#16 - May/June - 2009

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stampato su carta riciclata

anno 4 numero 16 maggio/giugno 2009

PASS IL MAGAZINE DEGLI STUDENTI DELL’UNIVERSITÀ DI VERONA


PASSATENEO

ASAV Gli studenti africani a Verona.................................................4 GIORNATA CULTURALE AFRICANA Appuntamento annuale dell'ASAV..........................................5 BESTIARIO Riciclaggio + Singletudine..................................................6/7 CRONACHE DELLO SPRITZ Homo Eroticus......................................................................8 INDIEMATIK Un modo per non lasciare la tua tesi su uno scaffale...............9 INCONTRO TRA MENTI ABILI E DIVERSE Conosciamo il centro disabili d'ateneo ...........................10/11

PASSWORLD PIERO CARCIOFO La sua rocambolesca vita....................................................12 DOWN IN ALBION Britain's gossip...................................................................13 AVVENTURA ALL'ONU Testimonianza diplomatica..................................................14 EDGAR ALLAN POE Nel bicentenario della nascita................................................15 MEMORIA DI UN LIBRO Libera campagna pro-carta stampata .................................16 LA RIVOLUZIONE ROSA Nel paese dell'oro nero.......................................................17 CULTURA ATEA E valori cristiani.............................................................18/19

PASSATEMPO MUSICA I buoni e i cattivi............................................................20/21 PASSION OF ROCK Led Zeppelin.......................................................................22 PLAYLIST Tre metalli pesanti..............................................................22 LIBRI Notti stellate ad Arles..........................................................23 IMAGE IN ACTION Reportage dal concorso in Frinzi.....................................24/25 CINEMA Il bambino con il pigiama a righe.........................................26 NERO RUBRICA DI PAROLE Poesia................................................................................27

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EDITORIALE

SOMMARIO

Questo è l'ultimo editoriale che scrivo per PASS e vorrei dedicarlo a tutti i ragazzi dei mercoledì di Piazza Dante. So che tutti gli studenti non condividono questa simpatia per queste serate, e a questi vorrei dire di andare una volta per vedere com'è, chi c'è, per poi giudicare. I mercoledì sono nati circa un anno fa, per ridare alla piazza la funzione ancestrale che è quella di essere un punto d'incontro per gli abitanti della città. Perché non accontentarsi di Piazza delle erbe mi direte? Per proporre un'alternativa alla banale serata “spritz-al-bar”, per mostrare che ritrovarsi e passare una bella serata è ancora possibile fuori dagli ambienti commerciali e anonimi che spesso si trovano a Verona. E infine, forse semplicemente perché piazza Dante è fantasticamente bella e disperatamente vuota. Poco fa un'ordinanza del comune ha reso illegale suonare strumenti musicali dopo le 22, per rispondere alle lamentele di alcuni abitanti della zona. Posso benissimo capire che il rumore dia fastidio ai residenti, pero la legislazione sul rispetto della quiete pubblica esiste già e, se uno non la rispetta, giustamente deve pagare una multa. Il problema è fare un'ordinanza generica per un problema particolare, e del resto mi chiedo invece perché le lamentele dei residenti di altre zone che soffrono dello stesso problema non hanno mai avuto risposta. Ma il vero problema è che il metodo delle forze dell'ordine per far rispettare un'ordinanza sia la violenza contro un ragazzo che suona la chitarra, come è successo il 27 maggio. La politica consiste nel risolvere i problemi della polis. Risolvere dei problemi con la violenza non è politica. Un politico deve dialogare con i cittadini, tutti i cittadini, per trovare delle soluzioni pacifiche, quando come in questo caso non sono criminali pericolosi in gioco, ma semplici studenti il cui reato più grave e di suonare. Chi sa cosa ne penserebbe Dante? Vorrei ringraziare i lettori, la redazione di PASS, e augurare al nostro giornale una vita lunga in università. Buon'estate a tutti. Juliette

PASS

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PRODOTTO CON IL CONTRIBUTO DELL’UNIVERSITÀ DI VERONA

Registrazione Tribunale di Verona N° 1825 R.S. del 27/02/2009 Direttore responsabile: Claudio Gallo Proprietario: Juliette Ferdinand Editore: Juliette Ferdinand Redazione chiusa il: 06 Aprile 2009 HANNO SCRITTO: Juliette Ferdinand, Federico Longoni, Francesco Greco, Clara Ramazzotti, Davide Spillari, Enrica Innocente, Joe Foukeng, Marta Poli, Carolina Pernigo, Elisa Zanola, Paola Peretti, Fabrizio Capo, Chiara Matteazzi. FOTOGRAFIE E ILLUSTRAZIONI (OVE NON INDICATO): Google, Flickr, Gettyimages, iStockphoto, Wikimedia PROGETTO GRAFICO: Eugenio Belgieri (www.whatgrafica.com) e Giuliano Fasoli FOTO DI COPERTINA: "White Sun" di Valentina Furri Tedeschi Stampa: Tipografia CIERRE - Sommacampagna (VR)

Copyright: Le condizioni di utilizzo di testi e immagini, laddove è stato possibile, sono state concordate con gli autori. Tutti i diritti sono riservati, testi, grafiche e fotografie sono coperte da copyright. Ogni copia degli stessi è illecita. Si ricorda che il contenuto del singolo articolo non definisce il pensiero della redazione e dell’editore. Grazie a tutti coloro che hanno collaborato, ma che sono stati dimenticati nei ringraziamenti.


PRIMO PIANO In primo piano abbiamo scelto di dare la parola a chi era presente in Piazza Dante la notte del 27 Maggio, con l'intenzione di descrivere i fatti come sono accaduti. E' una testimonianza che vuole mostrare lo squilibrio tra il reato commesso (suonare la chitarra) e l'intervento poliziesco realizzato. Per chi lo trovasse troppo parziale, invitiamo a leggere nella stampa altri articoli per farsi un'idea. Mercoledì 27 maggio in Piazza Dante, a Verona, si è verificato un fatto vergognoso e inaccettabile. Sono le 22.00. Come ogni mercoledì da un pò a questa parte, la piazza si riempie di vita. Ragazze e ragazzi, cittadine e cittadini, turisti e passanti si incrociano e spontaneamente si fermano in piazza a bersi una birretta, fare due chiacchiere, suonare, cantare... Vuoi per la pioggia del pomeriggio che ha impigrito qualcuno, vuoi per la partita in Champions league, c'è un po' meno gente del solito: siamo poco più di un centinaio di persone. Come sempre l'atmosfera è bella rilassata. Verso le 23.45 si presentano in piazza quattro volanti della polizia municipale per identificare e sanzionare due ragazzi che a quell'ora stavano suonando il tamburo. Dopo qualche minuto di accesa discussione, la situazione torna tranquilla. Parte spontanea una colletta per aiutare i due a coprire la cifra necessaria al pagamento della multa. Qualcuno commenta ironicamente l'intervento degli agenti, altri chiacchierano sereni ignorandone la presenza, altri disegnano con i gessetti colorati. La tensione sfuma velocemente e tutto torna tranquillo. Nonostante questo le quattro volanti rimangono accampate nella piazza per altri quaranta minuti. Motore acceso, fari puntati. Ai lati gli agenti camminano avanti e indietro nervosamente. Con loro a monitorare la situazione, sono presenti vicequestore, vice capo della digos, un numero imprecisato di agenti con ricetrasmittenti e telecamere. Alla crescente curiosità di qualche ragazzo che li interroga sul senso della loro presenza, un vigile si decide a rispondere: "Questi sono gli ordini; nel caso siamo pronti a caricare". La voce rimbalza nella piazza ma pare una semplice provocazione. Nessuno gli da più di tanto peso. E' "normale". Qualche minuto dopo, succede qualcosa che ha dell'incredibile. Attorno alla 00.30 dalla loro postazione si sganciano, guanti alle mani, 6/7 vigili guidati dal vice comandante. Si dirigono decisi verso un angolo della piazza dove si scopre che un "criminale" sta strimpellando una chitarra in compagnia di un amico. Tanto è il frastuono che nessuno in piazza se ne è praticamente accorto. Ma gli agenti proseguono implacabili e minacciosi accerchiano il ragazzo che accortosi del loro arrivo, sbalordito, prontamente smette di suonare. Ecco applicata l'ordinanza con la quale il sindaco vieta l'uso di strumenti musicali dopo le 22.00. Davanti a tutte e tutti si concretizza l'assurdità di un provvedimento che in nome della quiete pubblica va a colpire un ragazzo che certo non sta disturbando nessuno, tanto che il suono della sua chitarra è coperto dalle chiacchiere della piazza. Spontaneamente, qualche amico gli si avvicina per capire cosa sta succedendo. I vigili si fanno subito minacciosi chiedendo i documenti a chiunque rivolga loro la parola. Molti chiaramente si rifiutano di farlo non ritenendo loro imputabile alcuna infrazione. Non hanno fatto nulla di più che qualche domanda. Di punto in bianco gli agen-

ti, tenendo il musicista stretto in una morsa, iniziano a spintonare per liberarsi dal capannello di amici e curiosi che gli si è creato attorno ed avvicinarsi alle volanti. Qualcuno viene scaraventato a terra tra le proteste dei più. E' il caos. Questione di un minuto da dietro la prefettura arrivano in Piazza Dante 3/4 camionette della celere e una macchina dei carabinieri, che evidentemente aspettavano il segnale posizionate nelle vicinanze. Dalle camionette scendono con casco e manganello in mano una decina di celerini che subito si lanciano verso i colleghi della municipale menando a casaccio. Nella piazza è il panico, si alzano grida di paura e denuncia. Si cerca di capire se c'è finito di mezzo l'amico, l'amica. Si grida: "vergogna!" Celere e vigili trascinano dietro le volanti due ragazzi, due studenti. Uno di questi viene colpito più volte al costato, al viso, strattonato per i capelli, sbattuto a terra ed infine caricato su una volante per essere accompagnato, insieme all'altro, in questura. Il tutto è testimoniato dalle decine di persone presenti ed è ben documentato nelle foto e nei diversi video che sono stati girati. Sul momento non viene resa nota alcuna imputazione. Una ragazza piange. Uno dei due è il suo ragazzo. Non la lasciano avvicinarsi. Davanti a lei una fila di celerini, vigili ed agenti della digos. In piazza sono tutti scioccati per quello che hanno visto davanti ai loro occhi. Una cinquantina decidono di partire insieme a piedi e raggiungere la questura. Ad aspettarli è schierata una fila di celere. Sono ormai le 2.00. La situazione è surreale. Arrivano altri ragazzi a portare la loro solidarietà.Voci danno per imminente la liberazione dei due. Sono accusati di resistenza a pubblico ufficiale con aggravante e rifiuto di fornire i documenti, sempre con aggravante. Dopo circa una mezzora gli amici possono finalmente riabbracciarli. Uno ha addosso tutti i segni delle percosse: la schiena e il costato segnati dai lividi, un occhio gonfio, un evidente "buco" nella testa causato dallo strappo di una ciocca di capelli. Pensiamo che queste cose non possano accadere in un Paese che si dice libero. Ci sembra chiaro che nella nostra città in particolare ci sia un'emergenza democratica. Non permetteremo che cose simili accadano nuovamente.

