#18 December 2009

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anno 4 numero 18 dicembre 2009

PASS IL MAGAZINE DEGLI STUDENTI DELL’UNIVERSITÀ DI VERONA


PASSATENEO NUOVE D'OLTRE ATENEO Continua l'indagine sui crediti per le classi d'insegnamento....4 CRONACHE DELLO SPRITZ Una volta nella vita................................................................5 PARAPIGLIA ITALIANO L'incontro tra Tosi e Feltri......................................................6 BESTIARIO Segnaletica orizzontale + Filosofia al bivio..............................7 ATENEO NEWS Inglese applicato nelle nuove tecnologie.................................7

PASSWORLD IN MORTE ALL'NDRANGHETA Guadagni illeciti per il mondo.................................................8 AMERICANA + SENZA TANTI GIRI DI PAROLE Paolo's in Grand Street + Le escort........................................9 ANOTHER BRICK IN THE WALL Muri del mondo.............................................................10/11 CARCERE, QUALI PROSPETTIVE? Qualcuno ci muore.................................................................12 PREPOTENZA, IGNORANZA SENZA ETÁ Un racconto........................................................................13

PASSATEMPO APOCALYPSE SNOW Racconto nevoso................................................................14 PLAYLIST Ramones............................................................................14 BEST OF 2009 Lista musica consigliata......................................................15 ROCK PASSION Jeff Buckley.......................................................................15 LET ME GO Pain Of Salvation.................................................................15 CINEMA Recensione del film "Vincere".............................................16 PICCOLI, GRANDI EDITORI 7ª Edizione Rassegna Microeditoria Italiana..........................17 ARTE La Cattedrale di Santa Sofia................................................18 NERO RUBRICA DI PAROLE Una poesia sul Natale..........................................................19

EDITORIALE

SOMMARIO

Wittgenstein una volta disse che “il bianco è anche una specie di nero”. Ecco una citazione che mi piace molto e che trovo indicata per l'occasione. Insomma, alla fine dell'anno uno dovrebbe perdersi nel solito rituale del bilancio, delle riflessioni, dei mea culpa, per passare alla canonica fase due: quella dei progetti. Ma è possibile che recidivamente il bilancio sia sempre lo stesso (pessimo), le riflessioni non portino da nessuna parte e a questo punto pure i progetti lascino il tempo che trovano (quello dell'anno successivo, che le aspettative di solito le delude). Meglio andare alla terme per purificarsi. Ad ogni modo, mi si concedano alcune considerazioni in punta di piedi. Roboante è stato il grido all'incremento del PIL (1 % nel 2010). Che sballo! E gli stessi che non riconoscevano la gravità dello stato di cose, fissando le telecamere con i loro sorrisi ebeti e le loro capsule dentali scintillanti, ora fanno la hola in Parlamento. Evvai! L'Italia sta uscendo dalla crisi! Peccato che la maggioranza degli Italiani non abbia ancora molta voglia di ridere. Andate a chiedere alla schiera di piccoli e medi imprenditori, la linfa della nostra economia, se riescono a disserrare le mascelle. Andate dalle migliaia di operai ed impiegati licenziati con un bel “è stato breve ma intenso”. E con loro le tante altre categorie. La strada è ancora lunga, peraltro in salita.Ed oltre al danno, la beffa di misurarci ogni giorno con una classe dirigente che forse non ha nemmeno gli strumenti per intervenire laddove necessario. Dovremmo fare come i cinesi, che si consolano trovando nelle parole spunti motivazionali, basti pensare all'ideogramma per crisi (Wej-ji ), dato dalla combinazione di due termini: pericolo e opportunità. Chicca linguistica che sta davvero spopolando nei vari salotti televisivi e non. Anche se credo che pure stavolta gli amici d'Oriente abbiano rubato l'idea a qualcun altro (ma questa lunga storia ve la racconterò un'altra volta). La Redazione Vi augura di PASSare un felice Natale e una buona sessione d'esami! (senza dimenticare anche di sPASSarvela un po'). Marta Poli

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PRODOTTO CON IL CONTRIBUTO DELL’UNIVERSITÀ DI VERONA

Registrazione Tribunale di Verona N° 1825 R.S. del 27/02/2009 Direttore responsabile: Claudio Gallo Proprietario: Juliette Ferdinand Redazione chiusa il: 05 Dicembre 2009 HANNO SCRITTO: Giuliano Fasoli, Federico Longoni, Francesco Greco, Clara Ramazzotti, Davide Spillari, Marta Poli, Carolina Pernigo, Federica Rosa, Elisa Zanola, Fabrizio Capo, Iuri Moscardi, Barbara Scafuro, Fabrizio Neironi, Paolo Perantoni, Sara Ferri, Anna Pini. FOTOGRAFIE E ILLUSTRAZIONI (OVE NON INDICATO): Google, Flickr, Gettyimages, iStockphoto, Wikimedia PROGETTO GRAFICO: Eugenio Belgieri (www.whatgrafica.com) e Giuliano Fasoli FOTO DI COPERTINA: "La lumière" di Anna De Negri Stampa: Tipografia CIERRE - Sommacampagna (VR)

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PRIMO PIANO IL MIO PRESEPE PRIVATO, Alda Merini Articolo pubblicato il 21 Dicembre del 2006 su L'Avvenire La Redazione di Pass per questo numero ha deciso di mettere qualcosa sotto l' albero. Ognuno di noi, in fondo, il proprio albero a Dicembre lo addobba: chi con palline, chi con pensieri, chi con decisioni, chi con progetti. E pure quelli che l'albero proprio non lo vogliono, non disdegnino questo regalo fatto di parole. È Natale e sui Navigli, come in centro a Milano, non si riesce più a entrare nei negozi: i magri o i lauti stipendi consentono a tutti una ressa ingenerosa alla ricerca di una felicità che non c'è, o che almeno non si compra.

Casa: quanto la ami a Natale! Ricordo quando, sempre bambina, persi la mia, abbattuta anche quella: allora c'erano le bombe, ci rifugiammo chi nelle risaie e chi nei paesi limitrofi, dove tutti eravamo un po' degli stranieri. Nei granai la sera recitavamo il rosario su dei pagliericci di fortuna, poi di giorno si andava nelle cascine in cerca di pane, in breve... si mendicava dai contadini abbienti. Oggi, invece, che abbiamo una casa non abbiamo più quella cortesia e quell'amore dei contadini. Io dormivo con una vecchia che ogni notte pregava la morte che la venisse a prendere, e avevo paura. Ma come bambina ho dovuto accontentarmi. Adesso che sono un'anziana poetessa... continuo ad accontentarmi. Ma ripenso con nostalgia a quei Natali solenni, quando la mamma faceva enormi presepi, metteva le figurine dei pastori e i laghetti di specchio. Ci facevano trovare il carbone, alle volte, ma eravamo contenti lo stesso: poi, dietro il carbone, c'erano sempre tre caramelle. Però era arrivato Gesù, era questo che importava, vedere che sulla paglia del presepe qualcuno aveva deposto il bambino. E si pregava,

Sì, si può morire d'amore per un uomo, ma quello che mi fece impazzire, forse, fu quella porta chiusa di mia madre dolcissima, che io credevo eterna, come tutti i figli. E mi sono resa conto, a un tratto, che non avevo mai ascoltato i suoi lamenti tanto ero giovane. Ma quanto si paga la giovinezza! Anch'io, come le mie figlie, quando andavo a casa sua le portavo via gli oggetti più preziosi perché... nella mia casa sarebbero stati bene, e una madre si fa sempre derubare. A lungo andare morì, senza chiedere mai niente, ma era così felice della nostra gioia che forse non morì veramente mai. L'abbiamo derubata, ma soprattutto - e sembra un eufemismo - avremmo voluto (che Dio mi perdoni) portarle via quegli occhi, così verdi, così dolci, così innamorati di noi. illustrazione di Anna Pini

Io quest'anno ho spento le candele: tutti mi hanno invitato, ma quella notte non farò nulla di diverso, nulla che io non faccia sempre, proprio come quando ero bambina; al limite si cambiava stanza, si andava dalla camera al tinello per vedere se era arrivato Gesù, e per mangiare il panettone, che allora si chiamava "el pan de Toni"... Ma oggi Milano si affanna a cambiare faccia, ad abbattere le nostre vecchie dimore per apparire moderna, così i rifacimenti delle case hanno abbattuto anche noi, gli anziani. C'è una bella poesia dialettale che dice "fai piano, ogni volta che dai un colpo al muro lo dai al mio cuore...".

si pregava insieme davanti a quella statuina, ignorando che il piede lieve della mamma era andato lì di notte per deporlo... Allora ignoravamo tutto della vita, anche il mistero della nascita, un evento che per noi cadeva dal cielo. La Madonna non appariva sorpresa, neanche San Giuseppe, e noi piccoli eravamo in un regno di favola bello che abbiamo perduto. Ci dimenticavamo dei doni e stavamo piuttosto a guardare quel bambino appena nato domandandoci se aveva freddo, ma la mamma ci diceva che aveva l'amore della Madre... Ecco, forse anche in tarda età chi mi scalda ancora nelle notti di solitudine è l'amore della mamma, che io amavo tanto e che credevo che, come Maria, non sarebbe mai morta.

Sono passati decenni da quei Natali e ancora cerco l'odore dei mandarini o del bollito, che si mangiava solo quel giorno. Erano i nostri doni. Oggi invece si tende a saltare il Natale, si va direttamente all'arrivo dei Magi, ai doni, la nascita quasi non esiste più, forse perché le nostre donne non sanno essere madri. E i bambini, tra televisione e futili regali, sono i più grandi emarginati del nostro tempo: abbiamo rubato loro l'infanzia e la religiosità della vita. Mi si chiede cosa vorrei trovare questa notte sotto il presepe: la mia Barbara, la mia Flavia, le mie figlie che mi furono tolte quando una maestra, assistente sociale, trovando che la casa non era ordinata me le portò via. Sono sempre stata una disordinata perenne, ma avevo quattro bambine felici alle quali suonavo le "nenie" di Natale. Andando in solaio ho trovato le mie vecchie famose poesie tutte imbrattate delle loro figurine: giocavano con le mie grandi poesie! Io non ho pianto su queste, ma su quelle figurine sì. Loro non sapevano cosa vuol dire genio, conoscevano solo due parole: mamma e bambino. Il mio presepe privato.

