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AMBIENTE
MENSILE - TECNOLOGIE AMBIENTALI PER L’INDUSTRIA E LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE -
ANNO XXIX FEBBRAIO 2018
N2
SOMMARIO BIOMASSE & BIOGAS
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PANORAMA
L’impianto bi-stadio per biogas
APPROFONDIMENTI
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La gestione di terre da scavo
Volumi del digestore minori, costi di realizzazione ridotti, maggiori rese e migliore qualità
Introdotta una disciplina organica e coordinata, che riguarda tutte le tipologie di cantiere e che semplifica le procedure e riduce gli oneri
Tanto organico... tanto biogas
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E’ in costruzione il primo impianto in Toscana di valorizzazione della forsu, già pensato per rendere possibile un suo futuro raddoppio
DEPURAZIONE La depurazione con nanoparticelle
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Particolarmente adatto per trattare le falde acquifere contaminate da idrocarburi clorurati e metalli pesanti
La piattaforma per rifiuti liquidi
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ENERGIA MACCHINE & STRUMENTAZIONE
Il monitoraggio in continuo dei tensioattivi
L’impianto Seap Depurazione Acque, per il trattamento di reflui civili e industriali, pericolosi e non pericolosi, ha una capacità di 550 tonnellate/giorno
Fanghi: nuovi trattamenti
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Un sistema di analisi automatico multiparametrico che si avvale della tecnica colorimetrica ingegnerizzata in campo
16 Speciale “Usato Garantito”
Per il loro utilizzo agricolo due metodi per eliminare odori e microinquinanti sia organici che inorganici e anche patogeni
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SICUREZZA GREEN FASHION
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Il green marketing
RETI IDRICHE
Il Water Safety Plan
Le aziende di moda hanno sempre più un approccio ambientalmente sostenibile che comunicano efficacemente ai consumatori
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Un sistema di valutazione e gestione del rischio di contaminazione dell’idrico, dalla captazione al punto di consegna
RIFIUTI Terre rare dai magneti
TECNOLOGIE
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Le nuove biotecnologie
Il progetto Remanence mira a ridurre l’impatto ambientale ed energetico legato all’impiego di questi materiali
La logistica del riciclo
26 La combustione ciclica con recupero di CO2
Soluzioni innovative per ottimizzare la gestione dei rifiuti con focus su produttività, sicurezza, assistenza e consulenza
La separazione al laser Una selezionatrice d’efficienza superiore per ridurre ulteriormente i rifiuti conferiti in discarica
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Sviluppati otto diversi processi per produrre intermedi chimici da sostanze lignocellulosiche, oli e grassi
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MARKET DIRECTORY
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ENTERPRISE EUROPE NETWORK
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ECOTECH
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GLI INDIRIZZI DELLE AZIENDE CITATE SONO A PAG. 66 Hi-Tech Ambiente
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panorama LIVELLO COnTRIbUTIVO
PRIMA In EUROPA
Plastica: nuovi criteri Riciclo: Italia in testa
La finalità è di incentivare l’uso di imballaggi maggiormente riciclabili, collegando il livello contributivo all’impatto ambientale delle fasi di fine vita/nuova vita a cominciare dagli imballaggi in plastica, il materiale più complesso per la varietà delle tipologie e per le tecnologie di selezione e di riciclo. Allo scopo presso Conai sono stati individuati tre criteri guida per la diversificazione contributiva: selezionabilità, riciclabilità, circuito di destinazione, che può essere “domestico” o “commercio & industria”. Attraverso l’applicazione dei criteri guida sono state definite tre categorie di imballaggi in plastica e
tre diversi livelli contributivi: Fascia A (imballaggi selezionabili e riciclabili da circuito commercio e industria) 179 euro/t; Fascia b (imballaggi selezionabili e riciclabili da circuito domestico) 208 euro/t; Fascia C (imballaggi non selezionabili/riciclabili allo stato delle tecnologie attuali) 228 euro/t. Questi valori delle tre fasce contributive per gli imballaggi in plastica entreranno in vigore dal 1° gennaio 2018; tuttavia, come sollecitato dalle imprese, in questa fase di prima applicazione viene adottato un criterio di gradualità che prevede la piena applicazione a partire dal 2019.
nell’ambito del riciclaggio dei rifiuti l’Italia è prima in Europa, con il 76,9%, contro una media europea di appena il 37%. E’ quanto rivela Eurostat, l’ufficio statistico dell’UE, secondo cui il nostro Paese è avanti a Francia, con il 54%, a Gran bretagna, con il 44%, e a Germania, con il 43%. Secondo i dati Eurostat, dal punto di vista della quantità, è la Germania che ricicla più spazzatura (72,4 milioni di tonnellate, contro le 56,4 dell’Italia), seguita dal bel Paese, i cui flussi più rilevanti sono i riciclabili tradizionali (carta, plastica, vetro, metalli, legno, tessili), pari a 26 mln di tonnellate, seguono i rifiuti misti (14 mln), la forsu (6 mln) e i rifiuti chimici (1,7 mln). L’Italia è seconda in
IMPRESE VIRTUOSE
L’atlante dell’economia circolare Cento storie di imprese virtuose rappresentano il nucleo di partenza del primo Atlante Italiano dell’Economia Circolare, che raccoglie esperienze basate sul riutilizzo, sulla riduzione degli sprechi, sulla diminuzione dei rifiuti, sulla reimmissione nel ciclo produttivo di materie prime recuperate. Il progetto è promosso da Ecodom e CDCA, il primo Centro di Documentazione sui Conflitti Ambientali in Italia. Si tratta di una piattaforma web geo-referenziata e interattiva, un Hi-Tech Ambiente
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Europa (dopo la Germania) anche per fatturato e addetti nel settore del riciclo. I motivi per tutto ciòo? Secondo il Ministero dell’Ambiente innanzitutto perché i Paesi dell’Europa centro-settentrionale, pur avendo una differenziata molto avanzata, inviano a termovalorizzazione la gran parte dei rifiuti e questo ovviamente abbassa molto la percentuale di riciclo. Altro fattore è l’operato dei Paesi dell’Est Europa, dove finisce in discarica fino all’80% dei rifiuti, e che quindi concorrono ad abbassare notevolmente la media europea di riciclo. non ultimo, la presenza in Italia di un sistema di consorzi di filiera che incentiva i Comuni al ritiro differenziato dei rifiuti.
archivio che censisce e racconta realtà economiche e associative capaci di applicare i principi dell’economia circolare. Tra le esperienze mappate la Lombardia è al primo posto con il 23% del totale, seguita da Lazio (15,9%), Toscana (12,7%), Emilia Romagna (7%) e Veneto (7%). Via via troviamo nell’ordine Liguria, Trentino Alto-Adige, Piemonte (4%), Puglia e Marche con il 3%. La provincia di Roma è in testa alla classifica con 15 esempi virtuosi, seconda Milano con 12. Le esperienze appartengono ai settori più diversi, indice della capacità italiana di attingere risorse da ciò che viene dismesso e di riuscire a cambiare le abitudini di consumo.
RACCOLTA DIFFEREnzIATA
L’alluminio cresce in purezza La raccolta differenziata degli imballaggi in alluminio continua a crescere, su tutto il territorio nazionale, sia in termini quantitativi sia qualitativi. Il trend, particolarmente soddisfacente per quanto riguarda la qualità del materiale conferito che, attualmente, si attesta ad oltre il 96% di “purezza”, ha spinto il Consorzio Imballaggi Alluminio ad operare una revisione dei valori economici del “premio resa”, incrementandolo del 20%, già per il 2017. Il Consorzio, inoltre, riconoscendo l’impegno e gli sforzi di quei bacini territoriali che, in una fase di transizione verso sistemi più efficienti, conseguono già alti livelli qualitativi seppur con rese quantitative ancora contenute, ha deciso
di introdurre una nuova fascia (250-400 grammi/abitante) di resa pro-capite. Il “premio resa” di CiAl è un incentivo e uno strumento economico utile per incoraggiare, su tutto il territorio nazionale, modelli di raccolta differenziata intensivi e in grado di valorizzare le piene potenzialità dei singoli bacini. Il riconoscimento di un valore economico aggiuntivo rispetto al corrispettivo previsto dall’Accordo Quadro Anci-Conai, quale è appunto il “premio resa”, rappresenta infatti uno stimolo al conseguimento di crescenti obiettivi di raccolta e di resa pro capite garantendo, inoltre, eccellenti tassi qualitativi del materiale da avviare a riciclo. Il “premio resa” viene ricono-
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sciuto sui conferimenti annuali da raccolta differenziata di fascia qualitativa A+ e A previste dall’All.Tec. Alluminio (presenza di frazioni estranee non superiore al 5%). In particolare, i conferimenti totali eseguiti dall’operatore convenzionato nel corso dell’anno sono rapportati agli abitanti serviti, determinando quindi la resa procapite di raccolta. L’elevato livello qualitativo che attualmente caratterizza l’alluminio da raccolta differenziata e che, ricordiamo, ha una presenza di frazioni estranee particolarmente con-
VAS e VIA aggiornate E’ online la nuova versione del portale delle valutazioni ambientali VAS e VIA. Il sito è stato radicalmente rinnovato nella veste grafica per favorire la comunicazione istituzionale, la condivisione e la partecipazione del pubblico ai processi decisionali, la fruibilità delle informazioni e degli strumenti a disposizione di pubblico, pubbliche amministrazioni e imprese sulle procedure di VAS e di VIA di competenza statale. Il nuovo sito, pur mantenendo la struttura delle sezioni tematiche già esistenti, è stato studiato per dare maggiore evidenza e facilità di accesso alle informazioni sui temi e le attività risultate di maggiore interesse in base all’analisi degli accessi al portale effettuati negli ultimi quattro anni. I contenuti relativi alle procedure sono stati aggiornati in modo conforme alle nuove disposizioni: è stata quindi realizzata la
nuova pagina dedicata agli avvisi al pubblico delle procedure di VIA avviate dopo il 16/5/17. Per la procedura di verifica di assoggettabilità a VIA è stata invece mantenuta la pagina dedicata agli avvisi al pubblico relativi alle procedure avviate prima del 16/5/17. La pagina sarà pertanto destinata alla pubblicazione, in via residuale, degli avvisi al pubblico relativi ad eventuali nuove pubblicazioni che continueranno ad essere effettuate ai sensi delle disposizioni previgenti.
I FANGHI DI DEPURAZIONE IN ITALIA I fanghi di depurazione rappresentano l’inevitabile prodotto del processo depurativo delle acque reflue urbane: se si depura, si producono fanghi. Un’appropriata produzione di fanghi rappresenta dunque la testimonianza del corretto funzionamento di un impianto. La produzione totale di fanghi in Italia riportata da Ispra nel Rapporto Rifiuti Speciali 2017 ammonta a circa 3 milioni di tonnellate (di fango tal quale). nel 2016 Utilitalia ha prodotto una raccolta dati, presso le proprie associate, relativa alla produ-
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tenuta, entro il 4%, è un risultato importante. E’ in questo contesto che si inserisce, inoltre, un nuovo modello premiale, di prossima pubblicazione, che il CiAl ha già previsto per l’anno 2018, attraverso una rimodulazione delle rese pro-capite (6 fasce) parametrate alle quantità conferite (5 fasce) da ciascun convenzionato. La valutazione congiunta di questi criteri consentirà di tener conto delle specificità dei bacini territoriali e delle potenzialità di resa conseguibili, premiando le realtà più virtuose. zione di fanghi (riferita al 2015), alla loro destinazione finale e alla loro caratterizzazione qualitativa. Lo studio ha censito una produzione di fanghi pari a 395.132 ton di sostanza secca, corrispondenti ad una popolazione complessivamente trattata di 35 milioni abitanti residenti. Considerando una popolazione totale trattata di 75,2 milioni di abitanti equivalenti (dato Istat) l’analisi ha riguardato il 46,5% della potenzialità complessiva di tutti gli impianti di depurazione in Italia. Si può quindi stimare una produzione di fanghi complessiva di 850.000 ton (di sostanza secca).
QUAnTO COnTA?
L’ambiente per le aziende italiane In Italia per quasi 9 aziende su 10 la gestione ambientale è un aspetto chiave della strategia di business. È quanto emerge dall’indagine svolta dall'ente di certificazione DnV GL - business Assurance, con il supporto dell'istituto di ricerca GFK Eurisko, che ha coinvolto più di 1.700 professionisti di aziende in Europa, nord America, Centro e Sud America e Asia, attive in diversi comparti dei settori primario, secondario e terziario. Coerentemente, più dell’85% dei partecipanti italiani al sondaggio dichiara di monitorare i propri processi per valutarne la conformità con normative ambientali e requisiti di legge e di effettuare una regolare manutenzione degli impianti per ridurne gli impatti, registrando dei valori più alti di circa il 15% rispetto al resto del mondo. L’82%, inoltre, svolge attività di assessment per la valutazione degli impatti, mentre la formazione del personale in materia di gestione ambientale è una realtà per 7 aziende su 10. La gestione dei rifiuti è tra i principali rischi ambientali che preoccupano le aziende di tutto il mondo; l’Italia non fa eccezione. Lo smaltimento dei rifiuti, in parti-
colare, è ancora più sentito che altrove (65%; +11%). Seguono, a parità di gravità, la gestione delle acque reflue, l’utilizzo di risorse energetiche non rinnovabili e la presenza di minacce fisiche (rumori, vibrazioni, minacce elettromagnetiche) che preoccupano circa 3 aziende su 10. Le aziende italiane non hanno intenzione di abbassare il livello di guardia. Interrogate sul proprio grado di maturità di gestione ambientale, 1 società su 3 ritiene di essere già a un livello avanzato mentre il 56% si aspetta di migliorare ulte-
AEEGSI DIVENTA ARERA Con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del 29/12/2017 della Legge di bilancio di previsione 2018 (legge 205/2017), l’Autorità per
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riormente le proprie capacità di qui a tre anni. Infine, praticamente nessuna azienda ha in previsione un ridimensionamento dei propri investimenti e il 33% è intenzionato ad aumentarli. l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico (AEEGSI) diventa ARERA, Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente, con compiti di regolazione anche nel settore dei rifiuti
approfondimenti
La gestione di terre da scavo D.P.R. 120/2017
Introdotta una disciplina organica e coordinata, che riguarda tutte le tipologie di cantiere e che semplifica le procedure e riduce gli oneri In G.U. n.183/2017 è stato pubblicato il D.P.R. 120/2017, che riguarda il riordino e la semplificazione della disciplina sulla gestione delle terre e rocce da scavo (TRS). Il nuovo provvedimento intende mettere ordine in una materia in cui da tempo coesistono numerose disposizioni, contenute in provvedimenti diversi e non sempre coordinati tra loro, la cui applicazione genera spesso incertezze di interpretazione sia per gli operatori del settore che per gli organi di controllo, con trafile burocratiche che possono durare fino a due anni. Per questi motivi, il DPR interviene introducendo una disciplina organica e coordinata, che riguarda tutte le tipologie di cantiere e che finalmente semplifica (anche in linea con la normativa europea) le procedure e riduce gli oneri documentali per le imprese; soprattutto, il DPR si propone di agevolare e incrementare il ricorso alla gestione delle terre e rocce da scavo come sottoprodotti (e non come rifiuti), al fine di migliorare la tutela delle risorse naturali grazie al minor smaltimento in discarica e al minor utilizzo di materiale da cava. Il DPR fissa inoltre tempi certi e definiti per l’avvio delle attività di gestione dei materiali, garantendo le necessarie condizioni di sicurezza ambientale e sanitaria e prevedendo anche un rafforzamento dei sistemi di controllo e vigilanza da parte delle autorità competenti. Il DPR, composto da 31 articoli e
fondali di specchi e corsi d’acqua). CRITERI PER TERRE E ROCCE DA SCAVO
10 Allegati, si apre con una serie di definizioni, introducendo alcune integrazioni e novità. Tra queste (Tit.1, art.2): - la nozione di “Suolo”, in cui vengono ricomprese anche le matrici di riporto ai sensi dell’art.3, co.1, D.L. 25/1/2012, in quanto si precisa che “le terre e rocce da scavo possono contenere anche calcestruzzo, bentonite, PVC, vetroresina, miscele cementizie e additivi per scavo meccanizzato”, purchè non si superino le concentrazioni di inquinanti per la specifica destinazione d’uso (Tab. 1 all. 5 al Tit. V della Parte IV del D.Lgs 152/06) - la definizione di “Terre e rocce da scavo”, che sostituisce la voce “materiali da scavo” di cui al co.b del D.M. 161/2012 chiarendo le caratteristiche necessarie che un determinato materiale deve possedere per rientrare nella
categoria TRS (che comprende il “suolo escavato derivante da attività quali scavi in genere, sbancamento, fondazioni, trincee, perforazione, trivellazione, palificazione, consolidamento, o da opere infrastrutturali, quali gallerie e strade, la rimozione e il livellamento di opere in terra”) - la distinzione tra “Cantieri di piccole dimensioni” (produzione di TRS <6.000 mc, compresi quelli che svolgono attività soggette a VIA o AIA), “Cantieri di grandi dimensioni” (produzione di TRS >6.000 mc nel corso di attività soggette a VIA o AIA) e “Cantieri di grandi dimensioni non sottoposti a VIA o AIA”. Questa distinzione, consente, in alcuni casi, di intraprendere la gestione semplificata delle TRS. L’art.3 stabilisce le esclusioni dal campo di applicazione del DPR 120/2017 (materiali dragati da
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Il Tit. 2, Capo 1, si apre con l’art.4, che disciplina i criteri di qualifica come sottoprodotti delle TRS, validi per tutte le tipologie di cantiere e la cui sussistenza deve essere comprovata dal “piano di utilizzo” o “dichiarazione di utilizzo” per i cantieri di piccole dimensioni, e dal “documento di avvenuto utilizzo” per gli altri cantieri. Le novità principali sono: - la non previsione tra le opere di utilizzo delle TRS di ripascimenti e interventi a mare; sono introdotti i “materiali di riporto”, nei quali la componente di origine antropica non può superare il 20% in peso. Inoltre, le matrici dei materiali di riporto sono sottoposte a test di cessione, secondo le metodologie di cui al D.M 5 febbraio 1998 (riportate in All. 10 al DPR), al fine di accertare il rispetto delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) delle acque sotterranee di cui alla Tab.2, All.5. Tit.5, Parte 4, D.Lgs 152/2006 - per le TRS contenenti amianto non è previsto il test di cessione, ma si richiede la conformità alle CSC del suolo di cui alla Tab.1, All.5, Tit.5, Parte 4, D.Lgs 152/2006. L’art. 5 introduce il concetto di “deposito intermedio”, che sosti-
tuisce il “deposito in attesa di utilizzo” di cui al D.M. 161/2012, e stabilisce alcuni requisiti riguardanti la durata del deposito, la conformità al piano di utilizzo/dichiarazione e alla destinazione d’uso del sito. Il Capo 1 si conclude con gli art. 6 (Trasporto) e 7 (Dichiarazione di avvenuto utilizzo) riprendendo quanto già specificato nella disciplina precedente. LA DISCIPLINA DEI CANTIERI
Per quanto riguarda i cantieri di grandi dimensioni per opere soggette a VIA/AIA, è previsto che il Piano di Utilizzo (PUT) debba essere redatto in conformità all’All.5 e trasmesso all’Autorità competente e ad Arpa, e contenere autocertificazione che attesta i requisiti del sottoprodotto. Entro 30 gg l’AC verifica la completezza documentale e può chiedere integrazioni; entro 90 gg dalla presentazione del PUT il proponente può avviare comunque la gestione delle TRS. Il DPR introduce inoltre la possibilità da parte di Arpa di effettuare controlli e verifiche non solo secondo una
programmazione annuale, ma anche utilizzando metodi a campione o in base a programmi settoriali per categorie di attività o situazioni di pericolo (anche il proponente può chiedere ad Arpa verifiche tecniche tese alla validazione preliminare del PUT, con oneri a proprio carico).
Un’ulteriore novità è l’introduzione del “Controllo equipollente” (art.13), ovvero la possibilità per il proponente di avvalersi, per i controlli e validazioni di cui sopra, di un organo e Ente pubblico con qualifiche o capacità tecniche equipollenti da Arpa (indicati in un D.M. che verrà emanato entro
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60 gg dall’entrata in vigore del DPR 279/2017). Per i cantieri di piccole dimensioni è stato invece introdotto un regime di “gestione semplificata”, riguardante in particolare la documentazione dimostrante la sussistenza delle condizioni di cui all’art.4. A tal proposito si introduce la “Dichiarazione di utilizzo” che assolve a tutti gli effetti la funzione del PUT, e che deve essere inviata (anche solo per via telematica) al Comune territorialmente competente e ad Arpa almeno 15 gg prima dell’inizio dei lavori. Arpa effettua ispezioni e controlli (anche a campione o su segnalazione), e in caso di rilevata difformità rispetto alla dichiarazione viene imposto il divieto di prosecuzione della gestione delle TRS come sottoprodotto. Anche per i cantieri di grandi dimensioni non sottoposti a VIA/AIA è prevista una gestione semplificata. nel Tit. 3 (art.23) vengono riportate le disposizioni sulle terre e rocce da scavo disciplinate come rifiuti; in particolare, assoluta noContinua a pag. 8
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condizioni di utilizzo di questi materiali, che è consentito in situ se risulta la conformità ai CSC; altrimenti, l’uso è consentito solo se risulta la conformità alle concentrazioni soglia di rischio (CSR) valide anche per l’area di utilizzo (con particolare attenzione al percorso di lisciviazione in falda). Sono inoltre riportate le specifiche per il piano di campionamento e analisi condotto in contraddittorio con Arpa, che si pronuncia entro 30 gg dalla presentazione.
La gestione di terre da scavo vità rispetto alle disposizioni passate, viene disciplinato il deposito temporaneo dei materiali, chiarendone modalità e tempistiche. TRS CON AMIANTO DA SITI BONIFICATI
Il Tit.4 del DPR (art.24) disciplina l’uso delle TRS escluse dalla disciplina dei rifiuti. Le TRS naturalmente contenenti amianto in misura superiore al valore stabilito come limite all’art.4 del DPR, possono essere riutilizzate esclusivamente nel sito di produzione, sotto diretto controllo delle autorità competenti. A tal fine deve essere presentato un apposito Piano di riutilizzo, e comunicazione immediata ad Arpa e Asl, cui competono attività di controllo e verifica. Il Tit.5 riguarda le terre e rocce da scavo provenienti da siti oggetto di bonifica: l’art. 25 individua le attività di scavo e la caratterizzazione dei materiali prodotti, mentre l’art.26 stabilisce le
DISPOSIZIONI TRANSITORIE E FINALI
Per i piani e i progetti già approvati prima dell’entrata in vigore del DPR, resta valida la disciplina previgente di cui al D.M. 161/2012 e i relativi materiali sono considerati a tutti gli effetti sottoprodotti. I progetti per i quali alla data di entrata in vigore è in corso una procedura ai sensi della normativa previgente restano assoggettati a tale normativa, salva la facoltà di presentare entro 180 gg il PUT o la dichiarazione.