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ILLUSTRAZIONE di giovanni panunzio

dante, la chitarra e il poliziotto

ragazze e ragazzi in direzione ostinata e contraria http://www.vietatalavita.noblogs.org


Asav:

gli studenti africani a verona

INTERVISTA DI FRANCESCO GRECO francescogreco22@yahoo.it

Ritmi africani rimbombano nella notte. É giovedì e il Corto Maltese è affollato da giovani africani, ma anche da un buon numero di ragazzi italiani e di altre nazionalità. Sono tutti qui per l'Afroparty, l'evento del giovedì sera. Un'iniziativa nata per far sì che la comunità africana a Verona potesse far conoscere la sua voglia di integrazione, la capacità di proporre la sua cultura agli altri e la possibilità di divertirsi insieme. “É un'occasione per incontrarsi, promuovere la diversità e conoscere una buona parte di Africa che vive a Verona” dice il segretario dell'Associazione Studenti Africani a Verona (Asav), Budiabo Grace. ASAV nasce come supporto agli studenti africani che arrivando a Verona possono incontrare delle difficoltà, ma è anche un vulcano di idee e proposte allettanti per la città, come la Giornata Africana che quest'anno cadrà il 6 maggio. PASS ha deciso di intervistare il segretario dell'associazione in piena baldoria in corso, mentre tutto intorno esplodeva una festa fatta di suoni sincopati, tintinnare di drink, strette di mano e grandi bevute. Cos'è ASAV? Asav è l'associazione degli studenti africani ed è la nostra forza a Verona, perché ci permette di essere vicini ai problemi dei giovani africani che vengono qui per studiare. Presidente dell'associazione è “Fortuna” Ekutzu Mambulu. Il presidente viene eletto annualmente. ASAV è poi uno stimolo all'integrazione, un contributo di noi africani all'università, una prova di senso civico. Come nasce l'idea di un AFROPARTY? Nasce dalla volontà di far incontrare la nostra realtà con quella degli altri. Non è solo una festa per studenti africani o non, ma

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aperta a tutti. Tant'è vero che si possono trovare diversi tipi di persone. É un momento aperto a tutti, dove si può sperimentare la diversità. Può anche essere un momento positivo dove creare delle relazioni. Soprattutto per noi africani è diventata un'opportunità di conoscere persone al di fuori della nostra comunità. Tornando a parlare dell'ASAV, quali sono le attività che voi organizzate? Cos'è che sentite di dover fare? Come già detto, la nostra attività principale è quella di supporto agli studenti africani. Infatti noi abbiamo un'iniziativa che è diventata famosa in città: la Giornata Africana, che quest'anno avverrà il 7 maggio. Voglio dire che è un momento importante per tutti i cittadini, non solo noi africani, in cui proponiamo la nostra diversità e offriamo il nostro contributo alla comunità. Vuole anche essere un sunto dello spirito che anima l'ASAV, che vuole essere sempre di più un ponte tra la cultura africana e quella italiana. A Verona c'è anche una radio africana, AFRI-RADIO. Spiegaci un po' di che si tratta. Premetto che AFRI-RADIO non è di proprietà dell'ASAV, anche se talvolta ci permette di usare le loro frequenze per le nostre attività. In breve, è una web-radio del gruppo Nigrizia (un gruppo diretto dalle Missioni Comboniane che pubblica tra l'altro il giornale Nigrizia, magazine di informazione sull'Africa e il mondo nero, nda) che trasmette per gli africani nel mondo e a Verona. Concludendo, vuoi lanciare un messaggio agli studenti? Sì, di venire numerosi ogni giovedì sera! E poi voglio dire che questa festa dimostra che l'ASAV sta andando forte e ci auguriamo di andare ancora più forte nei prossimi anni.


JOE FOUKENG

culturale A T A N IG OR F RI C A NA

tra ipan are c e t par degust anze lassi tre c i i t t i si è , men tuden ag- io per ose pie enient i. ad o i t t è s S V r o v m o i i t e A e o l s c p a r r s S i an do a l’A ne deg place) . Il p assegn Jame num he p esi afr ubbli- d c e t o p to o tipi ar i Pa fica ociazi agle’s il istere a di pos è stat twork) o capo v s o E o s t ( t ss trale i z e e a a A d iu er si l’ or casegu otuto tea ane a il t giocat Aula N conosc a afr i o di t b l i n o I l p u a A icat i i o g c r r r a c isti un r it all’età - giud rose con o h spetta iglio si (Fuo stato m p c Ter m è e no azione entant scenza supera erata anotto e les me Bare SE) è u n o r c o i l e a A o s l z i p ( e iz re gi ntr oZ o “in rappr all’ado agazzi: rebbe uisire And down . o, la el Pol se” (“E a d’or z , q v d r g ” a c n w com na aggio nque appa di a imbole altr i Sno oniere usa pra tar ie d a clas t, Palm matica n i o t s a r c s i e s a L e e n lo li è st pa lta di , pl can o la pa nivers Film “ t Cant te la t nee. que no di r icano tare ag serata na, u i lo n u d p a n d , o e l a l r u r f o e r a e o e c a n D aul ne d a Laur 8, ine tempo al tito , 6 ento a cias ome a po na. La a afr ic parte e d o l m ” s l o 0 t d i r o i o n e e s 0 n roiez regi sco io, per esso ovo n ssaggi a pers i mod tte da er tutt es 2 rali co erenza razion al m n p e e e d n u g n la s”), d i Ca cultu conf integ m r ic di r im ta ap f. D mag r nata un te un ur ival d multi a la i in p la sfila iglior i la cen ento pro ettod l m o e i n i r e m om R la feest l gia vive con go olt tà la G raelle iator i o il m lix. La i a al F socie si è sv e luo la paro nifico nte de a d d t u i t e g e t , u e g l seg iazion i assag è sta l Dj A denti d Cu icana dell guire à com preso el Ma reside alfonso o r p e t e P r e d r u d f to A s niversi hanno egato na, il a Pie r natioprem iur ia i. Infin egato d azzi, st ndiviso le A tamen za l , l o g n u e t i e o r o e g ’ t l r o i n c e a n d a L a l n u In V ,d “ er ua i di dell rtecipa tmo v olti r anno d i V dell’ aldona tsu a q rletto ità di app le orga (Asl l d i h o m e n le ile M ku Co ua ers AV i pa re al r volto o, che oment SAV. ele l’Univ omuna ponsab ndres una E iretann all’AS enti a i n d l ball a coin on sol esto m i dell’A sé la d C l res U) A Fort ra, D na; e u t d o S t h o ) za ione re sigli ni, i (IS SAV Porte i Vero sta na e n te qu li amic con ona n n da i n r z s o a a e o i A a d i F n dell’ ero samen on g orta trada C ta P no rali i i V l t U soc ni di V ne co s c p A t o t io ioio ento r nata e la s e inte Fra tuden tante of. Ag ercultu Ismail potuto ica g l m t S n Afr laboraz ligera. r h i a o nal pprese d il p udi In stato hanno roblevert sta gi ezza c una re nier i e ol sca pro p t e è a l e a r S o f in c ersità no il co e o u u a c o il Q sapev vers nti str cora bul entro evento ubbli circa l ente tà iv an o r ic ’ m n n t e e a s n ’ p i d r C l M del l’U que velat co or re a stu se è a a al del i ed il nte attualm nivers mo i e e e c r i e e o t r r h m r t r o m u n d e o c a p to erat ne ro ni a, tiv ell’ op pan An a si è , unen spunt azio r io ve dentat icorda od arteci costrut addizio ier i n è stat ascio r a m e t g m o m n i r t o p l n o r gra volge imen . L’at- r r it e acc o ci denti h. I ntarsi cont ti stra accent ti al r i diffie a t a t r n t a r i a e ss tu le en ga fro ela o, . L’ e co di div artecip lla tem are lun po ste degli s olare con che e gli stud erona i cor r ggior n trattiva a l i p t a o i a t V t tic tem quell mat tate da r io di roblem i di so acità a e stupar ttà di men ssione a r ivol partic rsità n i e p i s e o p ifl ch ier i, lla ci eive tat , in fron l ter r it ro: sui er mes o la ca rcator or izzan e di r ne è s azione ell’un e l i p t n l u c a r i stra ani, n una pr i s n a o e v o r i i e tra l’ o de ibisc gr ier i e z n i a e a c s h n d t i r r c e t r atn è a i t n af an ell’i ti stra nesi. sto, r innov esso in nfront lla sc denti s e prena va ed e a d o a t r a P u e u e p V a vi siva tic tuden vero osten ei e al che s nei co itar i; s egli stu escent locale z s o s o d é dal i i à t r l e r t n e d c sen , inclu di o l u g n o u n t a e co aten m ialità ; sulla lazio nzio de ter r it tat ll’Isti onch rsio s v c i ’ t a itevole oll extra l nz rsità popo ’atte n’inè da io, n nive i e e e t , d n l a o a n e mer re va nti elle p ll’unive della era. U tà di u inativ Veron Afr irad dell’U ment i e z d i d i e i o e za e de an ess ata. ess on L’in SU di ni, da turali tre m visto zion ter no iffiden ella str lla nec ducazi inanza l a a E i u n h ’ l i l n c i l r izz d n d qu poi a un’e citta l’i iale da mbo Inter olata attino dersi l i a d ti a i m ta di Co tic idiz en on giu onfron è anda iva e a di un dr i o Stud si è ar nata. Il e cont III ed co c als c t e t , r t r e i i e h e t n V e c o r c e c i n icola an ic res obi Cen erona tera g dentes to ASA sclusio ra n Fr r neo d tuita rt ne er la c ica. a e a d o S i V ell’in i stu alcet i p a a z a z d ti tà co d zion di c sen alla squ rar ma urale p mocrat a mens i del To ata cos n o f r o a E n ’a o a ci st all ult or de nell o asso Tor ne ittor ia, andat denti ); al terc ente aperta vincit iator i è E r l u è t v t S i e m è t , real rata si one de i assagg qua ofeo d one: la i colpi egli S us (A c o n e s d sm se tr zi d zi a a ia d L emi a giur r p n la o. U cett

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BESTIARIO

rubrica sul_ nostro_ ateneo _osservazioni_ lamentele_ aneddoti..

Mi piace riciclare L’Università è vissuta quotidianamente da parecchi andirivieni di persone. E ognuna di queste ha un qualche rifiuto, dalla banale bottiglietta di plastica ai volantini passati di mano in mano. Ed è proprio su questi ultimi che mi soffermo. Locandine, foglietti, Pass, segnalibri, promemoria, fogli A4, quanta carta. E abbiamo, in Università, quanti raccoglitori per gettare al posto giusto tutto questo? Evitatevi pure il conto, non superano le dita della vostra mano. Dovendo io distribuire parecchi manifesti fucsia brillante, mi sono trovata con le braccia ricolme di vecchi poster ormai da buttare.

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Mi sono guardata intorno, niente. Salgo di un piano, mah, dove saranno? Scendo le scale e in un angolo buio lo trovo: il raccoglitore della carta. Magia! Avendo in ogni aula perlomeno un apposito cestino, piccolo e non ingombrante per carità!, si potrebbero avere notevoli vantaggi. Cominciamo mettendone due in più per piano e, soprattutto, un altro tra le aule 2.1 – 2.2 e via discorrendo. Chiaramente, poi, rispettatelo invece di mettere i giornali per terra nel chiostro, studentelli sporcaccioni. CLARA RAMAZZOTTI


BESTIARIO

rubrica sul_ nostro_ ateneo _osservazioni_ lamentele_ aneddoti..

PAOLA PERETTI

la singletudine forzata dello studente sotto esami Come è difficile preparare gli esami della sessione giugno-luglio. Lo sappiamo solo noi studenti universitari. Tutto, fuori, sembra così… vitale. Uccellini, bimbi che giocano a pallone, nonni al pascolo. Le ragazze di qualsiasi altra facoltà sono di certo in giro a fare shopping e la loro pelle è color the deteinato alla pesca già da metà marzo. O meglio, questo è quello che percepiscono i nostri sensi distorti dal buio, dal tanfo e dal silenzio abissale della nostra camera. In pratica, da maggio a luglio, la vita di uno studente abbastanza serio si svolge tra le quattro mura che i genitori gli hanno adibito alla nascita. E lì lui/lei dorme, poco, telefona, poco, sbocconcella biscotti, stantii, e riceve visite, in cagnesco, da parte di parenti e amici buontemponi. E, naturalmente, lì studia. Tanto, suo malgrado. Le giornate peggiori sono quelle in cui si è costretti a stordirsi con l’aria condizionata e il caffè freddo. Il caffè freddo è un’arma dagli effetti devastanti: se ne bevete troppo, il giorno dopo avrete i sintomi di un colpo apoplettico alle mani e agli occhi, vi verrà da ridere e da piangere per gli stessi motivi e, sicuro come l’infreddatura post-condizionatore, farete fiasco all’esame. La caffeina resetta le informazioni, sì, è terribile da accettare. Quindi, la situazione ottimale per sgominare la noia, la frustrazione e i vari disagi da studio estivo è circa questa: un bicchiere d’acqua bella fredda sulla scrivania, cui attingere per abbassare la temperatura corporea, sgonfiare le mani e ridurre al minimo l’ascella pezzata, arricchito con citrosodina blandamente eccitante e liberatoria; urge poi l’applicazione di un cartello esplicito sulla porta della stanza (leggi: “Non entrate.Vietato rompermi le palle fino al tot di luglio. Mamma, soprattutto tu: NON APRIRE QUESTA PORTA!”). Terzo e ultimo consiglio: tappatevi col materiale che più preferite ogni orifizio che abbiate in faccia, ai lati della faccia e nel resto del corpo. Dovete lasciar fuori i rumori felici di bambini e animaletti.La concentrazione è l’unica cosa che deve essere dentro di voi,in quei temibili tre mesi. Ci sarà tempo dopo, per farvi “stappare”. Nel favoloso mese di Agosto. Avete mai notato che Agosto inizia per A proprio come Amore?! Tenero…

