenti l’affondare in dolci fiori ricci, amari di verità ancora in boccio.

Profumo di colli maggesi, da scoprire più, e più volte trovare nuovi gusti rari da provare fino a lì, e poi giù ancora lungo la via materna che porta ‘l desio del calice colmo di rossa passione amorosa attende fremendo il momento…

MICHELE TISSI

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Abbandonare la fila

Se è così siamo finiti e vecchi. farei pure cominciare la post-modernità “Che si potesse abbandonare la fila, era un pensiero che allora non mi aveva mai toccato. In effetti, non mi era mai nemmeno toccato. Eppure non so, quando penso a quei momenti in valle Giulia, sento ancora il cuore battere le sue migliori pulsazioni; quelle della giovinezza, capisci. Uscire dalla fila? per dove? ero in gabbia quanto lo sei tu adesso- mia cara- e posso ben confessare che fino a quel primo marzo, forse un ‘primo vere’, ero ben lontano dall’ odore dell’amata carne. Intendo, il sesso. Ho sempre avuto l’idea fissa che per essere dei veri uomini (perché ride, la ragazza?), bisognasse dimostrare un certo rigore di forma e contenuto, insomma quelle che mio padre chiamava ‘idee ed azioni imperturbabilmente integerrime’ . Mio padre amava le parolone da dittatore. Per questo non ho mai abbandonato la fila, se non all’ultimo, per poi ritornarvi. Capisci?! Ho vissuto la mia adolescenza tra una città italiana e l’altra: Napoli, Roma, perfino un piccolo paesino piemontese, del quale non ricordo nemmeno il nome; mi stabilii infine definitivamente a Roma, dove mio padre, un ufficiale dell’esercito, sperava di poter finalmente ottenere le sue desiderate quattro stelle da generale. Fu ‘silurato’, come si dice in gergo, da un collega con meno esperienza, ma più idee. D’altronde lui è sempre stato un uomo con poco cuore e tante medaglie e le idee senza un cuore che le sostenga, sono come chi fa i conti senza l’oste. Pensa che una volta mi presentai in maglietta ad un ricevimento. Mio padre andò su tutte le furie, appellandosi al decoro, ma sopratutto all’obbedienza. Io guardai mia madre: capii allora dai suoi occhi persi che anche lei era in gabbia. Poi distolse lo sguardo quando mio padre le disse: ‘Clodia sii gentile copri il ragazzo con la tua giacca..’. Puoi ora ben capire cosa significasse allora abbandonare la fila; ed in effetti fu stupido farlo senza un buon piano. Mi bastava sventolare una bandiera e poco importava se una manganellata in pieno volto mi fece sanguinare. Ma ci arriverò tra poco.I manganelli non lasciano

che un breve segno; le idee aprono un graffio nella storia “. Guardami qui a confessarmi con una sciacquetta del primo anno. La guardo: ‘Ti stai annoiando’. ‘No si figuri professore’. Da quanto sono qui all’università ? tipo, più di venti anni, eppure non riesco ancora a liberarmi di quel fantasma che mi visita nei giorni e nei momenti più inaspettati, anche nei begl’ occhi di una ragazza: la giovinezza. ‘A cosa pensa professore?’ . La guardo in quegli occhi maliziosi e rispondo: ‘Niente, senti non ce la faccio ancora...posso continuare a raccontare?’ . ‘Si figuri professore, lei può farmi tutto ciò che vuole’ dice ammiccando e muovendo sensuale la bionda chioma; poi si corregge: ‘ Ehm, volevo dire fare tutto ciò che vuole’. “ Fino alla sera prima non trovai il coraggio. Come si dice: il coraggio uno non se lo può inventare, capisci. Giulia, una mia compagna mi fermò, mi disse che avevano occupato una scuola poco vicino, che il giorno dopo avremmo marciato verso valle Giulia.Tutto era pronto. Non le detti retta. Così inforcai la mia bici e me ne andai. Tornai a casa, in dubbio su cosa fare. Mia madre quando entrai in cucina, mi guardò con quegli occhi. Distogliendo lo sguardo, esordì: ‘Tuo padre stasera non cena a casa’. Una splendida notizia pensai, togliendo il fatto che avrei dovuto sopportare i silenzi di mia madre, il che equivaleva ad un cocktail di malinconia ad alta gradazione; potenzialmente letale! Tra un maccherone e l’altro, mi accorsi che per la prima volta non sentivo più, vivevo. E quello che trovai nel cuore fu rabbia. E mentre mia madre Clodia si accendeva una sigaretta, sentii il bisogno di agire. Corsi in camera, presi tutta la mia roba e fui subito fuori di casa. Non sapevo dove mi avrebbe condotto la mia bicicletta nella notte romana, ma un’ immagine mi occupava la mente: gli occhi di Giulia. Sentii che lo facevo sopratutto per lei, per quei suoi occhi, così sognanti; così diversi da quelli di mia madre. No, a guardarla questa ragazza, non può avere gli stessi occhi illuminati da una spruzzata di luce.