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DEPURAZIONE A C Q U A
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La depurazione con nanoparticelle Il processo RCPTM
Particolarmente adatto per trattare le falde acquifere contaminate da idrocarburi clorurati e metalli pesanti Le nanotecnologie sono ormai una realtà consolidata e stanno diventando il settore principale dell’economia “high tech”: attualmente, sono commercializzati più di 1600 prodotti di ogni genere realizzati impiegando nanomateriali, e il loro numero è in costante crescita. In particolare, le nanoparticelle sono particelle di diametro inferiore a 100 nm che si dimostrano particolarmente utili nella decontaminazione dei siti contaminati da inquinanti pericolosi come idrocarburi clorurati e metalli pesanti; il Centro regionale di tecnologie e materiali avanzati (RCPTM), situato presso l’Università di Palacky (Rep. Ceca), è riuscito a combinare diverse nanotecnologie per creare un innovativo processo di depurazione, che è poi stato brevettato e commercializzato. Il processo RCPTM sfrutta gli effetti simultanei di specie riduttive biotiche e abiotiche (ad es. particelle di ferro zero-valente e lattato) per trattare le falde acquifere contaminate da idrocarburi clorurati e metalli pesanti. Il metodo si basa sulla combinazione di tre processi complementari ben noti: un processo di riduzione che impiega particelle di ferro stabili all’aria (nanoparticelle o una combinazione di micro-particelle), una biotecnologia che impiega lattato per sostenere chimicamente la biodealogenazione, un campo elettrico per accelerare il processo di ri-
duzione e la migrazione delle nanoparticelle di ferro. Il processo RCPTM è particolarmente adatto per la rimozione mediante degradazione chimica di solventi organici e idrocarburi clorurati (tipicamente dicloroetilene, tricloroetilene e percloroetilene) e anche di contaminanti inorganici come arsenico, cromo esavalente e metalli disciolti (ad es. rame). Le nanoparticelle di ferro possono essere usate per eliminare i fenomeni di eutrofizzazione delle acque di superficie mediante rimozione del fosforo e distruzione dei cianobatteri (compresa l’eliminazione delle tossine). In genere, questa tecnologia è particolarmente adatta per i composti riducibili e per le
acque di falda (o altre acque dove si trovano condizioni anossiche). Dopo alcuni progetti su scala pilota, nel 2012 è stato scelto un sito industriale nella Repubblica Ceca in cui dal 1903 erano stati prodotti materiali metallici di vario tipo. In questo sito, fino dal 1923 si erano instaurati fenomeni di penetrazione nel sottosuolo di solventi clorurati (dicloroetilene, tricloroetilene e percloroetilene), e la contaminazione è rimasta persistente nelle falde acquifere sotterranee fino all’inizio del processo di decontaminazione. La fabbrica era stata costruita sopra un sedimento clastico quaternario, e il flusso delle acque sotterranee ha causato una migrazione delle sostanze contaminanti fino a un fiume sito nelle vicinanze; in quell’area, il livello di contaminazione ha raggiunto 362 mg/litro di cloroetilene. Precedenti tentativi di decontaminazione impiegando tecniche di ventilazione, insufflazione d’aria e strippaggio non hanno avuto grande successo. Ma con la tecnologia di depurazione RCTPM le cose sono andate diversamente. La decontaminazione del sito ha avuto inizio con un trattamento di biodealogenazione in situ chimicamente assistita, avvenuta iniettando sodio lattato a concentrazione di 80 g/l nelle acque di falda sopra le zone contaminate, fino a raggiungere il punto di origine della contaminazione (sotto l’edificio
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della fabbrica) Per prevenire ulteriori migrazioni di contaminanti e proteggere il fiume, è stata installata in tre punti una barriera reattiva a permeabilità diffusa (DPR). A tale scopo sono state impiegate nanoparticelle stabili all’aria di un prodotto commercialmente disponibile (“nanofer Star”, prodotto dalla nano Iron) e particelle composte dallo stesso tipo di nanoparticelle, unite a microparticelle di ferro. La Continua a pag. 13
TRATTAMEnTO ELETTROChIMICO
I reflui ospedalieri più puliti
Gli attuali approcci al trattamento delle acque reflue degli ospedali includono il trattamento biologico, ma questo non può degradare i contaminanti più persistenti. Alternative come le membrane a osmosi inversa sono processi a elevata intensità di energia e l’ossidazione chimica richiede dosi elevate di sostanze chimiche. Lo scopo del progetto europeo ELECTRO hOSPITAL (next-generation electrochemical technology for the treatment of hospital wastewater: electrogenerated sulphate radicals for complete destruction of persistent pollutants) è stato quello di analizzare le prestazioni dell’ossidazione elettrochimica per il trattamento delle
acque reflue degli ospedali. negli ultimi anni, una tecnologia di ossidazione innovativa basata sulla generazione del radicale solfato (SO4-), un forte ossidante, e dei radicali ossidrili, ha attirato l’interesse per il trattamento delle acque reflue. I radicali solfato sono noti per la loro elevata selettività in quanto all’ossidazione di sostanze contaminanti. Di conseguenza, il progetto Electro hospital ha prodotto un solfato altamente ossidante e radicali ossidrile applicando corrente a un anodo con temperatura e pressione atmosferica. I risultati hanno dimostrato che, oltre ai radicali solfato, anche gli ioni solfato sono stati ossidati fino a diventare persolfato, il quale è stato ulteriormente attivato alla superficie dell’anodo, contribuendo così all’ossidazione e mineralizzazione delle sostanze organiche. La formazione di ossidanti a base di solfato è stata confermata at-
traverso il chiarimento di meccanismi alla base dell’ossidazione di iopromide e diatrizoato, agenti per raggi X solitamente presenti nei reflui ospedalieri. È emerso, inoltre, che la presenza di ioni solfato riduce l’effetto dannoso del cloruro e la formazione di sottoprodotti organici clorurati tossici. I risultati del progetto Electro hospital sono altamente rilevanti per l’applicazione nella vita reale del trattamento elettrochimico, in quanto la formazione di sottoprodotti clorurati costituisce uno dei principali limiti. I risultati del progetto indicano che tale problema può essere significativamente ridotto aumentando la quantità di solfato, il quale può quindi essere separato successivamente a ossidazione anodica mediante elettrodialisi, al fine di evitare problemi con un aumento delle concentrazioni di solfato nelle acque reflue. Da evidenziare che, sebbene il
progetto Electro hospital sia stato sviluppato per combattere la contaminazione nei reflui ospedalieri, vanta implicazioni per il trattamento delle acque contenenti solfati, per esempio quelle prodotte dalle industrie di fermentazione. La tecnologia sviluppata può essere applicata anche come alternativa al trattamento di ossidazione chimica in situ (in situ chemical oxidation, ISCO) per quanto riguarda le acque sotterranee contaminate. Il progetto comporta svariati e importanti vantaggi per le tecnologie di ossidazione esistenti, in quanto non genera inquinamento secondario, non è soggetto a limitazioni di ph e non richiede attivatori esterni, come per esempio il ferro. Dunque, la tecnologia fornirà un’innovativa opzione ecologica per il risanamento delle acque reflue degli ospedali, utilizzabile anche per il trattamento di altre forme di acqua contaminata.
VEOLIA WATER TEChnOLOGIES ITALIA
Gli evaporatori Evaled crescono Veolia Water Technologies Italia presenta un nuovo modello di evaporatore, l’Evaled RVF25, con una capacità evaporativa di 25 mc/giorno. La linea di prodotti Evaled RVF rientra tra gli evaporatori a ricompressione meccanica, caratterizzati da un’elevata efficienza energetica. L’ultimo nato della serie RVF è stato progettato per aumentare la già elevata affidabilità che contraddistingue questa linea di prodotti, rendendolo adatto al trattamento di soluzioni saline altamente concentrate e al suo impiego nei processi zLD. Il nuovo RVF25 va a coprire quel range di portate compreso fra i modelli già esistenti RVF15 e RVF40 di cui eredita i punti di forza legati ad una progettazione eseguita limitando le dimensioni al minimo compatibile con gli aspetti funzionali, un’accessibilità
agevolata ad alcuni componenti ed uno scambio termico ottimizzato, riconfermando la marcata propensione di questi evaporatori all’innovazione. Il modello RVF25, inoltre, come tutta la gamma Evaled, risponde
ai requisiti richiesti dal Piano Industria 4.0 del Ministero dello Sviluppo Economico, che permette l’iperammortamento al 250% dell’investimento in beni strumentali nuovi volti alla trasformazione tecnologica e digita-
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le dell’impresa. I principali vantaggi della linea RVF sono: massimo recupero d’acqua, minima quantità di refluo da smaltire, alta qualità dell’acqua condensata di recupero per un possibile riutilizzo, ridotti consumi energetici, adatto al trattamento di liquidi sporcanti ed incrostanti, semplice utilizzo (hMI intuitivo), unico modulo su skid (minimo ingombro), pronta per l’uso (plug & play), unità automatizzata e minima manodopera, possibilità di monitoraggio costante via controllo remoto, manutenzione ridotta, modularità e flessibilità, unità standard con tempi brevi di consegna. numerose le possibili applicazioni della linea RVF in tanti e diversi settori industriali produttivi.
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La depurazione con nanoparticelle sospensione di particelle è stata preparata in situ e pompata nella falda al di sotto della fabbrica Un campo elettrico con una intensità di circa 1 V/cm è stato applicato lungo la barriera DPR per incrementare gli effetti delle particelle di ferro. Il sodio lattato causa un significativo decremento delle concentrazioni di cloroetilene all’interno delle zone contaminate e le diverse particelle a base di ferro, in combinazione con il campo elettrico applicato, hanno fermato con successo la migrazione della contaminazione. In seguito a questi interventi, la concentrazione di cloroetilene è scesa velocemente fino a un livello del 10% rispetto alla concentrazione iniziale; la barriera DPR ha dimostrato di essere efficace sul lungo termine (dal 2012 fino al 2016), e non è stata rilevata la formazione di metaboliti tossici. I principali limiti dell’impiego delle particelle ferrose zero-valenti
per il trattamento delle acque sono: - il prezzo e la disponibilità delle nanoparticelle, la cui produzione finora è infatti nell’ordine di poche tonnellate/anno ed il prezzo è relativamente alto per interventi consistenti (trattamento di milioni
di litri acqua al giorno) - aspetti sociali, poichè l’uso di nanomateriali per la purificazione nell’ambiente può creare diffidenza nella popolazione - limitazioni tecniche, come il fatto che la diffusione delle nanoparticelle è condizionata dalle condi-
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zioni delle acque sotterranee. Per quanto riguarda le diffidenze verso i nanomateriali, va rilevato che gli effetti negativi finora riportati per le nanoparticelle di ferro nell’ambiente sono minimi: queste nanoparticelle sono chimicamente identiche agli ossidi di ferro naturalmente presenti nei suoli e nei sedimenti. In conclusione, la tecnologia RCTPM non è adatta per il trattamento di milioni di litri di acqua al giorno, ma può essere utilmente impiegata in siti caratterizzati da specifiche contaminazioni, in cui le tecniche convenzionali non sono adatte. Esiste, comunque, un enorme potenziale applicativo per le nanotecnologie nel trattamento delle acque, dato che l’inquinamento delle risorse idriche è un fenomeno crescente in varie parti del mondo. L’uso di nanoparticelle a buon mercato potrebbe essere la soluzione ideale per il trattamento dei reflui e delle acque destinate al consumo umano in Paesi poveri, dove la diffusa presenza di arsenico e altri inquinanti nelle falde acquifere può causare gravi problemi di salute pubblica.
cover story
La piattaforma per rifiuti liquidi Nuovo - Creazioni Ambientali
L’impianto Seap Depurazione Acque, per il trattamento di reflui civili e industriali, pericolosi e non pericolosi, ha una capacità di 550 tonnellate/giorno La società nuovo, coordinata dal direttore tecnico Claudio Di Giacomo, da oltre trent’anni si occupa di consulenza, progettazione, realizzazione, formazione e gestione di impianti per il trattamento di rifiuti liquidi, fangosi, solidi, di natura civile e industriale, pericolosi e non. Le attività sono svolte da un team di tecnici che hanno maturato molteplici esperienze nelle seguenti tipologie di impianto: - Piattaforme di Trattamento rifiuti liquidi, sia civili che industriali; - Stabilizzazione/Solidificazione per rifiuti fangosi, solidi, polveri e ceneri sia civili che industriali; - Soil Washing per terre inquinate
Aree di scarico
e rifiuti da spazzamento stradale; - Piattaforme Polivalenti per rifiuti civili e industriali, sia liquidi che solidi. Il punto di forza dell’azienda consiste nel fornire una consulenza mirata per la scelta di soluzioni ottimali che tengano conto delle esigenze tecniche del cliente e del settore in cui opera. Gli impianti sono progettati in 3D e vengono realizzati secondo le più moderne tecniche, con macchine appositamente costruite per ogni singolo caso. Al termine della costruzione, vengono eseguite le prove di collaudo, viene formato il personale addetto, per poi procede all’avviamento dell’impianto. Il periodo di
La piattaforma di trattamento rifiuti liquidi della Seap Depurazione Acque situata nella zona industriale di Aragona-Favara (AG). Hi-Tech Ambiente
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affiancamento alla gestione finisce con la messa a regime dell’impianto stesso. LA PIATTAFORMA DI SEAP DEPURAZIONE ACQUE
Tra le tante realizzazioni della società nuovo (www.nuovosrl.it), particolarmente interessante per la sua completezza è la piattaforma di trattamento rifiuti liquidi della Seap Depurazione Acque, che è in grado di trattare 550 tonnellate/giorno di reflui sia di tipo industriale che civile e sia pericolosi che non pericolosi. Il rifiuto viene conferito all’impianto mediante autocisterne e/o contenitori di varia cubatura, scaricato in aree attrezzate nelle quali viene effettuato il pretrattamento del rifiuto liquido in ingresso. Le aree attrezzate di scarico rifiuto sono in totale quattro: una per i rifiuti liquidi neutro alcalini a basso contenuto di solidi sospesi, una per i rifiuti liquidi neutro-alcalini fangosi, una per le emulsioni oleose e una per i rifiuti liquidi acidi. I rifiuti liquidi pretrattati possono essere trasferiti temporaneamente nelle sezioni di stoccaggio o direttamente trattati nelle sezioni di trattamento chimico-fisico e biologico. Le sezioni di stoccaggio sono composte da 24 serbatoi per una capacità di stoccaggio totale di circa 2.500 mc. Lo stoccaggio si divide in tre sezioni, uno per neutro-alcalini a basso contenuto di solidi sospesi, uno per i rifiuti oleosi e uno per i rifiuti acidi. I serbatoi sono alloggiati all’interno di bacini di contenimento per evitare qualsiasi possibile sversamento in ambiente esterno, anche in caso di rottura accidentale. La sezione di trattamento chimico-fisico a batch è composta da sei reattori dotati di agitatore da 50 mc di capacità, nei quali possono essere dosati gli opportuni reagenti per effettuare il ciclo di trattamento preventivamente simulato nel laboratorio chimico. I reattori sono utilizzati anche per il condizionamento del fango da inviare alla disidratazione meccanica. La sezione di trattamento biologico è composta da una vasca di equalizzazione/omogeneizzazione da 500 mc e una vasca di nitrificazione/denitrificazione da 3.000 mc. Il processo di trattamento
Impianto chimico-fisico
Sopra: impianto biologico Sotto: sezione di disidratazione meccanica con filtro-pressa
biologico è di tipo MbR ad aerazione intermittente, con membrane alloggiate in vasca dedicata all’esterno del reattore biologico. Le membrane adottate, di geometria piana, sono in polietersulfone e hanno luce di filtrazione di 0,04 µm. Questa sezione è costituita da due linee in parallelo da 400 mc/giorno. L’impianto è dotato anche di un sistema di osmosi inversa (due linee parallele da 300 mc ciascuna), in grado di intervenire qualora il refluo scaricato dal sistema MbR non fosse conforme ai parametri di legge. Gli inquinanti separati nei processi di trattamento vengono raccolti nei reattori del chimico-fisico, condizionati e quindi disidratati mediante filtro-pressatura. Inoltre, la piattaforma è munita di un sistema di convogliamento degli sfiati raccolti da tutte le fasi di stoccaggio e movimentazione dei rifiuti. Le emissioni vengono trattate nell’apposita sezione costituita da uno scrubber bi-stadio, con lavaggio acido basico e aggiunta di ossidante. Infine, il progetto autorizzato prevede la successiva realizzazione di due linee di evaporazione sottovuoto di capacità pari a 75 mc/giorno cadauna e di un sistema di strippaggio ammoniaca con relativo concentratore per produrre solfato di ammonio sale.
www.nuovosrl.it Hi-Tech Ambiente
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Il recente “Rapporto Rifiuti Speciali Ispra” indica in oltre 3,7 milioni di ton/anno il quantitativo di rifiuti provenienti dalla gestione delle reti fognarie. La maggior parte di questo quantitativo è da attribuire ai fanghi di depurazione, che sono in gran parte costituiti dalla stessa biomassa che effettua la depurazione. I fanghi “freschi” (cioè appena usciti dalle vasche di decantazione finale) sono costituiti per oltre il 90% da acqua; sono facilmente putrescibili e possono contenere agenti patogeni. È necessario quindi provvedere a trattamenti di stabilizzazioni e disidratazione, che vengono compiuti con diversi processi: digestione anaerobica (negli impianti di maggiori dimensioni), condizionamento con agenti chimici e disidratazione sotto pressione negli impianti più piccoli. Dopo questi trattamenti, i fanghi risultano “stabilizzati”, cioè possono essere trasportati e stoccati anche per periodi relativamente lunghi, e viene considerevolmente ridotta la presenza di germi patogeni. A questo punto si pone il problema dello smaltimento o (preferibilmente) del riutilizzo. La destinazione prevalente dei fanghi di depurazione era in passato lo spandimento sui terreni agricoli; tuttavia, le restrizioni introdotte dalla normativa (in particolare dal D.Lgs 99/1992, che recepisce le Direttive 86/278/CE e 91/692/CE) hanno reso questa forma di riutilizzo sempre più difficile, per cui buona parte dei fanghi di depurazione finiscono oggi in discarica. Ma anche questa forma di smaltimento trova notevoli ostacoli, sia perché la normativa vieta l’invio a discarica di rifiuti allo stato liquido o putrescibile, sia perché l’orientamento dell’Unione Europea è quello di riservare le discariche ai soli residui non riutilizzabili. Questo orientamento deriva dalla volontà di limitare le emissioni di CO 2 derivanti dall’aggiunta dei fanghi al terreno; ma queste considerazioni possono avere una lo-
Fanghi: nuovi trattamenti Uso di calce e Mild Wet Oxidation
Per il loro utilizzo agricolo due metodi per eliminare odori e microinquinanti sia organici che inorganici e anche patogeni
ro validità in Paesi (come Francia e Germania) con suoli umidi e ricchi di materia organica, mentre in Italia abbiamo una situazione pedoclimatica opposta, con terreni poveri di humus e cronicamente soggetti a dissesto idrogeologico ed erosione. L’aumento del tenore di materia organica del terreno, ottenibile con lo spandimento controllato dei fanghi di depurazione, consentirebbe una maggior capacità di ritenzione idrica, con conseguenti risparmi sui costi di irrigazione e riduzione dell’erosione dei suoli dovuta al ruscellamento. Inoltre, le sostanze nutrienti (azoto e fosforo) presenti nei fanghi
di depurazione sostituiscono i concimi chimici, consentendo agli agricoltori notevoli risparmi: 145 euro/ettaro rispetto alla concimazione con fertilizzanti azotati e 185 euro/ettaro rispetto alla concimazione con fosfati. ODORI E MICROINQUINANTI
La normativa sull’applicazione dei fanghi di depurazione in agricoltura è molto severa e dettagliata, e dovrebbe garantire adeguatamente sia la protezione dell’ambiente (evitando un carico eccessivo di sostanze eutrofizzanti) che quella della salute umana, mediante una serie di divieti rela-
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tivi sia alla natura dei fanghi (che devono essere stabilizzati e privi di sostanze tossiche) che alle modalità di applicazione (è vietata l’applicazione a pioggia, lo spargimento deve avvenire prima della semina, è vietato lo spargimento durante l’irrigazione e sulle colture in vegetazione). L’aspetto più critico dell’applicazione dei fanghi sul terreno rimane il problema dei cattivi odori; recentemente si è aggiunto il problema della possibile presenza nelle acque di scarico (e quindi nei fanghi di depurazione) di residui di antibiotici e microinquinanti chimici (i cosiddetti “disturbatori endocrini”) che attualmen-
te i normali processi di depurazione delle acque fognarie eliminano solo parzialmente. Questi problemi possono essere superati con una combinazione di due metodi: la Mild Wet Oxidation e il trattamento con calce. MILD WET OXIDATION
La Mild Wet Oxidation (abbreviata in MWO) è un trattamento chimico-fisico che consente di eliminare (o ridurre grandemente) dai fanghi di depurazione la presenza di microinquinanti (sia organici che inorganici), completando l’igienizzazione mediante l’eliminazione dei microorganismi patogeni e aumentando, inoltre, il contenuto in sostanza secca nella fase di disidratazione. Il processo MWO, sviluppato e brevettato dalla Syngen, prevede le seguenti fasi: - aggiunta di acido solforico, solfato ferroso e acqua ossigenata, e agitazione per 60’. Questa combinazione di sostanze chimiche, detta “reattivo di Fenton”, costituisce una fonte di radicali ossidrilici (Oh.) ad alto potere ossidante, in grado di distruggere completamente i microinquinanti organici (compresi i residui di antibiotici) e liberare i metalli pesanti in forma di ioni in ambiente acido - ulteriore acidificazione con acido solforico, fino a ph oltre 2, e in queste condizioni gli ioni dei metalli pesanti passano nella fase liquida - filtrazione su filtropressa, in modo da ottenere un materiale disidratato (50-60% di sostanza secca), completamente sanificato, contenente solo tracce di di inquinanti organici e di metalli pesanti, ed una fase liquida fortemente acida - trattamento elettrolitico o chimico della fase liquida dopo elettrolisi per effettuare l'estrazione diretta dei metalli o la loro precipitazione come idrossidi) - neutralizzazione e trattamento di coagulazione con cloruro ferrico e polielettrolita sul liquido demetallizzato. - filtrazione e scarico finale del liquido in pubblica fognatura.
Impianto di Mild Wet Oxidation
solforico e vengono miscelati con calce viva (ossido di calcio) che neutralizza l'acidità residua del materiale combinandosi con l'acido solforico per formare solfato di calcio. Il prodotto ottenuto non è più rifiuto ed è definito dalla legge italiana dei fertilizzanti come "gesso di defecazione", un valido prodotto correttivo dei suoli alcalini e salini, con forte potere ammenContinua a pag. 18
TRATTAMENTO CON CALCE
I fanghi trattati con la MWO, post disidratazione, risultano idrolizzati dal trattamento con l'acido Hi-Tech Ambiente
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Nuovi trattamenti dei fanghi dante, di libera commercializzazione. Un trattamento semplificato, che porta tuttavia a generare prodotti per l'impiego agricolo, può essere effettuato su fanghi che non presentano concentrazioni significative di metalli pesanti o di inquinanti organici. Questo tipo di trattamento può essere effettuato direttamente sulla linea fanghi di un impianto di depurazione e si fonda sulla denaturazione delle proteine della biomassa mediante l'impiego di calce viva. L'ossido di calcio, a contatto con l’acqua contenuta nei fanghi stessi, si trasforma in “calce spenta” (idrossido di calcio), provocando un forte aumento nella temperatura e idrolizzando la materia organica. In queste condizioni il biomateriale ha un ph nettamente alcalino, per cui deve essere neutralizzato. La neutralizzazione può avvenire con acido solforico oppure con CO2, portando a due prodotti diversi che vengono generati mediante la disidratazione operata dagli apparati già esistenti sul depuratore stesso.
Schema metodo Mild Wet Oxidation
Impianto di Mild Wet Oxidation
In SPERIMEnTAzIOnE IL PROCESSO OSA
Stop ai fanghi di supero Alla domanda se è possibile ridurre la produzione dei fanghi di supero mantenendo alte le prestazioni depurative di un impianto di trattamento hanno dato risposta affermativa le sperimentazioni condotte nell’ambito della convenzione fra CAFC (che gestisce il servizio idrico integrato nella maggior parte dell'Ato centrale Friuli) e Università di Trieste. Il progetto che ne è scaturito ha portato alla riduzione dei fanghi di circa il 20-30%, con il conseguente notevole contenimento dei costi oltre che risparmio energetico. Allo scopo è stato realizzato a Terenzano un impianto pilota OSA (Oxic-Settling-Anaerobic) che tratta circa 1.400 litri al giorno di reflui in un reattore ae-
robico con un volume modificabile compreso fra 500 e 1.100 litri. L’investimento è stato conte-
nuto (circa 50.000 euro) e gli ottimi risultati registrati vengono monitorati quotidianamente gra-
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Il trattamento con acido solforico porta ad un prodotto denominato “biosolfato”, contenente solfato di calcio e definito tecnicamente “gesso di defecazione”, del tipo 21 secondo l’All.3 al D.Lgs 75/2010. Il trattamento con CO2 porta invece ad un prodotto denominato “biocarbonato” (tipo 22 secondo All.3 al D.Lgs 75/2010). Entrambi i prodotti sono riconosciuti validi come fertilizzanti e non sono soggetti alla disciplina sui rifiuti; sono ideali per terreni poveri di sostanza organica, con la differenza che il biosolfato è più adatto ai suoli subalcalini, alcalini e salini, mentre il biocarbonato è adatto a terreni subacidi e acidi. Inoltre l'applicazione di questa tecnologia, se applicata sulla linea fanghi di un depuratore, non si configura come trattamento di rifiuti, e non necessita quindi della relativa autorizzazione. Un terzo tipo di fertilizzante, denominato “Granfondo” e commercializzato dalla Agrosistemi, è costituto da una miscela di biosolfato con compost ottenuto da trattamento aerobico di biomasse. Questo prodotto è particolarmente adatto a contrastare fenomeni di desertificazione in Paesi mediterranei. zie ai costanti prelievi ed analisi in loco da parte dei tecnici addetti ed al sistema di telecontrollo. L’impianto OSA si sta dimostrando molto robusto ed in grado di sostenere dei carichi, intesi come concentrazione di sostanza organica, molto diversi e rilevanti. La nuova tecnologia, quindi, consentirà di puntare sull’upgrade degli impianti di depurazione, senza la necessità di creare nuove strutture, replicando questo modello sugli impianti di media grandezza. Inoltre, questo tipo di impianto pilota, che farà da caso scuola per altri impianti, comporterà il miglioramento tecnologico e della capacità di trattamento delle strutture esistenti, la riduzione dei costi gestionali, il rinnovamento delle infrastrutture, l’abbattimento dei volumi dei fanghi e, magari, l’uso agricolo come fertilizzanti di questi fanghi trattati, più ricchi di minerali.