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FRANCESCO GRECO francescogreco22@yahoo.it

Cronache dello Spritz ~Homo Eroticus~

L'ultima volta che ho incontrato M., il mio informatore, m'ha raccontato una storia alquanto curiosa. C'eravamo visti per andare insieme al cinema. Dovete sapere che M., tra le altre cose, è un fanatico della pellicola; conosce ogni film che abbia messo “piede” in sala e se potesse sarebbe anche così feticista da chiedere al tecnico di fargli annusare la pellicola... Insomma, eravamo andati al Rivoli, la multisala che si trova nell'omonima galleria. Non ricordo nemmeno quale fosse il film, tanto era noioso. All'uscita difatti ero piuttosto deluso e M. me lo lesse in faccia. “Dai facciamoci una andare a casa” mi fece. Ci avviammo per piazza Bra. Era una serata di inizio aprile. blu terso e mentre camminavamo incrociavamo ogni tanto qualche turista, altre vold'innamorati, altre ancora degli uomini solitari; il popolo della notte sciamava fuori dai col drink in mano. Io e M. invece parlammo del più e del meno, di esami, di ragazquando lui dirottò il discorso sulla sua passione per il cinema. Un pretesto in realun piatto d'argento la storia di succulento gossip universitario che l'ultima volta di raccontare. “C'è un film” mi disse “del 1971. S'intitola Homo Eroticus; che il protagonista debba essere Lando Buzzanca... il famoso attore sicicomunque non importa, il punto è che c'è un professore all'uni che mi ricorda questo Homo Eroticus!” “No, e chi è?” “Te lo direi in quest'istante, ma ho una tal sete che mi berrei l'intero Adige! Perché non ci sediamo da qualche parte?”

camminata, prima di Il cielo era d'un te una coppietta soliti bar, sempre ze e di letteratura, tà per servirmi su aveva promesso mi sembra liano...

Camminammo ancora una decina di minuti prima di trovare il posto adatto. Attraversammo il ponte Nuovo e giungemmo in un locale ammobiliato tra il classico e il moderno. Non era il solito pub dal bancone in legno con gli sgabelli intorno; aveva al contrario dei deliziosi divanetti bianchi e neri, con di fronte un tavolino in vimini. Alle pareti erano appesi dei quadri dalle figure stilizzate come quelle che disegnano i bambini. Penso che il locale si chiami Riva Mancina. Quando arrivarono i nostri due spritz, M. cominciò a raccontare... “Vedi, non dico che ci sia una somiglianza tra l'Homo Eroticus del film e il nostro Homo Eroticus. Il primo è un sicilianotto abbastanza superdotato... insomma, se avessi visto il film capiresti... il secondo, be' non è più simile a un nerd. Il nostro porta gli occhiali ed è allampanato e magro quasi quanto Fassino e quando cammina poi sembra stia facendo sci di fondo. Dinoccolato al massimo! Per altro è un linguista. No, non è questo che me lo fa soprannominare Homo Eroticus, bensì il fatto che io sia una capitato per sbaglio sul suo myspace che sembra più quello d'un erotomane che d'un prof... per esempio elenca tra i suoi interessi al primo posto il sesso e nella lista dei suoi film preferiti cita solo film porno!” Due giorni dopo, camminando per i corridoi dell'università, incrociai il Nostro. Quando lo vidi arrivare mormorai a denti stretti: “Ecce Homo Eroticus!”

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indiematik CLARA RAMAZZOTTI

un modo per non lasciare la tua tesi sopra uno scaffale

Di fronte ad un caffè macchiato e un succo alla pera galantemente offerto, ho parlato con Alas Iou, laureato in Lingue a Verona, che –assieme all’amico Nicolò Gallio– ha dato vita al progetto Indiematik. Quest’ultimo può vantare l’interesse e la partnership di Schermi D’Amore (e della rassegna del cinema cileno che si è tenuto a Milano dal 12 al 14 maggio) e la benedizione, confessa sorridendo, di Coelho, che già da qualche tempo pubblica online i suoi libri gratuitamente continuando a vendere milioni di copie l’anno. Da dove nasce Indiematik? Ho lavorato per un anno alla mia tesi basata sulla regista Coixet, invitata appunto a Schermi. Trovavo serie difficoltà a reperire del materiale su di lei essendoci molto poco in Italia. Così ho pensato che fosse interessante conoscere testi di cinema scritti da autori poco noti (e su registi non facili da rintracciare) ovvero, fondamentalmente, studenti con i loro elaborati finali. Con Indiematik hanno la possibilità di caricare su www.indiematik.com le loro tesi che, altrimenti, resterebbero in un angolo a prendere polvere. L’obiettivo è farsi conoscere utilizzando le licenze Creative Commons che danno, in sostanza, la possibilità di diffondere la propria opera mantenendo il diritto d’autore e obbligando chiunque ne faccia uso a citarne le fonti. Indiematik può essere quindi un modello, un esempio da seguire? Credo di sì. La risposta da parte di giornalisti, professori e registi alle prime armi è stata entusiasta.Vogliamo rivolgerci, con questo lavoro, agli studenti. Siamo delusi da un sistema antico, dove il mondo si muove verso il web e le Creative Commons mentre le istituzioni, invece, rallentano. Vogliamo qualcosa di più. Indiematik infatti punta non solo ai

libri ma, in futuro, chissà, anche ai film di autori “in erba”.

Non c’è già YouTube per quello? C’è, è vero, ma una selezione di opere protette da C.C. è probabilmente migliore di un video tra milioni di pagine che stanziano su internet. Ma perchè una tesi sulla Coixet (regista di “Lezioni d’amore” e “Le cose che non ti ho mai detto”)? Non è certo una scelta comune. No, affatto. Ero in Erasmus a Barcellona, sono sempre stato molto legato alla Spagna e, una volta, al cinema, davano “Mi vida sin mi”. Non è sempre facile vedere donne regista e Isabel Coixet, in più, è interessante, originale, ha un talento riconosciuto anche da diversi Festival, ultimo fra tutti quello di Cannes. Ho voluto approfondire meglio il suo lavoro. Insomma, se l’è proprio andata a cercare, con fatica e facendosi spedire articoli, informazioni, notizie direttamente dalla Spagna. Un lavoro un po’ suicida che gli ha permesso, però, di avere quest’idea. Un mezzo per non sprecare le proprie tesi di laurea ma per farle leggere e un giorno, se la fortuna vuole, portarle nelle mani di un editore. Se dunque avete scritto di cinema nel vostro elaborato finale... non fatevi ricoprire la testa d’alloro dottoredottore e morta lì. Potreste diventare voi gli autori sui quali studiare.

Info @ : indiematik@gmail.com

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FABIO E SIMONE

ELENA

MARTA POLI E CAROLINA PERNIGO

INCONTRO TRA MENTI ABILI E DIVERSE Se dovessimo chiedere quanti di noi conoscono il Centro Disabili d'Ateneo, in molti probabilmente non saprebbero rispondere. Eppure il Centro c'è e dal 2000, in base alla L 104/92 “Legge quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”, funziona anche piuttosto bene, grazie agli operatori tecnico-amministrativi Davide Salvi ed Elisabetta Albrigi, al professor Franco Larocca, delegato del rettore per le problematiche connesse all’handicap, a circa 15 volontari, ad alcuni tirocinanti e a studenti universitari, provenienti soprattutto dagli indirizzi di Scienze dell' Educazione e della Formazione, che svolgono qui l'attività delle 150 ore. Il centro, la cui sede si trova nell' atrio del palazzo di Lettere e Filosofia, conta 180 studenti registrati a livello di Ateneo, di cui una ventina circa usufruiscono regolarmente dei servizi offerti. Tra i principali vi sono orientamento in entrata e in uscita, accompagnamento a lezione e a mensa, supporto nello studio, durante gli esami e nel rapporto con i professori, possibilità di concordare prove d'esame equipollenti. Infatti con il Decreto Ministeriale 17/99, integrativo alla Legge quadro del '92, è

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stato regolato anche l'aspetto inerente al diritto allo studio universitario degli studenti disabili, con particolare attenzione rivolta ai finanziamenti ministeriali per i servizi ad essi rivolti, attraverso un fondo annuale ripartito tra gli Atenei. Il nostro centro, nonostante non abbia autonomia di spesa, sopravvive grazie a questi finanziamenti ed alla copertura annua che l'Ateneo di Verona assicura. Ma se vogliamo parlare di questa realtà i numeri non bastano: ci sono le persone, i ragazzi del Centro, con tutte le loro storie e punti di vista. Abbiamo conosciuto alcuni di loro e da questo incontro è derivato un confronto molto interessante. C'è Fabio, non vedente, che frequenta il terzo anno di Economia. “Sarebbe una buona cosa” ci dice subito “se gli universitari sapessero che esiste un Centro Servizi per studenti disabili. Io ho amici in varie facoltà e molti cadono dalle nuvole quando lo scoprono. Ma soprattutto è importante la coscienza che esistono studenti disabili”. Simone, alle sue spalle, concorda: “Sono in pochi che lo sanno”. Eppure, continua Fabio, “il centro disabili potrebbe davvero fare molto per favo-

rire l’integrazione: per molti ragazzi c’è soltanto una ‘finta integrazione’. Alcuni vedono il Centro come un ghetto all’interno dell’Università e, d’altra parte, questo può anche far comodo. Molti ragazzi diversamente abili sono stati abituati dalle famiglie a vivere in una campana di vetro e trovano più rassicurante e semplice stare qui dentro, ma secondo me questo non è vivere la vita reale. Se i ragazzi, tutti i ragazzi, non vengono sottoposti a qualche fatica della vita reale, non possono goderne anche gli aspetti positivi!”. Scopriamo poi che Fabio si è candidato per uno dei due posti di rappresentante degli studenti diversamente abili nel Consiglio Studentesco. Con tono battagliero, ci espone uno dei punti del suo programma: “Per gli studenti non vedenti del primo anno è quasi impossibile orientarsi da soli. Perciò all’inizio hanno bisogno di qualcuno che li accompagni a lezione e che, eventualmente, prenda appunti per loro, soprattutto se il professore scrive alla lavagna o proietta dei lucidi. In molti casi gli accompagnatori prendono appunti anche per studenti che sarebbero perfettamente in grado di farlo da soli. È fondamentale invece che gli studenti disabili vengano EDUCATI


LUCA

FABIO, MARCO E DAVIDE

all’AUTONOMIA. Io vengo da Vicenza. Ho frequentato un corso di bastone e ora scendo dal treno, prendo l’autobus e arrivo all’Esu da solo”. Davide, che è entrato nel frattempo, spinge la sua carrozzina vicino a noi e integra il discorso del compagno: “Devono essere forniti SERVIZI DI SUPPORTO, NON DI SOSTITUZIONE: il Centro deve essere un punto di partenza, non uno d'arrivo”. Anche Elena, studentessa di Lingue, è sulla sedia a rotelle ed anche lei,come Fabio, è pendolare. Da poco rientrata da un Erasmus in Scozia, è già pronta per l'Arizona. “Volevo andare in Australia, ma non avevo calcolato che è troppo su e giù”. Elena non potrà spostarsi sulle sue gambe, ma va molto più lontano nella mente e nello spazio di tante altre persone che le gambe le danno per scontate: “Bisogna essere aperti mentalmente e avere pazienza”, ci dice. E poi c'è Valentina, accompagnata dalla sua fedele compagna a quattro zampe Ida; Valentina frequenta Scienze della Comunicazione. Ci dice che le difficoltà che ha incontrato qui sono le stesse di tutti gli studenti e che, anzi, anche i più temuti professori si sono mostrati sempre estremamente disponibili. Tra una chiacchiera

e l'altra, non poteva mancare il momento gossip: Valentina, ridendo, ci rivela che il primo anno si divertiva a classificare le voci dei docenti, quelle buffe, quelle simpatiche e, inevitabilmente, quelle sexy. Superata la timidezza, ecco che spuntano i nomi: l'immancabile prof. Scandola, seguito a ruota dal prof. Delfitto. E brava Valentina! Ecco poi Luca, al quale manca poco per la laurea specialistica in Giornalismo. Anche per Luca il Centro non deve diventare una seconda casa, ma un luogo d'aggregazione come gli altri, un trampolino di lancio per il resto della vita universitaria. Luca detesta le ipocrisie, detesta i falsi buonismi: “Bisogna confinare l'handicap a quello che è: un impedimento fisico, solo in questo senso dobbiamo essere supportati. Vorrei che le persone si comportassero normalmente, parlassero in modo naturale, spontaneo”. Luca sfrutta il suo residuo visivo di colori e luce per aiutarsi nell'orientamento, insieme all'udito, ai piedi e al senso cinestetico (ovvero riconoscere camminando il supporto calpestato), alle mani e al bastone. Ci ha proposto divertito di creare un nuovo gruppo su Facebook: “Quelli che pensano che i ciechi contino i passi per spostarsi”. “Nulla di più irreale” dice.

