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Editoriale NEXT LIFE Spa info@next-life.it - www.next-life.it PRESIDENTE Paolo Fimiani DIRETTORE GENERALE Loredana Bruscia DIRETTORE FINANZIARIO Carlo Pinna ________________________________ N.L.D srl DIRETTORE RESPONSABILE Riccardo Palmieri r.palmieri@nextfamily.it SEGRETERIA DI REDAZIONE Angela Girardelli ART DIRECTION IMPAGINAZIONE E GRAFICA Fabio Passi grafica@nextleveldistribuzione.it IN REDAZIONE Ilaria Dioguardi - Maria Nicoletta Tulli Stefano Firrincieli redazione@nextfamily.it HANNO COLLABORATO Ambra Blasi - Enzo Giannelli Anna Sofia Viola - Luigi Bonelli Jacopo Di Daniele - Carmelo Schininà Lucio Tirinnanzi - Virginia Di Marno Marco Gasparotti - Andrea Vitulano FOTOGRAFIE 20th Century Fox - 01 Distribution COPERTINA 20th Century Fox ________________________________ STAMPA E FOTOLITO Tipolitografia Trullo srl - Roma DISTRIBUZIONE e ABBONAMENTI abbonamenti@nextleveldistribuzione.it PUBBLICITÀ adv@nextfamily.it ________________________________ INTERNATIONAL PUBLISHING ACTIVIRTUAL Corporation 500, Main Street North Little Rock - AR 72114 United State of America DIRECTOR Matthew Charles Stokes MARKETING MANAGER Peter Grevs PRODUCT MANAGER Sally Abbruscato
Reg. Tribunale di Roma n. 317/2009 in data 18/09/2009 Tutti i diritti di proprietà artistica e letteraria della rivista sono legalmente riservati. Ad eccezione di casi espressamente autorizzati dalla redazione, l’utilizzo da parte di terzi di materiale letterario o artistico contenuto nella rivista è severamente vietato e legalmente perseguibile. La redazione non assume responsabilità per prezzi, indirizzi e numeri telefonici pubblicati all’interno della rivista.
Anno nuovo, vita futura iente di meglio che un magazine unico: dedicato al Web e alla Famiglia, due missioni editoriali insieme invece di una... per presentarvi la rivista del futuro. Oggi. E non è solo il kolossal filosofico-fantascientifico di James Cameron, Avatar, con cui si è aperto il 2010, a guidare i nostri passi: quel “2” iniziale suona già di per sé un’accelerazione metafisica nel codice binario. Come amiamo ripetere, in una sorta di mantra oltre che accanto al nome della nostra testata, il futuro è un’invenzione del presente. È ora che gettiamo le basi per progettare il domani, dunque il presente pulsa di attività, idee, novità potenziali, buoni propositi. Sono alcuni di questi ad averci spinto a dedicare il primo numero dell’anno nuovo (forti di un 2009 in cui abbiamo testato i nostri temi-cardine presso i lettori abbonati) al cinema. Furono curiosamente i Fratelli Lumière, nel 1895, poco tempo dopo aver lanciato il loro cinématographe, a definire infatti il loro brevetto “un’invenzione del futuro”. Grazie a loro abbiamo voluto declinare il motto della testata. E il cinema è ancora protagonista nella nostra vita, orientando gusti, attitudini o semplici sensazioni, con il suo suggestivo potere e soprattutto, dopo il perfezionamento del 3D, delle nostre visioni. Perché Avatar ha cambiato davvero il nostro modo di vedere, ma anche di intendere, almeno una buona parte dei nostri pensieri. Il mondo reale è dunque sempre più prossimo a quello virtuale, e non stiamo parlando solo del pianeta Pandora che accoglie le avventure dei personaggi del film di Cameron, ma del nostro Pianeta telematico, il web, la Rete, dove social network e mondi virtuali, universi paralleli sempre più mescolati alla realtà hanno finito per generare quella che è chiamata, innanzitutto dagli esperti del settore, la “realtà unica”. L’interscambio continuo, sempre più proficuo e diversificato, tra il reale e il virtuale porta a stimolare nuove forme di creatività, connessione, dialogo, economia, business. Nuove strategie di comunicazione vedono il consolidarsi o il riposizionarsi dei mondi virtuali ormai esistenti e la nascita di nuove realtà. Tra queste la differenza su tutte la fa thenextworld.it, primo autentico mondo virtuale in 3D, interamente italiano ed estremamente facile da scoprire e vivere. Ad esso abbiamo dedicato il nostro allegato, la Guida completa dell’utente avatar, residente-esploratore di un nuovo mondo, di un nuovo modo di giocare e di lavorare. Si allargano le famiglie così come si ampliano gli orizzonti della tecnologia e Next Family è sempre pronta a cogliere il mutamento. Dal grande cinema al click del mouse il passo è diventato molto più breve di quello compiuto da Neil Armstrong sulla Luna 41 anni fa. Buona (doppia) lettura! Riccardo Palmieri
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social network,
mondi virtuali, universi paralleli. La nostra realtà
diventa sempre più...
UNICA
” www.nextfamily.it
sommario MONDI PARALLELI. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16 Un pieno di memoria di Ilaria Dioguardi NEXT GENERATION . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22 Si fa presto a dire family di Maria Nicoletta Tulli TOTEM&TABU’ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28 Le relazioni pericolose di Riccardo Palmieri
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FUTURAMA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34 Top 10 Tech di Lucio Tirinnanzi ALTRE FAMIGLIE. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 38 Se il web diventa un muro di Carmelo Schininà NUOVI SAPERI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42 Dottor Mouse di Maria Nicoletta Tulli CONTRASTI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46 Il sesso è dio di Riccardo Palmieri COVER STORY . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52 Non avrai altro Avatar all’infuori di me di Jacopo Di Daniele DOSSIER . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 64 Le nostre prigioni di Carmelo Schininà RITAGLI D’ATTUALITA’ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 70 di Enzo Giannelli
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sommario CARTOON . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 74 Nome in codice: Cuccioli di Luigi Bonelli CRAZY NEWS . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 77 Questo pazzo pazzo mondo SEI COME SEI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81 di Virginia Di Marno SOTTOTIRO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 83 Pierluigi Colantoni Tiziana Pellegrini Carey Mulligan Andrea Careri PILLOLE PER LA FAMIGLIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 89 Scuola Beauty Tecnologia Scienze Animali Psiche Salute Ricerca MENU . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 95 Scienze Web vedo Web ascolto Web leggo Moda Wellness Est(etica) ITINERARI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 110 Hello Kitty Tour di Ilaria Dioguardi EVENTI FAMILY . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 112 COLPO DI CODA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 114 di Enzo Giannelli
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UN PIENO DI MEMORIA In un’epoca sempre più dominata dall’hic et nunc, che ci permette di dover ricordare sempre meno informazioni, si sta riscoprendo il fascino del ricordo e la passione per la storia di Ilaria Dioguardi
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a memoria “è il diario che ciascuno porta sempre con sé” ha scritto Oscar Wilde. Sin da piccoli ci aiutano ad allenarla, facendoci imparare le poesie e le tabelline. Quando cresciamo, scopriamo che la tecnologia può essere un grande aiuto nella vita quotidiana, permettendoci di evitare di tenere a mente tante informazioni. Così deleghiamo computer, palmari, netbook, agende elettroniche, elettrodomestici di ogni tipo che ci ricordano i nostri impegni e svolgono il lavoro, alcuni nell’orario impostato da noi. Ma c’è anche il rovescio della medaglia: il rischio di atrofizzazione del pensiero è sempre maggiore, come accade per i muscoli rimasti inutilizzati per troppo tempo. Le tecnologie (informatiche e non) aiutano la funzione mnemonica ed esistono anche molte iniziative on-line tese al "mantenimento" di una memoria storica del digitale, della Rete in particolare. Un progetto da 100 milioni di dollari è partito da Washington: la biblioteca più grande del mondo, la Library of Congress americana, sta tentando di impedire che finisca nel nulla la memoria e le testimonianze degli anni della rivoluzione tecnologica. "La storia digitale di questa nazione è messa in pericolo da quella stessa tecnologia utilizzata per crearla" ha affermato il suo direttore James H. Billington. "Molto di quanto è stato creato” ha spiegato “non è più accessibile e molto di quanto sparisce è importante, materiali unici che non potranno mai essere recuperati ma che qualcuno ricercherà disperatamente".
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UNA BANCA DELLA MEMORIA ON-LINE A Torino, nell’agosto 2007, tre ragazzi e una ragazza (Franco Nicola, Lorenzo Fenoglio, Luca Novarino, Valentina Vaio) hanno un’idea singolare: intervistare le persone nate prima del 1940 e pubblicare su Internet le videointerviste. Danno inizio al progetto no profit Memoro-La Banca della Memoria e lanciano il sito web www.bancadellamemoria.it il 15 giugno 2008 (oggi www.memoro.org). Nei primi 15 mesi di vita, vengono raccolte 600 testimonianze, si registrano 1000 visitatori al giorno e 4000 iscritti. Dal settembre 2009 l’iniziativa è gestita in Italia dall’Associazione Banca della Memoria ONLUS. è dedicata alla raccolta in parte autoprodotta ed in parte spontanea delle esperienze di vita, sotto forma di "racconti" di 10 minuti. Nel contatore che si trova sul sito, si può leggere che in Italia la storia trasferita dalla sua fondazione è di più di 4 anni, mentre nei siti internazionali supera i 5 anni. Infatti, dal progetto nato con lo scopo di salvare la memoria di un Paese grazie ad una Banca della
memoria in Rete, è nato un network internazionale. E’ stato anche realizzato il cofanetto Io mi ricordo, pubblicato da Einaudi, con un dvd contenente alcune narrazioni scelte tra quelle arrivate alla Banca della memoria ed il volume Ritratti di nonni scritti da nipoti con una selezione di 71 racconti di vita.
LA STORIA AVANZA SUL DIGITALE… History Channel, da sempre impegnato nel raccontare la storia ed i suoi protagonisti con l’obiettivo di conservare la memoria del nostro passato, sostiene l'iniziativa La Banca della Memoria. “Il rapporto fra la memoria e la storia non è qualcosa di nuovo, ma è antico quanto le società storiche. Le società sono storiche appunto perché si preoccupano della traccia che lasceranno dopo di sé” afferma lo storico e filosofo Jacques Revel. Il canale tematico di Sky non è il solo esistente e ad avere successo. Rai Storia, che ha iniziato la nuova programmazione nel novembre 2008 e che trasmette da febbraio 2009 sul digitale terrestre (oltre che sul satellite free e sulla piattaforma TivùSat), nel corso dell’anno scorso è arrivato a registrare il doppio degli ascolti di History Channel (vedi grafici 1 e 2). Rai Storia è nata con una mission: riproporre la memoria, evidenziare i momenti cruciali della storia, raccontarne fatti e personaggi. “Stiamo avendo dal pubblico una risposta che ci entusiasma” ha spiegato il direttore Giovanni Minoli in conferenza stampa.“La storia serve a far capire ai giovani il futuro” ha detto Antonio Marano, ex direttore di Raidue (ancora ad interim ) e attuale vicedirettore generale Rai.
GENERAZIONE “QUI ED ORA” Sono i ragazzi ad avere con il passato, presente e futuro un rapporto che è cambiato con il passare dei decenni. “I giovani vivono sempre di più un presente che si dilata oltremisura” dice Pio Enrico Ricci Botti, professore di psicologia all’Università di Bologna. “Quanto più partecipano a gruppi, tanto più creano equilibrio tra presente, passato e futuro” afferma, in riferimento all’uso massiccio che i giovani fanno dei social network, nei quali l’unica dimensione che conta è il presente. Negli ultimi vent’anni, nei giovani sono stati riscontrati fenomeni quali la “perdita di futuro” o la “presentificazione”. I motivi sono legati, da un lato, all’insicurezza economica che rende il futuro pieno di minacce e di dubbi, dall’altro alla tecnologia, che invoglia sempre di più ad interagire con gli altri virtualmente, e in modo istantaneo. Facebook ed i cellulari portano le persone ad agire “hic et nunc”. Non c’è più bisogno di aspettare, tutto accade sul momento. Sono lontani i tempi in cui si aspettavano giorni e giorni per ottenere da uno spasimante la risposta ad una lettera d’amore…
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CHI DORME PIGLIA RICORDI La rivista Science ha pubblicato i risultati di un esperimento della Northwestern University, secondo il quale, mentre dormiamo, il nostro cervello continua a lavorare per rafforzare quello che abbiamo imparato. I ricercatori hanno insegnato a dodici persone a collocare 50 immagini, corrispondenti ad altrettanti suoni, al posto giusto su un computer. I soggetti coinvolti hanno poi dormito per un’ora e mezza e, durante il sonno, a loro insaputa, sono stati trasmessi 25 dei suoni ascoltati in precedenza. Al loro risveglio, quasi tutti hanno ricordato con più precisione la disposizione sul
computer delle immagini i cui suoni erano stati riascoltati: la loro memoria è stata rinforzata. La ricerca suggerisce che il sonno è un momento importante per il consolidamento del ricordo di fatti già sperimentati.
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Pensa alla tua storia: come ti orienti? Orientamento passato-positivo
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È quello delle persone che pensano con piacere al proprio passato, amano le tradizioni e i riti familiari. Chi è orientato al passato positivamente gode di autostima e socievolezza.
Orientamento passato-negativo
E’ proprio di chi crede di aver subito delusioni ed ingiustizie e di chi pensa che le esperienze negative continuano a ripetersi. Può causare uno stato di depressione clinica.
Orientamento presente-edonistico È tipico dei bambini, che trovano nel gioco appagamento immediato. Gli adulti con questo orientamento sono molto energici e creativi e hanno molti amici, ma possono essere sprovvisti di autocontrollo e coscienziosità.
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Chi si affida al destino e pensa che niente di quello che fa abbia degli effetti, rischia di sviluppare ansia ed aggressività.
Orientamento futuro-con obiettivi
Caratteristico di chi pensa che tutte le mattine bisogna pianificare gli impegni della giornata. Un atteggiamento simile è proprio di chi affronta la vita con coerenza e diligenza, ma in eccesso provoca ansia, asocialità e competitività.
Orientamento futuro-trascendentale Persone con questo orientamento psicologico hanno la prospettiva della vita oltre la morte, che prevede sacrifici in vista di una ricompensa nell’altro mondo. È tipico di chi si preoccupa della salute della Terra, pensando ai posteri che la abiteranno.
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foto Stefano Firrincieli
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Sport e Spettacolo: come iniziare l’anno nuovo nel modo giusto. Paolo, Adele, Beatrice e Arianna Flammini, quattro nomi per una famiglia… semplicemente “next”. In circolazione con Amore 14 e in pista con la Superbike di Maria Nicoletta Tulli
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on è sempre facile, soprattutto oggi, trovare una famiglia unita e brillante come quella Flammini. Padre e figlia maggiore sotto i riflettori, ma non per lo stesso motivo. Due “S” a confronto: lo Sport per papà Paolo, patron della Superbike, e lo Spettacolo per la giovane Beatrice, interprete femminile di Amore 14, l’ultimo film di Federico Moccia. Territori diversi, ma stessa determinazione sul lavoro e voglia di abbracciarsi a riflettori spenti. Paolo, com’è cambiata la famiglia da quando era figlio ad oggi che è padre? Vorrei iniziare dicendo che sono fortunato. Ho vissuto in una famiglia molto affiatata sia da figlio che da padre. Ci sono state grandi differenze, però, legate a fattori generazionali: il rapporto che avevo con i miei genitori era molto meno alla pari di quello che le nostre figlie hanno con noi. È un grande salto in avanti, frutto di un’evoluzione naturale che non abbiamo deciso noi. È importante comunque che un genitore resti genitore, in quanto guida e punto di riferimento per i figli. Gli amici sono un’altra cosa. Bisogna essere coscienti del proprio ruolo, delle proprie responsabilità. Non permettere ai figli di fare quello che vogliono, ma nello stesso tempo non essere egoisti: lasciare le ragazze a casa per averle con noi non è giusto. Beatrice, Paolo è un papà moderno o “all’antica”? A dire il vero non saprei dire com’è un papà all’antica. Papà ci lascia fare tutto quello che vogliamo… no, proprio tutto no, però è sempre molto paziente. C’è un ottimo rapporto di fiducia tra noi. Parliamo di Superbike con Paolo: immagino che il suo lavoro la porti spesso lontano dalla famiglia. Come gestisce la situazione? Metà dell’anno sono all’estero per lavoro. La mia fortuna è che i miei viaggi sono tutti brevi: sto fuori al massimo 56 giorni, anche quando vado in Australia, in Africa, negli Stati Uniti. Tutto sommato, quindi, la mia presenza in casa è continua. Essere spesso lontano dalla famiglia, secondo me, è salutare per i rapporti perché quando ci sei, ci sei per davvero. Ogni mattina preparo io la colazione per tutti: è il mio compito istituzionale! Adele, lei è stata più mamma o più moglie? Sono stata sempre a casa con le mie figlie. Appena ho scoperto di essere incinta ho lasciato il lavoro per dedicarmi alla famiglia. Adesso che le ragazze sono più grandi (Beatrice 15 anni, Arianna 13, ndr) e mi invitano a trovare un lavoro part-time o a fare un bel viaggio, chissà perché… Beatrice, che rapporto hai con le moto? Mi piacerebbe tantissimo correre ma, paradossalmente, è proprio papà che non vuole. Dice che è troppo pericoloso. Beatrice recentemente ha riscosso grande successo grazie all’interpretazione in Amore 14. Paolo, come sta vivendo la popolarità di sua figlia? Molto bene. Al momento la cosa è andata in letargo, nel senso che dopo il film, le presentazioni e le varie interviste, si è tornati alla vita normale. Beatrice continua ad andare a scuola, a praticare sport e a frequentare i suoi amici di sempre. Sembra quasi come se
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In questa foto, Beatrice Flammini e Veronica Olivier con il ciak di Amore 14; nella pagina precedente, in apertura, Beatrice (Alis), Veronica (Caro) e Flavia Roberto (Clod) in una scena del film. Nelle altre due foto di repertorio, Paolo Flammini in pista e durante una premiazione.
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nulla fosse accaduto. Sono felice di questo: per ora è importante che finisca il liceo. Poi si vedrà. Sarà lei a decidere il suo futuro. Ma che tipo di esperienza è stata per lei, Bea? Indimenticabile. Mi sono trovata benissimo con tutto il cast. La sera dopo le riprese andavamo tutti a cena insieme e anche ora ci stiamo continuando a frequentare, sono venuti anche al mio compleanno. È stato sicuramente faticoso girare le scene invernali sotto il sole caldo e afoso dell’estate, ma era talmente tutto bello e nuovo che non mi rendevo conto di niente. Indubbiamente la mia vita un po’ è cambiata. In giro mi fermano spesso, ma non mi sento in imbarazzo, anzi, sono orgogliosa. Certo, come in tutte le cose, ci sono stati anche aspetti negativi. A cosa ti riferisci? La gente chiacchiera molto. Ci sono state cattiverie, invidie. Ma queste cose mi hanno fatto crescere. Arianna, come hai vissuto l’esperienza di tua sorella? Bene. Non è cambiato molto rispetto a prima. Ho passato l’estate da sola, ma per il resto è rimasto tutto uguale! Paolo, qual è stata la prima cosa che ha detto a Beatrice quando ha saputo che avrebbe fatto parte del cast di Amore 14? Sono stato felice. L’ho incitata io a fare il provino. Quando è stata selezionata, sono andato alla casa di produzione per accertarmi che fossero persone serie e professionali. Beatrice ha lavorato con passione e grinta, ed è maturata molto. Ha imparato a relazionarsi meglio con le persone, ha acquisito più sicurezza. Beatrice, qual è stata la scena più difficile e quale quella più divertente che hai girato? Ricordo in particolar modo una scena in cui dovevo elencare una serie di cose e non riuscivo mai a ricordarmi l’ordine. Non so perché. L’ho dovuta ripetere tantissime volte, un incubo! Mi sono divertita, invece, a girare con le altre ragazze una scena a cavallo. Non avevamo la sella e poi il mio cavallo era un po’ matto. Federico (Moccia, ndr) ci diceva di essere serie, ma a noi veniva troppo da ridere. Paolo, che idea si è fatto di Federico Moccia? È una persona molto intelligente e sensibile. Conoscevo la sua notorietà grazie al suo Tre metri sopra il cielo, ma non avevo mai approfondito nulla. Casualmente, poi, un pomeriggio io e Adele ci siamo imbattuti in Scusami ma ti chiamo amore. Devo dire che tecnicamente è ben confezionato e la storia è carina, scorrevole e pulita. Sono rimasto favorevolmente colpito, anzi, il risultato è andato anche oltre le mie aspettative. La grande rivelazione è stata, comunque, conoscerlo di persona e soprattutto vederlo all’opera con i ragazzi. Ho notato che, anche se pretende molto, è spiritoso e sdrammatizza. Sul set si respira un’atmosfera tranquilla, seria e divertente. E poi ha una dote esclusiva: riesce ad interpretare gli adolescenti come se fosse uno di loro. Ma non è il Peter Pan che non vuole crescere, è un uomo molto maturo e in gamba che semplicemente sa interpretare i giovani. Io dico sempre che il successo viene quando hai una forte passione, non il contrario. Non si può voler fare il
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Sport e Spettacolo: territori diversi, ma stessa determinazione sul lavoro e voglia di abbracciarsi a CASA
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pilota di moto perché Valentino Rossi è un campione. Se sei bravo ed hai la passione diventi anche tu un campione. Federico ha la passione per il mondo adolescenziale, per questo gli riesce benissimo renderlo. In ogni caso prima di firmare il contratto ho letto tutto il copione. Interviene mamma Adele… Capito? Il papà moderno… io ho letto il libro, lui il copione! Dopo Catullo, Leopardi e tanti maestri d’amore del passato anche Federico Moccia si cimenta con le frasi romantiche dei Baci Perugina. A cosa deve il fortunato scrittore e regista romano tutto questo successo? Beatrice: Anch’io sono rimasta sorpresa per come NEXTFAMILY
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Federico si rapporta a noi giovani. Sul set mi diceva sempre: “Ti sembra attuale, realistica questa scena? Voi dite così, vero?”. Approfondiva ogni aspetto. Lui ama confrontarsi con le storie che racconta. È una persona molto curiosa e attenta. Paolo: A proposito della sua curiosità, vi racconto un aneddoto. Un giorno stavo all’aeroporto di Linate e leggevo un libro. A un certo punto mi passa per caso davanti Federico che era impegnato al cellulare. Ho aspettato che termi-
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nasse la telefonata e, mentre lo salutavo, mi ha detto: “Non ti avevo riconosciuto perché ero intento a capire cosa stessi leggendo”. Ha guardato prima il libro e poi me. Adele: Anche io ricordo un evento che mi ha colpito. La prima volta che Moccia ha visto tutte e tre le ragazze vicine (oltre a Beatrice nel cast femminile c’erano Veronica Olivier e Flavia Roberto, ndr) io ero lì in quella stanza ed ho fatto uno sguardo di approvazione, perché avevo letto il libro e secondo me loro erano per-
fette. Lui mi si è avvicinato e mi ha chiesto: “perché hai fatto quella faccia?”. Ha occhi ovunque, non gli sfugge niente. Quanto il personaggio di Alis rispecchia la Beatrice di tutti i giorni? Dal punto di vista familiare è lontana da me. La mia famiglia è serena e unita, quella di Alis no. Per il resto mi assomiglia molto: socievole, generosa, vanitosa. Fino a un certo punto è anche una brava amica. La sua realtà è vicina alla mia. Moccia nel film mostra il punto di vista dei giova-
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ni, quello positivo che ultimamente si racconta poco in giro. Per questo è stato spesso criticato. Lo trovo assurdo. Secondo la tv o il cinema noi siamo capaci solo di drogarci, commettere crimini e atti di bullismo. Non è così. O almeno la mia vita non è così, ma decisamente più simile a quella dei personaggi di Moccia. Paolo, Beatrice è ancora molto giovane. Spera che prima o poi anche professionalmente le sarà accanto? Le mie figlie sono libere di scegliere la loro pro-
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fessione senza essere condizionate da me o da mia moglie. Non ho nessun desiderio specifico. Spero solamente che si realizzino e siano felici di fare quello che vogliono. Ognuno deve seguire le proprie tendenze compatibilmente con quello che si può fare. Anche mio padre non ha mai obbligato me e i miei fratelli a fare delle scelte: loro hanno frequentato lo Scientifico e all’Università si sono iscritti ad Ingegneria, io ho fatto il Liceo Classico e mi sono laureato in Economia e Commercio. Concludere bene il
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liceo non è una speranza, ma la condizione necessaria minima per un buon futuro. È importante per la vita crearsi una solida base culturale. Ci sono tante bellissime ragazze in giro, ma quello che fa la differenza è vedere una bella ragazza che abbia qualcosa da dire. Un consiglio da genitori a figlie. Adele: Vivere nel rispetto degli altri. Sembra una banalità, ma è fondamentale. Paolo: Io sono un po’ più egoista. Ho sempre pensato che quando ti guardi allo specchio devi essere
sereno e soddisfatto di te stesso: i tuoi occhi non mentono mai. Quando provi questa sensazione vuol dire che hai raggiunto un equilibrio, che stai bene e soprattutto sei felice. Mi auguro che le mie figlie provino questo piacere il più possibile. E un rimprovero dalle figlie ai genitori? Beatrice: Non ho nessun rimprovero da fare. Solamente vorremmo che stessero più tranquilli quando usciamo. Se non rispondiamo subito al telefono non è necessario chiamare immediatamente la polizia! Arianna: Un po’ più di libertà e… una tinta ai capelli.