GREEN FASHION L A
P R O D U Z I O N E
" M O D A "
T U T E L A
L’ A M B I E N T E
Il green marketing Ieri, oggi e gli scenari futuri
Le aziende di moda hanno sempre più un approccio ambientalmente sostenibile che comunicano efficacemente ai consumatori 2^ parte
Per le imprese di moda, ormai, l’adozione di un approccio ambientalmente sostenibile non significa più solo lavorare alla riduzione degli impatti ambientali e alla sicurezza per i consumatori e i lavoratori, bensì implica investire sempre più nella creazione e nel mantenimento di una reputazione e di una immagine di prestigio per quanto riguarda l’impegno a tutela dell’ambiente; ciò in quanto i consumatori orientano sempre più le loro scelte sulla base di aspetti etici e sulla sostenibilità ambientale dei prodotti. Questo tipo di comunicazione non è stato in passato molto frequente, perché l’industria della moda ha puntato prevalentemente su messaggi evocativi e non razionali. GREEN WASHING E GREEN MARKETING
A partire dagli anni ’70, le imprese di moda hanno iniziato a percepire la mutata sensibilità dei consumatori e le crescenti preoccupazioni sui potenziali rischi per l’ambiente e la salute, e di conseguenza hanno iniziato a introdurre la “comunicazione ambientale” nelle loro strategie di marketing. Si trattava però molto spesso di mere operazioni “di facciata”,
E SE IL VESTITO DURASSE 30 ANNI? Le più raffinate strategie di comunicazione non possono coprire i semplici dati di fatto, evidenziati da un recente rapporto di Greenpeace Germania: la produzione di abiti è raddoppiata dal 2000 ad oggi; contemporaneamente, la durata dei vestiti si è dimezzata e gli abiti vengono spesso rinnovati ad ogni cambio di stagione; le coltivazioni di cotone, necessarie per produrre le fibre tessili per i vestiti, assorbo-
no il 24% degli insetticidi e il 10% dei fitofarmaci; l’industria tessile si classifica ormai al secondo posto (dopo quella del petrolio) nella classifica dei maggiori inquinatori. Qualcuno prova a reagire: lo stilista inglese Tom Cridland ha presentato la “30 Years Collection”, fatta di abiti progettati per durare 30 anni. La sua impresa ha un fatturato di 250.000 sterline l’anno, e conta tra i clienti celebrità come Leonardo di Caprio, Daniel Craig, ben Stiller e Rod Stewart.
prive di contenuti concreti e talvolta ai limiti dell’inganno vero e proprio: ciò che oggi viene chiamato “green washing”, ossia una politica di marketing che tende a ingigantire i benefici di miglioramenti minimi dei metodi di produzione convenzionali, facendo passare come “impegno etico e civile” iniziative che in realtà poco incidevano sull’impatto ambientale o sociale dei prodotti o dei processi produttivi. Le cose sono cambiate a partire dagli anni ’90, in seguito alla maturazione dell’opinione pubblica e del senso etico dei consumatori: anche a causa del crescente dibattito sui cambiamenti climatici (i cui effetti sono sotto gli occhi di tutti), e ad una maggiore possibilità di accedere e condividere le informazioni grazie alle nuove tecnologie, è nata una nuova coscienza ambientale e un senso di responsabilità etico e sociale, che sempre più orienta le scelte dei consumatori verso prodotti e comportamenti ecosostenibili. Ecco quindi che la “comunicazione ambientale” ha assunto una valenza diversa, maggiormente ancorata alle effettive capacità delle imprese di innovare la loro produzione: si è quindi passati dal “green washing” al “green marketing”, una strategia che Continua a pag. 20
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Il green marketing punta non solo ad ottenere risultati commerciali sfruttando e aumentando le aspirazioni consumistiche, ma che si basa invece su una interazione culturale con la clientela, basata su trasparenza, coinvolgimento e informazione. La legge fondamentale del green marketing è semplice: occorre far leva sugli aspetti positivi per convincere i consumatori a cambiare scelte e comportamenti quotidiani in modo il più semplice e il più gradevole possibile. Per far questo, il piano di marketing deve essere facilmente comprensibile, deve saper combinare tecnologia, commercio e aspetti sociali, e deve tendere alla innovazione stimolando l’adozione di nuovi prodotti e stili di vita. TRACCIABILITA’ ED ETICHETTATURA: L’ESEMPIO DI RAPANUI
Rapanui è una delle più interessanti case inglesi specializzate nella moda sostenibile: fondata come micro-azienda nel 2008 da due giovanissimi fratelli, ha ad oggi ricevuto diversi premi e ri-
conoscimenti per il suo impegno nella sostenibilità dell’industria dell’abbigliamento, grazie al suo impegno verso la creazione di una filiera della moda sostenibile attraverso il design e la realizzazione di capi di abbigliamento da materie prime sostenibili (tra cui il cotone biologico). La sostenibilità tocca tutti gli aspetti organizzativi e produttivi
dell’azienda: gli stabilimenti vengono alimentati con energie rinnovabili, i materiali vengono accuratamente selezionati e lavorati nel rispetto dell’ambiente, ma soprattutto i prodotti vengono tracciati lungo il loro intero ciclo di vita attraverso un apposito strumento, il “Trace Mapping Tool”: si tratta di un’applicazione disponibile on line, grazie alla quale è
SCARTI RICICLATI
La borsa di pelle di pesce Trasformare la pelle di scarto dei pesci in pellame di lusso con cui realizzare borse, scarpe o cover per smartphone è la sfida vinta dall'azienda marocchina SeaSkin, fondata da nawal Allaoui, studentessa della Scuola superiore dell'industria tessile e dell'abbigliamento (Esith). Considerata un rifiuto, la pelle del pesce solitamente finisce nella spazzatura, invece che essere recuperata e valorizzata come fa nawal, che le da una seconda vita. Dopo diversi test nella sua stanza del college, la giovane studentessa è riuscita a mettere a punto un metodo di concia basato su prodotti biologici marocchini, come l'henné. nawal recupera la pelle di scarto di pesce (sogliola, merlano e salmone ...) dai ristoranti di pesce e dall’industria di lavorazione del pesce, quindi rimuove i rimanenti
residui di carne e provvede ad abbondante risciacquo. Lo step successivo è la dedicato alla concia vegetale: bagno delle pelli insieme a una preparazione a base di pro-
dotti naturali. Dopo di che la pelle è pronta per la tintura, che varia secondo il prodotto. L’ultima fase della catena prevede l’appiattimento e l’asciugatura della pelle, ora
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possibile effettuare un monitoraggio completo di tutta la catena del processo produttivo, dalla piantagione al trasporto alla fabbrica, dalla lavorazione alla vendita, specificando i consumi energetici di produzione e trasporto, e fornendo informazioni dettagliate sulle condizioni di lavoro nei campi e le immagini delle lavorazioni in fabbrica. Il sistema è stato definito “from seed to shop”, cioè “dal seme al negozio”, e ha lo scopo di fornire ai consumatori un accesso libero e trasparente a tutte le informazioni riguardanti l’intera catena produttiva, in modo da permettere una scelta consapevole e sostenibile. Sempre in questa ottica, Rapanui ha creato un nuovo sistema di etichettatura ecologica per sintetizzare le informazioni relative agli imballaggi dei capi di abbigliamento, che ricalca il marchio “Ecolabel” e che si basa su una classificazione in lettere: da A (biologico, etico e sostenibile) a G (non biologico, non etico, non sostenibile). Per quanto non sia ancora certificato a livello istituzionale, l’immediatezza di questo sistema di etichettatura ne sta favorendo la diffusione tra molte case di moda inglesi. pronta per creare un prodotto di pelletteria di lusso, sicuramente originale e dalle trame esotiche, decisamente ecologico e anche resistente. E per chi si domanda se persiste lo sgradevole odore di pesce, la risposta è naturalmente no, grazie alla fase di concia biologica. Il prodotto finito odora semplicemente di pelle. nell’ambito di questo mercato di nicchia, finora inesplorato, SeaSkin sta riscuotendo un notevole successo. Ad oggi, per la commercializzazione dei suoi prodotti, nawal vende solo online.
QUATTRO POSSIBILI SCENARI
Il Centro per la Moda Sostenibile del London College of Fashion ha pubblicato un interessante studio che traccia quattro possibili scenari per la moda sostenibile da qui al 2025. Slow is beautiful Questo scenario è caratterizzato dalla predominanza della moda “slow”: le persone possiedono meno abiti ma di qualità migliore, i capi vintage di seconda mano sono molto popolari, e vengono comprati e venduti on line. Allo stesso tempo, le nuove tecnologie hanno portato alla creazione e alla diffusione di “abiti intelligenti”, in grado di monitorare lo stato di salute di chi li indossa. Il mercato è completamente globalizzato e la consapevolezza dei consumatori sulle tematiche ambientali rende imperativo
h&M dal 2013 porta avanti un’iniziativa decisamente sostenibile, oltre che la prima a livello mondiale di questo genere, ossia raccogliere indumenti usati, di qualunque marca ed in qualsiasi condizione, presso i propri punti vendita in tutto il mondo. Ad oggi il colosso tedesco ha superato l’incredibile quota di 40.000 tonnellate raccolte, e l’obiettivo è aumentare ogni anno le quantità, in modo da raggiungere le 25.000 ton/anno fino al 2020. Ed in qualsiasi negozio h&M, in qualsiasi giorno dell’anno, possono essere consegnati indumenti vecchi o anche solo inutilizzati, bucati, scoloriti, macchiati, dalle calze alle t-shirt, dagli slip alle giacche, ecc., e come recita la campagna pubblicitaria: “bring it – Portali da noi”. E lo scopo di questo recupero globale è proprio il riciclo, per realizzare nuovi tessuti, nuovi capi di abbigliamento, nuove imbottiture, ecc. Risale al 2014 la prima collezione di h&M “Close the Loop”, realizzata con fibre tessili riciclate; nel
Patchwork Planet Si tratta di uno scenario molto “politico”, in cui il mondo è diviso in blocchi contrapposti e le mode ricalcano gli ideali culturali e religiosi di ciascuno di essi. Inoltre, la scarsità di risorse ha innovato i processi produttivi: gli abiti vengono fabbricati impiegando cellulosa ottenuta da colture batteriche e sono progettati per essere facilmente modificati per adattarli alle ultime tendenze, anche grazie alla creazione di appositi servizi post-consumo. per le case di moda mantenere una reputazione di sostenibilità e rispetto per l’ambiente. Community couture In questo scenario, i cambiamenti climatici e la scarsità di risorse hanno drasticamente ridotto la produzione di abiti nuovi, che sono diventati beni di lusso che solo i ricchi possono permettersi; fabbriche e magazzini di abbigliamento sono protetti da sorveglianti armati. La maggior parte della popolazione vive in comunità autosufficienti e gli abiti usati vengono barattati, affittati presso apposite “biblioteche di vestiti”, oppure conferiti presso appositi centri comunitari in cui vengono rici-
clati. Gli abiti di seconda mano sono considerati una preziosa risorsa e niente viene buttato via. Techno-Chic In questo scenario, l’economia mondiale è diventata ormai ipertecnologica ed a basse emissioni di CO2. I “body scanners” in 3D consentono di provare gli abiti in appositi “specchi virtuali”; la maggior parte degli abiti sono prodotti in forma modulare da macchine cinesi e adattati ai gusti personali direttamente nei negozi. Sono di moda i vestiti “camaleonte”, cioè abiti bianchi in grado di mutare colore e stile in base alle mode del momento. I vestiti sono biodegradabili o sono progettati per essere riutilizzati.
TUTTO SI RICICLA
L’upcycling di H&M
2016, invece, l’azienda ha creato una mini collezione, venduta solo on-line, composta da due capi prodotti interamente con denim usato. A sostegno di queste collezione
“upcycling” è stato montato un video che racconta il viaggio che fanno i capi dopo essere stati consegnati in negozio e, attraverso delle storie, illustra come la durata
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di un indumento possa essere prolungata per rendere il suo ciclo di vita il più lungo possibile. Ebbene, i capi raccolti vengono suddivisi in oltre 350 diverse categorie e dato che proprio nulla viene sprecato, proprio nulla viene gettato via, nemmeno il metallo di bottoni e cerniere. Quanto agli abiti, prenderanno strade diverse in base allo stato di conservazione: se ancora indossabili verranno venduti come abiti di seconda mano, diversamente: saranno riconvertiti secondo la filosofia dell’upcycling o come panni per pulire; verranno macinati e usati per imbottiture e pannelli isolanti per la casa o per le automobili; verranno trasformati in nuove fibre tessili e filati in nuove matasse. Addirittura, anche la polvere raccolta sarà pressata in cubi e inviata all’industria della carta per realizzare cartoni, ed alla fine dell’intero ciclo, il residuo non più utilizzabile sarà inviato ai termovalorizzatori e trasformato in energia.
Le infradito a base di alghe Sostenibili e biodegradabili
Prodotte in California le prime ciabatte da mare a partire da olio estratto dalle alghe <<Un oggetto apparentemente insignificante come un infradito è in effetti la calzatura più utilizzata al mondo - afferma Stephen Mayfield della UC San Diego – e in ragione di ciò è anche uno dei più grandi inquinanti dei mari a causa del poliuretano con cui viene realizzata, oltre che delle nostre discariche. Ebbene, produrre eco-infradito vuol dire dare veramente un grosso aiuto all’ambiente>>. Con questo obiettivo ha lavorato un team di ricercatori dell’Università della California a San Diego, riuscendo a realizzare tavole da surf prima e infradito poi partendo dalle alghe, o meglio dall’olio estratto dalle alghe. Per sperimentare, industrializzare e poi commercializzare questi ecoprodotti è stata costituita una startup, la Algenesis Materials, che impiega alcuni studenti che lavorano su svariati altri progetti, perché a seconda di come viene manipolato l’olio di alghe è possibile produrre schiume dure o schiume morbide, in sostituzione al poliuretano utilizzato in nume-
rosissimi oggetti di uso comune: scarpe sportive, seggiolini per auto o addirittura pneumatici per veicoli. Peraltro, gli scienziati stanno cercando di rendere questi ecoprodotti oltre che sostenibili anche biodegradabili. Le tavole da surf a base alga sono state sviluppate in partnership con una nota azienda produttrice di tavole e già oggi queste ecotavole da surf sono utilizzate da numerosi surfisti professionisti, che a San Diego sono numerosi. Quanto alle infradito, attualmente sono stati prodotti i primi prototipi, che consistono in una ciabatta flessibile e spugnosa, decorata con un logo (Triton) e un semplice cinturino. Ma con il supporto di una fabbrica di scarpe a Leon, in Messico, l’obiettivo è quello di duplicare l’esperienza precedente. Il primo passo, tuttavia, sarà la produzione di alcune migliaia di paia di infradito Triton come test, che verranno fornite agli alunni della UC San Diego e distribuite per eventi speciali. Hi-Tech Ambiente
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Aquafil è un’azienda che produce una fibra di nylon riciclato, chiamata Econyl, riutilizzando vecchie moquette, vestiti usati e reti da pesca da buttare o abbandonate in mare. Il nylon, che è una fibra sintetica fatta di polimeri e riciclarlo è complicato e costoso, quindi, in genere, i produttori usano filo di nylon prodotto con materie prime fossili. Ma Aquafil ha sviluppato un processo innovativo, chiamato Econyl Regeneration System. I rifiuti di nylon vengono trattati, sciolti e passati su una filiera che li trasforma in una sorta di “spaghetti”, per poi essere trasformati in un filato di fibra di nylon, di alta qualità e alta prestazione, che può essere riciclato all’infinito. Grazie a questo processo si riducono le emissioni di CO2 e si risparmiano 70 barili di petrolio per ogni 10.000 tonnellate di caprolattame (il componente base del nylon) prodotto.
L’eco-nylon si fa strada Fibra riciclata
Un filato di alta qualità e alte prestazioni, ma che incontra alcuni ostacoli: costo e burocrazia La prima versione di Econyl creata con scarti industriali è stata lanciata nel 2007, ma solo nel 2011 è stata creata una vera e propria una linea di produzione di Econyl (grazie a milioni di euro investiti in 4 anni in ricerca finanziata in parte da UE, provincia di Trento e azionariato privato). Oggi, Econyl ha 70 licenze in tutto il mondo e il 30% dei filati di Aquafil è prodotto con fibre riciclate, ma l’azienda punta ad usare il 100% di nylon riciclato per le 130.000 tonnellate di fibra che produce ogni anno. Attualmente, Econyl viene in parte utilizzato da Adidas, Speedo e Desso per creare rispettivamente abiti sportivi, costumi da bagno e mo-
quette. Più recente, l’accordo sia con Levi Strauss & Co, che ha creato una linea di abbigliamento maschile contenente questa fibra riciclata, sia con il campione di surf Kelly Slater, che ha lanciato la sua linea Outerknown di abbigliamento da surf con l’Econyl. Ancora oggi, però, tre sono i principali ostacoli all’impiego di questa fibra: la prima è la mancanza di tecnologia sul mercato, che obbliga Aquafil ad inventarsi i macchinari che utilizza; i costi, decisamente più alti; la burocrazia, poiché le norme europee e internazionali sullo smaltimento e il trasporto dei rifiuti sono molto complesse e quindi possono essere un serio ostacolo. Hi-Tech Ambiente
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RIFIUTI T R A T T A M E N T O
E
S M A L T I M E N T O
Terre rare dai magneti Recupero dai raee
Il progetto Remanence mira a ridurre l’impatto ambientale ed energetico legato all’impiego di questi materiali La sopravvivenza di molte industrie europee di alta tecnologia dipende dalla disponibilità di terre rare, che vengono impiegate per la produzione dei magneti. Al momento, non esistono processi per il recupero di questi materiali (in particolare boruro di ferroneodimio, NdFeB) dai magneti presenti nei raee, che spesso vengono smaltiti in discarica o vengono dispersi nelle operazioni di recupero e lavorazione di altri metalli presenti nei rifiuti elettrici ed elettronici. Anche se la disponibilità delle terre rare è aumentata negli ultimi anni, è necessario assicurare la continuità a lungo termine: ciò significa che è importante non solo incrementare il consumo sostenibile ed efficiente delle risorse naturali, ma anche sviluppare
OBIETTIVI DEL PROGETTO
Magneti al samario ferro-cobalto
processi di recupero e riciclaggio, sempre tenendo presente l’aspetto economico, al fine di limitare l’estrazione di materie prime vergini. E proprio con lo scopo di svilup-
pare processi innovativi per il recupero e il riciclo delle terre rare (in particolare NdFeB) dai magneti presenti nei raee è stato messo in piedi il progetto Remanence.
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Gli obiettivi strategici del progetto Remanence possono essere così riassunti: contribuire allo sviluppo sostenibile del mercato, creando un processo economicamente affidabile per il recupero delle terre rare; identificare il tipo di raee più importanti ai fini del recupero e quantificare il contenuto di terre rare presenti nei magneti; sviluppare un processo affidabile per il recupero delle terre rare presenti nel flusso indifferenziato dei raee; fornire alle industrie materie prime riducendo il dispendio energetico rispetto all’estrazione di materie prime vergini; sviluppare nuovi metodi per la raccolta e la lavorazione delle singole tipologie di raee. A questi obiettivi si aggiungono
altri aspetti tecnici: lo sviluppo di una tecnica efficiente di separazione meccanica che possa concentrare la frazione di NdFeB presente nei raee contenti magneti a base di terre rare; sfruttare i processi di disgregazione con idrogeno per i magneti sinterizzati, ottenendo la separazione efficiente delle polveri dai restanti materiali; sviluppare un processo di riciclaggio integrato in grado di produrre materiali magnetici a bassa contaminazione, adatti per il riuso nei processi produttivi; dimostrare su scala industriale il pieno riciclo dai flussi di rifiuti, mediante separazione, recupero e rilavorazione, al fine di elaborare nuovi prodotti finali; produrre magneti impiegando terre rare riciclate, che abbiano le stesse proprietà dei magneti prodotti con risorse primarie. Il processo principale per il recupero dei magneti presenti nei raee prevede il recupero di NdFeB di alta qualità, che può quindi essere impiegato direttamente per la produzione di nuovi magneti. Allo stesso tempo, si riconosce che alcuni materiali magnetici non possono essere recuperati e, quindi, deve essere attuato un processo di recupero alternativo, tra cui la lavorazione idrometallurgica e il recupero di sali fusi dello stesso NdFeB.
male per il recupero delle terre rare. SEPARAZIONE E CONCENTRAZIONE
Per l’individuazione e l’estrazione dei materiali magnetici è stato creato un sistema composito di sensori magnetici e ottici, completamente automatizzato; l’unità comprende un nastro trasportatore provvisto di un sistema ottico dotato di telecamere, lenti, illuminazione, oltre a un software
per l’acquisizione e analisi delle immagini. E’ stato sviluppato un prototipo di trasportatore dotato di un sistema a sensori magnetici, che sincronizza le misurazioni magnetiche con la rilevazione di immagini ottiche; dopo un’estesa sperimentazione, è stata sviluppata la versione finale, costituita da un sistema integrato che include rilevamento, trasporto, separazione e rimozione dei magneti a base di NdFeB dagli HDD. L’unità comprende: nastro di trasporto, tele-
SCELTA DEI TIPI DI RAEE
E’ stato studiato il contenuto di NdFeB presente nei magneti dei diversi tipi di raee, al fine di valutare quali flussi sono maggiormente adatti per il recupero delle terre rare. Sono stati considerati i drivers degli hard disk (HDD), lettori di CD/DVD, telefoni cellulari, altoparlanti e altri raee contenenti piccoli motori elettrici. Sono stati raccolti 350 campioni di magneti e le analisi condotte hanno dimostrato che il 90% di essi sono a base di NdFeB; e questi sono quelli più interessanti per il recupero delle terre rare, in quanto presentano concentrazioni di neodimio del 20-25%. In teoria, anche i magneti al samario ferro-cobalto (SmFeCo) potrebbero essere utilizzati, in quanto contengono circa il 25% di samario; tuttavia, i raee contenti questi magneti sono più difficili da trattare, per cui i magneti a base di SmFeCo non rappresentano, al momento, una scelta ottiHi-Tech Ambiente
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camera, magnetometro, eiettore non magnetico, manipolatore, sincronizzatore nastro di trasporto/manipolatore, pinza, sistema di taglio, espulsione di parti tagliate, scivoli e nastri di evacuazione, recinto di sicurezza, integrazione elettrica/elettronica. Questo sistema è in grado di identificare, smistare e separare unità HDD da 2,5” o 3,5”, a una velocità di 10 pezzi al minuto, pari a 105.600 HDD al mese Continua a pag. 27
La pressa verticale HSM V-Press 818 dalle dimensioni compatte
La logistica del riciclo CLS
Soluzioni innovative per ottimizzare la gestione dei rifiuti con focus su produttività, sicurezza, assistenza e consulenza Per l’industria della gestione dei rifiuti, CLS arricchisce le soluzioni green di compattamento e trasporto degli stessi con servizi volti ad ottimizzare l’operatività di questo settore, tenendo come punto cardine la sicurezza sul lavoro. Si tratta, infatti, di nuovi servizi legati a sicurezza, assistenza e consulenza. A tal proposito, i consulenti CLS affiancano i clienti sin dalle fasi iniziali, per analizzare le esigenze e capire quali sono i migliori processi da adottare al fine di realizzare sistemi di gestione dei rifiuti personalizzati e ad alto rendimento. I tecnici CLS progettano insieme ai clienti impianti modulari ed efficienti, che si contraddistinguono per un’elevata automazione. Al centro dei progetti viene posta la
produttività, nella movimentazione e nella produzione: CLS fornisce soluzioni che producono balle ideali per una saturazione in volume e peso dei mezzi di trasporto (oltre 27T di PET su un bilico). Il loro consumo energetico per tonnellata prodotta così come i tempi di carico sono i minimi di categoria. Per
quanto riguarda l’aspetto della sicurezza, efficienza e tranquillità sono condizioni imprescindibili per lavorare con macchine di grossa portata. Ecco quindi i sistemi “anticrushing” a trasponder per i nastri di carico di impianti di selezione e di presse, ed i sistema di anticollisione per carrelli elevatori Blaxtair, specializzato nel riconoscimento di persone ed ostacoli tramite l’ausilio di una videocamera intelligente. Le novità CLS prevedono anche la massima attenzione all’assistenza: di recente è stato collaudato i-TEC, un sistema di gestione dell'assistenza tecnica 4.0 che consente una riduzione dei fermi produttivi, implementa piani manutentivi dedicati, garantisce ricambi in 24h oltre che una tracciabilità «paperless».