MARTA, VALENTINA E IDA

Ultime sul Centro? Tanto per iniziare l'attivazione di un Bancomat parlante fuori dal Chiostro. Basterebbe riqualificare quello esistente. Sono già stati avanzati vari solleciti, ma dalla Banca tutto tace. Inoltre a breve si provvederà a rilevare in tutto l'Ateneo l'eventuale presenza di barriere architettoniche. E a noi studenti cosa rimane da fare? Il semplice fatto di saper dell'esistenza del Centro e delle varie possibilità che gli gravitano intorno è già qualcosa. Un grande traguardo sarebbe quello di riuscire a organizzare una rete di aiuto e supporto da parte degli studenti delle varie sedi per poter coprire il servizio di accompagnamento a lezione, il più richiesto, del resto. In parole semplici: “Seguiamo lo stesso corso? Bene, oggi ho tempo per accompagnarti io e aiutarti con gli appunti”. Un piccolo sforzo da parte di studenti volontari che consentirebbe di liberare la risorsa delle 150 ore, affinché sia impiegata in altre attività legate al centro. Intanto, in attesa di nuovi ragguagli, grazie a tutti i ragazzi e ragazze che abbiamo conosciuto per scrivere di loro. E a noi e ai lettori di PASS rinnoviamo le parole di Elena: “Apriamo la mente”.

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MARTA POLI

LA ROCAMBOLESCA VITA DI Piero Carciofo si sveglia con poche idee e già in preda al tedio grigio e spesso della sua mediocre esistenza. L'unica cosa che ancora gli dà un po' di soddisfazione è lavarsi con cura i denti: spazzolino, filo interdentale, ancora spazzolino ed infine si smeriglia la gargarozza con il colluttorio. Per lui l'igiene orale è tutto. Piero Carciofo oggi non ha assolutamente voglia di andare al lavoro. Fa l'impiegato in una ditta di Import Export, per la precisione è addetto alle vendite (questo lo si sente dire molte volte, è una formula essenziale e mistica allo stesso tempo e pare eserciti un certo effetto sull'ascoltatore). Piero Carciofo è un povero cristo nemmeno tanto bamboccione, vive da solo in un monolocale, sua madre gli lava i panni e gli porta qualche teglia di lasagne il lunedì. La sua vita è piuttosto monotona. A volte gli capita di svegliarsi di notte, allora accende la tv per svagarsi, ma gli monta l'ansia ed è costretto ad assumere quantità industriali di melatonina; quando può preferisce evitare sonniferi o tranquillanti. Piero Carciofo se ne sta atarassico alla sua scrivania. Vegeta. È un soggetto assolutamente improduttivo, poco propositivo e molto pigro. Il suo capo area se ne è reso conto e sta aspettando il momento giusto per farlo fuori (ovviamente il contratto di Piero Carciofo è a tempo determinato; nel suo caso decisamente meglio che sia così). Piero sa di non essere interessante, affascinante o simpatico. È assolutamente anonimo. Ininfluente. Sa anche di contribuire assai poco all'incremento del PIL. Ma c'è una cosa che nonostante tutto riesce a tenerlo occupato, riesce addirittura a creargli l'illusione che il tempo passi con un senso o che, semplicemente, passi. La vita di Piero Carciofo in realtà corre a ritmi cosmici. Piero Carciofo non se ne rende conto, ma ha un miliardo di cose da fare durante il giorno, seduto alla sua scrivania color kaki. Scusate, vi sembra poco tenere aggiornate tonnellate di profili nello sterminato etere telematico?! Piero Carciofo nonostante la sua vacuità, ha tre blog e checché se ne dica tre blog sono un bel da farsi, anche per chi non ha assolutamente niente da scrivere; partecipa a quintali di aree di discussione e forum; e poi Facebook, il vecchio Badoo, Skype e Messenger sempre in linea come se fossero appendici dei suoi tristi neuroni rinsecchiti; Netlog, Meetic (ma tanto non cucca); MySpace (un po' più alternativo) ed ora è felicissimo perché ha scoperto pure Twitter! Lo usano anche le [star] Twitter! In questo modo Asdrubale può saper che Liutprando oggi è ostinatamente stitico e che Bartola ha l'unghia dell'alluce incarnita. Tutti aggiornano tutti. E Piero Carciofo aggiorna e posta e linka e tagga e modifica e carica e fa tutto ciò continuamente. Sempre, costantemente la sua schermata è un mosaico urlante, folle e delirante di icone e finestrelle

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Piero Carciofo e trilli e vattelapesca. Persone e “amici” che non conosce fingono di considerarlo. E anche lui finge, simula e dissimula, si trasforma, si digievolve e non ci crederete, ma alle volte gli capita di sentirsi parte di qualcosa. Qualcuno ha l'ardore di sostenere che una giornata del genere non sia faticosa?! Non sia stressante?! Qualcuno si sta ancora chiedendo cosa faccia Piero Carciofo nella sua vita?! Ve l'ho appena detto. Piero Carciofo se ne torna a casa con la sua quattro zampe depersonalizzata. Si scalda la cena nel microonde, poi doccia, la barba no (se la farà domattina), poi spazzolino, filo, ancora spazzolino e colluttorio. Poi attacca il portatile e pensa che sia arrivato il momento di comprarsi l'iPhone. Ed ecco i suoi occhi accendersi di gioia perversa e gelida nel contemplare la sua non vita scomposta come in un prisma deformante e bugiardo. Piero Carciofo in realtà non ha nulla da dire o da comunicare, perché Piero Carciofo non vive. Piero Carciofo non è per nessuno. Nemmeno per se stesso.


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Oh! Le spie non servono ai giorni nostri. La loro professione è esaurita. I giornali fanno il loro lavoro. (Oscar Wilde) Sono tempi di caste e di castigatori anche nel Regno Unito. Il gotha del Tory Party ha subito un colpo basso quando Damian McBride, l'oramai ex-portavoce del Primo Ministro Gordon Brown, è stato scoperto a vendere a un blogger-parlamentare laburista, Derek Draper, i particolari della vita scabrosa dei tories. Peccato che l'e-mail sia stata intercettata dal blogger più famoso dopo la Regina: Guido Fawkes, al secolo Paul Steines. Guido Fawkes è l'equivalente dei nostri Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, ma all'ennesima potenza. Sul suo sito (www.order-order. com), che Steines fondò nel 2004, si possono trovare storie succulente sui parlamentari inglesi, i quali appaiono corrotti, sessuomani, presi dalle manie più disparate e dediti ad attività al limite della legalità. Come Tom Watson, ministro del governo, il quale ama letture un po' “estreme”, del tipo di Mudslinger: The Twentyfive Dirtiest Political Campaigns of All Time (un manuale del politico truffatore); oppure un video di Gordon Brown (che Guido Fawkes ha soprannominato Prime Mentalist) che è ripetutamente scorbutico, fino alla maleducazione, con il poliziotto che ogni giorno sorveglia la sua dimora al 10 di Downing Street; o il caso dei giovani porta-borse che venivano pagati dal parlamentare liberale Mark Oaten (sposato con tre figli) per avere rapporti sessuali. L'ultima chicca è proprio lo scandalo menzionato poco sopra, che ha portato i maggiori quotidiani inglesi a pubblicare le sconcezze, le imprudenti macchinazioni e le pericolose relazioni, legali o illegali che siano, di una classe politica alla deriva.

A sua volta, Steines ha avuto una vita avventurosa: ex-galeotto, campione nazionale di videogiochi, organizzatore di acid-parties, hedgemanager votato al fallimento e adesso “spia nella stanza dei bottoni”. Perché lo faccia se lo sono chiesti in molti. La sua risposta è stata che la sua è la battaglia di un anarchico-libertario, concetto per altro ribadito dalla frase che ha reso famoso il suo sito: “Scritto dall'unico uomo che entrò in parlamento con la più onesta delle intenzioni, vale a dire per farlo saltare in aria…”.

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LA NOSTRA AVVENTURA DIPLOMATICA ALL’ONU “A distanza di 5 mesi ci ritroviamo con uno studente membro della Delegazione Diplomatica dell’Università di Verona. Ecco a voi la sua invidiabile esperienza di Ambasciatore per una settimana!” Sin dall’uscita del bando “STUDENTI AMBASCIATORI ALLE NAZIONI UNITE” l’entusiasmo è alto: New York, delegati all’ONU, non importa se soltanto per pochi giorni. Il corso, tenuto da diverse personalità ed istituzioni internazionali presenti in Italia, è stato coronato da una cerimonia ufficiale in Comune, con la presenza delle autorità universitarie e dei giornalisti delle principali tv e testate, e noi eravamo i protagonisti! Ormai è già aprile e tutto è pronto per la partenza: VeneziaNYC, 11 lunghe ore di volo, ma finalmente siamo arrivati. Sfrecciando fra i grattacieli, con un corteo di cinque Limousines, quasi a voler rendere omaggio alla Big Apple con un ingresso da VIP, i ns. delegati si ritrovano nella sala dell’Assemblea Generale, GA, del Palazzo di Vetro, per prender parte alla cerimonia di apertura dei lavori. Purtroppo a tenere il discorso non c’è Ban Ki-Moon, in missione, bensì l’undersecretary all’informazione. Ma a noi non interessa, l’importante è essere lì, dove i veri diplomatici si siedono ogni giorno per discutere e deliberare le decisioni che cambiano il mondo. Ciò che più colpisce è l’imponente partecipazione giovanile: circa 4000 studenti, un po’ da tutti gli angoli della Terra. Questa è l’occasione per dichiarare solennemente aperta la sessione NMUN 2009. Al termine della cerimonia, ci si incammina verso il Marriott Hotel, sede della delegazione: si tratta di un immenso grattacielo che si affaccia direttamente su Times Square. Qui si dà immediatamente inizio ai lavori in commissione. Con i nostri impeccabili abiti scuri e il cartellino di riconoscimento sul

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petto, ci separiamo per raggiungere ognuno la propria postazione: si scambiano le prime idee sugli argomenti in agenda e sull’ordine di relativa trattazione, circolano i primi biglietti da visita, si prende posto. Il chair apre la seduta con l’indicazione delle regole essenziali da osservare, quindi procede all’appello dei presenti chiamati con il nome del paese rappresentato. Ed è subito tutto

un susseguirsi di interventi e mozioni, cui seguono puntuali le votazioni per verificare se la maggioranza sia favorevole o contraria a ciascuna proposta. Inizialmente districarsi fra le varie procedure, badando a non infrangere le relative regole, non è semplice. Così non mancano di levarsi anche grida da parte di chi vuol raggruppare attorno a sé una cerchia di delegati, tentando di affermare la propria leadership. Durante i caucus si stringono alleanze, si raggiungono accordi e compromessi su svariati aspetti della questione. Tutto il lavoro è rivolto alla stesura delle resolutions sull’argomento; è una lunga attività di redazione di bozze, di cancellature ed aggiunte dettate dalla necessità di mantenere o creare nuove alleanze, di confronti di idee e studio dei documenti. Il grado di immedesimazione nelle vesti di ambasciatore è alto: davvero si ha l’impressione di dover curare gli interessi del paese rappresentato e

contemporaneamente i bisogni dell’intero pianeta. I lavori si concludono con l’adozione di alcune delle risoluzioni promosse da gruppi di paesi, con la partecipazione attiva delle ONG.Anche noi, Marocco e Sao Tomè, abbiamo contribuito in veste di sponsor, affermando la ns. leadership e facendo votare le ns. idee. La procedura finale di votazione delle risoluzioni è altamente formale: avviene in GA, in maniera quasi solenne, rotta al termine da un lungo applauso e da evidenti manifestazioni di soddisfazione per il lavoro svolto. Tanto basta a ricompensare l’impegno e la stanchezza per le tante ore trascorse in commissione. In premio, ci riceve lo Staff diplomatico italiano, dove ci dà il benvenuto il prof. Giuseppe Nesi, Legal Adviser. Molti i consigli sulle strade da intraprendere per diventare un giorno anche noi diplomatici veri, cose che sicuramente non si trovano sulle guide all’orientamento. Sarebbe certamente riduttivo parlare della simulazione NMUN semplicemente come di una “bella esperienza”. NMUN è stato un vero momento di crescita, non solo culturale ma anche umana; è stato un confronto con altri ma soprattutto con se stessi; l’acquisizione della consapevolezza delle proprie capacità, delle proprie doti ed inclinazioni, a volte anche dei propri limiti. Un’esperienza che ciascun membro della “squadra diplomatica” ha contribuito a rendere indimenticabile. Grazie a tutti voi, Delegati dell’Italian Diplomatic Academy, per la bellissima esperienza che ci avete regalato con il vostro costante impegno, serietà e la vostra simpatia. LA SESSIONE E’ CONCLUSA!