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LE RELAZIONI Quali sono i rapporti tra i grandi gruppi bancari e la politica? E come ne esce il cittadino, consumatore o investitore, consumato da un meccanismo infernale
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PERICOLOSE che da un lato azzera i tassi di rendimento di conto corrente mentre, dall’altro, moltiplica il suo costo? L’etica delle banche sembra ancora lontana di Riccardo Palmieri
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on sempre dire 007 significa evocare l’agente segreto James Bond, anche se per indagare e capire cosa sta succedendo al sistema bancario italiano (ed europeo), ma soprattutto ai conti correnti di tante famiglie, sarebbe più utile uno 007 che un bond d’investimento. E specie se, com’è noto, da un paio di mesi è curiosamente intorno allo 0,07 % il livello di rendimento di un correntista medio. La cronaca di una ripresa annunciata ha smosso le acque ma, come commentato anche da Mario Draghi, presidente della Banca d’Italia, un autentico, reale rilancio economico dei titoli e degli investimenti tarda a venire, stagna e il tragitto sarà lento e faticoso almeno per un altro semestre. L’amaro doppio zero che contraddistingue i rendimenti dei nostri conti correnti non è, dunque, parafrasando Ian Fleming (il creatore delle storie di James Bond), una “licenza di uccidere” ma uno stato delle cose che paralizza ogni movimento. E non basta, perché, per girare il coltello nella piaga, le banche sono arrivate ad alzare il tetto del costo dei prestiti oltre il 12%. Una miscela esplosiva, dunque, che vede da un lato il risparmiatore o l’investitore, piccolo o medio che sia, e dall’altro il potentato bancario, l’istituto che si pubblicizza come il Buon Samaritano ma che, invece di favorire olio e unguenti medicamentosi al viandante esausto, ovvero tassi agevolati di prestito, si riprende (e con interessi notevoli) i due denari della parabola. Perfino grandi catene imprenditoriali sono cadute nelle maglie del triangolo maledetto, cioè quell’ideale asse tripartito che collega poteri forti della politica, potentati interbancari e colossi aziendali. La recente riapertura, dopo la bellezza di undici anni di silenzio, del cosiddetto Caso SME (il tentativo di privatizzazione del colosso agroalimentare del Sud Italia progettato dall’IRI dell’allora presidente Romano Prodi e dall’IBM di Carlo De Benedetti, con esiti nefasti in molteplici settori coinvolti e l’allontanamento di coraggiosi imprenditori che avevano avanzato importanti proposte di salvataggio) ne è probabilmente l’emblema più clamoroso. Il grande, ma anche il piccolo, è perciò stritolato da un sistema di credito che, in realtà, paradossalmente, non crede allo stesso sistema che ha messo in piedi. E per tornare con i piedi per terra, basti pensare che l’aumento medio delle principali commissioni bancarie, dal 1° gennaio 2008 al 30 settembre 2009, si era attestato intorno al 25%. Quale etica si vuole propagandare poggiando i ragionamenti su simili dati? Mai come in questo periodo di stallo (di falso slancio) le banche, naturalmente, spingono sui vari prodotti di investimento, che però, secondo stime recenti, non sarebbero quasi per niente italiani e tutti connaturati dall’andamento incerto, incerto come il vento che spira sull’Europa, per non dire sul Mondo, che vede grandi gruppi smembrati, piccoli ingoiati, medi in cordata a doppio anello con
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L’etica della banca E i cosiddetti Fondi etici? Una Banca Etica già esiste, ma ha ancora pochi aderenti e soprattutto sostenitori alla sua filosofia, molto interessante e alternativa ma di fatto ancora lontana da una vasta capacità di diffusione, che “investe”, è proprio il caso di dire, in fondi socialmente responsabili. La Francia, storicamente avanti in tema di cosiddetta buona finanza, traina, come anche il Belgio e la Germania, mentre l’Italia è tra le ultime a recepire questo tipo di comportamento. Secondo una ricerca di Affaritaliani sulla situazione dell’investimento etico nel 2009, in tutta Europa ci si aggira intorno a un valore di 53 miliardi di euro. Nel nostro paese il risparmio gestito eticamente è in calo per mancanza di attenzione da parte di risparmiatori privati. Significa che nel nostro Paese sono calate le masse di risparmio gestite secondo responsabilità sociale perché non ci sono tanti risparmiatori privati che scelgono prodotti verdi. Come si evince dal testo politico-strategico della Banca Etica, tra le attività di finanziamento previste dal suo statuto rientrano quelle rivolte al settore ambientale “intese come valorizzazione del territorio, risparmio di risorse, riduzione dell’impatto ambientale” e la questione energetica e la riduzione di CO2 (anidride carbonica) nell’atmosfera rientrano tra le priorità della sua attività finanziaria. Ma qual è l’identikit dell’investitore socialmente responsabile? Se ne desume il profilo già da un’affermazione di Fulvio Rossi, Csr manager di Terna (proprietario della rete di trasmissione nazionale di energia elettrica), intervenuto durante un workshop promosso dall’azienda in occasione di Dal dire al fare, quinto salone della responsabilità sociale d'impresa, organizzato all’università Bocconi di Milano a fine settembre. Rossi auspicava un maggior numero di investitori socialmente responsabili definendoli “coloro i quali considerano, oltre alle prospettive di rendimento finanziario, anche altri elementi che qualificano le imprese, come l’attenzione all’impatto ambientale e sociale”. In pratica si tratta di investitori istituzionali quali fondi pensione, società di assicurazioni e di gestione del risparmio. Secondo i dati di Vigeo il valore complessivo del patrimonio gestito eticamente è in crescita in Europa mentre cala in Italia: è del 26% in Francia (quasi 14 miliardi di euro), del 15% in Belgio (8 miliardi di euro), dell'8% in Germania (4,4 miliardi di euro), ma solo del 4% nel nostro paese (2 miliardi di euro).
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La fotografia di una vincente, italiana, in campo economico, resta ancora
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chi vince le elezioni. Non è certo una novità che la politica vada a braccetto con l’economia, ma una regolamentazione etica sembra sfuggire totalmente ad ogni tipo di impresa, bancaria e aziendale. Mai come in questi tempi vale il motto secondo cui la prudenza non è mai troppa, e infatti in genere quelli che un tempo si chiamavano “addetti family”, dalle filiali più disparate spalmate ormai come funghi sul territorio, consigliano, più o meno a bassa voce, di andarci piano, di non muoversi, di non lanciarsi in speculazioni azzardate, di misurare bene le mosse nel mercato azionario, fermo restando che sul versante dell’obbligazionario e dell’investimento sui titoli di Stato, come detto, i tassi sopravvivono sottoterra non molto più in alto di dove vivono le talpe. A quota 0,07 (sic!). Il costo medio di un conto corrente nel 2008 era di circa 231 euro, mentre il 2009 si è chiuso con lo stesso aumentato del 5%, pari a circa 242 euro annui. Tanto per rimanere nelle citazioni delle fonti ufficiali ( CorrierEconomia del 5 ottobre 2009), il canone Bancomat è passato da un costo di 4,3 euro del 2008 ai 6,8 dell’anno concluso, mentre il Bonifico per cassa da 5,5 euro a 6,2, il pagamento Bollette per cassa da 3,7 a 4 euro e il canone della Carta di Credito da 19,5 a 29,4 euro. Non ci si deve stupire, allora, se le famiglie arrancano sempre di più. La fotografia di una famiglia vincente, italiana, in campo economico è ancora molto sbiadita, ma qualcuno ha iniziato almeno a proporre piccole, pratiche soluzioni per arginare l’emorragia. Il buon risparmiatore dovrebbe, per esempio, secondo gli esperti, monitorare le condizioni del proprio conto corrente e non accontentarsi di rimanere ancorato ad un progetto-contratto acceso in tempi migliori ma ormai non più rispondente ai bisogni e alle esigenze della vita in corso; così come si dovrebbe sempre aggiornare la propria posizione, ma anche cercare di prelevare dalla propria banca anziché in maniera indiscriminata ed emettere i bonifici on-line anziché fisicamente in agenzia, così come sarebbe meglio richiedere gli estratto conto via mail e staccare meno assegni possibile. Piccoli accorgimenti, dicevamo, ma,
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come diceva Totò, è la somma che fa il totale e a fine anno si può arrivare un po’ meno “rapinati” dalle istituzioni di cui non possiamo non fidarci, affidando loro il nostro capitale, grande o piccolo che sia. Ma la banca non è un dio clemente e neanche un totem da venerare. Basta ripercorrere alcune tappe fondamentali di una corsa all’oro che si è trasformata, negli ultimi vent’anni, in una corsa a tappare il foro, un buco prodotto nelle tasche dei cittadini che si è allargato più di quello dell’ozono e le cui ripercussioni sono più immediatamente tangibili, con un 2010 non molto diverso dal 2009. Come suggerito in diversi saggi sull’argomento, occorre partire dalle innovazioni finanziarie di vent’anni fa e dal mercato immobiliare americano, soprattutto, di sette-otto anni fa, per capire le ragioni di tanto declino. Ma è soprattutto nel 1997 che il Bollettino dell’Harvard Business School salutava il Nobel a un suo professore, Robert C. Merton, con queste parole: “Usando la formula di Merton, diventa possibile costruire un portafoglio virtualmente privo di rischi”. Un portafoglio clienti, s’intende, ovvero investitori. È apparso semplice spalmare l’investimento su un gran numero di prodotti e soggetti economici da rendere il rischio pari a zero o quasi. C’è anche stato chi ha diffidato subito di questi prodotti, chi ha invitato la gente a usarli con prudenza, ma non dimentichiamo che le grandi banche di Wall Street, alla fine, li hanno presentati come la giusta cura a un sistema che andava revisionato. Nel tempo i derivati di questi prodotti avrebbero reso ottime commissioni, ma non era stato preso in considerazione (o forse lo si era taciuto) l’effetto che avrebbe prodotto l’entrata in scena degli immobiliaristi americani. Con i tassi considerevolmente abbassati e con la sicurezza garantita dalle formule per derivati e prodotti analoghi, sono stati offerti mutui anche ai meno abbienti. Sulle prime sembrava uno dei miracoli richiesti alla new economy, il valore delle case cresceva senza sosta e chi acquistava in quel momento avrebbe guadagnato sicuramente in un futuro (prossimo, remoto, venturo?). Era l’ultima idea di sogno americano, con commissioni laute per chi emetteva questi mutui, per chi creava comodi pacchetti dei prodotti finanziari da rivendere. Tuttavia, come hanno scritto gli esperti, il meccanismo si inceppa circa diciotto mesi fa e si blocca nell’agosto 2007. Sembra così lontano, ma gli effetti li stiamo ancora vivendo sulla nostra pelle. I prezzi delle case, dopo le terribili impennate che molti ricorderanno, iniziano incredibilmente a scendere, e in poco tempo c’è chi si trova col mutuo che vale più della casa. Qualcuno non è più in grado di pagare. Il flusso di denaro necessario a onorare le cedole sui titoli legati all’immobiliare e di cui banche, finanziarie e anche stranieri si sono riempiti (rendevano assai più dei titoli del Tesoro) si prosciuga. I titoli crollano e perdono ogni valore. Con l’inizio della crisi, paragonata a quella del tristemente mitico 1929, si vende a prezzi stracciati e si giunge alla nazionalizzazione di Fannie Mae e Freddie Mac, i due giganti semipubblici che avrebbero dovuto salvare il mercato dei mutui, e che invece hanno avuto bisogno di 32
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Fidarsi è bene… Le banche invitano a fidarsi, a risparmiare e a investire secondo nuovi (antichissimi) stratagemmi pubblicitari. Basta seguire alcuni spot televisivi o comunicazioni promozionali sulla stampa: o solo giovanissimi sorridenti o anziani in gamba e lungimiranti. Un’importante istituzione bancaria ha perfino riesumato l’immagine-icona immortale di Marilyn Monroe, che invita l’eventuale cliente di una carta di credito a fidarsi ancora del marchio, nonostante il cambio del nome. La pubblicità cartacea, infatti, recita “Da Norma Jean a Marilyn. Cambia nome. Resta unica”. Per poi spiegare che si tratta di “un nuovo nome per una struttura con 40 anni di esperienza”. Tutto molto suggestivo, ma naturalmente bisognerebbe sempre verificare alla fonte le informazioni e valutarle con addetti ai lavori non troppo di parte (difficile, eh?). Per meglio sottolineare il senso e lo spirito critico del nostro discorso, concludiamo proponendovi, di seguito, altri spot di promozione bancaria su cui riflettere, ma soprattutto con il consiglio di analizzare a fondo parole e concetti, non dare nulla per scontato, tornare sui singoli significati ed esigere una riscontrabilità reale, pratica dello slogan. Perché non è facile, perché lo sembra troppo, capire tra le righe cosa vuol dire, per esempio, “Più forti dopo il diluvio”, oppure “Scudo fiscale 2009. Quando sicurezza e fiducia sono un patrimonio” e ancora “Fra chi mi vede come cliente c’è qualcuno che mi riconosce come persona?”. C’è addirittura chi promette: “Ti risparmiamo anche il corso Finanza Easy in 49 pratici fascicoli”. Attenzione alle svendite e agli incentivi.
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essere salvati dal contribuente. Fortunatamente la caduta di Wall Street e le perdite nel sistema bancario internazionale in Europa e in Italia non sono state decisivamente fatali come negli Stati Uniti, ma si sono sentite, eccome se si sono sentite. A differenza della teoria tradizionale, che si concentra sulle transazioni di mercato, il nuovo paradigma si è concentrato sul ruolo del credito nel facilitare e promuovere l’attività economica, enfatizzando la domanda e l’offerta di fondi da concedere a prestito, cercando di comprendere come le banche e le altre istituzioni esaminino l’informazione per valutare l’affidabilità e solvibilità di chi ottiene credito. È per questo che le banche offrono finanziamenti, ma è anche per questo che i cambiamenti di struttura dell’economia possono di fatto influire sull’efficacia della politica monetaria e, quindi, sulla stabilità economica. Ed ecco spiegata la sostanziale, ineluttabile inscindibilità tra potere economico e potere politico. Ed ecco perché sia il potere economico sia quello politico sono di fatto di natura oligarchica (nelle mani di pochi grandi e potenti gruppi). Nella corsa all’oro facile degli anni Ottanta e poi Novanta in pochi hanno prestato attenzione agli insegnamenti del passato, ad episodi ammonitori. Si era imposta l’inarrestabile avanzata del potere finanziario delle banche d’investimento e tutti hanno voluto partecipare a un gioco in Borsa ribattezzata, per l’occasione, Borsa cieca. Ne ha fatto un’analisi penetrante Nino Galloni, uno fra i più stretti collaboratori dello scomparso professor Federico
Caffè. Nel suo saggio intitolato Il grande mutuo l’economista racconta come le famiglie ormai separano il proprio livello dei consumi, delle spese e degli investimenti dal proprio reddito, e le banche, da quando i tassi di interesse si sono ridotti, sono più propense a concedere prestiti non solo per l’acquisto di immobili, ma anche per finanziare beni di consumo durevole e, addirittura, il consumo corrente delle famiglie stesse. Ma il finale, aperto e non proprio roseo, resta il seguente: l’indebitamento è divenuto una prassi consolidata per il 98, sottolineiamo, 98 % della popolazione. Chi possiede un reddito adeguato si rivolge alle banche, altri devono ricorrere a intermediari finanziari notoriamente esosi e agli usurai. Non ci resta che il maialino salvadanaio o i vecchi materasso e mattone. Tuttavia, forse bisognerebbe riflettere sempre su ciò che ha scritto qualche tempo fa, a nostro avviso in modo assai equilibrato, Giorgio Bocca sul Venerdì di Repubblica (4 dicembre scorso, ndr) analizzando a freddo la questione. “Su un punto sembra che siamo d’accordo. La colpa maggiore è dei banchieri, della cosiddetta finanza. Lo dice anche Draghi, il governatore della Banca d’Italia: le banche dovranno essere vigilate, tenuti sotto osservazione il rapporto tra esposizione e risorse, i rischi che corrono, i guadagni”. E i risparmiatori? Certo hanno le loro colpe, avendo favorito, magari indirettamente, il fenomeno dell’investimento selvaggio, del tipo più pericoloso, rischioso, visto che i titoli più redditizi, da sempre, sono anche i più rischiosi.
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L’indebitamento , del anche in questo inizio di anno, resta intorno al 98%
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TECH Ecco le dieci pi첫 curiose e innovative idee per migliorare il nostro futuro. Per un 2010 pi첫 pratico e grintoso di Lucio Tirinnanzi
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REE-FLYING NANOBOT (1) La DARPA (Defense Advanced Research Projects Agency), agenzia governativa del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti incaricata dello sviluppo di nuove tecnologie per uso militare, sta creando una nuova generazione di nano-macchine capaci di levitare, su concessione di un’azienda aerospaziale, l’AeroVironment. Scopo? Controllare e spiare. Il progresso è notevole anche perché tali robot prima dovevano servirsi di cavi guida, mentre i nuovi prototipi sono capaci di svolgere ricognizioni con una dotazione di batterie. Assumendo la forma mimetica di insetti, queste Micro Machines da 10 grammi sono armate di telecamera volante in grado di inviare su GPS dati immagine ed offrire, un giorno, sorveglianza negli ambienti urbani. Schiacciare gli insetti non è mai stato così costoso.