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Nuove d’oltre ateneo L’indagine sulle classi d’insegnamento e sui

FEDERICA ROSA

argomento, la Guida alla facoltà è chiara e completa. E poi sì, il nostro piano di studi ci permette di ottenere i crediti necessari.” Mi sono poi rivolta ad una stuCari dentessa di Lettere Classiche lettori, per di Padova, Roberta: “Credo di questo avere ottenuto le informazioni numero ho sulle classi di insegnamento contattato dal sito della SISS e di averne alcuni stupoi parlato con i compagni denti di Letdi corso per capire meglio. tere di altre L'università non ha mai università detto questa cosa in nessuper provare a na occasione ufficiale: tutte capire come, le informazioni le abbiamo presso i loro reperite autonomamente. atenei, fosse Ad ogni modo, il mio piano organizzata la di studi è abbastanza formazione dei aperto e suppongo che futuri docenti. con la specialistica otteHo posto loro nere tutti i cfu necessari queste due per accedere alle varie domande: classi sia fattibile.” 1. Siete inforInfine Silvio Carnasmati sui crediti sale, iscritto al terzo necessari ad acanno della triennale in cedere alle classi Scienze Storiche presso di insegnamento? facoltà di Lettere e Filosofia E se sì, come vi di Trento e rappresentante in siete procurati tali carica degli studenti, mi racconta informazioni? quanto segue: 2. I vostri piani di “Per quanto riguarda la mia facoltà tutti studio permettono i nuovi corsi attivati quest'anno dovrebbero di ottenere queconsentire di raggiungere i requisiti per l'insti crediti? segnamento. Per il vecchio ordinamento c'erano Iuri Moscardi, stati alcuni problemi, risolti tramite crediti a scelta studente al primo anno della specialistica di Lettere e sovrannumerari. Le informazioni sono state un po' Moderne presso l’Università Statale di Milano, mi ha risposto così: “Io ho carenti in questi anni: io sono informato grazie al mio saputo della necessità di questi crediti soltanto quest'anno accademico. Queste informazioni le ho ottenute parlando con alcuni dei miei compa- lavoro di rappresentanza, ma mi rendo conto che molti studenti hanno difficoltà ad organizzare i loro piani di studio. gni: qui a Milano l'unico modo per sapere le cose che contano, infatti, In ogni caso, il servizio di tutorato e il fatto che i requisiti per sembra essere il passaparola. L'università mette a disposizione l'insegnamento siano cliccabili sul sito della facoltà, agevolano il Centro per l'Orientamento allo Studio e alle Professioni, ma la ricerca.” anche qui è difficile ottenere indicazioni chiare e precise. Del reRingrazio sentitamente Iuri, Camilla, Roberta e Silvio per essersi sto nemmeno i professori sembra che sappiano qualcosa in resi disponibili e per essere stati così chiari e puntuali nelle risposte. merito. Comunque sì, il piano di studi del mio corso prevede Da parte mia, considerando anche come vanno le cose a Verona, credo quasi tutti i crediti relativi agli insegnamenti.” di poter dire che quanto emerge è una sostanziale incapacità, dettata Anche Camilla Brami è iscritta al primo anno della lautalvolta da impossibilità effettiva, da parte degli Atenei, di dare informaziorea magistrale in Lettere, che frequenta però presso ni limpide e precise agli studenti. Sicuramente tali difficoltà emergono perché l’Università del Sacro Cuore di Brescia. Camilla il problema di fondo è riscontrabile a livello nazionale: manca ad oggi un quadro mi risponde così: “Le informazioni le ho avute chiaro e attendibile delle procedure da seguire, mancano parametri comuni da dall'università: da quest'anno hanno pensato adottare. Un’altra osservazione che non può non essere fatta riguarda l’esistenza che il piano di studi per la laurea magistrale di un evidente divario tra l’Università Cattolica e l’Università Statale, un divario che dovesse venire concordato con un docente spero possa essere colmato al più presto mediante una forte autocritica dell’Università di riferimento. È stato grazie al colloStatale con conseguente miglioramento. quio con questo docente che abbiamo Concludo augurandomi che lo Stato si renda finalmente conto che la scuola è un’istituzione potuto colmare i punteggi che ancora fondamentale, che l’istruzione è un diritto, e che andrebbe portata a termine una seria rifornon avevamo ottenuto per poter ma di questo martoriato settore! Nell’attesa che qualcosa si muova, noi studenti continueremo insegnare. Del resto, su questo a studiare e a porci domande. Ad maiora.

crediti necessari per accedervi continua.

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FRANCESCO GRECO francescogreco22@yahoo.it

Cronache dello Spritz � UNA VOLTA NELLA VITA... � di Raoul Duke “Uscendo dall'aeroporto si fermò un istante nel bagno pubblico. Tirò fuori dalla borsetta la foto di Luca. Luca era il suo fidanzato e rimirando la foto Alice si guardò un istante allo specchio: scoprì un sorriso correrle lungo il volto, fino a formare quella fossetta che agli uomini piaceva tanto; la cicatrice temporanea della puttana soddisfatta. Ancora una volta aveva accompagnato il suo ragazzo all'aeroporto e tutto era andato come doveva andare. Tre giorni insieme e niente era trapelato dei suoi ‘tramacci’ in Erasmus”. “I due ‘fidanzatini’ avevano visitato insieme una cittadina della Renania e al ritorno lei lo aveva portato nel suo primo appartamento – quello che usava per quando Luca era in città. Avevano fatto l'amore. Adesso lui era su un aereo diretto a Verona e lei poteva tornare alla vita di sempre: allo studio – gran poco –, alle feste ad alto tasso alcolico, e a Lucas. Chi è Lucas? Il secondo fidanzato, e chi se no. Un belga biondo e dalle spalle possenti, con cui lei condivideva il suo vero appartamento”. In quei giorni era stato difficile evitare che i due fidanzati si incontrassero: una sera aveva detto a Luca che non sarebbe tornata a casa, perché era bloccata dall'altra parte della città e quindi avrebbe “dormito da un'amica”; Lucas, invece, s'era bevuto la scusa di una gita fuori porta con le sue amiche. “Quindi, dopo essersi aggiustata il rossetto, che aveva in parte stampato sulla guancia di Luca accomiatandolo, si diresse verso l'uscita e poi in direzione degli autobus che affollavano il piazzale. Saltò sul primo mezzo in vista. Durante il tragitto verso ‘casa’ una coppia di innamorati che si scambiava tenere carezze la indusse a pensare: 'cosa sto facendo?! Due relazioni, così... e che cosa sono...”. Stava per cedere alla coscienza: ebbe l'impulso di tornare indietro, fermare l'aereo e dire tutto a Luca; ma guardando fuori dal finestrino, con il sole che calava sulla bella cittadina tedesca, ritornò in se stessa. 'Dopotutto' si disse 'si va in Erasmus una volta nella vita!'”. La fermata del bus distava poco da ‘casa’, così, una volta scesa, prese a camminare con calma, sicura che Lucas stesse già preparando la cena. Dopo, come ogni sera, si sarebbero lanciati nella movida cittadina. Tirò fuori le chiavi di casa dalla borsetta di pelle lucida come la schiena di una foca e aprì il portone. Salì le scale. Lucas, sentendo la chiave girare nella toppa, aprì di slancio la porta dell'appartamento. La sua faccia era rossa di rabbia. ‘Che c'è?’ chiese lei preoccupata. ‘So tutto!’ esclamò lui sventolandole in faccia un fascicolo di oltre dieci pagine. ‘Lo sai cosa sono queste?’ continuò lui ‘le tue conversazioni su Msn con il tuo caro Luca: puttana! Non avevi che me, dicevi! L'ho mollato, dicevi!’. ‘Aspetta ti posso spiegare...’ tentò lei. ‘Vai al diavolo!’. La porta sbatté con fragore, lasciandola sola nell'androne”.

illustrazione di Anna Pini

“Beh, questa è tutta la storia, così come la conosco” concluse M. “Vuoi dire che non hai inventato niente?” chiesi io incredulo. “Non sono mai stato così serio, Raoul. Ok, potrei aver cambiato qualcosa nello svolgersi degli eventi, ma è solo perché non voglio tu intuisca di chi sto parlando. Scrisse Oscar Wilde: “Almeno una volta nella vita ogni uomo cammina con Cristo verso Emmaus”. Beh, almeno una volta nella vita, e in Erasmus, qualcuno ha camminato con questa ragazza verso casa”.

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Accade all’Università di Verona

PARAPIGLIA ITALIANO

L’incontro “Italia, rissa continua. Come se ne esce?” si trasforma in scontro tra un gruppo di giovani e parte del pubblico. Intervento della Digos già presente sul posto. GIULIANO FASOLI giuliano.fasoli@yahoo.it

I FATTI

“Facts do not cease to exist because they are ignored“ A Scandal in Bohemia - Arthur C. Doyle

IL COMMENTO

“What I here propound is true” Eureka - Edgar A. Poe

Questa è una di quelle situazioni che si commentano da sole, come le Lunedì 16 Novembre ha avuto luogo, in aula T2 (Polo Zanotto), l’invignette con scritto “senza parole”: a parlare è già l’assurdità rappresencontro dal titolo “Italia, rissa continua. Come se ne esce?”, con ospiti il tata dal disegnatore. Voglio comunque utilizzarla, se il lettore avrà la padirettore del Giornale Vittorio Feltri e il sindaco di Verona Flavio Tosi. zienza di seguirmi, come punto di partenza per una riflessione sullo stato Moderatore del dibattito il giornalista veronese Stefano Lorenzetto (Il delle cose. È anche per questo che ho deciso di dividere i fatti (tentando Giornale). Il pubblico era piuttosto numeroso, la presenza di giovani e di descriverli - per quanto il linguaggio lo permetta - il più fedelmente studenti era esigua. possibile) dalle opinioni, che con troppa facilità e frequenza finiscono per Si comincia con la presentazione di Mauro Galbusera, presidente contaminare la verità degli accadimenti. dell’Assimp, l’Associazione tra imprenditori e professionisti veroneOra, da ciò che risulta dalla cronaca, sembrerebbe fin troppo facile, si, la quale era promotrice di questo evento. La stessa Assimp aveva analizzando a mente fredda l’accaduto, prendere le difese di una delle organizzato anche la conferenza “La crisi economico-finanziaria globale due parti in causa sentendoci così legittimati a sparare sentenze contro e l’utopia della decrescita” con il prof. Serge Latouche, egualmente l’altra. Come anche parrebbe una soluzione assai comoda non prendere ospitata dall’Università di Verona. alcuna delle due posizioni. La realtà è che quest’ultima, questa terza Segue il saluto del Rettore Alessandro Mazzucco, il quale parla del divia, risulta alquanto impervia e non priva di difficoltà in quanto prevede segno di legge di riforma universitaria. Successivamente cominciano gli una certa dose di razionalità, mettendo da parte gli agevoli sentieri dei interventi di Feltri e Tosi, imbeccati dalle domande di Lorenzetto. Il tema preconcetti per un confronto sereno, ma soprattutto responsabile. cede presto il passo a considerazioni sulla natura dell’attuale quadro Una cosa è sicura: colui che non la pensa come voi non verrà certo politico, spaziando dal ruolo della magistratura fino alla crisi economica. convinto della bontà della vostra opinione Buona parte del pubblico applaude ad ogni solo perché la sostenete ad un volume più intervento. Circa a metà del dibattito il Rettoalto. Senza scomodare Girard e la sua teoria re lascia l’aula. mimetica, potete immaginare da soli quale Come di consuetudine, chiusa la prima parsarà il risultato di una gara a chi si tira la te, solitamente riservata alla dialettica tra testata più forte. Qualcuno forse pensa che gli ospiti, si apre lo spazio agli interventi con il gioco delle testate si riesca a trasferire del pubblico. All’invito a porre domande magicamente, più è forte il colpo, le opinioni rivolto alla platea si leva un sonoro «noi!» da una testa all’altra, ma, dispiace deluderlo, i proveniente dalle ultime file dove siede un pensieri in questo modo, più che trasferirsi, si gruppo di ragazzi che scende a ridosso del annebbiano. palco per raggiungere il microfono. Uno di L’Università, oltre che luogo di cultura, dovrebloro prende la parola dicendo: «Noi avremmo be essere luogo di confronto. Penso, visto avuto anche un po’ di domande da fare però ciò che è accaduto, che la quasi totalità delle ci siamo resi conto, man mano che andava persone presenti nell’aula T2 quella sera non avanti questa “conferenza”, che probabilavesse alcun interesse per il confronto, ma si mente non era neanche il caso di porle; trovasse lì per il solo motivo di veder raffornon per voler fare i polemici, però il livello zate le proprie convinzioni, con la volontà, più del dibattito è stato veramente basso...». A che di ascoltare, di riconoscere le idee precequesto punto una bordata di schiamazzi, dentemente scolpite nella loro mente. L’episofischi e insulti interrompe l’intervento. Uno dio è senz’altro sintomatico della situazione degli organizzatori, dal palco, invita tutti alla attuale: in quell’aula è andata in scena l’Italia, calma e al rispetto delle opinioni che non si alcuni applaudono e altri dissentono, qualcuno condividono, esortando a non esasperare la ridacchia e qualcuno si rassegna, ma il sipasituazione e, rivolgendosi al ragazzo, gli chieillustrazione di Giovanni Panunzio rio della rissa è calato già da un pezzo e tutti, de di fare “una breve considerazione e poi senza accorgersene, restano a fissarlo. Chissà qual era lo spettacolo. una domanda”. Ottenuta nuovamente l’attenzione, il giovane riprende Come se ne esce quindi? Se Poe sosteneva la Verità della Bellezza, io la parola ribadendo il basso livello - “da bar” - del dibattito. Nuovamente sostengo la bellezza della Verità. La Verità è indubbiamente il punto si alzano urla di disappunto. La situazione evolve rapidamente in una da cui partire, potrà sembrare un’affermazione tautologica, ma purtropconfusione generale dopo l’esposizione, da parte del gruppo di ragazzi, di po troppo spesso ho visto in atto meccanismi orwelliani tali da distorcere uno striscione nero con scritto “Oggi docenti d’eccezione: intolleranza e imbruttire la Verità. e repressione”, striscione che viene immediatamente fatto mettere via. Anche qui, ora, abbiamo tre componenti: la verità, le mie opinioni e le Molta gente se ne va, finché il ragazzo continua a parlare si prolunvostre opinioni, già, le vostre, perché spero che non siate ancora così gano gli insulti ed infine il dibattito viene dichiarato concluso. Feltri si assopiti da adagiarvi comodamente e con troppa facilità su quelle degli allontana, l’aula si svuota, Tosi rimane nei paraggi del palco con alcune altri, ma che, partendo dalla realtà dei fatti, riusciate a confrontarvi persone del pubblico, i ragazzi restano al centro della sala, bloccati da responsabilmente con un altro punto di vista senza la necessità di un alcuni agenti della Digos che chiedono loro di mostrare i documenti. Un parapiglia italiano, almeno in questa sede. ragazzo del gruppo richiama l’attenzione del sindaco, che si trova dalla parte opposta dell’aula, facendogli presente le richieste della Digos. Tosi Per chi volesse approfondire i temi trattati durante l’incontro, leggere attraversa la sala e si frappone tra gli agenti e i ragazzi, dicendo che non è necessario prendere i documenti. Risolta la stasi il gruppo comincia a altri commenti, reperire materiale: L’Arena del 17/11/09 (pag.10), il foglio fare delle domande al primo cittadino il quale si ferma a discutere fino studentesco Pagina/13 (n°6, n°7, n°8 e sul web). all’orario di chiusura dell’Università.