Edgar Allan Poe Marzo 1849. A Baltimora una prostituta trova un uomo accasciato tra i barili del porto. In preda al delirium tremens, l'uomo schiuma dalla bocca e s'agita in un attacco di convulsioni. La giovane etera difficilmente avrebbe potuto immaginare che quell'individuo intriso del fango del porto, schiantato su un marciapiede qualunque, ridotto dalla sua vita “maledetta” a una larva umana, fosse Edgar Allan Poe. Così moriva il più discusso e celebrato letterato americano, autore di opere i quali The Raven, The Fall of the House of Usher, The Murders of Rue Morgue e The Narrative of Gordon Pym. Quest'anno l'America e il mondo ne “festeggeranno” il bicentenario della nascita. Difatti Edgar Allan Poe nacque il 19 gennaio 1809 a Boston nel Massachusetts, figlio dell'attrice di origine inglese Elizabeth Arnold e dell'attore David Poe. Poco tempo dopo la sua nascita il padre lascerà la famiglia e la madre morirà nel 1811, quando Poe ha solo due anni. La vita del futuro scrittore è quindi segnata sin dall'inizio dalla tragedia, dal dolore insanabile di sentirsi soli al mondo. Forse per questo Poe si troverà a vagheggiare nelle sue opere una bellezza talvolta grottesca, ma salvifica e pacificatrice. Dopo la morte della madre il futuro scrittore viene affidato alle cure di un mercante di tabacco, tale John Allan di Richmond, cittadina del “profondo” Sud, nonché futura roccaforte della Virginia sudista. Degli Allan, Frances è la sua preferita. La donna infatti si troverà spesso a fare da paciere nei litigi tra il figlio ribelle e il marito arcigno e severo, tanto che verrà ricordata da Poe con nostalgia. L'atmosfera a Richmond è così irrespirabile che tra il 1815 e il 1820 Poe vive tra l'Inghilterra e la Scozia. Tornato in patria, frequenta le scuole e incomincia a scrivere versi satirici. Sono gli anni dell'ossessivo ricordo della madre defunta, il cui fantasma gli farà pensare di essersi innamorato di Jane Stenard, donna

FRANCESCO GRECO francescogreco22@yahoo.it

NEL BICENTENARIO DELLA NASCITA

ormai matura e madre di un amico. A lei dedicherà la lirica To Helen. Nel 1826 s'iscrive all'Università della Virginia, dove studia greco, latino, francese, spagnolo e italiano e si appassiona tanto al gioco d'azzardo da sperperare una quantità tale di denaro che John Allan, piuttosto adirato, lo richiama a Richmond. Si trasferisce poi a Boston dove pubblica una serie di poesie Tamerlane and Other Poems con lo pseudonimo di Henri Le Rennet. L'insoddisfazione per l'insuccesso del volume e i rapporti sempre più tesi con il suo tutore, lo spingono ad arruolarsi nell'esercito. Gli anni successivi al 1829 sono segnati dai continui spostamenti- l'Accademia Militare di West-Point, Boston, New York, Baltimora e poi di nuovo Richmond-, la perdita della madre adottiva, l'interruzione di ogni rapporto col John Allan e la sua morte nel '34. Inoltre l'autore è vessato da una carriera letteraria che stenta a decollare e che mai decollerà, visto che Poe morirà, come già detto, povero in canna. Nel 1835 lo scrittore torna a Richmond dove diviene redattore del “Southern Literary Messenger”, vero e proprio trampolino di lancio della Southern Literature. Dal “Messenger” verrà licenziato per “eccessiva dedizione all'alcool”. Dopodiché comincerà a emigrare da una redazione all'altra, fino a riscuotere grande successo grazie alla pubblicazione sull' “America Review” di The Raven, poema gotico e dalla grande potenza evocativa che è il canto di un amore struggente reso inappagabile dalla morte dell'amata Lenore. Tuttavia il componimento non regala a Poe la stabilità economica, anzi, l'artista sprofonda sempre più nel suo etilismo che comincia a diventare preoccupante.Tre anni passano senza che scriva granché, a parte il poema visionario Eureka!. Il 3 ottobre 1849 Poe ha un attacco di delirium tremens e di lì a quattro giorni morirà. A duecento anni dalla sua nascita è a dir poco ardimentoso solo chiedersi cosa rimanga di Poe. Si può azzardare che restino nella memoria collettiva due Poe: il Poe che venne paragonato a Baudelaire, l'autore dall'estrema immaginazione, decadente e visionario; e il Poe più pragmatico, tanto amato in America, che vive la sua vita tra una città e l'altra, uomo del Sud e scrittore di racconti per riviste. In realtà, negli Stati Uniti i festeggiamenti sono stati pochi e ufficiosi. Le società letterarie intitolate allo scrittore si sono mobilitate, ma con scarsi risultati. Colpisce, invece, l'iniziativa di alcuni fans a Baltimora, dove Poe è sepolto. Il 28 Marzo i festeggiamenti sono stati non-stop (dal mattino del 28 fino alle quattro del giorno seguente!), con eventi quali un suonatore di cornamusa, lo show di David Keltz che viene spacciato per “the most renowned impersonator of Edgar Allan Poe in America”, la degustazione dei vini preferiti dallo scrittore e The Raven's Beer, una birra creata apposta per l'occasione. Tra le pagine a lui dedicate dai giornali americani, spicca il New York Times che ha riportato una serie di notizie curiose legate a Poe. Come lo studio di uno psicologo americano che afferma che se ti piace leggere Poe, devi essere affetto da qualche ossessione patologica, oppure il misterioso personaggio che ad ogni anniversario della sua morte deposita sulla sua tomba due bottiglie di cognac!

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Memorie di un libro

Libera campagna pro-carta stampata

LA RIVOLUZIONE ROSA (E NON SOLO) NEL PAESE DELL’ORO NERO

CLARA RAMAZZOTTI

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u cosa studieremo tra trent’anni? Il Corriere della Sera esisterà ancora? E i libri, quelle pagine ruvide che molti di noi amano sfogliare, che saranno? Come ogni cosa ultimamente, anche l’editoria presenta una vistosissima macchia nel suo beneamato curriculum vitae: il calo di vendite, il disinteresse generalizzato verso opere di saggistica e narrativa, l’avvampare del tecnologico in sostituzione del cartaceo hanno dato da pensare. Non è che non si legga più, ma giornali e libri sanno di vecchio. E Giovanni De Mauro, direttore de L’Internazionale, concretizza la questione. “I giornalisti non hanno mai avuto tanti lettori come oggi. Grazie a internet i loro articoli raggiungono un numero enorme di persone. Il New York Times vende meno di un milione di copie, ma on-line ha più di 20 milioni di visitatori”. Il giro del mondo in ottanta secondi è dunque possibile e un povero mogio tristo quotidiano deve faticare parecchio per stare al passo con il più banale dei blog che, quasi sempre, crea un passaparola (dis)informativo troppo potente da cancellare con qualche editoriale. Tutto ciò vuol dire, in sostanza, che, fatti un po’ di calcoli, tempo venti-trent’anni e la carta non sarà più il supporto prediletto. Qualche vantaggio c’è, dopotutto: più alberi in Amazzonia, niente più pagine da 25x30 m, che per leggere il Corriere serve una laurea, fine delle biblioteche piene di personaggi in

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il calo delle vendite di libri nel primo trimestre 2009 in Italia

1 milione circa, le copie vendute del New York Times

cerca di volumi mai sentiti prima. Eppure come si può leggere La Divina Commedia su Wikipedia o fare copiaincolla di una poesia di Shakespeare? Leggere è un atto fisico. Bisogna toccare, assaporare, annusare persino, ciò che abbiamo tra le mani. Vedere che il foglio ti si macchia d’inchiostro e non c’è il pulsante CANC. Uno schermo a cristalli liquidi non ha quel fascino birichino di una copertina colorata, con le scritte in rilievo, con il suo languido sommario ammiccante. Ogni cosa col progresso, come è giusto, ha visto cambiare il suo punto di riferimento: la pellicola diventata un dvd (ahimè, non ha vita poi così longeva neanche lui, un graffio e via!), il disco, con quel suo gratgrat di fondo, una sequenza di mp3 scaricabili, il mio stesso articolo su una chiavetta usb. D’altro canto mi porta a riflettere anche l’editorialista del già citato Corriere, Sartori, quando, ospite di Fazio, balbetta “ora c’è quella nuova invenzione. La...la...quella macchinetta infernale...” riferendosi ad un portatile con il web a portata di mano. La media dei lettori su carta, quindi, ha circa ottant’an-

20 milioni i visitatori on-line del New York Times

ni? Compra in edicola le notizie perché trema al sentire le parole floppy/ hardware/Photoshop? Mi sembra una considerazione fin troppo semplicistica. Semmai la verità è un’altra, anzi, ben tre: internet è velocità, un click e non servono ore a caccia di opere tra scaffali semi-abbandonati. È libertà, in una forma pura e ingannatoria insieme, poiché puoi sapere tutto e niente allo stesso tempo ed, infine, è spazio. Nessun limite, neppure un numero di battute da cui dipendere, scrivere dove come quando vuoi. Ed essere letto e commentato in tempo reale, of course. Concludo citando nuovamente De Mauro quando afferma che “c’era un tempo in cui per comunicare con gli altri facevamo disegni nelle grotte. Qualcuno ne sente la mancanza?”. Francamente no. Ma sarò una passatista, una nostalgica anche, una vecchia-dentro, ma ho imparato a leggere su un libro, e non mi va tanto di tradirlo.

CHIARA MATTEAZZI

Si respira aria di cambiamento a Kuwait City. O quanto meno, questo è quello che emerge dall’esito delle elezioni dello scorso 17 maggio. Elezioni che hanno visto, per la prima volta nella storia di questo ricco Paese, entrare in Parlamento quattro donne. Quattro donne, forse non una grande cifra, ma di certo una grande speranza. Perché per un Paese in cui il suffragio universale è stato istituito solamente quattro anni fa, un risultato simile può a buon merito essere definito storico. Paese musulmano dove la politica è considerata un’attività prettamente maschile, il Kuwait non aveva mai visto prima alcuna presenza femminile in Parlamento, nonostante i tentativi delle precedenti consultazioni del 2006 e 2008. « È un grande passo in avanti e si è creato un precedente nella storia dei Parlamenti del Golfo», è il commento di Mohammed Al Felli, professore di diritto costituzionale all’Università del Kuwait. Le quattro nuove deputate sono Ma’souma Al-Mubarak, già ministro della Sanità in uno dei governi formati dallo sceicco Sabah al-Ahmad al-Sabah, Assel Al-Awadhi, docente di Scienze Politiche, la pedagoga Salwa Al-Jassare e l’economista Rola Dashti, vicina alle tendenze liberali e storica attivista dei diritti femminili. Molti giornali sottolineano che la rappresentanza femminile nella nuova assemblea composta da 50 deputati, con il suo 9%, è pari, se non superiore, a quella presente in molti Parlamenti occidentali. Ma queste elezioni hanno riservato anche un’altra sorpresa, non meno significativa: per la prima volta dopo diversi anni i gruppi più radicali, ossia i salafiti e la fratellanza islamica, hanno perso consensi e seggi, a vantaggio dei rappresentanti della minoranza scita e della componente liberale. Al risultato hanno contribuito, ancora

una volta, le donne. Sarebbe ipocrita, e forse un po’ troppo ottimistico, considerare questo episodio come una totale vittoria nel complesso panorama islamico, ma di certo esso rappresenta un primo passo verso un importante traguardo. Un traguardo che ha dimostrato di voler essere raggiunto dall’interno. La società islamica, o quanto meno una sua parte, ha dato prova del suo desiderio di democrazia e di uguaglianza. Il mondo arabo sembra più che mai trovarsi ad un bivio: da un lato il cambiamento, dall’altro l’incapacità di spezzare un legame a volte troppo stretto con il passato e la tradizione. E mentre il momento di imboccare una via definitiva sembra farsi sempre più prossimo, aumentano le testimonianze, le manifestazioni, le proteste; aumentano, anche di intensità, le voci di chi auspica una riforma, un rinnovamento, che non vogliono certo cancellare o negare una cultura, ma piuttosto modificarla, e in tal mondo migliorarla. A parlare è il mondo arabo stesso. A parlare sono le recenti proteste in Libano contro la legge secondo cui è libanese ogni persona nata da un padre libanese e che, in altre parole, impedisce alle donne libanesi che sposano uno straniero di trasmettere la loro nazionalità ai propri figli, obbligando quelli che a tutti gli effetti sono dei cittadini a rinnovare anno dopo anno il permesso di soggiorno. A parlare sono poi, e non solo metaforicamente, le reazioni al discorso di Ahmadinejad durante la recente Durban Conference tenutasi in Svizzera, coperto quasi totalmente dai fischi e le critiche. La complessa macchina dell’integralismo, ora minata anche al suo interno, ha, oggi come non mai, la reale possibilità di distruggersi una volta per tutte. O almeno, questo è l’augurio.