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Nell’ambito dell’innovazione di prodotto, tra le proposte in movimento per il riciclo, sicuramente interessanti due presse del partner HSM, che consentono di compattare e distruggere ogni tipo di materiale di scarto: la HSM VK 5512, una pressa imballatrice a canale che comprime i materiali e li lega in balle in modo completamente automatico. Adatta per compattare materiali quali cartone, carta, pellicole di plastica, PET, HDPE e LDPE, è studiata per lavorare a carico continuo. E’ una soluzione altamente versatile per compattare con elevate prestazioni in termini di produttività e di rendimento energetico; la pressa verticale HSM V-Press 818 di dimensioni compatte, che consente di ridurre direttamente sul posto il volume del materiale da imballaggio fino al 95%. Caratterizzata da elevata flessibilità di applicazione e facilità di impiego è una pressa silenziosa ed innovativa, a basso consumo energetico e con elevata velocità di pressata. Altro partner di CLS è la Hyster, produttrice di carrelli elevatori. Studiato per ridurre l’impatto ambientale è il carrello termico Hyster Fortens H3.0FT con pinza per balle Cascade che, tra le varie caratteristiche, ha installata la modalità di risparmio carburante Eco-eLo, che lo rende molto efficienei in termini di consumo e rendimento del carburante. Inoltre l'impianto idraulico con tecnologia a rilevazione del carico "Load Sensing Hydraulic" (LSH), disponibile su richiesta, aumenta la produttività e limita il consumo di carburante, riducendo ulteriormente i costi complessivi di esercizio del carrello.
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Terre rare dai magneti (considerando 22 giorni lavorativi al mese per 8 ore/giorno). IL TRATTAMENTO CON IDROGENO
Poiché i trattamenti superficiali di nichelatura o rivestimento con alluminio ostacolerebbero i successivi stadi di riciclo, viene eseguito un trattamento con idrogeno (previa frantumazione dei magneti). Il risultato è che il NdFeB sinterizzato si frattura dando luogo a una polvere altamente friabile e la maggior parte del rivestimento di nichel si separa dai magneti sotto forma di scaglie sottili. PRODUZIONE DI NUOVI MAGNETI
Dopo la separazione della polvere e la separazione dai contaminanti, il materiale può essere impiegato per la produzione di nuovi magneti o di polimeri per il rivestimento dei magneti. Dopo la purificazione, la polvere viene caricata in forno sotto vuoto, dal quale si ottiene materiale degassato; da questo si producono magneti con proprietà paragonabili a quelle dei magneti prodotti con materie prime vergini. In alternativa ai magneti sinterizzati, possono essere prodotti magneti con leganti, per la cui produzione la polvere deve essere ulteriormente lavorata impiegando una fase ulteriore di idrogenazione, disproporzionazione, desorbimento e ricombinazione. RECUPERO DI NEODIMIO
Oltre che sui magneti sinterizzati, nel corso del progetto sono stati compiuti esperimenti di recupero su magneti formati con leganti, anche se il neodimio recuperato è risultato di qualità inferiore. Per questi magneti è necessario un trattamento iniziale di frantumazione; successivamente, viene eseguito un trattamento chimico di lisciviazione con acido cloridrico. Da questo si ottiene una soluzione compatibile con la seguente fase di trattamento idrometallurgico, che comprende estrazione acida, seguita da estrazione organica e una fase finale di strippag-
gio. La fase di strippaggio produce una soluzione di tre fasi, composta da solventi organici, un precipitato solido di neodimio e un flusso acquoso acido che può essere ulteriormente lavorato. Dopo il recupero del neodimio in forma solida mediante l’estrazione con solvente, esso può essere introdotto in una cella elettrochimica a sali fusi per il recupero del neodimio metallico. La scelta dei sali da usare viene effettuata in base ai dati di letteratura e modificata in base ai risultati della sperimentazione. Dopo aver determinato un intervallo di voltaggio in base a un’ampia gamma di diverse condizioni, viene applicato un voltaggio costante e la corrente viene monitorata per un certo periodo di tempo. La produzione di neodimio metallico viene calcolata in base alla densità della corrente e all’area del catodo; ciò può essere impiegato per determinare la capacità produttiva del processo su larga scala.
essere competitivi sul mercato rispetto ai magneti realizzati con boruro di ferro-neodimio “vergine”. Il progetto si è inoltre concentrato sul recupero di magneti a base di terre rare dai drivers degli hard disks, in quanto questi magneti sono facilmente estraibili dai drivers; dimostrare la convenienza economica del recupero di questi magneti potrebbe incoraggiare lo
ANALISI ECONOMICA
C’è una relazione generale tra la potenza massima dei magneti e il loro prezzo di vendita. Il progetto Remanence tende innanzitutto a competere sul mercato con i magneti al neodimio sinterizzato e i magneti formati con leganti, cioè fino al 200 $/kg per i primi e tra 100 e 150 $/kg per i secondi. L’analisi economica condotta ha mostrato che, anche con le inefficienze che attualmente persistono, il costo di produzione dei magneti riciclati consente ad essi di Hi-Tech Ambiente
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sviluppo di processi di recupero da altri tipi di raee. Infine, un altro punto chiave del progetto è lo sviluppo di un processo di separazione basato su un sistema automatizzato di sofisticati sensori: il sistema è già operativo, ed è in grado di trattare oltre 500.000 unità all’anno, e si prevede che possa essere ottimizzato fino a circa 1 milione di unità/anno con poche semplici migliorie.
La separazione al laser Tomra Sorting Recycling
Una selezionatrice d’efficienza superiore per ridurre ulteriormente i rifiuti conferiti in discarica Tomra Sorting Recycling ha di recente annunciato il lancio di una selezionatrice a sensori basata sulla tecnologia laser. Autosort Laser consente la separazione di vetro, pietre, metalli e plastica dai rifiuti urbani e industriali. Le sue funzionalità permettono di recuperare il materiale per frazionarlo ulteriormente, riducendo il peso totale dei rifiuti conferiti in discarica e i relativi costi. Non è tutto: la macchina contribuisce anche a creare nuovi flussi di ricavi recuperando altri prodotti rivendibili. La tecnologia di selezione laser è basata sulla serie più venduta di Tomra, la versatile Autosort a vicino infrarosso (NIR), un prodotto di grande successo, con oltre 4.000 unità installate nel mondo. Autosort Laser offre una potente combinazione di sensori capaci di individuare simultaneamente diverse ca-
ratteristiche dei materiali in un solo punto, per selezionare frazioni in modo più efficiente. Eccelle nella separazione di vetro sottile, spesso o opaco dagli rsu. Remondis, nel centro di Erftstadt in Germania, è il primo impianto ad avere installato questa unità. <<Con l’installazione di Autosort Laser - commenta Harry Amann, responsabile di stabilimento - il lavoro ne è risultato molto semplificato, i risparmi sono considerevoli e il prodotto in uscita è di qualità molto elevata. Naturalmente, ci aspettiamo di recuperare l’investimento effettuato in tempi molto rapidi>>. La macchina ha un sistema di fondo indipendente che assicura stabilità di selezione e rende possibile separare il vetro sottile, spesso o opaco dai polimeri trasparenti che vengono utilizzati sempre di più in
oggetti come siringhe, accendini, biberon e contenitori cosmetici. Autosort dispone, di serie, delle tecnologie brevettate Flying Beam e Fourline per una velocità elevata e una grande precisione. Grazie a una semplice interfaccia utente, gli operatori possono facilmente selezionare da una varietà di programmi di classificazione sullo schermo touch, mentre la funzionalità di calibrazione continua consente di monitorare e ottimizzare i risultati dei processi in tempo reale. Inoltre, Autosort Laser può essere facilmente integrata negli impianti grazie al suo design compatto e ingombro ridotto. Questa nuova selezionatrice ha una progettazione meccanica esclusiva, che rispetta i più elevati standard di sicurezza e semplifica la manutenzione. Il gruppo Tomra utilizza la tecnolo-
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gia laser nella sua gamma di sistemi per la selezione alimentare dal 1997. Questa tecnologia di classificazione, metodo di identificazione universalmente riconosciuto, è stata ora adattata e ulteriormente sviluppata in base alle necessità specifiche del settore del riciclo. <<Sono lieto di vedere il successo delle prime installazioni – afferma Peter Mentenich, senior product manager di Tomra Sorting Recycling - e il nuovo Autosort Laser nel nostro portafoglio prodotti. Assicura maggiore redditività ai nostri clienti e contribuisce a ridurre notevolmente il materiale che finisce nelle discariche. Un altro buon esempio del fatto che sostenibilità e attività commerciali non si escludono reciprocamente. Entrambe possono coesistere grazie alle innovazioni nella gestione dei rifiuti e nella tecnologia di riciclaggio>>.
PET pulito al riciclo Amut e CarbonLite
Una linea di lavaggio di bottiglie in plastica da balle di post consumo da quasi 6 ton/ora e un sistema di macinazione per ottenere scaglie e granuli Dallo scorso settembre è attivo a Dallas, in Texas, un nuovo impianto di riciclaggio di rifiuti di plastica della CarbonLite, dotato di una linea di lavaggio siglata Amut, che rappresenta una tecnologia d’avanguardia nel suo genere ed è la seconda di queste dimensioni ad essere installata negli Usa, in grado cioè di processare più di 5.500 kg/ora di PET di altissima qualità proveniente da balle di post consumo. Questo impianto conta un’area di più di 23.000 mq, processa circa 46.000 ton/anno di bottiglie di plastica (il sito di Dallas farà così raddoppiare all’azienda la produzione annuale di PET ad uso alimentare) e permette la trasformazione di bottiglie di plastica post consumo di PET in resina, scaglie e granuli che possono essere riutilizzati per produrre nuove bottiglie e altri prodotti sostenibili. <<La CarbonLite ha una pluriennale esperienza in questo campo dice Anthony Georges, presidente di Amut North America - e ha scelto Amut come principale fornitore per l’impianto di Dallas
proprio per fronteggiare le nuove sfide che il mercato sempre propone. Abbiamo incluso oltre all’unità di prelavaggio delle bottiglie anche il nostro brevettato De-Labeller che si è aggiudicato nel 2017 il prestigioso Plastic Recycling Innovation Award promosso dalla APR-Association of Plastic Recyclers>>. <<Quando si trattano balle di bottiglie miste si devono rilevare e rimuovere i contenitori di non-PET – prosegue Georges – e i colorati prima del loro ingresso nel processo di lavaggio finale. Utilizzando
un’unità doppio stadio, effettuiamo con il primo De-Labeller un’azione di pulizia a secco per rimuovere la maggior parte delle etichette retraibili, mentre con il secondo svolgiamo un’azione di prelavaggio ad acqua sulle bottiglie intere per ridurre gli effetti antiusura delle lame dei mulini. La nostra tecnologia reimpiega nel ciclo, dopo averla filtrata, l’acqua usata durante il processo di lavaggio delle scaglie, riducendo così i consumi di acqua pulita ma garantendo allo stesso tempo una massima eliminazione dello sporco e dei residui
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di etichette rimasti>>. Punto cruciale della tecnologia Amut è che le bottiglie rimangono intatte attraverso il processo di lavaggio e non vengono minimamente danneggiate, facilitando così l’azione di smistamento del non-PET e del colorato dal PET trasparente. Le bottiglie di PET trasparente proseguiranno quindi il percorso per la successiva fase di lavaggio. La fornitura Amut include anche il sistema di macinazione per trasformare le bottiglie in scaglie, insieme alla coppia di friction washer (brevettati) e alle due macchine di ultima generazione che effettuano una separazione per flottazione e che permettono di catturare i tappi. Anche quest’ultimi, una volta isolati, potranno essere successivamente valorizzati. L’intero processo è studiato per incrementare la qualità delle scaglie PET trasparente per soddisfare gli esigenti requisiti delle applicazioni bottle-to-bottle, ottimizzando il valore di ogni balla e riducendo i costi di funzionamento, il consumo di acqua, di energia e di detergenti.
BIOMASSE & BIOgAS B I O M A S S A
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B I O g A S
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B I O M E TA N O
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C O g E N E R A z I O N E
L’impianto bi-stadio per biogas Brevetto Enea e Crea
Volumi del digestore minori, costi di realizzazione ridotti, maggiori rese e migliore qualità Più performanti di circa il 20% e di dimensioni ridotte rispetto agli impianti tradizionali e più facili da gestire, ma anche in grado di schiudere nuove frontiere per la produzione di bioenergie, con la possibilità di utilizzare biomasse come siero di latte e scotta, poco congeniali ai digestori conven-
zionali. Queste le principali caratteristiche degli impianti a biogas bistadio per la produzione di idrogeno e biometano. La prima struttura di questo tipo costruita in Europa è stata inaugurata a Soliera, in provincia di Modena, nel 2017.
Realizzato dalla start up Biogas Italia, licenziataria e sviluppatrice del brevetto del procedimento di digestione bi-stadio, depositato da Enea e dal Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria), l’impianto emiliano è frutto di una vincente sinergia tra pubblico e pri-
Pastazzo di agrumi Hi-Tech Ambiente
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vato. Il programma prevede ora di realizzare tra i cinque e i dieci nuovi impianti l’anno e contemporaneamente riconvertire quelli esistenti. LA TECNOLOGIA BI-STADIO
Il processo che si verifica nell’impianto bi-stadio separa le fasi biologiche della digestione anaerobica e permette una più veloce degradazione della biomassa. All’interno dei digestori si osserva un aumento della produzione di idrogeno nel primo stadio del processo e della produzione di biometano alla fine del ciclo. Grazie ai tempi ridotti di digestione della biomassa, l’impianto bi-stadio necessita di cubature inferiori e costi di realizzazione più contenuti rispetto agli impianti tradizionali. Infine, biomasse come siero di latte, scotta, sansa di olive e pastazzo di agrumi, possono essere usate senza i problemi di stabilità biologica di solito riscontrati nei sistemi tradizionali, facendole rientrare in un ciclo virtuoso di riutilizzo. <<Più nel dettaglio – spiega Claudio Giurin, responsabile commerciale e R&S di Biogas Italia – si ha un primo stadio durante il quale il substrato organico viene idrolizzato e in cui con-
temporaneamente avviene la fase acida che rilascia idrogeno, e un secondo stadio dove si produce il metano>>. La principale innovazione sta proprio qui: l’idrogeno biatomico prodotto (H2) viene fatto ricircolare nel secondo fermentatore e si miscela con il biogas. Questo permette di attivare una reazione che fa legare l’idrogeno all’anidride carbonica (CO2) del biogas producendo metano (CH4) più ossigeno (O2). In sostanza si va ad arricchire il Siero di latte
biogas di metano, facilitando il successivo processo di upgrading, perché avendo più metano si deve estrarre meno anidride carbonica. Il miglioramento delle prestazioni si può stimare tra il 15 e il 20%, anche se in laboratorio si è arrivati al 25-30%. Oppure, l’idrogeno può essere utilizzato nelle celle a combustibile o venduto come gas tecnico. <<Altra caratteristica peculiare di questo impianto – sottolinea Giurin – è la possibilità di valorizzare tutte le biomasse con pH acido, che invece negli impianti tradi-
zionali sono impiegate solo in minima parte perché creano problemi nella digestione aerobica. Nell’impianto bi-stadio si possono invece utilizzare senza problemi>>. Questo è importante perché il nuovo decreto sul biometano dovrebbe prevedere un utilizzo di almeno il 70% di sottoprodotti per la produzione di bioenergia. UN POTENZIALE DA SVILUPPARE
Oltre ad avere fermentatori più
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piccoli, costare meno e produrre di più, i nuovi impianti permettono monitoraggio e controllo dei parametri di processo sul primo reattore e un intervento tempestivo in caso di problemi, oltre alla produzione continua di metano nel secondo reattore. Il controllo e il mantenimento delle condizioni termiche e operative è facilitato rispetto alle strutture realizzate finora. Questo permette di incrementare la stabilità del processo e un risparmio sui costi energetici. Il sistema è flessibile, capace di adattarsi al tipo di biomasse introdotte. I tempi di ripresa produttiva in caso di shock biologico sono ridotti. Unico inconveniente del nuovo sistema è la fase di avviamento, che necessita di 80-90 giorni, contro i 20-60 degli impianti convenzionali. Come noto, i circa 1.400 impianti a biogas oggi attivi in Italia hanno il problema dell’approvvigionamento di materia prima e la nuova tecnologia bi-stadio può aiutare a minimizzare questo aContinua a pag. 32
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L’impianto bi-stadio per biogas spetto. <<Lo stadio successivo sarà l’utilizzo del trinciato di mais – afferma Giurin – utilizzando una minor quantità di materia nell’ordine del 10-15% rispetto agli impianti tradizionali per produrre la stessa quantità di energia. Entro due anni vogliamo completare la sperimentazione che prevede la riconversione degli impianti esistenti>>. L’impianto di Soliera ha una potenza di 100 kW, in quanto serve da test, ma per essere economicamente conveniente la dimensione
che ha beneficiato di un finanziamento di Invitalia, e l’azienda agricola Lugli, che ha ceduto in comodato d’uso il terreno e che fornisce la materia prima per l’alimentazione dell’impianto e partecipa alla gestione. Un concetto sottolineato anche da Vito Pignatelli, responsabile del laboratorio Biomasse e Biotecnologie per l’Energia di Enea, secondo cui: <<La realizzazione dell’impianto è un ottimo esempio dei risultati che si possono ottenere dalla collaborazione tra mondo della ricerca e mondo dell’impresa>>. <<Biogas e biometano – aggiunge Piero Gattoni, presidente del CIB – si confermano risorse fondamentali nel bilanciamento delle
Sansa di olive
minima è di 300 kW o 200 mc di metano equivalente. PUBBLICO E PRIVATO, BINOMIO VINCENTE
Oltre che per l’elevato contenuto tecnologico la realizzazione della struttura modenese si distingue anche per il circuito virtuoso innescato tra i soggetti coinvolti in ambito pubblico (Enea e Crea) e privato: la start-up Biogas Italia,
rinnovabili all’interno di una strategia di progressiva decarbonizzazione del sistema energetico nazionale. Il nostro biogas/biometano è italiano al 100% perché nasce dai sottoprodotti dell’agricoltura e della zootecnia italiana: è programmabile, flessibile e capace di valorizzare il settore primario. Col giusto supporto del legislatore il comparto potrà offrire un contributo importante allo sviluppo del Paese>>.
BIOVALENE
I superbatteri per la lignina Nella digestione della biomassa il principale problema è rappresentato dalla disgregazione della lignina. Riuscire a massimizzare questo passaggio significherebbe ottimizzare la produzione di biogas da parte delle centrali, permettendo un drastico abbassamento dei costi di produzione e un contemporaneo innalzamento dei livelli qualitativi per questo comparto energetico. Allo scopo sta lavorando Biovalene, una start-up attiva nella ricerca biotecnologica, che sta mappando i ceppi batterici presenti in 50 centrali a biomasse, al fine di selezionare i più performanti nella decomposizione della lignina. Ma non solo, l’azienda sta anche sta studiando una fase di pre-digestione per rendere la lignina più adatta all’azione dei batteri. La lignina, infatti, caratterizza la maggior parte degli scarti che alimentano le centrali, sebbene sia difficilmente digerita. <<La mappatura ci serve innanzitutto per capire “chi-fa-cosa” – spiega Fabio Messinese, amministratore delegato di Biovalene – e grazie alle ricerche sul campo abbiamo già selezionato ceppi specifici e addestrati a una maggiore produzione di metano. Adesso stiamo lavorando sulla loro caratterizzazione genetica per rendere permanenti le loro capacità e renderli riconoscibili attraverso una loro identificazione specifica >>. Ad oggi l’azienda ha già selezionato un inoculo altamente produttivo, ma l’obiettivo è quello di standardizzare i processi per renderli adottabili da tutte le centrali. <<Stiamo lavorando su due fronti paralleli - aggiunge Messinese da una parte la mappatura per individuare, nominare e potenziare i ceppi batterici presenti, contribuendo a definire scientificamente e tecnologicamente i processi attivabili nei digestori. Dall’altra, l’individuazione dei processi che invece contribuiscono alla disgregazione della lignina in elementi assimilabili dai batteri. Tutto questo darà un apporto inaspettato a
tutto il comparto, proiettando la ricerca e la tecnologia italiana all’avanguardia internazionale del settore>>.
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In primavera è partita la costruzione del nuovo impianto di trattamento dell’organico di Geofor, l’azienda di gestione rifiuti della provincia di Pisa. La costruzione dell’impianto, primo di questo genere in Toscana, si è resa indispensabile visto l’aumentare della raccolta differenziata locale, che necessita di strutture in grado di ricevere e lavorare il rifiuto differenziato di 24 Comuni. Costruito dalla Biotec Sistemi, sorgerà su una superficie di 13.000 mq nell’attuale piattaforma tecnologica di trattamento rifiuti, e andrà a sostituire l’attuale impianto aerobico di compostaggio da 21.000 ton/anno. Quando sarà a regime, nella primavera 2019, il nuovo impianto potrà trattare circa 44.000 ton/anno di forsu e 7.000 ton/anno di rifiuti verdi (sfalci e potature). Sarà articolato, infatti, in una sezione di pretrattamento della forsu con tecnologia BTA, una sezione di digestione anaerobica per la produzione di biogas ed una sezione di compostaggio aerobico che produrrà compost di qualità utilizzabile in agricoltura come fertilizzante.
Tanto organico... tanto biogas Energia e compost
E’ in costruzione il primo impianto in Toscana di valorizzazione della forsu, già pensato per rendere possibile un suo futuro raddoppio
L’IMPIANTO
Un’area di stoccaggio ospiterà la forsu in ingresso, che in tempi brevi passerà alla sezione di pretrattamento idromeccanico costituita da due idropolpatori (o BTA Waste Pulper) e tre ciclonatori (o BTA Grid Removal System), tutti a funzionamento ciclico. Dagli idropolpatori (da 30 mc cad.), grazie a forze di taglio e separazione per densità dei materiali, si otterranno tre flussi: frazione organica del rifiuto che si trasforma in una polpa omogenea; frazione leggera, costituita prevalentemente da plastiche, legno e tessuti; frazione pesante dove si ha la concentrazione di inerti, vetro, metallo ed altri materiali con elevato peso specifico. Il passaggio successivo nei separatori idrodinamici consentirà di allontanare dall'organico anche le frazioni più fini. Tutte le frazioni di scarto, comunque, prima della loro rimozione subiranno numerosi cicli di lavaggio che assicureranno il recupero del materiale organico adeso ai materiali, rendendo massima l'efficienza del trattamento. La frazione leggera verrà a questo punto disidratata in una coclea, mentre
la frazione leggera passerà in una pressa per essere compattata e disidratata. La sospensione organica di risulta, invece, con un contenuto di organico prossimo al 99%, verrà accumulata giornalmente in un serbatoio polmone da 1.000 mc (alto 13 m e largo 10,2 m) e andrà ad alimentare in modo continuo (ciò anche quando la sezione di Hi-Tech Ambiente
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selezione a umido non è operativa) due digestori anaerobici da 4.000 mc cad. (alti 18,5 m e larghi 17 m), dove si produrrà biogas (4,6 mln Nmc/anno e portata oraria di 530 Nmc). Con contenuto in metano del 62%. Per evitare fenomeni di sedimentazione e per ottimizzare l’attività batteria, i digestori saranno provvisti di un sistema di miscelazione con insufflazione tramite un sistema di lance dello stesso biogas compresso. Il biogas così prodotto, una volta desolforato, andrà ad alimentare un cogeneratore in container inso-
norizzato da 1.487 kWel, con produzione di circa 11.000 MWh/anno di energia elettrica e circa 7.200 MWh/anno di energia termica. L’energia elettrica generata, al netto degli autoconsumi dell’impianto, verrà ceduta alla rete elettrica nazionale, soddisfacendo il fabbisogno di circa 10.000 abitanti. Il digestato di risulta, invece, verrà disidratato grazie a due centrifughe e addizionato al verde urbano per la produzione di ammendante compostato misto (7.285 ton/anno).