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MARTA POLI

BESTIARIO

rubrica sul_ nostro_ ateneo _osservazioni_ lamentele_ aneddoti.. Blu le mille strisce blu, blu le vedo intorno a me La segnaletica orizzontale: studenti afflitti da nuove forme di daltonismo Ed è finita pure la bellissima storia d'amore con il Santa Marta, nel quartiere di Veronetta, parcheggio libero e gratuito che fu. Bei tempi quelli. Prima di qualsiasi altra considerazione, d'obbligo deve essere l'elogio al mezzo pubblico, a quella straordinaria due ruote detta volgarmente bicicletta, senza dimenticare la sana attitudine alla deambulazione bipede. Ma il povero cristo che si fa cinquanta chilometri con la sua utilitaria ecologica a metano, non se lo merita proprio di rimanerci male, dopo aver scoperto la inesistenza quasi assoluta di parcheggi

che non prevedano un prestito in banca. A questo punto sarebbe interessante chiarire la questione in merito al rapporto che deve vigere tra aree di sosta a pagamento e parcheggi gratuiti adiacenti, per quanto riguarda i quartieri. Certe sentenze della Corte di Cassazione hanno infatti creato dei precedenti che potrebbero accendere il dibattito proprio in merito alla questione suddetta, che risulta ancora poco definita a livello legislativo e molto fumosa su scala provinciale. Basti ricordare la più nota Sentenza n. 116/ 2007, con cui le Sezioni Unite

Civili della Corte di Cassazione hanno stabilito l'invalidità delle multe alle auto parcheggiate nelle strisce blu, qualora non fossero predisposti dal comune posteggi gratuiti nelle immediate vicinanze di quelli a pagamento. Il tutto nel rispetto dell'art. 7, comma 8, del Codice della Strada , che prevede proprio quest'obbligo per le amministrazioni comunali (ad eccezione di centri storici, aree pedonali e zone a traffico limitato). Ed intanto gli sguardi degli Accertatori del Traffico si fanno sempre più truci e minacciosi.

FILOSOFIA AL BIVIO S cegli te stesso

FABRIZIO NEIRONI

Ho incontrato una matricola tempo fa. Gli ho chiesto perché avesse deciso di iscriversi al primo anno di Economia. La sua risposta è stata laconica, quasi sommessa: “Ho l´attività dei parenti alle spalle, sono affermati commercialisti. È la soluzione più conveniente nonostante la matematica non scorra nelle mie vene”. Non mi ha sorpreso, quindi gli ho indicato la mia facoltà di appartenenza, come per contrappasso. Il baby Tremonti incalza: “Anch´io ho pensato di iscrivermi a Filosofia, ma quale futuro mi avrebbe riservato?”. Questa volta il tono era deciso, pungente. Ormai quella sua confessione è diventata oggetto di speculazione ancor più del "che cos´è?" socratico. Senza difendere la facoltà né tantomeno la Filosofia (l´articolo vuole presentare dati, non i motivi di una scelta), vorrei tracciare un quadro, alla luce delle statistiche pubblicate sul sito www.univr.it (sperando che ve ne siate accorti, in caso contrario queste righe possano avere la loro utilità!). Due gli elementi presi in considerazione: 1) il grado di soddisfazione del proprio corso di laurea; 2) la condizione occupazionale ad un anno dalla laurea (cifre aggiornate al settembre/novembre 2006). La situazione non è grave, infatti il 66,67% dei triennalisti di Filosofia (a.a. 2006/2007) è soddisfatto del proprio percorso (anzi decisamente sì!). La percentuale si abbassa di qualche centesimo quando vengono interpellati i magistrali: 63.64%, di cui il 36.36% è più che convinto. Si sa: le cifre sono pallide, inespressive, non ti convincono, forse, perché sono troppo palesi, lampanti. D´altro canto sono l´arma migliore per smentire la nostra matricola di Economia, "colpevole" di aver tradito il sapere per un corso di Bilancio Comparato. Ed allora il 58.82% dei neo-dottori (a.a. 2005/2006) al secondo sondaggio risponde che ha già un impiego mentre, tra i magistrali, il 25% lavora e si "diletta" con qualche esame, il 58.3% continua gli studi, sperando un giorno di poter sciogliere tanti dubbi e divellere quella domanda patetica che tocca sentire ai filosofi in cammino sulla strada della verità. Ad maiora!

Per l'anno accademico 2009/2010 sono stati istituiti ed attivati i corsi professionalizzanti in “Inglese applicato alle nuove tecnologie”; il progetto, diretto dalla Prof.ssa Roberta Facchinetti, è aperto a tutte le Facoltà, con preferenza per Lettere e Filosofia, Lingue e Letterature Straniere ed Economia e prevede l'attuazione di quattro corsi (ovvero due corsi, ciascuno di 30 ore, con iterazione) per un totale di 120 ore. Sono previsti 5 CFU per ogni intervento. La domanda di ammissione al primo modulo (Intervento 3: Web English), che avrà inizio il 25 Gennaio 2010, deve essere consegnata entro il giorno 11/01/2010. Successivamente verranno comunicate le date d’inizio degli interventi 1, 2 e 4. Il progetto sarà interamente finanziato con fondi erogati direttamente dalla Regione Veneto - Fondo Sociale Europeo. Per informazioni e bandi, consultare il sito http://www.univr.it nella rubrica “Studenti”< “Progetti FSE”< “Moduli Professionalizzanti”.

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A cura di: MARTA POLI

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INGLESE APPLICATO ALLE NUOVE TECNOLOGIE


In morte alla ‘ndrangheta

Guadagni illeciti per il mondo

FABRIZIO NEIRONI

Si aspetta una vita per scrivere un epitaffio, consapevoli che non si può stendere il proprio. Io vorrei scriverne uno, non il mio. Vorrei tanto seguire questa penna per annunciare la morte di uno dei mali più grandi: la 'ndrangheta. È un tumore, è un drago, è un sistema, alcune delle più disparate definizioni che vengono date in televisione, dai giornali, dai libri. Sappiamo certamente che è una società economico-criminale che spolpa il nostro Paese e che fattura il 3,4% del prodotto interno lordo (PIL). Assieme alle altre "tre sorelle" (mafia, camorra, sacra corona unita pugliese) la percentuale diventa ancora più consistente: 9,5% (novevirgolacinquepercento, tutto d'un fiato!). Ma forse tutto ciò non basta a dare una risposta decisa e definitiva, proprio quella che servirebbe a seppellire ogni ingiusta e iniquità. Le mafie sono il problema di tutto e tutti: aziende quotate in Borsa, interessi politici, guadagni illeciti. Il problema anche del nord. Il diniego, l'indifferenza o la diffidenza sono i semi dell'omertà. La 'ndrangheta non macella i maiali, ricicla denaro sporco in attività lucrose. Non transuma il gregge, importa la droga dalla Colombia e la smista in tutta Europa. Uccide uomini: la persona è inidentizzata (mi si conceda il neologismo), priva di senso alcuno, alla mercè di signorotti locali e potentati. È un bersaglio. Ognuno è nessuno in funzione dei loro "affari". Il `ndranghetista ha fiutato il nord, poi l'ha comprato senza che nessuno lo fermasse, senza che nessuno se ne accorgesse. E non solo. Il sostituto Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria Nicola Gratteri e Antonio Nicaso, autore di numerosi scritti sulla criminalità organizzata, scrivono nel loro libro Fratelli di sangue (Luigi Pellegrini editore, Cosenza, 2006) che "nel marzo 2004 [...] le cosche Ascone e Bellocco di Rosarno (CS) alleate con quelle di San Luca (RC), in un solo giorno, erano riuscite a riciclare 28 milioni di euro, acquistando un intero quartiere di Bruxelles". Com'è che il giro d'affari delle cosche calabresi aumenta vertiginosamente ogni anno mentre le classifiche europee e nostrane ci consegnano cifre imbarazzanti sui conti, condannandoci a una doppia umiliazione? La retorica non è meno dolce dell'ironia. La presenza di organizzazioni criminali non sarà mica il motivo fondante della questione meridionale? E se è vero che