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VEICOLI A CONTROLLO VOCALE (2) Con l’industria automobilistica in discesa, la questione del riscaldamento globale, la dipendenza dal petrolio e la crisi economica, per l’industria di design Mike and Maaike è tempo di sperimentare ancora. L’ Autonomobile (ATNMBL) è una concept-car prevista nel 2040, un veicolo che si muoverà sulle strade servendosi di GPS e sensori senza bisogno del conducente né di volante o di pedale del freno: il controllo è garantito attraverso il riconoscimento vocale. Un display presenta informazioni, mappe e intrattenimento. Dal momento che non si sarà alla guida, tramite un touch screen, si potrà navigare su Internet, usufruire di software open source... e di un bar! TESSUTI FOTOVOLTAICI (3) La statunitense Konarka Technologies, Inc. ha sviluppato tessuti in grado di generare energia utilizzando la luce solare. Tra le applicazioni delle fibre tessili fotovoltaiche, dunque, panni solari ‘intelligenti’ per l’abbigliamento. Konarka è la società leader nello sviluppo di prodotti ad energia rinnovabile in un’ampia
varietà di applicazioni. Il maglione potrebbe un giorno offrire l’energia che serve per il telefono cellulare o palmare, o per eseguire l’elenco musicale del lettore MP3. Tale materiale consentirà una maggiore integrazione delle capacità di generare energia elettrica in diversi dispositivi e sistemi di elettronica mobile. Nel 2030 ci si potrà forse liberare del caricabatterie. SISTEMI DI INTRATTENIMENTO INTELLIGENTE (4) Cosa rende felici? Cosa fa ridere? Cosa interessa? Cosa si considera barboso, soporifero o emozionante? Queste informazioni in forma di risposte emotive possono essere raccolte per esaminare il contenuto dei media e valutarne la qualità. Con il Laugh Detection System la Sony ha implementato il software di riconoscimento emozionale, come l’individuazione del sorriso, ma anche la noia (attraverso lo sbadiglio). Tramite telecamera sono catturati i gesti, i profili, il movimento e le forme. L’idea è di analizzare e rispondere alle emozioni degli utenti davanti ad un videogioco, a spettacoli televisivi e film, trasferendo i dati su una Rete. Le interazioni in tempo reale di più persone potranno essere monitorate e utilizzate per identificare una risposta emotiva di gruppo o di un pubblico ampio. Niente più sorprese. CORRENTE ELETTRICA SPAZIALE (5) La Mitsubishi Electric Corp. e la IHI Corp. sono intenzionate a costruire un generatore di energia solare nello spazio. Un progetto tutto giapponese da 2 triliardi di yen (circa 21 miliardi di dollari) da realizzare nell’arco di tre decenni. Un gruppo di ricerca sta sviluppando la tecnologia indispensabile per trasmettere elettricità senza cavi sotto forma di microonde. È un avveniristico, e speriamo significativo, passo in avanti nell’impiego di fonti di energia alternativa. La si potrà produrre a prescindere dalle condizioni meteorologiche. Generare energia fotovoltaica nello spazio ha un rendimento maggiore che produrla al suolo, ma il trasporto dei pannelli solari della stazione a 36.000 km sopra la superficie della terra è proibitivo e
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costoso. Una parte della sfida, che prevede un lancio iniziale nel 2015 e la stazione orbitale pienamente operativa entro il 2030, sarà il taglio dei costi. Un gigawatt di potenza sarà sufficiente a fornire energia a circa 294.000 abitazioni. LA CAMERA PER IL SONNO IMMEDIATO (6) La realizzazione più alta del genio umano? Il sonno, secondo il filosofo Kierkegaard, da lui considerato indispensabile e sacro. Lo sapeva bene anche Leonardo, che curava la propria intelligenza dormendo un quarto d’ora ogni 4 ore. Si calcola che l’uomo spenda mediamente un terzo della propria vita a dormire. Da questa consapevolezza deriva un’intuizione: un metodo per dormire con la stessa intensità ma con un numero minore di ore potrebbe portare a godere di più la vita. Qualcuno sta studiando un dispositivo di sonno istantaneo capace di indurre immediatamente torpore e di offrire i vantaggi fisici e psichici di una sana dormita... in pochi secondi. Per ora, resta un sogno. VOLARE, OH OH (7) Per gli appassionati di Blade Runner c'è la Moller Skycar M400. Ora volare con un'automobile è possibile. Si tratta di un veicolo (o dovremmo chiamarlo velivolo?) lungo come una fuoriserie, fa otto chilometri con un litro ed è, come detto, in grado di volare. La M400 sembra destinata a viaggiare negli spazi urbani, come tutte le automobili, a 50 Km/h, ma fuori dalle aree metropolitane può sollevarsi in verticale e lanciarsi oltre la barriera del suono, raggiungendo 9000 metri di quota. Dal 2007 ne sono già stati costruiti circa 500 esemplari, è probabile che l'utilizzo sarà inizialmente limitato a scopi militari. UN MEDICO IN MINIATURA (8) In Olanda hanno già cominciato. In futuro il medico può non essere più né un essere umano né un robot, ma una pillola. E ancora mini-impianti sottopelle o miniaturizzati che vagano nel corpo per testare, diagnosticare, avvertire - scaricando i
dati sul computer - sullo stato di salute, evitando falsi allarmi e visite di routine, lasciando la possibilità di intervenire in caso di pericolo. Il futuro della medicina è costituito dalle nanotecnologie. In Olanda i ricercatori stanno testando una pillola che può essere inghiottita come una medicina, ma viaggia in una specifica parte del corpo per fare un check-up. Nell’università del Texas si studia una micro-penna in grado di individuare tumori della pelle senza bisogno di una biopsia. INTERAZIONE TOTALE (9) Abbandonato il mouse, superato il touch screen, l’interattività gestuale occupa da tempo le giornate dei ricercatori di tutto il mondo. I cervelloni della Microsoft, in collaborazione con l’Università di Washington a Seattle e con l’Università di Toronto in Canada, hanno realizzato un’interfaccia che permette all’uomo di interagire col computer attraverso movimenti muscolari. Qualcosa in questo ambito esiste già. Basta sfogliare Technology Review, la rivista on-line del Mit, per imbattersi in un Emotiv System, un baschetto che permette a chi lo indossa di comandare un gioco al computer attraverso il pensiero. Ciò che i ricercatori della Microsoft hanno scoperto è un’interfaccia che utilizza sei sensori Emg (elettromiografia) e due grandi elettrodi collocati intorno all’avambraccio destro, per catturare i movimenti delle dita, e intorno a quello sinistro, per intercettare le strette di mano. Un software ha il compito di interpretare i gesti associando gli impulsi ai movimenti. NOME IN CODICE: NETBOOK (10) Un’invasione di novità tecnologiche restano le performance aggiornate di soluzioni di mobile computing in versione “Net” ad uso consumer e business. Il tutto a prezzi sempre più concorrenziali. Tra i Netbook più attesi, l’MSI Wind U120 con schermo da 10 pollici, quelli di BenQ, leader nel settore dell’Hi-Tech, e di Acer, azienda incontrastata dopo aver sorpassato Asus nella classifica di vendite.
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Se, come rispecchiava una nostra precedente indagine, nonni e nipoti si ritrovano in Rete, tra genitori e figli il dialogo si perde ancora spesso a causa del mouse di Carmelo SchininĂ
SE IL WEB DIVENTA
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l già difficile rapporto tra genitori e figli spesso è reso ancor più complicato da Internet. E se una nuova “cortina di ferro” fosse scesa sui cinque continenti? Forse oggi Winston Churchill accondiscenderebbe ad estendere il suo discorso di Fulton, emblema del “muro”, anche sul web. Perché se è vero che Internet da una parte permette una comunicazione globale veloce ed incisiva a una società antropologicamente “scollegata”, dall’altra crea l’ennesima parete divisoria che replica all’infinito pensieri rapidi ma che spesso castra “dialogo”, “comunicazione” ed “incontro” per come erano intesi prima della sua... nascita. Ma facendo un passo indietro, vediamo prima dell'era del web quanti erano i minuti destinati al dialogo tra genitori e figli. Prima della guerra la media era di 25, negli anni Sessanta scese a 20, nel 1999 a 8 minuti al giorno. Intorno al Duemila genitori e figli dialogavano in una settimana per un tempo inferiore a quello che ogni italiano dedicava quotidianamente allo specchio e alla toilette. E non intendevamo naturalmente il tempo destinato alle cosiddette comunicazioni di servizio (“ti sei lavato”, “hai fatto questo”, “hai messo a posto quello”) ma del vero e proprio dialogo, il parlarsi per condividere contenuti, emozioni, sentimenti, problemi, che nell'ultimo decennio si è ridotto di un minuto per ogni due anni. Principali responsabili della mancanza di comunicazione in famiglia, secondo un'inchiesta condotta da Radio 105 network e da un pool di psicologi, tv e Internet, che occupano sempre più il tempo domestico: Internet con oltre un'ora al giorno, la radio due ore, ma ti permette di fare altro mentre l'ascolti. Stabile la frequentazione degli amici (1 ora e 30), il cui tempo si sovrapponeva sempre più spesso alla navigazione in Rete o alla visione della tv, sempre a spese del dialogo familiare. Insomma, un vero e proprio muro, a dispetto di quanto rilevavamo proprio su questa testata in un'indagine compiuta qualche mese fa sul rapporto nonni 2.0 e nipoti che, invece, pare si ritrovino in Rete. La verità di fondo resta tuttavia la seguente: l’utilizzo del pc tra gli adolescenti è cresciuto costantemente nell’ultimo decennio. Secondo un’indagine svolta su un campione di 1120 ragazzi e ragazze dai 12 ai 14 anni riguardante “Abitudini e stili di vita degli adolescenti” - realizzata annualmente dalla S.I.P., la Società Italiana di Pediatria - il possesso di un computer è passato dal 37% del 2000 al 95% nel 2008 e l’uso di Internet dal 5% (che lo aveva usato almeno una volta) del 2000 al 42,4% che otto anni dopo naviga quotidianamente nella Rete, mentre solo il 12% ammetteva di non connettersi mai. È cambiato anche l’utilizzo di Internet. All’inizio del decennio i ragazzi se ne servivano soprattutto per motivi “colti” (ad esempio, ricerche scolastiche) e meno del 10% non aveva mai chattato, nel 2008 le ragioni della navigazione in Rete cambiano drasticamente: il 75,9% usa Messenger, il 69,9% le chat, il 76,4% lo scaricamento di musica e video, il 76,5% YouTube. Sempre nel 2008 l’utilizzo di Internet tra gli adolescenti italiani diventa prevalentemente femminile: con un’inversione di tendenza rispetto all’inizio, oggi sono le ragazze le maggiori fruitrici delle possibilità offerte dalla Rete, con un uso quotidiano del 45% contro il 41% dei loro coetanei maschi. I giovani si servono della Rete soprattutto come spazio di condivisione e di riflessione: il 47,2% degli intervistati ha aperto un blog personale.
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Quando il muro è endogeno Il cosiddetto muro endogeno (del web) riguarda la comunicazione all’interno della Rete. Un esempio su tutti? Non riguarda i ragazzi ma lo segnaliamo come monito per loro. L’episodio del dicembre scorso in merito all’aggressione al Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi a Milano. Dopo neanche un’ora dall’accaduto, Massimo Tartaglia, l’aggressore, secondo migliaia di utenti in Rete era un “eroe”. Già in serata il gruppo su Facebook intitolato a Tartaglia contava 20.600 fan, seguito dall'omonimo “Club” che è riuscito a fare oltre 5.000 seguaci. I gruppi in questione avevano tutti la foto del premier con il volto sanguinante e post di elogio al gesto dello squilibrato. Da “Massimo Tartaglia personaggio dell'anno” fino a “Siamo tutti Tartaglia”. Fermiamoci per un momento a pensare alla velocità e alla semplicità (basta un clic) con cui si può aderire a un gruppo su Facebook. Qualsiasi sito che istighi alla violenza contro qualcuno diventa muro. Una sottile “linea rossa” che non deve essere superata e che rischia di imbarbarire il pensiero umano.
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Da questi dati traspare un’esigenza sempre più marcata dei giovani di crearsi in Internet una sorta di “second family”, dove gli amici (veri e virtuali) arrivano a sostituire i punti di riferimento familiari. Sta ai genitori cercare di avvicinarsi il più possibile al mondo dei figli, in modo da evitare di trasformare la Rete in un muro della comunicazione (invece dell’auspicabile contrario). Si tratta di un muro doppio, che è stato definito di due tipi: endogeno (vedi box) ed esogeno. Quello esogeno è un segmento, con il tempo sempre più marcato, che separa coloro che oggi i sociologi chiamano “nativi digitali” dagli “immigrati digitali”. Riguarda tutte le fasce d'età ma, ovviamente, pensiamo ai suoi effetti sul dialogo più delicato e importante che stiamo considerando. I “nativi” sono soggetti nati in un mondo nel quale il computer, il web e i telefonini erano già strumenti di uso quotidiano e il loro principale problema è una mancanza di comprensione e comunicazione con le precedenti generazioni. I secondi, invece, per motivi puramente anagrafici, non hanno conosciuto le tecnologie digitali fin dai primi anni della loro vita e sono migrati, si sono spostati verso la Rete solo in età adulta. Stiamo parlando soprattutto del muro tra genitori e figli causato dal web. Diversi psicologi hanno provato a scrivere delle regole per una “educazione positiva” al web. C’è chi parla addirittura di una distanza culturale tra genitori e figli simile a quella che causò il ’68. Ma stavolta la spinta propulsiva non viene dalla “voglia di cambiare le cose”, quanto da una nuova forma di silenzio. “Fino a pochi anni fa” sostiene la psicologa Antonella d’Apruzzo “l’uso della tecnologia era strumentale per giocare o lavorare e, soprattutto, individuale. Tu da solo con il tuo computer. Oggi ed è una tendenza in costante crescita - la Rete è un vero e proprio luogo che apre a una dimensione sociale e che permette l’acquisizione di un’identità: se non sei in Rete non esisti”. Proprio come è accaduto con la tv e la nascita dei reality: se non vai in televisione non sei nessuno. Di fronte a tutto questo cosa possono fare i genitori dei nativi digitali per entrare in contatto con i figli? “Prima di tutto conoscere il mezzo, cioè Internet, e stare insieme ai bambini di fronte al computer” risponde Paolo Ferri, docente di Sociologia all’Università Bicocca di Milano “bisogna educarli fin da subito, tanto solo verso gli 11-12 anni avranno il desiderio di rimanere da soli e a quel punto sono in grado di riconoscere i potenziali pericoli della Rete”. È dunque doveroso da parte dei genitori spiegare ai figli che ci sono aree che è meglio non frequentare e che è giusto avere pudore del proprio corpo e dei propri sentimenti, così come lo si dovrebbe avere in contesti e relazioni non virtuali. Alessandro Gilioli, giornalista de L’Espresso, ha scritto che “Internet e il resto del mondo ormai sono una cosa sola”. Se davvero così fosse, non sarebbe forse il caso di riconoscere un “muro giusto” che separi il web dal resto del mondo?
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Oggi più che mai è valido l’adagio secondo il quale se non sei in
Rete
NON ESISTI
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MOUSE Imparare è una delle caratteristiche principali degli esseri umani. Ma, come per tutte le cose che cambiano con i tempi, anche l’apprendimento si è dovuto rinnovare e ha chiesto aiuto al computer. Il risultato? Si chiama e-learning
di Maria Nicoletta Tulli
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sito di un inevitabile ammodernamento tecnologico, l’acquisizione di informazioni on-line è oggi molto diffusa non solo tra i giovani, ma anche e soprattutto negli ambienti di lavoro. Senza dilungarci troppo sul significato dell’elearning (ne abbiamo parlato nel primo numero di Next Family) proviamo ad andare oltre e a valutare insieme gli effetti, in particolar modo i molti pro e qualche contro, che questo modo di apprendere ha prodotto.
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Vantaggi e… Sicuramente la consultazione di materiali in formato digitale avvantaggia in termini di economia degli investimenti, sia da parte di chi fornisce sia da parte di chi riceve formazione. L’e-learning, inoltre, diffonde e aggiorna costantemente materiali in diversi formati multimediali, rispettando contemporaneamente i bisogni e i tempi di ciascun soggetto coinvolto nell’attività di apprendimento o insegnamento. Con il computer tutto è a portata di mano, o meglio di mouse. Peculiarità dell’e-learning è, infatti, l’alta flessibilità garantita al discente dalla reperibilità, sempre e ovunque, dei contenuti formativi. Non ci sono costrizioni spaziali e temporali: ciò consente autonomia, autogestione e autodeterminazione del proprio apprendimento. Abbattere le distanze significa anche poter raggiungere studenti distanti tra di loro. Attraverso l’e-learning gli allievi usufruiscono di materiale di vario tipo: oltre al testo scritto possono ascoltare registrazioni vocali, osservare grafici, vedere filmati. L’utilizzo di canali di comunicazione diversi aiuta a memorizzare più facilmente. È stato dimostrato, infatti, che con l’aiuto di questi strumenti si apprende il 15-20% in più rispetto alla formazione tradizionale (vedi grafico).
Istruire i giovani con l’iPod Lo sviluppo informatico e digitale non viene più visto solo come distrazione dallo studio, ma diventa uno strumento in più a vantaggio dell’istruzione. Dani McKinney, professoressa di Psicologia alla State University di New York, studia da tempo le potenzia-
lità della tecnologia a fini didattici e propone i suoi studenti come cavie delle sue osservazioni. La docente racconta una particolare esperienza alla rivista Computers&Education nell’articolo L'università di iTunes e la classe: possono i podcast rimpiazzare i professori?. McKinney divide i suoi alunni: metà della
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… svantaggi Passando da un apprendimento “tradizionale” a quello “moderno” dell’e-learning si rischia di perdere gli studenti che non hanno accesso al web o quelli che lo usano sporadicamente. Ma analizziamo. Utilizzando il personal computer viene irrimediabilmente a mancare ciò che di “umano” e di “energetico” si è soliti legare alla presenza fisica dell’altro, sia esso docente o allievo. Sarebbe necessario, quindi, ridefinire i ruoli ereditati dalla tradizione didattica ed entrare nella mentalità di un nuovo modo di insegnare e di acquisire conoscenza. Al pari della televisione, che è diventata altro rispetto al modo in cui era stata concepita alle origini, anche l’introduzione della tecnologia nell’universo della didattica e dell’apprendimento introduce grandi cambiamenti proprio nel modo stesso di concepirla e praticarla. L’evidente limitazione è perdere l’essenza del rapporto fisico e reale tra docente e discente, della relazione concreta con altri studenti. In una parola, della “relazione calda”. A livello tecnico, possono sempre sussistere potenziali inconvenienti come problemi di connessione a Internet, o di hardware/software, anche se si sviluppano strumenti sempre migliori in tale ambito.
Riflessioni finali In conclusione possiamo dire che con i suoi pro e i suoi contro l’e-learning esiste e continuerà a svilupparsi sempre di più nel corso degli anni. Apprendere in Rete è una realtà che comporta senza dubbio un ripensamento complessivo e generale dell’insegnamento stesso. Questo non significa soppiantare l’istruzione tradizionale, ma cercare di far convivere la nuova con la vecchia realtà. Semplicemente vivere l’e-learning non come sostituzione, ma come sostegno e rafforzamento della classica formazione didattica: con il mouse a sostituire, ogni tanto, il gessetto.
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Apprendere in è una realtà che comporta un ripensamento generale della
Rete
FORMAZIONE
classe segue una parte del corso in aula con lei, l'altra metà ascolta una versione audio con tanto di slides da riprodurre, quanto e quando vorrà, su un qualsiasi lettore multimediale. Il test premia nettamente i secondi che, in media, prendono voti 9 punti più alti. La professoressa spiega che il trucco non sta nel
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podcast in sé ma in come lo si usa: "Chi lo ascolta una volta sola non ha fatto meglio di chi è venuto in aula. Mentre chi l'ha trattato come una vera lezione, prendendo appunti o risentendo alcune parti, ha avuto risultati assai migliori". Un indizio per il futuro dell’istruzione assolutamente non trascurabile.
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IL SESSO E’ DIO Confessioni di un laico che ha scritto un libro sulla ricerca di Dio, passando attraverso il sesso femminile. Freud gli fa un baffo, ma lui è molto “next”, perché lo ha perfino interpretato, anni fa, in Sogni d’oro di Nanni Moretti di Riccardo Palmieri/foto di Stefano Firrincieli
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emo Remotti? Eh già già, Remo Remotti, con quel nome così derivato dal cognome, così destinatario di un destino. Remare, remare. Il più delle volte controvento e contromano nei marosi della vita. Lui, figlio unico di madre vedova, perse il papà che aveva 12 anni e la madre non è che gliel’abbia fatta trascorrere proprio liscia, l’esistenza. Ancora oggi, che lei non c’è più da parecchio tempo e Remotti ha compiuto 85 anni, le cose non sono per niente facili. Però lui si è equipaggiato, nel tempo, attraversando ineffabile e sarcastico, spudorato e ribelle, le impervie strade della passione, dell’amore, della guerra, della morte e della resurrezione del genere umano. Pittore, scultore, autore teatrale, attore, quando lo incontriamo negli studi romani della Videocam ha terminato da poco le riprese di Eat, Pray, Love, sul set del quale ha anche giocato con Julia Roberts sulle ginocchia (la foto che pubblichiamo è tratta dal suo Blackberry). Viene definito, almeno secondo il sottotitolo del suo penultimo libro (Diario segreto di un sopravvissuto, Einaudi) Vate underground. E lui underground c’è stato da sempre, dalle osterie frequentate in tenera età col padre alle epopee fasciste in una Roma pariolina e insieme vaticana. Una miscela esplosiva. Remo rema, rema, non si stanca, emigra perfino, quando è più grande e va a Lima, in Perù, dove dice di aver passato sette anni tremendi. Terribili e insieme istruttivi. Una palestra che lo fa anche uscire di testa (ma prima in strada, dove si spoglia nudo e viene fermato e poi rinchiuso). “Adesso sono un santo” afferma senza mezzi termini “visto che ho anche fatto già alcuni miracoli”. Remotti, adesso anche i miracoli fa? Almeno tre sono da segnalare perché segnano tre momenti cruciali della mia vita: mia madre che muore, peraltro con la fortuna di non soffrire; poi, una figlia che concepisco all’età di 64 anni, con la mia seconda moglie, mentre sono in Sicilia con Nanni Moretti a girare Palombella rossa. Complimenti. E il terzo miracolo? Luisa, la mia seconda moglie, detta anche mio marito perché ha due attributi così… Insomma mia moglie che mi dice, un bel giorno, di punto in bianco: “tu da oggi non mi tocchi più”. Aprendomi in realtà le porte del paradiso. Non si offende se scherzando diciamo che la testa a posto non ce l’ha mai avuta troppo? Diciamo che ho sempre cercato di tenercela, ma è stata una tale fatica! Mi hanno ricoverato in manicomio tre volte, lo sa? Ora mi sento un po’ più saggio e ho cercato di raccontare tutto nel mio nuovo libro (Con Remotti alla ricerca di Dio, Edizioni Noubs). Mica ci ho messo due giorni a trovare un po’ di tranquillità, beninteso. È un percorso lungo e non finirà mai, però ho avuto modo di leggere, incontrare, confrontarmi con tante persone. E poi sono convinto che ognuno di noi possieda alcuni doni, alcune doti. Nessuno escluso. Bisogna solo trovarle. Le sue doti più evidenti? Senz’altro due: la fantasia e il sense of humour. Anche se, qualche volta, come dicevo prima, mi è costato averle in maniera tanto spiccata. Come quella volta che mi vestii da Gandhi e mia madre, vedendomi, si mise a piangere.