A questa generazione manca la vita. Dopotutto, anche noi allora buttammo acqua sulla fiamma viva che ci bruciava. Non siamo stati in grado di fare la vera rivoluzione. Abbiamo spento il fuoco prima che consumasse l’intero edificio. ‘Prendiamo un tè, che dici? ‘ ‘Volentieri, ma poi... che dice..’- ancora quello sguardo vorace. ‘Perché non lo prepari tu- le propongo- ‘ mentre io continuo a raccontare?’ . Si avvia verso la cucina; la seguo. “Mi fermai di fronte alla scuola occupata. Sapevo che Giulia era dentro. Bussai alla porta principale. Niente. Così provai per l’uscita secondaria. Presi la bici e la nascosi in un cespuglio. Mi avventurai per il parco retrostante la scuola, aqquattandomi dietro un albero, sicuro che ci fosse qualche poliziotto. Una luce lontana ed indistinta. Era piuttosto fastidiosa in quel buio e non sapevo nemmeno perchè i lampioni non fossero in funzione. Devi immaginare la mia sorpresa, quando facendomi più vicino, scoprii che quella luce era Giulia che con una torcia in mano faceva entrare da una porticina un gruppo di manifestanti! ‘Michelangelo, cosa ci fai qua?’. ‘E’ molto bello vederti! Ti spiego dopo ‘- le dissi piuttosto agitato. Fu la mia prima notte con una ragazza. Mi segui? Il giorno dopo mi svegliai di soprassalto. Stavo sognando un funerale: seguivo un feretro dal pallido candore e la cosa strana era che le campane suonavano a festa. Quando mi avvicinai al feretro, non vidi che me stesso in quella bara. E le campane suonavano, suonavano fino a diventare simili al suono di assi fracassate. Fu allora che mi svegliai; per l’appunto di soprassalto. Ovunque sciamavano poliziotti in tuta blu e più varchi si aprivano tra le assi, più mi sentivo circondato. Rimasi lì per qualche minuto. Fu Giulia a prendermi per mano e a guidarmi fuori. Mi presi un paio di manganellate, ma non me ne importava nulla. Volevo correre con lei, soli, uniti compatti, in fila fino a valle Giulia”. Guardai la studentessa in volto. Nel frattempo ci eravamo spostati in camera da letto. Quegli occhi da rapace, vuoti e sornioni, segnalavano indifferenza. Non c’era la voglia né il tempo di terminare il mio racconto. Incominciai ad annoiarmi. ‘Capisci?’ le ripetei ancora. Niente. Ecco cosa ci sta distruggendo: la noia. Tutto si fa per noia, per inerzia del vivere. E adesso me la scoperò per noia. Lei capì. Lentamente ci spogliammo. La presi davanti allo specchio della camera, e lì il solito fantasma mi diede un fremito di giovinezza.