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esiste un disagio settentrionale, un rapporto lamentevole tra nord e Roma (c'è della letteratura a riguardo) possiamo ritrovare una delle cause nella irresoluzione di quel problema? Spiego: se non suturiamo la ferita, essa non si cicatrizzerà mai. Anzi si allargherà sempre più e non ci sarà alcun rimedio per arrestare l'infezione. Fa troppo male per non intervenire. Non basta più disinfettare, urge un intervento, quello dello Stato e bisogna ricucire i rapporti nel nostro Paese perchè siamo affetti dallo stesso male. Se non debelleremo il loro dominio allora smetteremo di progredire. Noi, la comunità. Loro, la malavita. È importante fare propria la soluzione. Ci tengo a segnalare un sito dai contenuti rilevanti, www.lavocedifiore.org, e non c'è modo migliore per farlo se non riportando uno stralcio dell'editoriale che più mi ha colpito: "La Voce di Fiore è un progetto con cui si vuole restituire giustizia alla nostra società: ai giovani, in primo luogo, agli emigrati, gli anziani, i disabili, a quanti sono stati scaricati dalle istituzioni, abbandonati, dimenticati". La Voce di Fiore esce dalla bocca della Calabria onesta, quella che si mobilita quotidianamente in difesa del territorio. Ancora: "Gioacchino da Fiore - Fiore è il luogo della Sila da cui, per l'abate, sarebbe incominciata l'età dello spirito, della concordia, della pace - profetizzò il rinnovamento del mondo". Effettivamente un rinnovamento importante c'è stato con la pubblicazione del libro La società sparente (Neftasia Editore, Cosenza, 2007) di Emiliano Morrone (autore dell'editoriale di cui sopra) e Francesco Saverio Alessio: è stata fatta chiarezza sull'azione dell'antimafia calabrese, sui rapporti tra 'ndrangheta e politici, sulle inchieste dell'allora Procuratore del Tribunale di Catanzaro, Luigi De Magistris (Poseidon e la celeberrima Why not ) . Un libro scomodo, osteggiato dai poteri forti, introvabile (tant'è che gli autori hanno pubblicato on-line il testo, scaricabile in formato PDF). L'azione delle 'ndrine è anche intellettuale, raggiunge il sapere, lo destabilizza. È il rischio più grande perchè si vogliono cancellare i lettori, quindi occhi, quindi idee. Mi innalza la frase di don Giuseppe Puglisi (parroco del quartiere Brancaccio di Palermo, assassinato nel 1993 da sicari di Cosa Nostra): "E se ognuno fa qualcosa allora si può fare molto". Ognuno, forse, crede che molto sia qualcosa.


RUBRICA SUGLI U.S.A. A CURA DI FRANCESCO GRECO francescogreco22@yahoo.it

Di Palo's in Grand Street Con la depressione economica, anche i giornali si adeguano. Niente più ricostruzioni di un glorioso passato (come le tante pagine dedicate alla Jazz Age, vale a dire i ruggenti anni '20 del Novecento), ma ricostruzioni minuziose della crisi del '29. Forse per esorcizzare il fantasma di una ricaduta più forte. Il New York Times sta dedicando una serie di puntate proprio alla Great Depression. Ad "aprire le danze" è la storia della famiglia Di Palo. Sin dal primo decennio del novecento Di Palo's è divenuto un luogo imprescindibile a New York dove acquistare prodotti italiani di qualità. Perciò il giornale newyorchese ha deciso di tributargli l'onore delle armi, a dimostrare che la famiglia italo-americana è riuscita a superare la vecchia crisi economica e supererà anche la nuova. La storia di ogni famiglia inizia con un capostipite; per i Di Palo fu Savino Di Palo che immigrò a New York nel 1903. Di fatti tra il 1880 e il 1920 molti italiani lasciarono il loro Paese nativo per gli Stati Uniti; in maggior numero dal Sud Italia. Proprio come Savino che era nato in Basilicata. Una volta aver passato

tutti i controlli di rito nel famigerato ufficio immigrazione di Ellis Island, Savino va ad abitare a Little Italy, dove nel 1910 apre un dairy-store. Il giovane italiano si era lasciato tutto alle spalle, la fattoria dove viveva e lavorava, ma soprattutto i suoi cari che lo raggiungeranno quattro anni dopo. Sono gli anni del grande boom economico sotto i presidenti Theodore Roosevelt, a cui succede William Taft, poi il più famoso Woodrow Wilson (che traghetterà l'America fuori dalla Prima Guerra Mondiale), Harding, Coolidge, Hoover. Per i Di Palo sono anni invece di grande espansione economica (con la nascita della figlia Concetta e successivamente dei nipotini, Savino arriverà a possederne due di dairy store) e soprattutto di affermazione: da allora i newyorchesi acquisteranno da una sola parte i salami, la pasta, i formaggi , e altri prodotti italiani: da Di Palo's in Grand Street. La storia della famiglia Di Palo rende bene l'idea del contributo che la cultura degli immigrati italiani ha dato nel formare la mappa della più ampia cultura americana (ammesso che i confini di questa mappa non siano indefiniti, poiché in perenne movimento). Sta di fatto che i Di Palo sono la prova vivente che il sogno americano funziona ancora.

illustrazione di Anna Pini

CLARA RAMAZZOTTI

Senza tanti giri di Parole

“Parole, parole, parole” Mina

Quando ero piccola, giocavo spesso con una cara e affascinante amica di nome Barbie che faceva sfigurare tutti i Cicciobello e le Bollicina esistenti sulla Terra. Lei era per me un simbolo di bellezza abbagliante e di successo, l’emblema di quello che tutte le donne dovevano diventare da adulte: gnocche, ricche, con un pony e molteplici ville rosa. E mentre crescevo mi convincevo che Barbie, con le sue zuccherose curve mozzafiato, non era affatto quella che si definirebbe oggi una Escort, che è poi lo stesso nome della vecchia Ford che i miei genitori hanno distrutto dopo una serata al Lago di Garda. Pensa che roba. Ogni volta che sento quella parola al tiggì penso all’auto mezza accartocciata dal meccanico. Non riesco proprio a credere che dei politici girino con una Ford distrutta, ma vintage gustibus… In varie occasioni si è potuta fare la conoscenza di questo mondo parallelo dove dietro ad ogni uomo c’era una lei. Fino a Marrazzo. Ed era anche simpatico, all’inizio, notare i gusti di certuni che avevano panzetta e mento tremulo ma si ostinavano a circondarsi di bellissime fanciulle. Ma và, vecchio! Rinuncia all’idea di eterna giovinezza che non ti si confà, e porta i nipotini al parco. Poracce loro che non si trovano mai un George Clooney davanti ma, al massimo, un Leone Di Lernia riesumato a fatica. "Escort è il nuovo nome. Escort è un nome che sembra nobile. Sembra un’attitudine piuttosto che un mestiere, una specializzazione piuttosto che una disperazione" scrive Saviano su L’Espresso della scorsa settimana. Vogliamo dargli torto e dire "no, ma dai, ci sono i bambini che se poi sentono quella parola che brutto che la ripetono?" Eh, poveri pargoli. MA POVERI NOI! Che tormento sapere chi va a letto con chi. Barbie sarebbe stata più accorta, modesta e si sarebbe lavata la coscienza facendo l’ambasciatrice Unicef e sfornando biscotti glassati.

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PAOLO PERANTONI

Another brick in the w Sono passati vent’anni da quando il giubilo dei cittadini berlinesi in festa annunciava al mondo la caduta di un muro, la fine di un’era. In quel momento era forte l’idea, o, meglio, la speranza, che si potesse costruire un mondo senza confini, senza muri che dividessero l’est dall’ovest, la ricchezza dalla povertà, il bene dal male etc, ma alle soglie del 2010 sono ancora molti i muri che dividono genti e ricchezze, anzi, stanno aumentando di numero. Nelle righe che seguono cercheremo di dare una panoramica dei principali muri che dividono, non solo un territorio, ma anche i cuori dei popoli che lo abitano, con le loro culture, idee e credenze. In Irlanda del Nord (UK), sono ancora moltissimi i muri e le barriere che dividono le cittadine nordirlandesi, come Belfast o Londonderry, creati nei primi anni Settanta per mantenere separate le etnie cattoliche da quelle protestanti e soprattutto per ostacolare il lavoro terroristico dell’IRA. Nonostante l’Accordo del Venerdì Santo, siglato nel 1998 e che ha visto un lento ma progressivo riappacificarsi della zona, questi muri, chiamati anche “interfaccia” o “linee di pace” sono ancora presenti a testimoniare una mancata integrazione tra le comunità. Le nuove generazioni nordirlandesi, cattoliche e protestanti, a cui sono demandate le speranze non solo per la fine delle ostilità, ma anche per la piena integrazione, sono nate in queste gabbie e tutt’ora giocano all’ombra delle muraglie, isolandosi, e, cosa peggiore, non potendo confrontarsi. Per rimanere in Europa si deve ricordare la Linea Verde o Linea di Attila, una cinta muraria che divide la città di Nicosia (Cipro). Costi-

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tuita a seguito degli eventi del 1974 (invasione turca dell’isola e auto proclamazione della Rep. Turca di Cipro Nord), lunga 180 km, la Linea Verde è presidiata da un contingente di caschi blu dell’Onu (missione UNFICYP) a cui è chiesto di limitare i contatti tra la componente cipriota di etnia greca da quella di etnia turca. La questione del muro cipriota, che ricorda da vicino quello di Berlino, è da sempre un punto spinoso nei rapporti, di certo non idilliaci, tra Grecia e Turchia ed è dibattuto a livello europeo anche per l’eventuale ingresso della Turchia nella UE. In Marocco si contano due muri; il primo, creato nel 1980 dalla nazione marocchina, divide lo stato con la Mauritania: si tratta di una barriera alta tre metri e lunga 2500 km. La costruzione è la tipica “cattedrale nel deserto” nel senso più banale del termine: il muro divide infatti una porzione del deserto del Sahara; non doveva difendere ma solo dividere, stabilire una netta linea di confine tra due nazioni confinanti. Per diversi motivi, nel 2005, il governo spagnolo, con 30 milioni di euro finanziati dalla UE, ha innalzato uno sbarramento per dividere il Marocco dalle città spagnole di Melilla e Cueta (quest’ultima rivendicata dal governo di Marrakech sin dal 1975). In questo caso gli scopi erano due: dividere le [enclaves] spagnole da quelle marocchine da un lato, ed evitare l’emigrazione illegale e il contrabbando dall’Africa verso le coste spagnole. Pare però che la costruzione del muro, che sta passando da tre a sei metri, stia costringendo disperati ad attraversare lo stretto di Gibilterra causando molte vittime. Nel martoriato bacino del Mediterraneo, ben più famoso risulta essere il muro in Cisgiordania. Con una decisione unilaterale, nel 2002, il governo israeliano presieduto da Ariel Sharon, diede il via


wall: Muri del mondo ai lavori di costruzione del “muro di sicurezza”. Costruito per difendersi dal terrorismo palestinese, il muro si presenta assai simile a quello di Berlino (anche se è alto e lungo il doppio rispetto a quello tedesco); esso, creato in poco tempo, divide in maniera netta due realtà etniche che per loro natura non sono affatto divise. All’interno del muro vivono cittadini israeliani di etnia ebraica come palestinese, e così al di fuori. Per andare a lavorare all’interno della cinta si devono passare controlli lunghi e severi che creano moltissimi disagi alla popolazione della Terra Promessa. Gli analisti militari israeliani hanno dimostrato il netto calo di attentati dopo la creazione del muro, ma questa soluzione non risolve affatto la delicata questione del Medioriente. Essa può essere utile nell’immediato (come lo era per i tedeschi orientali che videro diminuire drasticamente gli sconfinamenti verso ovest), ma non è una strategia vincente nella lunga durata, come ha ampiamente dimostrato il caso berlinese. In Corea, dopo il fallimentare tentativo da parte dell’Onu (sotto comando USA) di “liberare” il Nord, fu creata nel 1953 una “zona cuscinetto” demilitarizzata lunga 238 km. Nonostante la politica perpetrata dal presidente americano Bush, che nel 2000 incluse la Corea del Nord nella lista degli stati canaglia, i governi di Seul e Pyongyang hanno ripreso il lento dialogo che, si spera, possa riavvicinare i due paesi ancora divisi dalle logiche della Guerra Fredda. Anche le Americhe non sono esenti da divisioni di questo tipo; nella metropoli brasiliana di Rio de Janeiro un anno fa l’amministrazione comunale ha deciso la realizzazione di un muro che dovrebbe dividere 11 quartieri della città con il gigantesco [hinterland] che la circonda. La motivazione ufficiale è quella di contenere le [bidonville] brasiliane e la deforestazione delle colline ma anche qui, come a Belfast, le vere cause sono da un lato la divisione netta tra i miserabili e i cittadini onesti, e dall’altra la