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Come scrive Erich Fromm, che adoro “una madre ti dà la vita ma può anche ammazzarti”. Lei non capiva, aveva una dote matematica ma non artistica, nonostante avesse studiato musica. Pensi che a 87 anni, stava per morire, io ne avevo 64, mi trattava ancora talmente male, come se fossi davvero demente, che mi ha però anche fatto rimanere bambino. In un certo senso è stata anche la mia fortuna. Non sono stati proprio lineari i suoi rapporti con le donne della sua vita… He he! Sono stati bellissimi e complicatissimi. Prenda la mia prima moglie (Maria Luisa Loy, sorella del regista Nanni, ndr). L’ho analizzata a lungo, poi l’ho portata dallo psicanalista e lui cosa fa? Non analizza lei ma me, dando ragione a lei. Lo riconosco, ero, come si dice a Roma, fracico. Ma il primo amore vero l’ho trovato a 74 anni, he he, con una signora di 38. Finito anche quello, però, adesso il mio amore è una prostituta. Mi ama davvero, mi manda sms tenerissimi, cosa si può volere di più dalla vita? Remotti, cosa rappresenta per lei la Donna? Una bella torta, un gelato, tutto da leccare. Anche perché il mio attributo è defunto da tempo, ma ci sono molti modi... È fantastico, meglio di qualsiasi cosa. È la via di
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Identichi? Remo Remotti nasce a Roma nel 1924, dove vive e lavora. Da alcuni anni realizza spettacoli musical-teatrali insieme al gruppo di musica elettronica Recycle, con cui ha inciso il disco Me ne vado da Roma, e bellissimo è anche un suo Oroscopo recitato e cantato, mentre se ne va dai vari segni zodiacali. Secondo quanto riporta la sua stessa memoria, Remotti ha fatto tutto con un certo ritardo, è un ritardato. Inizia a fare il pittore a più di 30 anni quando Masaccio è morto a 27, l’attore a 50 quando Tyrone Power è morto a 44 e diventa padre a 64 quando Gary Cooper a sessanta non c’è più. Ha una figlia, Federica, oggi ventenne, nata dall’unione con la sua seconda moglie, Luisa. Vive nel cuore della borghesia romana pur non condividendone la visione della vita.
comunicazione con Dio. Passa sicuramente da lì. Allora ci faccia capire: il suo nuovo libro sulla ricerca di Dio è un trattato ginecoloco-mistico? No, punta al giusto uso della mente (quasi il sottotitolo che avevo pensato ma poi non ho messo). Io ho una conoscenza che mette paura. Sono trent’anni che studio esoterismo, ho fatto i miei miracoli grazie agli angeli custodi e ho fatto l’esperienza di una famiglia agiata, ebraica ma anche cattolica. In Italia sono tutti cattolici, o quasi. Chi non nasce cattolico, beh, beato lui! Se siamo intelligenti ci allontaniamo dalla Chiesa Cattolica, come ha fatto Eugenio Scalfari, che ha scritto il suo libro in materia (L’uomo che non credeva in Dio). Non mi è piaciuto ed è qui che intervengo io. Ma come, esci da una formazione cattolicissima e dici “ora basta, sono laico”. Eh no. Esistono almeno dieci religioni e io le ho studiate e vissute tutte, dal Tao al Buddismo allo Sciamanesimo al Sufismo, al misticismo per esempio di un Georges Gurdjeff, che amo molto. Ma prenda il Tao: Lao Tse ci ha detto già ben 2500 anni fa che la via verso la verità e verso Dio passano attraverso il sesso. Non lo demonizza, perdinci. Come quasi tutte le religioni e filosofie orientali. Certo, come il tantrismo, per esempio, e come ci insegnano maestri spirituali quail Hosho, Krisnamurti, gli stessi Fromm, Castaneda, Morelli… E Carolina, una mia eccezionale maestra spirituale messicana. Ho scoperto che possiamo programmarci come un computer, imparare le giuste tecniche di rilassamento, visualizzare con la mente gli obiettivi da raggiungere. C’è un bellissimo libro che consiglio, di Fabio Marchesi, La fisica dell’anima. E badi bene che lui non è un prete ma un ingegnere informatico. Ma le potrei citare Germaine e il suo Il potere magico della nostra mente, la stessa Kabala. Insomma, ha messo la testa a posto. A un certo punto ti rendi conto che devi essere disciplinato. Io vado in palestra, nuoto, leggo, studio, medito. E rubo ancora la marmellata (il primo libro di Remotti, di diversi anni fa, si intitolava Ho rubato la marmellata , ndr). Le va di parlare solo d’amore? Il vero, ma vero vero, amore, si basa solo su tre fattori: una chiara attrazione sessuale da ambo le parti, la stessa voglia di stare insieme e, possibilmente, un minimo di dialogo. Basta. Ma come, e la spiritualità? Vabbè, sì. Quando stavo con quella signora di 38 anni ed eravamo in India si faceva meditazione e sesso alla grande. C’è mancato poco che facessi un figlio con lei. Tempo dopo, era il 2007 e ci eravamo lasciati da un po’, decido di andarla a trovare a Verona, dove viveva. Abbiamo fatto l’amore, dopo dieci anni e lei, poi, chiacchierando del più e del meno, mi fa: “Sai, sopra abita un vecchio che mi guarda sempre”. A me! Non ho commentato e me ne sono andato, perché sono un santo. Le famose doti interiori di cui parla nel suo ultimo libro… Cosa si porta nel 2010 appena iniziato? Voglio che prosegua questo stato di cose. Il mio motto per l’anno nuovo potrebbe essere: Prima del decesso, tanto sesso! Remotti, a 85 anni, un quesito da poco: essere o non essere? Non si tratta di capire o non capire ma di star bene oppure no. Lo dico e lo scrivo: per un giusto uso della mente bisogna lavorare bene innanzitutto su se stessi, puntando soprattutto sull’impiego dell’attenzione, che è fondamentale, e sull’individuazione della consapevolezza, come d’altronde ci insegnano il Tao o lo Zen. Il vero problema è “scansare” la mente. Pensare è la cosa peggiore. Io rispetto tutti, credenti e non, ma la questione sta anche altrove. È nel sesso, perché il sesso è Dio, il sesso è la vita. NEXTFAMILY
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NON AVRAI ALTRO AVATAR ALL’INFUORI DI ME L’acqua, la giungla, il cosmo, il doppio esistenziale. L’ultimo desiderio del regista di Titanic è stato per 15 anni poter filmare nello spazio. Con Avatar ci è andato davvero vicino e da ora, afferma James Cameron, il cinema non è più lo stesso. Sembra il suo buon proposito per l’anno nuovo appena iniziato di Jacopo Di Daniele/foto 20th Century Fox
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è chi dice che ammonti a 320 milioni di dollari, chi invece “solo” a 200, il costo di Avatar. Dopo la bellezza di 12 anni di gestazione (per scrivere Cent’anni di solitudine Gabriel Garcia Marquez impiegò 12 anni), il regista James Cameron è tornato. Non nuota più nelle acque tumultuose di Titanic, che gli fruttarono 10 Oscar, mentre sembra ricandidarsi per i prossimi a febbraio, essendo uscito in USA il 18 dicembre scorso e nonostante la pellicola sia poco “oscarizzabile”, trattandosi di un film di fantascienza, cioè di genere. Tuttavia, un po’ si prepara il terreno, o dovremmo dire il Pianeta? Già, perché con il suo nuovo lavoro Cameron getta molto più che un buon proposito per l’anno appena iniziato: rivoluziona per sempre il nostro modo di guardare, o meglio di vedere, inteso come tecnica anche di ripresa. Fin dalla visione delle prime sequenze del film, proiettate in sette sale italiane nell’ottobre scorso, i fan non erano rimasti delusi. Un dato è certo: le nuovissime tecnologie 3D sono non il futuro ma il presente del cinema, e naturalmente non solo del cinema. In 16 minuti di preview a Los Angeles, inoltre, Cameron era apparso sullo schermo annunciando che il pubblico avrebbe assistito a qualcosa che in poco tempo avrebbe superato di gran lunga le immagini viste nel trailer, spalancando un sipario immaginario su un reale ventiduesimo secolo. Secondo Cameron il cinema su grande schermo può avere ancora ragione di esistere nel ventunesimo secolo solo attraverso un’esperienza totale della terza dimensione. Ecco quindi Avatar (nelle sale italiane dal 15 gennaio) che porta realmente, attraverso la tecnologia digitale, le immagini fuori dallo schermo, perfino senza i famosi occhialini, anch’essi di nuovissima generazione, attivi e non passivi, sicuramente più sofisticati ma ancora inevitabilmente scomodi se impiegati su vasta scala, e con i proiettori e le sale che abbiamo in Italia. Il primo vero effetto speciale consiste nella durata dell’esperienza, poiché un conto è un film di breve durata che, per alcune scene, implementa la tecnologia 3D, un altro è un blockbuster di oltre due ore girato interamente in 3D. La complessità tecnologica e stilistica di Avatar era stata già anticipata dallo stesso regista sul palco dell'E3 di Los Angeles, durante il principale evento mondiale in materia di videogames, e lo aveva fatto per annunciare al mondo l’uscita del videogioco di Avatar. In un ormai celebre discorso (Cameron in genere è poco loquace) aveva illustrato non tanto, non solo il gioco ma, soprattutto, aveva spiegato per la prima volta il contesto in cui si sarebbe articolata la storia. Film e game hanno trame diverse, ma l'ambientazione è la stessa: su un pianeta remoto, abitato da una razza aliena, è in corso una guerra, nel corso della quale sboccia un amore virtuale che moltiplica ego umani, avatar e molto altro ancora. La particolarità del film e il primato del gioco consistono nell’essere stati sviluppati parallelamente, impiegando il medesimo reparto visivo. “In genere i giochi tratti dai film fanno schifo e io non voglio che nulla, associato ad Avatar, faccia schifo" ha dichiarato il regista. Per questo gli specialisti della Ubisoft, società produttrice del videogame, hanno lavorato a contatto con la
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troupe del film, si sono scambiati suggerimenti, dati sulla computer grafica, bozzetti e disegni, informazioni. Gli uni hanno contribuito alla realizzazione del lavoro degli altri. La genesi di Avatar, insomma, costituisce la forma ideale di condivisione di un progetto, considerando che un film costosissimo e insieme di alto profilo ha comunque un destino commerciale determinante al 100% sulla vita di una major. Venendo alla realizzazione del film, le novità introdotte nel campo della registrazione e della visione non sono numerose ma sostanziali. Intanto perché siamo di fronte a una storia recitata anche da cloni digitali: Cameron ha, infatti, filmato gli attori su fondali digitali contemporaneamente e non li ha inseriti in una
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Un conto è un breve filmato girato in terza dimensione, ben diverso se un intero
blockbuster di due ore viene realizzato in 3D
seconda fase, come si è fatto abitualmente finora usando il blue screen (vedi Star Wars, Star Trek…). Per il titanico creatore di mondi paralleli “l’auspicio è che l’umanità comprenda che il 3D è la sola via per il futuro del cinema, l’unico sistema in grado di garantire la sopravvivenza della visione di un film nel buio della sala, stimolando la gente a uscire di casa”. Considerato, inoltre, che il Dvd si avvia all’obsolescenza, che il Blue Ray Disc lo migliora, alla fine la grandezza dell’esperienza in sala non ha niente a che vedere con nessun altro supporto e continuerà ad essere la fonte di maggior richiamo per le famiglie ad una visione collettiva. Certo, con le loro 4.000 sale gli Stati Uniti erano preparati all’avvento di Avatar,
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ma resta da verificare quanto nel resto del mondo si sia dotati di adeguata strumentazione. Il regista non doveva convincere nessuno, visto che Titanic ha incassato globalmente 620 milioni di dollari in USA e circa 2 miliardi in tutto il mondo nel lontano 1997, ma ogni volta che si pensa a un nuovo film l’avventura è totale, nuova, inesplorata. James Cameron, nato come documentarista subacqueo al pari di un altro regista visionario come Luc Besson (Il quinto elemento, Arthur e il popolo dei Minimei), altro pioniere della tecnologia e di una grandeur da espatrio, aveva già prodotto speciali naturalistici in 3D e sostenuto la missione impossibile di Steven Soderbergh di ricreare con l’amico George Clooney le nebulose di Solaris del grande NEXTFAMILY
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Nell’immagine, una nostra eloborazione grafica dello spirito, dei contenuti e della multiforme anima di Avatar
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Trama d’autore Al di là di ogni riassunto e trasformazione della trama di Avatar , ci piace riportare qui le brevi note che accompagnano il film della 20th Century Fox così come la stessa Fox recita. “Avatar ci porta in un mondo nuovo e spettacolare al di là di ogni immaginazione, dove un eroe ribelle si imbarca in un’avventura epica, che alla fine lo vede combattere per salvare il mondo alieno che ha imparato a chiamare casa. Il film era stato concepito da James Cameron, il regista Premio Oscar per Titanic , una quindicina di anni fa, quando non esistevano ancora gli strumenti necessari per dare vita alla sua visione. Ora, dopo quattro anni di lavorazione, un film live action con una nuova generazione di effetti speciali offre un’esperienza cinematografica assolutamente innovativa, dove la tecnologia rivoluzionaria creata per la realizzazione del film si fonde completamente con l’emozione pura dei personaggi, penetrando nel flusso della storia. Entriamo in questo mondo alieno attraverso gli occhi di Jake Sully, un ex Marine costretto a vivere sulla sedia a rotelle. Nonostante il suo corpo martoriato, Jake nel profondo è ancora un combattente. È stato reclutato per viaggiare anni luce sino all’avamposto umano su Pandora, dove alcune società stanno estraendo un raro minerale che è la chiave per risolvere la crisi energetica sulla Terra. Poiché l’atmosfera di Pandora è tossica, è stato creato il Programma “Avatar”, in cui i “piloti” umani collegano le loro coscienze ad un avatar, un corpo organico controllato a distanza che può sopravvivere nell’atmosfera letale. Questi avatar sono ibridi geneticamente sviluppati dal DNA umano unito al DNA dei nativi di Pandora… i Na’vi. Rinato nel suo corpo di avatar, Jake può nuovamente camminare. Gli viene affidata la missione di infiltrarsi tra i Na'vi, diventati l’ostacolo maggiore per l’estrazione del prezioso minerale, ma una bellissima donna Na'vi, Neytiri, salva la vita a Jake, cambiando radicalmente il suo destino e quello della storia. Jake viene introdotto da lei nel clan e impara a diventare uno di loro attraverso numerose prove e avventure. Man mano che il rapporto tra Jake e la sua istruttrice ribelle Neytiri si approfondisce, lui impara a rispettare il modo di vivere dei Na’vi e finisce col trovare il suo posto tra loro. Deve però superare la prova finale mettendosi alla loro guida in un’epica battaglia che decide il destino di un intero mondo”.
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Tarkovsky. Non era stato con le mani in mano, Cameron. In questi 12-15 anni che separano Titanic da Avatar il regista ha, infatti, progettato più volte di volare nello spazio e perfino di girare in orbita, ovvero su una stazione orbitante, il suo nuovo film, soprattutto alla luce del fatto che molti istituti di ricerca spaziale hanno reso possibile il viaggio interstellare quasi come un giro fuori porta (anche se il biglietto di andata e ritorno è per turisti paperoni, aggirandosi intorno ai 200.000 dollari). In Avatar un effetto speciale, in realtà molto umano, ha il volto di Sigourney Weaver, l’eroina cameroniana di Alien, cui si affianca la scoperta di Sam Worthington, che corre parallelo al suo processo di immedesimazione in un alieno, proprio come un utente del web crea e prende possesso/identità del proprio avatar. Girato tra Nuova Zelanda, Canada e Los Angeles, la realtà virtuale ci proietta sul Pianeta Pandora, dove l’aria è irrespirabile e la tesi del film ci dice che solo un avatar può sopravvivere. La sfumatura è più sottile di quanto pensiamo, perché il fenotipo della popolazione Na’vi, gli indigeni di Pandora, presenta tratti umanoidi mescolati a caratteri più marcati dal punto di vista animale, riaccendendo un antico discorso sull’evoluzione di una specie e di una civiltà. Quando si parla di doppio, di esperienza parallela, viene anche in mente Matrix, il film dei fratelli Wachowsky che aveva anticipato certe modalità di ripresa (la velocità gestibile, secondo mappatura computerizzata, fino a 12.000 fotogrammi al secondo contro gli appena 24 del normale scorrimento della pellicola nel proiettore). Ma se in Matrix il doppio digitale del protagonista entrava in una dimensione virtuale, in Avatar è definitivamente tangibile: i corpi umani che vediamo operano in una sfera reale, eppure traslata su un altro pianeta. Attraverso un avatar è possibile pilotare, orientare la propria coscienza come all’interno di un veicolo. Anzi, ci si identifica con il veicolo stesso. “Ti senti vivo al 100% in quel mondo” afferma Cameron, che spiega: “Avatar è animazione ma nello stesso tempo è come un film girato dal vivo, con attori veri”. La primogenitura in Avatar è stata abbinare la performance dell’attore ai movimenti delle figure sintetiche del mondo virtuale, sovrapponendole in tempo reale grazie ad un sistema di ripresa chiamato simulcam, all’interno del quale una macchina da presa è in grado di girare in live action e al tempo stesso in 3D, potendo quindi seguirevedere contemporaneamente gli attori e gli sfondi virtuali sui quali essi agiscono. E quando Cameron parla di esperienza viscerale della full immersion in 3D, nel suo film è particolarmente vero dal momento in cui, per esempio, un fenomeno come quello della bioluminescenza, tipico di un corpo umano immerso nell’acqua di notte, determina l’imprinting cromatico dell’intera storia. Un fenomeno adorato dal regista fin da quando era ragazzo e scendeva in mare con bombole e cinepresa, molto tempo prima di girare il suo primo film: The Abyss. Ambientato nel 2035, il tempo di Avatar non è affatto così distante dalla nostra epoca. Le tecniche di performance capture, una sorta di motion capture potenziato e le riprese effettuate con macchine HD 3D, sviluppate in laboratorio dallo stesso Cameron, hanno fatto il resto.
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Spin off o videogame? James Cameron (foto a sinistra sul set) l’aveva detto: “Non è stato certo un film dalla gestazione breve. Ho fatto parecchi sondaggi tra amici, tecnici, addetti ai lavori, e tutti lo hanno trovato fantastico, solo che non volevo fare un classico film di fantascienza, specie con una tecnologia completamente nuova e in 3D. Allora ho pensato fosse meglio anticipare il film con un pilot non necessariamente cinematografico, piuttosto un gioco, un videogame ispirato dal concetto di avatar, fuso con astronavi, armi, armature del futuro, elementi che sarebbero rifluiti anche nel film, fondendo l’aspetto tecnologico con l’umano, ma proiettandolo in una dimensione mai vista e vissuta prima. Partendo comunque da una serie di spin off di idee, di creatività, che fossero alla base della sceneggiatura”. In principio fu dunque il videogioco (da dicembre in vendita da Sony Psp). La Ubisoft aveva parlato chiaro fin dalle prime rivelazioni circa la trasposizione videoludica di Avatar. Nei panni di uno dei membri della spedizione, i giocatori devono esplorare la superficie di Pandora e cercare al tempo stesso di sopravvivere alle mille insidie che si celano ovunque. Il game non si limita a seguire la storyline tracciata dal lungometraggio, ma consente di creare un'esperienza nuova pur mantenendo stretti legami con i setting e le trame originali. Veicoli ed equipaggiamenti si basano su quelli creati per il film: tra i mezzi a disposizione dei giocatori troviamo per esempio l'hovercraft chiamato Scorpion e le AMP Suit, piccoli mech bipedi dotati di devastanti mitragliatori. I protagonisti-giocatori sono anche dotati di armi di vario genere, inclusi lanciafiamme, lanciagranate e pistole laser. A seconda degli avversari, possono selezionare quelle più adatte, imparando al tempo stesso a gestire strumentazioni elettroniche, tra le quali spicca un rivoluzionario dispositivo mimetico. Innumerevoli sono anche le specie animali e vegetali che, splendidamente animate, circondano i personaggi: non sono solo elementi accessori ma svolgono ruoli attivi a tutti gli effetti (tanto per dirne una, si hanno a disposizione speciali strumenti per raccogliere dati su flora e fauna del pianeta e tali elementi sono a loro volta utili per completare alcune missioni secondarie nel corso del gioco). L'alternarsi del ciclo giorno-notte rende inoltre l'esperienza ancor più profonda, permettendo di apprezzare tutta una serie di differenze nella gestione degli ambienti, da un punto di vista strategico o puramente psicologico. L’aspetto più coinvolgente del gioco consiste, comunque, nella possibilità di agire nei panni di un Na'vi: la popolazione autoctona non si serve di moderne tecnologie ma delle risorse offerte dal pianeta stesso. Nei momenti in cui si interpreta un Na'vi, il gioco assume i connotati di un'avventura stealth, mentre le fasi di combattimento si fondano su scontri corpo a corpo nei quali velocità e tattica diventano componenti essenziali per avere la meglio sulle avanzate strumentazioni dei terrestri. Il gioco supporta il 3D, ma solo a condizione che si disponga di un monitor HD. Il 3D è destinato alle versioni per Xbox 360 e PS3. Una storia troppo affascinante per lasciarsela scappare, a iniziare da un videogame che, come il film rivoluziona la storia del cinema, alla console ha cambiato per sempre l’universo del settore.
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Il 2010 per me
JAMES CAMERON (regista)
VIRGINIA RAFFAELE (attrice comica)
DRAGAN TRAVICA (pallavolista)
REMO REMOTTI (attore, scultore, pittore, poeta)
PAOLO FLAMMINI (patron di Superbike)
BEATRICE FLAMMINI (attrice)
SUSANNA GIOVANNETTI E PAOLA DEL FERRARO (burattinaie)
“Con Avatar ho voluto rivoluzionare completamente la tecnica della ripresa e della visione. Dopo questo film credo proprio che il cinema non sarà più lo stesso”.
“Nell’anno nuovo mi porterei la Gialappa’s Band. Mi hanno visto su YouTube, mi hanno chiamato per fare un provino e mi hanno preso per far parte del team di Mai dire Grande Fratello ”.
“Nel 2010 porterei con me una foto con le persone più importanti della mia vita: la mia famiglia, la mia ragazza, i miei amici”.