15 Aprile 2008

di Maurizio Miggiano Streetchic.wordpress.com

C PASStyle Style

“L’altra volta hai parlato di revival. Pure la volta prima. Anche l’altra. Invece, a proposito di revival, che ci dici degli anni ‘60?“ Hai capito che non parlo proprio mai di revival. Tuttavia non mi dai molte coordinate e mica basta un articoletto per un’analisi modaiola nel decennio forse più creativo del Novecento.Ti propongo un calderone di must, per quanto possibile. Come premessa segniamoci questa: negli anni ‘60 succede una cosa alquanto unica, la moda e il costume divengono un prodotto politico-culturale, arrivano le cosiddette “nuove generazioni” che devono differenziarsi dai modi delle generazioni precedenti, assumendo comportanti che contaminano ogni aspetto della vita, non da ultimo i codici vestiari. Tra l’Europa e l’America si vede davvero di tutto, nascono cose delle quali mica ci siamo sbarazzati, ma principalmente ricordiamo: i mod, figli dei fiori e/o hippies, i rockers, e tanti altri. Perchè prima di tutto, i Sessanta sono gli anni della rivoluzione pop, e nei Settanta pop era il mondo in cui si viveva. I figli dei fiori erano assurdi, indossano stili disparati, portano i capelli lunghi, fanno esplodere i colori e li accoppiano senza alcuna logica, idem con i materiali (Mick Jagger indossa il vinile, se gli capita). Agli hippies piacciono le mise etniche, le bandane, le collane, le giacche in camoscio, i jeans a zampa. Spesso a loro aggrada anche il capello unto e il sudore in genere, tendenza che faccio notare resiste fino ad oggi. Arriva la minigonna, per l’occorrenza tagliata fino al gluteo (tutta questione di comodità all’interno del concetto di “amore libero”). Sempre in quella zona, si portano gli hot pants, non più semplici shorts: mia nonna, con la tipica delicatezza che un’arzilla usa ad un nipote, mi disse che gli shorts erano corti, mentre con gli hot pants si rischiava di vedere la spirale. Il nonno apprezzava. Una delle linea guida dice: stretto, meglio se strettissimo. Tutto una taglia meno. Twiggy è il prototipo di donna magra, capelli corti, poco seno, slanciata, scarpe basse con tacco. Alla Edie Sedgwick, per intenderci. Gonne e hot pants a parte, l’uomo non veste diversamente, la moda si fece più che mai unisex. Ricordiamo però il mocassino nelle tonalità del marrone caldo, i beatle boots in pelle (che spopolarono pure in Italia), le giacche fustagnate degli intellettuali, il blue jeans alla James Dean (retaggio anni ‘50), anche questi strettissimi e a vita piuttosto bassa, perchè devono dare risalto al pacco. Altra novità dell’epoca, come sottolinea Andy Warhol in Popism, è la moda optical, le camicie a quadri, le gonne con disegni geometrici, magari a scacchi bianchi e neri. I mod o modernists sono un capitolo a parte: prendono a modello il vestiario perfettino del collegiale americano, con giacche a tre bottoni, camicie sempre chiuse da cravatta, i revers stretti, mocassini o Clarks o brogues per i ragazzi (da noi dovrebbero essere più conosciute come trickers), all’occorrenza un gilet laminato con camicia a colletto tondo; scarpe senza tacco per le ragazze, poco truccate e con le gonne più lunghe. Nell’immaginario il mod inglese ha il taglio a caschetto, guida una vespa o una lambretta, ascolta Beatles e Who, guarda “Ready, Steady, Go!”, la polo con il maglione oppure quelle mitiche cravatte sottili. A volte fin troppo sottili, e quando si esagera, si esagera. Come soprabito indosserà per sempre il parka, non è dato sapere se ogni tanto lo lavi. Ma è soprattutto la tensione verso un ideale di sobria eleganza e finezza estetica a distinguerli, in questo senso la moda dell’abito nero con cravattina nera e camicia bianca e decisamente mod.

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APPUNTAMENTI DEL MESE: Il Maggio 2008 delle associazioni ! Tutti nel prato ! 5 o 6 maggio ELGBT: - 17.15 / 19.15: Conferenza in aula Zorzi (Scienze della Formazione) sul rapporto fede-omosessualità, con relatore Don Paolo Renner.

7 maggio ASAV Giornata culturale africana II: - 9.30: torneo tra 3 associazioni studentesche (asav, ase, fan) e il consiglio degli studenti. e una partita tra ragazze dell’asav e quelle dell’ase. - 15.30: in polo Zanotto conferenza sul tema: Pensare allo sviluppo dell’Africa in ottica interculturale, interverrà Esoh Elame, prof. di Geografia alla Ca’ Foscari. - 17.30: proiezione del film satirico AFRICA PARADIS. - 21.00: presentazione dell’associazione, degustazione dei cibi africani, una breve performance di ballo africano, la sfilata di moda africana e la festa finale, tutto accompagnato da un Dj pro.

8 maggio UDU e UNICINEMA: - UDU, Festa di arte in strada nel prato della mensa San Francesco. - 17.30 / 19.30: UNICINEMA Aula A Economia MICHAEL CLAYTON (119’) – Oscar 2008.

9 maggio GRUPPO STUDENTESCO EUROPEO e CORO DELL’UNIVERSITA DI VERONA: - Gruppo studentesco europeo, in Università, Tavola rotonda sull’Europa. - Coro dell’Università di Verona, Concerto Voci del Baldo e Coro dell’Università di Verona, nel Palazzo di Economia.

11-13 maggio ASE: - Erasmus Day nel prato mensa San Francesco.

15 maggio UNICINEMA: - 9.30 / 11.50: NELLA VALLE DI ELAH (120’), Aula T.4.

22 Maggio UNICINEMA, CONSIGLIO DEGLI STUDENTI e FAN: - 9.30 / 11.50: UNICINEMA, LA VIE EN ROSE (140’) – Oscar 2008, Aula T.4. - Consiglio degli studenti e FAN, Concerto Veronica Marchi, in Polo Zanotto 26 maggio UNICINEMA e ELGBT: - UNICINEMA, T.4 9,30/11,50 BLOW UP (111’) – Omaggio ad Antonioni - ELGBT in aula Zorzi (Scienze della Formazione) ore 17.15-19.15: presentazione del libro “Matrimoni”, con relatore l’autore stesso, Pier Ferdinando Paterlini.

13 giugno Consiglio degli Studenti: Concerto di fine anno in università 14 giugno FuoriAulaNetwork, all’Informagiovani : Aperitivi radiofonici Sigle: ASAV= Associazine degli Studenti di Verona ASE= Associazione degli Studenti Erasmus


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