lotta ai [narcos] che dettano legge nei quartieri poveri della città dove hanno costruito dei veri e propri feudi. Anche nella “patria della democrazia” si costruiscono Muri della discordia; sul confine che divide il Messico con il Texas, l’Arizona, il New Mexico e la California, funziona a pieno regime una barriera lunga 1100 km per fermare l’immigrazione clandestina proveniente dal Messico. Dulcis in fundo l’Italia. Ahimè anche il Bel paese conta i suoi muri, come quelli di Via Anelli a Padova creati per contrastare lo spaccio di droga o gli innumerevoli innalzati abusivamente nei sobborghi napoletani dalla Camorra per controllare il proprio territorio, solo per citare due esempi agli antipodi. Poiché siamo una grande nazione, come ci ricorda il nostro premier, non ci fermiamo a costruire scempi sul nostro territorio ma li esportiamo. Ad ottobre, la rivista “Nigrizia”, ha riportato la notizia che la Salex, azienda del gruppo Finmeccanica, quest’ultima controllata dal Ministero dell’Economia, ha vinto l’appalto per la realizzazione in Libia di un grande sistema di protezione e sicurezza dei confini libici con il Niger, Ciad e Sudan, donde provengono la maggior parte dei migranti dell’Africa sub sahariana. Sono stati stanziati 300 milioni di euro per la realizzazione del muro elettronico, 150 li pagheremo noi contribuenti italiani, il restante li metterà l’Unione Europea. L’accordo rientra nella strategia del governo Berlusconi di respingere i migranti non in mare (dove c’è il rischio di cattiva pubblicità a livello europeo) ma sulle coste libiche. In pratica si è spostato il problema nell’entroterra libico anziché tra le onde del Mediterraneo. Il Trattato di amicizia siglato tra Berlusconi e Gheddafi il 30 agosto 2008 accontenta entrambi, l’Italia ridurrà i flussi immigratori e accresce di know-how nel delicato settore edile della homeland security che è in grande slancio (si parla di 100 miliardi di dollari il giro d’affari previsto per il 2016, era di 45 mld nel 2006). La Libia, uscita dal suo isolamento, grazie alla politica e ai soldi italiani ed europei, non solo potenzia il proprio violento apparato di oppressione nei confronti dei migranti, ma acquista legittimazione internazionale per quello che fa subire loro.

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Carcere,

quali prospettive? Qualcuno ci muore

Sara Ferri

Stefano Cucchi, 30 anni, arrestato per fotografie (quando ci arrivano) e questo è detenzione illegale di sostanze stupefaquanto ci limitiamo a testimoniare. centi, morto una settimana dopo il suo Il piano Ionta propone un aumento dei poingresso in carcere in circostanze ancora sti nelle carceri. Ma è davvero così che si da chiarire. risolve un problema di tale portata? InnanEsplode il “caso Cucchi”. Il caso?! In realtà zitutto per costruire un carcere ci vogliono basta un’occhiata ai dati per capire che in media dieci anni e dato che è ormai di tutto si tratta, tranne che di un avvechiaro che si tratta di un’emergenza, pernimento fortuito. Nelle carceri italiane ché nessuno accoglie gli appelli delle varie muoiono in media 150 detenuti l’anno: associazioni che lavorano nel campo? un terzo per cause naturali, un terzo per Appelli che si concretizzano in proposte suicidio e la restante parte sensate come quella di teper “cause da accertare”. nere in carcere solamente le Quest’ultimo dato, in partipersone che realmente non colare, dovrebbe far rifletpossono stare fuori. Non si il numero dei detenuti tere: cause da accertare vuole mettere in discussione significa una morte pervela certezza della pena nè si nuta in maniera misteriosa, intende riproporre la nefanper motivi apparentemente dezza di un provvedimento sconosciuti. In ognuno di non pensato come l’indulto: la capienza regolamentare questi casi viene aperta più di un terzo dei detenuti un’inchiesta giudiziaria; ma quante di ha pene inferiori ai tre anni, che potrebbeesse vengono poi archiviate con mezze ro venire espiate con la misura alternativa verità o messi a tacere? Se poi vengono dell’affidamento ai servizi sociali. alla luce scenari come quello emerso dalla Poi ci sono i detenuti in attesa di giudizio: registrazione effettuata al penitenziario di una parte di loro, conclusosi il processo a Teramo, in cui il comandante delle guardie loro carico, saranno riconosciuti innocendà istruzione ad un subalterno su dove ti e liberati. Ma nell’attesa del verdetto, massacrare un detenuto e dove no, ci vieanch’essi contribuiscono al sovraffollane mostrata una realtà che mette i brividi, mento delle carceri. che porta a domandarsi, legittimamente, Purtroppo la martellante campagna di se davvero queste morti misteriose sono sicurezza messa in atto da questo gotali, o se non ci sia un qualche interesse verno sconsiglia provvedimenti come la sotto a coprire fatti o verità scomode che è concessione di una misura alternativa ai preferibile non far conoscere. condannati o della libertà provvisoria agli Anche le morti in carcere per suicidio meimputati. riterebbero un’attenta analisi: un Mi auguro che ciò che è stato solrapporto di Ristretti Orizzonti, il levato con il caso Cucchi (come il giornale della Casa di Reclusione caso Saladino o il suicidio Blefari) di Padova e dell’Istituto di pena non sia solo un polverone mei suicidi dal 2000 femminile della Giudecca, redatto diatico che presto verrà messo a da detenuti e operatori volontari, tacere. C’è da sperare che non si parla di morti per infarto con la tratti dell’ennesima denuncia a testa spaccata o per suicidio con morire nell’indifferenza generale, i suicidi nel 2009 ematomi e contusioni in varie perché tanto non ci riguarda, non parti del corpo. Quello che non è ci tocca da vicino, non siamo i possibile vedere, ma a volte emerge dalle genitori o i fratelli di uno Stefano Cucchi o perizie mediche (quando vengono dispoun Giuseppe Saladino. Eppure tutti trarste e poi è dato conoscerne l’esito), sono remmo vantaggio da una società migliore costole spezzate, milze e fegati spappoe migliorare la società significa anche lati, lesioni ed emorragie interne. Questo dare una prospettiva a chi una prospettiva è quanto emerge dalle cronache, dalle pensa di non averla più.

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Il mio compagno è un poeta Voi vorreste una poesia, ma il mio compagno di cella non conosce la metrica e i versi, ne è padrone di ritmica e di stile, eppure scrive poesie. Il mio compagno scrive poesie Quando mi racconta la sua vita, e parla dei paesi che non vedrà mai e dei mestieri che mai farà. (…) Ma a volte viene la notte E non si cura del sole o delle stelle, il buio inghiotte ogni pensiero ed ogni sentimento, allora sul suo corpo scrive versi con la lametta e non ci sono né premi né giurie per lui ma giorni in isolamento. Il mio compagno scrive poesie Quando la guardia gli grida contro ingiustamente E lui non reagisce, perché la vita è altrove e sa che la guardia non lo ha capito. Il mio compagno è un filosofo È uno scienziato, è un letterato È un artista, un pagliaccio, un soldato Un musicista, un marinaio, un mendicante, un magistrato E lo è tutti i giorni. Tutti i giorni è un poeta Ma nessuno Ha il coraggio di leggere le sue poesie. Gabriele Aral


Prepotenza

Ignoranza senza età Iuri Moscardi iuri86@libero.it

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il grosso del corteo, ecco quelli delle ultime file, sparpagliati e sfilacciati, cominciare a manifestare in maniera ben diversa. Erano un gruppo ridotto ma agguerrito: il volto quasi completamente coperto, si dedicavano con cura meticolosa ad imbrattare di bomboletta spray qualsiasi muro trovassero intorno a loro. Sghignazzando prendevano a calci i cestini della spazzatura, ed il vetro della pensilina alla fermata dell’autobus andò rapidamente in frantumi sotto i loro pugni. È stato allora che ho iniziato a piangere, con lacrime vere di sofferenza che sostituirono quelle di commozione che finora il mio cuore aveva custodito. “Che sciocchi”, pensai, “che senso ha tutto ciò? E poi, non sanno che questo è il modo migliore per attirare i manganelli della polizia?”. D’improvviso uno si è avvicinato; rideva di strafottenza davanti alle mie lacrime, e mi gridò: “Che hai da piangere, vecchio bacucco? Ti dispiace per i cestini? Ma vai a casa, nonno, vai: qui rischi di prenderle!”. Ed è stato allora che non ci ho visto più, e ho urlato: “Brutto mascalzone di un giovanotto: piango perché mi fai pena per quanto sei becero e ignorante! Cosa stai facendo? Dimmelo, quello che stai combinando”. E lui: “Cos’hai detto vecchio rimbambito? Ignorante io? Ma va’ a casa, va’! Lo sai cosa sto facendo, io? Combatto per un mondo migliore, io; perché la scuola sforni persone migliori, vere, e non vecchi bacucchi come te, che non servi più a nulla...”. Ma qui fu interrotto dal suono di una sirena della polizia, che gli mise magicamente le ali ai piedi: in un battibaleno, lui e quelli che lo stavano aiutando a demolire mezza città sparirono. In lontananza, il corteo sfilava ancora pacifico: speriamo che la polizia non se la prenda con loro... E mentre mi asciugavo una lacrima, non potevo continuare a ripetermi: “Ma noi non lo avevamo liberato, questo Paese?”. Trib a

La cosa più brutta, quando si va in pensione, è che si ha troppo tempo libero: ed essendo anziani non si sa più come impiegarlo. Io poi, che ho fatto l’intellettuale tutta la vita lavorando presso scuole e giornali e riviste (le riviste culturali di un tempo, altro che quelle di oggi!), adesso che non ho più obblighi lavorativi mi sento tremendamente annoiato. Non mi piace pescare o giocare a carte o stare al bar, non ho nipoti perché non ho avuto figli e la televisione mi irrita e rimbambisce (e mi fa male agli occhi): allora, esco di casa e giro per la mia città. La città è così grande che, in ottant’anni di vita qui, non sono mai riuscito a scoprirla tutta: mantiene ancora qualche segreto, fortunatamente. Anche se è cambiata così tanto che vederne certi angoli mi fa male al cuore e mi ricorda che non sono più un ragazzo. Adesso invece per le strade trovo ragazzi d’oggi, persi nelle mille faccende e nei mille pensieri della loro vita ancora in abbozzo. Mi lasciano un po’ sorpreso perché sono totalmente diversi da come eravamo noi: adesso che hanno tutto non scelgono mai nulla! Non come noi, che non avevamo praticamente nessuna possibilità di scelta perché l’alternativa era una, ed obbligatoria per tutti. Però, i ragazzi che ho incontrato ieri mi hanno proprio deluso. Li ho incontrati mentre passeggiavo tranquillo, io sul marciapiedi e loro in mezzo alla strada. Sì, perché sfilavano in manifestazione per difendere il loro diritto di essere studenti nonostante nuove e sempre più assurde leggi governative. E a vederli lì, compatti e decisi a non farsi prendere per i fondelli, mi sono commosso: anche perché sfilavano per lo stesso viale che, troppi anni fa, immortalò me ed i miei compagni partigiani al momento della liberazione della città. Così, me ne sono rimasto lì a guardarli; e sono scattato, quasi istintivamente, sull’attenti, perché volevo dimostrar loro rispetto e partecipazione nonostante la differenza di età ci renda parte di due mondi diversi. Ma, ormai passato