“Il mio motto per l’anno nuovo potrebbe essere: Prima del decesso, tanto sesso!”.
“Spero di lasciarmi alle spalle quest’atmosfera pesante che abbiamo vissuto in tutto il mondo: mi ha tolto serenità. Mi auguro che nel 2010 questa pressione si allenti e si inizi ad intravedere un mondo più felice e disteso”. “Dopo Amore 14 spero di fare altri film. Inoltre, finito il Liceo mi piacerebbe iscrivermi all’Università, alla facoltà di Medicina, e diventare chirurgo”. S: “Il portatile, ci permette di fare tante cose autonomamente, come il montaggio di foto e musiche”. P: “Le forbicine multiuso, ci hanno salvato da ogni inconveniente, anche in scena”.
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liberi di respirare
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LE NOSTRE PRIGIONI Famiglie oscure, oscurate‌ Dal caso Cucchi ai molti, troppi cattivi esempi di reclusione nel cosiddetto Belpaese. Uno spaccato statistico per cercare di fotografare quel che in genere non si vede o non si vuole vedere di Carmelo SchininĂ
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ncora pentole contro le sbarre. Parliamo di qualche mese fa, ma la realtà delle nostre prigioni non è certo cambiata dopo le festività natalizie. Una delle ultime rivolte da parte dei detenuti contro la “terza branda” era avvenuta al Marassi di Genova a novembre scorso, con un recluso magrebino salvato in extremis dalla polizia penitenziaria mentre tentava di suicidarsi. Il problema del sovraffollamento (nel caso del Marassi si contano oltre 800 carcerati costretti a vivere in condizioni disumane e ammassati in tante piccole celle contro le 150 unità della penitenziaria, ndr) è stato solo la punta di un iceberg: caoticità, disorganizzazione e incapacità di un vero reinserimento degli ex-detenuti nella società, sono le tre piaghe che rendono oggi quella delle carceri italiane un’emergenza nazionale. Cosa pensa la politica? Secondo Lanfranco Tenaglia, responsabile Giustizia del Pd “la situazione è drammatica per due motivi: il sovraffollamento e la fatiscenza dell’edilizia carceraria. Ci vorrebbe un intervento straordinario di costruzioni di nuove carceri e anche una riforma del sistema processuale delle pene con la creazione di percorsi alternativi al carcere e con l’effettività della pena per reati veramente gravi, che ledono la sicurezza dei cittadini”. Mentre l’attuale ministro della Giustizia Angelino Alfano assicura 20.000 (che ogni tanto diventano 25.000, ndr) nuovi posti nel sistema penitenziario nel giro di due o tre anni, costruiti in brevissimo tempo e bene, con lo stesso sistema delle nuove case per i terremotati di Onna. Mancano soldi, è vero. Ma sembra che un’aria forcaiola e di demagogia mediatica prenda il sopravvento sull’agire politico, paralizzandolo. Next family ne ha parlato con Salvatore Ferraro, giurista che ha conosciuto il carcere e oggi, tra i suoi molteplici impegni alla Camera, suona anche nella band Presi per caso, un gruppo di ex detenuti (e non, ndr) che attraverso la formula ironica della canzone-teatro mostrano un’interessante retrospettiva del mondo dentro e fuori le sbarre, cercando di sensibilizzare l’orecchio ma soprattutto il cuore della gente e arrivando laddove la politica non arriva. “Oggi il carcere è vittima di un problema storico-culturale” afferma Ferraro “perché non è mai stato conosciuto dalla collettività per quello che è realmente. Per qualcuno è una sorta di discarica sociale dove ammassare reietti, per altri un luogo di espiazione in cui dover per forza perdonare chi ha sbagliato, ma la verità sta nel mezzo. È qualcosa che reclude e punisce, con l’intenzione però di “socializzare”, cosa che non viene rispettata. Manca un percorso graduale dell’individuo nella società e il regolamento del ’75 non è mai stato attuato perché mai è stata fatta una politica adeguata a riguardo”. Ferraro ha ragione. S’era tanto parlato dell’importanza del supporto psicologico all’interno prima e dopo la galera. E cosa è successo? Nel 2004, per integrare le carenze del trattamento rieducativo dei detenuti, è stato indetto un concorso vinto da 39 psicologi. Nel 2006 si è imposto il blocco delle assunzioni e nel 2008 c’è stato il passaggio delle competenze per il trattamento sanitario dei detenuti dal ministero alle Asl,
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lasciando incertezza sulla figura degli psicologi. Così il ministero ha incaricato 400 consulenti esterni per la rieducazione dei carcerati, perché in organico ci sono solo 16 psicologi per 65 mila detenuti. La domanda è: questione di risorse economiche o becero rimpallo di responsabilità? Intanto, per ottenere giustizia, i 39 psicologi si sono rivolti al giudice del lavoro. “Quando ci fu l’indulto” continua Ferraro “con le polemiche che ne derivarono, le uniche città italiane che dimostrarono una certa capacità dell’inserimento dei detenuti nella società sono state solo Roma, Milano e Padova. In tutte le altre non è mai stato registrato un atteggiamento del genere. Perché?”.
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I numeri di una realtà malata 65.225 i detenuti nelle carceri italiane, una situazione esplosiva: il limite di tollerabilità è di 63.568 posti. 24.085 (circa il 37%) sono stranieri, mentre 31.346 (il 50% del totale) è in attesa di giudizio. 146 i morti negli ultimi 10 mesi, nell’intero 2008 erano morti almeno 121 detenuti, dei quali 48 per suicidio. Dal 2000 al 2009 il numero dei decessi è salito a 1.365. 60 suicidi solo nel 2009, a togliersi la vita sono prevalentemente i detenuti più giovani: i 10 morti di carcere più giovani del 2009 sono tutti suicidi, uno di loro aveva 17 anni. Si impicca in bagno nel carcere minorile di Firenze. Fonte: La Stampa del 3.11.09
In Europa Tra le principali iniziative culturali che coinvolgono le carceri italiani Next Family vi segnala il progetto internazionale “Movable Barres, musica e danza nelle carceri d’Europa”. La terza edizione si è svolta a Roma a dicembre scorso ed è stata organizzata dal Cetec (Centro Europeo Teatro e Carcere) insieme all’Università City College di Manchester. Artisti, esperti di teatro sociale e musicisti si sono incontrati in un seminario al chiuso per confrontarsi su uno stesso tema e con uno stesso obiettivo: proporre visioni e attività artistiche, mettere a disposizione esperienze esemplari di buona pratica per tutti coloro che svolgono attività formativa, artistica e rieducativa all’interno delle carceri, studiare e affrontare su scala internazionale cosa accade nei luoghi di detenzione per il recupero e la formazione dei reclusi attraverso la musica e la danza. Sono state, inoltre, presentate diverse interessanti esperienze italiane con artisti e addetti ai lavori tra cui Laura Mazza, coreografa del film Tutta Colpa di Giuda, che ha presentato un inedito back stage e l’Associazione Liberi Onlus con Liberi per sempre, film documentario - con la regia di Flavio Parente - girato negli istituti per minori italiani insieme al cantautore Alberto Mennini con la collaborazione del Dipartimento della Gioventù, del Ministero della Giustizia - Dipartimento per la Giustizia Minorile Direzione Generale per l’Attuazione dei Provvedimenti Giudiziari.
Ma non è tutto. Analizzando la situazione penitenziaria degli ultimi anni si ottiene un dossier infinito che evidenzia testimonianze accertate di maltrattamenti, fino a veri e propri casi di tortura a scapito dei reclusi. “Non dimentichiamoci che il detenuto è un essere umano” afferma Ferraro “oltre che una figura giuridica. Oggi oltre il 70% dei detenuti è in attesa di giudizio. E durante tale attesa non sappiamo se il soggetto in questione sia colpevole o meno. Ma basta saperlo dietro le sbarre per reputarlo un mostro e trattarlo come tale”. A Biella qualche mese fa è stata scoperta una “cella liscia” dove i detenuti sarebbero stati colpiti con violenti getti d’acqua, a Nuoro nel 2006 otto agenti della NEXTFAMILY
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polizia penitenziaria sono stati rinviati a giudizio per violenza privata nei confronti di un detenuto marocchino, a Sassari nel 2003 c’è stato un pestaggio punitivo contro alcuni detenuti che protestavano per mancanza di viveri e acqua. Andando ancora a ritroso, nel 2001, 15 agenti hanno “agito” nella caserma di Bolzaneto durante il G8 di Genova costringendo diversi manifestanti a stare 24 ore in piedi, faccia al muro con le gambe divaricate e le braccia alzate, nella cosiddetta “posizione del cigno”. Oggi tutti e 15 sono condannati in primo grado per abuso d’ufficio e lesione personale. Nel 2009 sono già 146 i detenuti deceduti in carcere (ultimo caso eclatante quello di Stefano Cucchi, ndr), 6 in più del totale dell’anno scorso. Ma è il dato dei suicidi a destare maggiore allarme: nei primi dieci mesi del 2009 i “rinchiusi” che si sono tolti la vita sono stati 61. E ancora, il 2 febbraio 2009 un ex medico del carcere Vallette di Torino denuncia abusi e connivenze in danno ai detenuti, dichiarando come “all’interno delle strutture i pestaggi da parte degli agenti, addirittura organizzate in apposite squadrette, siano all’ordine del giorno”. Si denunciano anche violenze praticate nei reparti di osservazione psichiatrica, tra cui “contenzioni a mezzo di manette e sedazioni non consensuali”. Non mancano nemmeno i casi di violenze verso alcune detenute. A febbraio di quest’anno si è chiuso il processo contro una guardia penitenziaria: l’uomo è stato condannato a tre anni di reclusione. I fatti risalgono al 2005, quando l’agente, secondo l’accusa, nel perquisire una detenuta le palpeggia il seno, riservando lo stesso trattamento a diverse altre donne, che era solito toccare infilando le mani attraverso le grate delle celle, capitolo a parte gli abusi per estorcere notizie. Quasi una prassi generalizzata. Infine, secondo Salvatore Ferraro un vero e proprio cambiamento dovrebbe cominciare dalla riforma della giustizia: “bisogna ottenere una maggiore certezza dei tempi. Se in Italia s’è fatta una legge Pinto vuol dire che questa esigenza c’è. Una giusta riforma della giustizia dovrebbe partire, a mio avviso, da una moderna visione del codice penale. Ma ci rendiamo conto che il nostro codice Rocco risale al 1931? E’ totalmente anacronistico, si rivolge a un Italia che non è più la stessa e che in 70 anni ha diametralmente mutato forma e sostanza”.
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Presi per caso “Il nostro progetto è raccontare il carcere a chi non lo conosce. Molta gente ci ringrazia di far rivelare un universo sconosciuto. La cosa che più funziona è raccontare la galera con la giusta dose di ironia che permette l’unico reale confronto col pubblico”. Queste le parole di Salvatore Ferraro, chitarrista e tastierista della band dal 1998. I Presi per caso nascono circa otto anni fa, all’interno delle mura del carcere di Rebibbia grazie a una intesa tra detenuti e area educazionale. È una band in divenire: scarcerazioni e arresti, infatti, influiscono direttamente sulla composizione del gruppo. L’ultimo disco, uscito quest’anno, si chiama Senza passare dal via: il raggiungimento di una vera e propria maturità musicale. Per saperne di più visitate il sito www.presipercaso.it o lo spazio www.myspace.com/presipercaso I Componenti del progetto artistico PRESI PER CASO Stefano Adami (attore, cantante) Andrea Baiocco (attore) Armando Bassani (chitarrista, arrangiatore) Stefano Bernardi (batterista) Rebecca Braccialarghe (attrice) Claudio Bracci (chitarrista) Stefano Bracci (bassista, arrangiatore) Vincent Caterini (chitarrista, compositore) Massimo Cecchini (sassofonista) Roberto Celestini (attore) Chito (scenografo, vignettista, autore) Andrea D’acunzo (tastierista) Pietro Ferracci (attore) Salvatore Ferraro (tastierista, chitarrista, autore, compositore) Pino Forcina (attore) Gaetano Giordano (attore) Nando Giuseppetti (batterista, autore) Carlo Andra Lo Guzzo (attore) Barbara Marzoli (attrice) Marco Nasini (cantante) Aldo Osmani (attore) Mauro Perosini (tastierista) Giampiero Pellegrini (attore, cantante)
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Sopra, una veduta del carcere di San Vittore a Milano; in alto a destra, una delle famose Carceri di Piranesi; a lato, l’interno di Alcatraz. Nella pagina a fianco, in basso, i Presi per caso
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Le mutande della (s)Ventura
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li scozzesi, con il gonnellino, non le hanno mai portate. E pare che i più recenti guai della corona inglese siano cominciati quando lo sguardo indagatore di Camilla abbia indugiato troppo a lungo sotto il kilt dell’amato Carlo. Indagando indietro nel tempo, si apprende che, dall’antichità greco-romana al Medioevo e oltre (coinvolgendo i popoli dell’Europa settentrionale, come i galli, i britanni, i teutoni), le mutande sono state un indumento esclusivamente maschile. Gli uomini le indossavano per gli esercizi ginnici, per viaggiare e, soprattutto, durante i combattimenti, affinché le armi non compromettessero armamenti d’altro genere. Soltanto nel Rinascimento, le illusorie custodi della decenza fecero capolino nel guardaroba delle donne, ma soltanto quale segno distintivo delle meretrici (come le famose braghesse veneziane), perché il loro uso sarebbe risultato grandemente scandaloso da parte di una signora. Introdotte nell’abbigliamento femminile sul finire del diciassettesimo secolo, le donne cominciarono a usarle abitualmente all’inizio del secolo successivo. Ma il trionfo delle mutande avviene fra l’Otto e il Novecento. E, nella loro forma allungata fino alla caviglia (terminanti con pizzi, volants e maliziosi lacci), vengono rese note pubblicamente dalle svergognate ballerine di can-can. Da quel momento in poi, la loro fama dilaga a tal punto da finire perfino sul pentagramma. E, negli Anni Venti, si canta. “Mutandine di chiffon / sentinelle del pudor / difendete la trincea della virtù. / Ma l’attacco può scoppiare / qualche strappo si può fare / ed allor voi diventate / mutandine mutilate”. Tempo dopo, i canzonieri inteneriscono i consumatori di note con la triste storia della Paloma bianca, in cui la povera pennuta svolazza su paesi e città, malconcia e intirizzita per aver lasciato “le mute Ande sotto la neve”. Lucio Battisti spera di ravvivare una giornata uggiosa, risvegliandosi con la sua bella accanto in “mutandine rosa”. Renato Zero, con la sua voce da carrettiere a vino, inquisisce, rivolto non si sa bene a chi e perché: “Dentro quelle mutande, chi c’è?”. Francesco Guccini, rinunciando a “un discorso più grande”, ordina alla signorina cultura: “Si spogli e dia qui le mutande”. Lucio Dalla, stanco di peregrinare fra marinai ubriachi e lucciole vagabonde, decide di tornarsene a casa, “mettersi in mutande” e abbandonarsi a un disperato erotico stomp. Poi, fra slip, culotte, boxer, perizoma, topless, tanga e pezzettini di bikini, lo scafandro delle vergogne arriva anche a Sanremo. Fiorella Mannoia cerca “qualcosa da inventare in mutande”, aggirandosi sul palco dell’Ariston bevendo caffè nero bollente. Ci sono casi in cui le mutande sono soltanto un ostacolo sulla via dell’emancipazione. E Drupi affronta la sua “bella bellissima” dicendole: “Sotto ai blue jeans / tu non ci porti mai niente”. Ma l’assenza di mutande era già in voga fra le scostumate del cafè-chantant. Nina Ondina, popolarissima sciantosa napoletana, se le toglieva prima di andare in scena. Tenendo fede al nome scelto per calcare le tavole del peccato, pascolava per il palcoscenico a tempo di
barcarola e, quando la musica si interrompeva per fare posto ai rulli di tamburo, la scellerata voltava le spalle al pubblico, eseguiva la mossa all’incontrario e, portandosi le vesti fin sopra la testa, offriva a colpi di grancassa il suo nudo poderoso di dietro alla platea inalberata. Non c’è contesto in cui le mutande, prima o poi, non facciano la loro comparsa. Si narra della madre superiora di un convento scesa precipitosamente di notte in giardino per redarguire una novizia sorpresa in dolce compagnia. Ma la solennità dei suoi rimproveri non fece che destare l’ilarità irrefrenabile dei due giovani. L’incauta badessa non aveva fatto caso che, nel rivestirsi in fretta e furia, al posto della cuffia, si era messa in testa le mutande del parroco. Mentre le cronache spaziali riportano che, per motivi logistici, un astronauta giapponese ha portato lo stesso paio di mutande per ben quattro settimane. Ma le mutande, come la fantasia, non conoscono limiti di sorta. Anche il cinema offre appetibili storie legate all’ameno oggetto del segue a pag. 72>>
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desiderio. Oltre che Mecca della celluloide, Hollywood è (ed è stata) anche il paradiso delle mutande. Mae West le distribuiva al posto degli autografi. Marlene, dopo averle inumidite con una goccia di Chanel, le spediva ai suoi ammiratori. Rosalind Russell le metteva nel taschino della giacca dei suoi partner come souvenir. Joan Crawford le sbatteva sul labbro leporino di Clark Gable (del quale era follemente innamorata), ma senza risultati. Joan Fontaine le mostrava, invitante, a Cary Grant, ma lui era molto più interessato a quelle di Randolph Scott. Paul Newman le toglieva ai suoi giovani amici. Rock Hudson collezionava quelle dei camionisti. Celeberrime quelle mostrate da Jane Mansfield, scendendo ubriaca da una Cadillac. Altrettanto famose quelle di Kim Basinger nello spogliarello da nove settimane e mezzo. Scusandoci per lo sbalzo di area geografica (ma anche per l’umore casereccio), per quanto riguarda la nostra zona di appartenenza, le rivelazioni non mancano. Nel 1959, andando da Roma a Sanremo, Miranda Martino le dimenticò sul treno insieme a un paio di calze. Qualche tempo più tardi, Loredana Bertè e Donatella Rettore le usarono a mo’ di frusta per darsele di santa ragione. Little Tony se le imbottiva con l’ovatta per meglio comparire, ma una volta che vi mise dentro un pezzo di legno ben modellato, andò a sbattere contro una quinta e finì al pronto soccorso. Resta appena da dire che Carmen Russo ha un debole per le mutande leopardate, mentre Rocco Siffredi preferisce gli slip con la proboscide. A questo punto, non si può tacere dell’avvento dell’intimo indumento sul piccolo schermo. In principio, Giulio Andreotti metteva i mutandoni alle ballerine. Ma le prime mutande televisive risalgono al 1966 e appartengono a Gigliola Cinquetti. Accadde a Sanremo, quando la cantante vinse il Festival, presentando Dio come ti amo in coppia con Domenico Modugno, che ne era anche l’autore. Il focoso Mimmo, al colmo dell’entusiasmo, prese in braccio la ragazza di Verona. E gli spettatori poterono constatare come le mutande della cantante (che aveva ormai l’età) erano di un bianco immacolato, abbagliante, verginale. Finalmente sdoganate, le mutande hanno iniziato il loro inarrestabile cammino via cavo. Ripercorrere la storia delle mutande catodiche sarebbe una vera e propria fatica di Ercole. Ricorderemo appena quelle di Alba Parietti, fatta ruzzolare in terra da un irrefrenabile Toto Cutugno, quelle di Alessia Marcuzzi, di Gabriella Carlucci, di Adriana Volpe, della giornalista Monica Setta. A mostrarsi in mutande, ci hanno provato anche Gianni Morandi e Pippo Baudo, spettacoli che, ahiloro!, non hanno alzato niente, ma abbassato vistosamente gli ascolti. Ultime mutande conosciute, quelle di Simona Ventura, che poco tempo addietro le ha mostrate negli studi di Quelli che il calcio, sedendosi su una poltrona stile odontotecnico. Peccato, per gli sventurati che hanno assistito alla scena, che la signora l’abbia fatto fuori tempo massimo sotto tutti i punti di vista. 72
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Dialetto delle mie brame Difficilmente il linguaggio ufficiale riesce a centrare e penetrare nel suo significato più intrinseco una qualsiasi situazione con la stessa forza di un’espressione dialettale. Del resto, il dialetto rappresenta la ricchezza di una lingua. E, come la lingua, ha una grammatica propria e segue una propria evoluzione. A volte, il dialetto può anche diventare lingua ufficiale. L’italiano trae origine dal toscano perché in toscano scrivevano Dante, Boccaccio e il Petrarca. E il dialetto parigino divenne lingua ufficiale perché il conte di Parigi divenne re di Francia. Ma i tempi, ormai, sono altri. Nel suo processo involutivo, l’unico linguaggio cui potrebbe aspirare oggi l’Italia sarebbe (poveri noi!) quello televisivo. Quindi, l’idea di Umberto Bossi, secondo cui il dialetto padano possa diventare la nuova lingua ufficiale del nostro Paese, è più risibile che preoccupante. Con tale proposta, tuttavia, il senatùr commette un errore molto grossolano, almeno per tre motivi. Innanzi tutto, l’Italia non è più, come al tempo di Dante, alla ricerca di una lingua da inventare. In secondo luogo, perché il dialetto padano non ha né la forza né la ricchezza per essere trasformata in una lingua. Infine, dato la bellezza e la varietà del nostro vocabolario, è bene che il dialetto resti un valore aggiunto e non un sostituto del linguaggio ufficiale, altrimenti il povero Manzoni sarebbe andato inutilmente a risciacquare in panni in Arno, quando poteva restarsene comodamente a casa a fare il bucato. Ma il Carroccio non
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voce che l’ex celodurista abbia deciso di scendere in gara al prossimo Sanremo come leader della Bossi Padania Band, presentando una cover di Montagne verdi.