L’impianto di compostaggio (o di biossidazione accelerata) sarà costituito da 6 celle con insufflaggio d’aria dal basso in cui il compost grezzo soggiornerà 25 giorni ed una sezione di maturazione per ulteriori 25 giorni a cui seguirà una fase di vagliatura per arrivare a compost di qualità, stabile e maturo.
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L’intera struttura impiantistica lavorerà in depressurizzazione e quindi in assenza di cattivi odori. Peraltro, l’aria esausta sarà trattata in uno scabber+biofiltro. Per quanto riguarda, invece, le acque, la maggior parte sarà rimessa in circolo e quella in eccesso sarà inviata al vicino depuratore della Valdera Acque.
energia Latteria Montello, famosa per i suoi formaggi freschi a marchio “Nonno Nanni”, rappresenta un’azienda capace di coniugare l’arte dei caseifici tradizionali tipica della Marca Trevigiana, alle più avanzate tecnologie, sia per quanto riguarda la filiera produttiva, sia per l’efficienza energetica. Una significativa dimostrazione viene dalla scelta di dotarsi di un cogeneratore alimentato a gas naturale con il quale ottenere contemporaneamente energia elettrica ed energia termica, il tutto con un consistente risparmio nei consumi e una sensibile riduzione di CO 2 immessa nell’ambiente, rispetto ad un classico sistema di produzione di energia elettrica (quale, per esempio, un gruppo elettrogeno privo di apparecchiature per il recupero dell’energia termica dei fumi). Presso la Latteria Montello è stato installato un impianto di cogenerazione in package modulare alloggiato in container, che ha una potenza nominale a pieno carico pari a 1.063 kWe e una potenza termica cogenerata pari a 1.154kWt. Nello specifico 661 kWt provengono dal recupero termico in acqua calda, mediante scambiatore di disaccoppiamento sul circuito di raffreddamento del blocco motore, mentre 493 kWt provengono dal recupero termico dai gas di scarico mediante caldaia a tubi di fumo per la produzione di vapore a 10 bar. L’energia elettrica è interamente autoconsumata dallo stabilimento, con controllo del generatore in modalità “scambio zero” per evitare cessione di energia in rete. Analogamente, tutta l’energia ter-
La cogenerazione in latteria In package, modulare e in container
La tradizione casearia incontra le nuove tecnologie per raggiungere un’elevata efficienza energetica mica prodotta è valorizzata all’interno del sito produttivo: il vapore è utilizzato nel processo di produzione caseario, mentre l’acqua calda è ceduta a tre differenti utenze termiche per: preriscaldo circuito condense, prima dell’immissione nelle caldaie vapore; riscaldamento dello stabilimento e degli ambienti produttivi; produzione di acqua calda sanitaria. L’impianto è stato installato e reso operativo in pochi mesi dal momento dell’approvazione del piano di fattibilità. L’installazione si è svolta cercando di mantenere il più possibile attivo e senza rallentamenti il flusso produttivo dello stabilimento. Le scelte tecnologiche adottate
hanno consentito di ottenere elevati rendimenti in tutti i parametri operativi, riducendo notevolmente l'immissione di CO2 in ambiente rispetto ad un classico sistema di produzione di energia elettrica (quale, per esempio, un gruppo elettrogeno privo di apparecchiature per il recupero dell’energia termica dei fumi). Per il contenimento delle emissioni inquinanti il cogeneratore si avvale di differenti tecnologie considerate le migliori disponibili. La prima riguarda la prevenzione della formazione di sostanze inquinanti mediante un’accurata regolazione della carburazione del motore, una seconda consente l’abbattimento del monossi-
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do di carbonio, generato durante la combustione, mediante catalizzatore ossidante. E’ stato necessario anche progettare ad hoc le interconnessioni con le linee di distribuzione esistenti nello stabilimento, al fine di garantire una perfetta sinergia con le tecnologie già in essere. L’utilizzo dell'impianto è pari a 4.500 h/anno, con recupero termico del 100% sul circuito acqua calda alimentato col calore derivante dal raffreddamento camicie, olio ed intercooler ed un utilizzo pari al 100% del calore generato dalla caldaia alimentata dai gas di scarico. Il rendimento complessivo dell’impianto supera l’82%.
L’eco-cogenerazione compatta 2g Energy
Due novità: catalizzatore SCR per contenere le emissioni di NOx e capsula acustica outdoor minimale 2G Energy, produttore di sistemi di cogenerazione, presenta due importanti novità: il catalizzatore SCR per la serie Agenitor per essere conformi alla norma TA Luft (istruzioni tecniche per il controllo della qualità dell’aria) e la capsula acustica outdoor per ottimizzare il trasporto, anche all’interno di container standard. Il Ministero Federale per l’Ambiente tedesco con questa norma vuole fissare dei valori limite più bassi per gli ossidi di azoto. Per essere rispondenti, 2G ha realizzato il catalizzatore SCR che, grazie a processi di riduzione catalitica selettivi con l’iniezione di una soluzione di urea, conosciuta come AdBlue, permette di abbassarli notevolmente. Questa novità è disponibile per la serie Agenitor che, con una potenza installata di oltre 10.000 kW è uno dei prodotti di punta dell’azienda. Il concept del motore si basa su una “combustione magra”, ovvero il motore utilizza 1,8 volte l‘aria che sarebbe necessaria per la combustione della miscela di gas. I moduli di cogenerazione della serie Agenitor, con un valore del 42,5%, hanno un‘efficienza elettrica elevata e sono adatti in particolare sia per applicazioni in cui si punta all‘autoalimentazione e sia in quelle occasioni in cui la partecipazione al mercato dell‘energia beneficerebbe di una abbondante produzione energetica. <<L’inasprimento dei valori limite di NOx previsti dalla normativa TA Luft non ci ha colti impreparati - dichiara Christian Manca, CEO di 2G Italia - ma, grazie alla nostra
esperienza e alle risorse che destiniamo costantemente a R&D, abbiamo realizzato questa soluzione per essere conformi a questi limiti che sono notevolmente più stringenti>>. La nuova capsula acustica outdoor compatta è stata realizzata, invece, per ottimizzare i costi di trasporto e per essere pronta immediatamente per il collegamento. Non sono più necessari contenitori speciali, ma può essere spedita oltreoceano e verso altri mercati esteri in modalità ottimizzata per il trasporto all‘interno di container standard. Più piccola rispetto alle soluzioni per container 2G, con 65dB(A) a una distanza di 10 metri, ha inoltre un ottimo grado di insonorizzazione. In questa nuova soluzione, inoltre, il cogeneratore è premontato e pronto per l‘installazione e può essere facilmente installato, collegato e messo in funzione direttamente in loco.
LA GALLERIA ENERGETICA Enertun è il primo concio energetico italiano, ossia una struttura prefabbricata in calcestruzzo ottimizzata per lo scambio termico nel sottosuolo sfruttando l’energia geotermica. In pratica, il concio, che riveste i tunnel della metropolitana, è equipaggiato con condotte che trasportano liquidi termovettori per lo scambio termico: il fluido, sfruttando il principio della geotermia, scambia il calore con il
terreno circostante e lo trasporta in superficie. Questa tecnologia, con cui si può ottenere calore in inverno e fresco d’estate, è un brevetto del
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Politecnico di Torino ed è stata installata a scopo sperimentale nella tratta Lingotto-Bengasi, della linea 1 della metropolitana della città della Mole in fase di costruzione. In questo modo non solo si utilizza un'infrastruttura che sarebbe comunque realizzata, senza dover fare appositi scavi, ma si trasformano le gallerie in grandi scambiatore di calore per realizzare sistemi di condizionamento e riscaldamento degli edifici in superficie e per produrre acqua calda.
macchine & strumentazione
Il monitoraggio in continuo dei tensioattivi Stessa affidabilità di un laboratorio
Un sistema di analisi automatico multiparametrico che si avvale della tecnica colorimetrica ingegnerizzata in campo I tensioattivi sono il principale costituente dei detersivi e dei prodotti detergenti in genere; solo in Europa, il loro consumo è stimato in oltre 1,5 milioni di tonnellate, con un rilevante impatto ambientale. L’inquinamento da tensioattivi riguarda sia le falde acquifere, sia le acque superficiali, ma anche il suolo e l’aria delle zone litoranee interessate dagli scarichi industriali e domestici. I tensioattivi anionici di prima generazione, che non erano biodegradabili, si accumulavano
sulla superficie dei corsi d’acqua, formando una coltre di schiuma che impediva l’ossigenazione dell’acqua e quindi ostacolava le attività biologiche; i tensioattivi biodegradabili di nuova generazione, invece, non formano schiume, ma sono comunque tossici per gli organismi acquatici. Per questi motivi, il loro contenuto nelle acque reflue deve essere attentamente controllato. Esistono diversi metodi di laboratorio, tutti però soggetti a interferenze e soprattutto non adatti a fornire i dati
in tempo reale, in modo da poter intervenire prontamente sull’impianto di depurazione. Già nel 2001 la Tecnova HT ha messo in commercio un sistema di analisi automatico multiparametrico, denominato Hydronova 2010, che effettua il monitoraggio simultaneo e in continuo dei tensioattivi ionici (anionici e cationici) e di altri parametri, come ammoniaca, cloruri ecc. Questo sistema si avvale della tecnica di analisi colorimetrica, ingegnerizzata in campo con l’ausilio
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di un brevetto internazionale, che consente di ottenere la stessa affidabilità di un laboratorio di analisi tradizionale, unita alla possibilità di analizzare simultaneamente tre parametri diversi o tre punti di captazione diversi. L’applicabilità di questa apparecchiatura è stata recentemente estesa all’analisi dei tensioattivi non ionici, largamente utilizzati nei prodotti per l’igiene personale. Grazie ai feedback da installazioni in campo in diverse unità di trattamento fan-
ghi, è stato dimostrato che il sistema Hydronova 2010 ha la stessa sensibilità e affidabilità analitica del corrispondente metodo manuale. Il sistema Hydronova 2010 è costituito da una cella fotometrica, alimentata da un sistema idraulico, dotata di una sorgente monocromatica a LED come rivelatore fotometrico; essa effettua l’analisi dei tensioattivi mediante un sistema bifasico (acqua/cloroformio, acqua/diclorometano) in continuo, a intervalli di tempo programmati di 8 ore, che permette di eliminare tutte le interferenze di torbidità e di altre specie chimiche interferenti. Il sistema determina inoltre il COD (domanda chimica di ossigeno) mediante ossidazione chimica e successiva misura colorimetrica. La lettura integrata delle tre misure consente di ottimizzare la gestione dell’impianto di depurazione e impedisce lo scarico accidentale di acque inquinate. PRINCIPI DI MISURA
Per quanto riguarda i tensioattivi non ionici, essi vengono determinati dal sistema attraverso la misura fotometrica delle sostanze attive al TBPE-AS (sostanze attive al tetrabromo phenolftalein-etil-estere) eseguita sulla fase diclorometanica, alla lunghezza d’onda di 609 nm. Quanto invece ai tensioattivi anionici, determinati come sostanze attive al MB-AS (sostanze attive al blu di metilene), vengono rilevati fotometricamente, dopo estrazione in fase cloroformica, alla lunghezza d’onda di 650 nm. Nello stesso monitor fotometrico è stato inserito un terzo canale per la determinazione del COD, che rappresenta il dato di riferimento mi-
gliore per valutare il carico complessivo degli inquinanti organici provenienti dagli impianti di produzione dei tensioattivi. La misurazione viene effettuata in base all’intensità dello sviluppo della colorazione del cromo trivalente (verde), eseguita direttamente sulla fase acquosa a 639 nm, risultante dalla riduzione del cromo esavalente (giallo) per opera delle sostanze ossidabili contenute nel campione. Il sistema fornisce un riscontro immediato, che consente di condurre correttamente le diverse fasi di trattamento presenti nell’impianto di depurazione: grazie alla predisposizione di diversi punti di prelievo del campione lungo la filiera di trattamento, è possibile valutare l’efficacia della rimozione degli inquinanti in ciascuna sezione, individuando l’anello debole del processo di depurazione. Mentre le procedure di controllo tradizionali prevedono
complesse procedure di estrazione dei campioni e successive analisi in laboratorio, con tempi di risposta piuttosto lunghi, il processo analitico Hydronova consente di effettuare in un unico reattore tutte le fasi di analisi (campionamento, aggiunta di reagenti, estrazione della fase organica e lettura fotometrica) riducendo i tempi della risposta analitica a un massimo di 20-30 min. Quando l’unità di monitoraggio registra concentrazioni superiori ai valori di legge, i reflui vengono dirottati automaticamente in un deposito di stoccaggio provvisorio, per poi essere ricircolati in testa all’impianto di trattamento. I VANTAGGI DEL MONITORAGGIO IN CONTINUO
Il sistema Hydronova è stato sperimentato per tre anni presso l’im-
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pianto di depurazione di un’azienda produttrice di tensioattivi per l’igiene personale; in base ai dati ricavati dalla sperimentazione, sono state tratte le seguenti valutazioni: - la selezione dei materiali e della dotazione strumentale, frutto di tre anni di attività, assicura il funzionamento in continuo del sistema - il processo analitico può essere eseguito tramite la cinetica di reazione, che consente di stabilire il punto esatto della curva in cui effettuare la lettura analitica, in base alle caratteristiche del campione in esame, con tempi molto inferiori rispetto ai metodi tradizionali - la stabilità della taratura strumentale risulta verificata tramite QC (Quality Control) con cadenza strumentale, senza necessità di interventi intermedi - l’intervento umano è minimo, limitato all’integrazione dei reagenti (che viene effettuata una volta la mese) - è possibile visionare i dati sia sul posto che in rete. Come già detto, il sistema di monitoraggio consente inoltre di evitare scarichi accidentali non conformi e, se integrato nell’impianto di depurazione, rende possibile valutare il rendimento di rimozione di ciascuna sezione di trattamento, evidenziando eventuali malfunzionamenti. In base ai dati riscontrati, può quindi rappresentare un’ottima scelta per la corretta gestione dell’impianto, contenendo i costi derivanti dall’intervento del personale e automatizzando il ricircolo degli scarichi fuori norma.
I maceratori di solidi fibrosi Seepex
Tagliano e sminuzzano per evitare l’intasamento delle tubature o il danneggiamento delle pompe Mantenere elevati standard di affidabilità e durabilità delle macchine è l’esigenza primaria dei moderni impianti di trattamento acque reflue. Spesso, però, la qualità e la concentrazione dei fanghi cambiano repentinamente e questo fattore influisce su numerosi dispositivi, quali ad esempio le pompe di trasferimento. I maceratori Seepex tagliano e sminuzzano i materiali solidi e fibrosi contenuti nel prodotto al fine di consentirne la movimentazione senza intasare tubature o danneggiare pompe ed altri strumenti di lavoro; in questo modo si minimizzano i tempi di inattività, si migliorano gli standard di sicurezza e si riducono i costi di riparazione e di gestione, a fronte di una potenza richiesta esigua. Un
ulteriore vantaggio si evidenzia, infine, nel miglioramento dell’intero processo di disidratazione. Questi maceratori trovano impiego non solamente nel campo delle acque reflue civili e industriali, ma anche in una moltitudine di altri settori industriali, ad esempio la produzione di biogas. La sezione di taglio è realizzata in acciaio per utensili, indurito e resistente all’usura, con fori di diversa forma, dimensione e numero. Un coltello ruota su una piastra di taglio stazionaria e riduce le dimensioni dei solidi trattenuti nel prodotto mediante un processo di taglio. Come optional sono disponibili varie versioni della piastra di taglio per ottimizzare il processo di triturazione.
La dimensione, la forma e il numero di fori e fessure determina la dimensione della particella e la portata, da un minimo di 2 fino a un massimo di 150 mc/h. Sono disponibili 10 versioni standard, nonché altre versioni personalizzate: la serie “I” viene fornita per installazione in linea con allacciamento diretto a una pompa Seepex o di altra tipologia/fornitore, consentendo di alimentare il prodotto da tre diverse direzioni. La serie “U” prevede invece un separatore di sostanze solide pesanti e può essere utilizzata nelle applicazioni che trattano prodotti corrosivi o alimentari. La manutenzione è infine semplice grazie alla possibilità di sostituire con facilità l’intera cartuccia della testa di taglio.
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HI -TE CH
AMBIENTE
SPECIALE
USATO GARANTITO
SPECIALE USATO GARANTITO ADAMOLI Tante le offerte di Adamoli nel campo dell’usato: semirimorchi a piano mobile, semirimorchi ribaltabili posteriori e bilaterali, cassoni, ect, idonei alla gestione ed al trasporti dei rifiuti. Ne è un esempio il semirimorchio ADAMOLI S37PAL14 usato, anno d’immatricolazione 2005, furgone rinforzato interamente in lega di duralluminio, 3 assi singoli, 1° sollevatore e 3° autosterzante, piano mobile “Adamoli Italian Floor” a 12 doghe, azionamento a distanza con telecomando, semiermetico, porta posteriore a due
AIKO ITALIA battenti apribili a libro. La copertura superiore è formata da una parte di tetto fisso in alluminio (circa 9,50m) + due ante apribili manualmente da terra; il semirimorchio ha freni a disco e sospensioni pneumatiche, 6 pneumatici 385/65 R22,5; capacità 84 mc. Tutti gli usati Adamoli e di altre marche sono sottoposti dalla officina interna Adamoli a revisione totale del sistema piano mobile, vengono effettuati i collaudi generali funzionali dell’impiantistica di bordo, sistemati nella carrozzeria e, qualora lo necessitino, riverniciate le parti lavorate. L’azienda dà così la pronta consegna degli usati solo quando i veicoli sono in grado di operare ed in ottime condizioni d’uso.
www.adamoli.it
DEPURTECNO L’usato proposto da Depurtecno è rappresentato da un demineralizzatore da 5 mc/ora, completo di prefiltrazione, filtri a sabbia duplex e doppia pompa di alimentazione con inverter. A corredo, serbatoi in vetroresina per acido cloridrico e soda caustica. Visibile presso la sede aziendale, l’impianto è completo di manuali di istruzione, ha 3.000 ore di lavoro, è del 2011 ed è destinato alla produzione di acqua demineralizzata per caldaie a vapore. Funzionamento: l’acqua grezza entra nell’impianto grazie alle pompe a inverter, che regolano la portata in base alla pressione impostata sulla mandata, in questo modo l’impianto opera sempre alla stessa pressione d’esercizio. Il primo stadio di depurazione è costituito da una coppia di filtri a quarzite duplex. Ciascun filtro è riempito con tre strati filtranti a granulometria differenziata. Il sistema garantisce che uno dei due sia sempre disponibile per filtrare l’acqua in ingresso. Lo scambio tra il filtro in produzione e quello in attesa avviene al raggiungimento del valore di differen-
Mulino trituratore, mulino macinatore e pressa per imballo sono le tre proposte di Aiko Italia. Per quanto riguarda il trituratore, la proposta prevede un trituratore Caravaggi modello Triro 120 del 2012 in condizioni ottime e con velocità albero alimentazione 5/10 rpm, velocità albero macinazione 13/25, apertura di carico 1080x830 mm. Interessante anche la linea completa di triturazione, costituita da: granulatore CMG S100 con aspirazione e nastro, granulatore monolabero Rapid SH, deferizzatore, trituratore bialbero Satrind con nastro e compressore Atlas Copco GA11P. Il mulino macinatore, invece, è specifico per il trattamento delle plastiche provenienti dai cavi elettrici. Di ottime condizioni, la macchina, del 2007 e con capacità di 900/1100 kg, è completa di: nastro dosatore con tramoggia, turbo modello 625/2, Roby 71/V Digit, trasportatore a molla TM80, trasportatore a vite TV150, impianto di trasporto da prevaglio a doppio big bag, impianto di trasporto da vaglio sopra 3 e 2 mm a doppio porta big bag, impianto di trasporto da vaglio sotto 3
mm e sopra 2 mm a doppio porta big bag, vaglio diametro 1500 tipo MR 60C 8-8-8/P/C con rete 3 e 2 mm, separatore tipo MR 60, impianto di aspirazione da ciclone di aspirazione separatore a doppio big bag, separatore, quadro elettrico per impianto polverizzatore turbo 625/2. Ottime condizioni anche per le due presse da imballo: marca Ompi del 2006, revisionata a nuovo, per balle da 70x90; marca Tullis, potenza HP 7,5, dimensioni balle da 70x100x150 (h).
www.aikoitalia.com
ELETTROMECCANICA MANFREDINI za di pressione tra ingresso ed uscita del filtro. L’acqua in uscita dal filtro a quarzite attraversa un filtro autopulente, un filtro finitore e uno sterilizzatore UV (per eliminare la carica batterica), poi entrare nel secondo stadio di depurazione, costituito da due colonne con resina a scambio ionico, la prima di tipo cationico, la seconda di tipo anionico. L’acqua in arrivo dallo sterilizzatore UV entra nella colonna cationica e successivamente in quella anionica. Il processo di demineralizzazione continua interrottamente fino ad esaurimento per potere scambiatore delle resine. Il degrado dell’efficienza di demineralizzazione viene costantemente misurato dallo strumento misuratore di conducibilità. Al raggiungimento della soglia di conducibilità impostata si arresta automaticamente la produzione e le colonne iniziano le sequenze di rigenerazione delle resine. Durante la sequenza di rigenerazione delle resine l’impianto è fermo e non produce acqua demineralizzata.
www.depurtecno.com
Diverse le proposte usate di Elettromeccanica Manfredini, a cominciare da un Mixer Flygt 4650 completo di cavo e perfettamente funzionante. Si tratta di un mixer sommerso in cui il motore sommergibile, le tenute, il mozzo e la parte idraulica sono combinati in modo da formare un’unità compatta in una costruzione modulare. Grazie al suo particolare design, consente un alto rendimento idraulico che si traduce in notevole risparmio di energia. Il motore, inoltre, è adatto per servizio gravoso e continuo, idoneo per impiego in liquidi fino a 90 °C, utilizzabile in ambienti dove venga richiesta la protezione antideflagrante e installabile anche a vasca piena. In ottimo stato e perfettamente funzionanti anche: un’elettropompa aeratrice ABS AFP completa di cavo; un gruppo elettrogeno 400 kW completo di motore Volvo TAD 1242GE 387 kW, alternatore Marelli MJB 315 MA4, serbatoio da 120 litri e quadro elettrico; cinque elettropompe sommergibili di varie potenze: 5,2 kW, 20 kW Poli 2 per acqua pulita, adatte per bonifiche,
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cantieri, laghi e dighe; sette elettropompe sommergibili di varie potenze: 3,1 kW, 13,5 kW Poli 4 per acqua sporca, adatte per fognature, depuratori e sottopassi stradali; un mixer 1,5 kW Poli 8 e uno 5 kW Poli 12, entrambi per vasche accumulo liquami. Tutto il materiale usato è ricondizionato e in pronta consegna.
www.emanfredini.it
SPECIALE USATO GARANTITO GERVASI ECOLOGICA
GORENT
I semirimorchi Gervasi Ecologica sono progettati e prodotti specificatamente per la raccolta e il trasporto di rottame e residuati riciclabili. Il patrimonio di esperienza costruito in oltre 40 anni di lavoro e i continui perfezionamenti apportati alla produzione rendono questi veicoli straordinariamente solidi e duraturi, nonostante vengano sottoposti a sforzi e sollecitazioni estremamente pesanti ed usuranti. Una testimonianza di qualità viene fornita anche dal mercato dell’usato, dove i semirimorchi Gervasi riescono a trovare ricollocazione anche dopo decenni di impiego. Un semirimorchio particolarmen-
Chi cerca un veicolo usato ma ugualmente affidabile e sicuro, troverà in Gorent la risposta alla proprie esigenze. L’azienda rinnova ogni anno la propria flotta destinata al noleggio: i veicoli di immatricolazione superiore ai tre anni vengono sostituiti con veicoli di nuova immatricolazione. I mezzi ritirati sono sottoposti a un rigido iter di controllo e manutenzione e inseriti nel circuito “Usato Certificato”. Ogni veicolo è accompagnato da un'apposita scheda completa di foto, accessori, dati tecnici e dati del mezzo. I veicoli usati della flotta Gorent dispongono di: Passaporto Tecnico (resoconto dei tagliandi effettuati, iter dei controlli necessari per la vendita, CD uso e manutenzione), Certificato Gorent Green (Certificato CE, perizia in originale, valorizzazione accessori per impatto ambientale, Certificato A0CO2), Servizio Post Vendita (Gorent mette a disposizione una rete di officine e gommisti su tutto il territorio nazionale con sconti esclusivi sugli interventi di manutenzione e sui ricambi). Nell'ottica di soddisfare ogni esigenza del cliente, Gorent
te presente sul mercato usato è il Canguro, lo storico modello Gervasi del quale si è celebrato nel 2017 il 35° anniversario. Un semirimorchio caratterizzato dallo speciale telaio a collo d’oca, allestito con cassa in acciaio speciale antiusura e gru caricatrice, che ancora oggi rappresenta un’icona per tutto il settore del trasporto di rottame ferroso e nonferroso. Ne è un esempio il modello Canguro S368 costruito nel 1998, con ribaltabile posteriore da 8,5 m. Il veicolo è in condizioni perfette grazie anche a revisione periodica regolare.