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apocalypse snow

Le foto che impreziosiscono l’articolo sono una gentile concessione di Gosia Ciska (perszi on Flickr)

federico longoni federico.longoni@yahoo.it

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ono solo. Davanti a me soltanto neve, tutto è bianco: le cime delle montagne in lontananza, le maestose conifere che mi circondano, le piccole casette di legno che ogni tanto incontro e supero. Da quando sono partito, l’unica compagna di viaggio è la musica. In questo momento sto ascoltando Trains, dei Porcupine Tree. La dolce chitarra acustica sembra voglia dirmi di sorridere, di pensare che una speranza c’è ancora, di guardare dritto avanti e non abbattermi. Io però vedo solo una distesa di neve. Poi scorgo uno scintillio, e osservando meglio noto che da sotto la neve spunta un binario, lucido e pulito come se non fosse mai stato percorso. Decido di seguire il binario e, mentre continuo ad ascoltare la canzone, un benjo radioso fa esplodere la natura in tutto il suo splendore. Le orme di un animale, i ghiaccioli trasparenti che pendono dai rami degli alberi, i licheni inerpicati sulle rocce aguzze. Dopo averlo percorso per qualche centinaio di metri, il binario s’interrompe, così come la canzone che stavo ascoltando. Mi siedo per qualche minuto, giusto il tempo di riposare un po’. Il sole sta tramontando, il buio comincia ad avvolgere tutto. Sento le prime note di Collapse The Light Into Earth, altro brano dei Porcupine Tree. Non c’è titolo più adatto per questo momento, e non c’è musica più adatta per infondermi malinconia, tristezza, solitudine. Il pacato pianoforte che fa da base, la voce piena e rotonda del cantante, un’intera orchestra di archi che esplode a metà brano fanno sì che le mie emozioni scaturiscano tutte insieme. Le prime stelle iniziano a scintillare nel cielo nero, e la luna piena si specchia nelle acque tranquille di un piccolo laghetto mezzo congelato non lontano da me. Questa scena spettacolare e la canzone struggente mi regalano un momento unico. Il mattino seguente, infreddolito e spaesato, mi guardo intorno e decido di ripartire verso quella meta che forse un giorno raggiungerò e che forse mi farà sentire salvo. Accendo il mio unico compagno di viaggio, e parte la musica. In I Am The Morning, brano degli Oceansize, quattro chitarre si rincorrono: la prima, un po’ tremolante, quasi titubante, poi altre due, più solide, parallele ma complementari, e in sottofondo una chitarra acustica che suona tranquilla. Il sole sale velocemente, riscaldando con i suoi raggi tutto l’ambiente congelato intorno a me. Anche la natura si risveglia, e quattro scoiattoli escono dalla loro tana per raccogliere le poche provviste ancora disponibili. Mi attraversano la strada veloci, senza neanche accorgersi della mia presenza. I quattro teneri animaletti sembrano essere in simbiosi con le quattro chitarre della canzone, stesso ritmo, stessa grazia. You Wish è un colpo allo stomaco, una carica di energia. Il primo riff di chitarra quasi metal e la voce aggressiva del cantante degli Oceansize mi invadono il cuore di forza. Inizio a correre, dalla mia bocca escono bianche nuvole di fiato. Corro, schivando i secchi fusti degli alberi morenti; il secondo muro sonoro di questo brano, potentissimo ed estremo come il primo, mi fanno correre ancora più veloce. Incespico più volte, inciampo, ma subito mi rialzo e

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o Playlist DAVIDE SPILLARI

ricomincio a correre. Poi, improvvisamente mi fermo. Decido di riposarmi per qualche minuto, e nel frattempo ascolto le note di un piano avvinghiate a un ritmo elettronico sghembo. È I Swallowed Hard, Like I Understood dei 65daysofstatic. Anche in questa canzone, un muro di suoni si staglia e mi martella il cervello. La chitarra elettrica pare una presenza oscura che si nasconde, poi all’improvviso si mostra in tutta la sua imponenza e poi di nuovo scompare dietro l’ipnotica batteria elettronica. Riprendo la mia corsa, e la melodia onnipresente di un pianoforte comincia senza preavviso. Aren’t We Running? mi invade il cervello. Alla mia destra appare una figura che corre come me, alla stessa velocità. Alla mia sinistra poi, altre persone disperate che corrono, si affiancano a me e mi trascinano lungo l’intricato bosco, e lo sguardo che ricevo è di complicità. L’assolo della batteria in duetto con la base elettronica dei 65daysofstatic mi dà la forza di avanzare a grandi passi verso una spiaggia che appare di fronte a noi. Poi ci fermiamo. Ansimanti, infreddoliti ma felici. Sì, felici, perchè davanti a noi si apre il bosco, e la vista del mare quasi nero, le sue acque gelide e tempestose ci fanno capire di essere finalmente salvi. Inizia la gioia, finisce la musica.

Natale è un’icona punk. Questo è stato dimostrato dai Ramones e dalla loro versione di Merry Christmas. Altro che Bianco Natale o Astro del Ciel, scordiamoci Babbo Natale, l’albero e i pastori, a Natale solo le chitarre elettriche distorte, i chiodi di pelle, creste verdi, sputi, birra e le borchie! Natale è punk!


2009

best of

The Resistance

Muse Brani consigliati: Exogenesis: Symphony Part I (Overture) Exogenesis: Symphony Part II (Cross Pollination) Exogenesis Part III (Redemption)

Tempi Bui

Ministri Brani consigliati: Il Futuro È Una Trappola La Faccia Di Briatore Berlino 3

Primary Colours The Horrors Brani consigliati: Mirror’s Image Who Can Say Sea Within A Sea

Humbug Arctic Monkeys Brani consigliati: Crying Lightning Dance Little Liar Pretty Visitors

White Lies For Dark Times Ben Harper & Relentless7 Brani consigliati: Number With No Name Shimmer & Shine Fly On Time

ROCK PASSION federico longoni federico.longoni@yahoo.it

A Natale siamo tutti più buoni, e così anche questa rubrica si addolcisce. Nel 1994 esce un album che lascerà un’impronta indelebile nella storia della musica, un album che raccoglierà consensi in tutto il mondo e segnerà la breve e tragica vita di un giovane cantautore americano: Jeff Buckley. Grace, questo il titolo dell’unico disco inciso da Jeff, è un capolavoro che emoziona dalle prime note. Rabbia, dolore, ma anche dolcezza e sensibilità si intrecciano nelle canzoni come se fossero inseparabili, e l’ascoltatore rimane estasiato dalla eterea voce da angelo di quel giovane ragazzo introverso e scorbutico, ma estremamente talentuoso. Già dalla prima traccia, Mojo Pin, Jeff ci regala i suoi gorgheggi e ci lascia senza fiato, ma è solo l’inizio. Chi ascolta Grace, la title track, per la prima volta, fatica a credere che questa canzone sia opera di un umano; la melodia, le parole, la voce sembrano provenire da un altro mondo. Jeff Buckley raggiunge quasi la tonalità del falsetto, mantenendo comunque la grinta tipica di chi ha il rock nel sangue. L’eredità musicale del padre, il compianto Tim Buckley, spicca in Lilac Wine, ballata strappalacrime figlia del cantautorato americano di fine anni sessanta di cui Tim fu uno dei maggiori esponenti (insieme all’altrettanto compianto Nick Drake). Per contro, la successiva So Real emana invece un sapore grunge tipico dell’epoca in cui uscì questo capolavoro. La perla dell’intero album è però una cover di Leonard Cohen, la celeberrima Hallelujah. Perfetta per questo clima

natalizio, con la flebile chitarra acustica che ci culla in quasi sette minuti è la testimonianza di come Jeff Buckley avesse nel dna la musica. La sua voce sublime è ipnotica, suscita delle emozioni indescrivibili a parole. L’unico consiglio per chi non conoscesse questo brano è di ascoltarlo ripetutamente lasciandosi trasportare dalle note, è un’esperienza unica. Nell’album c’è spazio addirittura per un pezzo di ispirazione liturgica: Corpus Christi Carol. Un’esile chitarra fa da sfondo alla voce sussurrata, che crea l’atmosfera molto natalizia. La fine della storia di Jeff Buckley è triste. Nel maggio del 1997 si reca con un amico, dopo un’intensa giornata passata a registrare i brani per quello che sarebbe dovuto essere il secondo album di Jeff, sulle rive del Mississippi, per rinfrescarsi. Jeff si tuffa completamente vestito, e in pochi minuti le onde lo travolgono, impedendogli di tornare in superficie. Il corpo senza vita di Jeff viene trovato una settimana dopo a qualche centinaio di metri dal luogo dell’incidente, e il patologo dichiarerà che il cantante non aveva assunto nè droghe nè alcol. Finisce così, a soli 31 anni, la vita di Jeff Buckley, una delle più grandi voci di tutti i tempi, un cantautore che resterà nella storia per aver pubblicato un solo album, Grace, capace di toccarci nelle profondità più remote dei nostri cuori. Grace rimarrà per sempre una pietra miliare del rock irraggiungibile e intoccabile. E al cenone di Natale, mentre con amici e parenti mangerete di tutto e di più, mettete su questo cd, vi scalderà l’anima.

let me go

Li ho conosciuti nel 2002. E tutto mi è sembrato improvvisamente diverso. Pain Of Salvation, la mia chiave di volta. Progressive metal dalla Svezia come non lo avete mai sentito, perché Anna Pini con loro si va oltre la musica, cadono finalmente le gabbie stereotipate che li vorrebbero grezzi e tecnici: metallari disadattati, brutti, sporchi e cattivi. No, Daniel Gildenlow (lead voice) e compagni si spogliano di ogni ostentazione, rinunciando al facile virtuosismo per fare musica vera, col “cuore disegnato sulla camicia” diceva Gottfried Benn. Remedy Lane è l’album che consiglio a tutti quelli che hanno bisogno di ritrovarsi, che sanno ancora apprezzare la dolcezza e la poesia anche là dove sembra occultata e nascosta. Amore, solitudine, rabbia, dolore vorticano ed esplodono nelle parole e nella musica di questa impareggiabile band, che ci racconta nell’album che ormai tutti dovrebbero avere,la storia di un viaggio alla riscoperta di sé. Lo stesso viaggio che prima o poi, tutti dovremo percorrere.