Il potere dei numeri Nel mese di novembre, Alex Britti ha pubblicato e presentato a Roma il suo nuovo cd, un mix di rock, blues, fusion, pop, folk, soul, reggae, canzone italiana d’autore e, volendo, tarantella, charleston, canto gregoriano, Orlando di Lasso, Verdi, Puccini, Wagner, Beethoven, Hindemith, basta saperli individuare. Riferendosi al suo giorno di nascita, questo Uno Centomila Nessuno della periferia capitolina, ha intitolato l’album Ventitré, numero che a Roma ha grande attinenza con la dea bendata. Ed è innegabile che il ventitré sia un numero fortunato, visto il successo che in questi anni ha riscosso il buon Alex il quale, da ottimo chitarrista, dovrebbe limitarsi a suonare, non avventurarsi anche a scrivere musiche e parole, trovando perfino il coraggio di cantarle. Essendo in programma la presentazione del disco a Milano, ci sorge spontaneo suggerire a Britti un piccolo innocente falso anagrafico, tanto per meglio lasciare intendere il potere dei numeri. Per l’occasione, e soltanto temporaneamente, potrebbe chiamare l’album Sedici, numero che è il corrispettivo meneghino del ventitré romano.
Interrogativi oziosi demorde. Dopo aver ventilato l’ipotesi di un test di dialetto per i professori quale lasciapassare per l’insegnamento, è andato oltre. Il presidente del Consiglio comunale di Sanremo Mario Lupi, eletto proprio tra le fila della Lega Nord, ha chiesto a gran voce una modifica della convenzione sancita fra la Rai e la Città dei fiori, perché alla prossima edizione della gara canora della Riviera, si faccia ampio spazio alla canzone dialettale. A questo punto, va segnalato che il rapporto tra Festival di Sanremo e il dialetto c’è sempre stato, a cominciare dal 1951 (anno di nascita della competizione), quando Achille Togliani presentò Famme durmì e nel 1953 Carla Boni fece una incursione nel vernacolo abruzzese con Lu passarielle (Il passerotto). A Sanremo si è cantato in napoletano una infinità di volte. L’hanno fatto, tanto per citare i più noti, Peppino Di Capri, Renato Carosone, la Nuova compagnia di canto popolare, Lina Sastri, Roberto Murolo, Nino D’Angelo. Nel 1992, il gruppo dei Tazenda canta in sardo, presentando Pitzinnos in sa gherra (Bambini in guerra). Saltando al 2007, Milva interpreta The Show Must Go On. Quindi, niente di nuovo e niente di strano. Fino a un certo punto. Se la canzone in vernacolo resta un caso isolato nell’ambito della gara, c’è poco da eccepire. Ma se il fenomeno dovesse allargarsi a macchia d’olio, allora la manifestazione dovrebbe chiamarsi Festival della canzone dialettale, che è tutt’altra cosa. Il pericolo, tuttavia, si nasconde nel fatto che da giovane Umberto Bossi abbia tentato la carriera di cantante e, secondo leggenda metropolitana, inciso anche un disco. Ora corre
* Possibile che in Rai non ci sia una sola persona che possa suggerire a Carlo Conti che l’aggettivo riguardante le nozze si dice nuziale e non nunziale, come l’ameno ereditiero continua imperterrito a ripetere? * Ambra Angiolini è tornata al cinema prendendo parte al film Ce n’è per tutti. A chi è venuto in mente che l’ex boncompagna telecomandata possa anche recitare? * Attraverso una rilettura del Ritratto di Dorian Gray, capolavoro di Oscar Wilde devoto al culto dell’eterna giovinezza e della bellezza assoluta, Oliver Parker ha confezionato una commedia orrorifica a base di volgarità, storpiature, banalizzazioni e inaccettabili manomissioni. Non sarebbe stato opportuno che questo dilettantesco regista, avido di decadentismo da mercatino rionale, prima di rileggere un’opera di tale genialità, si fosse provato a leggerla, tentando magari di capirla? * Francesco Facchinetti, presentatore improvvisato e maratoneta da palcoscenico, nel correre forsennatamente da un capo all’altro della ribalta durante le infauste puntate di X Factor, non ha fatto che urlare come un ossesso, mettendo seriamente a repentaglio le proprie corde vocali, ma anche la stabilità nevrotica dei telespettatori. In una prossima edizione, non sarebbe opportuno mettergli accanto un esorcista? Pensierino caudato Il nazionalismo è la prima vera forma di razzismo. NEXTFAMILY
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NOME IN CODICE: CUCCIOLI Tutela ambientale ed emergenza idrica portano alcuni beniamini del piccolo schermo Rai anche in sala. Un’avventura tutta italiana di Luigi Bonelli
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arlare ai bambini di tutela ambientale, farlo da una tv che spesso è cattiva maestra, impiegare i sei cuccioli cartoon amatissimi dai bambini italiani e trasferire tutto questo dalla poltrona dei nostri salotti a quella della sala cinematografica non è cosa da poco. Specie se pensiamo che a parlare di temi importanti in maniera chiara e perfino divertente sono gli autori e i produttori di un progetto interamente italiano. Ci riferiamo a Cuccioli – Il codice di Marco Polo , già presentato all’ultima Conferenza Generale dell’Unesco a Parigi come esempio di progetto finalizzato a promuovere la coscienza ambientale fra i giovani. Sono naturalmente entusiasti gli artefici di tale operazione, Francesco e Sergio Manfio, registi, e Giorgio Cavazzano, disegnatore. Il film è una co-produzione Gruppo Alcuni e lo spagnolo Grupo Edebé ed è già stato venduto in 21 Paesi, mentre è nelle sale italiane dal 22 Gennaio distribuito da 01 Distribution, il canale distributivo di Rai Cinema ed è tutto realizzato nella factory d’animazione del Gruppo Alcuni a Treviso, una delle realtà produttive più vitali e innovative nel mondo dell’animazione (il suo team si occupa di trasmissioni televisive, attività editoriali e musicali, collocandosi tra le maggiori strutture multimediali europee di prodotti per l’infanzia). Cuccioli – Il codice di Marco Polo è il primo lungometraggio d’animazione completamente italiano incentrato sulla salvaguardia del mondo in cui viviamo e i Cuccioli protagonisti, al loro debutto sul grande schermo, sono
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impegnati in una difficile missione ambientalista: salvare Venezia dalle macchinazioni di Maga Cornacchia che vuole prosciugare la laguna per trasformarla in una città come tutte le altre, con le strade al posto dei canali e motorini e macchine in sostituzione di gondole e barche. Le citazioni cinematografiche sono numerosissime: da The Blues Brothers a 007 , da Harry Potter a L’Era Glaciale (quest’ultimo a sua volta non avaro di riferimenti visivi alla storia del cinema). La difesa del patrimonio idrico è al centro di una storia appassionante, ricca d’azione, colpi di scena, dove non mancano, tuttavia, spunti di riflessione su uno spirito umanitario e umanista assolutamente da non lasciare fuori dai giochi. Qual è il misterioso “codice” di Marco Polo del titolo? Si tratta dell’ambita chiave per risolvere il mistero centrale del film, che procede cercando di sbrogliare una densa matassa di indagini, inseguimenti, viaggi intorno al mondo. Attualità e commedia vanno a braccetto in questo simpatico e importante “trasloco” dal piccolo al grande schermo dei teneri e coraggiosi Cuccioli, richiamati a Venezia da Portatile e Senzanome, che trascinano tutti i loro compagni in prima fila sul fronte dell’impegno: Diva, da papera sfrontata, sta calcando le passerelle delle sfilate di Parigi per inseguire il sogno di diventare una top model; il coniglio Cilindro ha trovato lavoro come bodyguard di una diva di Hollywood; il ranocchio Pio, aspirante attore, sta facendo un provino per il reality Il Grande Nasello e la gattina Olly mette la sua abilità a disposizione della Polizia di Chicago. NEXTFAMILY 75
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QUESTO PAZZO
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a cura di Ilaria Dioguardi
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PESCE SPADA AL POSTO DEGLI SCI
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Un pescatore subacqueo neozelandese di CORSA 18 anni, Nick Dobby, è stato trascinato in VERSO acqua per oltre 3 km da un pesce spada Blue IL MANICOMIO Marlin di 213 kg. E’ successo al Nello Zimbabwe l’autista di largo della Great Barrier Island, un autobus si ferma per un 100 km a nordest di goccetto, rimontato sul Auckland. L'animale, dopo mezzo lo trova vuoto. I essere stato arpionato da NON TIRATE QUELLO SCIACQUONE! 20 passeggeri speciali, un colpo di fiocina, è partidiretti al manicomio, to di slancio tirandosi dieI voli intercontinentali non sono mai troppo comodi, sono fuggiti. Il condutro il ragazzo e la boa a ma immaginate come sarebbe passare sette ore incolcente non si dispera: cui era ancorata la fiocilati al wc di un Boeing in volo da Oslo a New York. E’ sucarriva ad una fermana. Il giovane, dopo due cesso ad una sventurata signora americana che malauguta dove aspetta un ore e mezza di “lotta”, ratamente ha deciso di attivare lo scarico, mentre era anco- po’ di gente e le offre ha avuto la meglio. ra seduta sul water. L’aspiratore automatico ad altissima una corsa gratis… al potenza, cui è collegato lo sciacquone, ha letteralmente manicomio! Prima di NAZISTI A incollato il fondoschiena della signora al gabinetto impedenlasciare gli sventura4 ZAMPE dole di alzarsi per tutta la durata del volo e tentando di ti, avverte i medici Si chiama Adolf, è un risucchiarla dentro. Solo dopo l’atterraggio la sfortunata che le persone trabastardino e alzando passeggera si è potuta liberare grazie all’arrivo dei sportate sono iraa mezz’aria la zampa tecnici. La statunitense ha sporto lamentela alla conde e fantasiose. anteriore destra Sas, la compagnia aerea su cui volava, denunCi sono voluti 3 giorni inquietava vicini e pasciando l’aggressività degli scarichi. per scoprire l’inganno santi. A Berlino il suo e per rimettere in padrone Roland Thein, libertà le ignare (e con baffetti alla Hitler e sane) persone. tuta militare del terzo Reich, è stato denunciato per apologia del nazismo. A nulla sono valsi i suoi tentativi di dipingere l’addestramento del cane al saluto ariano come uno scherzo ingenuo. Il povero bastardino, sulla cui cuccia è dipinto il nome Adolf, per ora, non alza più la zampa e scorrazza in giardino.
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CANI DA TARTUFO? NO, DA CELLULARE Sette pastori tedeschi in grado di scovare i cellulari nascosti nelle celle. Succede in New Jersey, in seguito alla massiccia introduzione illegale di telefonini nelle carceri americane, che permette ai malviventi di continuare i loro traffici anche dietro le sbarre. La legge permette solo agli organi federali, e non a quelli locali, di tracciare i segnali dei cellulari. In attesa di provvedimenti governativi, l’unità K-9 del New Jersey Department Corrections è corsa ai ripari addestrando i cani a riconoscere le sostanze contenute nei telefonini (rame, mercurio, resine di plastica) e l’odore di una sostanza (segreta, almeno per ora) che, a detta degli addestratori, non è così diverso dal tartufo.
NON COMPORRE QUEL NUMERO Riesce ad entrare in un appartamento, lo svuota e va via col bottino. Ma frugandosi nelle tasche non ritrova il cellulare e il ladro allo sbaraglio chiama il suo numero: gli risponde un carabiniere che gli propone un incontro per restituirgli il telefonino in cambio della refurtiva. E il ladro ci sta…
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SE IL TROPPO STROPPIA! Due vagine, due uteri, due cervici in una sola donna, Laura Williams. Questa l’incredibile storia di una ragazza inglese di 29 anni che si è confidata in un noto talk statunitense. Forte dolore nei rapporti sessuali, un ciclo che dura fino a 21 giorni, questo il prezzo da pagare per l’eccentrico “regalo” di madre natura. Ci sono voluti ben 24 anni prima che i medici riuscissero a diagnosticare il suo problema clinico. Adesso con un intervento chirurgico ha eliminato la barriera naturale che separava le vagine gemelle ma i dottori l’hanno avvertita: “ in caso di gravidanza massima attenzione, il secondo utero potrebbe essere fecondato in qualsiasi momento!”.
IPNOSI DA ZAPPING Passava davanti al televisore anche tutte le notti, non dormiva da giorni e aveva le dita delle mani molto indolenzite. Esasperato e in preda alla disperazione, un giovane di Verona si è dovuto rivolgere ad uno psicologo per guarire dalla sua nevrosi: la zapping mania. Il telecomando aveva il potere di ipnotizzarlo e non riusciva a smettere di cambiare canale. La cura del dottore è prevedibile: niente più telecomando fino a completa guarigione della teledipendenza.
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seicomesei di Virginia Di Marno
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Facoltà di Lettere e Filosofia. Esame di Linguistica III. Titolare della cattedra prof. Carmelo Scavuzzo: “Signorina, complimenti. Ottima esposizione. 28”. Io: “Ok, grazie!”. Lui: “Scusi?”, e io “Ok, grazie”, e lui: “Ha detto Ok?… Ci vediamo alla prossima sessione, signorina”. Credo che dopo 7 anni sia arrivato il momento di parlarne, serenamente.
La locuzione in questione sarebbe nata durante la Guerra di secessione americana. L’OK scritto sui bollettini dal fronte significava 0 Killed , zero uccisi.
Un’altra scuola di pensiero fa qualche passo indietro nel tempo. Nel 1840, infatti, fu fondato a New York l’O.K. Club, un circolo di sostenitori dell’ Old Kinderhook, al secolo Martin Van Buren, natio di Kinderhook e candidato alle presidenziali. I fan fecero dell’acronimo O.K. il loro grido di battaglia e di buon auspicio. Van Buren perse, ma Ok rimase.
Meno popolare ma pur sempre plausibile sarebbe l’Ok di Otis Kendall. Lui, agli inizi del XIX secolo, lavorava al porto di New York. Controllava le merci in carico e scarico e contrassegnava con le sue iniziali quelle visionate e Ok.
Ci sarebbero poi l’Ok dei Choctaw, popolazione nativa americana; l’ uou-key in lingua Bantu; e addirittura l’ Ola Kalà greco (caro prof. Scavuzzo!), il tutto bene da pronunciare senza sensi di colpa per abuso di forestierismi.
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Etimologia a parte, lenzuola di blog ricordano che Ok sarebbe una delle parole più dette dalle donne. Cari uomini, doveste sentirla, non tranquillizzatevi: quello che sul pianeta Terra vuol dire va bene, sul pianeta Venere significa letteralmente Ho bisogno di pensare a lungo prima di decidere come e quando fartela pagare!.
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Tra passato e futuro il simbolo della lana, riconosciuto a livello internazionale, è da sempre garanzia dell’eccellenza qualitativa ed ecologica della pura lana vergine
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Pierluigi
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oce profonda e chitarra in mano, sguardo penetrante e quel sorriso dolce amaro che lo rendono un animale da palcoscenico. Questo il biglietto da visita di Pierluigi Colantoni, cantautore cosmopolita cresciuto tra Parigi e Bruxelles, ma romano nell’anima. Dalla sua storia nomade e intensa trae la linfa per raccontare, tra musica e teatro, l’uomo di oggi con le sue paure e le sue speranze nel viaggio della vita. Soluzioni Co-Abitative, il suo ultimo lavoro premiato con la menzione speciale al Festival Giorgio Gaber, è molto di più del solito cd. È un concept-show ironico sulla vita di coppia moderna, raccontata attraverso canzoni e monologhi, linguaggi e sonorità che cambiano con l’avanzare della narrazione. Dentro c’è la vita intera di un uomo, smarrito tra miti e must della società moderna, vere e proprie ossessioni collettive come: I-Pod, Ikea, Stress, Smart, Tisane aromatiche, Auto familiari (solo alcuni titoli dei suoi brani). Il protagonista maschile dell’album attraversa varie tappe, dalla gioventù da single al grande
di Stefano Firrincieli
amore e poi arrivano convivenza e matrimonio e, infine, la routine della famiglia. Ad ogni passo musica e atmosfere accompagnano lo scorrere del tempo, scivolando dolcemente dall’ironia e dall’irruenza della prima parte alla profondità malinconica della seconda, quando da genitori si diventa nonni. In 13 canzoni e 4 monologhi Colantoni racconta un’esistenza possibile, ma senza cadere nella trappola facile, e a volte un po’ stucchevole, del melodico. È l’ironia e la leggerezza la chiave dell’album, il sottile filo rosso che lega grandi successi dei cantanti francesi Benabar e Thomas Fersen, riarrangiati e tradotti dall’artista, alle composizioni originali dell’autore. Colantoni racconta con divertito disincanto l’ansia e lo stress moderno, il logorio dell’uomo di fronte ai ritmi impazzati di oggi ma, contemporaneamente, la tenerezza e la gioia delle grandi passioni di sempre. Basta ascoltare il suo ultimo singolo ammazza-stereotipi, Anch’io . Da tenere sott’occhio, ne risentiremo parlare…
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Tiziana
Pellegrini
pumeggiante, amabile e creativa. Il suo nome è Tiziana Pellegrini e all’età di 26 anni ha già pubblicato il suo primo libro: Vuoi volare con me?. Una storia avvincente quella che racconta, piena di sorprese ed entusiasmi. Sara, la protagonista, vive due esistenze parallele: una vera e reale e l’altra immaginaria, legata a Carrie della nota e fortunata serie americana Sex and the city. Le due vite si incontrano e si fondono in un’inaspettata ed imprevedibile successione di capovolgimenti e conoscenze, fino al punto in cui la ragazza decide di riprendere in mano le redini della sua vita e seguire il proprio istinto. “Sara sono io, sei tu” racconta la giovane scrittrice romana “Sara è in ognuna di noi. Quale ragazza non troverebbe caratteristiche della protagonista con le quali confrontarsi?”. Vuoi volare con me? non è un romanzo autobiografico” continua sorridendo “ma inevitabilmente i personaggi hanno tratti inconfondibili di alcune persone che conosco personalmente e di me stessa”.
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Laureata nel novembre del 2006 in Scienze della Comunicazione, presso l’Università di Roma Tre, Tiziana è ancora incredula del suo grande successo: “La passione di scrivere ce l’ho da sempre, ma mai e poi mai avrei pensato di pubblicare qualcosa di mio. È stato tutto inaspettato: un concatenarsi di favorevoli coincidenze e di incontri giusti”. Quello che ci voleva per far diventare un sogno realtà. Un sogno che continua a crescere e che già da tempo ha fatto maturare in Tiziana la voglia di continuare a scrivere per non fare aspettare troppo i suoi lettori. “Sto già lavorando al secondo libro, perchè il primo può far pensare che ci sarà un seguito. Sono molto felice e non vivo la cosa con pressione, ma con estrema tranquillità. Tutto questo per me è stata una meravigliosa sorpresa, per cui confido nel fatto che potranno essercene altre”. Vuoi volare con me? è scorrevole, piacevole, ironico, accattivante, morbido e sottile. I giusti ingredienti per una torta davvero molto gustosa.
di Maria Nicoletta Tulli
Un volo
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Carey
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a solo 24 anni ed è già stata paragonata ad Audrey Hepburn. Nel 2004 si era fatta notare per il ruolo di Kitty in Orgoglio e pregiudizio e dopo aver lavorato molto in televisione e a teatro, negli ultimi tempi ha riscosso grande successo nel cinema. Molti si sono resi accorti del suo talento per l’interpretazione nella pellicola An di Lone Education Scherfig, grazie alla quale ha ricevuto molti consensi al Sundance Film Festival. La storia è quella di una sedicenne che ha una relazione con un uomo molto più maturo (Peter Sarsgaard). Nonostante un cast eccellente, formato da Dominic Cooper, Alfred Molina, Cara Seymour, Olivia Williams ed Emma Thompson, le attenzioni sono state rivolte soprattutto alla giovane stella del cinema. “Si tratta di un'attrice nuova con il volto e l'approccio giusto, così come un tocco perfetto di tristezza agli angoli della bocca, che ha battuto un fuoricampo. (...) L'emergente Mulligan sta per buttare giù Audrey Hepburn dal piedistallo, perché ha lo stesso tipo di coraggio, ma molta più anima e malin-
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di Anna Sofia Viola
conia nei suoi occhi" ha dichiarato il critico Jeffrey Wells, dopo aver visto An Education. Recentemente è entrata a far parte del cast di This beautiful fantastic, diretto da Terry Loane e girato in Scozia e Germania nei primi mesi del 2010. Definito come una sorta di fiaba moderna sul modello de Il favoloso mondo di Amelie e Neverland Un sogno per la vita, nel film è al fianco di Tom Wilkinson, Christopher E c c l e s t o n , Mackenzie Crook e Joanna Lumley. Tra le pellicole in uscita tra il 2009 e il 2010, la Mulligan compare anche nei cast de Gli ostacoli del cuore di Shana Feste (al fianco di Susan Sarandon e Pierce Brosnan), Nemico pubblico di Michael Mann, Brothers di Jim Sheridan, Never let me go di Mark Romanek, Brighton Rock di Rowan Joffe e Wall Street 2: money never sleeps, sequel di Wall Street diretto da Oliver Stone. Se il buongiorno si vede dal mattino, la talentuosa Carey ha davanti a sé una strepitosa carriera, tutta in discesa.
L’attrice che ricorda
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di Maria Nicoletta Tulli
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Muccino e Un gioco da ragazze, dell’esordiente Matteo Rovere, presentato come “film scandalo” al Festival del Cinema di Roma. Continua anche la collaborazione con Giulio Perrone che, nel gennaio del 2008, pubblica RAC-CORTI… mini storie per chi va di fretta, un’antologia ideata e curata da lui. “I Rac-corti sono un nuovo genere inventato da me: brevissimi racconti di puro intrattenimento” spiega. Visto il grande successo, a dicembre scorso è uscita la seconda edizione, in anteprima alla Fiera della Piccola e Media Editoria a Roma. E ancora tanti altri successi nella carriera del giovane scrittore. Di recente è andata in scena al Teatro Casa delle Culture di Roma Together we are invincibile, commedia di grande successo scritta da Andrea e diretta da Marianna Galloni. Al centro della storia un ragazzo, interpretato brillantemente dal giovane attore Matteo Nicoletta, che decide di organizzare uno spettacolo teatrale per riconquistare la sua ex ragazza. Insieme alla Compagnia del Cappellaio Matto, Careri spera presto di far conoscere la sua commedia anche al resto dell’Italia. ni
iplomato allo storico Liceo romano”Mamiani”, Andrea Careri, 26 anni, racconta le sue avventure artistiche con ironia e entusiasmo. Casualmente a Salamanca, in cui vive per 2 anni, finisce sul set cinematografico de L’ultimo inquisitore di Milos Forman, con Javier Bardem e Natalie Portman. “Portavo semplicemente il caffè agli attori. Vivendo sul set per tanti giorni ho capito che quel mondo mi affascinava tantissimo. La voglia di scrivere (a 16 anni ha elaborato È così facile, un romanzo adolescenziale) che ho da quando ero bambino non doveva fermarsi a quella piccolissima esperienza”. Poco dopo, sempre in Spagna, il coronamento di un sogno: scrivere e condurre un’intera puntata di un programma radiofonico linguistico, all’interno del format Don de Lenguas. Tornato a Roma nel 2006 per conseguire la laurea in Scienze Storiche, inizia a seguire corsi di formazione per sceneggiatori, tra cui quello di RAI-Script, e arrivano le sue prime pubblicazioni: quattro poesie nelle antologie della Giulio Perrone Editore. Da qui stage e assistenze alla regia, anche come volontario, per pubblicità, cortometraggi e film come Parlami d’amore di Silvio
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Scopri tutti i colori di un medesimo mare.