www.gervasiecologica.com
propone anche l'importante servizio di prenotazione dell’usato, ovvero l'opportunità di acquistare veicoli di fine flotta fissando la consegna per i mesi successivi. In questo modo il cliente può effettuare una programmazione sicura del parco mezzi scegliendo il veicolo con le caratteristiche preferite e assicurandosi una consegna nel periodo di maggiore necessità. Nell’ambito delle attuali occasioni dell'usato Gorent, ad esempio, l’Iveco ML80EL18P, un mini-compattatore posteriore da 7 mc, con motore da 1809 cv Euro5, immatricolato nel 2013 e con 18.000 km di percorrenza.. Questo veicolo è dotato di: supporto pala e scopa, monitor in cabina, secondo faro lavoro, barre paracicilisti, side marker, strisce retroriflettenti segn. Sagoma.
www.gorent.it
ITS – SHREDDING & GRINDING SOLUTIONS MION VENTOLTERMICA ITS offre ai propri clienti la possibilità di acquistare trituratori e mulini granulatori con la soluzione “Usato garantito” per trattare i propri materiali/scarti con investimenti contenuti e prezzi concorrenziali, avendo a disposizione macchinari perfettamente operativi e con ottime prestazioni. Prima di entrare a far parte del parco usato, ogni macchina viene ricondizionata in tutte le sue parti, ripristinando la piena efficienza ed efficacia. La parte meccanica viene controllata e, se necessario, revisionata; i materiali di consumo sono verificati ed eventualmente sostituiti con pezzi di ricambio di qualità. ITS propone come usato garantito
un laceratore idraulico bialbero e un trituratore bialbero. Il laceratore bialbero modello ITS 1700x1600 H-LT è in grado di frantumare la maggior parte dei rifiuti. L’azione di strappo lo rende particolarmente adatto ad essere utilizzato come aprisacco. Camera di macinazione 1700x1600 mm montato con n. 6+5 dischi porta inserti e n.4 inserti per disco, azionato da motore elettrico da 75 kW e completo di telaio, tramoggia, centralina idraulica e quadro elettrico con PLC Siemens. Il trituratore bialbero modello ITS 850x700E è a bassa velocità e alta coppia con una solida e robusta costruzione. Camera di macinazione 850x700 mm montato con lame da 20 mm a 4 becchi, azionato da motori elettrici da 2x11 kW ed è completo di telaio, tramoggia e quadro elettrico con PLC Siemens. Sono disponibili a richiesta altre tipologie di lame con uno o più becchi e con diversi spessori in funzione dell'applicazione.
www.itsgranulators.com
Mion Ventoltermica, che effettua anche il ritiro, oltre alla revisione e vendita di macchinari usati. Svariate le offerte da parte dell’azienda, a comunciare dal filtro fumi per caldaia a biomasse con portata d’aria da 37.000 Nmc/h e munito di dissipatore di calore. Costruito nel 2013, è stato in funzione per soli 8-10 mesi e ha dimensioni di 7,3x2,4x9(h) m circa. Interessante anche la batteria filtrante a scuotimento con portata d’aria di 7.000 mc/h, costituita da 42 maniche (diametro 225 mm, altezza 2.500 mm). Tale batteria ha una superficie filtrante di 75 mq, dimensioni di circa 2,4x1,8x3,1(h) m e l’anno di costruzione è il 2009. Due gli aspiratori a trasmissione che MVT propone, uno da 37 kW e l’altro da 55 kW, entrambi con portata d’aria di 30.000 mc/ora. Numerose, invece, le offerte di aspiratori diretti, che variano per anno di costruzione e potenza. Due esempi su tutti: aspiratore diretto tipo MPR 502 da 6,5 kW e anno di costruzione 2007; aspi-
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ratore diretto tipo TG 631/B da 15 kW e anno di costruzione 2004.
www.mvtplant.com
SPECIALE USATO GARANTITO NOVA PELLET Esperienza unita a costante ricerca consentono a Nova Pellet di mettere a disposizione una vasta offerta di sezionatrici usate delle più importanti marche: tutti gli impianti, revisionati e controllati direttamente da personale qualificato, consentono di disporre di garanzia specifica, nonchè di rispondere alle normative vigenti. In particolare dispone di una vasta gamma di sezionatrici angolari, sezionatrici monolama, sistemi di carico e scarico, troncatrici per barre sia presso il proprio magazzino, sia presso aziende partner, tutte disponibili per essere visionate. Un esempio su tutte il macinatore TR800LTA 22KW con corpo macchina in acciaio a forte spessore, saldato e con rigidità garantita da elementi tensionatori. Rotore in acciaio ad alta resistenza, con trazione a mezzo riduttore pendolare (con ingranaggi in bagno
OFFICINE MINELLI d’olio) collegato al motore elettrico con trasmissione puleggia/cinghie. La macchina è dotata di dispositivo anti-stress che ammortizza gli urti per salvaguardare il riduttore ed il rotore. Ha inoltre n.38 lame in acciaio speciale, da 30x30 mm, reversibili e facilmente sostituibili; supporto lame con speciali sedi del rotore; controlame in acciaio temprate e regolabili per una migliore precisione di taglio; potenza elettrica installata 22 kW; centralina oleodinamica per azionare il pressore idraulico che spinge orizzontalmente il materiale da trattare verso il rotore 0,55 kW. Ha inoltre: quadro elettrico completo di PLC e software dedicato al controllo dei parametri di funzionamento; componenti di alta qualità, di primarie marche e facilmente reperibili; blocco ed inversione automatica del rotore comandata dal PLC in caso di anomalie nei parametri di controllo; bocca di alimentazione 1000x800 mm; dimensioni di ingombro 1750X1370X1500(h) mm; produzione oraria di 350-800 kg
www.novapellet.it
OMER Per chi opera nell’ambito del riciclo, Omer propone svariate soluzioni per la triturazione dei rifiuti. Mulino Tria con lame sfalsate da 300 mm, griglia con fori da 8 mm, potenza 7,5 kW. Questa macchina è completa di soffiatore
Officine Minelli propone diversi mezzi usati di ottima qualità da impiegare nell’ambito del recupero e rivalorizzazione dei materiali (rottami ferrosi o metallici, carta, plastiche, rifiuti solidi urbani, materiale organico, fanghi, inerti). Tali mezzi, quindi, risulta di grande utilità per la raccolta e la movimentazione delle più disparate tipologie di rifiuti. Ne è un esempio, il caricatore oleodinamico CM330S, anno di produzione 2007. Dodato di motore Iveco 6 cilindri Common Rail, 175 kW, ha un impianto Load Sensing + Electronic Syncron Control. Inoltre, è munito di carro HD da 3,0 m, ha trazione integrale, gomme superelastiche nuove, lama anteriore e piedini posteriori. La cabina del veicolo è elevabile a pantografo (5 metri livello vista operatore) e ha il condizionatore. Ha inoltre braccio primario dritto e braccio secondario con prolunga. Lo sbraccio totale è di 10,60 m circa e il raggio d’azione è di 11,7 m. Un altro esempio di usato garantito Minelli è il caricatore oleodinamico CM206, anno di produzione
2003. Motore Iveco 6 cilindri turbo diesel, 96 kW, impianto LS, carro in sagoma 2,5 m, trazione posteriore, gomme superelastiche 10.00×20, lama anteriore e piedini posteriori. Cabina ad elevazione verticale (4,1 metri livello vista operatore), braccio primario arcuato e braccio secondario con prolunga, con sbraccio totale di 8,1 m circa e raggio d’azione di 9,1 m.
www.officineminelli.it
PENTACQUE e idonea alla macinazione di diversi tipi di materiali tra cui carta, plastica, ecc. Mulino a lame da 300 mm con rotore pesante, idoneo a triturare plastica, legno, ecc. Pressa Bollegraaf, con motore centralina da 7,5 kW, motore legatura da 0,75 kW e dimensione balle di 700x700 mm. Trituratore bialbero S.Andrea G20, con camera di taglio di 600x600 mm, tramoggia di 800x800 mm, potenza motore 15 kW, quadro elettrico nuovo con inversione di marcia in caso di sforzo. Questa macchina è adatta alla triturazione o riduzione volumetrica di molti tipi di materiali diversi, per cui è estremamente versatile. Trituratore idraulico bialbero, con potenza di 37 kW, camera di taglio di dimesnioni 1.000x900 mm, lame spesse 50 mm. Questa macchina è inoltre provvista di pompa revisionata a nuovo e con garanzia e di ingranaggi nuovi.
www.omergroup.com
Numerose le soluzioni nell’ambito dell’usato di cui dispone Pentacque, a cominciare da un evaporatore (da poco ritirato da ricondizionare) a pompa di calore, della portata di 11.000 l/giorno, con caldaia rivestita in armovin, serpentina di riscaldamento a immersione in lega (sanicro 28), campana di distillazione allungata per migliorare la qualità del distillato. Sempre nell’ambito degli evaporatori, l’azienda propone anche un evaporatore a pompa di calore da 350 l/giorno, praticamente come nuovo, realizzato in acciaio inox 316 su skid di recente costruzione. Interessante anche una pompa per fanghi ad alta pressione ellittica per portate costanti a membrana e due filtropresse ma completamente revisionate. Una ha chiusura automatica del pacco e misura delle 25 piastre in materiale plastico di 500x500 mm. L’altra ha 30 piastre di 600x600 mm, con tele di filtrazione nuove. Pentacque dispone anche di: un impianto di demineralizzazione a
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contro flusso ritirato dal cliente per inutilizzo e assolutamente come nuovo; un impianto chimicofisico continuo per il trattamento delle acque, completamente revisionato e verniciato; un ispessitore per fanghi in acciaio al carbonio riverniciato.
www.pentacquesrl.it
SPECIALE USATO GARANTITO SCANIA Scania elimina qualsiasi rischio associato all'acquisto di un veicolo usato, per cui chi sceglie Scania è perché è alla ricerca delle stesse caratteristiche di un veicolo nuovo: robustezza, durata, affidabilità e costi di esercizio ridotti. Per di più, se il veicolo usato è contrassegnato con Scania Approved vuol dire che è stato accuratamente verificato e valutato dai tecnici del gruppo. Inoltre, la garanzia associata al veicolo lo segue ovunque vada, poiché è affidabile quanto il veicolo stesso. E che dire dei servizi finanziari Scania, che offrono una gamma di pacchetti flessibili per assicurare costi prevedibili e una gestione
SDG DEPURAZIONE conveniente dei rischi nel corso dell'intero ciclo di vita dei veicoli. Il programma di riparazione e manutenzione offre un pacchetto di supporto completo, che assicura un'operatività massima e costi minimi. Un esempio il veicolo usato Scania Approved è il R 500 LA4x2MNA del 2008, con 830.480 km percorsi e motore DC16 500 CV Euro 5, dotato di cabina letto, aria condizionata, left hand drive, sospensioni paraboliche ant./pneumatiche post., volume serbatoio 600 litri, auxiliary heating, diff lock.
www.scania.com/it
TECNOFER Proporre nuovi business legandoli ai bisogni di salvaguardia dell’ambiente è da molti anni l’attività di Tecnofer., la cui produzione riguarda, infatti, impianti completamente automatici di riciclaggio plastiche ad elevato grado di contaminazione, che trasformate in granuli termoplastici sono idonee alla produzione di qualsiasi manufatto plastico. Ma oltre agli impianti nuovi, l’azienda propone anche diverse soluzioni usate a testimonianza che il vecchio, se ben manutenuto, può non diventare rifiuto ma essere riu-
L’usato di SDG Depurazione è rappresentato da un impianto di disidratazione fanghi con estrattore centrifugo Pieralisi. La centrifuga è del tipo Baby 1, revisionata e con garanzia, completa di quadro elettrico, pompa monovite per fango e pompa monovite per polielettrolita. Le principali caratteristiche tecniche sono: portata idraulica 2,5 mc/h, diametro del tamburo 232 mm e lunghezza del tamburo 563 mm, rapporto di snellezza 2,43 giri max tamburo 5200 rpm, forza centrifuga max 3500 xg, giri differenziali coclea 10/26 rpm, potenza motore principale 5,5 kW, potenza motore raschiafango 0,18 kW. La struttura è lunga 1,7 m, larga 0,785 m e alta 1,09 m, per un peso di 500 kg. Il cono della macchina è in acciaio inox 414; assi, coclea estrazione, tubazione d'alimentazione, anelli di sfioro, camera scarico liquidi e camera scarico solidi sono in acciaio inox 304; copertura esterna e struttura d'appoggio sono in acciaio al carbonio. L'estrattore centrifugo è equipaggiato con: testata di scarico liquido e solido intercambiabili; corpo ci-
lindrico di contenimento del tamburo in acciaio al carbonio, in lamiera composta, a struttura tubolare chiusa, con spessore non inferiore a 8 mm; raschiafango brevettato per lo scarico continuo del fango disidratato; protezione antiusura della coclea in carburo di tungsteno; dispositivo elettronico di sicurezza per la protezione dal sovraccarico; boccole di protezione dei fori di scarico del solido in metallo duro; cassetta attrezzi e materiale di primo consumo a corredo. Altra proposta nell’ambito dell’usato è il filtro pressa a piastre IFIND, completamente in acciaio inox 304, a distaffamento semiautomatico, completo di 100 piastre 800x800 mm, pompa di carico fanghi, nastro trasportatore dei fanghi disidratati e quadro elettrico.
www.sdgdepurazione.com
VERLICCHI tilizzato. Due esempi su tutti: il trituratore Tecnofer modello SH1800, un trituratore monoalbero corredato di spintore idraulico per la triturazione di film plastici e corpi soffiati, con lunghezza rotore di 1.680 mm, n.60 denti di taglio, 143 kW di potenza installata e anno di costruzione 2011; il filtro a maniche Borghi modello FTC12, un sistema di filtrazione aria con auto pulizia delle maniche, con 40 mc/h di capacità di filtrazione, 0,37 kW di potenza installata, anno di costruzione 2003.
www.tecnofer.biz
Nel magazzino di Verlicchi si trovano sempre interessanti proposte a un giusto prezzo, come: filtropresse, pistoni e pompe di alimentazione a membrana da 1 a 60 mc/ora, nastri trasportatori, piastre in polipropilene e alluminio, vasta gamma di ricambi per molti construttori di filtri presse, vasche in ferro e acciaio, ecc. Tutte le macchine vengono completamente smontate, sabbiate e riverniciate, tutti i componenti usurati vengono sostituiti, e rivendute in garanzia e a normativa CE. Ne è un esempio la filtropressa DM Automat 800x800 da 35 piastre e 35 tele, tutte in polipropilene con foro alto centrale e 4 scarichi collettori. Apertura e chiusura automatica, spostamento delle piastre automatico tramite distaffaggio con ganci. Volume di 390 litri e garanzia di 1 anno. La filtropressa Galigani 320x320, invece, con apertura, chiusura e spostamento delle piastre manuale, ha 40 piastre in plastica e 40 tele filtranti in polipropilene, entrambe con foro centrale e scarico collet-
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tore. Volume di filtrazione di 108 dmc e 1 anno di garanzia. Per quanto riguarda le pompe per fanghi, due possibili esempi sono: la pompa DMPM30 a doppia membrana, con portata di 30 mc/ora e dispositivo autoregolabile, installata su proprio basamento, 1 anno di garanzia, particolarmente indicata per il pompaggio di fanghi abrasivi o acidi; la pompa DM1D, con portata di 4 mc/ora, corpo pompante in acciai inox 316, potenza installata 3 kW, pressione di esercizio di 12 bar. Per entrambe queste due soluzioni il servizio di ricambistica è assicurato.
www.verlicchisrl.it
sicurezza Organismo pubblico di cooperazione intercomunale, Tours Métropole Val de Loire già disponeva di una vasta competenza in materia di reti fognarie, alla quale è andato ad aggiungersi, nel marzo 2017, il controllo della gestione delle acque, con la distribuzione delle stesse e il trattamento delle acque reflue. Affidata alla Direction de l'Assainissement (Direzione delle reti fognarie), questa missione consiste in particolare nella sorveglianza della manutenzione e nell'ampliamento della rete di raccolta delle acque reflue, come pure nella fornitura di un'acqua di qualità ai 22 comuni che compongono la Métropole. Spesso complessi e pericolosi, gli interventi sulle reti richiedono una vera e propria cultura della sicurezza da parte dei comuni, al fine di evitare ai propri operatori che si muovono in spazi confinati, qualsiasi incidente, talvolta fatale. Una consapevolezza dei rischi sotto tutti i punti di vista di cui ha pienamente coscienza il servizio HSE (igiene, sicurezza e ambiente), che ha scelto la tuta Tyvek 800 J di DuPont Protection Solutions per proteggere i suoi addetti alla manutenzione delle fognature durante le operazioni di pulizia.
La tuta Tyvek scende nelle fogne DuPont Protection Solutions
Ideale per garantire la sicurezza degli operatori impegnati nella manutenzione delle reti idriche e delle condotte fognarie LA SICUREZZA DELL'UOMO AL LAVORO
Gli operatori addetti alla rete fognaria hanno in carico la manutenzione, la sorveglianza, la cura e la pulizia della rete di evacuazione delle acque reflue e pluviali. Tali attività li espone a numerosi pericoli, indipendentemente dal tipo di rete, sia essa accessibile o parzialmente accessibile. <<Per questa ragione - spiega Franck Deruelle, responsabile della prevenzione HSE e formatore Catec (certificato di attitudine al lavoro in ambiente confinato) a Tours Métropole Val de Loire - il servizio HSE deve procedere a una valutazione precisa dei rischi, tenendo conto di tutte le caratteristiche delle reti, dei canali di scolo e delle stazioni di sollevamento>>. Tra i pericoli inerenti all'intervento nelle reti idriche e fognarie, le particolari condizioni di lavoro in spazio confinato giustificano l'attuazione di buone pratiche come quelle definite dalle raccomandazioni nazionali R 447 - R 472. Tours Métropole Val de Loire è inoltre un centro di formazione riconosciuto in materia di prevenzione dei rischi professionali e le sue squadre che lavorano negli ambienti a rischio eseguono cicli di formazione necessari relativi agli interventi in spazi confinati. In occasione di ogni intervento, gli operatori devono rispettare
L’IMPORTANZA DELLA RETE FOGNARIA
Le fognature hanno la funzione di raccogliere le acque reflue domestiche e le acque pluviali, per instradarle poi verso gli impianti di depurazione al fine di depurarle prima di riversarle nell'ambiente naturale. A Tours, la rete fognaria è costituita da 1.212 km di canali lungo i quali lo scorrimento viene effettuato per gravità al fine di: instradare le acque reflue verso le stazioni di sollevamento e i 16 impianti di depurazione del territorio, evacuare le acque pluviali raccolte attraverso i canali di scolo e le vasche tampone areate per scaricarle direttamente verso il fiume. Per limitare i fenomeni di ruscellamento e i rischi di inondazione, è essenziale sorvegliare, sottoporre a manutenzione e pulire le reti fognarie. È questo il compito dei 30 operatori della squadra delle reti fognarie di Tours Métropole Val de Loire.
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addetti si trovano quindi esposti ai rischi chimici. Nelle stazioni di sollevamento delle acque reflue, gli operatori sono evidentemente soggetti agli stessi rischi quando puliscono ad alta pressione i vagli, le pareti e i pavimenti con un prodotto battericida per staccare la paraffina ed evitare che la stazione si saturi. In queste condizioni estreme, nulla deve essere lasciato al caso. <<Pulire una rete fognaria è un compito gravoso - sottolinea Deruelle - dal punto di vista fisico e psicologico. Per la salute e la sicurezza degli operatori, è di fondamentale importanza fornire loro un sostegno professionale sia in termini di scelta ideonea dei dispositivi di protezione individuale sia attraverso la formazione>>.
La tuta Tyvek scende nelle fogne scrupolosamente una serie di tappe. Il rispetto di questa procedura, la cui supervisione è affidata a Franck Deruelle, è inteso a evitare qualsiasi tipo di incidente grave, tra cui l'annegamento, la caduta dall'alto, l'anossia, ecc. UN MESTIERE ESPOSTO A TANTI PERICOLI
Tra i diversi pericoli a cui sono esposti gli operatori addetti alle reti fognarie figurano la difficoltà dell'incarico, la possibile presenza di ratti, ragni, serpenti d'acqua e NAC (nuovi animali da compagnia) nelle reti, ma soprattutto i rischi batteriologici e chimici. Durante un intervento di pulizia di un canale di scolo pluviale, che consiste nella dissabbiatura della rete per mezzo di una idropulitrice ad aspirazione per evitare che si blocchi, gli addetti alla manutenzione delle fognature procedono in ginocchio o stesi all'interno di spazi nei quali l'atmosfera è particolarmente umida. Quando l'acqua passa per i canali di scolo, trascina con sé i rifiuti gettati per strada, terra, foglie e scarti incontrollati di prodotti pericolosi. Gli
LA TUTA DUPONT TYVEK 800 J
Specializzato nelle mansioni ad alto rischio, Franck Deruelle conosce perfettamente sia i DPI sia DuPont Protection Solutions. Per garantire agli operatori addetti alla rete fognaria di Tours Métropole Val de Loire la sicurezza sul lavoro in qualsiasi circostanza, si è affidato alla tuta Tyvek 800 J che viene utilizzata per le operazioni di pulizia nelle stazioni di depurazione, le reti, le stazioni di solle-
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vamento, determinati bacini di ritenzione e le torri piezometriche. Offrendo un'eccellente resistenza meccanica e un'efficace barriera contro i rischi chimici e biologici, questa tuta presenta tutti i criteri necessari per lavorare in assoluta sicurezza all'interno di spazi confinati e molto umidi. <<L'indumento protettivo deve essere resistente all'abrasione e alla lacerazione, come pure all'iperestensione – chiarisce Deruelle - perché gli addetti alle reti fognarie svolgono il proprio lavoro in posizioni estreme, ossia inginocchiati, accucciati o stesi. Nei primi minuti, la tuta viene messa a dura prova. Le cuciture devono avere una tenuta perfetta e a questo riguardo il modello 800 J è risultato assolutamente adeguato alla nostra attività grazie alle sue cuciture rinforzate e nastrate, rivelandosi veramente resistente>>. Un altro vantaggio di Tyvek 800 J è dato dalla traspirabilità e
dall’ermeticità perfette. <<Per i nostri operatori - sottolinea Deruelle - indossare un indumento protettivo impermeabile e traspirante al contempo è garanzia di ermeticità, pur muovendosi all'interno di una rete in cui vi è sempre un residuo d'acqua cha varia da 5 a oltre 10 cm>>. Più comodi con il loro nuovo indumento per la protezione, gli addetti alle reti fognarie hanno inoltre apprezzato la concezione della tuta che offre una grande libertà di movimento anche in spazi ridotti, il suo design che permette di indossarla con facilità come pure la chiusura a zip estremamente resistente, i polsini elasticizzati e le rifiniture del cappuccio. Assicurando inoltre una protezione contro le scariche elettrostatiche (in conformità alla norma EN 1149-5), la tuta Tyvek 800 J offre una risposta affidabile alle esigenze di protezione degli operatori delle reti fognarie, garan-
tendo anche qualità e comfort, di fondamentale importanza quando si tratta di attività lavorative complesse. Convinti dalla qualità degli indumenti di protezione realizzati da DuPont Protection Solutions, i servizi delle reti fognarie di Tours Métropole Val de Loire procederanno entro breve a dotare i loro Hi-Tech Ambiente
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operatori della tuta ad alta visibilità Tyvek 500 HV che è già stata messa alla prova in occasione di interventi viari per l'esecuzione di lavori sulla carreggiata. La protezione chimica che beneficia della classe di visibilità più alta (classe 3) sarà utilizzata dagli operatori responsabili dell'idropulitrice e di determinati lavori notturni.