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Cultura atea e valori cristiani

illustrazione di Giovanni Panunzio

FABRIZIO CAPO

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Mi chiedo sempre più spesso se parlare di religioni o fare un articolo sulle religioni oggi abbia ancora un senso, in un mondo in cui alcune religioni si permettono ancora di decidere della vita e della morte degli individui, in una fase in cui lo scontro tra cristianesimo e islamismo sembra essere tornato a livelli medioevali, in un’epoca storica in cui lo scontro tra religioni sembra essere un preludio allo scontro di civiltà... Ma soprattutto mi chiedo cosa mi ha insegnato (semmai mi avesse insegnato qualcosa) il cristianesimo, se essere stato cristiano abbia avuto un senso e se ha un senso oggi non esserlo più. Il termine che ho deciso di adottare per descrivere quello che sono adesso (spiegherò perché) è “ateo-cristiano”, una definizione che ho “rubato” alla Fallaci ma a cui io do un senso diverso. La Fallaci è atea perché non crede nell’esistenza di nessun essere soprannaturale, ma si definisce cristiana perché è cresciuta in mezzo a suore e preti, perché da bambina andava al catechismo, perché è intrisa di cristianesimo, perché cristiana è insomma la sua cultura. Quindi ne fa un fatto ideologico, di bandiera, di scontro fra culture diverse, di resistenza alla sopraffazione della sua cultura nei confronti della cultura musulmana... Io sono un relativista culturale, per cui non esistono culture giuste o sbagliate, ma risposte diverse a problemi diversi o anche agli stessi problemi. A mio avvi-

so, infatti, qualsiasi interpretazione che non metta in gioco se stessa e gli strumenti che usa non può che essere, in definitiva, superata dalle stesse ragioni che non riconosce, nella misura in cui non le riconosce. Io sono ateo perché non credo nell’esistenza di nessun dio e di nessuna vita ultraterrena. Sono invece esattamente e specularmente opposto a un fedele: lui ha fede nell’esistenza di dio, per sue ragioni profonde, io ho fede nella sua inesistenza, per mie ragioni profonde. Pur essendo ateo, però, sono profondamente cristiano. Spiegherò perché non c’è contraddizione nell’essere ateo e cristiano allo stesso tempo. Sono cristiano nel senso che credo nell’insegnamento di Gesù Cristo, sono conscio della profondissima rivoluzione culturale di cui è stato artefice. Prima di lui infatti, nelle religioni pagane, ad esempio nell’orfismo o nel culto di Dioniso, la salvezza passava attraverso dei riti di iniziazione e di purificazione che solo gli iniziati conoscevano: chi praticava tali riti si salvava, mentre i non iniziati erano destinati alla punizione eterna. La salvezza, nella religione di Gesù, richiede invece una cosa fondamentale, totalmente assente nell’orfismo e nell’intera civiltà greca: l’amore incondizionato verso il prossimo, laddove incondizionato vuol dire pronto costantemente al perdono. La predicazione di Cristo mette al centro l’Uomo, il diverso da noi, dà valore alla vita umana, a tutte le vite umane.

La grandezza di Cristo però, a mio avviso, è stata ed è tutta umana. Questo risponderei a chi mi chiedesse se voglio dare un’educazione cristiana ai miei figli pur non essendo credente: sì, gliela voglio dare, perché voglio che di quella religione assorbano i valori, in un periodo in cui non capirebbero i discorsi. Secondo me infatti tra i valori umani e il credere in dio non c’è continuità, le due cose sono totalmente differenti. Una cosa è riconoscere la grandissima rivoluzione culturale effettuata da Gesù, riconoscergli il merito di avere dato l’esempio con una vita fondata sul Valore, un’altra cosa, che si pone su un

piano completamente diverso, è credere in una qualche forma di vita dopo la morte, che nasce dalla sete di sapere dell’uomo, che vuole a tutti costi conoscere il senso ultimo della vita, dando ordine, razionalità e certezza a una vita che sembrerebbe altrimenti assurda e vuota. I valori del cristianesimo sono a mio avviso valori totalmente umani, che si devono mettere in pratica perché si crede nell’Uomo, non perché si crede in un dio che potrebbe ricompensare o punire chi mette o non mette in pratica nella sua vita quei valori e quell’insegnamento.

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I Buoni . . . FEDERICO LONGONI federico.longoni@yahoo.it

L’opzione che più mi piace dell’ iPod è la modalità “brani casuali”. In treno, mentre scendo a Verona, uso sempre e solo quella, sfioro la ghiera fino ad arrivare a quelle due paroline magiche e via! Nel caso dell’album di cui voglio parlarvi questa volta, però, la modalità “brani casuali” non serve. Sì, perché il disco in questione è un concept album, e se non viene ascoltato in ordine dalla prima all’ultima traccia perde completamente di significato. Il termine “concept album” fa riferimento a tutti quei dischi che attraverso la musica e i testi narrano una vera e propria storia. É come se fosse un romanzo trasformato in musica, in cui a ogni singola canzone corrisponde un capitolo della narrazione, ognuno legato indissolubilmente al successivo. Tra i più noti concept album ci sono The Wall dei Pink Floyd, Tommy degli Who, e il più recente American Idiot dei Green Day. Lo scorso 24 marzo è uscito The Hazards Of Love, nuovo imponente concept album dei The Decemberists, band di Portland, in Oregon, che purtroppo qui in Italia non gode di molta fama, ma che a mio parere, invece, merita molta più visibilità. L’album racconta una fiaba impregnata di drammaticità e magia. Margaret, un’affascinante ragazza, conosce per caso William, un giovane uomo che vive nella foresta. Tra i due scoppia subito la passione. Margaret, pochi giorni dopo l’incontro, scopre di essere incinta di William e decide quindi di tornare nei boschi per vivere per sempre insieme a lui. Nel bel mezzo della notte però, Margaret viene rapita da un misterioso personaggio chiamato The Rake (il debosciato, ndr), che porta la ragazza sulla riva di un impetuoso fiume incantato. William, scoperto il rapimento di Margaret, si mette sulle sue tracce, cercandola in lungo e in largo, chiamando disperatamente il suo nome, senza però nessun risultato. Finalmente il giovane raggiunge il fiume, ma, rendendosi conto che l’attraversamento è impossibile perché verrebbe sicuramente travolto dalle potenti acque, chiede aiuto allo Spirito

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del Fiume, lo prega di calmare le acque per poter farlo attraversare in modo da liberare la sua amata. Lo Spirito accetta, ma a una condizione: al ritorno William dovrà farsi ingoiare dal fiume. Per amore, il ragazzo accetta questa tragica fine e raggiunge la riva opposta. Margaret nel frattempo viene liberata dai tre fantasmi dei figli di The Rake, uccisi dal padre in passato. I tre spiriti vogliono vendicarsi del padre omicida, e quindi aiutano la ragazza a scappare. I due innamorati, finalmente ricongiunti, si abbracciano per l’ultima volta, promettendosi a vicenda che si ameranno per sempre, anche dopo la morte. Lo Spirito del Fiume, come promesso, lancia un’enorme onda gelida che si schianta improvvisamente sui due corpi lasciandoli così morire abbracciati. Raccontata così, la storia può sembrare un po’ scontata. Ma ascoltarla trasformata in musica dai Decemberists fa tutto un altro effetto. Di base l’album è un’opera folk delicata, come si nota nel brano iniziale The Hazards Of Love Part 1, che introduce i protagonisti della storia e che si dipana in altre tre parti, rappresentanti i momenti topici della narrazione. The Hazards Of Love Part 4, ad esempio, è la struggente ballata finale, una delle perle di questo disco, in cui i Decemberists mostrano la loro straordinaria capacità compositiva. Non mancano però momenti più potenti, che richiamano fortemente l’hard rock degli anni settanta. Su tutte, la splendida Repaid, brano che narra lo scontro verbale tra William e l’arcigna madre, la Regina della Foresta; al culmine del brano subentrano pesanti chitarre elettriche alla Led Zeppelin. Altra traccia molto rock è The Crossing, momento della storia in cui Margaret viene rapita e portata sulla riva del fiume; qui gli echi dei Deep Purple sono forti, perfetti per creare il giusto pathos che crea la narrazione. In Annan Water, brano che arriva nel momento in cui William fa il patto di mor-

. . . E i Cattivi te con lo Spirito del Fiume, le citazioni dagli anni settanta proseguono, ma questa volta si passa al progressive dei Genesis. Si riconoscono sonorità in stile Jethro Tull, invece, nella tracc ia successiva, Margaret In Captivity. Ma non è finita qui. Arriva pure un assaggio di psichedelia nel brano che narra il momento in cui Margaret viene liberata dai tre fantasmi, The Hazards Of Love Part 3; il coretto dei bambini ricorda molto i Pink Floyd. Ma i Decemberists sono cinque ragazzi giovani, perciò non può di certo mancare qualche brano che strizza l’occhio all’indie-rock moderno. È il caso di The Rake’s Song, canzone quasi pop che starebbe bene anche in un disco di una qualsiasi delle innumerevoli band indipendenti sorte in questi ultimi anni. La voce del leader dei Decemberists, Colin Meloy, è immensa e si mescola in quest’album con alcuni ospiti esterni (anche loro poco conosciuti in Italia ma assolutamente meritevoli), che compaiono qua e là nel corso dei diciassette brani di cui è composto il disco. Ad esempio Shara Worden dei My Brightest Diamond, o Jim James dei My Morning Jacket: ospiti preziosi capaci di trasformarsi in veri attori, immedesimandosi in ogni sfaccettatura, ogni sentimento, ogni piccola sfumatura dei personaggi che interpretano, destreggiandosi tra pause e accelerazioni. Eccellente, infine, è l’uso di una miriade di strumenti che offrono alle mille sensazioni già presenti colori e timbri diversi, contribuendo alla grandezza dell’opera e rendendo speciale ogni atmosfera. Ed allora ecco gli immancabili archi, la slide guitar, stupendi ed evocativi clavicembali, un banjo, un mandolino e pure un flauto. Con questo The Hazards Of Love i Decemberists dimostrano al massimo il loro splendore. Sicuramente rimarrà tra le migliori uscite di questo 2009.