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scuola beauty tecnologia scienze animali psiche salute ricerca a cura di Maria Nicoletta Tulli
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LA GUIDA PER CHIARIRE LE NUOVE RIFORME La nuova scuola spiegata ai genitori è una guida che spiega tutti gli aspetti delle riforme in corso. È stata in edicola con il Corriere della Sera per alcuni mesi e ora l'acquisto è disponibile dal sito www.tuttoscuola.com. Il manuale, per i genitori e non solo, è costituito da 224 pagine. Contiene oltre cinquanta risposte a possibili quesiti e un indice analitico per argomenti con più di 250 voci che esplorano ogni aspetto della materia con linguaggio semplice e appropriato. I genitori possono trovarci ogni utile informazione sulle novità 2009 della scuola riformata, dall’infanzia al primo ciclo di istruzione. Per gli istituti superiori è offerto un quadro completo del sistema scolastico, con la presentazione dell’ordinamento attuale e quello risultante dalle novità rilevanti introdotte dal 2010. Oltre a tutto questo, la guida di Tuttoscuola viene in aiuto dei genitori e dei non addetti ai lavori con una serie di FAQ, suddivise per settori scolastici, con cui dà risposte alle domande più frequenti pervenute alla rivista o raccolte nelle scuole relativamente ai problemi immediati delle iscrizioni, ma anche a problematiche varie che intervengono nel corso dell'anno scolastico. La guida è un valido strumento a disposizione della scuola per fare fronte alle domande delle famiglie: dirigenti scolastici e insegnanti potranno, infatti, rimandare con serenità alla lettura della guida per trovare risposta ai quesiti posti dai genitori. Per ulteriori informazioni sul testo ci sono recapiti (indirizzi completi, telefono, fax, e-mail) dei siti ufficiali in materia a livello territoriale e nazionale come quelli degli ex-provveditorati agli studi (USP), degli Uffici scolastici regionali, degli Assessorati regionali all'istruzione e alla formazione, nonché i riferimenti alle associazioni delle scuole non statali e a quelle dei genitori. www.tuttoscuola.com
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MANI DI FATA Proteggere le mani da freddo, aggressioni esterne, polvere, acqua e inquinamento è molto importante. Una cura attenta evita il rischio di procurare seri pericoli per la loro bellezza. È necessaria una detersione quotidiana delicata, a ph neutro o acido. Dopo aver lavato le mani bisogna asciugarle bene per evitare che l’acqua rimasta sulla pelle le renda ruvide e screpolate e poi massaggiarle con una crema idratante e nutriente per lasciare una piacevole sensazione di morbidezza. L’olio extravergine d’oliva è molto efficace e può tranquillamente sostituire una normale crema. Se fuori fa molto freddo si possono indossare dei guanti imbottiti. Contro i geloni, causati dal clima invernale, un ottimo rimedio è riattivare la circolazione alternando acqua fredda e calda per alcuni minuti. È poi consigliabile seguire un suggerimento per prevenire screpolature e invecchiamenti precoci della pelle. Quando laviamo i piatti è fondamentale usare dei guanti di gomma con un rivestimento interno di cotone: i detersivi sono pericolosi nemici per le nostre mani.
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UNIVERSAL PHONE IL CELLULARE PER NON VEDENTI Il designer Seunghan Song ha progettato un mobile phone in grado di trasformare se stesso a seconda delle condizioni di chi lo utilizza. Come? In un modo molto semplice. Ispirandosi al piccolo rilievo che normalmente orna il numero 5 dei telefoni tradizionali, fungendo da punto di riferimento per comporre numeri e scrivere sms guardando poco o nulla la tastiera, il progettista sud coreano ha pensato ad un esempio di telefono cellulare davvero innovativo, capace di proporsi sia in versione "per vedenti" che "per non vedenti". Lo spazio che normalmente, negli smartphone di ultima generazione, è destinato all'ampio display touch screen sull'Universal Phone è invece costituito da migliaia di piccolissimi pin, capaci di sollevarsi e combinarsi per creare un'interfaccia tattile comoda e intuitiva, in cui possono essere presenti con la stessa semplicità numeri e caratteri tradizionali o la loro "traduzione" in linguaggio braille, garantendo a tutti la possibilità di chiamare, scrivere sms o navigare tra le varie funzionalità del telefono nel modo più facile possibile. In questo modo Universal Phone si presenta un oggetto high tech dal design ricercato, a partire dall'elegante combinazione di colori bianco e nero. Una vera rivoluzione che ribalta qualsiasi schema comune e promette ad ogni persona la possibilità di andare avanti con la tecnologia per scoprire sempre mondi nuovi e pratici.
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IL DNA CONDIZIONA I GUSTI MUSICALI A rivelarlo è uno studio condotto da Nokia e dal King's College London Department of Twin Research, che ha sondato le abitudini di ascolto di quasi quattromila gemelli omo ed eterozigoti per scoprire quanto i fattori genetici si intreccino con quelli ambientali nel determinare i gusti musicali. Il risultato? Le influenze variano in base al genere, anche se, in generale, natura ed esperienze individuali giocano alla pari. Secondo lo studio nel determinare l'amore per la musica pop, classica e hip-pop la natura ha la meglio sulla volontà, incidendo per il 53%. I geni dettano i gusti discografici anche nel caso di jazz, blues e soul, ma in misura di poco inferiore alle esperienze personali. Sembra, infatti, che la passione per Louis Armstrong, Ray Charles o Stevie Wonder sia determinata dai geni per il 46%. Per chi invece ama rock, indie ed heavy metal i geni contano solo per il 40%. Il resto va imputato all'educazione familiare e alle esperienze personali. Il fattore genetico lascia definitivamente il campo a quello ambientale per quanto riguarda l'amore per il folk e il country. La natura sembra, invece, non giocare nessun ruolo sulle motivazioni che spingono ad accendere la radio e ad abbandonarsi alle note del proprio artista preferito. Sulle abitudini di ascolto incidono soprattutto lo stato d'animo del momento, il desiderio di farsi accompagnare durante la giornata da una colonna sonora o, semplicemente, la voglia di staccare un attimo da tutto il resto. Se siete in una giornata no, quindi, non stupitevi che anche l'artista che piace ai vostri geni vi risulti insopportabile. www.repubblica.it NEXTFAMILY
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IL BISONTE AMERICANO HA RISCHIATO L’ESTINZIONE Nella seconda metà dell'Ottocento era indispensabile agli indiani perchè forniva loro tutto ciò di cui avevano bisogno: dalla carne alle pelli per i vestiti, per le tende. Abitava nelle praterie e nei boschi dell'America settentrionale, dal Messico fino al Canada. Viveva in branchi enormi, alcuni dei quali raggiungevano una lunghezza di 60 chilometri ed una larghezza di 40. La caccia cui fu sottoposto raggiunse il culmine con la costruzione della ferrovia del Pacifico che attraversava il territorio dei bisonti, e fu tanto spietata che, alla fine del secolo scorso, rimasero in vita solo alcune centinaia di esemplari. Il governo intervenne in tempo per salvare la specie e così fu possibile riformare vari branchi per un totale di 30.000 bisonti attuali. All'inizio della caccia, in Nordamerica vivevano 70 milioni di esemplari. Oggi ne restano poco più di 40.000. Fisicamente i bisonti americani sono bovini molto robusti che possono arrivare anche a una tonnellata di peso. Sul dorso portano una gobba caratteristica e la loro testa è grossa e tondeggiante con corna robuste e ricurve verso l'alto. Il mantello è bruno-rossastro, con pelo spesso ed arruffato. Sul collo, sulla fronte e sulla gola il pelo è molto lungo. Le dimensioni variano tra i 2,1 e i 3,5 m. di lunghezza. I maschi possono raggiungere anche i 1,90 m. di altezza. Durante l’inverno i bisonti si difendono dal freddo grazie alla loro folta pelliccia, ma sono costretti a scavare nella neve per trovare il cibo: erba, foglie, cespugli ed arbusti soprattutto la mattina e al crepuscolo. Il resto della giornata è dedicato alla ruminazione, ovvero al rigurgitare il cibo già parzialmente digerito per una seconda masticazione. La durata media della vita del bisonte americano è di 20-25 anni.
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psiche
LA TRISTEZZA ALLONTANA I PREGIUDIZI Essere di cattivo umore aiuta la memoria. È quanto rivela uno studio dell’australiana University of New South Wales, condotto dallo psicologo Joseph Forgas. A quanto pare la tristezza e il vedere tutto storto rendono le persone meno credulone e ne potenziano le capacità critiche. “Essere tristi” afferma lo scienziato “rende più critici e attenti rispetto al mondo esterno, mentre chi è felice e di buon umore tende a credere a qualsiasi cosa gli venga detta”. Non solo: il cattivo umore sarebbe persino un’arma contro i malintenzionati, perché favorisce la razionalità e la capacità di valutare con oggettività gli eventi. Il prezzo da scontare è una minore propensione alla creatività: “Mentre uno stato d'animo positivo promuove la fantasia, la flessibilità, la cooperazione e la dipendenza dalle scorciatoie mentali, uno stato d'animo negativo rende più lucidi nel pensiero e nell'elaborazione delle informazioni”. Forgas e il suo team di scienziati hanno indotto stati d'animo felici o tristi su alcuni volontari attraverso la visione di film o il ricordo di determinati eventi. Ai partecipanti sono state poi sottoposte una serie di dicerie e leggende urbane. Il risultato? I tristi sono più scettici, più pronti nel richiamare alla memoria un evento di cui sono stati testimoni, meno condizionati da pregiudizi religiosi o razziali, più oggettivi. Non solo: sono persino più spigliati nel comunicare. “La nostra ricerca” spiega Forgas “suggerisce che il cattivo umore promuove strategie di elaborazione delle informazioni più idonee ad affrontare le situazioni più esigenti".
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L’AGGRESSIVITÀ È SCRITTA NEL VOLTO Il rapporto tra la larghezza e l’altezza del viso può rivelare l’aggressività di un individuo: è quanto emerge da uno studio pubblicato su Psychological Science , secondo cui tanto maggiore è il rapporto tra la larghezza del viso (distanza tra le guance) e l’altezza (distanza tra il labbro superiore e metà fronte), tanto più il temperamento è potenzialmente aggressivo. Gli psicologi della Brock University (Ontario, Canada) hanno prima valutato in laboratorio l’aggressività di alcuni uomini secondo una scala da 1 a 7, e hanno poi sottoposto le foto degli stessi soggetti a un gruppo di volontari che doveva valutarne l’aggressività semplicemente guardando le foto dei loro visi. Le immagini sono state molto rivelatrici: le stime di aggressività attribuite ai soggetti ritratti sono poi risultate altamente correlate con i livelli di aggressività precedentemente registrati in laboratorio. Inoltre, l'aggressività presunta dei soggetti nelle foto, secondo le dichiarazioni dagli osservatori, è risultata correlata con il rapporto larghezza/altezza dei loro visi: i soggetti che sembravano più aggressivi erano proprio quelli con il rapporto larghezza/altezza maggiore. www.asca.it
salute
ricerca
NON CI RESTA CHE… PIANGERE! Il pianto dei neonati ha le inflessioni della lingua parlata da mamma e papà. Questo il risultato di uno studio condotto dai ricercatori della University of Würzburg e pubblicato sulla rivista Current Biology. Nell’ultimo trimestre di gravidanza il bimbo assimila e apprende la cadenza e l’intonazione delle voci che sente mentre si trova ancora nell’utero della madre. Studiando i vagiti di 60 neonati, la metà dei quali nati in famiglie di lingua francese e l’altra metà di lingua tedesca, Kathleen Wermke e il team di scienziati che hanno partecipato alla ricerca hanno scoperto che il pianto dei piccoli riproduce le caratteristiche dell’idioma parlato dai genitori. Come spiegato dalla ricercatrice, mentre i piccoli francesi piangono “in levare”, imitando in qualche modo l’inflessione e l’intonazione crescente della lingua d’oltralpe, la melodia del pianto dei tedeschi è più bassa, caratterizzata da un’intonazione decrescente. “Quanto rivelato dallo studio è importante non solo perché ci dice che i neonati possono modulare la melodia del pianto, ma anche perchè ci dimostra che preferiscono riprodurre le melodie tipiche del linguaggio che hanno ascoltato durante la vita fetale nel corso degli ultimi tre mesi della gravidanza” spiega la dottoressa Wermke. Studi recenti hanno, infatti, dimostrato che è nell'ultimo trimestre della gestazione che i bambini sono in grado di sentire e memorizzare suoni provenienti dal mondo esterno, e che sono particolarmente sensibili sia ai contorni melodici della musica che a quelli del linguaggio. L’indagine tedesca ci dice anche che i piccoli cominciano a prendere confidenza con quella che sarà la loro lingua madre molto prima di pronunciare le loro prime parole. www.corriere.it NEXTFAMILY
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Scienze
Incatenati nella Rete
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di Lucio Tirinnanzi
hi l’ha detto che le malattie si prendono solo col contatto con altre persone? Un nuovo virus viaggia per la Rete e si chiama retomania. Vittime gli internauti incalliti, ma non solo. Quella che definiamo malattia, in realtà è più simile a una droga: virtuale ma non meno dannosa per le persone e dalla cui dipendenza è necessario farsi curare. Già negli anni Ottanta una psicologa americana, Margaret Schotte, descrisse nel libro Computer Addiction il problema della dipendenza da computer. Oggi che questo mezzo è centrale nella società e che le attività sulla Rete sono centuplicate, il virus è quanto mai diffuso e arriva a contagiare milioni di persone. Anche in Italia. Ed è proprio per questo motivo che, presso il Policlinico Gemelli di Roma, è stata inaugurata una nuova struttura che cura l’uso, o meglio, l’abuso indiscriminato e compulsivo di Internet. La sede include anche altre patologie da dipendenza quali il gioco d’azzardo, l’abuso di alcol e di stupefacenti, equiparando in questo modo i pazienti a veri e propri “drogati”. Già, perché secondo il coordinatore del centro romano di Internet Addiction Disorder, lo psichiatra Federico Tonioni, “l’utilizzo patologico di Internet provoca sintomi molto simili a quelli manifestati da tossicomani in crisi di astinenza”. Per quanto singolare, dunque, è una tossicodipendenza reale che il prof. Jerald Block vorrebbe persino includere tra le malattie descritte nel Manuale statistico e diagnostico dei disordini mentali. Il primo centro per la cura di tali disturbi era stato creato nel 1995 negli Stati Uniti, dalla dottoressa Kimberly Young, autrice del libro Caught in the Net, ovvero “intrappolato nella Rete”, dove venivano descritti i sintomi e le possibili cause. Sul sito internet relativo, www.netaddiction.com, compare anche un selftest per comprendere se si è o meno affetti da “retomania” (del resto ogni drogato sostiene di non essere tale e, se lo ammette, dice che può smettere quando vuole). Per quanto riguarda i pazienti che si sottopongono alla cura si aggirano mediamente tra i 20 e i 35 anni - si contano principalmente i frequentatori assidui di chat, comunità digitali e social network. Il protocollo della rehab del prof. Tonioni prevede diverse fasi: si inzia con un normale colloquio e con successivi incontri per stabilire più precisamente la psicopatologia, fino al progressivo inserimento in veri e propri gruppi di riabilitazione. Può prevedersi anche un’appropriata terapia farmacologia, se necessario. Gli internauti sono avvisati.
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Non bastava l’influenza suina. In futuro le
malattie
saranno veicolate direttamente dalla Rete. Il nuovo male si chiama
retomania
e colpisce chi abusa di Internet. A Roma esiste già una clinica dove CURARSI
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Web Vedo
Click-Art
di Ilaria Dioguardi
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hi non ha risorse, tempo e voglia per viaggiare ha la possibilità di fare veri e propri tour virtuali comodamente seduti sul divano o sulla scrivania di casa. Tra aree archeologiche ed esposizioni, numerosi siti offrono guide interattive agli amanti dell’arte. Alcuni propongono visite in luoghi chiusi al pubblico, come l’antico mausoleo Maya del re Pakal, sul sito dell’Istituto National de Antropologia e Historia ( dti.inah.gob.mx ). La tomba è stata chiusa al pubblico nel 2003, poiché le visite turistiche, cambiando le condizioni di umidità, stavano mettendo a rischio i reperti. Solo i navigatori di Internet possono aggirarsi nella camera mortuaria, mentre i viaggiatori in Messico hanno la possibilità di visitare solo una riproduzione dell’area archeologica. Per chi non ha mai avuto la possibilità di visitare New York o ha nostalgia della Grande Mela, sul sito del Metropolitan Museum of Art ( www.metmuseum.org ) si può aprire una finestra supplementare, il pop-up dell’opera, che il visitatore-navigatore può posizionare nel monitor. Nella sezione My Met l’utente ha la possibilità di condividere le immagini con altri utenti o pianificare la propria agenda virtuale con le mostre di maggiore interesse. Chi adora Parigi e lo stile barocco della reggia di Versailles può collegarsi al sito www.ChateauVersailles.fr e grazie alle webcam sistemate in cinque punti strategici può ammirare la residenza ufficiale dei re di Francia, scattare fotografie e ascoltare le spiegazioni di una guida audio. “Si tratta di una vera visita” ha affermato in un’intervista al quotidiano Le Parisien Didier Sansier di Another World, la società produttrice di immagini video in diretta, che gestisce il programma. “L’internauta potrà fare panoramiche, zoomare sui punti che gli interessano, scattare foto, e ottenere anche un documento scritto con dettagli sulla propria visita”. Anche nel nostro Paese molti musei si sono attrezzati: ad esempio, la galleria Doria Pamphilj ( www.dopart.it) e gli Uffizi di Firenze ( www.polomuseale.firenze.it ) propongono tour virtuali delle sale più belle. Nel sito del Museo della scienza e della tecnica di Milano ( www.museoscienza.org ) si possono percorrere nella sezione digitale alcune visite "virtuali" in 3D sulle opere di Leonardo. Sono proposte anche immagini tratte dalle ricostruzioni tridimensionali in realtime del Duomo di Milano in alcune delle sue fasi costruttive navigabili. Inoltre, gli utenti possono vedere gli altri visitatori, seguire i loro movimenti e parlare con loro: un vero mondo virtuale con annesso social network.
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Con un pc e una connessione
Internet
si possono ammirare molte opere esposte nei musei di tutto il MONDO
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Web ascolto
Corpi
di Stefano Firrincieli
SONORI
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entre ancora imperversa il dibattito tra i devoti del vinile e gli adepti della musica digitalizzata, sbarca alla 53esima biennale di Venezia la nuova frontiera del suono. Suguru Goto, compositore e artista multimediale d’avanguardia giapponese, dirige un’orchestra di cinque percussionisti robot: “gli umani hanno dei limiti. Un robot può suonare più velocemente e più a lungo e raggiungere note speciali senza riposare e, soprattutto, senza lamentarsi” afferma, influenzato dal suo background di ferrea disciplina nipponica, l’ideatore visionario della performance RoboticMusic, che ha stregato le platee dei principali festival di musica contemporanea e la nostra biennale. Se già il futurismo aveva precorso l’utopia di automi musicali, con l’intonarumori di Luigi Russolo, l’avvento dell’elettronica ha reso possibile lo sviluppo di efficaci panorami musicali postumani: ovvero il mondo di Suguru Goto. Formatosi tra Giappone, Stati Uniti e Germania, è attualmente attivo a Parigi, dove collabora con l’Ircam (Institut de Recherche et Coordination Acoustique/Musique). Un viaggio tra ricerca artistica e sviluppo tecnologico, tra cultura sperimentale e robotica che lo ha portato a creare dispositivi capaci di trasformare ogni impulso in azione visiva, musicale e sonora. Ma, paradossalmente, in questo panorama tecnologico ciò che conta veramente è l’apporto umano: solo dal rapporto profondo tra uomo e macchina scaturisce l’universo musicale liminale di Goto. È dal gesto umano che l’interfaccia di un pc elabora impulsi sonori e visivi in tempo reale riprodotti da strumenti virtuali. È la danza il “carburante” fondamentale del Bodysuite, la tuta musicale dotata di sensori che cattura i movimenti del corpo tramutandoli in suoni e immagini. E c’è sempre l’uomo dietro l’orchestra “avatarica” che suona strumenti acustici con una gestualità tutta umana controllata da un computer. Così, se volessimo giocare ad inventare una nuova parola, potremmo definire i panorami sonori di Suguru Goto come Musica Elettrobotica: quartetti d’archi per robot e uomo, performance di danzatori-suonatori avatarici, orchestre digitali gestite da impulsi umani… In questa spinta all’avanzata tecnologica si rischia di restare spaesati ma in fondo, dietro alla ricerca artistica elettronizzata, resta sempre un solo protagonista: l’uomo e la sua inesauribile voglia di immaginare e rendere vivo un futuro sempre più interconnesso e fluido. Un futuro in cui c’è ancora spazio per le idee e le creazioni umane, perché senza l’uomo resta solo un labirinto vuoto di cavi e circuiti, privi di senso perché orfani di chi gli ha dato la vita. 100
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Dal rapporto profondo e tra
uomo macchina
scaturisce l’universo musicale di
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Web Leggo
Libri in
di Lucio Tirinnanzi
TRAPPOLA
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oco tempo fa la celeberrima azienda californiana Google ha fatto un annuncio clamoroso e senza precedenti: lanciare un servizio che riverserà nella Rete una biblioteca universale onnicomprensiva. Ossia, l’immissione on-line di milioni di volumi sotto forma di documenti digitali, messi a disposizione della comunità virtuale. Da quel giorno, infatti, Google ha firmato numerose intese con alcune grandi istituzioni accademiche che si sono dette interessate a mettere a disposizione del pubblico ampi cataloghi dei più diversi titoli. Il progetto, ovviamente, non può non includere la collaborazione di prestigiose università e biblioteche. Il fine di questa immane operazione è ambivalente: da una parte, consentire agli utenti di Internet di fruire liberamente della letteratura, per la prima volta in libera diffusione pubblica; dall’altra, includere lo scibile umano sulla Rete, sotto il segno di Google. Una rivoluzione dal vago sapore democratico, questa, che adesso però deve fare i conti con il “giogo” del copyright. Il progetto, va da sé, è probabilmente il più ambizioso svolto dall’azienda e incontrerà non poche resistenze. I dubbi si concentrano attorno a più interrogativi: l’utilità di questa titanica operazione, gli accordi con gli editori di tutto il globo, la proprietà intellettuale, le tempistiche di realizzazione, la pubblicazione o meno nella loro interezza dei soli libri di pubblico dominio, liberi cioè dal diritto d’autore per superamento dei tempi. Se negli Stati Uniti il progetto può dirsi in fase avanzata, i protagonisti del mondo editoriale europeo (autori, editori, librai, bibliotecari, governi e altri ancora), riunitisi con l’obiettivo di studiare nei dettagli le ripercussioni in Europa del controverso accordo siglato tra la biblioteca digitale di Google Books e gli editori e autori americani, non sembrano altrettanto convinti degli effetti che questa impresa avrà sul mercato. Né sarà facile armonizzare le varie leggi sul diritto d’autore per adattarle all’era digitale. Senza contare la probabile alzata di scudi per difendere una fetta di mercato già duramente colpita dal sopravanzare di Internet. L’iniziativa di Google sembra voler abbattere l’ultimo tabù che ancora resiste alla pirateria digitale, il cartaceo. Come già accaduto per i dischi, anche l’era dei libri può eclissarsi come i dinosauri in favore del nuovo che avanza. Ma c’è da giurare che l’editoria classica non cederà tanto facilmente né resterà a guardare la prima seria minaccia alla propria sopravvivenza. Un’ultima considerazione: siamo proprio sicuri di voler vincolare la letteratura a un mezzo virtuale che, una volta staccata la spina della corrente, cessa immediatamente di esistere?