reti idriche
Il Water Safety Plan Linee guida e applicazioni a livello regionale
Un sistema di valutazione e gestione del rischio di contaminazione dell’idrico, dalla captazione al punto di consegna A partire dal 2004, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha introdotto un nuovo approccio per garantire la sicurezza dei sistemi idrici e la protezione della salute umana: il Water Safety Plan (WSP, in italiano Piano di Sicurezza dell’Acqua-PSA). Analogamente a quanto già avvenuto in altri settori (industria farmaceutica e alimentare), l’evoluzione delle conoscenze in materia di analisi del rischio ha evidenziato la scarsa efficienza delle strategie classiche (basate sulla verifica di conformità del prodotto finito mediante monitoraggi a campione), spostando l’attenzione verso la realizzazione di un sistema globale di valutazione e gestione del rischio esteso all’intera filiera idrica dalla captazione al punto di utenza finale. In sostanza, il modello basato sul WSP è volto a ridurre la possibilità di contaminazione delle acque destinate al consumo umano, ad attenuare o rimuovere la presenza di eventuali elementi di pericolo chimico, microbiologico, fisico e radiologico, attraverso trattamenti delle acque adeguatamente progettati, eseguiti e controllati, in modo da prevenire eventuali contaminazioni in fase di stoccaggio e distribuzione dell’acqua fino al punto di consegna. Questo modello è stato ripreso a livello normativo da vari Paesi dell’aera UE, tra cui Irlanda, Portogallo, Germania e Regno Unito; in Italia, fin dal 2014 l’Istituto Superiore di Sanità ha pubblicato dettagliate Linee Guida relative all’applicazione del WSP (si veda il Rapporto ISTISAN 14/21). I principali obiettivi delle Linee Guida sono: raccomandare l’implementazione nei sistemi idropotabili italiani di un Piano di pre-
venzione e controllo igienico sanitario, basato su principi e procedure elaborate secondo i criteri di PSA; fornire alle autorità del SSN preposte a garantire l’idoneità al consumo delle acque gli strumenti metodologici per partecipare alla elaborazione dei PSA e valutarne l’adeguatezza, ai fini della garanzia di idoneità al consumo delle acque stesse. Le Linee Guida sono destinate soprattutto ai soggetti istituzionali preposti alla gestione e al controllo delle risorse idriche, nonché a ricercatori e studiosi che lavorano alla valorizzazione e tutela delle risorse idriche e all’approfondimento delle interrelazioni tra qualità delle acque e salute umana; risultano di interesse anche ai consumatori, ed a chiunque sia inHi-Tech Ambiente
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tenzionato ad approfondire gli aspetti della sicurezza delle acque destinate al consumo umano. COMPONENTI FONDAMENTALI DI UN WSP
Un WSP applicato a un sistema di gestione delle acque si compone di: analisi del sistema idrico, monitoraggio operativo, documentazione delle modalità di gestione L’analisi del sistema idrico è uno studio volto ad identificare i potenziali pericoli presenti in ogni segmento della filiera idrica (dalla captazione fino alla distribuzione alle singole utenze), e a definire il livello di rischio associabile a ciascun pericolo identificato, nonché a stabilire le misure di controllo; ciò al fine di assicurare la sicurezza della fornitura idrica, il rispetto degli standard e degli obiettivi di qualità e la protezione della salute umana. Il monitoraggio operativo è un monitoraggio sistematico, effettuato in ogni punto significativo del sistema idrico (identificato in base all’analisi precedente), diretto ad assicurare che ogni deviazione dagli standard qualitativi richiesti sia rapidamente rilevata e affrontata. Quanto alla fase di documentazione, essa comprende la documentazione dell’intero processo di valutazione, la validazione del monitoraggio operativo e del controllo del sistema, oltre alle azioni da intraprendere in condizioni di emergenza .
qualità delle acque; la seconda fase, relativa all’ottimizzazione del monitoraggio delle acque destinate al consumo umano, è stata affrontata in collaborazione tra le ASL, ARPA e ISS, e ha portato alla revisione dei criteri generali da seguire nell’ispezione degli impianti, nella definizione dei punti di campionamento lungo la rete di distribuzione, nella frequenza dei campionamenti e nella scelta dei parametri, in base alle conoscenza acquisite nel corso della prima fase, oltre alla creazione di una metodologia per il monitoraggio degli acquedotti secondo le indicazioni del modello WSP. In particolare, le Asl piemontesi hanno collaborato per migliorare l’aspetto della comunicazione ai cittadini, elaborando strumenti volti a promuovere l’uso corretto delle risorse idriche e diffondere via web le relative informazioni; in particolare, sul sito dell’Asl TO5 è stata creata una “Carta di identità dell’acqua”, contenente indicazioni essenziali sulla qualità dell’acqua distribuita nel comprensorio. In sostanza, il progetto ha portato per la prima volta in Italia alla creazione e validazione di una serie di protocolli diretti all’acquisizione della completa conoscenza della situazione idrica del territorio, al fine di acclarare lo stato di salute dei corpi idrici e valutare i
APPLICAZIONE DEL WSP NEL NORD ITALIA
Nel 2011 il Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ccm) ha finanziato il progetto “Sperimentazione del modello dei WSP per la valutazione e gestione del rischio nella filiera delle acque destinate al consumo umano”, coordinato da Arpa Piemonte. Il progetto ha coinvolto nella sperimentazione del modello dei WSP tre Regioni italiane: Piemonte (Asl di Torino e Asti e l’Ente gestore Smat), Veneto (Aulss 6 Vicenza) e EmiliaRomagna (Asl Modena), sotto la supervisione dell’ISS. La prima fase del progetto, svolta presso le Asl partecipanti, ha previsto l’aggiornamento della rete degli acquedotti e lo studio della
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Il Water Safety Plan rischi per la popolazione. L’INIZIATIVA DEL GRUPPO CAP
Il gruppo CAP, è stato il primo in Italia a adottare il Water Safety Plan e ha recentemente concluso la fase pilota ottenendo il via libera dell’Iss. L’adozione del WSP rientra nelle azioni previste dal programma CAP 21, che ha lo scopo di migliorare la qualità dell’acqua destinata al consumo umano, e che è stato condotto in tre Comuni dell’hinterland milanese (Legnano, Cerro Maggiore, S. Giorgio su Legnano). In ciascuno di questi Comuni sono installate sonde parametriche e analizzatori in continuo, ottenendo un monitoraggio costante dei dati e superando così il tradizionale approccio basato su prelievi e analisi. Inoltre, per la prima volta è stato attivato un sistema di analisi dell’acqua ai punti di prelievo degli edifici scolastici, che servono l’acqua di rete nelle proprie mense. EMILIA ROMAGNA E TOSCANA
In Emilia Romagna le fonti idriche sono generalmente in buono stato; fanno eccezione alcune falde sotterranee, contaminate da composti organo-alogenati (peraltro facilmente eliminabile con la semplice filtrazione a carboni attivi). In collaborazione tra Regione, Ausl, Arpae e gestori sono state emanate alcune circolari regionali, che individuano i proto-
colli analitici specifici per ogni tipologia di campionamento e i criteri per la messa a punto dei Piani annuali di controllo delle Ausl e dei gestori. Dal 2009 è inoltre iniziata una collaborazione tra i laboratori di Arpae e quelli dei gestori (che coinvolge anche alcuni gestori della Regione Marche), diretta a supportare un progetto volto a individuare nuove modalità di controllo dell’acqua distribuita, attraverso un’analisi del rischio specifica per ciascun punto della rete di controllo. Tutto ciò con l’obiettivo, in linea con il modello WSP elaborato dall’OMS, di individuare un siste-
ma “oggettivo” costruito su tutte le informazioni disponibili attinte dal gestore, che conosce bene la rete ed i sistemi di potabilizzazione da lui stesso adottati, dalla Ausl che conosce capillarmente il territorio ed il grado di antropizzazione, e dalla storicità dei dati dei vari campionamento effettuati negli anni. In Toscana, il Programma regionale Ambiente e Salute ha realizzato, secondo le Linee Guida ISS, un coordinamento permanente tra le direzioni regionali che si occupano di sanità e ambiente, sperimentando una modalità di lavoro produttiva e innovativa che potrà
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diventare un modello per i futuri interventi in materia di ambiente e salute. In particolare, il Piano Regionale per la Prevenzione 2014-2018 prevede: - la realizzazione della valutazione e gestione del rischio nella filiera delle acque destinate al consumo umano secondo il modello del WSP nell’Area Vasta Centro (Firenze-Prato-Pistoia) - la realizzazione di piani regionali integrati di controllo Asl/Arpat in materia di fitosanitari, anche per la prevenzione e verifica della contaminazione delle risorse idriche.
tecnologie
Le nuove biotecnologie Da biomasse non alimentari
Sviluppati otto diversi processi per produrre intermedi chimici da sostanze lignocellulosiche, oli e grassi In Europa la produzione di biocarburanti e prodotti chimici da biomasse rinnovabili è vista come un’ottima opportunità per raggiungere una posizione di leadership a livello globale nel settore delle biotecnologie industriali. In questa ottica, il progetto BIOCONSEPT (“Integration of BIO-CONversion and SEParation Technology for the production and application of platform chemicals from 2nd generation biomass”), intende dimostrare la fattibilità di un approccio integrato come base per lo sviluppo di nuove biotecnologie basate sull’impiego di biomasse di seconda generazione (residui legnosi e agro-forestali, oli e grassi non edibili) che non entrano in competizione con le colture alimentari. Il progetto intende quindi dimostrare la fattibilità della conversione di queste biomasse in intermedi chimici (come acidi dicarbossilici, ammine, ammidi e epossidi), che possono essere a loro volta impiegati per la produzione di polimeri, resine, additivi, solventi e surfattanti, in modo più economico e sostenibile rispetto ai processi chimici convenzionali. In maggior dettaglio, la ricerca si è focalizzata sullo sviluppo dei seguenti intermedi chimici: acido furan-di-carbossilico (FDCA), acido itaconico (IA) e acido succinico (SA), tutti derivati da biomasse lignocellulosiche; e acidi dicarbossilici a catena lunga (LC-DCA), ammine ed epossidi basati su oli e grassi non commestibili. Le tipologie di prodotti finiti derivabili da queste sostanze sono essenzialmente glicerol-carbonato e biosurfattanti. I RISULTATI DEL PROGETTO
Nell’ambito del progetto sono stati
riuso integrato di enzimi. Gli epossidi ottenuti possono essere usati per la produzione di prodotti plastici, ad esempio per applicazioni nel PVC. Gli acidi dicarbossilici a catena lunga sono stati prodotti per fermentazione microbica impiegando diversi ceppi di lieviti, e utilizzando come substrato alcani e alcheni a catena lunga, acidi grassi e derivati. Sono state condotte diverse modificazioni dei ceppi ed è stata esaminata e ottimizzata la fermentazione con diverse materie prime. Questi acidi dicarbossilici sono stati testati per la produzione di polimeri; inoltre, è stata sperimentata la loro conversione chimica in diammine. Sono stati prodotti biosurfattanti da zuccheri di seconda generazione e substrati oleosi, e testati in formulazioni e applicazioni nel settore cosmetico. Inoltre, è stata studiata la conversione del glicerolo (sottoprodotto della produzione di acidi grassi) in glicerolcarbonato mediante un processo di carbonatazione. Per la conversione di materiali lignocellulosici e oli non commestibili sono state valutate diverse tecnologie, in particolare per quanto riguarda l’integrazione dei processi di conversione e separazione mediante reattori di nuova concezione. I DIVERSI PRODOTTI L’impianto pilota dell’Istituto Fraunhofer CBP a Leuna, Germania
sviluppati 8 diversi processi per produrre intermedi chimici da biomasse lignocellulosiche, oli e grassi. Tutti questi processi sono stati portati alla fase di laboratorio, e l’attività di ricerca e sviluppo si è concentrata sulla progetta-
zione e ottimizzazione dei diversi processi di fermentazione studiati. Il processo di epossidazione enzimatica a partire da oli e grassi non commestibili è stato ottimizzato impiegando una lipasi immobilizzata come biocatalizzatore, con il
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L’acido furan-dicarbossilico (FDCA) è una possibile alternativa “verde” all’acido tereftalico, con un potenziale di mercato stimato in 4-12 miliardi di dollari. Sono stati sviluppati diversi approcci per l’ossidazione chemio-catalitica di 5-idrossimetilfurfurale (HMF) o
2,5 diformilfurano (DFF) in FDCA, così come la conversione di zuccheri in HMF. Al momento è stata sviluppata una cella biocatalitica per la produzione di FDCA, che impiega il batterio Pseudomonas putida S12, il quale dà luogo all’ossidazione da HMF a FDCA, con una resa di conversione su scala di laboratorio del 90%. Tra le opzioni valutate per il recupero dell’FDCA da fermentazione, la precipitazione con acido solforico si è dimostrata la scelta più adatta per massimizzare il recupero. Per purificare l’FDCA, è stata impiegata una tecnologia di re-cristallizzazione da solventi, come DMSO, DMP e metanolo. È stata inoltre sperimentata la ri-cristallizzazione da acqua supercritica, che si è dimostrata la migliore alternativa per purificare l’FDCA, con un grado di purezza del 99,9%. L’acido itaconico (o acido metilen-succinico) è un acido insaturo contenente doppi legami e due gruppi carbossilici. A causa della sua particolare struttura e caratteristiche, l’acido itaconico e i suoi esteri sono impiegati in particolare per la sintesi di fibre, resine, plastiche, lattici, vernici, surfattanti, resine a scambio ionico e lubrificanti. Nell’ambito del progetto BioConSept il gruppo olandese TNO ha ottenuto buone rese di produzione dalla fermentazione di biomasse lignocellulosiche con Aspergillus terreus e Aspergillus niger. Per il recupero dell’acido itaconico dal brodo di fermentazione sono state valutate diverse tecniche, come l’adsorbimento, l’estrazione mediante solventi, lo scambio ionico, l’elettrodialisi e la cristallizzazione. Per quanto riguarda gli oli e grassi non commestibili, essi sono una seconda risorsa rinnovabile per la produzione di molecole multifunzionali. All’interno del progetto BioConSept, questi materiali sono stati idrolizzati e trasformati in glicerolo e acidi grassi; quest’ultimi sono stati poi trasformati mediante fermentazione in acidi dicarbossilici o epossidi, dai quali si possono ottenere prodotti finali quali ammine, poliammidi, poliestere, poliuretani, rivestimenti e resine. La CO2 recuperata dalla fermentazione è stata impiegata in un innovativo processo di carbonatazione del glicerolo. Dopo la selezione delle biomasse più idonee, sono
zione di mannosil-eritritol lipidi (MEL) e cellobiosi lipidi (CL) da zuccheri e substrati oleici di seconda generazione. Diversi campioni di questi biosurfattanti e vari derivati sono stati consegnati a Rhodia-Solvay per sperimentazioni sul campo nel settore cosmetico e dei prodotti per la casa. IMPATTO SOCIO-ECONOMICO
In alto: la cancelliera Merkel in visita presso l’impianto pilota dell’Istituto Fraunhofer CBP a Leuna. In basso: campioni FDCA ottenuti dopo purificazione ricristallizzazione da acqua supercritica in scala di laboratorio
stati sperimentati diversi enzimi eterologhi per la produzione di epossidi da queste materie prime e acqua ossigenata, impiegando condizioni più blende rispetto all’epossidazione chimica; infine, è iniziata la sperimentazione su scala pilota. Gli acidi dicarbossilici a catena lunga (LC-DCA) possono essere usati come monomeri per la sintesi di polimeri di interesse industriale, come poliesteri e poliammidi. Attualmente vengono prodotti chimicamente da acidi grassi insaturi; ma ciò produce sottoprodotti, e quindi richiede trattamenti di purificazione del prodotto finale. Nel corso del progetto BioConSept è stata studiata la conversione di acidi grassi insaturi in LC-DCA mediante fermentazione con lieviti del ceppo Candida tropicalis. Veniamo ora ai biosurfattanti. La
loro produzione, mediante fermentazione condotta con speciali microorganismi e energie rinnovabili, è attualmente confinata ad applicazioni di nicchia, a causa degli elevati costi di produzione e delle caratteristiche dei prodotti, che li rendono adatti solo per impieghi specifici (per la maggior parte i surfattanti sono sintetizzati chimicamente a partire dagli idrocarburi). Il progetto BioConSept ha testato diversi biosurfattanti in vari campi di applicazione, allo scopo di identificare i biosurfattanti più adatti e i microorganismi più adatti per una produzione efficiente, così come l’ottimizzazione della fermentazione per ottenere rese elevate da materie prime di seconda generazione. La fermentazione microbica è stata ottimizzata dal Fraunhofer Institute, focalizzandosi sulla produ-
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Si ritiene che il settore bioindustriale crescerà fortemente a livello globale in seguito alla commercializzazione di nuovi prodotti e allo sviluppo di nuovi processi industriali. In base alle valutazioni di mercato condotte nell’ambito del progetto BioConSept, si stima che la produzione di IA, SA e FDCA arriverà a 1,3 milioni di tonnellate entro il 2020, con un valore di mercato di 1 miliardo di euro. Il lavoro svolto nell’ambito del progetto intende contribuire alla realizzazione di questo potenziale commerciale, oltre a gettare il seme per nuove applicazioni dei suddetti prodotti. In particolare, in base alle sperimentazioni pilota, la produzione di oli epossidici mostra buone opportunità di profitto: un impianto da 20.000 ton/anno di epossidi porterebbe un tasso interno di rendimento del 12% a un prezzo di vendita di 1.400 euro/ton, con un tempo di ritorno sull’investimento stimato in 8 anni. Se tutti i nuovi impianti necessari per far fronte alla domanda stimata per il 2020 di epossidi derivanti da olio di soia fossero situati in Europa, con le tecnologie studiate nel progetto, si creerebbero 330 nuove figure professionali e 70 milioni di euro/anno di valore aggiunto. IMPATTO AMBIENTALE
L’analisi LCA si è focalizzata sul potenziale riscaldamento globale, acidificazione, eutrofizzazione, produzione di ozono fotochimico e consumo di energia primaria non rinnovabili. Dal confronto sono emersi significativi benefici relativamente ai consumi energetici e alla produzione di inquinanti fotochimici; i risultati relativi ad acidificazione ed eutrofizzazione delle acque sono meno positivi, ma vi sono buone prospettive di miglioramento una volta che i processi saranno trasferiti su scala industriale.
La combustione ciclica con recupero di CO2 Progetto SUCCESS
Un sistema senza fiamma, in cui il 100% dell’anidride carbonica viene catturata in forma concentrata Il problema principale delle tecnologie di cattura della CO2 attualmente impiegate è che esse richiedono necessariamente una fase di separazione dell’anidride carbonica dai gas esausti o dai gas di sintesi. L’energia richiesta per la separazione della CO2 rappresenta il maggior componente di dispendio energetico di questi processi: si stima che con le attuali tecnologie, la cattura e la compressione del 90% della CO2 causa una perdita dell’efficienza della produzione di energia elettrica dell’8-14%. Ciò significa, a parità di carburante impiegato, una riduzione di circa il 25% della produzione elettrica; quindi, volendo mantenere il livello di produzione di energia, occorre aumentare del 33% il consumo di carburante e la produzione di CO2, ottenendo un risultato controproducente dal punto di vista ambientale.
Impianto pilota da 150 kW
mo progetto hanno dimostrato che la tecnologia è matura per applicazioni industriali. OBIETTIVI DEL PROGETTO SUCCESS
Una soluzione a questo problema consiste nella combustione a ciclo chimico (CLC): si tratta di un sistema di combustione senza fiamma, in cui aria e carburante non si mescolano mai. Conseguentemente la CO2 non viene diluita nè con l’azoto né con l’ossigeno in eccesso che è necessario fornire nelle combustioni normali; la fase di separazione è interamente evitata. Il sistema impiega ossidi metallici, che vengono utilizzati per il trasporto selettivo dell’ossigeno dal reattore ad aria (AR) al reattore a combustibile (FR). Il flusso in uscita da FR contiene solo CO2 e acqua, mentre dal reattore AR escono ossigeno e aria esausta: quindi il 100% della CO2 viene catturata in forma concentrata, dopo una semplice condensazione del vapore dal flusso in uscita dal reattore FR. Il calore totale rilasciato da un impianto CLC è uguale a quello della combustione diretta e quindi,
rispetto ai sistemi convenzionali, il dispendio energetico del processo di cattura è limitato alla fase di compressione e purificazione della CO2 (comune a tutti i processi di separazione della CO2). SITUAZIONE ATTUALE DELLA TECNOLOGIA
Ad oggi la tecnologia CLC per carburanti gassosi a pressione atmosferica è stata sperimentata con successo in un piccolo impianto pilota da 150 kW, impiegando per il trasporto dell’ossigeno materiali a base di ossido di nichel. Tuttavia, i problemi di tossicità e impatto ambientale associati all’uso di ossido di nichel hanno successivamente portato allo sviluppo di vettori di ossigeno privi di nichel, nel corso del progetto Innocuous. Il progetto successivo (Success) costituisce il proseguimento di Innocuous, e le attività compiute nell’ambito di quest’ulti-
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Lo scopo primario del progetto è sviluppare la produzione di vettori di ossigeno con prestazioni elevate e bassa tossicità, adatti all’impiego in impianti dimostrativi. Successivamente, questi materiali verranno impiegati in impianti pilota da 10 kW o superiori, al fine di paragonare le prestazioni dei diversi materiali impiegati e scegliere il più idoneo. Il secondo punto del progetto è lo sviluppo di un impianto CLC di taglia superiore, alimentato con 1 MW di carburante. Ciò prevede le seguenti fasi: test comparativi di quattro diverse unità con design diversi; ottimizzazione del sistema CLC sulla base di una approfondita conoscenza dei meccanismi di reazione e delle dinamiche dei fluidi; valutazione sperimentale della resa di combustione, con l’immissione di 1 MW di combustibile impiegando un sistema di tipo industriale di letti a fluido circolante accoppiati; infine, il potenziale complessivo della tecnologia CLC viene valutato e paragonato rispetto alle altre tecnologie alternative, in termini di salute, sicurezza e impatto ambientale, e sotto l’aspetto del potenziale tecnico-economico per un numero di possibili applicazioni nel settore industriale ed energetico. In prospettiva, il progetto Success fornisce attività di ricerca e svilup-
po per l’implementazione di sistemi CLC per carburanti gassosi della capacità di 10 MW di combustibile. LE TAPPE DEL PROGETTO
Sulla base degli obiettivi sopra delineati, sono state stabilite alcune tappe del processo, prima tra tutte la produzione di due lotti, pari o superiori a 500 kg, di materiali adatti al trasporto di ossigeno, pronti all’uso e composti da materiali grezzi disponibili in commercio. Ad oggi è stata realizzata una prima produzione di 3,5 ton di questi materiali, che verranno confrontati con altri vettori di ossigeno precedentemente sperimentati su scala di laboratorio. Lo step ancora successivo sarà provare il funzionamento dei materiali in un impianto di laboratorio della capacità di 150 kW di combustibile e dopo in impianti pilota di capacità crescente. Essenziale sarà poi dimostrare il funzionamento del ciclo chimico della combustione in un impianto da 1 MW e quindi presen-
tare un impianto ottimizzato su scala superiore (circa 10 MW di carburante) sulla base delle reazioni dettagliate e dei modelli dinamici dei fluidi. PROBLEMI APERTI
Il progetto dovrà comunque risolvere alcuni problemi, a cominciare dalla scelta del trasportatore di ossigeno. Occorrerà infatti valutare ac-
curatamente le prestazioni dei vettori privi di nichel e scegliere i materiali grezzi più adatti alla loro realizzazione. Inoltre, occorre individuare le caratteristiche necessarie per garantire rese elevate in condizioni operative continue a lungo termine e risolvere la questione del riuso/riciclo/smaltimento dei vettori esausti. Altrettanto essenziale è la scelta della tecnologia: occorre verificare
se l’attuale design dei letti fluidizzati, concepito per l’impiego di materiali a base di nichel, sia o meno adatto ai nuovi sviluppi della tecnologia CLC, che impiega materiali privi di nichel. In caso contrario, occorrerà stabilire quali cambiamenti saranno necessari per adattare gli impianti esistenti ai nuovi materiali e valutare la reale prestazione dei vettori di ossigeno in un impianto da 1 MW, in termini di conversione del carburante e stabilità meccanica. Non meno importante sarà fare opportune valutazioni in merito alla combustione di biomasse, con l’obiettivo di realizzare impianti a “emissioni negative”. Infine, ma non ultimo, fare valutazioni economiche, che riguardano sia i costi connessi alle misure di protezione della salute umana, sicurezza e tutela dell’ambiente, sia i costi operativi dei processi di cattura della CO2 per applicazioni come produzione industriale di vapore, produzione di energia dai carburanti solidi o gassosi e generazione combinata di energia e idrogeno.