Ma adesso basta fiabe! É il momento della realtà nuda e cruda,, senza sentimentalismi e smanento di sparare a zero su tutto cerie, è il momento e tutti. Infatti, ecco che irrompono i cinque bbi i d’Oltremanica, d’Ol i i cinque i ventenni più arrabbiati giovani musicisti che con la loro crudezza sonora e senza peli sulla lingua hanno sconvolto il panorama musicale degli ultimi anni. Sto parlando dei Gallows (che significa “patibolo”, ndr), band punk formatasi nel 2005 in Hertfordshire, una piccola contea orientale dell’Inghilterra. Leader della band è Frank Carter, un giovane scapestrato con i capelli rossi, gli occhi azzurri e il corpo ricoperto di tatuaggi, che con le sue urla di rabbia e disprezzo ha segnato la rinascita del punk inglese. L’atteso secondo album dei Gallows, uscito all’inizio di maggio s’intitola Grey Britain, un disco destinato a diventare un classico della musica “pesante”, un disco potente e assordante che infiamma chiunque lo ascolti, che arriva dirompente come un pugno nello stomaco, che si imprime nel cervello come un proiettile ad alta velocità. Apre le danze il suono del Tamigi con delle voci e dei passi in lontananza, risultato di una registrazione notturna fatta dalla band stessa sulle rive del fiume londinese. E poi, all’improvviso, solo rumore: chitarre alla massima potenza, batterie pestate brutalmente e la voce roca di Frank. London Is The Reason ha un coro nel ritornello che si imprime nella mente senza più uscirne. La canzone parla dei bambini, della prossima generazione che riprenderà il potere. Quando uno Stato cade in rovina, come sta facendo la Gran Bretagna -dice Carter- , il potere passa alla generazione futura, ai bambini di oggi. Sfortunatamente, è ancora difficile insegnare ai bambini cos’è bene e cos’è male, visto che nemmeno gli adulti l’hanno ancora capito. Dopo Leeches, un brano dedicato alla finta vita casta e senza peccato degli uomini e delle don-

ne di chiesa, arriva Black Eyes che, senza mezzi termini, indica i politici come mentitori, che sporcano il Regno Unito di bugie e promesse mai mantenute. Scopo della canzone è quello f alzare l l testa a tuttii coloro l h come di far la che, i Gallows, vorrebbero rivoluzionare il sistema politico rendendo così il Paese un posto più sicuro. Sferzanti chitarre heavy metal fanno da sfondo alle parole tanto esplicite quanto giuste gridate a squarciagola da Carter, che è il vero mattatore del disco. L’ispirazione del suono dei Gallows arriva direttamente dalle due band più influenti del punk anni ottanta, i Black Flag e i Bad

Religion, ma spesso riconosce nelle canzoni qualche spruzzata di Metallica dei primi tempi e pure qualche sonorità vicina ai System Of A Down. Quello che accomuna maggiormente i Gallows alle band appena citate è il forte senso di smarrimento all’interno della società e una voglia di rivoluzionare e migliorare il mondo attraverso le parole schiette e le note devastanti. A metà album arriva la prima perla: The Vulture Acts I & II, una suite di sei minuti divisa nettamente in due parti, la prima (a sorpresa) acustica, fatta solo di chitarra e nella quale per la prima volta Frank sfoggia la sua dote canora (ed è anche bravo!); nella seconda parte invece tornano il punk puro e le grida rabbiose. Il brano tratta un argomento molto pesante: i bambini che perdono la vita prima dei loro genitori, ma che vanno subito nel dimenticatoio. Era da tempo che non sentivo un pezzo così

intenso, così drammatico, pieno di rabbia e di dolore. Un capolavoro assoluto. Altro piccolo gioiello del disco dei Gallows è Misery, che si apre con un pianoforte e de degli hi iin sottofondo, f d per poii esplodere l d iin una archi dirompente canzone schiacciasassi. I cinque teppistelli inglesi introducono qui il tema della povertà, che dilaga in molte zone della Gran Bretagna. Colpisce la frase centrale del testo: “misery fucking loves me, and I love her too” (la miseria mi ama, e anch’io la amo, nda). Da segnalare il finale della canzone, dove si sentono i versi di alcuni maiali in agonia, pochi secondi prima di essere sgozzati al macello. Ciò ha causato l’insurrezione degli animalisti, che hanno gridato allo scandalo. La band ha dovuto dichiarare in pubblico che in realtà quei versi strazianti non sono stati registrati da loro in presa diretta (come avevano detto all’inizio), ma li hanno trovati in Internet casualmente (sarà vero? mah...). Per chiudere l’album, i Gallows hanno optato per un brano di otto minuti, Crucifucks, una condanna a tutto ciò che secondo la band è sbagliato, definita da loro stessi “la canzone anti-tutto”. Durante il pezzo, la gente può sedersi e riflettere su tutto ciò che ha sentito fin qua, e quindi ricominciare l’ascolto daccapo. La struggente seconda parte della canzone, in cui ritornano pianoforte ed archi, ci fa rendere conto che tutto il male descritto nel disco esiste veramente, è inevitabile. E non si può far altro che piangere. Con Grey Britain, i Gallows tracciano uno spaccato della società britannica, decadente e senza speranza; forse appare lontana dalla nostra società, ma in realtà penso non sia poi così diversa dalla situazione italiana. Musicalmente invece, i Gallows, con questo disco dimostrano di essere maturi e capaci di emozionare. Un disco da avere, da godersi dalla prima all’ultima nota, fino allo sfinimento. Un disco eccellente, un altro gioiello di questo 2009.

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ROCK PASSION FABRIZIO CAPO

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Starry starry night, paint your palette blue and grey Look out on a summer’s day with eyes that know the darkness in my soul Shadows on the hills, sketch the trees and the daffodils Catch the breeze and the winter chills, in colors on the snowy linen land.

C’era una volta, un’anima inquieta. C’era una volta un uomo che non riusciva a trovare il proprio posto nel mondo e che tuttavia non smetteva di cercarlo. Si muoveva da un luogo all’altro, per cercare una pace che non incontrava mai, poiché l’inquietudine affondava le sue radici nel profondo di una psiche tormentata, e lo seguiva ovunque andasse. Il 27 Luglio 1890 quest’uomo scriveva al fratello: “Noi possiamo far parlare solo i nostri quadri. Eppure, mio caro fratello, c’è questo che t’ho sempre detto e che ti ripeto ancora una volta con tutta la serietà che può provenire da un pensiero costantemente teso a cercare di fare il meglio possibile, te lo ripeto ancora che ti ho sempre considerato più di un semplice mercante […]. Perché siamo a questo punto, e questo è tutto, o per lo meno la cosa principale che io possa dirti in un momento di crisi relativa. In un momento in cui le cose fra i mercanti di artisti morti e di artisti vivi sono molto tese. Ebbene, nel mio lavoro ci rischio la vita e la mia ragione vi si è consumata per metà –e va bene–, ma tu non sei tra i mercanti di uomini, per quanto ne sappia, e puoi prendere la tua decisione, mi sembra, comportandoti realmente con umanità. Ma che cosa vuoi mai?”. Le lettera restava incompiuta e il fratello Theo non ebbe l’occasione di riceverla. Poche ore dopo averla scritta, in un campo nei pressi di Auvers,Vincent Van Gogh si sparava un colpo al petto. Sopravvisse due giorni alla ferita e accolse Theo, che si era precipitato da Parigi in tutta fretta, con una sentenza amara: “L’ho fatto per il bene di tutti, ma ho mancato il colpo ancora una volta”.

oTRE METALLI PLAYLISTPLAYLIST PLAYLISTPLAYLIST

Cominciamo questo mese una rubrica dedicata agli album che hanno fatto la storia del Rock, citando non più di un album per ogni gruppo (proprio per stimolare l’approfondimento personale nel caso in cui l’ascolto dell’album recensito spinga a cercare altro). Una discografia essenziale per chi ha deciso di tuffarsi nel fantastico mondo del Rock. Chi è appassionato, e probabilmente conosce già a menadito gli album che verranno via via proposti, leggerà l’articolo con il sorrisetto sulla bocca di chi la sa lunga, di chi ha una conferma delle proprie passioni e dei propri gusti musicali. Inaugura questa nuova rubrica un grandissimo capolavoro del 1969 (grande anno quello!), ovvero Led Zeppelin II, del gruppo omonimo. Difficile immaginare un disco che sia stato così importante per l’Hard Rock come questo. Difficile è anche scrivere qualcosa che non sia stata già scritta su quest’album, ma il fine di chi scrive è guidare all’ascolto del disco, cercare di trasmettere la passione che trasuda da questi solchi e l’emozione che ne provoca l’ascolto. In molti hanno accusato i Led Zeppelin di plagio, di aver copiato i riff di altri. Probabilmente è vero. Ma vi invito ad ascoltare prima “You Need Love” di Willie Dixon, e subito dopo Whole Lotta Love, che apre in modo grandioso il nostro album. Ammesso che plagio possa esserci stato, il risultato dell’elaborazione è talmente diverso (e superiore) all’originale, che se si potesse scegliere quale delle due versioni tenere e quale cancellare per sempre, non ci sarebbe neppure un attimo di esitazione: il riff in staccato di Page, la sezione ritmica implacabile di Jones e Bonham e l’eccitante prova vocale di Plant rendono infatti “Whole Lotta Love” un classico tra i classici, forse il brano Hard Rock per eccellenza. Come non citare poi la grandissima Thank You, tenera ballata dedicata da Plant alla moglie, o Moby Dick, il momento di gloria riservato a John “Bonzo” Bonham, che si esibisce in uno show pirotecnico alla batteria utilizzando sia le bacchette che le mani nude… Ma la grandezza di quest’album va ricercata non solo nell’eccezionalità fuori dalle righe dei singoli musicisti, o nella bellezza estrema dei singoli pezzi, quanto nel suono unico e inimitabile che viene fuori dall’insieme, che colpisce allo stomaco ancora oggi, figurarsi cosa doveva essere, quale impatto possa aver avuto, sugli appassionati 40 anni fa! Il mito del Dirigibile si rinsalderà con le prove successive, sempre più raffinate e visionarie, ma è con questo disco sanguigno e veemente che il gruppo inglese scrive le regole del rock duro di matrice blues. Non è nient’altro che blues, anzi, sporco e grezzo Hard Blues al suo massimo grado di evoluzione. Io sono solito affermare che i Led Zeppelin sono anche degli assassini, perché hanno ucciso il blues, nel senso che partendo dal blues sono arrivati talmente oltre che fare un altro passo in avanti avrebbe significato sprofondare nel burrone… si poteva solo tornare indietro e reinventare qualcosa di diverso. Un po’ ciò che i Nirvana faranno vent’anni dopo al Rock con Nevermind… Parafrasando una celebre frase, se il Blues è morto, lunga vita al Blues!

a cura di Carolina Pernigo

PESANTI

DAVIDE SPILLARI

Aprile dolce dormire. Sì, nella mia libreria ho trovato un libro sui proverbi dei mesi. Ma scriverò solo di musica, non preoccupatevi. Ultimamente nelle mie sperimentazioni musicali mi sono dedicato all’ascolto del metallo pesante, sì, quelle cose che potremmo definire “troppo ignoranti”. Ma, al di là dell’ignoranza e del bene e del male, il metal grezzo e sporco tinto di mitologia nordica spacca. I Manowar per esempio sono fantastici, ora sto stringendo tra le mani The Triumph Of Steel, e la prima canzone di 28 minuti è letteralmente epica, s’intitola Achilles, Agony and Ecstasy in Eight Part. Ma un posto speciale nel mio cuore lo occupano gli Immortal, questo è black metal! Sons of Northern Darkness, il titolo fa capire tutto. L’ultima chicca per concludere in bellezza sono il pagan metal dei finlandesissimi Korpiklaani e il loro ultimo capolavoro Korven Kuningas. Fisarmoniche e chitarre elettriche nella tundra tra renne e Babbo Natale.Viva il metal!

Now I understand what you tried to say to me How you suffered for you sanity How you tried to set them free They would not listen, they did not know how, perhaps they’ll listen now.

Proprio negli anni in cui a Parigi nasceva, esplodeva e –rapido come una meteora– si affievoliva il movimento espressionista, Vincent aveva raggiunto il fratello nella capitale francese e aveva deciso di dedicarsi esclusivamente alla pittura. Il suo stile, maturato nel tempo, restava qualcosa di assolutamente inedito, perché la sua personalità irrequieta lo rendeva insofferente a qualsiasi tipo di norma prestabilita, di canone predeterminato. La sua scelta era per un colore “che suggerisce l’emozione”. “Anziché cercar di dipingere con esattezza ciò che ho sotto gli occhi, mi servo del colore nel modo più arbitrario, per esprimermi con maggior forza”, scriveva nel 1888. Starry starry night, flaming flowers that brightly blaze Swirling clouds in violet haze reflect in Vincent’s eyes of china blue Colors changing hue, morning fields of amber grain Weathered faces lined in pain are soothed beneath the artist’s loving hand.

Nello stesso anno,Vincent si spostava ad Arles, dove sperava di trovare pace. Anche qui, tuttavia, non vennero comprese né la sua anima, né la sua arte. Le donne del paese non lo consideravano, lui era afflitto da solitudine e povertà. L’amicizia con Paul Gauguin parve ridare speranza alle sue giornate: “Mio caro Theo, ho pensato a Gauguin, ed ecco, se Gauguin vuol venire qui, c’è il viaggio di Gauguin e ci sono i due letti e i due materassi, che in questo caso dobbiamo assolutamente acquistare. Ma dopo, siccome Gauguin è marinaio, è probabile che arriveremo a farci il mangiare da noi. E con lo stesso denaro che spendo per me solo, vivremo in due”. La stanza da letto, dipinta in quei giorni, mostrava due sedie e due cuscini, e lo spiraglio di una finestra schiusa al mondo. Poi, com’è noto, le cose andarono male. Lo squilibrio di Vincent fece fuggire Gauguin. Il pittore, disperato, si recise un orecchio e lo inviò a una prostituta che era solito frequentare con l’amico.Theo, come sempre, fu pronto ad accorrere al capezzale del fratello e scrisse alla fidanzata Johanna: “C’è poca speranza. […] Se deve morire, sia fatta la volontà di Dio; ma il mio cuore si spezza al solo pensiero”. For they could not love you, but still your love was true And when no hope was left in sight, on that starry starry night You took your life as lovers often do, But I could have told you,Vincent, This world was never meant for one as beautiful as you.