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SCHEDA

Titolo originale: Vincere Paese: Francia, Italia 2008 Genere: Drammatico, Storico Durata: 128 Min Formato: Colore 35mm Regia: Marco Bellocchio Sceneggiatura: Daniela Ceselli, Marco Bellocchio Attori principali: Giovanna Mezzogiorno, Filippo Timi, Fausto Russo Alesi, Pier Giorgio Bellocchio Fotografia: Daniele Ciprì Montaggio: Francesca Calvelli Musiche: Carlo Crivelli Produzione: Offside, Rai Cinema, Celluloid Dreams

Carolina pernigo

È

un giovane Mussolini, violento, determinato ed egoista, quello che ci presenta Marco Bellocchio nella sua personale rilettura delle origini del fascismo. Direttore dell’Avanti!, ma già insoddisfatto delle idee socialiste che tanto strenuamente ha sostenuto in passato, il futuro Duce alimenta la propria sfrenata ambizione e matura il progetto di un nuovo giornale, Il Popolo d’Italia, schierato su posizioni radicali e interventiste. Solo grazie al denaro della sua amante, Ida Dalser, che con un atto di cieca generosità vende tutto quanto possiede per consentirgli di realizzare il suo sogno, Benito può raggiungere il proprio obiettivo. D’altro canto, l’adorazione sconsiderata della donna e la prepotenza dell’uomo appaiono gli elementi costituitivi di una relazione che si configura fin dall’inizio come improntata ad una smodata passione. È il volitivo, giovane Mussolini a costituire il polo dominante della coppia, a dettarne le regole e sancire l’inizio e la fine dei consessi amorosi. In una serie di bollenti incontri erotici – in cui la cinepresa di Bellocchio indugia da vicino su ogni dettaglio – risulta evidente il differente coinvolgimento dei due: lei lo stringe spasmodicamente, sussurra parole d’amore; lui, quasi indifferente, ha lo sguardo perso nel vuoto, già proteso verso il domani. Dopo le sequenze iniziali, tutto si confonde e il film accelera al ritmo della Storia, che si fa frenetica. Soltanto fugacemente lo spettatore apprende del matrimonio celebrato in chiesa, con una splendida Giovanna Mezzogiorno radiosa in abito bianco e un Filippo Timi stranamente – e inquietantemente – sorridente. Ancora più in sordina passa il riconoscimento da parte dell’uomo del figlio nato dall’unione, il piccolo Benito Albino. Nel rapidissimo accostamento di scene di vita politica e di vicende personali, diventa difficile distinguere ciò che è reale da ciò che invece è proiezione del desiderio e della speranza di una mente innamorata. Mussolini, ormai Duce d’Italia, diviene per il popolo un ideale, irraggiungibile come un’icona, non più rappresentabile se non attraverso i filmati storici. Nella seconda parte della pellicola, in

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UP

di Pete Docter e Bob Peterson (Stati Uniti, 104’)

IL NASTRO BIANCO di Michael Haneke (Austria, Germania, Francia, 144’)

bilico tra una caustica presentazione delle vicende storiche che ne dimostra la tragicità e il dramma di quelle umane, la scelta stilistica di Bellocchio sottolinea l’inattacabilità di un fenomeno che ha segnato le sorti dell’Italia, il fascismo. In un clima di violento contrasto politico e ideologico, il dissenso non è ammesso, così come non è ammessa l’esistenza di chi vuole ricordare al Duce il suo passato. Ida Dalser, che grida a gran voce la propria storia, il proprio amore, e rivendica con forza piena dignità per il figlio Benito Albino, deve essere schiacciata, ritratta come folle, perché la sua presenza contrasta con l’auto-rappresentazione gloriosa di sé che Mussolini vuole promuovere. Vincere rappresenta così, in realtà, la storia di una duplice sconfitta: quella dell’Italia – nella guerra e non solo – e quella di un’individualità stritolata dai meccanismi del potere. Con una sagace alternanza delle scene, Bellocchio mette in evidenza la forza – seduttiva non meno che coercitiva – del sistema e porta lo spettatore a rimettere in discussione le proprie certezze. Alla fine dei conti, anche il pubblico finisce per interrogarsi sulla pazzia di Ida e prova un’inevitabile compassione per Benito Albino, l’ennesima vittima innocente della Storia. Interpretato dallo stesso Filippo Timi che nelle prima parte del film aveva altrettanto intensamente rivestito il ruolo del padre, il giovane figlio del Duce manifesta con sferzanti imitazioni la propria opposizione al regime ed è pertanto destinato all’internamento, così come la madre. La colpa di entrambi è di aver parlato troppo. Alcune scene di alto lirismo (Ida attaccata alle grate del manicomio, mentre getta sulla strada sottostante lettere che l’autorità non leggerà mai e che planano sull’asfalto mescolate ai fiocchi di neve) non bastano a mitigare la crudezza di una rappresentazione il cui finale, con il procedere del film, appare sempre più scontato. Il film di Marco Bellocchio giunge in coda ad una lunga serie di altre pellicole dedicate alla figura del Duce e al fenomeno del fascismo. Dall’indimenticabile parodia eseguita da Jack Oakie in Il grande dittatore (1940) di Charlie Chaplin, la cui proiezione fu proibita in Italia fino al crollo del regime, a Mussolini ultimo atto (1974), giudicato negativamente dalla critica e destinato a raccontare gli ultimi giorni della vita di Benito, interpretato da Rod Steiger. Lo stesso attore incarnerà il Duce anche in Omar Mukhtar - Il leone del deserto (1980), opera estremamente contestata per la schiettezza – considerata inaccettabile – con cui veniva rappresentata la violenza nella conquista della Libia da parte delle Milizie mussoliniane. Proposto in anteprima al Festival di Montecatini nel 1983, il film fu poi chiuso in un cassetto e ancor oggi la sua diffusione in Italia pare un miraggio lontano. Particolare raffigurazione del periodo storico dei totalitarismo europei, dal forte significato simbolico e allegorico, è invece Salò o le centoventi giornate di Sodoma (1975).di Pier Paolo Pasolini. Io e il duce (1985), film storico con un cast d’eccellenza che annovera tra i suoi partecipanti Anthony Hopkins e Susan Sarandon, guarda agli eventi da un’altra prospettiva, narrando dei complicati rapporti che legavano Mussolini e il genero Galeazzo Ciano. Al 1999 risale infine Un tè con Mussolini di Franco Zeffirelli, in cui gli anni drammatici della guerra vengono raccontati in chiave spiccatamente sentimentale. In un panorama vasto e complesso, di cui non si può che presentare una traccia parziale e approssimativa, l’ultima opera di Marco Bellocchio si configura come una lettura originale di una fase generalmente poco considerata nella storia di Benito Mussolini. D’altro canto, però, la velocità eccessiva degli scorci – mai spiegati – rende difficile seguire il film e comprenderne il significato se non si ha una preparazione precedente sull’argomento. NEMICO PUBBLICO BASTARDI SENZA GLORIA di Michael Mann (Stati Uniti, 143’)

di Quentin Tarantino (Stati Uniti, 153’)

Gli ultimi film visti dalla redazione


Piccoli, grandi editori elisa zanola

“Il tempo per leggere, come il tempo per amare, dilata il tempo per vivere”: con un doppio invito-citazione di Daniel Pennac, si è aperta lo scorso novembre, la settima rassegna della microeditoria di Chiari (Brescia), dedicata alla poetessa Alda Merini, recentemente scomparsa. Un punto di partenza importante per una riflessione sui piccoli editori italiani. Ci sono editori voraci, editori come Mondadori che cannibalizzano il mercato editoriale italiano mettendo sotto copy-right alcuni dei migliori cervelli in circolazione e lucrando non poco sull’attività di trasmissione della cultura. Del resto un libro è sempre, insieme ad un oggetto del sapere, anche uno strumento di investimento. Le copie vendute devono giustificare i costi, il volume deve riuscire ad arrivare tra i top o i best seller per ripagare ampiamente le spese di stampa e distribuzione. In questo modo però spesso le letture più di nicchia, le letture più raffinate, che non hanno mercato, non solo rischiano di non avere più lettori, ma nemmeno editori che abbiano il coraggio di stampare libri poco vendibili. E altrettanto spesso i nuovi autori non riescono a trovare dei canali efficaci per diffondere il loro pensiero. Nei Megastore dell’editoria moderna tutto deve essere facilmente fruibile, le letture sono preferibili se poco impegnative e possibilmente devono essere digeribili e degustabili dai più. Libri golosi, libri colorati, libri attraenti, dalle mille forme, che catturano l’occhio ma spesso lasciano insoddisfatta la mente. Perchè in queste strategie di mercato, purtroppo il valore letterario non viene preso granché in considerazione. Certo, i titani della letteratura di ogni tempo vengono sempre pubblicati e sarebbe raccapricciante pensare che un giorno Proust piuttosto che Montaigne o Cervantes potrebbero non venire più editi perché i lettori preferiscono a loro il Moccia o la Melissa P. di turno... Eppure anche questo è un rischio della massificante mercificazione della

cultura. Una soluzione contro la scomparsa di letture con poco mercato, allora, ci viene dall’energica, indefessa, strenua attività dei microeditori. Piccole realtà editoriali, nate spesso più per vocazione e amore della conoscenza che per lucrare sui prodotti intellettuali. Certo, qualche guadagno deve venire anche a loro, altrimenti, nelle logiche di mercato attuale, loro, come i loro prodotti culturali, avrebbero vita breve. Tempio di questa microeditoria attiva, che sopravvive alle difficoltà grandissime della produzione culturale non su larga scala, è stata per tre giorni l’elegante Villa Mazzotti di Chiari (Brescia), che dal 13 al 15 novembre scorsi ha raccolto decine e decine di piccole case editrici sparse in tutta Italia. Dalla combattiva Stampa Alternativa, a Libere edizioni, fino a Meridiano Zero o Edizioni clandestine… Tanti libri, tanti progetti, tante proposte. Non solo di editoria cartacea, ma anche di editoria elettronica, che presto, forse, per i costi più contenuti e la più ampia diffusione, potrebbe in parte sostituire (noi, speriamo che continui ad affiancarsi a quella tradizionale) quella cartacea. E’ stata anche presentata una nuova libreria on-line, pensata appositamente per gli editori, ILOVEBOOKS.IT. Il digitale sembra rappresentare il futuro più appetibile per molti, soprattutto dopo le linee di tendenza inaugurate dal gruppo L’Espresso con Ilmiolibro.it che rende possibile ad ogni autore di improvvisarsi editore e pubblicare a costi contenuti il suo libro. Non dimentichiamo poi gli audio books, un modo alternativo di percepire i libri, prediligendo l’aspetto dell’ascolto rispetto a quello della lettura. E anche a Chiari sono stati presentati due audio books, editi da Verdechiaro edizioni: Siddharta di Herman Hesse e il Gabbiano

Jonathan Livingston di Richard Bach. Si è potuto toccare con mano formati nuovi (spesso microscopici, altre volte di forme inconsuete e attraenti) e sperimentare metodi innovativi con cui vengono proposti i nuovi prodotti dell’editoria. Si accennava prima al fatto che merito dei piccoli editori è anche quello di selezionare nuovi autori e fare poi da tramite tra di loro e il mercato più vasto, su scala nazionale o mondiale. Spesso infatti sono le piccole case editrici a proporre a quelle più grandi gli autori emergenti. Gli editori maggiori preferiscono spesso pubblicare libri di sicuro successo e per farlo devono rivolgersi ad autori già noti. Il ruolo di talent scout, quindi, è molte volte svolto da realtà piccolissime che con energia e investimenti di tempo, soldi ed inventiva, riescono a dare ai loro autori l’attenzione di un pubblico più vasto. Fondamentali per far conoscere e apprezzare le ultime novità editoriali, sono soprattutto gli incontri con gli autori. Anche a Chiari c’è stato un susseguirsi di dibattiti e conferenze durante le quali venivano proposti dagli scrittori alcuni dei libri esposti durante la rassegna. Il “metodo Fazio”, che in televisione è stato inaugurato da “Che tempo che fa” su Raitre e che pare avere successi editoriali stratosferici, per l’autore invitato, non rende meno, anche se su scala minore, se, in assenza del teleschermo, è l’autore in persona a presentare al pubblico dei potenziali lettori la sua opera. Paradossalmente un’editoria che punta ad essere sempre più telematica, digitale, elettronica e multimediale, deve fare i conti con gli autori in carne ed ossa, esponendoli, come in un atto sacrificale, ad un pubblico sempre affamato di nuove conoscenze e di nuove suggestioni letterarie.