PER PANNELLI FOTOVOLTAICI
La nanotecnologia si attiva col sole Pannel Plus nasce dalla ricerca di Bio Eco Active nell’ambito dei materiali biogenici e biomateriali, completamente bio ed eco-compatibili, attraverso principi della Green Chemistry. Lo studio di questi nuovi materiali “intelligenti” segue processi di sintesi che mimano in modo similare i processi biologici naturali biomimetici. L’obiettivo è aver dato vita ad una ricerca nanotecnologica e tecnologicamente avanzata per aiutare il miglioramento della resa energetica di pannelli fotovoltaici, compromessa sempre dalla complessità nel rimuovere lo sporco da polvere, guano degli uccelli, particolato carbonioso,
fuliggine nera e molto altro ancora, diminuendone la manutenzione. La tecnologia che entra in gioco in Pannel Plus svolge un’attività altamente fotocatalitica combinata dall’unione del biossido di titanio con le radiazioni UV. L’unicità di questo prodotto nasce nell’aver dato luce ad una soluzione idroalcolica di nano cristalli di ossidi metallici, tra cui il biossido di titanio, altamente fotocatalitici in grado di aumentare l’efficienza dei pannelli fotovoltaici per anni senza alcun ulteriore intervento, completamente eco-friendly e priva di sostanze tossiche. L’attivazione è data da
uno specifico contributo energetico fornito dalle radiazioni luminose aventi lunghezza d’onda compresa in un determinato intervallo dello spettro solare. Il biossido di titanio, sintetizzato presso i laboratori di Bio Eco Active, è in grado di attivarsi sia al buio che alla luce, a qualsiasi condizione metereologica; possiede un’area superficiale di oltre 200 mq/g, con particelle nanometriche di dimensioni comprese tre 20-30 nm avente una morfologia lamellare altamente fotocatalitiche. La superficie trattata con Pannel Plus diventa anche fortemente antibatterica per effetto delle for-
I cristalli di biossido di titanio sintetizzati da Bio Eco Active
me radicaliche che rompono la membrana cellulare, non facendo così proliferare i batteri, le alghe o le muffe. La forza e l’innovazione di questo prodotto sono la combinazione vincente di tutti questi effetti. Si creano condizioni affiché il pannello sia meno caldo e più pulito, rispetto ad un pannello non trattato, permettendo di mantenere costante la resa energetica (V.Tessore - N.Roveri)
Meccanismo del biossido di titanio in relazione all’alternanza delle condizioni di luce e buio Hi-Tech Ambiente
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I biopolimeri dal syngas Tecnologia promettente
Trasformazione di rifiuti organici in bioplastiche e intermedi chimici mediante processi di pirolizzazione e fermentazione È ormai noto che il conferimento in discarica dei rifiuti non è un’opzione ulteriormente praticabile; di conseguenza, lo sviluppo di nuove soluzioni per la conversione dei rifiuti in energia è ormai diventato una vera e propria filiera produttiva a livello mondiale. Inoltre, le fonti fossili non sono illimitate (e sono dannose per l’ambiente) e quindi è generalmente accettata la necessità di ricorrere a materiali alternativi (come le bioplastiche), che possono essere prodotte a partire da risorse rinnovabili di origine naturale. Tra le bioplastiche è ritenuto di particolare interesse il PHA (poli-idrossi-alcanoato), il cui prezzo non è però attualmente competitivo con quello delle plastiche derivate dal petrolio; ma esistono flussi di rifiuti che sono problematici da smaltire, non interferiscono con la produzione alimentare (ad esempio i rifiuti di origine domestica che finiscono in discarica e i fanghi derivanti dagli impianti di trattamento), e che potrebbero essere la soluzione per produrre PHA economicamente competitivo. Una tecnologia particolarmente promettente arriva dal progetto Synpol, che trasforma rifiuti organici (di origine municipale o agricola) in bioplastiche biodegradabili al 100% e intermedi chimici ad elevato valore aggiunto (butanediolo, acido succinico, acido idrossibutirico e acido crotonico) mediante processi di pirolizzazione e fermentazione. In maggior dettaglio, il processo Synpol si articola in tre fasi principali: - pirolisi di diversi flussi di rifiuti organici per produrre gas di sintesi (syngas, composto da CO, H2 e CO2), utilizzando tecnologie in-
croonde (MIP) con bioreattori di fermentazione per il syngas. Il progetto Synpol è il risultato della collaborazione tra centri di ricerca e imprese specializzate nel trattamento dei rifiuti, oltre a industrie specializzate nella gassificazione e nella fermentazione, ed a società produttrici di biopolimeri. PRODUZIONE DI SYNGAS DA RIFIUTI ORGANICI
Il processo Synpol - Biopolimeri a partire da materie prime di rifiuti
novative di pirolisi a microonde - fermentazione del syngas impiegando batteri di specie diverse, ottimizzati mediante tecniche di ingegneria genetica e metabolica, per produrre intermedi chimici e poliidrossialcanoati (PHA) - sintesi di prototipi di bioplastiche con una struttura ben definita
e proprietà migliorate, mediante catalizzatori chimici ed enzimatici, e impiegando monomeri e polimeri prodotti durante la fermentazione del syngas. Un altro importante risultato del progetto è lo sviluppo di nuove tecnologie, come la combinazione della pirolisi indotta a mi-
Potenziali esiti commerciali Hi-Tech Ambiente
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La fase di sperimentazione ha mostrato che i migliori risultati nella pirolisi (maggiore produzione di syngas con un elevato contenuto di CO e H2) sono stati ottenuti con residui agricoli (paglia) e con la frazione organica dei rsu come materia prima. Quanto alla produzione e composizione del syngas, i risultati ottenuti con la pirolisi indotta a microonde sono chiaramente superiori a quelli ottenuti con la pirolisi convenzionale. In particolare, è stato messo a punto un nuovo concetto di pirolisi che non produce oli, sperimentandolo su scala di laboratorio e depositando il relativo brevetto. Dato che la frazione solida (ceneri) che risulta dalla MIP è di qualità troppo bassa per essere usata come combustibile (materia inorganica contenente metalli pesanti) è stata studiata la possibilità di usare la frazione come ammendante per il terreno, con limiti stabiliti mediante test di ecotossicità. Inoltre, il carbone prodotto dalla MIP deve essere depurato (da umidità, metalli pesanti e altri composti indesiderati), e deve essere ridotto il suo contenuto di ossigeno prima di poterlo usare come carburante.
FERMENTAZIONE DI SYNGAS CON MICROORGANISMI
Il miglioramento dei microorganismi per la fermentazione del syngas è diretto a: - analizzare la capacità dei vari ceppi batterici di fermentare il gas di sintesi, ottenendo due tipi di prodotti, ossia intermedi di base come succinato, butandiolo e idrossibutirrato, e bipolimeri come PHA. In particolare, è stata ottenuta (e brevettata) la produzione su scala industriale di 2,3 butandiolo - creare specie batteriche geneticamente modificate per migliorare la fermentazione, partendo da due differenti tipi di microorganismi quali Clostridium e Rhodospirillum - trasferire ai batteri aerobici la capacità di usare la CO 2 come fonte di carbonio. I risultati sono stati lo sviluppo di un modello metabolico Rhodospirillum, applicando una mappa metabolica esistente per tre specie batteriche Rhodospirillum rubrum, Rhodobacter sphaeroides e Rhodopseudomonas palustris, e adattandolo al caso particolare del R. rubrum impiegando syngas come fonte di energia e carbonio. Le celle a combustibile a ossidi solidi (SOFC) producono elettricità ossidando combustibili idrocarburici come per esempio gas naturale o biocarburante. Composte da un anodo e un catodo in ossido solido oppure da elettroliti ceramici, le SOFC funzionano a temperature estremamente elevate. Durante il loro sviluppo, gli scienziati hanno incontrato molte sfide e problemi di progettazione, come per esempio la deposizione di carbonio e l’avvelenamento da zolfo dell’anodo. Nonostante un’intensa attività di ricerca, non sono state raggiunte grandi innovazioni tecnologiche per quanto riguarda il funzionamento affidabile delle SOFC. Per affrontare questi problemi, gli scienziati del progetto europeo T-Cell (Innovative SOFC architecture based on triode operation) hanno proposto un design SOFC innovativo che si basa su una nuova architettura a triodo. L’idea era quella di combinare dei materiali tolleranti a un design della cella in grado di consen-
Granuli di PHA
Ciò consentirà nel prossimo futuro di aggiustare i processi di fermentazione nel bioreattore. MIGLIORARE LE PRESTAZIONI DEI BIOPOLIMERI
Il lavoro sul design dei biopolimeri ha avuto l’obiettivo di sintetizzare biopolimeri con una struttura ben definita e proprietà mi-
gliorate, impiegando i monomeri e polimeri creati durante la fermentazione. A questo scopo sono stati impiegati sia catalizzatori chimici che enzimatici. Per la sintesi dei biopolimeri sono stati usati due diversi approcci: prima la polimerizzazione dei monomeri generati nel processo di fermentazione Synpol e dopo la polimerizzazio-
FUEL CELL INNOVATIVE
SOFC a tre elettrodi Sviluppate pile a combustibile basate su una architettura a triodo
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ne dei monomeri funzionali e oligomeri creati attraverso il riciclaggio chimico dei PHAs. Questi oligomeri sono stati successivamente polimerizzati in nuovi materiali, riducendo al minimo il bisogno di prodotti chimici vergini. Inoltre, le proprietà dei PHA sono migliorate mediante plasticizzazione, mescolamento e creando compositi. I risultati sono stati la sintesi di tre diversi omopoliesteri e di un copoliestere: polibutilen-succinato (PBS), polipropilen-succinato (PPS), polibutilen-adipato (PBA), e polibutilen-succinato-co-butilen-adipato (PBSA). Ciò è avvenuto in una reazione di policondensazione e due stadi (esterificazione e trans-esterificazione) condotta allo stato fuso e catalizzata da isopropossido di titanio. Questi poliesteri presentano particolari caratteristiche (temperature di fusione, temperature di vetrificazione, cristallinità, proprietà meccaniche, biodegradabilità); sono stati lavorati con diverse tecnologie, ottenendo film per imballaggio, compositi per applicazioni biomediche e adesivi adatti all’impermeabilizzazione delle buste di carta. tire un’efficace controllo in situ dell’attività elettrocatalitica, in condizioni estreme. I ricercatori hanno applicato materiali modificati a base di nichel (Ni), noti per la loro tolleranza come elettrodi anodici nelle SOFC, assieme ad altri metalli. La configurazione a triodo ha essenzialmente introdotto un terzo elettrodo pilotato da un circuito ausiliario per mettere in funzione anodo e catodo. È stato introdotto un dettagliato modello matematico per tenere conto di tutti i processi elettrochimici che avvengono all’interno della cella a triodo. Il design radicale del progetto TCell ha quasi dimezzato il tasso di deposizione di carbonio sugli anodi standard in Ni e ha inoltre aumentato la vita operativa della cella. In aggiunta, l’innovazione ha migliorato la produzione di energia delle SOFC e l’efficienza elettrica complessiva. Le attività del progetto sono sfociate nello sviluppo con relative prove di un prototipo di dispositivo a triodo, costituito da cinque unità ripetute.
La biofissazione intensificata In Sicilia, e precisamente a Ragusa presso la Compagnia per l’Energia Rinnovabile (CER), Eni ha avviato un impianto sperimentale di nuova generazione di “biofissazione intensificata” della CO2 per la produzione di bio-olio algale che potrà essere utilizzato dalla nuova bioraffineria di Gela come biocarburante. Tutto si basa su una tecnologia brevettata da Sun Algae Technology, che Eni sta contribuendo a migliorare e valorizzare a fini industriali. Ad oggi, infatti, l’impianto non è ancora a regime, ma quando lo sarà porterà all’impiego di circa 80 ton/anno di CO 2 prodotta dai pozzi di idrocarburi di EniMed, utilizzata per la crescita di microalghe in combinazione con la luce solare. Dalle alghe saranno poi prodotte circa 40 ton/anno di farina algale, dalla quale sarà poi estratto biodiesel. Ad oggi, questa tecnologia consente la più alta produttività possibile rispetto agli altri sistemi disponibili. Il processo, in concreto, avviene in pochi e semplici passaggi: i concentratori solari che si trovano sul tetto dell’impianto concentrano i raggi solari nelle fibre ottiche; l’energia luminosa raccolta viene condotta dalle fibre ottiche all’interno di 14 fotobioreattori, sistemi colturali cilindrici alti 5 metri collocati sotto i concentratori solari; all'interno dei cilindri le microalghe ricevono l’energia e
Biodiesel dalle alghe
Avviato un impianto sperimentale di nuova generazione per la produzione di biocarburante con tecnologia brevettata crescono in acqua salata fissando la CO 2 separata dal gas proveniente dai pozzi del Centro Oli Eni; l’acqua viene poi recuperata e purificata mentre la componente algale viene essiccata; infine, dalla farina dell’alga si estrae un olio che potrà alimentare le bioraffinerie di Eni, al posto della carica attuale, costituita da olio di palma. La bioraffineria di Gela, peraltro, è ad elevata flessibilità operativa in quanto capace di trattare differenti materie fino al 100% della capacità di lavorazione. Questo impianto, quindi, è il trait d'union tra un impianto oil&gas a monte e una bioraffineria a valle, utilizzando fonti rinnovabili non food in un esempio unico di economia circolare. Si tratta, quindi, di un progetto sostenibile, replicabile (per qualunque impianto industriale che emette CO 2) e che valorizza il tessuto industriale locale.
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ECOTECH
a cura di ASSITA
Recupero di metalli preziosi con alghe estremofile
mento+recupero) richiede circa un’ora. È in corso di sviluppo un sistema su scala industriale, con il supporto finanziario dell’Ente giapponese Nedo.
Recupero del fosforo dai reflui per via elettrochimica
Gli organismi “estremofili” suscitano molto interesse perché si sono adattati a vivere in condizioni ambientali “estreme”, simili a quelle dei processi industriali. In particolare, l’alga termofila rossa Galderia sulphuraria si è dimostrata capace di adsorbire selettivamente gli ioni di oro e palladio, anche in condizioni altamente acide. Il pH acido è necessario per portare in soluzione i metalli, e l’alga estremofila normalmente vive sulle superfici rocciose di sorgenti di acqua acida e calda, che si trovano nelle località giapponesi di Kusatsu e Noboribetsu. In esperimenti di laboratorio, la superficie cellulare delle alghe si è dimostrata capace di adsorbire fino al 90% di ioni oro e palladio, in concentrazioni intorno a 0,5 ppm e a pH di 0,5. È possibile recuperare oro, palladio e altri metalli perfino da soluzioni 0,6 M di acqua regia; in queste condizioni le alghe non sopravvivono, ma l’adsorbimento degli ioni metallici sulla loro superficie avviene ugualmente. I metalli adsorbiti possono essere estratti per trattamento con soluzione ammoniacale di cloruro di ammonio; con 30 minuti di trattamento si recupera il 48% dell’oro e il 77% del palladio. L’intero processo (adsorbi-
Il recupero del fosforo dalle acque reflue è di enorme importanza per ridurre il carico di sostanze eutrofizzanti negli scarichi e, contemporaneamente, per assicurare un apporto di fertilizzanti all’agricoltura anche negli anni futuri. Sono stati proposti vari processi, di solito basati sulla precipitazione del fosforo in forma di struvite (fosfato di magnesio e ammonio esaidrato). Per ottenere la struvite è normalmente necessario aggiungere sia sali di magnesio che soda (per regolare il pH); il processo tedesco ePhos (Electrochemical Process for Phosphorus Recovery) utilizza invece un anodo sacrificale in magnesio, affidando l’azione alcalinizzante all’ossidazione catodica dell’acqua (che produce idrogeno gassoso e ioni OH-). La struvite ottenuta con il processo ePhos (sviluppato dal Fraunhofer Institute for Interfacial Engineering and Biotechnology) è esente da trascinamenti di biomassa e può essere direttamente utilizzata come fertilizzan-
te a lento rilascio per usi agricoli, mostrando un’assimilabilità da parte delle piante fino a 4 volte superiore rispetto ai normali fertilizzanti commerciali, come il nitrato d’ammonio o il cosiddetto “superfosfato”. Il processo ePhos recupera circa l’85% dei fosfati presenti nei reflui, con un consumo energetico di circa 0,78 kWh/mc.
Olefine leggere dal gas di sintesi
una zeolite denominata MSAPO, che favorisce la formazione dei legami carbonio-carbonio. Il risultato dell’azione combinata dei due catalizzatori è la trasformazione del gas di sintesi in chetene e la successiva conversione di questo in olefine leggere, soprattutto propilene. Le prove finora condotte indicano che il nuovo catalizzatore promette una lunga vita utile, senza formazione di depositi carboniosi. Un interessante vantaggio è la possibilità di lavorare con un basso rapporto tra idrogeno e ossido di carbonio; questo favorirebbe l’uso di gas di sintesi ottenuto da carbone e da biomasse lignocellulosiche.
Il batterio mangia-plastica Attualmente gli idrocarburi olefinici gassosi, come etilene e propilene, sono prodotti per cracking catalitico della benzina leggera (virgin naphta) ottenuta per distillazione del petrolio. Teoricamente è possibile produrre questi idrocarburi (che sono la base per le materie plastiche di largo consumo) mediante disidratazione del metanolo su catalizzatori zeolitici, oppure mediante una variante della sintesi Fischer-Tropsch, che parte dal gas di sintesi e utilizza catalizzatori metallici. Quest’ultimo processo è stato oggetto di molte ricerche nel periodo in cui il prezzo del grezzo superava 100 $ al barile, ma ora non è considerato competitivo, soprattutto poiché la resa in olefine leggere non supera il 58%. La situazione potrebbe cambiare grazie a un nuovo catalizzatore, sviluppato nell’Istituto di Chimica-Fisica dell’Accademia delle Scienze cinese. Il nuovo catalizzatore (denominato Ox-Zeo) è una combinazione tra il cromato di zirconio parzialmente ridotto, che attiva i due componenti principali del gas di sintesi (ossido di carbonio e idrogeno), e
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Fino ad oggi il PET (la comune plastica trasparente usata per le bottiglie) era considerato non biodegradabile e resistente in tutte le condizioni ambientali, tanto che il suo accumularsi nell’ambiente desta molte preoccupazioni. Tuttavia, i ricercatori giapponesi della Keio University e dell’Istituto di Tecnologia di Kyoto, in collaborazione con due industrie produttrici di PET (Teijn e Adeka), sono riusciti a isolare un batterio, denominato Ideonella sakaiensis, capace di biodegradare e assimilare il PET. Il batterio è stato scoperto nei pressi di Sakai (Osaka), selezionando popolazioni batteriche naturali che si trovavano a contatto con i rifiuti di PET. I ricercatori hanno chiarito il processo di biodegradazione, che si basa su due enzimi (PETasi e MHETasi), capaci di idrolizzare il PET e successiva-
mente convertire i prodotti di idrolisi nei due monomeri di partenza (acido tereftalico e glicol etilenico). Poiché il processo biologico non richiede energia, il nuovo batterio potrebbe offrire una alternativa più ecologica agli attuali processi di riciclo chimico.
Plastiche da fermentazione di biomasse
Le materie plastiche ottenute a partire dall’acido lattico sono considerate tra i migliori candidati alla sostituzione delle attuali plastiche derivate dal petrolio. In particolare, il PLGA (poli-lattato-co-glicolato) è già noto e utilizzato per suture chirurgiche, impianti di protesi bio-assorbibili, e confezionamento di prodotti medico-farmaceutici, in quanto è biodegradabile, biocompatibile e atossico. Finora il PLGA veniva ottenuto con un processo di sintesi chimica, partendo dall’acido glicolico e dall’acido lattico. Un gruppo di ricercatori sud-coreani dell’Istituto Avanzato per le Scienze e Tecnologie è riuscito a ottenere il PLGA (e altri copolimeri analoghi) partendo da biomasse rinnovabili, mediante un processo di fermentazione monostadio compiuta da un ceppo modificato di Escherichia coli. I materiali ottenuti hanno già ricevuto l’approvazione dell’Ente americano per la sicurezza dei farmaci e degli alimenti (FDA).
Alcool etilico dai residui legnosi La trasformazione in alcool dei residui lignocellulosici consentirebbe di disporre di un biocarburante ecologico e privo di effetti di concorrenza verso le produzioni alimentari. Sono state condotte molte ricerche in proposito, ma fino ad oggi le rese sono modeste
(300 litri di alcool per ogni tonnellata di biomassa in entrata) e, inoltre, circa 1/3 del carbonio che costituisce la biomassa viene disperso in atmosfera come CO2. Ricercatori giapponesi dell’Università di Kyoto propongono di superare questa situazione con un nuovo processo a 3 stadi. Nel primo stadio, il materiale lignocellulosico viene decomposto con acqua calda sotto pressione; la successiva fermentazione si compie in due stadi distinti, nel primo dei quali si produce soprattutto acido acetico. L’acido viene sottoposto a esterificazione e idrogenolisi, in modo da ottenere etanolo. La resa è di 700 litri di etanolo per ogni tonnellata di biomassa in entrata, e non viene prodotta CO2. I ricercatori giapponesi considerano il loro processo come un importante passo avanti per ridurre le emissioni di CO2, e lo stanno perfezionando per poter passare alla fase industriale.
Dipartimento dell’Energia Usa. Lo scopo principale è la riduzione delle emissioni di CO2 dalle centrali a carbone, ma il processo può essere ugualmente adattato alle centrali alimentate a gas naturale. biopolimeri è necessario un processo di reticolazione dinamica, i cui dettagli non sono stati rivelati. Il nuovo biocomposito ha una resistenza all’urto 20 volte superiore rispetto alle attuali formulazioni commerciali di PLA, e anche l’allungamento a rottura (un parametro inversamente proporzionale alla fragilità) si accresce in misura analoga. Le applicazioni previste sono molteplici: articoli sportivi, attrezzature da ufficio, dispositivi medici, componenti sotto cofano per auto; ma l’applicazione più promettente è come materiale per stampanti 3D. È in corso un programma di investimenti, del valore di vari milioni di dollari, per realizzare una linea produttiva su scala industriale, con capacità intorno a 10 ton/ora.
Fuel cells per catturare la CO2
Biocomposito ad alte prestazioni I ricercatori giapponesi della Hitachi Zosen, insieme all’Università di Osaka e con il supporto finanziario del Nedo (New Energy and Industrial Technology Development Organization) hanno perfezionato le prestazioni meccaniche dell’acido polilattico (PLA), considerato ad oggi la più promettente delle diverse plastiche biodegradabili presenti sul mercato. Il principale problema del PLA è attualmente la sua fragilità, che ne limita fortemente le applicazioni. I ricercatori giapponesi hanno combinato il PLA con il 10-30% di trans-poli-isoprene, che è il componente principale di una gomma naturale prodotta dall’albero Eucommia (originario della Cina). Per ottenere una combinazione stabile tra i due
Le fuel cells al carbonato producono idrogeno da gas naturale e biogas, e successivamente utilizzano l’idrogeno per produrre energia elettrica. In questo tipo di celle, all’anodo vengono prodotti ioni carbonato ed elettroni, utilizzando CO 2; questo consente di separare e concentrare la CO 2 contenuta nei fumi di centrali termoelettriche e grandi impianti di combustione. Rispetto ai classici sistemi di assorbimento a base di ammine, le celle al carbonato non richiedono cicli di rigenerazione; inoltre, abbattono gli ossidi di azoto (NOx) presenti nei fumi, riducendoli ad azoto elementare. Queste proprietà sono alla base di un progetto congiunto tra Exxon Mobil e Fuel Energy, che ha ricevuto un finanziamento dal
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Metatesi delle olefine su scala industriale
La reazione di metatesi delle olefine consiste nello scambio di un sostituente alchenico (contenente cioè un doppio legame tra atomi di carbonio) tra due diverse molecole, una delle quali è di solito etilene o butene e l’altra un olio di origine naturale. La reazione richiede un catalizzatore, normalmente a base di tungsteno/molibdeno, e produce da un lato idrocarburi olefinici a 10 atomi di carbonio (che possono essere usati nei processi di raffineria per la produzione di carburanti) e dall’altro esteri metilici di acidi grassi, che possono essere utilizzati come biocarburanti e in molte applicazioni industriali. Fino a poco fa le reazioni di metatesi erano oggetto di studio a livello di laboratorio; ma recentemente un gruppo di diverse industrie ha messo a punto un nuovo sistema catalitico, che consente di operare in condizioni relativamente basse di temperatura e di pressione, permettendo di realizzare impianti con costo di investimento modesto e basso impatto ambientale. Il gruppo è costituito dalla Elevance Renewable Sciences (Usa), dalla società svizzera Ximo (alla quale si deve la realizzazione del catalizzatore), dalla Versalis (gruppo Eni) e dalla società ungherese Soneas, che gestisce l’impianto di produzione. In questo impianto è stata realizzata la prima reazione di metatesi su scala industriale, con quantità di reagenti e prodotti corrispondenti a 40.000 volte quelle dei precedenti esperimenti di laboratorio.
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