Nel 1889 Vincent si fece ricoverare in un ospedale psichiatrico. Godeva di una certa libertà e poteva dipingere, ma restava solo e infelice. La corrispondenza con Theo, cui inviava le sue opere, restava l’unica fonte di consolazione. Non rinvenendo alcun miglioramento del proprio stato, l’artista chiese di essere dimesso e si recò ad Auvers, dove –nel Luglio 1890– dipinse Campo di grano con volo di corvi: “sono immense distese di grano sotto cieli tormentati e non ho avuto difficoltà nel cercare di esprimere tristezza e solitudine estrema”. Non molti giorni dopo, l’uomo poneva fine alla sua vita. Starry, starry night, portraits hung in empty halls Frameless heads on nameless walls with eyes that watch the world and can’t forget. Like the stranger that you’ve met, the ragged man in ragged clothes The silver thorn of bloody rose, lie crushed and broken on the virgin snow.

Theo rivelò la sua disperazione in una lettera alla madre: “Non posso scriverti il mio dolore né trovare conforto. È un dolore che durerà e che certo rimarrà in me finché vivrò. La sola cosa che si possa dire è che Vincent gode finalmente di quel riposo al quale agognava. La vita era un tale peso, per lui; ma ora tutti sono pieni di lode per il suo talento. Oh, mamma! Eravamo tanto fratelli”. Da quel giorno, la salute di Theo si aggravò di giorno in giorno. Egli morì nell’arco di pochi mesi. Now I think I know what you tried to say to me How you suffered for your sanity, how you tried to set them free. They would not listen, they’re not listening still, Perhaps they never will.

VINCENT VAN GOGH, Lettere a Theo, Guanda, 2009 da leggersi con accompagnamento musicale di DON MCLEAN, Vincent (Starry starry night), 1971

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Sogno o son desto Acquarello su tela Cinzia Boninsegna

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In lisergica apnea ogni cosa si convoglia, l’ellettrochimica del nostro essere si squaglia MARTA POLI

Crisi economica, crisi dei valori, crisi dell’ istruzione, crisi internazionale, crisi della stampa, crisi del potere laico, crisi politica, crisi culturale. Assenza di libertà, assenza di morale, assenza di meritocrazia, assenza di rispetto, assenza di futuro, assenza di creatività, assenza di modelli. Il mondo è meraviglioso amici! Dobbiamo solo sederci in terrazza e goderci il panorama. Bene, di fronte ad un tale scenario, la reazione dovrebbe essere energica e impetuosa. E invece noi abbiamo deciso di fermarci. Fermare le mani, i piedi, i portafogli, fermare le nostre parole vuote, le nostre corse verso il nulla. Ci siamo fermati, siamo scesi da questa gigantesca trottola folle e masochista e abbiamo deciso di sognare. Anacronistici direte? Inopportuni? Illusi? Dementi? No: abbiamo ancora voglia, nonostante tutto, di credere, sperare, sognare. Perché vergognarsi? Perché il termine sogno oggi è diventato un tabù? Perché ci si sente stupidi nel dire: “Il mio sogno è...” Oggi nemmeno di notte si sogna più. Freud farebbe la fame di questi tempi. Arriverà forse il giorno in cui tutto questo ridiventerà normale, spontaneo, come le lettere scritte a mano o l’ odore della propria casa. Intanto, con questa mostra d’arti figurative, abbiamo osato ritagliare uno spazio per sviluppare una tematica solo apparentemente inflazionata,

cercando di far parlare tra loro Arte e Letteratura. Al centro di questo scambio: il sogno, in tutte le due declinazioni e possibilità interpretative. Grazie alla collaborazione della Biblioteca A. Frinzi, dei Professori Davide Antolini, Mario Allegri, Giancarlo Beltrame e di alcuni redattori di Pass, il sogno si è materializzato con l’ esposizione di tutte le opere concorrenti. Al terzo posto ex aequo si sono classificate Shuang Chen con il suo “Sogno d’ Amore” e Francesca Demetz con il suo “Sogno ad occhi aperti”, entrambi olio su tela. Alex Zampini ha garantito il secondo posto alla sua fotografia “In lisergica apnea ogni cosa si convoglia, l’ ellettrochimica del nostro essere si squaglia”, uno scatto dai profondi giochi chiaroscuri , in cui l’ atmosfera di certo non rassicurante pare concedere una tregua, un margine di uscita. La prima classificata è invece Cinzia Boninsegna con “Sogno o son desto”, un acquarello su tela che ha convinto la giuria per la sua essenzialità e pertinenza . I primi classificati frequentano l’ Accademia di Belle Arti Cignaroli. Nella speranza di poter riproporre in futuro manifestazioni di questo genere, ringraziamo tutti coloro che hanno reso possibile l’ evento. A volte i sogni si possono anche appendere...non chiudiamoli nel cassetto.

Fotografia Alex Zampini

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Sogno ad occhi aperti Olio su tela Francesca Demetz

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Sogno d’ Amore Olio su tela Shuang Chen

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Una citazione biblica e quasimodiana accompagna un canto di amarezza e rivolta di una generazione incompiuta. “E come potevamo noi cantare”, dopo il fascismo, la strage neofascista di Piazza Fontana, l’11 Settembre? Ma, anche se paralizzate dall’orrore e dalla rabbia, le cetre della nostra generazione non sono appese ai salici: gridano, invece, sulle orme di grandi padri e rivoluzionari. Come non richiamarsi a Pier Paolo Pasolini, alle sue liriche eleganti e al vetriolo, alle sue denunce, al suo impegno civile, alla sua prosa “corsara”? “Non è di maggio questa impura aria, che il buio giardino straniero fa ancora più buio, o l’abbaglia con cieche schiarite...” Lasciamoci allora, in questo Maggio controverso, incrudelire dallo sdegno e dalla passione politica: consumando poesia e non lasciandoci consumare dagli oggetti e dal consumismo...

BAMBINO CON IL PIGIAMA A RIGHE Bruno è un bambino di otto anni, socievole e spensierato, amante dei giochi all’aperto e dei romanzi d’avventura, con il grande sogno di diventare un esploratore. Il padre è un ufficiale nazista che, ottenuta una promozione, si trasferisce con la famiglia in campagna, a pochi chilometri da un campo di sterminio per ebrei. Qui Bruno, trascurato e annoiato, trova una via di fuga e, incurante delle proibizioni materne, cede alla curiosità di esplorare i dintorni, alla ricerca della “fattoria” piena di bambini che ha scorto dalla finestra. Oltre il bosco, al di là di una barriera di filo spinato, incontra Schmuel, un coetaneo ebreo con un ridicolo “pigiama” a righe. Tra i due nasce subito una tenera amicizia, fatta di domande e riflessioni sulla vita e le attività nel campo. Così per Bruno il numero che l’amico ha cucito sul petto fa parte di un grande gioco di società, e gli adulti, che hanno abbandonato professioni dignitose (come il medico e l’orologiaio) per finire ad aggiustare scarpe o a pelare patate,

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sono individui indecisi e bizzarri. Il tutore fortemente patriottico, le parole decise del padre, i filmati dell’epoca, tutto in casa suggerisce a Bruno che gli ebrei sono diversi, sono il male, il nemico che nuoce alla Germania. Ma l’amicizia, si sa, è più forte dell’odio di un’intera nazione. Gli incontri con Schmuel, sempre più frequenti, si trasformeranno per il protagonista in un’avventura dalle conseguenze terribili. Tratto dall’omonimo romanzo dell’irlandese John Boyne, il film racconta in modo nuovo

ZONA SPOILER qui è rivelato il finale del film

di Mark Herman (Gran Bretagna – USA, 2008)

ed originale il triste destino dei sei milioni di ebrei uccisi dai nazisti. La vita del campo, osservata con gli occhi innocenti di un bambino, diventa un nuovo gioco da provare ed il grande spazio oltre la recinzione un mondo sconosciuto da esplorare. L’ingenuità di Bruno si trasformerà, nel corso della storia, in una sempre maggiore consapevolezza della vita e della crudeltà di certe azioni. Solo il suo cuore puro gli permetterà di non cedere ad un odio artificiale, prodotto dagli adulti, e di costruire un’amicizia forte, che supera ogni recinzione razziale. Accanto alla figura autorevole del padre, la madre di Bruno si rivela troppo debole per riuscire a ribellarsi alle atrocità che il marito sta compiendo. Fragile è anche l’opposizione della nonna paterna, contraria all’ideologia nazista e, per ironia della sorte, vittima dei bombardamenti nemici e omaggiata, al momento della sepoltura, dal Führer in persona. Terribilmente tragico è l’epilogo di questa storia: Bruno scava un tunnel per oltrepassare la recinzione e aiutare l’amico a ritrovare il padre scomparso, segue Schmuel attraverso il campo, tra i cadaveri viventi che popolano le baracche sovraffollate, riconosce alcuni dettagli visti in un filmato propagandistico e subito capisce che non si tratta di un gioco. I due bambini vengono condotti insieme a decine di ebrei alle docce: nudi e ammassati in una stanza troppo piccola per contenerli tutti, si danno la mano. Fuori piove a dirotto. La porta della camera a gas si chiude, davanti allo sguardo apprensivo dello spettatore (che fino all’ultimo secondo spera in un colpo di scena). E poi nulla. Solo un fischio assordante e angosciante. Perché c’è una sofferenza che non può essere raccontata. Nemmeno immaginata. ENRICA INNOCENTE

rubrica di parole

I Ho visto perdersi il fiore della mia gioventù Che ha picchiato, scalpitato per le strade, Che ha perso ogni gioia in gola, ritrovato Ogni dolore- che ha negato, calunniato, s’è inchinata a canzoni di guerra- per lasciarsi comprare, piegare da falsi fati- che ha guardato in faccia il dittatore- che ha issato la nuova bandiera repubblicana- che ha dimenticato le bombe dell’odio a piazza Fontana; che ha preso l’odio come si prende un biglietto per il luna park, ché dove non è riuscito il fascismo, è apparso il consumismo! Ho visto- perdersi- la mia gioventù lasciare il cuore a una vetrina di poco conto- che combatte il sacrificio, l’abnegazione, la solidarietàSperpiloquio, ecco per cosa ci ricorderanno i posteri!

IL

NERO a cura di: Elisa Zanola

INVIATE I VOSTRI RACCONTI, POESIE, CITAZIONI A: zanola.elisa@libero.it

II Non m’è bastato, perdervi compagni, non m’è bastato staccar dai salici le cetre -dalle loro secche frondenon m’è bastata, l’illusione dell’inno e della patria; senz’altro m’è bastato, amare e non odiare, quando un passato settembre, avete teso ancora le mani al cielo verso l’azzurro rotto da fatali aeroplani- aeroplani schiantati, lingue di fuoco e morte contro le Torri che crollano come rade fogliee il cielo di NY sposare con polvere le strade- quest’autunno di sangue le riponemmo le mani a vedetta, per urlare: “Chi va là?” E: “Qualcuno dovrà pagare”, per veder il cielo sputare sangue. E non è bastato, solo perché odiamo più che amare!

III E ti vedo qui con me tra i martiri del Bel Paese Pierpaolo, Ti vedo scagliare, professare lettere corsare. E vedo anche te E te e te e te .. Sillabe perse nelle ingiurie del tempo, schegge e apolidi del consumismo, in un sistema che non lascia respiro ai sogni, che sembrano persi in un miraggio. “La peste alle vostre famiglie” questo ci hanno urlato, l’ha detto chi odia noi, meteore fuori rotta. Noi -cancro che consumerà il corpoche siamo il piccolo sospiro di un attimo di poesia, il gioco di un filo su un arcolaio- amaro odore di viole tra le pudenda, un soffio d’inchiostro sulle labbra. Siamo i reietti, i non-redenti, Noi amanti dell’impegno, diavoli qui e altrove!

Francesco Greco

27PaSS


1o premio Sogno o son desto “Apriamo la porta dei sogni�

Acquarello su tela Cinzia Boninsegna


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