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Includere l’intero
scibile umano sotto il segno di Google, anche a livello enciclopedico,
sta creando non pochi problemi di
DIRITTI
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Modi di Moda
Bianca... NEVE
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e montagne sono innevate e le località sciistiche accolgono i loro appassionati clienti. Abbiamo pensato in questo primo numero del 2010 di fare cosa gradita dando una serie di suggerimenti sulle ultime tendenze fashion a chi non resiste ad essere glam nemmeno sulle piste da sci. Ovviamente l’abbigliamento neve è costituito da indumenti che assicurano aderenza perfetta, traspirazione ottimale, controllo dei movimenti e calore per il corpo. I capi più adatti sono giubbotti in goretex o piuma d’oca, pantaloni in neoprene, che trattengono umidità e calore, maglie e tute in pile, guanti, cappelli e fasce. Validissime sono tutte le proposte delle aziende che da anni sono specializzate quali Goldwin, Spider, Dainese, Rossignol, Weast Scout, Hell is for Hero, le quali affrontano ogni anno una sfida tecnologica alla ricerca di tessuti sempre più all’avanguardia, attribuendo comunque ad ogni capo un ricercato valore, anticipando nuove tendenze sul piano dello stile. Tutti i capi si contraddistinguono per una vestibilità asciutta attraverso forme avvolgenti che si adattano perfettamente all’anatomia del corpo, favorendo non solo il gusto ma in particolare la libertà di movimento, ovvero la massima espressione delle potenzialità fisiche durante le prestazioni. Ciò viene favorito da tagli laser che permettono l’assenza totale delle cuciture, donando comfort e massima ampiezza dei movimenti. Chi preferisce essere totalmente fashion, però, può trovare nella linea Just Cavalli tute che aderiscono al corpo come una seconda pelle, rifinite con luccicanti paillettes, copri-scarponi ricchi di cristalli per brillare scendendo lungo le piste. Per i seguaci di Prada, invece, sono state presentate tute e giacche in tela taslan con imbottitura in piuma da 120 grammi. Dettagli curatissimi: zip cerate e termoriscaldate per impedire infiltrazioni d’acqua e, addirittura, un dispositivo di allarme che segnala situazioni di pericolo tipo valanghe. Le amanti di Chanel troveranno capi nell’intramontabile ed ultrachic bianco e nero e divertenti ma sempre raffinati accessori in pelliccia, come copriorecchie, fasce, guanti. Ma l’accessorio must di questa stagione è la maschera super lusso firmata Oakley, realizzata in collaborazione con LRG, azienda americana di abbigliamento creativo e design: è caratterizzata da due prese d’aria frontali per garantirne un corretto flusso, è possibile averla total black o porpora. Ma attenzione, è Edizione Limitata. Fashion victim, affrettatevi!
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di Ambra Blasi
Ebbene si,
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Wellness
www.personaltrainerproject.com
Le diete di moda di Andrea Vitulano e Massimo Volino
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organismo sano attenti alla scelta
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he siate atleti o no, il vostro organismo richiede un certo tipo d’alimentazione per rimanere sano. Sempre più persone ai tempi d’oggi, purtroppo, pretendono tanto senza fare nulla. Queste nella maggior parte delle volte cadono vittime delle famigerate diete alla moda. Ma che cosa sono nello specifico? Vediamole: DIETE A BASSO CONTENUTO DI CARBOIDRATI In assoluto è la nuova tendenza in ambito della nutrizione. Ridurre drasticamente i carboidrati, infatti, fa perdere peso, ma affatica l’organismo, il cervello, il cuore e i muscoli che sono organi che necessitano di zuccheri. DIETE A BASSO CONTENUTO PROTEICO Anche le diete che tolgono le proteine hanno effetti negativi sul metabolismo, sia per chi fa sport, sia per i sedentari; un basso apporto proteico si traduce spesso in dolenza muscolare, perdita di tono e rilassamento dei tessuti. DIETE A BASSO CONTENUTO LIPIDICO Nonostante queste diete siano le più usate e se non estremizzate le più valide, anch’esse possono portare a dei problemi. Il primo è dato dal fatto che il grasso è un elemento di trasporto per le vitamine liposolubili ( A, D E e K ) e i problemi più gravi si hanno soprattutto a carico di reni, fegato e nervi. Inoltre, alcune ricerche hanno dimostrato come un apporto troppo basso di grassi insaturi diminuisce il colesterolo HDL, aumentando, quindi, il rischio d’infarto e di ictus. I VERI “IMPUTATI” DELL’OBESITÀ L’eccessivo apporto calorico e l’inattività fisica sono in assoluto i veri responsabili del sovrappeso. I processi energetici del corpo umano sono regolati dalle leggi della termodinamica. Se l’organismo consuma più energia di quanta ne acquisisce, il bilancio energetico sarà negativo e l’individuo tenderà a perdere peso. Al contrario un apporto calorico superiore all’energia spesa comporterà un bilancio energetico positivo e, quindi, un aumento di peso. Altri fattori comunque, come quelli ereditari, possono favorire l’aumento di peso, ma vi contribuisce anche un metabolismo basale basso ( BMR = Basal Metabolic Rate), un maggior numero di cellule grasse, una minor percentuale di massa muscolare, bassi livelli ormonali. Il nostro consiglio è, se volete avere un fisico mozzafiato: nutritevi bene e fate sport.
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Naturalmente staminali
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a qualche mese utilizzo una tecnica rivoluzionaria nel mio campo e posso dire che si stanno aprendo nuove ed interessanti possibilità di impiego di nuove tecnologie nel mio campo. Tecnologie che rispettano in maniera sempre maggiore il nostro organismo, con il massimo dei risultati ed il minimo di invasività per una chirurgia plastica ed estetica sempre più naturale. È ormai risaputo che il tessuto adiposo è ricchissimo di cellule staminali. Con l’utilizzo del sistema Celution, nato in California poco più di un anno fa e arrivato di recente anche in Europa, le staminali del grasso, estratte dal paziente attraverso una micro-liposuzione, possono essere selezionate in modo specifico, creandosi un mix di colonie di staminali progenitrici adipose con tessuto cartilagineo e fattori rigenerativi. La caratteristica di questo innovativo sistema risiede proprio nel processo in sé: il meccanismo che rilascia cellule staminali e rigenerative racchiuse all’interno del tessuto adiposo viene automatizzato, permettendo così il riutilizzo di quelle stesse staminali sul paziente e in tempi brevissimi (poco meno di un’ora). I benefici di una siffatta tecnica sono evidenti, poiché si migliora il modo in cui si possono fare al paziente terapie basate su cellule personalizzate. Grazie alla loro notevole capacità di riprodursi, infatti, con questa tecnica le staminali attecchiscono meglio, nei tessuti, rispetto a pratiche estetiche che utilizzano solo il grasso, come il lipofilling, per esempio, presentando un vantaggio fondamentale: la capacità di rigenerare tessuto, cartilagini e vasi sanguigni. In chirurgia plastica e ricostruttiva il trattamento Celution con cellule staminali e rigenerative viene destinato a numerosi tipi di impiego, come nella ricostruzione di tessuto mammario a seguito di mastectomia parziale e terapia radiante, oppure per la riparazione di gravi ustioni del viso e del corpo; ma anche per il riempimento dei polpacci in seguito ad asimmetrie dovute a poliomielite o a traumi di varia natura. In chirurgia estetica questa tecnica viene, infine, utilizzata con successo nelle mastoplastiche additive, per l’aumento del seno senza utilizzo di protesi mammarie al silicone, nell’aumento di glutei e polpacci e nel lifting non invasivo del viso e del collo.
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Il Prof. Marco Gasparotti Specialista in Chirurgia Plastica Estetica (Clinica Ars Medica Roma) 108
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di Marco Gasparotti
Sull’uso di questo tipo di cellule poggia il futuro della chirurgia plastica, ricostruttiva ed ESTETICA
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HELLO KITTY TOUR A Tokyo e dintorni, le tappe da non perdere per conoscere la gattina che ha già compiuto sette lustri (e sicuramente avrà più di sette vite…) di Ilaria Dioguardi
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n origine indirizzata ad un pubblico di ragazzine, oggi piace ai bambini ed è adorata dalle grandi. Quest’anno compie 36 anni ma non li dimostra. E’ una buffa micetta bianca, energica, dolce e curiosa, alta come 3 mele, con un fiocco rosa sull’orecchio sinistro. Non ha la bocca perché secondo l’azienda che la produce, la Sanrio, lei “parla con il cuore, senza utilizzare un linguaggio particolare”. Di chi stiamo parlando? Dell’intramontabile Hello Kitty. In Giappone la sua popolarità è così ampia da aver penetrato ogni aspetto della vita quotidiana. A Sanrio Puroland un grande parco divertimenti, inaugurato il 7 dicembre del 1990, vanta 1,5 milioni di visitatori ogni anno ed è dedicato interamente alla gattina e ai suoi amici. Si trova a Tama City (Tokyo) e offre ristoranti, negozi e attrazioni tutte a tema. Dopo un giro nelle tazze a forma di muso della micetta rosa, si può comprare ogni tipo di gadget nei fornitissimi store o mangiare varie prelibatezze nei ristoranti, tutto a forma di Hello Kitty, per poi andare a vedere uno spettacolo in uno dei tre teatri dove si susseguono musical dedicati a tutti i protagonisti del brand giapponese. Nella Kitty's House i fan della celebre gattina possono incontrare il loro idolo e scattare qualche foto con lei, mentre la Sanrio Character Boat Ride porta in viaggio nel fantastico mondo Sanrio e vi può offrire tutti i vostri personaggi preferiti nel loro habitat naturale. Cerimonia e pranzo nuziale a tema Hello Kitty rendono sicuramente un matrimonio originale e indimenticabile: a Puroland anche questo è possibile. Il 30 ottobre dello scorso anno, in Ginza, è stato aperto il negozio centrale di Sanrio, che vende Hello Kitty, mentre nel 2008 è stato inaugurato il maggiore punto vendita, che si trova all’interno dei grandi magazzini Tobu di Ikebukuro. “Il nostro target? Dai piccoli agli adulti” afferma il manager della Sanrio Kazuo Tohmatsu “e in più i turisti stranieri, anche se Ikebukuro è leggermente fuori mano rispetto ai circuiti più noti della città”. Il primo prodotto in assoluto a portare l’immagine di Hello Kitty fu un portamonete in vinile venduto per 240 Yen (circa 1.77 euro). Da allora ne ha fatta di strada: dai gioielli alle biciclette, dai tostapane alle chitarre, dalle cucce per i cani alle moto, oggi non c’è un articolo di merchandising che non sia stato creato a sua immagine.
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Una biografia coi baffi Creata nel 1974 a Tokyo, inizialmente fu chiamata Kitty White dal nome di uno dei gatti di Alice, protagonista del libro Attraverso lo specchio di Lewis Carroll, meglio conosciuto come il seguito di Alice nel paese delle meraviglie. Il termine Hello Kitty deriva dalla traduzione non letterale del nome del personaggio, che rappresenta la principale fonte di ispirazione: maneki neko, ovvero il gatto del benvenuto (in inglese propriamente welcoming cat e non hello kitty). Come tutte le creazioni della Sanrio, la gattina è disegnata nello stile Kawaii. La parola non ha una precisa traduzione in italiano, indica qualcosa di minuto e grazioso, carino, un po’ infantile, effimero e colorato, spesso di rosa.
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UNO ZOO NELLE MANI di Stefano Firrincieli
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l suo lavoro “è dedicato a quanti, e sono quasi troppi, che dell'arte non ne vogliono proprio sapere e in nessun modo la vogliono conoscere ma si contentano di considerarla, con istintiva diffidenza, una cosa semplicemente straordinaria" così Mario Mariotti definisce la sua arte nutrita dalla creatività di Santo Spirito a Firenze, il quartiere degli artigiani e degli artisti di bottega, dove ha operato fino al 1997, quando è scomparso. La sua attività di grafico, illustratore, performer e artista eclettico, vincitore di prestigiosi premi, non lo ha mai distratto però dal cercare l’arte per lui più autentica che amava definire periferica: quella di strada e di frontiera. La sua città gli dedica quest’anno Mario Mariotti a Firenze: una serie di manifestazioni che dureranno fino ad agosto 2010. Tra queste, da non perdere la mostra Animani, che apre il ciclo di iniziative dedicate all’immaginifico artista, visitabile fino all’11 aprile 2010 all’Istituto degli Innocenti a Firenze. La mostra raccoglie un centinaio di pitture sul corpo, realizzate dall’artista tra gli anni ’80 e ’90, declinate dai linguaggi della fotografia, del libro, del video e della pubblicità e offre allo spettatore i giochi di mano dell’autore visionario. E così le mani, da strumento del fare artigianale, diventano per Mariotti opere d’arte vive e replicabili. Mani che si colorano diventando giraffe, scimmie o tucani,
che esplodono in uno zoo senza gabbie le cui forme semplici e forti ci ammaliano ancora, rapite da un intreccio felice di media diversi. Mani che diventano arbitri, orchestrali, uomini o animali che con lievi movimenti cambiano forme e transitano gli uni negli altri. L’arte è di tutti e per tutti, questo forse l’insegnamento più forte di Mariotti: “ci sono state persone che hanno avuto da quelle mani dipinte una bella sensazione, altre che hanno trovato le stesse mani mostruose; io suggerisco di riprendere l'esperienza, di fare con le proprie mani questa esperienza. Allora l'immagine è solo un incitamento al gioco della trasformazione: è una scacchiera che attende di essere giocata”. Oggi grazie alla collaborazione tra FILA (Fabrica Italiana Lapis e Affini) e l’Istituto degli Innocenti il sogno di Mariotti diventa realtà: durante la mostra bambini e adulti possono sperimentare attraverso dei laboratori le tecniche creative dell’artista e ripercorrere l'ideazione delle sue opere grazie alla guida ideata da sua figlia Francesca e inserita nel kit "Giotto Make Up Animani" realizzato per l'occasione da FILA con il suo storico marchio Giotto. Sono previsti sconti per adulti i cui figli partecipano al laboratorio: è un’occasione per vedere, immaginare e fare arte oltre che per ammirare visioni senza tempo di un genio creativo e instancabile. Info: www.mariottiafirenze.it
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RECITARE… DA CANI! Non sono 101 ma “soltanto” 15, sono piccoli di statura, parecchio pelosi e coi loro pois bianchi e neri sfidano ogni forma di razzismo… per appena tre minuti danzano e saltano sul palco. Chi sono? Cuccioli di dalmata il cui addestramento è costato solo un milione di dollari. Saranno in scena nella tournée di 101 dalmatians: The Musical, firmato dal musicista Dennis De Young e dal paroliere B.T. McNicholl, ultimo remake del celebre romanzo di Dodie Smith del 1956 La carica dei 101, da cui sono stati tratti innumerevoli film, un fortunatissimo cartoon Disney e svariati spettacoli teatrali. Adesso da Baltimora parte il tour del musical pronto a conquistare gli Usa e a sfidare le premiate produzioni di Broadway: riusciranno i nostri eroi a caricare ed ammaliare nuove platee di potenziali fans? Lo scopriremo presto.
Info: www.the101dalmatiansmusical.com
I WÜRSTEL E LA CITTA’
Info: www.currywurstmuseum.de
Ogni capitale europea che si rispetti ha la sua fissa gastronomica. A Berlino impazziscono tutti per i wurstel, e non è un doppio senso, parliamo di cibo. Gli storici chioschi del centro che vendono il currywurst, celebre panino con la tradizionale salsiccia tedesca ricoperta di salsa al curry, sono meta di veri e propri pellegrinaggi. Oggi l’oggetto del desiderio gastronomico dei berlinesi viene celebrato da un museo: il Currywurst Museum, uno spazio di ben 1000 metri quadrati. Attraverso un percorso tematico, declinato da installazioni, video interattivi, foto e pannelli illustrativi viene ricostruita la storia, la preparazione e le diverse ricette del currywurst, glorificato e immacolato come un’opera d’arte. Per i golosoni impenitenti c’è il piccolo eden del chiosco dentro il museo, in cui potranno gustare a sazietà l’ambito panino. Per gli chef o i più esigenti, sarà possibile invece trovare nel negozio di souvenir l’ingrediente speciale e la salsa più rara. Un’occasione divertente per portare i più piccini al museo e poter dire agli amici: “io mi nutro d’arte…” NEXTFAMILY
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8-01-2010
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Colpo di coda
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QUANDO IL TROPPO STROPPIA
di Enzo Giannelli
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a qualche mese imperversa la polemica, in verità assai sterile, sui compensi dei conduttori televisivi, che il ministro Brunetta, in un accesso di comicità, ha minacciato di far comparire nei titoli di coda dei programmi. Tutto è cominciato con Bruno Vespa, l’uomo dalle mani giunte, sempre in attesa che Giucas Casella lo liberi dall’incantesimo. uando il conduttore di Porta a porta (dove entra soltanto chi non ha niente da dire) ha chiesto, con molti mesi di anticipo sulla data di scadenza, il rinnovo del contratto, avanzando anche la spudorata pretesa che il compenso di diecimila euro a puntata gli venisse portato a tredicimila, la Rai ha risposto picche. Che equivale al mitico: “Bambole, non c’è una lira!”. Sbollite le ire a denti stretti dell’anfitrione di mezzanotte, ne sono venute a galla delle belle, che la Stampa di Torino si è affrettata a pubblicare. Dai dieci ai dodicimila euro giornalieri entrano nelle tasche di Max Giusti (aspetto taurino, voce suburbana, filosofia da mercato delle pulci) per rompere le scatole della Lotteria Italia. Più modesta, la retribuzione di Carlo Conti, che si aggira intorno agli ottomila euro quotidiani, sette giorni su sette. Del resto, l’abbronzatissimo conduttore, detto anche il nulla fatto presentatore, ha poche esigenze: non beve, non fuma, mangia pochissimo (e mai fuori casa, essendo un igienista che rasenta il fondamentalismo). Né spende per l’abbigliamento, dato che da anni indossa sempre lo stesso abito, tristissimo, da impiegato statale dell’immediato dopoguerra. Ai tempi della sua lunga stagione culinaria, Antonella
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Clerici (il faccino da comparsa hollywoodiana Anni Venti) percepiva appena seimila euro a trasmissione per fare i vuluvà (sic!), saltellando dietro i fornelli come un canguro zoppo, mentre si leccava le dita al suono di estasiati mugolii. Poco inferiore, il compenso di Caterina Balivo, conduttrice distratta e svogliata, cui nessuno negherebbe una più consona occupazione di sciampista. Naturalmente, non essendo a conoscenza di altre cifre, ci asteniamo dal commentare le buste-paga di Santoro, Floris, Fazio, Sposini, Vianello o Frizzi. Riferiamo soltanto quanto ha scritto a un giornale un lettore (senz’altro fazioso, fantasioso, provocatorio e quanto mai esagerato), secondo il quale “la compagna Dandini guadagna in pochi mesi di tv più di un operaio in cinquanta anni di lavoro”. asciando che la signora Serena continui, come fa da una ventina di anni, ad allargare le braccia annaspando nel vuoto, accompagnando la sua espressione da naufraga con tanto di sconsolate risate, come un comico del vecchio varietà innanzi all’insipienza della propria spalla, cerchiamo di fare buon viso a cattiva sorte, perché a leggere fatti simili, mentre c’è chi vive con mille euro al mese, non si capisce bene se si stia parlando di dinosauri o dell’esplosione del Big-Ben. Eppure, una piccola idea (magari balzana, insensata, forse un po’ idiota, senz’altro inattuabile) ci attraversa la mente. E, dal momento che aspirazione non vuol dire cospirazione, la diciamo. Se la Rai spegnesse i riflettori per un anno, forse l’Italia potrebbe ritrovare una dimensione umana e risanare interamente il debito pubblico.
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