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I

stanbul, sabato mattina. Mi sveglio non naturale, mi sento piccola, ma non mentre fuori il richiamo a caso. Fu proprio questa l’intenzione cantilenato del muezzin degli architetti bizantini: manifestare Barbara Scafuro rompe il silenzio della città. attraverso l’uso consapevole dell’arMi avvicino alla finestra, chitettura e della luce, l’idea di Dio, ascolto incantata mentre guardo della divinità. fuori e vedo le acque tranquille del Visito l’interno di Santa Sofia più di Bosforo che uniscono la zona europea una volta, cammino lentamente, cercando di in cui mi trovo, all’asiatica, tanto vicina cogliere i particolari più nascosti, ma è impossibida poter distinguere cupole e minareti di moschee. le, ogni volta i miei occhi scoprono una meraviglia Immagino così quel lontano aprile del 1453: nume- nuova, anche se i segni del tempo sono evidenti. Imrosissimi uomini pronti alla conquista di questa linmagino, allora, quanto dovesse essere suggestiva gua di terra famosa ovunque per le sue meraviglie, in origine l’atmosfera qui dentro: colonne in costoso sono lì pronti, al di là del Bosforo, tra fuochi e fumi porfido o marmo verde della Tessaglia, impreziosite che rendono l’aria caliginosa. È l’esercito ottomano, da capitelli finemente scolpiti, pareti ricoperte di guidato da Mehemet II Fatih “Il Conquistatore” che marmi pregiati e lucidi, stucchi e mosaici dorati con pone fine all’ Impero romano d’Oriente. tessere poste di taglio in modo da farle reagire alla Inizia così una nuova epoca per questa città, che da luce e ancora, le lampade ad olio, appese a lunghe Costantinopoli viene ribattezzata Istanbul e diventa catene che scendevano dal soffitto. la nuova capitale dell’impero ottomano. Oggi è rimasto ben poco di tutto questo. I marmi non Ho a disposizione solo un giorno per poter cogliesplendono più come una volta, e i mosaici sono stati re l’essenza di questo luogo, e decido di partire da in gran parte sostituiti da decorazioni con motivi SANTA SOFIA o meglio, come la chiamano tutti aniconici (cioè privi di raffigurazioni umane e aniqui: AYASOFYA. In origine era una chiesa cristiamali); si conservano tuttavia frammenti di mosaici na eretta nel IV sec. per volere di nella zona absidale e nelle tribune Costantino, venne ricostruita nella superiori della basilica, dove vi prima metà del VI sec. su commissono raffigurazioni di personaggi sione dell’imperatore Giustiniano sacri cristiani, che esprimono e sotto la direzione degli architetti l’altissima maestria degli artigiani Antemio di Tralle e Isidoro di Mibizantini. leto. E’ un caso eccezionale che si L’abside mi riporta a quel lontano mantenga la memoria di questi due 1453 quando in seguito alla conartisti, perché nella storia artistica quista ottomana, la chiesa venne bizantina si conoscono pochissimi trasformata in moschea, l’altare nomi, ma la straordinarietà del loro progetto rende venne tolto e vennero inseriti il Mihrab (una sorta comprensibile questa eccezione. di abside che, in una moschea o dovunque si voglia Santa Sofia oggi è un museo, la sua struttura pregare, indica la qibla, ovvero l’esatta direzione di esterna è incorniciata da quattro minareti ottomani Mecca) e il Minbar (originariamente una sedia alta costruiti dopo il 1453, quando la chiesa fu trasforcon te gradini utilizzata da chi teneva il sermone, mata in moschea spiegava o leggeva ad alta voce), mentre immagini La pianta ha probabilmente ricalcato quella della sacre e i mosaici parietali furono intonacati e sui prima basilica costantiniana del IV sec. e fonde possenti pilastri della cupola furono disposti giarmoniosamente il rettangolo entro il quadrato. ganteschi medaglioni lignei recanti i nomi dipinti in L’ingresso è preceduto da un doppio atrio e l’interno oro di Allah, Maometto, Ali e dei califfi “guidati dal è suddiviso da tre navate delineate da arcate a due diritto”. piani che ci conducono verso l’abside, immersa nello E’ trascorsa un’ora e mezza senza che me ne rensplendore dei rivestimenti dorati. dessi conto, mi dirigo verso l’uscita e mi sento forL’impianto non differiva molto da quello di altre chie- tunata per avere avuto l’occasione di visitare questo se a pianta longitudinale già esistenti, ma una parti- luogo meraviglioso che ha conservato nel corso dei colarità rendeva già allora speciale questa struttura: secoli espressioni della civiltà cristiana e della civiltà la navata centrale luminosissima e molto ampia, è islamica antica. La cultura del passato giunge fino a sormontata da una enorme cupola, sostenuta verso noi, testimoniando non solo la maestria artistica delest e verso ovest da due semicupole, a loro volta le manifatture, non solo la finalità delle committenze sorrette da quattro quarti di cupole. Varcando l’ine cioè, la manifestazione della propria supremagresso, la suggestione è quasi metafisica: la cupola, zia, del proprio potere, della propria magnificenza, alla cui base è posta una serie fittissima di finestre, intento che non muta nel tempo e nello spazio; ma sembra essere sospesa nella luce, sembra lievitare soprattutto che l’ARTE può essere uno strumento nel vuoto. di comunicazione e di commistione anche tra due Ho l’impressione di essere dinnanzi a qualcosa di culture così profondamente differenti.

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ARTE


INVIATE I VOSTRI RACCONTI (massimo 50 righe), POESIE, CITAZIONI A: zanola.elisa@libero.it per il futuro, Nero vuole fare ai suoi lettori un dono un po’ particolare. Da appendere ai rami del dissenso, per nutrire, con questi versi, l’albero della propria indignazione civile. Non sono ninnoli, ma colpi di cannone, che vogliono riuscire ad attraversare la coscienza di noi studenti, per lasciarne un segno, indelebile. Per un’ idea diversa di Natale, per un Natale non consumistico, per un Natale laico, per un Natale controcorrente, per un Natale dove non si cantano le solite nenie, ma si preferisce protestare. Attraverso la poesia. Cercando insieme quella dimensione irrinunciabile di “libertà condivisa”...

I Uscite, uscite con entusiasmo, impugnate vi supplico le vostre trombe, i vostri violini, le vostre chitarre gitane, i vostri tamburi colorati di vita. Uscite dal grigiore, la vostra mente ha necessità di spazio, di cieli senza ricatti. Gridate le vostre esigenze, dormienti da lungo tempo, urlatele prima che imputridiscano nello scandaloso scivolo dell’indifferenza. I denigratori della libertà si tuffano nel fango della perversione sociale di “tutti contro tutti”, giovani afferrate il futuro prima che venga compromesso, prima che la dignità si muti in servaggio. Uscite, gridate, suonate, avanzate compatti come foste Alta Marea. II Gli ammaestratori stanno ultimando il progetto di dannazione per la seconda generazione: i labari dei precari vengono esposti in fiere di maschere contadine dove predicatori consumisti con acquasantiere-eternità ricevono una scimmia a tracolla dorata per la quantità di vittime prodotte. Apri la serranda sulla foresta pluviale, l’aria si filtra dal verde intricato dai richiami nascosti, dall’odore muschiato vivace e dall’urlo liberatorio che levi al cospetto dei colori sparsi di guerra.

di

rubrica

parole

2

Da Σ, inserti volatili e derivati

NERO a cura di: Elisa Zanola

I l Natale si avvicina e in questo periodo di buoni propositi e aspettative

III Quale percorso effettuerà il passo di danza non è dato conoscere, l’alterazione della valvola cardiaca, i tempi voraci, l’oscura identità, ingranaggi poco oliati nell’incuria del bel tempo passato. Eccovi un setaccio per i vostri errori dove raccoglierete le serpi del presente. L’asteroide degl’istinti trascina nella Roma consolare i nuovi circensi, le icone irridenti che male si addicono al lustro della Repubblica. Eccovi al bivio della scelta coraggiosa, cittadini, ovvero la consapevolezza di proporsi difensori di libertà condivisa. Giorgio Maria Bellini

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Martedì 15 Dicembr

olo dei lettori i muri” ie m degli Studenti, il Circ “I io igl o ns ic f Co il a , ta r ra g eg o in occasione istca, int Concorso fot l tema “I miei muri” partimento di Lingu n il Di tografico su in collaborazione co za un concorso fo niz ga or un La Biblioteca Frinzi za niz rdì 11 dicembre. senza frontiere orga ne delle opere: Vene zio ta en es di Verona e Medici pr di za Berlinese”. Scaden dell’evento “Sinfonia

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FRANCA

ARCI KROENe VILLA

Venerdì 11 dicembr RDS NIGHT NS OF VESTA RECO LISTEN TO THIS: SO SED A FLOWER KOLLAP | Sons of Vesta | IT) nk pu t os /p re (math co sta | IT) /Scream | Sons of Ve + MAGDALENE (Indie e Sabato 12 dicembr ZION present FU IN & IA AR CASTAP DREAD LION HI-FI (dub/reggae | IT) ggae/dub) D SYSTEM dj set (re + CASTAPARIA SOUN ) ss ba INFUZION (drum’n‘ + FASO & FRISCO |

Ven 11/12/2009 Filmmakersgroup | edizione: Zapruder ld (Hüsker Dü, MUSICA | Bob Mou | 9 00 /2 /12 12 b Sa | solo performance) an: à elle vide_ ATRO | Are We Hum TE | 9 00 /2 /12 18 n Ve Dewey Dell | ck Party (dj SET | Christmas Ro DJ | 9 00 /2 /12 19 b Sa set_IT)! | man: (A+B)3_ ATRO | Are We Hu TE | 0 01 1/2 /0 29 n Ve Muta Imago |

sic Hall Il Blocco Mbru e ore 21:00 – 00:00

e Venerdì 18 dicembr A n SQUADRA OMEG co T GH NI chives/Vuoto | IT) PSYCHO ini Holidays/Cl cal Ar | ck ro e ac sp c/ eli (psyched cords | IT) (psycho funk | Tan Re + CHUPACONCHA e Sabato 19 dicembr .6. feat. MAGNUM38 6.6 EN RO OK ELECTR | GER) (electro | Shitkatapult | IT) e (electro/new wave ANTENNA TRASH liv lectro/techno) (e N al | IT) + D.IRO m ini (m t se e liv EQ + ANTIT chno) + Dj MULL (electro/te

Domenica 6 dicem SS VERONA IN PROGRE con cover progressive metal al a at dic de ta ra Se originale dei YtsejamKR e musica gli de r te ea Th m ea Dr i Methodica, est in apertura serata gu ial ec sp , its pir ins Tw ! band prog di Verona

ssela Vinicio Cape o ro Filarmonico alle ore 21.00 al Teat Lunedi’ 7 dicembr

torie Teseatro Filarmonico Elio e le Sall e ore 21.00 al Te Lunedi’ 1 febbraio

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